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Arte delle città, arte delle corti, Sintesi del corso di Storia dell'arte medievale

Riassunto da Enrico Castelnuovo "arte delle città, arte delle corti"

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Scarica Arte delle città, arte delle corti e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'arte medievale solo su Docsity! ARTE DELLE CITTA', ARTE DELLE CORTI CAPITOLO I: OPUS FRANCIGENUM Nel corso del XII secolo l’aspetto artistico dei paesaggi in Italia cambiò a seguito di molti avvenimenti, ed è proprio in questo momento storico che Vasari fa iniziare la cronologia della sua opera ‘’Le Vite’’. Ormai è risaputo che Vasari non amasse moltissimo la stagione artistica medioevale, i cui esiti furono considerati goffi e mostruosi; i giudizi di Vasari sul Duecento ci fanno capire il divario che egli avvertisse nei confronti di quell’arte e quelle tecniche, tale da esprimere disprezzo per quegli aspetti formali ed espressioni artistiche considerate estranee dalla tradizione italiana, nella fattispecie, quella toscana, in quanto Vasari esprime apertamente (nella biografia del Pontormo) questa sua visione toscanocentrica. Il XIII è un secolo importante, poiché vedrà il diffondersi in Europa di un nuovo modo di costruire, quello che noi etichettiamo come gotico, ma che al tempo veniva segnato come OPUS FRANCIGENUM. Ai tempi il termine, quanto la concezione, di stile non esisteva, ma al suo posto si utilizzava opus accompagnato da un aggettivo circa la collocazione geografica, denominando così come originale la produzione locale (es. opus lemovicense, legato alla produzione di smalti di Limonges). Quindi opus francigenum è il termine coniato per denominare una nuova tipologia architettonica che prevedeva alcuni elementi caratteristici, ossia:  arco a sesto acuto;  archi rampanti;  volta a crociera;  distribuzione dei pesi;  svuotamento delle pareti; Questi elementi trovano riscontro nelle architetture realizzate in Francia, nella regione parigina dell’Ile-de- France; per quanto riguarda la produzione artistica legata alla pittura e la scultura, non possiamo esattamente parlare di una stagione gotica vera e propria come per l’architettura, ma sappiamo che in molti casi in pittura ci si affidava al verticalismo gotico (Gotico Internazionale), mentre in scultura, artisti come Benedetto Antelami, partecipano al nuovo senso dell’ordine che marca la produzione artistica gotica. Grodecki si pone, appunto, il problema di come definire la scultura romanica da quella gotica; lo stile gotico è dato dalla progettazione e dal disegno. Architetti e capomastri dei grandi cantieri di chiese proponevano, tramite il disegno, delle soluzioni agli scultori e ai masti vetrai; in virtù di questo distacco tra le arti, gli storici dell’arte utilizzano il termine gotico non solo in presenza di un certo sistema architettonico, ma anche per indicare un modo di strutturare e definire le forme e formule nuove che si manifesteranno in nuovo naturalismo. Questa lontananza dal romanico giustifica quindi l’introduzione di questa nuova classificazione artistica, con annessa nuova denominazione, poiché, ormai, inadeguata la precedente. In Italia, l’introduzione di questo nuovo stile è legato non tanto ad una questione di renovatio stilistica, ma è da ricercare nelle motivazioni che hanno spinto artisti e committenti ad accettare l’introduzione di questi elementi prettamente nordici; mentre a Venezia e nella Sicilia normanna l’arte era orientata verso Costantinopoli, di matrice bizantina, l’architettura gotica cominciò ad espandersi in primis in Italia settentrionale. Arthur Kingsley, storico dell’arte medioevale, ha esplorato le vie dell’architettura e della scultura medioevale europea dopo l’anno Mille, vedendo nella Lombardia uno dei punti focali della nuova sperimentazione architettonica, infatti, in Lombardia, in Piemonte e in Emilia si svolgeva un lavoro in