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Arte delle città, arte delle corti di Enrico Castelnuovo, Sintesi del corso di Storia Dell'arte

Riassunto del libro “Arte delle città, arte delle corti. Tra il XII e il XIV secolo.” di Enrico Castelnuovo. Capitoli affrontati: Opus francigenum; <<Rappresentare ciò che esiste come è>>; <<Per man di quei che me’ intagliasse in pietra>>; Turiboli a forma di edifici ed edifici a forma di turiboli: arti suntuarie e microtecniche; <<Dilettare agli occhi degli ignoranti>> o <<compiacere allo ’ntelletto de’ Savi>>: la pittura agli inizi del Trecento; L’Italia fuori dall’Italia.

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Arte delle città, arte delle corti di Enrico Castelnuovo e più Sintesi del corso in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! ARTE DELLE CITTA’, ARTE DELLE CORTI – Tra XII e XIV secolo Capitoli: I. Opus francigenum II. <<Rappresentare ciò che esiste come è>> III. <<Per man di quei che me’ intagliasse in pietra>> IV. Turiboli a forma di edifici ed edifici a forma di turiboli: arti suntuarie e microtecniche V. <<Dilettare agli occhi degli ignoranti>> o <<compiacere allo ’ntelletto de’ Savi>>: la pittura agli inizi del Trecento VI. L’Italia fuori dall’Italia Sintesi: I. Nel corso del Duecento, già a partire dalla fine del XII sec., avvenimenti nuovi e diversi iniziarono a modificare l’aspetto artistico italiano. Infatti Giorgio Vasari fa iniziare in questo momento le sue “Vite”, partendo dal 1250. Non amava la produzione artistica medievale, ma apprezzava solo quella maggiormente classicheggiante e quando gli sembrò che stava per nascere una nuova visione artistica che avrebbe abbandonato la scultura e pittura mostruosa, si affermò la nuova architettura gotica, che sarà oggetto delle sue polemiche, del tutto condizionate e contradittorie. Secondo l’ottica di Vasari, formata sull’idea che l’arte italiana fosse dominante in Europa, comportava una coscienza della sua superiorità e un certo disprezzo per gli aspetti formali di altre espressioni artistiche considerate estranee alla tradizione italiana. Vasari immagina un italo centrismo o meglio una centralità della Toscana già per il periodo in cui le sue “Vite” hanno inizio (1250) Æ Ciò che gli sembra poter entrare nella tradizione è accettato ed esaltato, il resto respinto. Nel XIII in gran parte d’Europa si diffuse un nuovo modo di costruire, noi lo chiamiamo “gotico” all’epoca veniva chiamato “opus francigenum”. Opus + aggettivo (specifica la locazione) Æ serviva per indicare i prodotti di una certa tecnica originaria di luoghi particolari o in essi praticata. Es: - opus francigenum: un certo modo di costruire di origine francese, più precisamente nella regione parigina dell’Ile-de-France. - opus atrebatense: da Arras, riferito alle tappezzerie. - opus anglicanum: riferito ai ricami inglesi Æ largamente diffusi in Europa e che contribuirono alla conoscenza e alla diffusione del disegno gotico. - opus lemovicense: da Limoges, riferito agli smalti. Si doveva sviluppare la coscienza che un certo modo di costruire avesse un’origine, ovvero in Francia nella regione parigina, e che si distinguesse un modo di costruire da un altro, che si chiamasse francigenum quel modo che più tardi e in un altro luogo si chiamerà “tedesco” e quindi “gotico”. Questo modo di classificare diviene una vera e propria categoria che finiamo per utilizzare anche quando riteniamo insoddisfacente la formulazione, il che fa sì che si accetti come cosa ovvia l’esistenza di un’architettura, di una scultura e di una pittura gotiche. La realtà è più complessa. Perché non si può semplificare in un’unità un percorso di varie tecniche con diversità cronologiche di una certa epoca, ma anche quando tutto sembra procedere sincronicamente è difficile e artificioso identificare dei