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Arte e archeologia del mondo romano, Appunti di Architettura Romanica

Arte e archeologia del mondo romano di Torelli, Menichetti, Grassigli

Tipologia: Appunti

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Scarica Arte e archeologia del mondo romano e più Appunti in PDF di Architettura Romanica solo su Docsity! Arte e archeologia del mondo romano di Torelli, Menichetti, Grassigli La questione dell’arte romana: un dibattito del XX secolo La questione dell’arte romana è stata posta in chiave moderna per la prima volta ad opera di Alois Riegl e Franz Wickhoff, fondatori della cosiddetta ‘Scuola di Vienna’ (inizi del XX sec.), facendola assurgere a disciplina autonoma; la critica ufficiale, infatti, a quei tempi privilegiava manifestamente la cultura greca e in particolare il momento della sua ‘perfezione’ costituito dall’arte classica del V e IV secolo a.C., la cultura figurativa romana era, per loro, soltanto il punto d’arrivo della lunga decadenza dell’arte greca. Secondo Wickhoff, i contributi più rilevanti apportati grazie all’arte romana, sarebbero stati la ricerca della spazialità, da lui individuata negli sfondi dei rilievi storici, e l’introduzione del paesaggio nella pittura (in realtà, oggi sappiamo che sono entrambi conquiste dell’arte ellenistica). Riegl, invece, nel 1900 con il suo scritto intitolato “Industria artistica tardoromana” pone le fondamenta che permettono una lettura stilistica delle opere d’arte romane. Più tardi il recupero e la ricostruzione dell’Ara Pacis e l’allestimento della colossale Mostra Augustea della Romanità, voluta da Mussolini nel 1938 per il bimillenario della nascita di Augusto, (romanesimo sostenuto dal regime a fini puramente propagandistici), contribuirono da un lato allo sviluppo di scavi e ricerche archeologiche, dall’altro a lasciare in ombra ogni novità e le posizioni più moderne, sia nel campo della storia dell’arte sia nell’ambito della metodologia della ricerca archeologica, che fin lì si erano raggiunte. In particolare si ignorarono del tutto le conquiste delle scuole storico-artistiche austriaca e tedesca, come anche le innovazioni nelle tecniche di indagine e di scavo elaborate nel mondo anglosassone (una situazione di stallo che si protrarrà fino alla seconda metà del secolo ventesimo). Le innovative tesi affrontate dagli appartenenti alla ‘Scuola di Vienna’ vennero riprese successivamente da Ranuccio Bianchi Bandinelli (di formazione crociana). Dopo il suo libro-manifesto “Storicità dell’arte classica” (1942) approderà a posizioni più mature con : “L’arte romana al centro del potere” (1969), “La fine dell’arte antica” (1970), “Etruschi e Italici prima del dominio di Roma” (1973) e con l’ultima raccolta postuma di saggi “Dall’ellenismo al medioevo” (1978). Secondo Bandinelli l’arte romana è caratterizzata da un bipolarismo strutturale che si attua tra arte del centro (=Roma) e quella di periferia (=’arte plebea’, dei ceti subalterni). La cultura artistica della Cisalpina costituì un importante cerniera tra l’ufficialità del centro e l’arte delle province, ne fu un prolifico interprete Achille Mansuelli. All’attività di quest’ultimo, proseguita dalla sua scuola, si deve la classificazione sia delle architetture che delle produzioni di scultura decorativa e di arti minori, sollevate finalmente dalla penombra cui l’aveva condannata l’arte ufficiale promossa dalla capitale. Notevole importanza ha avuto, pure, l’indirizzo metodologico perseguito da Salvatore Settis in relazione allo studio delle iconografie e alla storia culturale. Fuori d’Italia le novità più importanti provengono dalla Germania dove a partire dagli anni ’70 si è verificata una vera e propria rinascita di studi sull’arte romana. In particolare Paul Zancher, si dedica all’arte augustea, espone il concetto di Bildprogramm (‘programma iconografico’), ovvero il progetto organico di immagini, legate al messaggio che il committente intende trasmettere con l’opera d’arte. A Klaus Fittschen si deve la sistemazione della ritrattistica romana e della classe dei sarcofagi, con l’introduzione del concetto di Bildnispropaganda, ovvero di propaganda realizzata con il ritratto. Tonio Holscher ha, invece, innovato gli studi sul rilievo storico romano, si distingue anche per il concetto di Bildsprache (linguaggio delle immagini), di cui propone un’analisi dei sistemi semantici messi in campo dall’arte romana (“Il linguaggio figurativo romano come sistema semantico” del 1987). Le nuove tendenze esposte sin qui relativamente all’Italia e alla Germania si riproducono in Francia, Inghilterra e Stati Uniti, dove però assumono le sfumature proprie delle rispettive tradizioni culturali. Ad esempio in Francia, il forte insediamento tenuto dall’antropologia nella cultura dominante, fa porre l’accento soprattutto sulla costruzione delle mentalità e sul contributo della psicologia sociale manifestato negli indirizzi all’origine dei messaggi visivi; mentre un posto speciale è occupato dagli studi di architettura romana, in particolar modo quelli fortemente innovativi di Pierre Gros. Sollecitati dal processo di globalizzazione, oggi, si nota, nella comunità scientifica internazionale, un panorama abbastanza unitario negli orientamenti degli studi della storia dell’arte romana. 1. La formazione della civiltà romana nell’Italia protostorica Alla fine del secondo millennio, tra l’età del Bronzo finale e la prima età del Ferro, particolare rilievo assumono le aree dell’Etruria, del Latium vetus (comprendente un territorio collocato tra il basso corso del Tevere, il promontorio del Circeo e i colli Albani) e della Campania, ove assistiamo a un precoce sviluppo delle forme urbane seppur con differenze di comparti territoriali, modalità, cronologia ed esiti finali. Nel corso del Bronzo medio l’area tirrenica del Latium vetus e quella esistente tra l’Etruria fino alla Calabria, mostra i segni di una occupazione territoriale capillare basata su siti difesi entro cui si praticava la lavorazione dei metalli e dove iniziano a circolare beni prestigiosi di provenienza soprattutto egea. Si avvia, dunque, un processo di accumulo di ricchezza e di differenziazione sociale, testimoniato dalle nuove e più complesse forme delle costruzioni abitative (ad esempio a Monte Rovello, presso Allumiere, o a Luni sul Mignone, presso Blera), e dal ritrovamento di numerosi ripostigli contenenti vari oggetti di metallo, come nel caso di Coste del Marano (fig. 1, costituito da 148 pezzi in bronzo, rinvenuto nel 1880). Verso il 1000 a.C. assistiamo a un generale abbandono di gran parte dei villaggi dell’età del Bronzo e alla formazione di abitati più estesi che coincidono sostanzialmente con i principali futuri insediamenti di età storica, si suole, infatti, indicare questa fase come ‘protourbana’. Agli inizi dell’età del Ferro emergono comunità importanti a Gabii, a Lavinium, a Roma, a Crustumerium, Fidene, Ardea, Satricum, Tivoli e Tusculum. Le divisioni regionali, già intraviste nella fase precedente, giungono ora a piena maturazione (fig. 2), si stabiliscono aree culturali ben precise: quelle di Golasecca e dei Liguri a nord-ovest e quella Atestina a nord-est della penisola; la cultura laziale e quella villanoviana, dislocate lungo la fascia tirrenica centro-meridionale; più all’interno l’area sabina confinante con quella laziale e le culture umbra e falisco-capenate che assumono il corso del Tevere come principale confine rispetto al mondo etrusco-laziale; le culture medio-adriatiche; la cultura delle tombe a fossa che interessa gran parte dell’Italia meridionale; l’area iapigia, ove si svilupperanno le culture della Daunia, della Peucezia e della Messapia; i Siculi nell’area nord-orientale, i Sicani nella parte centro- meridionale e gli Elimi nel settore nord-occidentale, mentre in Sardegna persiste la cultura nuragica con caratteristiche megalitiche. Si iniziano a costruire villaggi formati da capanne con pianta variabile, da rotonda a rettangolare, di dimensioni maggiori rispetto alle precedenti, occupano per lo più aree strategicamente funzionali al controllo di territori fertili, di corsi d’acqua, di risorse minerarie, di luoghi di scambio come le zone portuali costiere. L’area villanoviana si espande verso nord, più esattamente nell’area emiliana con il caposaldo di Felsina-Bologna, nell’area romagnola ove emerge il centro di Verrucchio, e verso sud in Campania nel territorio di Capua e nell’area tra Pontecagnano e Sala Consilina. Proprio la gestione della terra produce un altro importante cambiamento, ovvero l’affermarsi della proprietà privata della terra, gestita da famiglie, patriarcali o mononucleari. Nascerà di conseguenza una revisione dei rapporti sociali, che, però, ancora non comporta una sostanziale disuguaglianza tra individui, ciò è dimostrato grazie ai ritrovamenti nelle necropoli appartenenti alla prima età del ferro; in particolare nell’area Villanoviana, ove ricorre per lo più il tipico ossuario biconico per la deposizione delle ceneri del defunto (es. fig. 3). Non mancano, comunque, le prime differenziazioni di categorie sociali come dimostrano la fig. 4, una tomba che dovette appartenere a un personaggio di alto rango sociale, visto il suo complesso corredo funebre, e la fig. 6, tomba contenente un calefattoio (=praefericulum, vaso con alto sostegno sormontato da una scodella più La Roma del VI sec. a.C. si rivelerà come una delle città più grandi di tutta l’area mediterranea (fig. 19-20), la superficie entro le mura serviane è di circa 822 ettari (estensione che trova confronto solo con città quali Atene, Sparta, Taranto e Agrigento). Lo sviluppo urbanistico aiuta ad incrementare le attività artigianali, gli artigiani hanno diversa provenienza, in primo luogo dalle città etrusche di Veio e Caere (es. Vulca di Veio famoso per aver realizzato le statue di culto del tempio di Giove Capitolino), ma anche da Cuma e altre città greche; in generale notiamo diffondersi un comune linguaggio figurativo che deve molto allo stile ionico. La data tradizionale del 509 a.C. segna il passaggio dalla monarchia alla repubblica, si ha contemporaneamente la ratifica del primo trattato romano-cartaginese, che definisce le rispettive zone di influenza. Nel secolo VI a.C. assistiamo, inoltre, a un forte ridimensionamento del lusso funerario, anche a seguito di vere e proprie leggi suntuarie, infatti, da società ove il lusso e la ricchezza appaiono funzionali alla legittimazione del potere, si passa a società ove lo sfoggio di ricchezza viene sentito negativamente e assimilato allo stile di vita dei tiranni; scompare definitivamente anche l’altra componente dell’antico paesaggio del potere aristocratico, costituita dalle grandi residenze palaziali come Murlo e Acquarossa. Insieme alle regiae termina anche la produzione di quelle lastre figurative a rilievo che all’interno di quegli edifici avevano fatto parte della scenografia del potere dei principes. Una nuova produzione di queste lastre, detta di ‘seconda fase’, appare destinata esclusivamente a edifici templari. 