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Van Gogh e Gauguin: un confronto tra due grandi pittori, Dispense di Arte e territorio

Una panoramica dettagliata delle opere di vincent van gogh e paul gauguin, due grandi pittori del xix secolo. Le loro opere più famose, come i girasoli di van gogh e il cristo giallo di gauguin, e fornisce informazioni sulle loro tecniche e stili. Inoltre, il documento offre una lettura simbolica delle opere di van gogh e gauguin, analizzando i loro significati e le loro influenze culturali. Particolarmente utile per chi sta studiando l'arte del xix secolo e vuole approfondire la comprensione delle opere di van gogh e gauguin.

Tipologia: Dispense

2022/2023

Caricato il 15/02/2024

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Scarica Van Gogh e Gauguin: un confronto tra due grandi pittori e più Dispense in PDF di Arte e territorio solo su Docsity! ARTE I GIRASOLI (VAN GOGH ) I primi girasoli, che costituiscono in sé stessi una serie, vennero dipinti dall’artista a Parigi, nella tarda estate del 1887. Si tratta di quattro nature morte con girasoli recisi e parzialmente appassiti, oggi divise in quattro musei (a New York, Otterlo, Amsterdam e Berna). I fiori assumono il significato simbolico di memento mori, ossia esortano alla meditazione sulla caducità della vita e sulla morte che è ineluttabile. I toni scuri adottati dal pittore, incluso lo sfondo blu/violetto, enfatizzano il senso di precarietà e disfacimento che ogni tela promana.La seconda serie di girasoli, quella sicuramente più famosa, vede i fiori a mazzi in un vaso e venne realizzata da Vincent durante la sua permanenza ad Arles, in Provenza. L’occasione per ritornare a questo soggetto che così tanto amava, venne offerta dall’arrivo, nell’ottobre del 1888, dell’amico Paul Gauguin, che Van Gogh avrebbe ospitato nella propria Casa Gialla, nella speranza di poter convivere con lui a lungo, trovando in quella compagnia conforto alla sua solitudine. Van Gogh mise mano all’opera con l’intento di accogliere festosamente Paul e decorare la cameretta che gli aveva destinato. I girasoli costituiscono una gioiosa parentesi nella produzione dell’artista, normalmente più incline a soggetti malinconici o drammatici, finalizzati ad esprimere il suo disagio interiore e il suo mal di vivere. È significativa, in questo senso, la scelta di realizzare questi dipinti usando, a differenza che nelle versioni parigine, prevalentemente colori caldi e soprattutto il giallo in molte sue sfumature. Il giallo, amatissimo da Vincent in quanto simbolo di vita, qui si ritrova nei fiori, nei vasi e negli stessi sfondi, sicché le immagini, nel loro insieme, sembrano emanare una luce radiosa e comunicano un senso di caldo ottimismo. un’efficace metafora: quella dell’energia creatrice e della forza vitale della natura, dell’amore e dell’amicizia che sostengono, alimentano, guariscono. La tecnica utilizzata da Van Gogh è quella consueta dei suoi dipinti ma enfatizzata. Vincent usò pennellate spesse e grasse, con colori densi e pastosi che emergono in rilievo dalla superficie della tela, resa scabra e ruvida, al punto che ogni petalo, ogni foglia è in grado di proiettare un’ombra. Dopo il drammatico litigio con l’amico, la partenza di questi e il ricovero di Van Gogh seguito all’automutilazione dell’orecchio, Vincent dipinse, a memoria o copiando le sue precedenti versioni, tre altri girasoli in un vaso, nelle versioni oggi a Philadelphia, Amsterdam e Tokyo. CAMPO DI GRANO CON VOLO DI CORVI ( VAN GOGH) Lo dipinse subito prima di morire. Secondo alcuni critici si tratterebbe dell’ultimo quadro dell’artista, che lo avrebbe realizzato come preannuncio del suo suicidio o come ideale lettera di addio.Van Gogh la dipinse riversandovi tutta la disperazione, la rabbia e persino il rancore che lo tormentavano. Un campo di grano giallissimo, tagliato da tre viottoli che vanno in direzioni diverse, appare scosso dal vento, come un mare agitato; uno stormo di corvi neri, resi con semplici linee nere zigzaganti, si leva in un basso volo scomposto, come di avvoltoi che planano verso un cadavere. Una tempesta, quasi presaga di