minimi comuni denominatori egualmente presenti nei prodotti di varie tecniche e identificabili da punto di vista formale. Quindi se si definisce in una certa maniera l’architettura gotica, non si può definire ugual modo la pittura e scultura, ma si può vedere una certa influenza nelle varie tecniche. Esempio: il verticalismo dell’architettura paragonato alle figure allungate in pittura. Un carattere unificante nello stile gotico è dato dal metodo progettuale Æ Il disegno. Siccome il “gotico” è il termine che gli storici dell’arte usano non solo in presenza di un certo sistema architettonico, ma anche per di un certo modo di strutturare e di definire le forme; sarà opportuno usarlo a condizione di rispettare il carattere convenzionale, anche se si vengono così ad accumunare fenomeni diversi. Quindi accettare questo termine non significa dare per risolti i problemi di classificazione, che comunque rimangono aperti. Gli elementi gotici entrano in Italia in modi differenti: - Furono profondamente intrecciati a quelli bizantini, come nel caso dei dipinti murali frammentati attribuiti al Maestro di San Francesco o come in tanti casi romani, bolognesi, meridionali attorno la corte sveva, siciliani. *(stile zig zag) - Attraverso le congregazioni degli ordini religiosi nuovi o riformati. Avevano le loro origini o i loro punti di forza sui territori capetingi: i cluniacensi, i canonici agostiniani, i cistercensi, più tardi i francescani e i domenicani Æ adozione di nuove forme per edificare i loro edifici - Corte degli ultimi Svevi: Federico II, Manfredi. Fu l’architettura la prima tecnica “gotica” a diffondersi in Italia, pur incontrando delle resistenze importanti. Gli elementi gotici arrivano precocemente e vi vengono utilizzati in modo non sempre coerente o non coerente con la logica costruttiva dell’edificio gotico. Inoltre verranno adeguati o accordati alle tradizioni locali. Una resistenza tanto forte e continua deriva da elementi culturali e politici, ma anche a sistemi di gerarchie e valori. II. Ruolo importante per l’introduzione delle maestranze e dei modelli del Nord fu svolta dalla corte di Federico II Æ prevalentemente nel meridione. Attraverso le opere che commissionava vuole comunicare e costruire una certa immagine di sé, della sua missione, della sua visione del mondo, del su progetto di governo Federico fu uno straordinario costruttore di chiese, fondatore di città e progetto molti castelliÆ appoggiandosi in questa sua attività edificatoria all’ordine cistercense. Federico inoltre stimolò il costruirsi di gruppi scultori, appoggio la rinascita delle forme classiche, la riscoperta e l’utilizzazione di modelli antichi. Federico II erede degli imperatori svevi e dei re normanni, fu influenzato dalla loro suntuosa committenza artistica. Lui però non voleva emulare il fasto dei re sassanidi, dei califfi o degli imperatori bizantini, ma voleva confrontarsi con l’antico impero romano Æ matrice e modello degli imperi che si erano susseguiti. Riprende la tradizione classica sia per un programma politico, la restaurazione dell’impero con un preciso programma, e sia per volontà di rappresentare la realtà dei contenuti. La combinazione di queste due esigenze, trova nelle immagini una forma di divulgazione e di legittimazione, portò Federico II ad utilizzare la propria effigie. La figura di Federico II è molto importante per la nascita del ritratto. Il ritrattoÆ la scomparsa di questo genere era stata la manifestazione di un atteggiamento generale nei confronti dell’individuo che portò anche al tramonto del genere letterario. Ora invece con l’utilizzazione del ritratto della propria immagine unita agli interessi naturalistici e la volontà di vedere rappresentata la realtà così come è, segna un mutamento importantissimo verso l’individuo, un passo importante per la nascita