qualche modo parallelo a ciò che accadeva in Normandia e in Inghilterra; l’introduzione di un elemento, quale, il costolone era utilizzato, ad esempio in Lombardia, come elemento rafforzativo, che coprisse i punti di incontro delle crociere, giocando su un rapporto di costoloni per assottigliare la struttura e scaricare il peso. Nonostante i costoloni, altri elementi come quelli decorativi, rosoni e disegno raggiante, i profili delle finestre, risultano come elementi isolati, la cui somma non poteva costituire uno stile. Le prime strutture autentiche del gotico del Duecento, coerenti in architettura e decorazione, furono:  il Battistero di Parma, costruito nel 1196, la cui struttura ad opera di Benedetto Antelami trovava corrispondenza nella Francia del nord; elementi francesi e inglesi si trovano innestati a schemi compositivi emiliani, dando come risultato nuove forme architettoniche. Inizialmente, elementi arrivati da Francia e Inghilterra spesso vengono utilizzati in modo non coerente, cioè non seguendo la logica dell’edificio, successivamente saranno adeguati, ma in Italia non ci sarà mai una struttura che possa dirsi totalmente gotica, come l’abbazia di Westminster.  La nuova chiesa di San Francesco d’Assisi fu fondata da Gregorio IX nel 1228 (consacrata da Innocenzo IV nel 1253), fu costruita su modello occidentale, presentando degli aspetti spiccatamente nordici. Il suo aspetto gotico, anche se molto provinciale, non appartiene al suo aspetto originale: gli archi rampanti sono assai bassi, i contrafforti esterni molto massicci e arrotondati; la parete si presenta come un organismo appariscente e complesso, il cui svuotamento sarà suggerito non dall’appiattimento o dall’erosione delle strutture murarie, ma dall’illusione degli affreschi. La chiesa di san Francesco volle essere chiesa-santuario con cripta destinata alle reliquie del Santo. La basilica di Assisi è uno dei punti nodali del gotico italiano, in quanto, all’interno del cantiere si sviluppano diverse tecniche, tra cui quella delle vetrate, schermi traslucidi e policromi che rendono le chiese simili alle immagini della Gerusalemme Celeste; la caratteristica principale delle vetrate è la capacità di farsi penetrare dalla luce del sole e di mutare in tal modo in tutte le ore del giorno e con il cambiare delle stagioni e in tutte le loro variazioni climatiche, rendendo così la luce una manifestazione divina. I primi pittori a lavorare all’interno della basilica di Assisi furono certamente inglesi, ma sarà Cimabue il grande maestro e direttore del cantiere per la decorazione, e vide tra i suoi collaboratori Duccio di Buoninsegna, Maestro Isacco, nonché un giovanissimo Giotto, colui che realizzò Le Storie di San Francesco, opera che veicolò gli artisti verso Roma, favorendo la penetrazione del gotico in Italia. Federico II di Svevia fu un grandissimo committente e promotore per l’elaborazione del nuovo stile. Malgrado una resistenza molto tenace, motivata e selettiva, l’Italia intera, nella varietà dei paesaggi, accetterà l’elaborazione dell’opus francigenum. CAPITOLO II: Rappresentare ciò che esiste come è Un importante ruolo nella committenza di maestranze e modelli fu Federico II di Svevia, che ebbe prevalentemente sede al Sud Italia. L’imperatore conferì grande significato agli investimenti simbolici, proseguendo in modo da comunicare la sua strategia e il suo progetto di governo. Federico, erede svevo, dai quali non ereditò solo il nome, ma anche la grande passione per la committenza, fu un grande costruttore di chiese, monasteri, castelli, edifici sacri; egli, sentendo il peso di questa eredità, promosse una ripresa classicheggiante nella scultura monumentale, ma nonostante questo, le opere che lasciano più incertezza riguardo la vera origine, sono proprio le opere federiciane. Dietro a questa scelta di gusto c’era la volontà un’unica immagine dall’incerto spessore. Il successo e la diffusione dei prodotti senesi nelle