3. L’età alto e mediorepubblicana Negli anni immediatamente successivi al 509 a.C. vediamo gradualmente strutturarsi una serie di nuove istituzioni che imprimono il proprio segno nel tessuto politico e urbanistico. Nell’area del Foro romano, oltre alla sistemazione dell’area del Comizio e della Curia, sede del Senato, viene eretto nel 497 a.C., un nuovo tempio dedicato a Saturno (=divinità ritenuta capostipite della stirpe latina), entro l’edificio viene collocato l’aerarium della città (=ricchezze comunitarie cittadine). Dalla parte opposta del Foro, in direzione del Palatino sorge un altro tempio dedicato ai Castori (=Dioscuri, protettori della cavalleria). Se questi sono i segni più evidenti del nuovo potere senatorio, quelli, invece, della plebe emergono sull’Aventino, qui due nuovi templi, quello di Mercurio, dedicato nel 495 a.C. in funzione della mercatura e dunque in relazione ai ceti commerciali, e l’altro dedicato nel 493 a.C. a Cerere, Libero e Libera (la forte rilevanza religiosa di Cerere-Demetra pone l’accento sui valori della terra portatrice di messi e fertilità). Tutto il polo dell’Aventino, ove si svolgono le assemblee della plebe (=concilia plebis) e si praticano i culti la cui provenienza è fortemente marcata come straniera, assume un ruolo di contrapposizione rispetto al centro della città, il Foro, ove, invece, la componente aristocratica del Senato sottolinea il ruolo degli dèi patrii, come Saturno, oppure di divinità altrettanto greche come i Castori, protettori dei valori aristocratici, di cui è simbolo il mondo della cavalleria. Altro punto nevralgico della città repubblicana è il Campo Marzio, campus extraurbano, posto tra il Campidoglio e la grande ansa del Tevere, destinato a luogo di riunione dell’esercito in armi e per questo posto sotto la protezione di Marte. Qui presso l’Ara Martis si svolge il lustrum dei censori, vale a dire l’inquadramento politico-militare dei cittadini in base al censo. Inoltre nella zona detta del Palus Caprae vengono collocati i saepta, le strutture mobili utilizzate per le operazioni di voto dei cittadini inquadrati nei comitia centuriata. Nel passaggio tra il VI e il V secolo a.C. assistiamo ad alcuni importanti avvenimenti storici: la Persia conquista la Ionia, nel 510 a.C. cade il cosiddetto impero di Sibari, a Cuma gli Etruschi subiscono una durissima sconfitta nel 474 a.C., nel contempo assistiamo a una vasta espansione territoriale di Roma (tra 490 e 480 a.C. finisce la lunga frequentazione dell’emporion di Gravisca, il porto di Tarquinia). La committenza diventa, ora, per lo più pubblica. Gli edifici pubblici, e in particolare i santuari e i templi, divengono il vero e proprio biglietto da visita in cui si fa sfoggio dei tipi architettonici, delle tecniche costruttive e dei materiali, che via via sostituiscono il legno, delle parti decorative fino alle immagini parlanti, che sotto forma di storie del mito, traducono una pluralità di valori e significati, vi sarà una forte standardizzazione degli elementi decorativi. Secondo la tradizione, la data del 486 a.C. corrisponde alla serrata del patriziato, ovvero alla massiccia chiusura sociale promossa a Roma dalla classe dirigente, la società riduce i consumi e la mobilità sociale. Questo fenomeno interessa gran parte dell’Italia antica anche se affiora con tempi e modi diversi. Il santuario orientale di Lavinio dedicato a Minerva ha restituito un ricco scarico di terracotte votive che dall’età arcaica giungono sino al I sec. a.C., la loro analisi, quindi, appare di grande interesse per comprendere l’evoluzione delle dinamiche sociali connesse alle unioni matrimoniali, dalla legislazione restrittiva delle XII tavole fino alle leggi Licinie Sestie, che nel 367 a.C. permisero una maggiore integrazione tra nobilitas e famiglie plebee. Il materiale da Lavinio è interessante anche per poter comprendere l’evoluzione stilistica e osservare quali influenze greche erano subentrate (es. fig. 6, statuetta fittile raffigurante Minerva armata e fiancheggiata da un tritone, databile ai primi decenni del V sec. a.C., dimostra chiari stimoli provenienti dall’ambiente greco, la cifra stilistica della statua evidenzia comunque la volontà di tradurre tali influenze in un linguaggio più propriamente locale, nell’impostazione rigidamente frontale, nella resa disegnativa del volto e nella volumetria semplificata). Allo stesso modo mentre a Roma e nel Lazio assistiamo complessivamente a una fortissima riduzione della ricchezza destinata all’ideologia funeraria, un’urnetta in marmo, proveniente da Roma stessa, o le oreficerie dalla necropoli di Praeneste e soprattutto la tomba del Guerriero da Lanuvio testimoniano, comunque, la persistenza di differenti spinte sociali (fig. 7-8). Come già accennato, nel 367 a.C., le leggi Licinie Sestie aprono l’accesso alle magistrature da parte dei ceti non aristocratici, inoltre, una nuova fase di espansione, tra IV e III sec. a.C., produce un’ampia frammentazione delle strutture commerciali e artigianali, legate alla crescita delle diverse città, vi si notano tendenze comuni segnate dal ruolo egemone che Roma va gradualmente assumendo. Si sviluppa un artigianato di alta qualità, questi artigiani iniziano a firmare le loro opere (consuetudine di derivazione greca), ad esempio, nel tempio di Salus nel 303 a.C., le fonti ricordano la presenza di pitture a opera di G. Fabio Pittore, un’esponente dell’aristocrazia. Altro esempio è la firma applicata sulla cista Ficoroni (fig. 9-10, opera di un certo Novios Plautus, è un vaso cilindrico di rame sul quale è incisa la storia degli Argonauti), così avviene anche su tutto il complesso delle ciste e degli specchi prenestini. Il ruolo predominante che Roma va assumendo è dimostrato anche dal fatto che attorno al 300 a.C. vi è l’attivazione della produzione ceramica detta dell’atelier des petites estampilles (fig.11), si presenta caratterizzata da un’argilla estremamente depurata, sulla quale viene distribuito per immersione uno spesso strato di vernice a ricoprire integralmente il vaso, con l’eccezione della parte esterna del fondo, predominano le decorazioni a rilievo raffiguranti rosette. Tra IV e III sec. a.C. si assiste a una standardizzazione delle ceramiche nell’area etrusco-laziale-campana con i cosiddetti Genucilia, i gruppi dei pocula e delle Heraklesschalen. Nel contempo nasce una particolare forma di rappresentazione connessa alle tabulae triumphales e ai pegmata, vale a dire raffigurazioni su legno o tessuto, oppure al modo di piccoli plastici, con cui i generali e i magistrati informavano il Senato circa lo sviluppo delle loro operazioni militari (es. fig. 12, dalla necropoli dell’Esquilino vi è un affresco, probabile exemplum di Tabulae triumphales, articolato su 4 registri, il gusto narrativo e la scelta di utilizzare le proporzioni gerarchiche sono di chiara matrice italica, mentre la resa cromatica e il trattamento dei particolari è di derivazione ellenica tardoclassica), descrivono insomma le res gestae, che sono pertanto all’origine del rilievo storico romano. A livello urbanistico, in questo periodo, vi è un ulteriore ristrutturazione dell’area forense, una tendenza generale nell’accrescere l’importanza della zona centrale delle strutture politiche e di rappresentanza, oltre a quelle delle attività produttive come le tabernae argentariae (=botteghe dei cambiavalute). A partire dalla seconda metà del VI sec. a.C. aumentano anche le statue, equestri o su colonna, dedicate dal Senato a personaggi che abbiano acquisito meriti verso lo Stato e che trovano, nell’area forense, adeguata collocazione scenografica. In questo clima matura un ritratto, quello del cosiddetto Bruto Capitolino, che riprende dai modelli greci, in particolare la tradizione attica del III sec. a.C., del filosofo e dell’oratore (fig. 13), indicativa è anche la fig. 14, statua bronzea di Marsia, simbolo libertatis, in questo caso si evidenzia la libertà raggiunta dai cittadini della nuova colonia latina di Paestum. Agli inizi del III sec. a.C. viene costruito, a Roma sul Palatino, il nuovo tempio della Vittoria (fig. 15, frammento di testa fittile lì ritrovato), un culto che si presta a celebrare l’espansione della città, uscita vittoriosa dalle guerre sannitiche, ora volta anche a sud, come mostra bene l’apertura del primo tratto della via Appia. Su questa strada cominciano ad allinearsi i sepolcri di importanti famiglie di Roma, come nel caso del sepolcro degli Scipioni, costituito in origine da una semplice camera ipogeica di forma quadrangolare a 4 pilastri, è in questo ambiente che con il susseguirsi delle generazioni trovano posto numerosi sarcofagi; quello di Scipione Barbato, console nel 298 a.C., è concepito in forma di altare e presenta una decorazione di tipo architettonico caratterizzata da un fregio dorico con rosette e coronamento superiore a volute e foglie di acanto, mostra il gusto eclettico del primo ellenismo. Verso la metà del II sec. a.C. l’ipogeo viene ampliato con la realizzazione di un secondo vano e di una facciata monumentale rifacentesi alle ricche scaenae frontes di età ellenistica, su di un alto podio con cornici a cuscino e 3 archi, viene realizzato un prospetto tripartito a semicolonne e nicchie contenenti le statue marmoree, secondo Plinio, dell’Africano, dell’Asiatico e del poeta Ennio, sono nitidi i tributi di cui è debitrice la tomba degli Scipioni al mondo greco orientale, e che la pongono in una posizione centrale per la comprensione dei processi di ellenizzazione che caratterizzano la cultura romana alla metà del II sec. a.C. (fig. 16-18). La spinta coloniale di Roma, che in questo momento la caratterizza, può essere seguita anche attraverso la diffusione di ex voto raffiguranti teste o parti anatomiche (fig. 19), che significativamente ora appaiono in forme standardizzate, un sintomo preciso di quella unificazione culturale in atto sotto il segno di Roma. Tutto questo mondo mediorepubblicano, che si era nutrito del modello della polis classica, delle forme artistiche di età classica e del primo ellenismo, oltrechè dell’area magnogreca con in testa Taranto, volge al termine nel corso dei decenni successivi alla metà del III sec. a.C. 4. L’urbanistica e i nuovi modelli dell’architettura ellenistica Tra III e II sec. a.C. Roma si trasforma sul piano urbanistico e monumentale in una delle grandi capitali del mondo ellenistico, la battaglia di Azio del 31 a.C. la renderà erede di tutti i regni ellenistici. Un punto di svolta va posto subito dopo la fine della seconda guerra punica, e nei decenni a cavallo tra III e II sec. a.C., quando l’afflusso di una nuova ricchezza a livelli mai visti in precedenza, chiamata poi Asiatica Luxuria, innesca una serie di trasformazioni sia nel tessuto culturale e monumentale di Roma, sia più in generale nei territori italici che a vario titolo partecipano alle conquiste della capitale dell’impero. Il contatto diretto con i modelli dell’ellenismo provoca reazioni diverse all’interno della società romana, ma appare comunque inarrestabile e contribuisce a rimodellare in profondità persino l’ambito assegnato agli dèi, la funzione degli spazi domestici sono, ora, impegnati a tradurre un nuovo stile di vita e le nuove forme dell’otium. L’urbanistica prenderà a modello i grandi centri di potere come Alessandria o Pergamo (es. fig. 1, il santuario di Giunone a Gabii, antico centro latino che da Roma conduceva a Praeneste, nella metà del II sec. a.C. sarà oggetto di una imponente ridefinizione monumentale secondo puntuali moduli architettonici di matrice ellenistica, il risultato è un periptero esastilo sine postico su podio preceduto dall’altare e affacciato su un’ampia cavea teatrale, la più antica conosciuta in ambito italico). L’impronta personale e dinastica che è alle radici del potere ellenistico offre i migliori strumenti di propaganda politica ai generali vittoriosi di Roma, gli imperatores e i viri triumphales, che ormai apertamente piegano a proprio vantaggio le istituzioni repubblicane e sfidano il potere tradizionale della nobilitas patrizio-plebea facente capo al Senato. Si sviluppa una sorta di competizione urbanistica e monumentale tra i diversi committenti. In questa prospettiva va inserito il trionfo del capitello corinzio (fig. 2, esempio più antico è quello posto al centro della cella del tempio di Apollo a Figalia-Basse, anche se all’interno di abitazioni private lo potevamo già osservare a partire dai decenni iniziali del II sec. a.C., come nel caso della fase più antica del peristilio della casa del Fauno a Pompei) divenuto ormai il simbolo di un’architettura sfarzosa e attenta come non mai al gusto decorativo. I committenti mettono in scena, sfruttando ogni occasione, i loro messaggi politici e culturali; nel quadro di queste realizzazioni un ruolo fondamentale è assegnato alla funzione dei portici e delle basiliche. La porticus, corrispondente alla stoà greca, prevede la copertura di uno spazio maggiormente esteso in lunghezza e munito di una fronte a colonne. Uno degli esempi più antichi risale al 166 a.C. ad opera di Gn. Ottavio che, a seguito del trionfo su Perseo di Macedonia, fece erigere presso il circo Flaminio la porticus 5. Arte e lotte politiche fra tarda repubblica e impero Nei decenni di passaggio tra III e II sec. a.C., dopo la fine della seconda guerra punica, si creano le condizioni per un radicale e profondo rivolgimento delle strutture sociali e politiche di Roma destinato a concludersi con l’avvento del principato augusteo. Si avvia una nuova fase di ellenizzazione, come già detto, con l’avvento dell’Asiatica luxuria, a seguito dei trionfi di Scipione Asiageno su Antioco III a Magnesia, nel 189 a.C., e di Manlio Vulsone, sui Galati d’Asia, nel 186 a.C. Non solo opere d’arte ma anche artisti greci cominciano a giungere direttamente a Roma al seguito di questi generali vittoriosi. In seguito l’emergere di singole personalità, a scapito della nobilitas senatoria e del ceto equestre, che agiscono sulla scena politica secondo i dettami dei dinasti ellenistici; inoltre, il ruolo sempre più importante giocato dal controllo degli eserciti, la possibilità di accumulare in tempi rapidi ingenti ricchezze, soprattutto grazie ai bottini di guerra e alle nuove possibilità commerciali in Oriente, modifica in profondità il ruolo pubblico e privato dei novi homines. L’accumulo di ricchezza rende possibile anche la nascita di grandi latifondi e di concentrazioni di imprese manifatturiere che necessitano ora di un mercato su scala enormemente più ampia rispetto alle fasi precedenti. Gli uomini politici iniziano a sottolineare a ogni livello il loro potere personale sulla scia di una diffusa imitatio Alexandri (fig. 1), gli effetti