del ritratto moderno. L’architettura di Federico secondo riprende gli elementi gotici, senza entrare in contraddizione con gli elementi classicheggianti. Infatti vi è un connubio significativo tra le forme gotiche del Nord, quelle più conservatrici dell’impero germanico e quelle classiche. Lo stile di Guccio di Mannaia (espressività e drammaticità) influenza la più giovane generazione degli orafi senesi, quella di Tondino di Guerrino e di Andrea Riguardi e verrà ad essere una componente presente nello stile di Simone e di Pietro Lorenzetti. Si può addirittura considerare che il gotico espressivo di Guccio abbia rappresentato una carta vincente per l’espansione dell’arte senese. Lo smalto traslucido acquisterà un vasto prestigio e una grandissima fortuna. Questa pittura fatta da materiale eletto, duro e colorato come le gemme, lascia intravedere il rilievo intagliato sulla placca d’argento per comporre un’unica immagine dell’incerto spessore. Nei micromonumeti degli orafi il suo prestigioso e il suo ruolo possono essere simili a quelli delle vetrate, con in più qualcosa di prezioso e di sofisticato. Le influenze francesi giunte a Guccio di Mannaia arrivarono a Siena attraverso i testi illustrati del tempo di San Luigi. *(arti minori) V. In Itali i tempi della pittura (pittura su tavola o grandi cicli murari) non coincidono con quelli dell’architettura e della scultura. La penetrazione dei nuovi modi in pittura avviene nel corso della seconda metà del Duecento e avrà straordinarie conseguenze Æ porterà la fusone di elementi diversi, di spunti naturalistici gotici e di una rinnovata capacità di rappresentare lo spazio studiato e rappresentato su esempi tardo-antichi. Nasce così, nell’ultimo quarto del Duecento, tra Roma e Assisi una pittura che dominerà la scena europea. C’è da dire però che negli ultimi decenni del Duecento Assisi e Roma furono luoghi di conflitti e di contrasti che si estendono anche al campo artistico. Ad Assisi fu la lunga contesa tra conventuali e spirituali, tra sfarzo e austerità (riprendeva la polemica tra cistercensi e i benedettini), a segnare la fine e la ripresa delle decorazioni della Chiesa Superiore; furono gli interventi della curia, il succedersi dei padri generali e dei cardinali protettori. A Roma furono il contendere delle grandi famiglie e le resistenze all’egemonia francese (angioini dal re Carlo d’Angiò). La resistenza agli angioini si attua con forza con il papa Niccolò III Orsini, attraverso una politica di controllo sulla città portata avanti attraverso mezzi politici, progetti edificatori e vaste imprese artistiche. La grande sfida nelle commissioni artistiche suscitata dai conflitti per il controllo sulla città e sulla chiesa, che diedero occasione ad artisti di diversa provenienza di giungere a Roma (Cimabue, Arnolfo di Cambio e Giotto), i grandi restauri delle basiliche paleocristiane, la presenza di cardinali e prelati nordici, si uniscono per fare di Roma un luogo di sperimentazione. Infatti fu Roma a esercitare una continua influenza, un controllo sui programmi iconografici della basilica di San Francesco ad Assisi, fu da Roma che l’equipe di pittori si mossero verso l’Umbria. Questo non esclude Firenze, dato i pittori fiorentini Cimabue, Arnolfo e Giotto, sono a Roma. Quindi Roma ed Assisi sono i centri di elaborazione della nuova pittura Æ attraverso le sue capacità di rappresentazione tridimensionale mette appunto degli strumenti che permetteranno di creare una nuova organizzazione al discorso figurativo, di ricercare una rappresentazione naturale non solo nei singoli elementi, ma anche nell’impaginazione dell’insieme, nella sistemazione dei rapporti tra le diverse immagini. Il problema fondamentale della pittura e della scultura gotica era stato proprio quello della rappresentazione dello spazio. È a questo punto che