arti santuarie si misurano anche attraverso una lettura per negativo, tramite delle resistenze manifestate dallo stile senese. Ad esempio, il fregio di bronzo dorato con fondi smaltati, inciso e niellato dall’orafo Andrea Pucci che non prende come spunto Guccio, ma Giotto, mostrando una varietas nella situazione artistica senese che ben si inserisce nella complessità e ricchezza del panorama italiano, con Pisa che aveva il monopolio delle stoffe, Bologna con la produzione dei libri illustrati. Tutto un mondo straordinariamente fertile di idee e di produzioni. CAPITOLO V: Dilettare gli occhi degli ignoranti, o compiacere allo ‘ntelletto de’ Savi: la pittura agli inizi del Trecento La penetrazione dei nuovi modi, e soprattutto la loro favorevole ricezione, avverrà nel corso della seconda metà del Duecento, portando ad una fusione di elementi diversi, di spunti naturalistici gotici e di rinnovata capacità di rappresentare lo spazio studiato e sperimentato su esempi tardo-antichi. Nel corso del tardo Duecento, nascerà tra Roma e Assisi una pittura che dominerà la scena europea, giocata attorno alle basiliche che Niccolò Orsini III voleva restituire nella loro splendida decorazione e attorno alla basilica di Assisi. Roma e Assisi furono luoghi di conflitto, anche nel campo artistico: ad Assisi, i lavori per la basilica superiore furono bruscamente interrotti; a Roma, le grandi famiglie si contendono l’egemonia francese. Apparentemente fatti disparati, ma estremamente significativi, ma da prendere allo stesso modo in considerazione per illuminare la situazione romana: il soggiorno documentato da Cimabue, gli affreschi commissionati da Niccolò III nel Palazzo del Vaticano, gli interventi papali sulle antiche basiliche, il soggiorno del giovane Giotto e Arnolfo e moltissimi altri elementi rientrano nella vicenda di una splendida ma breve stagione artistica che fu l’estate di san Martino di Roma. Roma rappresenta un luogo di importanti esperienze, specialmente i grandi restauri sulle basiliche paleocristiane, esercitando una continua influenza sul controllo dei programmi iconografici della basilica di Assisi, facendo così delle due città, i centri di elaborazione della nuova pittura, che attraverso le sue capacità di rappresentazione tridimensionale mette a punto strumenti che permetteranno di dare una nuova organizzazione al discorso figurativo. Una problematica comune sia alla scultura che alla pittura gotica, era proprio quello della rappresentazione dello spazio. Non c’è dubbio che sia stato Giotto a proporre un paradigma destinato a trionfare, che mostrerà Giotto agli occhi dei contemporanei, l’autore della grande mutazione artistica. Ciò che aveva prodotto ad Assisi ebbe una eco vastissima, ricevendo successivamente una moltitudine di commissioni, come quella da parte di Enrico Scrovegni a Padova. Dopo la celebre citazione di Dante, anche Boccaccio si dedica alla letteratura artistica, citando Giotto in un’intera novella del Decameron; Petrarca si esprime analogamente lasciando nel suo testamento una tavola dell’artista, notando che la bellezza di essa non può essere compresa dagli occhi degli ignoranti e faceva stupire i maestri, attivando anche il primordiale processo di legittimazione dell’artista e della sua attività; inoltre questa discriminazione tra dotti e ignoranti tra il pubblico, servirà come strumento accanto ad un’altra distinzione, ossia, quella tra antiqui et moderni, assumendo diverse valenze e significati negli anni. Le arti figurative si avvicineranno alla dignità delle arti liberali dopo un lungo percorso di auto- legittimazione portato avanti specialmente tramite le firme, intese come atto intellettuale e non meccanico. Durante tutto il Medioevo, Vitruvio fu letto e conosciuto, e voleva che l’architetto fosse onorato come DOCTUS, infatti molti artisti seguirono questa strada. Con Giotto la pittura vede superate quelle distanze e abbattuta quella separatezza rispetto