lutto, incombe su questo paesaggio, anticipata da nubi nere e minacciose. Tutta la scena, realizzata con un autentico furore creativo, è composta da pennellate rabbiose, che seguono le direzioni dei piani prospettici o si accavallano. In ogni sua opera, e soprattutto nei paesaggi, egli affidò al colore il valore di una metafora, riconoscendovi una capacità di persuasione autonoma. Ed elaborò una tecnica essenziale al raggiungimento del suo scopo. Le pennellate di Van Gogh sono infatti dense, larghe, corpose, perfettamente identificabili. Sembrano avere valore in sé. Questo capolavoro è la consapevole trasposizione simbolica di uno stato d’animo e di una situazione esistenziale. È una metafora dell’anima. Il grano, nelle varie opere di Van Gogh, ha sempre rappresentato la vita: e non sfugge che, in Campo di grano con volo di corvi, i tre sentieri vuoti, che vanno verso l’ignoto, non portano da nessuna parte, sembrano invece ferire quella distesa dorata, squarciarla come a forbiciate violente. Il cielo, che sarebbe per sé stesso di un blu rassicurante, passa a tonalità cromatiche sempre più scure a causa della tempesta che incombe. In questa immagine si colgono, insomma, violenti contrasti e palesi contraddizioni.Il cielo azzurro e luminoso e il grano d’oro lucente sono, in quanto tali, un trionfo di vitalità; però stanno per soccombere, vinti dal colore scuro che li copre. Come l’artista che li dipinge, in un ultimo disperato appello alla vita. MANGIATORI DI PATATE (VAN GOGH) Tra il 1884 e il 1885, in Olanda, Van Gogh scelse di orientarsi verso un realismo carico di contenuti sociali. La sua poetica fu subito ben definita: accentuare l’espressione attraverso la deformazione e usare il colore in senso espressivo e non naturalistico, nella consapevolezza che il colore esprime qualcosa per sé stesso. L’espressione, secondo l’artista, consisteva nel «far uscire fuori» dalle cose il loro AUTORITRATTO Alla fine del XIX secolo, negli anni in cui si diffondeva la moda dei ritratti fotografici, il grande pittore olandese Vincent Van Gogh (1853-1890) difese ostinatamente il ritratto pittorico, sostenendo che «i ritratti dipinti hanno una vita propria che si origina dall’anima del pittore e che nessuna macchina può catturare». Van Gogh si percepisce soprattutto nei suoi tanti autoritratti: ne conosciamo ben 37. Nell’Autoritratto con cappello di feltro, Vincent si ritrasse di tre quarti, magrissimo, con le labbra serrate, gli occhi fissi e inquieti, lo sguardo profondo. Il volto, il cappello, il vestito, lo sfondo sono ottenuti accostando dense pennellate colorate: è una originalissima interpretazione della lezione impressionista e neoimpressionista. Lo sfondo mosso, ipnotico e vorticoso prende vita con onde centrifughe che sembrano l’emanazione del suo pensiero. Un altro famoso autoritratto ci aiuta a conoscere profondamente l’animo di Van Gogh: comprendiamo, osservandolo, che solo un uomo dotato di una lucidità impressionante avrebbe potuto fissare lo sguardo così direttamente sulla sua anima. anche in questo dipinto lo sfondo azzurro, spirituale e cosmico, pare muoversi d’un moto ondoso, instabile e gorgogliante, che lo stesso artista produce e in cui sembra volersi abbandonare. IL CRISTO GIALLO (GAUGUIN) 1889 Albright-Knox Art Gallery Un crocifisso con la figura di Cristo si staglia in primo piano contro il paesaggio della campagna bretone. La croce è costruita con semplici assi squadrate. La figura di Cristo è essenziale, legnosa e realizzata con forme semplici e un po incerte. I suoi piedi sono sovrapposti e posano su di una piccola mensola fermati da un grosso chiodo metallico. Ai piedi della croce vi sono alcune contadine bretoni in abito tipico, con cuffia bianca, ampio abito scuro e grembiule. Le donne pregano il crocifisso con il capo chino durante l’Angelus, recitato ogni giorno alle 6, alle 12 e alle 18. Un prato in discesa viene interrotto da un muretto a secco scavalcato da un uomo. Alcuni alberi punteggiano i confini dei campi e in lontananza si alzano le colline dai profili ondulati. Tra gli alberi si intravedono alcune abitazioni sparse sul declivio. Il cielo azzurro è sgombro di nubi. Paul