dell’asiatica luxuria influenzeranno l’arte (es. fig. 2, mosaico da Palestrina con scene di paesaggi nilotici), l’economia con l’introduzione del modello di produzione schiavistico, congeniale soprattutto nel sistema delle ville (es. fig. 3-4, Villa romana di Settefinestre: fatta costruire dal ricco proprietario terriero Lucio Sestio, poco dopo la metà del I sec. a.C., il complesso situato non lontano dalla colonia latina di Cosa, si articola in un poderoso corpo centrale a pianta quadrata, racchiuso entro mura turrite e comprendente portici, loggiati, giardini, era, inoltre, circondato da altri edifici, adibiti all’aspetto produttivo della villa e inseriti in un paesaggio di campi coltivati = fundus, di pascoli =pastio agrestis e villatica, e di bosco, -soggetto che verrà approfondito nei capitoli finali del libro-), costituisce un riassunto esemplare di queste nuove tendenze che si affermano sul piano economico (la pars rustica della villa) ma con riflessi anche sul nuovo valore dell’otium (la pars urbana). Queste ville si specializzano in produzioni, in particolare vino e olio, destinate specialmente ai mercati dell’Oriente, della Gallia, della Spagna e anche dell’Africa. Le produzioni artigianali di massa e standardizzate rappresentano una delle grandi novità di questo periodo rese possibili dalla facile disponibilità di manodopera schiavile. Tale processo richiede una decisa semplificazione dei processi lavorativi ora affidati a manodopera pressochè priva di specializzazione. Le grandi produzioni di ceramica campana A e B (fig. 5, la A è un evoluzione della produzione a vernice nera delle officine di Ischia e Napoli, repertorio formale e decorativo molto semplificato; la B si ispira a forme e decorazioni derivanti dalla toreutica), che prendono avvio entro la prima metà del II sec. a.C., o di ceramica aretina, a partire dalla metà circa del I sec. a.C., il passaggio dalle anfore greco-italiche alla Dressel I (fig. 6, sono contenitori di vini di media qualità di produzione italica) verso la metà del II sec. a.C., la diffusione della tecnica costruttiva dell’opus caementicium dal II sec. a.C., sono tutti elementi di un orizzonte comune entro il quadro sopra citato. Si sviluppa contemporaneamente un ricco mercato di artisti dediti alla produzione in serie di copie di statue greche classiche, del V e del IV sec. a.C., tra le opere maggiormente riprodotte vi è il Doriforo di Policleto (fig. 7). In conclusione abbiamo da un lato una produzione fortemente standardizzata e di bassa qualità, dall’altro si mantiene una produzione di alto livello riservata per lo più alle corti dinastiche. Si diffondono a Roma le più diverse tendenze artistiche del mondo ellenistico, in primo luogo quella pergamena (fig. 8, soggetti iconologici non chiari, comunque, la decorazione frontonale del tempio di Civitalba rivela una chiara dipendenza dall’ambiente pergameno, suggerita dallo stile e da dettagli iconografici precisi, ad esempio la riproduzione rovesciata del gruppo del Pasquino, o quella, nel fregio, dello schema statuario dell’Artemide derivato dal fregio del grande altare di Pergamo; altro esempio fig. 9, testa dell’Eracle barbato, dall’edificio sacro in località ‘I Fucoli’ presso Chianciano Terme, palesi influssi pergameni nel ricercato effetto coloristico; fig. 10, modelli di autorappresentazione derivati dalle corti dei successori di Alessandro, ostentazione di Luxuria ai fini di eroicizzare il committente, in questa prospettiva apoteotica si realizza il trionfo allestito dal console Emilio Paolo per la vittoria di Pidna, che sancì nel 168 a.C. la fine del regno macedone, ordina di erigere una statua, a Delfi, al di sopra di un grande pilastro quadrangolare, il re è caratterizzato dal cavallo impennato sul modello del gruppo del Granico di Lisippo raffigurante Alessandro Magno, del tutto originale si presentava, invece, il fregio decorante la sommità del pilone con episodi della battaglia, una scelta ideologica che animava l’intera concezione del monumento, la natura ‘storica’ del soggetto costituisce il primo esempio conservato di rappresentazione storica romana in marmo; fig. 11 un precedente al rilievo storico di Delfi lo abbiamo con alcuni fregi, raffiguranti episodi della prima guerra sannitica, rinvenuti a Fregellae, di chiaro stile pergameno, collocate all'interno di alcune abitazioni private, a dimostrazione che l’aristocratica committenza italica seguiva i medesimi modelli ideologici e culturali di importanti condottieri) ma anche le tradizioni attica, alessandrina e rodia. Proprio verso la metà del II sec. a.C. giunge a maturazione il processo di formazione di quella cultura neoattica che, senza rifiutare in blocco i modelli ellenistici, crea una tradizione figurativa improntata a una cornice sostanzialmente classicista. Tale processo sembra svolgersi in parallelo a quanto vediamo emergere sul piano della tradizione letteraria e retorica entro cui si confrontano un modello asiano, più direttamente ispirato agli effetti patetici e drammatizzanti del pieno ellenismo, e un modello neoattico in cui Atene svolge un ruolo essenziale quale centro promotore di una visione classicista. I maestri riconosciuti di questa tendenza classicista vanno ricercati nell’officina attiva a Roma che fa capo a due artisti attici, Polykles e Timarchides, la cui attività si può seguire per oltre un secolo, tra la fine del III e gli inizi del I secolo a.C.. Coesistono, comunque, entro la produzione di questa famiglia ispirazioni di vario tipo (fig. 12, Hercules Capitolino opera di Polykles presenta caratteri prassitelici, soprattutto nei trattamenti del viso, e caratteri scopadei, soprattutto nella resa delle profonde orbite oculari; fig. 13 stessi caratteri presenti su questa testa femminile; fig. 14 cosiddetto Ares Ludovisi che mostra bene la commistione di caratteri e influenze stilistiche: fidiaca è la posa, carattere scopadeo del viso dall’espressione patetica, stilemi tardoprassitelici nella resa della testa, echi lisippei nella proporzione del corpo e nella sua concezione spaziale). Nasce un nuovo linguaggio funzionale alle novità politiche che stavano maturando, riscontrabile nel cosiddetto Principe delle Terme o nelle statue del cosiddetto Generale di Tivoli e di Cartilio Poplicola da Ostia (fig. 15-18), infatti, al modello del togato (fig. 19 statua di togato; fig. 20 rilievo con rappresentazione della sella curulis simbolo del potere assegnato dal senato ai magistrati che su di essa si sedevano al momento di esercitare le loro funzioni pubbliche), simbolo del civis romanus e della fedeltà alla repubblica senatoria, si affianca la nuova, rivoluzionaria immagine di un personaggio in nudità che si paragona al mondo degli eroi greci, in particolar modo ad Achille. I personaggi ora rappresentati secondo il modello ‘achilleo’, tendenti all’apoteosi, vogliono così legittimare il loro potere. Nel caso di Cartilio Poplicola, statua eretta tra il 40 e il 30 a.C. presso l’area sacra del tempio di Ercole a Ostia, vi è un evidente rafforzamento di questo statuto eroico e sovraumano (fig. 21-22, Licinio Murena, legato di Licinio Lucullo nella sua vittoriosa spedizione contro Mitridate, aveva partecipato alla battaglia presso il fiume Granico, anche qui vi è, da parte di questo homo novus, un uso propagandistico dell’imitatio Alexandri). In conclusione nella Roma tardorepubblicana sono attivi e si incrociano linguaggi stilistici molto differenti che possiamo trovare accomunati o accostati anche su uno stesso monumento, come nel caso esemplare rappresentato dalla celebre Ara di Domizio Enobarbo (fig. 23-24, principali rilievi raffiguranti: la consegna delle armi ad Achille da parte della madre Teti, le nozze tra Nettuno e Anfitrite, sul quarto lato un lustrum censorio con a sinistra uno iurator che annota sulle tabulae censorie le dichiarazioni giurate rese da un cittadino). Fino alla fine della repubblica, ma anche oltre, si usa un repertorio stilistico in una certa misura svincolato da una dimensione cronologica, in quanto stili diversi sono sentiti pertinenti a contenuti differenti. Cresce la richiesta di copie di statue, gruppi scultorei, ritratti, rilievi e arredi (fig. 28), destinati ai nuovi spazi dell’otium, fioriscono le raccolte e le collezioni di opere d’arte e contemporaneamente gli artisti attivi a Roma continuano a trovare ampio spazio nella committenza pubblica stimolata soprattutto dai personaggi emergenti nel quadro politico (es. fig. 29-30, monumento onorario probabilmente dedicato a Silla sul Campidoglio). In campo pittorico il cosiddetto I stile, denominato anche strutturale in quanto riproduce la struttura a blocchi di un muro o i rivestimenti delle pareti in preziose lastre marmoree, comincia a essere documentato in Grecia dalla fine del V sec. a.C. (fig. 36, esempio di pittura I stile dalla casa Sannitica di Ercolano). A partire dalla fine del II sec. a.C., invece, troviamo i primi esempi del cosiddetto II stile la cui diffusione deve essere compresa nel quadro delle novità introdotte dall’Asiatica Luxuria, rimanda sostanzialmente a un’idea di ricchezza e sovrabbondanza mediante la rappresentazione di prospetti decorativi e architettonici, tendaggi, sontuosi edifici, giardini simili a paradisi, vasi colmi di frutta, animali, scene sacrali ambientate in un paesaggio idilliaco. Ne è un esempio la decorazione all’interno della Casa del Fauno di Pompei (fig. 37), ma ne troviamo tracce abbondanti anche nelle decorazioni interne degli edifici pubblici (fig. 39, es. dal cosiddetto ‘Santuario repubblicano’ di Brescia). Dalla metà del I sec. a.C. la decorazione del II stile (fig. 38, es. dalla Casa dei Grifi sul Palatino) tende ad annullare del tutto la parete in modo illusionistico mediante l’uso di ampie scenografie che guidano l’occhio in profondità. Tali scenografie, ispirate propriamente a quelle teatrali, appaiono funzionali a richiamare le architetture regali e gli apparati trionfali derivati dal mondo ellenistico. La Villa dei Misteri a Pompei (fig. 40), mostra un esempio di megalographiae, che indica la grande dimensione dell’immagine e al tempo stesso l’importanza del soggetto raffigurato, in questo caso vi sono 29 figure, tra personaggi umani e divini che in vario modo partecipano a una cerimonia, molto probabilmente un’iniziazione ai misteri dionisiaci. Altro genere pittorico assai diffuso è quello dei topia, in cui compare un repertorio di ambienti geografici come coste, porti, fiumi, promontori, montagne, campagne e boschi sacri. Il II stile termina agli inizi dell’età augustea, attorno al 20 a.C., nella fase finale mostrerà una tendenza a richiudere la parete, a modificare gli apparati architettonici con elementi vegetali e all’inserimento di scene figurate anche a carattere mitologico, ne costituisce un chiaro esempio la Domus dell’Esquilino (fig. 41) con scene tratte dall’Odissea. In campo statuario notiamo un aumento vistoso, iniziato già nel corso del IV sec. a.C, di statue onorarie che mostrano personaggi esemplari della storia o del mito, ma anche personaggi reali quali exempla virtutis. Gli esempi del Bruto Capitolino o delle statue di Pitagora e Alcibiade erette presso il Comizio possono costituire una spia della scelta operata a Roma in favore di una rappresentazione dipendente dai modelli dell’oratore e del filosofo, di forte valenza politica in relazione al quadro ateniese. Le tabulae triumphales, come precedentemente accennato, sono destinate a narrare le imprese dei generali vittoriosi, la resa fisiognomica individuale accompagna tutto il processo di esaltazione e celebrazione delle imprese e delle virtutes dei grandi personaggi emergenti della tarda repubblica, su questa scia di esaltazione individualistica prende avvio, in campo architettonico, il nuovo modello del sepolcro individuale. Questa insistenza sulla rappresentazione delle qualità individuali (fig. 42) fa un uso sapiente e mirato del vocabolario stilistico e iconografico, rivolgendosi di volta in volta alle tendenze classiciste o a quelle dell’ellenismo patetico e talvolta mischiando i diversi linguaggi (fig. 43-47, vari esempi di ritratti: di Cesare, di sacerdote siriano, di Cicerone, di Pompeo). Il verismo esasperato di tanta parte della ritrattistica romana tardorepubblicana appare del tutto funzionale ad accentuare le caratteristiche individuali. A livello iconografico, gli ultimi cicli scultorei e pittorici della fase repubblicana si rifanno ai temi delle origini e del legame mitico con il mondo troiano (fig. 48, fregio scultoreo della Basilica Emilia che mostra un eclettismo stilistico, con richiami classici, come lo sfondo neutro o la paratassi compositiva, e altri di tradizione ellenistica legati alle esperienze dei fregi di Pergamo e di Magnesia; fig. 49, fregio dipinto dal sepolcro degli Statilii Tauri dell’Esquilino: Statilio Tauro è uno dei trionfatori della battaglia di Azio e un seguace di Augusto, il fregio narra episodi relativi alla fondazione di Roma, legati alla saga troiana di Lavinio e di Alba Longa, il messaggio politico che informa l’intera composizione ben si inscrive all’interno della propaganda augustea, per cui ogni cittadino romano, all’interno del proprio rango sociale, è chiamato a sentirsi partecipe della leggendaria storia di Roma che, iniziata con le eroiche gesta di Enea, aveva trovato il suo culmine proprio sotto il principato di Augusto), prefigurando così il nucleo centrale dell’ideologia augustea. 