alle altre tecniche, trovando in lui un pittore in grado di dominare un cantiere. Giotto diviene subito una figura leggendaria, mostrando un itinerario inconsueto, manifestando eccezionali capacità innovative; la sua strada è ricca di svolte e percorsa con una tale velocità che anche i seguaci più stretti non riusciranno a tenergli passo; essi prenderanno il nome di GIOTTESCHI, e conserveranno sempre il segno della loro formazione. Giotto risulterà così innovativo su molti terreni, le sue opere riescono a rendere desueti una moltitudine di schemi e formule convenzionali. La ricchezza della pittura trecentesca in Italia viaggia in concomitanza con un arricchimento delle funzioni della pittura in se, e dello straordinario successo di alcune tecniche come l’affresco, e lo sviluppo del polittico. Siena rappresenta bene questo dinamismo innovativo: non è il luogo di nascita di queste innovazioni, ma qui, pur con qualche resistenza, esse sono state tempestivamente accettate, in quanto Siena era un luogo d’arte. La stessa Firenze apre le porte alla pittura senese: i pittori erano attenti a ciò che facevano gli orafi, gli scultori invece dimostrano di aver osservato attentamente il lavoro. Questo scambio interno diede come risultato l’elaborazione di un linguaggio artistico aperto in molte direzioni, capace di coniugare le novità giottesche nel campo della rappresentazione spaziale con eleganza con la linea dinamica e l’espressività della tradizione gotica. Siena divenne luogo centrale per la produzione artistica, le cui botteghe erano in grado di rispondere alle richieste più diverse; gli artisti senesi selezionano le proposte e le invenzioni da portare a Firenze, mentre trattengono alcune fino a svilupparle a livelli altissimi. La pittura a Siena assume, tramite Giotto, una funzione cognitiva, diventando strumento di conoscenza della realtà, ad esempio la conoscenza della pittura metereologica. Siena, dunque, diviene capitale dell’affresco che trasforma le cappelle, i cori, le navate delle chiese, le sale e le mura esterne degli edifici comunali. La pittura profana, emersa lentamente nel corso del Duecento, si intreccia con i temi religiosi. La Vergine nella sala del Mappamondo di Simone Martini, seduta su un trono traforato, ammonisce e dialoga con i suoi sudditi che si riuniscono davanti a lei e sotto la sua tutela. Ragioni politiche spingono ad un impegno della pittura che, con i suoi rinnovati strumenti di rappresentazione e le sue nuove potenzialità, si presta ad evocare la città, le vittorie, anche tramite l’allegoria politica. Assieme all’affresco, nel corso del Trecento, si sviluppa il polittico, ossia costruzioni complesse che sono autentici luoghi di sperimentazione delle tecniche, dove si fondono iconicità e rappresentazione. Esso è formato da più tavole dipinte, assumendo un’autentica struttura architettonica. Il numero e i tipi di elementi vanno a modificarsi ed incrementarsi nel tempo, fino a comporre veri e propri programmi iconografici che coinvolgono entrambe le facce della tavola, ad esempio il polittico della Maestà di Duccio; l’elevazione del polittico può mutare, si può avere una predella con singoli personaggi, oppure scene narrative. Al giorno d’oggi è raro trovare un polittico integro, che non abbia subito smembramenti, dispersioni o interpolazioni. Nel corso del Settecento si sviluppa un interesse per i primitivi, molti religiosi e molti enti ecclesiastici cercano di disfarsi dei polittici antichi rivendendoli ai collezionisti che si affrettano a separarne le parti; in questo modo le tavole sono pervenute come frammenti fluttuanti all’interno delle collezioni di vari musei. CAPITOLO VI: L’Italia fuori dall’Italia L’immagine dell’arte italiana fuori dalle mura dell’Italia può essere rappresentata da tutti gli artisti che, nel corso del Trecento proiettarono nei diversi centri Europei schemi e ricerche dell’arte italiana. Artisti romani, toscani umbri, veneti e lombardi