Gauguin nei dipinti realizzati a Pont-Aven rappresentò la semplice religiosità della tradizione contadina delle genti bretone, a nord di Parigi. L’artista in fuga dalla civiltà e dalle difficoltà esistenziali si rifugiò nella società arcaica e semplice della campagna come farà in seguito presso le isole della Polinesia francese. Con il giallo che colora il corpo di Cristo, Paul Gauguin volle, forse, simboleggiare il dolore umano. Sicuramente l’artista utilizzò più volte la figura di Cristo con il quale si immedesimava per esprimere la propria sofferenza esistenziale. Inoltre il giallo è lo stesso colore utilizzato per descrivere i campi di grano che possedeva un profondo significato religioso. Il ciclo di crescita del grano, fonte di vita, era paragonato al ciclo religioso della vita di un cristiano. Cristo partecipa quindi tramite questo riferimento cromatico alla vita quotidiana dei contadini. I colori utilizzati da Paul Gauguin per Il Cristo giallo hanno un debole riferimento con la realtà. Sono infatti colori simbolici utilizzati per rappresentare lo stato d’animo dell’artista più che per descrivere obiettivamente la realtà. Lo stesso colore del Cristo è quanto di più lontano ad un corpo crocifisso. Il giallo acceso infatti è distribuito su tutta la pelle e si estende abbondantemente nel paesaggio sui campi e sulle colline. Le chiome degli alberi sono color arancione e solo qualche porzione di collina è colorata di verde. Le donne indossano il costume tradizionale, nero, bianco e dai grembiuli colorati. Gauguin non costruisce la scena utilizzando il chiaroscuro e quindi un’illuminazione realistica. Le figure e le varie parti del paesaggio sono rivelate attraverso contrasti di colore e linee di contorno. Sui corpi delle donne, soprattutto in primo piano, rimane qualche accenno a zone di ombra e di luce che sembra provenire da destra. Le figure delle tre contadine creano la dimensione dello spazio nel primo piano grazie alla prospettiva di grandezza. Inoltre la sensazione di profondità è sottolineata dalla sovrapposizione dei loro corpi che rinforza la comprensione delle dimensioni spaziali. Il resto del paesaggio contribuisce a descrivere lo spazio in lontananza anche grazie alla progressiva riduzione delle dimensioni degli alberi. Paul Gauguin in questo dipinto rifiuta la prospettiva geometrica. Si tratta infatti di uno strumento lontano dalle esigenze dell’artista di creare arte primitiva, utile a descrivere le tradizioni popolari. Il crocifisso occupa quasi interamente il formato verticale dell’opera. Risulta però leggermente spostato verso sinistra e quindi non rigidamente posto sulla verticale centrale. La composizione è ordinata sulla diagonale obliqua che sale da sinistra. In prossimità di questo angolo infatti è dipinto il gruppo di donne. Lo sguardo tende così a risalire lungo il corpo di Cristo e da qui a spostarsi verso il braccio sinistro posto a destra del dipinto. La disposizione delle donne in basso crea una curva ricorsiva mentre gli alberi in secondo piano scandiscono ordinatamente lo spazio traversando in obliquo e in profondità il dipinto. Il paesaggio, infine, è scandito in profondità con fasce cromatiche a partire dal prato in primo piano. Dopo il muretto che traversa il piano pittorico si susseguono il prato giallo, le colline e il cielo. Anche l’uso della luce contribuisce ad accentuare l’espressività dell’opera: infatti, essa colpisce l’uomo urlante di fronte e in maniera violenta, come un flash, e conferisce all’evento rappresentato un senso di immediatezza. Né uomo né donna, esso incarna l’essenza stessa dell’umanità sofferente e insicura. Alla fine, altri non è che l’artista medesimo, che si presenta a noi con un tragico autoritratto dai valori fortemente simbolici. È lo stesso Munch a identificarsi con il personaggio urlante. il soggetto dell’opera, cioè Munch, griderebbe nel vano tentativo di sovrastare un rumore assordante, appunto l’urlo della natura che da veggente riesce a sentire ma che non può sopportare. I due personaggi a sinistra, che continuano a camminare, inconsapevoli o indifferenti alla disperazione del protagonista, sono invece metafora