6. L’età di Augusto notare come il nuovo partito ornamentale vi si adatti alla perfezione. Si pone fine, quindi, alla moltiplicazione illusionistica degli spazi, per riconsiderare la parete come supporto di un sistema decorativo incentrato, in genere, su un quadro principale posto in posizione centrale, sovente affiancato da pannelli figurati di dimensioni minori, il tutto organizzato nell’ambito di un’ordinata quinta architettonica (fig. 25, decorazione cubicolo B della villa della Farnesina, 20 a.C. circa). Troviamo temi di carattere mitologico, spesso usati come paradigmi di comportamento, ma anche soggetti epici e teatrali, il tutto utilizzato anche in funzione dei meccanismi di autorappresentazione dei singoli committenti. Nel terzultimo decennio del I sec. a.C. compare il III stile che presenta altre soluzioni ornamentali, tutte ugualmente lontane dall’uso illusionistico di prospettive architettoniche, ridotto ormai ai minimi termini, vengono aggiunti invece piccoli fregi colorati ed eleganti effetti cromatici (fig. 26, decorazione del tablino dalla casa di Lucrezio Frontone da Pompei; fig. 27, decorazione a fondo nero del triclinio C della villa della Farnesina). Gode di grande successo anche il tema del paesaggio idillico sacrale, di tradizione ellenistica, che viene verosimilmente sentito come lo specchio idealizzante della nuova situazione di pace e di prosperità, cara all’ideologia imperiale (fig. 28 cubicolo Rosso della villa di Boscotrecase; fig. 29 stucchi dal cubicolo D della villa della Farnesina). La straordinaria pittura in un vano sotterraneo della villa di Livia a Prima Porta, che rappresenta un fantastico lussureggiante giardino, dipinto con vivido naturalismo, dà inizio a un vero e proprio genere pittorico (fig. 30, pittura chiaramente riconducibile al modello del paradeisos ellenistico). Nella ritrattistica privata di individui, ma anche i altri campi, si tende a desumere le forme dall’arte ufficiale, infatti, molti si fanno raffigurare in maniera somigliante ai tratti dell’imperatore o dei membri della sua famiglia (fig. 31). Un’altra forma di imitazione dell’arte ufficiale è rappresentata dall’ampia serie di basi e di altari dedicati da magistrati minori per ricordare il proprio status magistratuale (fig. 32, altare dei Vicomagistri. Il riordino augusteo del sistema amministrativo di Roma ora suddiviso in 265 vici, quartieri, e il conseguente recupero del culto dei Lari ha per conseguenza il proliferare di sacelli e di edicole poste ai crocicchi dei vari rioni; il compito della cura di questi edifici e dell’officio delle pertinenti funzioni cultuali spettava a 4 magistri, eletti con carica annuale tra gli abitanti del quartiere e affiancati nel corso del loro mandato da altrettanti ministri. Proprio i magistri del vicus Aescleti, intenti nell’assolvimento di un sacrificio, sono rappresentati in questo altare votivo del 2 d.C., al suono del flauto i 4 magistrati capite velato versano le loro libagioni al di sopra di un’ara). L’ adozione di formule di diretta derivazione dal potere centrale per azioni di evergetismo e quindi per la definizione di una propria immagine sociale vincente, si attua un pò ovunque, per esempio a Pompei con l’edificio di Eumachia (fig. 33), questa costruzione è aperta sul Foro e quindi in una posizione di grande prestigio, imita esplicitamente la porticus Liviae, ma soprattutto col suo doppio percorso e con la decorazione statuaria traccia un esplicito parallelismo tra la committente, Eumachia, e Livia, moglie dell’imperatore. Un caso diverso ma altrettanto significativo lo riscontriamo in Danimarca, dove nella tomba di un ricco capotribù barbaro è stata rinvenuta una coppia di coppe in argento con la raffigurazione di Priamo inginocchiato davanti ad Achille (fig. 34), stesso schema compositivo utilizzato nell’arte imperiale per la sottomissione dei barbari all’imperatore (segno di romanizzazione, nelle province, da parte dell’aristocrazia locale ). Anche nel grande cratere di Hildesheim (fig. 35) si utilizzano racemi che caratterizzano la decorazione esterna dell’Ara pacis, oltre a figurazioni analoghe alle pitture della villa della Farnesina, a dimostrazione di quanto stretti siano i legami formali e compositivi che in questa fase culturale intercorrono tra la toreutica, la pittura e la scultura. A un livello più basso, ma per questo ancora più diffuso, assistiamo alla ricezione di questi motivi su elementi di produzione seriale, quali il vasellame in terra sigillata (es. fig. 36, coppa da Arezzo, la ceramica in terra sigillata viene prodotta dalla metà del I sec. a.C., è una ceramica da mensa contraddistinta da una superficie liscia e rossa, standardizzata su forme che imitano il vasellame in argento, sarà soppiantata dalla ceramica gallica alla metà del I sec. d.C. e successivamente, a partire dal II sec. d.C. da quella africana), che, sia per partiti decorativi sia per soggetti figurati, attingono all’imagerie dell’arte imperiale. D’altro canto si possono manifestare anche casi di ricezione di soggetti propri dell’arte di Augusto, esprimendoli però secondo formule e linguaggi formali assai distanti dal classicismo di corte (es. fig. 37, pavimento con cigni da Piacenza, volatili assai simili a quelli riprodotti sull’Ara pacis, così come la scelta di temi marcatamente apollinei, vi è però un netto contrasto che separa i soggetti, pienamente coerenti con le tematiche dell’arte augustea, dai modi formali attraverso i quali vengono realizzati e che si mostrano ancora legati a una vigorosa concezione di matrice ellenistica). 7. L’arte e la costruzione dell’impero nel I secolo d.C. La promozione del culto di Augusto divinizzato, sovente accompagnato a quello della dea Roma, offrì a Tiberio la possibilità di mostrarsi, prima di tutto nelle forme, continuatore della politica del suo predecessore. Prende ora avvio un vasto programma di monumentalizzazione delle città dell’impero (fig. 1, arco di Orange, nella Gallia Narbonense, per commemorare Germanico, il figlio di Druso Minore, il monumento venne dedicato a Tiberio nel 26-27 d.C.). L’idea del potere di Roma e l’immagine dell’imperatore vennero diffuse capillarmente e anche le rappresentazioni figurate sulle monete costituirono uno strumento formidabile di propaganda. Durante il I secolo d.C. si assiste a una crescita economica generalizzata, si forma così un vasto ceto di nuovi committenti per l’artigianato artistico, legato per lo più, date le origini sociali, a quel gusto e a quella tradizione che normalmente chiamiamo ‘arte plebea’. Tutta questa produzione privata rispondeva alla necessità di legittimazione del successo sociale dei singoli individui e al loro bisogno di comunicare pubblicamente un’immagine vincente. Indicativa, come di consueto, appare l’analisi dei modi della rappresentazione del sovrano, a cui tutti si rifaranno: fig. 2, tazza di Tiberio, qui, decontestualizzando la scena da una situazione storica precisa, si valorizzava la virtus di Tiberio, mostrandolo quasi in un trionfo perenne, in maniera appropriata a un futuro imperatore; fig. 3-4, sul fodero bronzeo della spada, successivo al 19 d.C., il sovrano è rappresentato, invece, nell’attitudine di Giove, seduto in trono con il busto in nudità eroica, riceve un dono da un principe della famiglia imperiale, mentre ai suoi lati si riconoscono Marte Ultore e la Vittoria. Così anche nel grande Cammeo di Francia si celebra il nuovo imperatore alla luce della sua discendenza da Augusto divinizzato (fig. 5). Successivamente anche Claudio, nel teatro di Caere, sarà raffigurato con una statua nell’atteggiamento caratteristico di Giove Capitolino (fig. 6). Per tutti, comunque, appare importante la volontà di ricordare il proprio stretto legame con Augusto, sia per legittimare il proprio potere sia per rafforzare la dinastia. La cosiddetta Ara Pietatis Augustae, dedicata nel 44 d.C. per il ritorno di Claudio dalla Britannia, è molto simile all’Ara pacis (fig.7-9, vi sono alcune differenze formali tra cui, ad esempio, il superamento dell’astrazione classicista del rilievo augusteo tramite la precisa ambientazione topografica dell’azione). Anche un rilievo da Ravenna (fig. 10), sempre di età claudia, con la raffigurazione di una serie di membri della famiglia imperiale, vuole propagandare insieme l’armonia all’interno della famiglia regnante e la legittimazione della discendenza dinastica, rafforzata in questo caso dalla presenza, tra i personaggi, di Augusto divinizzato. Altro esempio, fig. 11-12, è l’Ara della gens Augusta , di età neroniana, rinvenuta a Cartagine. Le due facce principali recano, una, la personificazione di Roma, che con una vittoria in mano siede su una catasta di armi, e l’altra Enea, che con il figlio Ascanio e il padre Anchise fugge da Troia, tema che si ricollega alle origini di Roma e a quelle della gens Iulia. Anche nella parte orientale dell’impero, nel grande complesso del Sebasteion di Afrodisia, nell’odierna Turchia, costruito per il culto imperiale da due importanti personaggi locali, troviamo vari membri della famiglia imperiale rappresentati in contesti o divini o di tipo eroico. Ricordiamo due pannelli raffiguranti l’uno Claudio, che in nudità eroica sconfigge la personificazione della Britannia, e l’altro Nerone, che annienta in battaglia la personificazione dell’Armenia (fig. 13-14). La tradizione figurativa romana metteva a disposizione una grande varietà di temi funzionali a questo scopo. Uno dei più diffusi era senza dubbio quello legato alla rappresentazione di processioni, sacrifici, udienze, spettacoli, tutti momenti canonici dell’esercizio di una magistratura, grande o piccola che fosse. Costituisce un ottimo esempio in questo senso la cosiddetta base dei Vicomagistri (fig. 15) rinvenuta a Roma. L’imitazione dell’arte ufficiale riguarda anche i livelli più alti della committenza, un esempio tipico è la testa-ritratto di Giuba II, che non solo utilizza il linguaggio formale dei ritratti imperiali, ma assume anche alcune forme caratteristiche fisionomiche tipiche dei membri della dinastia giulio-claudia (fig. 16). Un caso emblematico, al di fuori della capitale, è costituito da un noto fregio d’armi di età claudia, rinvenuto a Torino, pertinente con ogni verosimiglianza a un monumento funerario di un membro della classe senatoria (fig. 17). Proprio l’adozione di tale tema, in voga in verità nell’ultima età repubblicana, mostra il legame di questi nuovi ceti dirigenti locali con i vecchi modelli, che vengono riproposti in una sorta di revival autocelebrativo. Da un lato la committenza di livello inferiore introduce elementi veristici per l’individuazione personale e una più didascalica descrizione della scena, spesso con significati simbolici, che assumerà il nome di ‘arte plebea’, dall’altro lato l’eredità ellenistica di un gusto barocco, sostanzialmente soffocata in età augustea, ricomincia a farsi strada a ogni livello della committenza. E’ con Nerone che le tendenze non conformi al classicismo augusteo trovano le espressioni più eclatanti, per quanto fossero già ben presenti in forme evidenti nella produzione immediatamente precedente. Nerone non solo potenziò gli elementi legati alla tradizione del ritratto dinastico ellenistico, già riconoscibili peraltro in Claudio, ma giunse nel suo ultimo periodo a pettinarsi con riccioli artificiali, per corrispondere maggiormente alla tradizione orientale (fig. 18, nella ritrattistica neroniana sembra di poter distinguere diversi momenti, stilisticamente differenti, riconducibili alla diversa condotta politica che l’imperatore assume dall’epoca della sua ascesa al trono all’ultimo quinquennio di regno. In questo ritratto pare che tutto richiami i modelli ritrattistici dei dinasti orientali, stile che preannuncia la fase di governo assoluto in cui si assiste alla definitiva affermazione della tendenza barocca e pittorica di tradizione ellenistica). Appare perfettamente coerente con questo modello culturale e ideologico la costruzione nel cuore di Roma della sua Domus Aurea (fig. 19), una vera e propria reggia, nel cui vestibolo era posta una statua colossale dell’imperatore ritratto come Helios, circondata da lussureggianti giardini simili a quelli delle dimore dei sovrani ellenistici. La Domus Aurea venne immediatamente smembrata dai successori, che volevano chiaramente una politica di discontinuità rispetto a quella