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Artaud-Il teatro e il suo doppio_Riassunto, Appunti di Storia del Teatro e dello Spettacolo

Riassunto del libro di Artaud "Il teatro e il suo doppio" dove presenta il termine di "teatro della crudeltà", che cosa diventerà in futuro e i suoi aspetti, del Teatro Alfred Jarry, del teatro alchimistico, eccetera.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 30/04/2021

giulia.digabriele
giulia.digabriele 🇮🇹

4.4

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Scarica Artaud-Il teatro e il suo doppio_Riassunto e più Appunti in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! Antonin Artaud Il teatro e il suo doppio “Teatro della crudeltà” Il teatro della crudeltà non è una “rappresentazione”, ma è la vita stessa in ciò che è irrappresentabile. E l’uomo non è che una rappresentazione della vita e tale è il limite umanistico della metafisica del teatro CLASSICO. Con questo teatro, Artaud vuole rompere con la concezione “imitativa”dell’arte. Il teatro della crudeltà produce uno spazio non-teologico. Che cosa voglio dire… La scena teologica è una scena dominata dalla volontà di parola che comprende i seguenti elementi: un autore-creatore che realizza un testo e, da lontano, controlla la sua opera realizzarsi in teatro col fine di “rappresentare” i suoi pensieri, le sue idee e le sue intenzioni. L’opera, insieme alle idee dell’autore- creatore, viene rappresentata per mezzo di rappresentanti, registi e autori, che servono il loro “padrone” creatore. Il pubblico, davanti a questo teatro, resta passivo e diventano dei voyeur. Tutto questo per colpa del testo. Artaud riteneva che il testo avesse finito con l’esercitare una tirannia sullo spettacolo. Egli spinge verso un teatro integrale che comprendesse e mettesse sullo stesso piano tutte le forme di linguaggio, fondendo gesto, movimento, luce e parola. La scena non sarà una rappresentazione, se rappresentazione vuol dire uno spettacolo su una superficie piatta per voyeur. Ma una rappresentazione originaria, che scuote, si muove in continuazione e non sta mai fermo. Ma che cosa diventerà la parola nel teatro della crudeltà? La parola, sì, cesserà di dominare la scena, ma non vuol dire che non sarà presente. Occuperà un posto delimitato, come le altre componenti (la musica, i gesti, i movimenti, i rumori, le immagini, eccetera). La parola e la sua scrittura diventano GESTI, quindi sarà ridotta la l’intenzione logica e discorsiva e la si mette a nudo: la sua intonazione, la sua intensità, il grido, e tutti quei gesti oppressi che restano nella parola. I questo modo, Artaud cerca di ridare alla parola la sua antica efficacia magica e affascinante. Artaud cerca di realizzare una nuova scrittura teatrale formata da non solo una scrittura fonetica, ma anche da una scrittura geroglifica dove gli elementi fonetici si coordinano a elementi visuali, pittorici, plastici. Il drammaturgo, a riguardo della parola, fa dei riferimenti alla psicoanalisi accostandosi allo studio del sogno fatto da Freud. Nel sogno, il funzionamento della parola viene delimitata, ma comunque presente ed interviene solo come un elemento tra gli altri. Quindi Artaud, nel sue teatro, vuole dare alle parole all’incirca la stessa importanza che hanno nei sogni. Però il drammaturgo prende le distanze dal psicoanalista e non lo vuole interprete, perché per lui lo psicanalista appartiene alla struttura della scena classica. Il teatro della crudeltà è, sì, un teatro del sogno, ma del sogno “crudele”, quindi un sogno necessario, calcolato, controllato, in contrapposizione al sogno spontaneo. Il teatro della crudeltà non sraà mai un teatro dell’inconscio, perché la “crudeltà” è la coscienza esposta (<< Non si ha crudeltà senza coscienza… >>). Altro