viaggiarono ed operarono al di là delle Alpi a seguito di personaggi facoltosi e importanti che ebbero modo di scoprire, nel corso dei loro spostamenti, la qualità della produzione artistica italiana, stimolando così il dilagare di queste esperienze nei loro paesi tramite una rinnovata rete di committenze. L’abate di Westminster, nel 1200, dopo due anni a Roma, riporta nella sua abbazia la sfarzosità e i materiali italiani; il re d’Inghilterra Enrico III si fa accompagnare nelle iscrizioni pavimentali dell’abbazia al nome dell’artista romano, ODERICUS. Formule e schemi del repertorio romano entrano così in Inghilterra, influenzando il gusto locale. Echi italiani sono stati avvertiti anche nell’utilizzazione dei vetri dipinti, simili a quelli del pulpito di Pistoia, e imitazioni di cammei. Rilevante fu soprattutto il modo di concepire e realizzare la adesso la pittura tramite le tecniche sperimentate in Italia alla fine del XIII secolo. Le problematiche nella rappresentazione dello spazio erano molto sentite nell’Europa del Nord, sia in pittura che in scultura. Nel 1298 Filippo il Bello invia in Italia, dalla Francia, il suo pittore, Etienne d’Auxerre; nel 1318 Duccio da Siena (non di Buoninsegna) è attivo ad Avignone, i documenti confermano l’invio di maestranze romane presso il re francese. La Francia meridionale è ricca di artisti italiani, attivi nelle due cappelle della cattedrale di Bèziers, quella di santo Spirito e quella di Santo Stefano, nella realizzazione di affreschi, sotto la commissione del vescovo della città. A partire dal 1320-30 il fenomeno dell’influenza italiana diviene più generale e se ne precisano i poli di irraggiamento. La figura dominante a Parigi è Jean Pucelle, interprete della nuova pittura; disceso in Toscana apprende l’elaborazione dei nuovi modi della realizzazione dello spazio. Quasi a siglare i suoi italianismi, Pucelle realizza rappresentazioni di castelli e architetture chiaramente toscane. Si parla quindi di un’accettazione lenta e progressiva della pittura italiana presso la corte francese di Filippo il Bello; analoga la situazione riguardo le vetrate, andate però perdute nel corso del XIV secolo. Il nome di Pucelle sarà ancora ricordato in inventari del Quattrocento; molto gli si deve grazie alla ripresa degli elementi italiani, nel secondo Trecento, in Francia si svilupperà una pittura in grado di integrare formule italiane della rappresentazione dello spazio, nelle vetrate la lezione fu subito compresa, mentre nelle tavole abbondano le imitazioni giottesche. In Austria, i duchi favorirono l’ingresso del gusto italianeggiante che si manifesta in molti modi e molte tecniche, specialmente nelle miniature. Altro punto focale è Strasburgo, con la sua cattedrale dalle imponenti vetrate. Lo stabilirsi dei papi ad Avignone portarono le maestranze italiane a lavorare in Francia per decorare la nuova residenza. L’istituzione della neo-città papale come centro artistico di rilevanza europea e la diffusione della pittura senese, costituirà un autentico salto di qualità: furono necessari notevoli investimenti artistici, nella costruzione e anche nella decorazione di nuovi edifici, chiese, cappelle in città e anche nei dintorni. L’arrivo di Simone Martini e della sua famiglia ad Avignone ebbe conseguenze molto importanti a partire dal 1336; la pittura avignonese in questo periodo assunse grande importanza, questo fu dovuto all’avidità di ricerca dell’eleganza cortese e una nuova committenza che non mancò di provocare delle reazioni assai significative. Il ritratto, come esaltazione personale e fisionomica, nasce proprio ad Avignone, distaccandosi dall’idea di ritratto funebre, però l’assenza di fondamentali cardini artistici fece si che questa pittura non venne portata avanti e sviluppata, come successe poi in Italia. Si costruì un autentico museo avignonese di opere che avevano la funzione di exempla.
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