neroniana, troppo assolutistica invisa al popolo romano. Il progetto politico di Nerone contrasta fortemente con quello augusteo, in quanto ispirato, come già detto, al modello dei dinasti orientali, il cui potere assoluto non solo veniva espresso con la massima evidenza e ostentazione, ma ricollegato senza alcuna remora alla sfera divina. Adottando tale concezione, Nerone portò alla luce la contraddizione insita nella struttura dello Stato augusteo, che escludeva, in realtà, ogni forma e ogni aspetto di tipo monarchico. La decorazione parietale della Domus Aurea costituisce, comunque, la documentazione al più alto livello del linguaggio decorativo, detto IV stile (fig.20-22). La cadenzata e razionale organizzazione parietale del III stile è sostituita ora da un vero e proprio profluvio di quinte architettoniche, di scene figurate, di riproduzioni di statue e rilievi, in un trionfo del gusto barocco. Si recupera l’idea, caratteristica del II stile, dello sfondamento prospettico delle pareti. Nel IV stile tale sfondamento è finalizzato a dare vita a una serie di quinte ardite e fantastiche, che nulla hanno a che fare con riferimenti reali. Vi è un evidente senso di horror vacui, che conferisce all’insieme un aspetto decisamente barocco. Numerosi esempi provenienti dalle città vesuviane mettono in evidenza l’estrema varietà dell’organizzazione architettonica della decorazione e dei soggetti raffigurati, mostrano anche come, mediante la semplificazione dei suoi schemi, questo stile possa soddisfare anche clientele di ceto non elevatissimo (fig. 23-25). Comunque, generale è la tendenza a voler esprimere pubblicamente il proprio status; spesso troviamo come soggetti pittorici episodi di vita quotidiana (fig. 26). Questo linguaggio è quello che Bianchi Bandinelli chiama ‘plebeo’ o ‘popolare’, e connesso pertanto sia ai ceti medi della capitale sia alle aristocrazie locali non acculturate. Un caso esemplare di ‘arte plebea’ lo troviamo a Roma, nei pressi della porta Maggiore, con il sepolcro di Eurisace, che, come sappiamo dall’iscrizione, era un fornaio, la cui impresa lavorava anche per lo Stato, e che ebbe un ruolo pubblico come aiutante di un magistrato (fig. 27-28). Il monumentale complesso risponde bene all’esigenza di apparire di un individuo di umili origini, che nell’ostentazione della ricchezza accumulata e nella piccola carica ricoperta riconosceva il proprio successo. Imitando il fregio continuo dei rilievi ufficiali il committente fa però rappresentare le varie tappe del processo di panificazione, eseguito da schiavi e sotto il suo controllo. Il caso di Eurisace è ben rappresentativo dell’ascesa della piccola borghesia, che forte del successo economico, cerca anch’essa una propria visibilità pubblica, emulando modelli aristocratici, adattandoli, però, alle proprie esigenze. Un altro monumento esemplare è il sepolcro di Lusius Storax (magistrato locale, i rilievi del sepolcro mostrano diversi momenti della sua magistratura, ricordando in particolare i giochi gladiatori da lui offerti alla città) a Chieti, della prima metà del I sec. d.C. (fig. 29, stilisticamente vi troviamo le proporzioni gerarchiche e la rigidità frontale del tutto innaturale del rinvenute nel Foro Romano (fig. 10-12). Su una è raffigurata una adlocutio imperiale, relativa con ogni probabilità all’istituzione degli alimenta, mentre sull’altra è icasticamente rappresentata la distruzione col fuoco dei registri contenenti le indicazioni dei debiti dei cittadini verso lo Stato. Lo stile è di immediata chiarezza, quasi didascalica, anche qui troviamo sintesi di elementi delle diverse tradizioni dell’arte romana, colta e popolare. Con Adriano assistiamo a decisi cambiamenti nella produzione artistica ufficiale, tradizionalmente considerato filoelleno (fig. 13 suo ritratto, riprende il tema delle statue achillee, come del resto, il ritratto di Traiano, Adriano tuttavia introduce il motivo della barba, che rinvia esplicitamente all’uso dei filosofi greci, e quindi a un costume orientale, si nota il recupero e potenziamento del concetto di sapientia, già fatto proprio da Traiano). Un’altra importante innovazione, sempre legata ai modelli orientali perseguiti da Adriano, è costituita dagli 8 tondi reimpiegati nell’arco di Costantino e assegnabili forse a un edificio connesso al culto di Antinoo, il favorito dell’imperatore, e databile pertanto tra il 130 e il 138 d.C. (fig. 14), tutti i tondi sono, infatti, legati al tema della caccia., esplicito è il richiamo ad Alessandro Magno, di stampo orientale è l’eroismo del principe e la sua esaltazione che vengono espressi mediante un’attività non pubblica, bensì privata. Secondo questa prospettiva vanno lette anche le numerose raffigurazioni di Antinoo, che diventa destinatario di un culto personale appositamente fondato (fig. 15, l’Antinoo Farnese raffigura lo sfortunato favorito dell’imperatore, prematuramente morto in Egitto nel 130 d.C. e da questi subito eroizzato, secondo un modello apollineo che si richiama in maniera diretta alla grande scultura greca del periodo a cavallo tra il V e il IV sec. a.C., come del resto ben dimostra l’equilibrata impostazione chiastica della figura di chiara matrice policletea. Prodotto da quella scuola di Afrodisia, che con il beneplacito e la protezione dello stesso Adriano tanta fortuna avrà nella Roma degli inizi del II sec. d.C.). Rimanda a una concezione della sovranità legata a modelli orientali anche la costruzione della sua enorme villa (fig. 16, Villa Adriana, presso Tivoli, si strutturava lungo 4 direttrici principali: Roccabruna, Canopo, Pecile e Piazza d’Oro, quest’ultimo incentrato su un grande peristilio con salone a pianta mistilinea sul lato orientale, dal quale dipartiva in direzione opposta un’articolata e varia serie di ambienti ed edifici che attraverso altri 3 peristili, ovvero la ‘sala dei pilastri dorici’, il peristilio ‘di palazzo’ e il cortile delle cosiddette ‘biblioteche’, in realtà strutture a carattere residenziale, permetteva di raggiungere il ninfeo. Nell’area orientale di questo primo complesso, si ergeva il ‘Pecile’, un’immensa piazza colonnata di forma quadrangolare, che si innalzava su poderose sostruzioni artificiali note come le ‘cento camerelle’ e formate da decine di ambienti, verosimilmente destinati alle attività di servizio. Attraverso una doppia serie di edifici termali con palestra si giungeva al Canopo, un lungo bacino d’acqua circondato da una ricca serie di sculture, copie di originali greci, che terminava con un monumentale edificio concepito come una grotta a conchiglia, decorata da nicchie, fontane e giochi acquatici, in realtà un triclinio estivo. Del complesso di ‘Roccabruna’, infine, facevano parte un edificio a torre sormontato da una tholos, con copertura a cupola, edifici sacri di difficile attribuzione e la cosiddetta ‘Accademia’, un ennesimo peristilio circondato da edifici e vestiboli riccamente decorati). Anche il Pantheon mostra fantasia architettonica, raffinata ma a volte bizzarra, l’arditezza ingegneristica e la profonda rielaborazione di elementi orientali alla luce della grande tradizione romana costituiscono elementi caratteristici di tutta l’architettura adrianea (fig. 17, tra il 118 e il 128 d.C. Adriano procede alla riedificazione del Pantheon di età augustea, l’edificio doveva presentare la fronte caratterizzata da un’ampia zona circolare scoperta, delimitata da un semplice muro). L’imperatore era uso soggiornare per dei lunghi periodi nelle province orientali dell’impero, la sua presenza qui comportò tra l’altro numerosi interventi architettonici e urbanistici (es. fig. 18, Porta di Adriano ad Atene, tra il 131 e il 132 d.C.). L’arte adrianea si ispira in generale al classicismo, inteso in senso lato, ossia di eclettica ispirazione a diversi modelli e momenti dell’arte greca, i suoi successori se ne distaccheranno. Esemplare, in questo senso, appare la base della colonna Antonina, fatta erigere da Marco Aurelio e Lucio Vero (fig. 19-20, nel Campo Marzio, presso il luogo nel quale era stato cremato il corpo del divo Antonino, Marco Aurelio e Lucio Vero decisero di innalzare una colonna commemorativa, della quale oggi rimangono la base e la parte sommitale in granito rosso), qui sia pur in presenza di gusto classico (anche se meno rigoroso), soprattutto nei rilievi della fronte con l’ascesa al cielo dei divi Antonino e Faustina, si usano contemporaneamente espressioni stilistiche fortemente simboliche soprattutto sulle facce laterali, come le consuete scale proporzionali e la scelta di dividere nello spazio le 2 decursiones dei soldati, che invece sono distinte nel tempo. Il ritratto di Adriano, che si stacca in maniera netta da quello del suo predecessore, esercita un’influenza decisiva su quelli degli altri imperatori del II secolo, che sviluppano il modello esasperandone le caratteristiche di fondo. Se con Adriano il tema del contrasto tra parti lisce e luminose del volto e quelle animate dal chiaroscuro della corta barba e dei capelli, trova un equilibrio nella forte matrice classicista, con Marco Aurelio e ancora di più con Commodo (fig. 21-22, Commodo come Ercole porta la leontè, i pomi delle Esperidi e la clava), il ritmo quasi frenetico delle masse dei capelli e della barba, sempre più lunghe, diventa la caratteristica dominante, che vuole trasmettere l’idea di forza e vigore del sovrano (uso profondo del trapano). La propaganda imperiale continua con l’erezione della colonna Aureliana, innalzata in Campo Marzio, presso il tempio di Marco Aurelio e Faustina, terminata nel 193 d.C. (fig. 23, composta da 19 rocchi ove si descrivono le campagne germaniche condotte da Marco Aurelio tra il 171 e il 173 d.C. e le vittorie orientali ottenute nel biennio 174-175 contro i Quadi e i Sarmati. Anche qui compaiono scene di vita quotidiana delle legioni, le scelte stilistiche adottate sono lontane dalla fluidità ellenistica che caratterizza il fregio traianeo, le figure appaiono ora più dense, fortemente sottolineate da un uso del trapano che accentua la resa volumetrica in una sintesi che sfocia in un teso illusionismo, anticipando le soluzioni di contenuto e di forma che caratterizzeranno l’arte della tarda antichità). E’ una colonna coclide istoriata che richiama esplicitamente il modello traianeo, il linguaggio formale tuttavia rispecchia i cambiamenti profondi che sono già in atto nei ritratti imperiali, si cerca un effetto espressionistico a scapito anche del senso naturalistico e della fedeltà all’organicità della forma. Anche dal punto di vista della committenza privata, il II sec. d.C. vide notevoli cambiamenti. Tra questi va segnalato con grande enfasi il mutamento delle forme dell’abitare. Assistiamo alla progressiva sparizione della domus ad atrio, sostituita perlopiù da complessi sviluppati in alzato e composti da diversi appartamenti, minore è il tono di ricchezza e di lusso esibito. Si allargava, dunque, la fascia sociale che disponeva di una residenza di un certo decoro, e quindi anche la committenza della decorazione pittorica, almeno di quella a costi più contenuti. A livello pittorico l’interno delle case vede una progressiva semplificazione dei modi compositivi, la parete cessa di essere altro da sè, ma costituisce semplicemente il supporto di una decorazione concepita come tale. Rimane ancora viva, però, la tendenza alla tripartizione, verticale e orizzontale, con l’enfasi maggiore posta nella porzione centrale. Questa semplificazione procede in maniera univoca un pò ovunque (fig. 24, ambiente V della casa delle Muse ad Ostia, e fig. 25, insula di Giove e Ganimede sempre a Ostia, soprattutto qui notiamo un processo di disarticolazione ornamentale, vi è perdita di raccordo logico tra i veri elementi, perdita di profondità, bruschi contrasti cromatici, si denota una qualità modesta dei pittori). Anche relativamente ai soggetti ritratti, ci si allontana dal naturalismo classicista, avvicinandosi a un vivo pittorismo (fig. 26, quadretto dalle terme di una casa di via dello Statuto a Roma, metà del II sec., le singole figure sono rappresentate sinteticamente con rapide pennellate, che non si fermano ad analizzare l’organicità di ciascun elemento, ma suggeriscono con immediatezza un’azione e un’atmosfera). Gli esiti finali di queste tendenze sfoceranno in rese sostanzialmente disegnative. Questo nuovo stile trova ulteriore conferma nell’ambito funerario (es. fig. 27, tomba ipogea di Caivano, vicino Napoli, di età traianea, e fig. 28, pittura da una tomba di via Portuense a Roma, qui alla disposizione paratattica e all’uso di diverse scale proporzionali, espedienti tipici, come già più volte detto, dell’arte di tipo simbolico, si affianca la tendenza a definire in maniera rapida e sintetica le figure, sentite soprattutto come macchie di colore). Comunque per avere l’idea della varietà artistica di questo momento occorre considerare un esempio diverso, che mostra, invece, la volontà di aderire ancora alla tradizione del IV stile, è il caso della tomba dei Pancrazi a Roma di età adrianea (fig. 29, sulla volta sono raffigurati grandi riquadri a soggetto mitologico, tutti riconducibili al tema della morte e dell’apoteosi del defunto, mentre le lunette si presentano articolate in architetture prospettiche con soffitti a cassettoni, compare, inoltre, una ricca decorazione accessoria di medaglioni, pannelli con grifi, geni alati, candelabri ecc...). Nel mondo funerario si afferma la sepoltura a inumazione (già dalla fine del I sec.) dando inizio così a un’intensa produzione di sarcofagi che, pur imitando prototipi dell’Asia Minore, assunse ben presto caratteristiche peculiari. A soggetti escatologici si affiancano soggetti che vogliono esaltare l’estrazione sociale del defunto (es. fig. 30, sarcofago Amendola, prima metà del II sec. d.C., richiami chiari ai modelli pergameni, rappresenta una battaglia contro i barbari, la volontà generale è quella di esaltare il defunto attraverso paradigmi eroici). Presenta invece un allentamento del tessuto e del ritmo compositivo e la tendenza ad una semplificazione del modellato, un sarcofago dionisiaco della seconda metà del secolo II d.C., che risulta tipico di una vasta produzione urbana (fig. 31, qui il tema dionisiaco sembra esprimere la speranza di una vita oltre la morte). E’ evidente che allontanandosi dai soggetti colti (mitologici o di tradizione, come le battaglie contro i barbari), i modi simbolici della cosiddetta ‘arte plebea’ emergono subito, come, ad esempio, accade nel rilievo con scene del circo da Foligno, fig. 32, qui vi sono figure tozze e rese sinteticamente tramite l’accostamento di masse geometrizzanti, sono disposte su due file parallele, e anche le proporzioni sono assolutamente non naturalistiche, il tutto è visto sotto una prospettiva di tipo marcatamente didascalica. 