si avverte l’urgenza dell’innovazione, dell’introduzione di un nuovo metodo che risolvesse il problema della rappresentazione tridimensionale Æ ci pensò Giotto a portare la nuova soluzione al più alto grado di elaborazione. Giotto all’inizio del Trecento è un personaggio di spicco nel panorama artistico italiano. Il successo di Giotto, amplificato dagli echi che diffondevano e promuovevano i lavori realizzati nella basilica di Assisi, è marcato dalle commissioni che riceva da vari centri italiani: Roma (dal cardinale Stefaneschi), Padova (dai francescani e dalla famiglia Scrovegni), Rimini (dai francescani), Firenze (dalle famiglie Bardi e Peruzzi), Milano (dai Visconti) e Napoli (dal principe Carlo di Calabria). Il modo in cui il suo nome e le sue opere vengono indicati in documenti e testimonianze contemporanee è un indice della sua fama straordinaria. Esempio: un testamento del 1312 ricorda il “Crocifisso” dipinto in Santa Maria Novella dall’egregio Giotto di Bodone. Un momento importante del processo di legittimazione dell’artista e della sua attività è portata avanti nel Trecento dagli intellettuali di Firenze (Dante, Boccaccio e Petrarca), che condurrà al precoce ingresso alle arti figurative nel sistema culturale fiorentino Æ Le arti figurative si avvicineranno alla dignità delle arti liberali dopo il lungo sforzo di auto-legittimazione che gli artisti avevano portato avanti sottolineando nelle firme il carattere intellettuale/colto delle loro opere. Solo la menzione dei letterati, ovvero coloro che esercitavano attività liberali, poté però avere valore legittimante. Con Giotto la pittura vede superate le distanze rispetto alle altre tecniche che ne marcavano la condizione in Italia. Sarà possibile trovare un pittore alla testa di un grande cantiere perché ormai egli sarà in grado di dominare gli strumenti progettuali e le tecniche grafiche necessarie. Inoltre la strada di Giotto è talmente veloce che i seguaci non arrivano a seguirlo. Si hanno così i pittori “giotteschi” partiti da momenti differenti dell’itinerario di Giotto e che nei loro modi hanno sempre conservato il segno della loro formazione. Con Giotto si fa strada una coscienza di modernità che fa sentire la pittura precedente come vecchia e tramontata. Grazie agli studi compiuti di Roberto Longhi, non solo siamo in grado di ricomporre il paesaggio artistico ben complesso e strutturato, (Toscana, Emilia, Lombardia, Umbria, Marche, Veneto, Liguria, Napoli, Venezia e Sicilia), ma riusciamo anche a prendere in considerazione le fisionomie per molto tempo dimenticate degli altri centri toscani (Pistoia, Pisa, Lucca ed Arezzo). ÆUn tale policentrismo rivela la grande vitalità culturale ed economica dei singoli centri italiani nel Trecento. Questa ricchezza della pittura trecentesca in Italia è il risultato dell’arricchimento delle funzioni della pittura e dello straordinario successo di certe tecniche come l’affresco e del rinnovamento e trasformazione del quadro d’altare con lo sviluppo del polittico. Vede bene questa situazione Siena, che non è il luogo dell’innovazione, ma qui, pur con qualche resistenza, essa è tempestivamente accettata ed è questo un fatto importante; perché Siena occupava un posto importante nella mappa dei centri produttori di opere d’arte Æ Sul finire del Duecento le creazioni dei suoi orafi, dei suoi smaltisti, sono apprezzate in tutta Europa, i suoi pittori lavoreranno nel Trecento, in tutta la Toscana e in Umbria, quindi in Provenza, riuscendo a esercitare una indiscussa egemonia su molti centri attraverso l’attività in loco o con l’invio di opere. La stessa Firenze apre la pittura senese ogni sua porta. Questo mentre Siena, pur aperta a elaborare le influenze diverse, manifesta una chiusura corporativa verso gli artisti forestieri che devono pagare una tassa e sottoporsi ad