aspetto è che il teatro della crudeltà espelle Dio dalla scena, ma non è un nuovo discorso ateo. Artaud cerca di ritrovare un’idea di teatro sacro, ma questa nuova epifania del soprannaturale e del divino deve prodursi nella crudeltà Quindi gli opposti al teatro della crudeltà sono: - il teatro non-sacrale; - il teatro astratto (che escluda la danza, la musica, il volume e altre cose riguardanti la vita, ed è un teatro in cui non si manifesta la totalità dei sensi); - il teatro dominato dalla parola articolata; - il teatro della distanzi azione (ovvero la non partecipazione degli spettatori, e quindi è presente una barriera che separa lo spettacolo e gli attori dal pubblico); - il teatro non-politico; - e il teatro ideologico (un teatro di cultura, di comunicazione, di interpretazione che cerchi di trasmettere un contenuto e di diffondere un messaggio). La RIPETIZIONE, per Artaud, è il male assoluto, perché i gesti, i movimenti, le parole, le espressioni della crudeltà hanno luogo una volta sola e poi muoiono e non possono essere ripetute. Lo SCOPO di questo teatro è di disturbare la sensibilità degli spettatori, provocando in loro la sensazione acuta di disagio interiore e di passare tutta la rappresentazione proposta con agitazione. Il TEMA che propone è: l’attualità (intesa in tutti i sensi). Come MEZZO: L’humour (in tutte le sue forme). Nel teatro della crudeltà, il gesto teatrale è VIOLENTO, ma GRATUITO, e cercano di frantumare la sensibilità dello spettatore. Viene soppressa la SCENA e viene sostituita in un luogo unico, dove al centro c’è lo SPETTATORE che viene circondato e coinvolto dallo spettacolo creando una comunicazione fra spettatore-spettacolo-attore. L’ATTORE è un elemento efficace di primaria importanza, perché è dalla sua interpretazione che dipende il buon esito dello spettacolo. Il primo spettacolo della crudeltà fu “La conquète du Mexique”, dove ciò che mostrerà la scena sono avvenimenti e non persone. Sì, ci sono uomini, la loro psicologia e le loro passioni, ma vengono viste come emanazione di certe forze e nella prospettiva degli avvenimenti. Tale argomento è stato scleto: - per la sua attualità; - per portare il problema attuale della colonizzazione e del diritto che un continente si appropria e che riduce la nazione colonizzata sua schiava (quindi il problema della superiorità di certe razze su altre). In questo spettacolo sono presenti forti immagini, dialoghi brutali e le lotte fra uomo e uomo. “Il Teatro Alfred Jarry” 1926-27 Negli scritti del 1926 e del 1927, Artaud rimprovera l’impossibilità di salvare il teatro, poiché è un’arte interamente fondata sull’illusione che non sa suscitare. Ma il teatro ideale che il drammaturgo vuole presentare è uno spettacolo fatto di angoscia, di sensi di colpa, di crudeltà (appunto) come l’assistere a una retata della polizia e alle sue evoluzioni. Artaud vuole dare un’illusione che non si fonderà sulla verosimiglianza dell’azione, ma sulla forza comunicativa e la realtà di tale azione. Lo spettatore deve venire nel suo teatro con la stessa sensazione di quando va dal dentista o dal chirurgo, perché nello spettacolo di Artaud egli sarà sottoposto a un operazione dove saranno in gioco il suo spirito, i suoi sensi e anche la sua Dullin: il principale è l’improvvisazione che costringe l’attore a pensare gli impulsi dell’anima, invece che rappresentarli. Poi Dullin chiede ai suoi allievi il rispetto della propria arte, perché l’Atelier è un laboratorio di ricerche. Gli sforzi sottoposti gli allievi trovano la loro ricompensa con la “sorpresa” che, secondo Edgar Poe, sta alla base dell’arte. ^^^ “Il Teatro dell’Atelier” 1922 Ormai alla gente d’oggi vede l’andare al teatro come l’andare ad un bordello, un piacere furtivo, diventando così