9. Città e cultura figurativa nelle province dell’impero Si assiste in questo periodo a una profonda romanizzazione delle province occidentali dal punto di vista culturale e urbanistico. Alcuni esempi: l’arco onorario di Alcàntara (Spagna), fig. 1, venne dedicato a Traiano da 13 comunità limitrofe della Lusitana nel 103-104 d.C.; fig. 2, Porta Nigri a Treviri, capoluogo della Gallia Belgica, databile all’ultimo venticinquennio del II sec. d.C. (la città assunse un ruolo difensivo contro la pressione delle tribù germaniche); fig. 3, Anfiteatro di Nimes (presenta il consueto sistema a 2 piani di arcate sormontate dall’attico e inquadrate da un ordine incassato di colonne al livello superiore e di pilastri al piano terra, con capitelli tuscanici sorreggenti le trabeazioni sporgenti). Il fenomeno della romanizzazione appare molto più sfumato nelle province orientali, che godevano di per sé di una secolare tradizione culturale e urbanistica, comunque sia, Roma non rinunciò nemmeno qui a lasciare la propria impronta. A partire dal II sec. d.C. assistiamo, in realtà, all’instaurarsi di una cultura sempre più ‘transnazionale’ fatta di scambi, influenze reciproche, nata dall’incontro di diverse identità. Il mondo delle province orientali rimane, comunque, più legato all’arte classica ed ellenistica, mentre le province occidentali sono più vicine alla tradizione artistica locale, collegata a linguaggi espressivi di tipo simbolico, che nel tempo sono venuti a contatto con l’arte greca, classica ed ellenistica, assumendola però in maniera di volta in volta molto diversa reinterpretandola (es.: - fig. 4 ritratto virile da Aquileia, fondata nel 181 a.C., la ritrattistica di destinazione essenzialmente sepolcrale appare legata alla corrente figurativa delle province danubiane, dal Norico alla Pannonia, molto vicina al linguaggio artistico ‘plebeo’, ignorando i canoni del naturalismo ellenistico, i tratti fisionomici sono fortemente caratterizzati, lontani dall’idealizzazione; - fig. 5 busto femminile, databile alla fine del I sec. d.C. da Siviglia, rispetto alle restanti province occidentali l’arte della Spagna romana presenta caratteri più netti di originalità, dovuti da un lato a un sostrato culturale di elevato livello qualitativo, influenzato dai canoni ellenistici, dall'altro alla precoce romanizzazione della regione. Si ha quindi una forte ricezione dell'arte ufficiale romana rivissuta però secondo i modi della tradizione figurativa iberica, forte caratterizzazione somatica soprattutto per le acconciature adattate alle fogge del luogo; - fig. 6 stele con cavalieri e ritratti da Sandanski, Bulgaria, diversamente da quanto avviene nelle province d’oltralpe di Illiria, Norico e Pannonia, nella scultura funeraria della Tracia, come pure in Macedonia e Moesia che costituiscono in età romana una sorta di unità culturale, alle raffigurazioni di mestieri e a quelle militari di soldati in armi, vengono preferite le stele riproducenti numerose teste-ritratto della famiglia. A esse si aggiunge a partire dal II sec. d.C. l’immagine sacrale del cavaliere trace, cui viene assimilato il morto eroizzato: così la stele di Sandansky, dalla tipica forma arcuata, presenta al di sopra della base allargata con tre teste ritratto, l’immagine del cavaliere al galoppo, accompagnato da un cane e impegnato a cacciare un cinghiale, si riprende un modello iconografico greco. Dal punto di vista stilistico le forme dei volti sono quelle tipiche del linguaggio popolare, schematiche e geometriche, ma non prive di un pur approssimativo intento ritrattistico). Non mancano riprese più aderenti al classicismo, soprattutto per l’impostazione delle figure e nel panneggio, come ad esempio: - nella Stele di Albinus Asper da Neumagen, fig. 7, da Treviri, il monumento fu eretto da Albinus, per sé e per la moglie, la coppia coniugale veste abiti tipici da cives romani, l’impostazione delle figure, così come la resa dei panneggi, conserva le forme corrette e fredde lavoro dei campi. Questo mosaico appartiene alla grande produzione di tappeti musivi pavimentali che avrà in questo secolo larghissima diffusione, opere riferibili all’ambito privato, destinate principalmente alla decorazione di domus e villae. In campo pittorico ritroviamo le stesse tendenze, nel III sec. d.C. continua anche quel fenomeno di astrazione dell’articolazione architettonica dipinta sulla parete, che si trasforma definitivamente in un sistema di semplici linee, funzionali alla suddivisione dello spazio da decorare, come appare per esempio nella Villa Piccola sotto San Sebastiano a Roma (fig. 13). Di contro si assiste alla nascita di grandi scene unitarie, legate in generale a temi destinati alla celebrazione del committente, es. fig. 14 dalla Domus Praeconum. Si diffondono sempre più scene a carattere religioso inerenti religioni salvifiche di origine orientale, come accade per la decorazione del mitreo Barberini a Roma, fig. 15, qui si inscena l'uccisione del toro da parte di Mitra, in abiti orientali, accompagnato come di norma dallo scorpione, dal serpente che si drizza contro un cane e da 2 dadofori. Esempio proveniente da più lontano, dalla Siria, la grande decorazione pittorica della sinagoga di Doura Europos (fig.16, qui è conservato il più grande ciclo pittorico ebraico dell'antichità, del 245 d.C. circa, mette in scena numerosi episodi tratti dall'Antico Testamento, vi compare tra l'altro la scena di sacrificio di Isacco, le scene sono disposte in sequenze paratattiche, prive di ambientazione paesistica e naturalistica, se non per l'essenziale alla narrazione, sono rappresentate in uno stile piatto e lineare, con figure poste sullo stesso piano, in posa frontale, senza accenni prospettici). Il ritratto di Diocleziano (fig. 17, fondatore della tetrarchia, caratterizzato da tratti energici e sintetici che, atti a esprimere la grande forza dominatrice dell'imperatore, non nascondono i segni dell'età, la ricerca di espressività è perseguita anche mediante l'alterazione dei tratti fisionomici) è concepito secondo una prospettiva fortemente espressionista, teso a impersonare una psicologia tormentata e profonda, secondo i modi della ritrattistica imperiale di tutto il secolo. Il grande palazzo costruito a Spalato da Diocleziano (fig. 18-19, costruito in Dalmazia tra il 300 e il 306 d.C., ha un possente muro di cinta che alterna torri quadrate a quelle ottagone poste in corrispondenza delle porte, da queste si dipartono le vie colonnate che, incrociandosi al centro, dividono lo spazio in 4 settori rettangolari. I 2 quartieri settentrionali, incentrati su peristili concentrici, erano di servizio e di accasermamento della guardia imperiale. Il settore meridionale si articola in 2 parti: sul lato interno si fronteggiano l'edificio templare tetrastilo che, destinato al culto della divinità che proteggeva l'imperatore, forse Giove, sottolinea la sacralità della figura imperiale e il mausoleo ottagonale, che forma così un'unità ideologica e formale con il palazzo) presenta la contaminazione del tipo del castrum con quello della villa, si delinea infatti come residenza fortificata di un sovrano assoluto. Del resto tutta l'architettura ufficiale della fine del secolo, anticipando la realtà tardoantica, presenta un evidente gigantismo degli spazi e delle forme, al fine ancora una volta di suggestionare con forza lo spettatore (vale lo stesso per la basilica di Massenzio, fig. 20, utilizzata per l'attività giudiziaria del praefectus urbi, dal punto di vista strutturale mostra chiare analogie con le sale centrali utilizzate come frigidari dei grandi edifici termali imperiali). Altre 2 opere assegnabili alla fine del III sec. incarnano bene la sensibilità e le istanze di questa fase, aprono anche il momento ormai definito comunemente come tardoantico, ossia i rilievi sulle mensole delle colonne porfiretiche provenienti da Costantinopoli con la raffigurazione dei tetrarchi (fig. 21) e i rilievi superstiti dell'arco quadrifronte di Galerio a Salonicco (fig. 22). Nei primi risulta ben evidente la nuova esigenza ideologica e propagandistica di diffondere l'idea di una rinnovata stabilità e coesione dell'impero attraverso lo spirito unitario dei tetrarchi. La necessità dell'immediatezza e dell'efficacia espressiva, che punta all'estrema evidenza del gesto, e l'uso del simbolo. Nell'abbraccio solidale tra i sovrani si vuole esprimere il legame indissolubile delle varie regioni dell'impero. Anche i rilievi dell'arco di Salonicco (commemora le vittorie riportate sui Parti) sono pienamente iscrivibili nel cosiddetto rilievo storico-narrativo, i sovrani in rigidità frontale, raffigurati con dimensioni maggiorate, che appaiono in un contesto universale definito da Tellus e Oceanus, oltre che da una serie di divinità del pantheon olimpico, esprimono il potere del mondo ultraterreno. 11. L'arte del mondo tardoantico L'età tardoantica raccoglie e unifica in una nuova sintesi, in particolare dal punto di vista artistico, le diverse istanze che, massime durante il III sec., avevano già percorso in precedenza il mondo romano. Costantino sposta la capitale in Oriente, con la fondazione di Costantinopoli, rendendo manifesto il ruolo vivo e trainante dell'impero orientale rispetto alla crisi che non abbandona la parte occidentale. Roma perde in pratica molto del suo potere mentre rimane piuttosto uno splendido teatro, sovente rinnovato dal grande valore simbolico per l'apparizione dei sovrani, che cercano in essa la legittimazione formale e propagandistica del loro potere. L'ingresso di popolazioni cosiddette barbare nei territori dell'impero, fa aumentare la diversità delle forme sociali, culturali e dei linguaggi espressivi. Il perdurare della crisi economica, lo sfaldamento istituzionale con la conseguenza di una presenza del potere ufficiale sempre meno regolare, nonchè la generale sensazione di insicurezza crearono un clima diffuso in cui le istanze irrazionali della natura umana videro un'enfasi e un ruolo maggiori rispetto alle risorse razionali. Un esempio significativo è dato dal largo successo delle religioni orientali a carattere iniziatico e salvifico, tra cui il cristianesimo. Ora più che mai la concezione soprannaturale del potere si lega al prevalere dell'irrazionale, il suo svelarsi è sempre accompagnato da una ritualità solenne e complessa, che si definisce in una vera e propria liturgia, funzionale a metterne in evidenza la qualità divina. Aumenta il simbolismo che si presta meglio alla nuova situazione, il linguaggio classicistico vede un'applicazione sempre più ridotta, con la sua visione naturalistica appare ora inadeguato per la rappresentazione di una realtà non più misurabile con un canone proporzionale e ideale unitario; la realtà, infatti, si presenta ora piuttosto come una dimensione cifrata, in cui le cose e le persone sono segni e simboli delle forze misteriose e soprannaturali, e nella quale ogni cosa esiste in funzione di una precisa e rigorosa gerarchia, rispecchiata nell'organizzazione