altre condizioni per poter esercitare qui la loro professione. A Siena la pittura acquista una funzione cognitiva diventando strumento della conoscenza della realtà (Simone Martini prima di dipingere il castello conquistato si recava sul posto), aveva anche sviluppato la “pittura metereologica” (la tempesta che si abbatte nell’affresco di Ambrogio Lorenzetti in San Francesco a Siena), in più la pittura profana, civile emersa lentamente nel corso del Duecento, si intreccia con temi religiosi, volti a celebrare il governo dei nove (Vergine dell’affresco di Simone Martini nella Sala del Mappamondo nel palazzo Pubblico). Siena diventa la capitale dell’affresco che fa la sua entrata in contemporaneo alle innovazioni di Giotto (grandi frescanti: Simone Martini, Lippo Memmi, Barna, i due Lorenzetti, Lippo Vanni), mentre poco ci provava Duccio di Buoninsegna e i suoi seguaci che lavoravano piuttosto su tavola. Accanto all’affresco c’è la pittura su tavola. Nel Trecento prende forma e conosce un rapido sviluppo dei polittici, dove si fondono iconicità e narrazione. Formato da più tavole dipinte, prendendo forme monumentali, evoca nella carpenteria gli schemi dell’architettura gotica (diventando un’autentica struttura architettonica), spesso assicurata alla mensa dell’altare e al pavimento da contrafforti lignei. Il numero e il tipo dei suoi elementi si modifica e incrementa fino a comporre programmi iconografici complessi e in certi casi sviluppano anche il tergo (retro), quando il polittico è dipinto da entrambe le parti. Æ Si pone il problema di un doppio pubblico: i fedeli (fronte) e gli officianti (retro). Inoltre la creazione della predella permette di aumentare il numero delle immagini e di variarne i tipi, e l’elevazione del polittico può variare. È ben difficile oggi farci un’idea dell’aspetto originale, perché gradualmente il polittico trecentesco, posto sull’altere maggiore o su quello delle cappelle più importanti, venne trascurato e messo da parte, addirittura smembrato e distrutto. Più tardi, nel corso del Settecento, molti religiosi e molti enti ecclesiastici cercano di disfarsi degli antichi polittici vendendoli a collezionisti o a mercanti che ne separano le parti. VI. L’Italia fuori d’Italia è un’immagine che vuole evocare gli artisti che nel corso del Trecento proiettarono nei diversi centri d’Europa schemi, ricerche e formule dell’arte italiana. Più che il disegno a cosmatesco, i vetri, i tessuti di Lucca, le sculture fu il nuovo modo di concepire e di realizzare la pittura, di rappresentare lo spazio su una superficie bidimensionale; che finì per avere in tutta Europa grandi conseguenze. Anche perché il nuovo metodo risolveva le difficoltà di rappresentazione dello spazio che si aveva in pittura e scultura nell’Europa del Nord. Per questo motivo ebbe un lento, ma generale consenso che riscosse la nuova pittura sperimentale in Italia, conosciuta attraverso i viaggi degli artisti nell’uno e nell’atro senso. Infatti artisti romani, toscani, umbri, veneti e lombardi viaggiarono e operarono al di là delle Alpi, così come artisti di varie part d’Europa furono a Roma, Assisi, a Siena e a Firenze. A partire dal decennio 1320-1330 il fenomeno dell’influenza italiana diviene più generale e se ne precisano i poli di diffusione: - Avignone - Parigi - Strasburgo - Area austriaca AVIGNONE Æ città provenzale dove si stabilì la sede del papato in cui si ricorse per la decorazione e per legittimare la nuova residenza dei papi rispetto a quella abbandonata. Per acquistare l’aspetto di una capitale d’Europa furono necessari grandi investimenti artistici, nella costruzione, ma anche nella decorazione dei nuovi edifici. Le chiese e le cappelle si moltiplicarono e si riempirono di opere d’arte, soprattutto pitture. Guarda libro
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