un luogo dove sfogare il loro bisogno di godere con tutti i sensi, sia fisici che mentali. Nel mondo esistono due tipi di teatro: un falso teatro, quella dei borghesi, dei militari, dei benestanti, dei commercianti, eccetera; e un teatro concepito come compimento dei desideri umani più puri, composta da piccole compagnie di giovani attori che vogliono far rivivere artisti come Molière, Shakespeare, Calderòn, e fra queste compagnie c’è l’Atelier. Quest’ultima non pretende di inventare qualcosa di nuovo, ma vuole solo sforzarsi di SERVIRE il teatro, e quindi di ritrovare tutto il teatro del passato e il teatro dell’avvenire. Ovviamente l’Atelier ha i suoi metodi lavorativi e uno di questi, oltre all’improvvisazione detta prima, è la ricerca dell’intonazione; un intonazione che proviene dall’interno e spinta all’esterno dal forte impulso del sentimento, quindi non ottenuta per imitazione. “Il teatro e la peste” Artaud narra di un vento successo nel 1720 durante la peste: in quegli anni, Saint-Rémys, vicerè di Sardegna, fece un sogno sgradevole: vide se stesso malato di peste e tale virus devastare il suo Stato. Lo stesso giorno una nave salpata da Beirut (il mese prima), la Grand-Saint-Antoine, chiede l’autorizzazione di approdare in Sardegna. Il vicerè diede l’ordine pazzesco e assurdo ad alcuni suoi uomini di andare sulla nave ed imporli di virare immediatamente e di spiegare le vele lontano dalla città (in caso non lo facessero, la pena era l’affondamento della nave a colpi di cannone). Tale decisione fu presa per via della potenza del sogno che il viceré fece quel giorno, facendolo supporre che la Grand-Saint-Antoine fosse contaminata dalla peste. Alla fine, la nave seguì il suo percorso finendo a Marsiglia, dove fu autorizzato a sbarcare. I marinai dell’equipaggio non morirono di peste e si dispersero in diversi paesi. La peste era già presente, e la nave era contaminata dalla peste orientale, il virus originario, ma solo al suo arrivo iniziò a diffondersi quest’epidemia. I due soli organi che questa malattia colpisce realmente sono il cervello e i polmoni, entrambi dirette dipendenze della coscienza e della volontà; la peste di manifesta nei luoghi dove la volontà umana, la coscienza e il pensiero sono presenti e in grado di manifestarsi. Questa libertà spirituale di questa malattia che colpisce gli organi della coscienza e scava la vita sino allo spasimo è possibile trarne uno spettacolo. La peste porta una violenza gratuita immediata che induce ad atti inutili e privi di benefici nel presente, e questo è quello che fa il teatro. E il malato di peste che muore senza distruzione mentale, quello è l’attore: stessa situazione, stessi dolori e stesse ferite fisiche. La peste spinge improvvisamente a gesti estremi, così come il teatro prende dei gesti e li spinge fino al loro limite. Ritroviamo qui, anche, il concetto dei simboli e degli archetipi: agiscono come colpi silenziosi, accordi musicali, brusche interruzioni, esplosioni d’immagini che entrano e rimangono nelle nostre menti improvvisamente violentate. Come la peste, la rappresentazione teatrale è un delirio, ed è comunicativa. Un esempio perfetto che fa Artaud è l’opera di Ford “Peccato che sia una sgualdrina”: quando i protagonisti li vediamo spacciati, ecco che ci mostrano che sono capaci di restituire al destino minaccia a minaccia; Annabella viene catturata, poiché riconosciuta colpevole di adulterio e di incesto, e calpestata, violentata e insultata, mentre noi spettatori rimaniamo sbalorditi da tutta questa violenza gratuita. Alla fine, abbiamo la vendetta di Giovanni che va oltre al delitto: un delitto indescrivibile e appassionato che travolge nello stesso tempo le leggi e la morale. Il fratello di Annabella si prepara astutamente alla