della falsità che regola i rapporti umani. LA DANZA (MATISSE) La danza, capolavoro del 1909, esprime in modo esemplare sia la sua poetica sia il suo stile. Di questo soggetto esistono due versioni: infatti, all’inizio del 1909, mentre Matisse lavorava al dipinto (oggi conservato al MoMA di New York), Ščukin, importantissimo collezionista russo, gliene chiese una copia per la sua villa di Mosca. La seconda versione, oggi all’Ermitage di San Pietroburgo, è quasi identica ma presenta, rispetto alla precedente, un carattere appena più dinamico e colori leggermente differenti. Nel 1910 Matisse dipinse, sempre per Ščukin, anche La musica. La danza è una versione in chiave espressionista di un antico tema bacchico e pastorale, costruito sul motivo del girotondo danzante. La scena si svolge di notte, su una verde collina e contro un fondo azzurro. Cinque figure nude e quasi asessuate (ma nella prima versione sono chiaramente cinque donne), allacciano le loro mani e ballano con movimenti ampi e vitali. Stilisticamente, l’opera sembra assommare in sé tutte le caratteristiche della grande pittura europea di fine Ottocento.Il verde, che occupa la parte inferiore del quadro, rappresenterebbe un prato ma in realtà simboleggia tutta la Terra, come conferma la curvatura sferica di questa superficie. Il blu nella parte superiore sarebbe il cielo, laddove il tono intenso di questo colore richiama piuttosto l’idea dell’universo intero. La silhouette delle donne è non solo fortemente semplificata ma anche allungata e deformata sebbene l’artista non abbia rinunciato del tutto alla resa anatomica dei corpi. Si noti che il magico girotondo femminile è aperto: infatti, le mani delle due figure in primo piano si toccano appena, creando una frattura nel movimento. Matisse adottò questa soluzione per rendere più dinamica la composizione: la donna vista di spalle è costretta ad allungarsi in uno slancio violento per raggiungere quella alla sua sinistra, quel protendersi l’una verso l’altra, quel cercare la mano della compagna testimoniano, con efficacissima immediatezza, la tenace volontà di restare unite. Con il suo tipico linguaggio essenziale e sintetico, Matisse non descrisse una scena: raccontò, caso mai, la continuità della vita, il suo continuo rinnovarsi, il suo rigenerarsi. All’artista non interessava raffigurare ma solo esprimere. La danza è, insomma, la visione simbolica di un abbraccio universale, l’espressione di un ideale di armonia e di felicità, la personificazione di una umanità bella, che nella ricerca di amicizia costruisce e non distrugge. GIOCATORI DI CARTE (CEZANNE) I giocatori di carte è il titolo con cui è conosciuto ognuno di un gruppo di cinque dipinti dedicati dal pittore Paul Cézanne (1839-1906) al medesimo soggetto. Questi quadri vennero tutti realizzati ad Aix-en-Provence, in Provenza, tra il 1890 e il 1895, durante il cosiddetto periodo sintetico dell’artista. Quattro versioni sono oggi conservate in diversi musei, a Londra, New York e Parigi. Una, la terza per l’esattezza, è stata acquistata nel 2011 da un collezionista del Qatar, per la cifra record di 250 milioni di dollari. Oggi ne vale oltre 267. Un gruppo di avventori gioca in un’osteria di paese. Si tratta di contadini che il pittore era solito osservare nella tenuta paterna, nei pressi di Aix. Gli uomini sono seduti a un tavolo posto in prossimità di una parete. La composizione del gruppo comprende soltanto il tavolo e i giocatori; l’ambiente intorno è trattato sommariamente, con pochi oggetti appesi al muro nelle prime due versioni e successivamente con uno specchio che sembra far parte della boiserie in legno del locale. Niente dell’atteggiamento di quegli uomini, che sono come raggelati, lascia trasparire qualcosa della loro intima natura. Nelle ultime tre versioni, essi sono seduti secondo una struttura piramidale, con le braccia piegate a formare degli angoli acuti sopra la tavola orizzontale; persino i volti appaiono angolosi. Nella quinta versione, le figure dei due avventori sono costruite con accordi cromatici, tendenti al giallo-bruno nel giocatore di destra e al blu-violetto in quello di sinistra, mentre la massa