sociale. Appare facile, quindi, da capire perchè in età tardoantica anche l’arte ufficiale si rivolga in maniera costante al filone simbolico dell’arte romana, la cosiddetta ‘arte plebea’, portandone all’estremo compimento tutte le possibilità. Naturalmente non si tratta di un fenomeno univoco (non mancano infatti casi di recupero classicista). Uno straordinario esempio della pluralità dei modelli, ma insieme della forza dell’espressione simbolica, è offerto da uno dei primi monumenti ufficiali dell’arte tardoantica, ossia l’arco di Costantino (fig. 1-4, del 315 d.C. per celebrare la vittoria riportata da Costantino su Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio, del 312). Con i suoi 3 fornici si inserisce nella tradizione dei grandi archi trionfali, da una parte ci troviamo di fronte a un vivo impulso classicista, concretizzato in primo luogo nell’utilizzo nell’arco di rilievi provenienti da altri 3 monumenti ufficiali, assegnabili rispettivamente all’età di Traiano, Adriano e Marco Aurelio, questo forse per richiamarsi fra gli optimi principes del secolo d’oro di Roma. Di età costantiniana sono invece i rilievi con Vittorie e barbari o i tondi con Luna e Sol, sono rilievi di tipo storico narrativo, vi è la scena della partenza dell’esercito, assedio, battaglia e infine si culmina con le scene ambientate nel Foro Romano con l’oratio e la liberalitas. Per la prima volta l’arte plebea viene compiutamente assunta in un monumento ufficiale per rappresentare momenti della vita pubblica, anche non militare dell’imperatore. L’intento didascalico è ben evidente nelle scene di battaglia dove è stata abbandonata ogni forma di prospettiva naturalistica, sostituita da una rappresentazione simbolica dello spazio, non solo di lettura più facile e immediata, ma anche emotivamente più intensa. Nelle 2 scene del Foro costituite intorno alla figura dell’imperatore, che funge da asse di simmetria, la rappresentazione spaziale è subordinata non solo alla ricchezza della lettura, quanto soprattutto all’espressione immediata e simbolica della gerarchia dei protagonisti (anche qui proporzioni gerarchiche). In particolare nella liberalitas l’imperatore è raffigurato ormai come un dio, in immobilità frontale, di dimensioni superiori, seduto su un alto seggio, ‘appare’ piuttosto che ‘agire’, dal momento che proprio l’apparizione, l’epifania, è l’azione peculiare della divinità. Notiamo inoltre la mancanza di precisione relativamente ai dettagli realistici, conta maggiormente l’atteggiamento delle figure, sempre icasticamente accentuato e teatralizzato. L’ultima fase dell’età costantiniana e quella del regno di Teodosio, sono caratterizzate entrambe dal tentativo, svolto con diversa sensibilità, di un’adesione più forte ai modelli derivanti soprattutto dall’arte medioimperiale. Si parla a questo proposito di ‘rinascenza costantiniana’ relativamente alla discreta ripresa dei modelli classici, in realtà appare un pò forzato come concetto ma spiega l’effettivo dualismo tardoantico, esplicitato in maniera adeguata nella testa-ritratto colossale di Costantino (fig. 5, posta nella basilica di Massenzio, databile al 330 d.C., mostra il superamento della rigidità e del geometrismo volumetrico tipici della ritrattistica tetrarchica e il ritorno a forme più naturalistiche, di ispirazione classica, sebbene rivissute con una sensibilità nuova), nonostante la generale impostazione classica, l’accentuazione dimensionale degli occhi, la fissità frontale, lo sguardo perduto lontano e verso l’alto, che, scavalcando la realtà terrestre, fissa un rapporto col mondo celeste, esprimono la sostanza tardoantica di un sovrano divinizzato e inaccessibile agli uomini comuni. Lo stesso avviene per, fig. 6, il colosso di Barletta. Il processo di trasformazione del volto del sovrano in icona, prevede un meccanismo di idealizzazione, o meglio di astrazione dei tratti somatici, a tutto vantaggio della ieraticità del volto, espressa tramite la fissità dello sguardo e la sua dilatazione, che rende molto simili tra loro i ritratti di principes diversi. Un tipico esempio di questo processo è dato dalla testa-ritratto di un imperatore della dinastia di Teodosio, databile tra il IV e il V sec. (fig. 7). Tutto ciò vale anche per le immagini intere dell’imperatore e dei suoi familiari, ne sono un chiaro esempio i rilievi della base dell’obelisco dell’ippodromo di Costantinopoli, del 390 d.C. (fig. 10), anche in questo caso assistiamo a una sorta di sublimazione della realtà corporea dell’imperatore. Assai significativo appare lo straordinario piatto in argento, di età teodosiana, rinvenuto in Spagna e riconducibile ai donativi di altissimo livello scambiati tra l’imperatore e i personaggi di rango elevato a lui più vicini (fig. 11, ambientazione idillico-agreste, lo schema iconografico usato è nettamente classico), ancora una volta il sovrano costituisce il centro della scena e insieme l’asse di simmetria di una composizione che non si preoccupa più di una resa spaziale naturalistica. La rappresentazione è, invece, ancora tutta classicista nei volti di alcune donne della famiglia di Costantino, intente alla toeletta, nell'affresco di un soffitto del palazzo imperiale di Treviri (fig. 12). Nella ritrattistica privata notiamo le stesse tendenze, lungo l’intero arco della tarda antichità, ma con tendenze a volte peculiari (fig. 8, ritratto maschile, fornisce un’utile esemplificazione del rapporto meno stretto che si era venuto a instaurare, a partire dall’epoca costantiniana, tra la ritrattistica imperiale e quella privata; l’effige del sovrano non costituisce più, come nei primi 3 secoli del principato, il modello di riferimento da imitare pedissequamente, tanto nella moda dell’acconciatura quanto nella resa dei tratti fisionomici, in ambito privato. Così anche qui la volontà di individuazione personale appare più marcata, forma rettangolare e allungata del volto, la fronte alta e leggermente corrugata, le borse sotto gli occhi, la barba appena accennata e la verruca sulla guancia destra, nonostante la compostezza mimica e la fissità dello sguardo richiamino la moda ufficiale. Fig. 9, lo stesso lo notiamo nel ritratto cosiddetto “Eutropius”). I nuovi termini della concezione del potere esistono non solo per l'imperatore, ma anche per personaggi di alto rango, ad esempio nel dittico di Probiano, del 400 d.C. circa, il protagonista è rappresentato in trono secondo lo schema iconografico e le caratteristiche formali adottate per l'imperatore (fig. 13). Anche nel piatto argenteo il console Ardabur Aspar, assegnabile alla prima metà del V sec. d.C., mostra caratteristiche analoghe a quelle delle rappresentazioni imperiali (fig. 14), ovvero la rigida frontalità, le dimensioni maggiorate, la fissità del protagonista principale. Commistione di vecchie e nuove tendenze trovano la medesima applicazione anche in altri settori della produzione artistica, ad esempio nella pittura, ad esempio, con la decorazione della parete di fondo del sepolcro di Trebio Giusto (fig. 15-16, iterazione della figura di Trebio, che al centro di ogni scena domina i 3 registri in cui è divisa la parete). Anche nella coppia di scene figurate nella sala basilicale della domus di Giunio Basso, a Roma, della prima metà del IV sec. (fig.17-18), mentre la scena di argomento mitologico, relativa all'episodio di Ila e le Ninfe, viene eseguita con un intento e con modi classicisti, per quanto pervasi, ovviamente, della rinnovata sensibilità tardoantica, l'immagine del committente risponde alle esigenze di autocelebrazione e di esaltazione, adottando pertanto le forme del linguaggio simbolico. I soggetti mitologici o allegorici vengono di volta in volta adoperati in maniera diversa a secondo dell'esigenza, la tendenza è quella di reinterpretare. Anche il vassoio proveniente da Corbridge, fig. 19, della seconda metà del IV sec., mostra una derivazione classicista nella rappresentazione delle singole figure di divinità, eseguite, però, in maniera disegnativa, lasciando trasparire, quindi, una sensibilità tardoantica, non naturalistica, evidente anche nella composizione dell'intera scena figurata e la resa spaziale, con l'inspiegata sequenza di animali nella parte inferiore. Una più ferma adesione alla sostanza classicista appare nel grande fregio in marmo con le fatiche di Eracle, proveniente dalla villa di Chiragan, Francia meridionale, datato al IV sec. d.C. (fig. 20). L’attenzione per l’analisi anatomica, la sensibilità per una resa volumetrica delle figure, la plasticità ancora intensa del rilievo conducono a una realizzazione ancora permeata di vivo classicismo. Analogo discorso va fatto per il dittico in avorio dei Simmaci e dei Nicomaci, sporgeva con 2 nicchie rettangolari, al centro era un’abside che inquadrante il martyrium petriano, recintato da una pergola a 6 colonne tortili decorate a bassorilievo con tralci di vite, richiamava, anche ideologicamente le aule absidate delle dimore imperiali. La planimetria pare strettamente connessa alla pianta del circo, di cui si rimettono in gioco i complessi valori simbolici (es. fig. 44, il mausoleo detto di Tor Pignattara, dedicato alla memoria dei ss. Pietro e Marcellino, l’edificio costituisce un’importante testimonianza di una specifica tipologia basilicale, “a deambulatorio” o “circiforme”, destinata al culto martiriale; la pianta è infatti allungata con l’abside finale circondato dalle navate minori, così come il nartece, che serve da ingresso sia alla basilica che al mausoleo a est, è disposto obliquamente allo stesso modo dei carceres del circo). Chiese e basiliche furono decorate di norma con mosaici e pitture parietali, funzionali, oltre che a raffigurare didascalicamente episodi cruciali della tradizione cristiana, a esaltare la figura della divinità concepita e rappresentata in generale attraverso le medesime categorie connesse al concetto supremo e assoluto che erano state tipiche fino a questo momento delle figurazioni dell’imperatore (fig. 45, mosaico dell’abside della chiesa di Santa Pudenziana, Roma; fig. 46, mosaico dell’arco trionfale, particolare dell’Etinasia, basilica di Santa Maria Maggiore, Roma). Va segnalato che anche la ritualità legata alla gestione dell’immagine del sovrano ebbe un ruolo fondamentale nella formazione della sontuosa cerimonialità collegata al culto cristiano. Accanto a questa produzione di alta qualità ce n’è una di livello più basso legata alla vita quotidiana: lucerne, coppe, bicchieri, che, ugualmente, recano decorazioni con simboli o soggetti cristiani, destinate però a persone comuni. Occasioni, luoghi e fonti dell’ispirazione artistica La nascita di Roma Le informazioni che ci derivano dalle fonti antiche, relativamente alla nascita di Roma, fanno riferimento soprattutto alle tradizioni mitiche, ad esempio raccontano la storia dei reduci troiani guidati da Enea che, giunti a Lavinio, fondano Alba Longa da cui si origina la dinastia regale che giungerà fino a Romolo, ricordato di volta in volta come figlio o nipote dello stesso Enea. I 2 gemelli, Romolo e Remo, sarebbero poi stati accolti nella grotta del Lupercale presso il Tevere dal pastore Faustolo e allevati dalla celebre lupa (fig. 2). Su un altro versante le fonti, Tacito, ma anche Catone, Ovidio e Plutarco, descrivono la fondazione della ‘Roma quadrata’ di Romolo attraverso il sulcus primigenius che include il mundus o umbilicus urbis, una sorta di punto o asse sacro posto al centro della città in grado di mettere in comunicazione la sfera sotterranea con quella celeste, e che dà origine al pomerium, la fascia libera da costruzioni, ritenuta il vero confine sacro della città. Secondo la tradizione i 4 vertici del pomerium Romuli corrispondono all’Ara del dio Conso, all’Ara Maxima di Ercole, alle Curiae Veteres e al Sacellum dei Lari, presso l’atrium Vestae (fig. 3-4). La città viene, dunque, fondata con un atto religioso a seguito del consenso degli dèi che si esprime attraverso l’avvistamento di auspici favorevoli da parte dell’augure Romolo (fig. 5), corrispondenti all’osservazione del volo degli uccelli nella parte ‘giusta’ del cielo (pratica rituale di derivazione etrusca). E’ chiaro, in ogni caso, che la fondazione di Roma viene immaginata come un atto unico e senza ritorno, anche se l'ulteriore narrazione della storia dei sette re etruschi, tra il 754 e il 509 a.C., introduce una gradualità nella costituzione delle strutture politiche, sociali e territoriali della città. La documentazione archeologica ci permette di affermare che almeno a partire dalla fase appenninica, tra XIV e XIII sec. a.C., ci furono frequentazioni umane, vista la ceramica rinvenuta sul Campidoglio e nell'area del Foro Boario. Al Bronzo recente risalgono invece ritrovamenti ceramici sul Palatino e nell'area del Foro. La cultura laziale si sviluppa nel corso della prima età del Ferro. Nel corso del IX sec. a.C. assistiamo, infatti, alla