trappola preparata dallo sposo di sua sorella, che lo vuole morto. Giovanni uccide per primo la sua amata, strappandole il cuore come per cibarsene (in fondo, siamo ad un banchetto). Prima di suicidarsi, Giovanni uccide il suo rivale che aveva osato frapporsi fra lui e la sua amata sorella. Il teatro è come la peste, non perché è contagioso, ma perché come la peste è la rivelazione; la spinta verso l’esterno di un fondo di crudeltà il quale si localizza in un individuo o in un popolo tutte le possibilità perverse dello spirito. E il teatro, come questa malattia, è una crisi che si risolve con la morte o con la guarigione. “La messa in scena e la metafisica” Artaud prende in esame il quadro di Luca di Leida, “Le figlie di Lot”. Ne fa un esame dettagliato sulla rappresentazione e quello che ne trasmette. Conclude dicendo che la grandezza poetica di queste idee deriva dal fatto di essere METAFISICHE [espressione artistica: che prescinde dalla realtà della natura, dai suoi reali rapporti e leggi per creare un’altra realtà in cui oggetti e persone rappresentate fuori del loro ambiente consueto o in accostamenti fantastici acquistano un nuovo suggestivo significato. Nel linguaggio filosofico: che concerne la metafisica, intesa come scienza della realtà assoluta, o è proprio di essa]. In questo quadro, Artaud vede un idea sul Divenire dal modo in cui sono dipinti alcune parti del paesaggio, come i vari piani s’annullano o si corrispondono. Anche un’idea di Fatalità espressa dal fuoco improvviso insieme a tutte le forme che si compongono o si scompongono sotto di esso. Inoltre, ci sono idee di Caos, di Meraviglioso e sull’Equilibrio. Insomma, questo quadro di Leida è ciò che dovrebbe essere il teatro. Ancora Artaud non si spiega come è possibile che tutto ciò che non è contenuto nel dialogo debba rimanere in secondo piano; se già la pittura, con “Le figlie di Lot”, è riuscita a dare un ordine agli oggetti, ai personaggi, ai colori, alle luci e alle ombre, perché il teatro occidentale non riesce a vedere il teatro sotto una prospettiva diversa da quella del dialogo? Il dialogo non appartiene alla scena, ma al libro. Artaud preferisce un linguaggio fisico che consiste in tutto ciò che occupa la scena, che può manifestarsi ed esprimersi materialmente, ma soprattutto che si rivolga ai sensi. Il drammaturgo parla di Pantomima diretta, dove i gesti, anziché rappresentare parole o gruppi di frasi, rappresentano idee, atteggiamenti dello spirito, gli aspetti della natura, tutto in modo concreto. E il modo migliore di realizzare sulla scena l’idea di pericolo è l’imprevisto, non nelle situazioni, ma nelle cose; il passaggio tempestivo, brusco, da un immagine pensata a un immagine reale (Artaud fa un esempio: un bestemmiatore vede materializzarsi improvvisamente davanti a sé l’immagine della propria bestemmia). Per concludere, il linguaggio dello spettacolo e della scena deve necessariamente trasformare il pensiero in atteggiamenti profondi che potrebbero essere definiti “metafisica in atto”, e considerare tale linguaggio in forma di Incantesimo. “Il teatro alchimistico” Il teatro, così come l’alchimia, è legato a dei fondamenti (delle basi), comune a tutte le arti, che permette nel campo della immaginazione di produrre il reale (realmente l’oro per l’alchimia). L’alchimia, grazie ai suoi simboli, è come il Doppio spirituale di un’operazione che risulta efficace solo sul piano della materia reale, mentre il teatro è considerato il Doppio, non della realtà quotidiana, ma di un’altra realtà rischiosa, una realtà inumana. Ma anche i veri alchimisti sanno che il simbolo alchimico è un miraggio del teatro; questo miraggio, questa allusione è intesa come l’espressione dell’identità fra il piano sul quale evolvono i personaggi, gli