della tovaglia rossa e la bottiglia al centro, perno della composizione, da un lato dividono i due giocatori e dall’altro contribuiscono a farli percepire come puri volumi. Cézanne ha in tal modo isolato la geometria dei corpi e dei vestiti: il cappello del giocatore di destra è una calotta sferica, il cappello del giocatore di sinistra è un cilindro sormontato da un’altra calotta, le maniche sono cilindriche e troncoconiche. Il tavolino è ridotto a un semplice sistema trilitico, la rigida tovaglia sembra definita attraverso superfici geometriche semplici. Cézanne, a differenza dei suoi colleghi impressionisti, non intende descrivere un episodio ma creare una forma: non vuole rendere un’impressione ma produrre una sintesi della scena, destinata a permanere nella mente, quasi pietrificata dall’azione del ricordo. scultura. Da questa fase a Parigi e in tutte le capitali dell’avanguardia internazionale, si diffuse la rivoluzione formale del Cubismo. il Cubismo Sintetico, in cui la figura, ancora percepibile nella sua forma, ma si perde l'unità prospettica e temporale, di cui è manifesto Les Demoiselles d'Avignon; il Cubismo Analitico, in cui la scomposizione e la frammentazione del soggetto raggiungono conseguenze estreme, come nel Ritratto di Ambrose Vollard. PICASSO IN BLU E LA ROSA Nel 1901, Casagemas (suo amico fraterno) si suicidò per una delusione d’amore; questa tragedia turbò profondamente Picasso e segnò per lungo tempo la sua arte. Il periodo blu Ossessionato per la perdita dell’amico, Picasso iniziò ad esprimere con uno stile personale molto vicino al Simbolismo la propria visione drammatica e dolente della vita quotidiana, testimoniata magnificamente dal suo Autoritratto con cappotto del 1901-2. Il quadro ci mostra l’artista appena ventenne ma con i tratti del volto segnati dalla magrezza e dalla malinconia, precocemente invecchiato, come se fosse stato prematuramente segnato dall’esperienza. I dipinti di Picasso di questa fase presentano un fondo unito e una forte semplificazione formale; l’artista vi ridusse al minimo gli elementi decorativi e in seguito persino le linee e i volumi. Dipinse unicamente scegliendo le diverse sfumature del blu; un blu dal valore fortemente simbolico, quasi un valore aggiunto al soggetto dichiarato. Il periodo rosa L’incontro con Fernande Olivier, una ragazza di cui poco tempo dopo Picasso s’innamorò, permise all’artista di superare quel difficile momento e di iniziare una nuova stagione artistica. Il pittore dipinse molti ritratti della donna ed esaurì progressivamente il suo periodo blu, passando (attraverso una serie di fasi intermedie) all’introduzione del rosa, del beige e del rosso. Durante questo nuovo periodo denominato rosa, Picasso espresse una visione in qualche modo più ottimista del mondo, tuttavia non ancora libera dall’aura malinconica del vicino passato. Nonostante il tema dichiaratamente giocoso, i protagonisti delle sue tele mantengono tuttavia gli sguardi assenti; i loro occhi fissi e persi nel vuoto esprimono ancora un senso di profonda solitudine; appaiono come svuotati di energia, privati della loro forza. Le opere del periodo rosa sono cariche d’infinita malinconia e perfino le tinte pastello adottate da Picasso sono tristi quanto i personaggi che l’artista mette in scena. Dal 1905, il pittore abbandonò questo universo fragile e disingannato, per connotare il tema della solitudine di altre sfaccettature, interessandosi a figure in genere nude e del tutto isolate. L’artista si avviava alla conclusione del suo periodo rosa per approdare, nel giro di pochi mesi, alla creazione rivoluzionaria del Cubismo. DEMOISELLES D’AVIGNON (PICASSO) Tra la fine del 1906 e il luglio del 1907, a Montmartre, dipinse Les demoiselles d’Avignon, in italiano ‘Le signorine di Avignone’ (dal nome di via Avignone, una strada malfamata di Barcellona). Ideato in origine con un significato erotico-allegorico (il suo titolo originario era Il bordello filosofico), e preceduto da numerosissimi studi e abbozzi, il dipinto segna, convenzionalmente, l’esordio del Cubismo. Uno schizzo dell’artista testimonia che inizialmente Picasso pensava di raffigurare sette