oggetti, le immagini, insomma la “realtà virtuale” del teatro e il piano puramente illusorio dove si evolvono i simboli dell’alchimia. Purtroppo, il teatro tipico e primitivo ha subito col tempo la stessa sorte della parola: cessano di generare immagini. “Sul teatro Balinese” Lo spettacolo Balinese è formato dalla danza, dal canto, dalla Pantomima e pochissimo del teatro psicologico, e riporta al teatro quella creazione autonoma e pura, da una prospettiva di allucinazione e di sgomento. I Balinesi realizzano il teatro puro dove tutto esiste solo e soltanto sulla scena. I temi sono vaghi, astratti ed estremamente generici. Ma il loro teatro danno l’idea di un nuovo utilizzo del gesto e della voce; il senso di un nuovo linguaggio fisico basato sui gesti e non più sulle parole. I Balinesi hanno una ricca gamma di gesti e di posizioni mimiche che vengono applicate in un determinato momento, gesto, suono o intonazione. Non hanno solo tantissimi gesti, ma anche una grande capacità di usare la musica, il ritmo e il tono. Questi elementi danno libertà alla scena grazie anche all’ispirazione spontanea, che non porta più a un teatro sterile e monotono. Il teatro occidentale non ha mai avuto la nozione del gesto e non ha mai saputo applicare la musica ai fini drammatici così diretti, e rimane soltanto un teatro verbale ed ignora tutto ciò che costituisce il teatro. Il teatro Balinese è un teatro calcolato, dove ogni cosa deve avere il suo posto: un gesto rituale deve obbedire a indicazioni musicali estremamente precise. Questo teatro ha qualcosa che va oltre al “divertimento”: le manifestazioni sono ricavate dalla vita, dalla realtà, e c’è in esse qualcosa di cerimoniale di un rito religioso. I pensieri a cui tende, gli stati d’animo che cerca di produrre vengono sollevati come un esorcismo per far affluire i nostri demoni. ^^^ “Teatro Orientale e teatro Occidentale” Per noi occidentali, a teatro la Parola è tutto e non esiste possibilità d’espressione all’infuori di essa. Questa supremazia della parola nel teatro è talmente radicata in noi che il teatro ci appare un riflesso materiale del testo. Il teatro, fedele al proprio linguaggio, deve rompere con l’attualità; il suo scopo non è risolvere i conflitti sociali o psicologici, ma di esprimere obiettivamente verità segrete, di mettere in luce tramite i gesti quella parte di verità nascosta e oscura. Sì, è vero che anche le parole sono metafisiche, ma grazie anche al resto della scena (suoni, rumori, gesti, movimenti, toni, eccetera) la parola acquista la sua massima efficienza. Quindi, il drammaturgo non vuole sopprimere la parola, ma darle il suo posto come gli altri elementi scenici, di confonderla con tutto ciò che di spaziale e di significativo il teatro contiene. “Basta con i capolavori” Per Artaud bisogna farla finita con questa idea dei capolavori riservati a una nicchia ristretta di spettatori e che sono incomprensibili alla folla. Ormai i capolavori del passato vanno bene per il passato, e non per noi. Abbiamo il diritto di dire ciò che ci è stato detto in una forma che ci sia propria, immediata, diretta e che tutti siano in grado di comprendere. Il drammaturgo dice che se Edipo Re di Sofocle la folla non lo capisce, non è colpa della folla ma dell’opera e dell’autore che è troppo raffinato per noi. E queste forme passate del teatro non rispondono più alle esigenze del nostro tempo. Purtroppo la folla è disabituata ad andare a teatro, perché viene considerato un’arte inferiore, un mezzo volgare di distrazione, e ciò accade perché ci hanno sempre detto che era teatro, ovvero una menzogna e illusione. E questo dal Rinascimento in poi. Per questo Artaud propone il suo “teatro della crudeltà” (vedi inizio).
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