figure, ossia cinque prostitute e due uomini (un marinaio e uno studente), raggruppate all’interno di un bordello e con una natura morta in primo piano. In un secondo tempo, l’artista decise di eliminare gli uomini. Nell’opera definitiva, la composizione richiama la tipica frontalità della posa fotografica; anche le scelte cromatiche sono una libera interpretazione del bianco e nero, che all’epoca caratterizzava tutte le fotografie. Cinque nudi di donna dalle forme essenziali sono composti con linee angolose e taglienti.La figura di sinistra, che avanza scostando con la mano una tenda rossa, rimanda palesemente all’arte egizia.Le due figure centrali hanno invece una impronta più classicistica, giacché la posa con le braccia alzate e raccolte dietro il capo richiama il Prigione morente di Michelangelo e alcune figure femminili del pittore neoclassico Ingres.In primo piano, in basso, si scorge un tavolino su cui è posata una essenziale natura morta. L’artista non era interessato a rendere il senso dei volumi e quindi non elaborò alcuna ombreggiatura né chiaroscuri. Inoltre, spinto da un desiderio di semplificazione estrema, adottò solo due colori, proponendo semplici variazioni dell’ocra e del blu. Ultimato il dipinto, Picasso intervenne sulle figure già completate: ritoccò la testa della figura di sinistra, conferendole l’aspetto di una maschera, e ridipinse i corpi e i volti delle figuredi destra. Il volto della donna in piedi a destra presenta la tipica deformazione grottesca delle maschere africane(L’artista riteneva che le maschere ritualistiche di legno possedessero proprio ciò che l’arte europea sembrava aver smarrito: una grande forza espressiva, ottenuta attraverso un’estrema stilizzazione e una tecnica semplice e immediata. ) La prostituta accovacciata, con le gambe oscenamente aperte, infrange tutti i canoni della prospettiva rinascimentale: pur essendo ripresa di spalle, mostra il volto allo spettatore. L’artista propone, insomma, una rappresentazione “totale” di questa donna, mostrandone contemporaneamente la parte posteriore e quella frontale. Quest’opera di Picasso costituisce davvero uno spartiacque nella storia dell’arte novecentesca. Alla sua conclusione lasciò sconcertati tutti quelli che la videro, anche gli amici dell’artista più aperti e culturalmente disinvolti, e venne subito giudicata “immorale”. Non a caso, l’artista la tenne nel suo studio fino al 1916. Nel 1920 fu acquistata da un collezionista francese e, nel 1937, dal Museum of Modern Art (MoMA) di New York. LA GUERNICA Guernica, il più celebre capolavoro di Pablo Picasso (1881-1973), fu dipinto nel 1937. Il titolo dell’opera deriva dal nome dell’omonima cittadina basca, che il 26 aprile del 1937 fu bombardata e rasa al suolo dall’aviazione nazista, intervenuta a sostegno del dittatore spagnolo Francisco Franco; un’operazione che uccise centinaia di civili, tra cui donne e bambini. Il centro del paese era, infatti, pieno di gente perché quello era un giorno di mercato. Un massacro ingiustificato, un puro atto intimidatorio, di cinica violenza. La strage suscitò enorme sdegno presso l’opinione pubblica mondiale. Proprio in quell’anno, nel 1937, si era aperta a Parigi, in un’atmosfera tesa e politicamente instabile, la grande Esposizione Internazionale. Picasso aveva già accettato l’incarico di realizzare un dipinto murale per il padiglione spagnolo, voluto dal governo repubblicano impegnato nella guerra civile. Quando si diffusero la notizia del bombardamento e, soprattutto, le prime drammatiche fotografie del massacro, l’artista decise di cambiare il soggetto dell’opera. Così dipinse la tela di Guernica, con un febbrile lavoro durato poche settimane, facendo precedere la versione definitiva da un centinaio di studi preparatori (dei quali solo quarantacinque si sono conservati) e da ben sei versioni consecutive. La scena di Guernica si svolge al buio, in uno spazio che percepiamo aperto, forse la piazza della città circondata da edifici in fiamme. Leggendo il quadro da sinistra verso destra scorgiamo una donna disperata con il bambino morto fra le braccia,
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