crescita di diversi abitati laziali (Acquacetosa Laurentina, Decima e Satricum). La data convenzionale della fondazione di Roma risale al 754-753 a.C., da questo momento in poi si avviano una serie di importanti modifiche nell’assetto urbanistico: trasferimento e unificazione delle necropoli dall’area del futuro Foro verso zone periferiche presso l’Esquilino e il Quirinale, inizia la circolazione di ceramica greca, appaiono le prime tombe principesche. Nel corso dell’VIII secolo le pendici settentrionali del Palatino vedono la distruzione delle precedenti capanne e la costruzione di un muro fortificato, ricostruito poi agli inizi del VII sec. a.C., in questo periodo inizia la frequentazione presso l’area del Comitium, affiancato in seguito dalla Curia e dal Volcanal, e della Domus Regia (= casa dei re, fig. 7) che verrebbero così a marcare le estremità dell’area poi occupata dal Foro (fig. 6). All’interno della Regia era custodito il culto di Marte e di Ops Consiva, protettrice delle messi e della ricchezza accumulata, forse vi trovava posto anche il culto dei Lares, protettori degli antenati. Alla fine del VII sec. a.C. risalgono anche le cosiddette Curiae veteres (vi si riunivano i cittadini divisi nelle 30 curiae) da qui una strada doveva salire tra il Palatino e la Velia per raggiungere la zona della Domus regia e del santuario di Vesta. L’epoca della monarchia etrusca apporterà nuove modifiche, tra cui la nascita di sontuose abitazioni lungo la Via sacra. (Gli argomenti relativi: ai primi abitati in ambito laziale, alla fondazione di Roma e alle trasformazioni dell’assetto urbanistico di Roma in età monarchica etrusca, sono trattati anche nei cap. 1 e 2 della sintesi). Il tempio etrusco-italico e i doni votivi La nozione antica di templum non corrisponde al significato moderno di tempio che ricalca invece quello di aedes. Un tempio può non corrispondere a un templum antico e viceversa. La casa del dio, o aedes, può avere una forma quadrangolare ed essere consacrata tramite la cerimonia degli auspici da parte degli auguri: in questo caso coincide con il templum, se invece possiede, ad esempio, una forma circolare, sarà priva del valore di templum. Quest’ultimo corrisponde a una porzione della volta celeste che gli àuguri delimitano, agendo allo stesso modo di Romolo e Remo durante la presa degli auspici per la fondazione di Roma, e riportano simbolicamente in terra, dopo aver ricevuto l’assenso degli dèi segnalato dall’avvistamento di uccelli nella parte propizia del cielo. Questo spazio diventa allora effatus et saeptus, cioè liberato da presenze negative attraverso formule orali rituali ed efficaci e orientato secondo i punti cardinali, nonchè inauguratus, cioè reso sacro mediante la giusta procedura degli àuguri: qui sorge il podio che eleva la casa del dio verso il cielo e che la differenzia profondamente dal tempio greco. L’idea di templum in origine appare anche come uno spazio libero ritagliato entro il lucus, cioè il bosco sacro. La aedes in quanto templum prevede anche una divisione interna in pars antica, corrispondente alla zona del pronao segnata dalla presenza di colonne, e una pars postica relativa all’area posteriore ospitante le 3 celle con le statue (=signa) delle divinità (ricostruzione di tempio tuscanico, fig. 1). Uno degli esempi più antichi di tempio tuscanico è costituito dal tempio di Giove Capitolino eretto a Roma nel corso del VI sec. a.C. (argomento approfondito al cap. 2 della sintesi) . Accanto alla aedes ad alae, che prevede un’unica cella nella pars postica, avvolta da uno spazio libero (fig. 2), troviamo il periptero sine postico (fig. 3), che intende riprendere l’idea del colonnato periptero del tempio greco che circonda completamente l’edificio. La costruzione di un tempio prevede una serie di atti, tra i quali il primo è il votum da parte di un magistrato cum imperio, successivamente la locatio implica la scelta dell’area destinata al tempio, una volta terminata la costruzione, l’atto giuridico della dedicatio da parte dei magistrati e la consecratio religiosa, da parte del pontefice, sanciscono il passaggio definitivo del tempio a favore della divinità. Con l’avvento dell’Asiatica Luxuria (tra III e II sec. a.C.) l’architettura religiosa subisce varie modifiche, quella più evidente è l’introduzione del capitello corinzio (=simbolo dell’architettura sfarzosa ellenistica), nasce poi il modello dello pseudoperiptero (es. fig. 4, la cella si allarga in modo tale da addossare i muri laterali al colonnato esterno), inoltre, nel corso del I sec. a.C., appare la cosiddetta cella trasversale (l’ingresso è spostato su uno dei lati lunghi cui viene addossata la scalinata centrale, es. fig. 5). Verrà, inoltre, introdotta la tholos ellenistica a pianta circolare (fig. 6). L’altare veniva solitamente posto all’esterno del tempio in posizione assiale dinanzi l’ingresso, è qui che si svolgeva il sacrificio, mentre il tempio vero e proprio era sentito come la casa del dio. All’interno venivano contenuti anche tutti gli arredi sacri necessari alle cerimonie di culto, gli ex voto dei fedeli, ma potevano anche ospitare strutture pertinenti alla pubblica amministrazione; ad esempio, il tempio di Saturno ospitava l’aerarium pubblico, il tempio delle ninfe, invece, nel Campo Marzio ospitava la sede degli archivi necessari alle frumentationes. A seconda dell’epoca, rinveniamo nei santuari, numerose produzioni di ex voto, di valore e di qualità molto diverse tra loro (es. fig. 7-8). (Temi trattati anche nei cap. 3-4 della sintesi). La casa L’abitazione del dominus, nella sua antica accezione, non corrisponde al concetto moderno, era una parte integrante per la definizione di una propria immagine sociale vincente, in funzione della personale affermazione e sulla base dei propri valori culturali, ideali e religiosi. La casa era articolata in maniera che i suoi percorsi e la disposizione dei vani costituissero un filtro attraverso cui venivano selezionati gli ospiti, da quelli più importanti (aree più sontuose e interne) a quelli di minor riguardo (=pars publica dove tutti potevano entrare). Anche la posizione della casa all’interno del tessuto urbanistico era significativa. Appartenevano a un rango inferiore le cosiddette cenacula equestria, ovvero appartamenti eleganti, di livello ancora più basso erano le tabernae cum pergolis, che univano allo spazio destinato all’esercizio commerciale anche un soppalco a funzione abitativa. Nonostante l’esiguità di ritrovamenti archeologici sappiamo che c’era la volontà, da parte delle classi medie, di emulare, almeno in alcune caratteristiche, le abitazioni delle classi superiori. La tipologia di abitazione più diffusa era quella ad atrio (fig. 1, tra Palatino e Velia, sembra costituire un precedente diretto della casa ad atrio, databile al terzo quarto del VI sec. a.C.). Pompei ci restituisce numerose testimonianze abitative che ci permettono in qualche modo di seguirne l’evoluzione, ad esempio, la Casa del Chirurgo (fig. 2), databile nella sua prima fase al IV sec. a.C., costituisce una delle più antiche dimore conosciute, la struttura si articola in fauces-atrium-tablinum oltre a uno spazio verde hortus (l’atrium era il centro della casa, nel tablinum il pater familias riceveva i clientes). Successivamente si avranno sempre più influenze di provenienza greco-orientale (anche negli edifici pubblici), le piante si complicano (si moltiplicano i triclinia e gli oeci e dietae, ovvero sale polifunzionali, inoltre, le dimore più ricche si dotano di quartieri termali) e le decorazioni pure con l’ingresso dei cosiddetti stile I e II (anche cap. 5 della sintesi), s’introdurrà anche l’uso frequente di colonne preso in prestito dall’architettura pubblica che dà una resa di magnificenza. Dal punto di vista architettonico il fenomeno più evidente (nel corso del II sec. a.C.), è quello dell’aggiunta del peristilio alle case dei ceti medio-alti, ossia di un più o meno ampio spazio scoperto, tenuto a giardino, circondato da un porticato, era l’area più riservata ove si invitavano solo gli ospiti più esclusivi. La casa dei Diadumeni (fig. 3) a Pompei, della seconda metà del II sec. a.C., pone particolare enfasi sull’uso delle colonne attorno ad un impluvium. In questo periodo notiamo la diffusione ai livelli più alti della società pompeiana, di case con una doppia sequenza di fauces-atrium-tablinum, che sfociano in un unico grande peristilio, ne è un esempio la casa del Labirinto (fig. 4). A livello decorativo a partire dagli anni tra il 30-20 a.C. subentra il cosiddetto III stile (cap. 6 della sintesi). Con l’avvento dell’impero si ha il superamento della casa ad atrio, la domus tende ora ad organizzarsi intorno a una corte scoperta o parzialmente, quando non direttamente al peristilio, ne è un esempio una casa da Aquileia, fig. 5, l’atrio è stato qui sostituito da un peristilio, un grande e lussuoso triclinium ha preso il posto del tablinum. Ovviamente il nuovo regime politico ha influenze sull’andamento della vita delle varie classi sociali, le loro esigenze cambiano e tutto ciò si proietta verso nuove impostazioni architettoniche, adesso, infatti, si ha una nuova maniera di ricevere e quindi di relazionarsi con la società all’interno della propria casa. La casa di Octavius Quartio a Pompei (fig. 6), mostra ancora una casa col tipo ad atrio però vi è l’eliminazione del tablinum sostituito da un viridarium, un piccolo ed elegante giardino, mentre difronte vi è uno spazio sacro dedicato al culto di Iside. La parte posteriore è caratterizzata da un portico rialzato rispetto al grande giardino sottostante e attraversato da un euripo (=piccolo canale artificiale), terminante in un ricco oecus. Questo è un esempio della destrutturazione abitativa tradizionale in cui gli spazi verdi, i giochi d’acqua e i vani residenziali caratterizzati da un grande lusso diventano l’elemento principale, in tempi successivi la domus della classe dirigente si trasformerà nel vero e proprio palatium (cap. 7 della sintesi), ossia la residenza di tipo palaziale del sovrano. Relativamente ai ceti meno abbienti, databile alla seconda metà del II sec. d.C., presso le pendici del Campidoglio (fig. 7), ci è pervenuto un caseggiato, dove a piano terra, intorno a una corte porticata, si aprivano una serie di botteghe, mentre gli appartamenti si susseguivano almeno fino al quarto piano. Queste costruzioni, solitamente, sono organizzate attorno ad una corte scoperta che funziona da pozzo di luce e di aria, circondata sui 4 lati da una sequenza di piccoli appartamenti, di 1-3 vani, disposti su più piani, a cui si accede mediante una scalinata centrale. Il caseggiato del Larario ne è un esempio, fig. 8. Il funerale e la tomba E’ a partire dal VI-V sec. a.C. (con la nascita dello stato repubblicano) che i gruppi aristocratici iniziano a valorizzare l’area forense come centro della vita cittadina, qui si innalzano monumenti che esaltano l’essere cittadino romano. Fino alla tarda età repubblicana continua a essere il modello di riferimento per le aree forensi delle altre città (es. fig. 1, Foro di Cosa, fig. 2, Foro di Pompei), non si tratta semplicemente di un’imitazione formale bensì del trasferimento dei medesimi processi rituali e religiosi e quindi anche degli spazi, rigorosamente determinati, destinati a ospitarli (esempi di costruzioni fisse: gruppo Curia-Comitium, la basilica dal II sec. a.C., il tempio cittadino ovvero il Capitolium, il macellum ovvero il mercato, le tabernae ovvero botteghe varie). Il Foro è legato alla storia e alla natura dello Stato, tanto che perderà di importanza proprio col tramonto della repubblica, l’avvento del potere imperiale porterà alla nascita dei primi fori privati, funzionali per l’esaltazione e la propaganda del prestigio personale. I primi cambiamenti in questo senso li notiamo con Pompeo Magno, che tenta di rompere la situazione di equilibrio e di neutralità dello spazio collettivo, costruendo in Campo Marzio una reggia ad uso privato con all’interno spazi ad uso pubblico, ovvero una curia e un teatro (cap. 4 sintesi). L’equilibrio viene definitivamente a rompersi con la costruzione del Foro di Cesare (cap. 4 sintesi), ma già il tempio dedicato a Venus Genetrix, ossia a Venere in quanto progenitrice della gens Iulia, voleva sottolineare l’ascendenza divina e l’antichità della stirpe di Cesare. Non sono altro che fondamentali motivi propagandistici usati da Cesare per porre enfasi, anche da un punto di vista religioso, sulla propria persona, anche la fontana monumentale e la sua statua bronzea al centro della piazza (schemi che si ricollegano, come già detto più volte, a modelli dei sovrani ellenistici). Il medesimo intento e modello architettonico verrà ripreso e enfatizzato maggiormente da Augusto (fig. 5 e cap. 6 sintesi). Anche le colonie risentono a questo punto di tali cambiamenti, l’esempio più appropriato proviene dall’agorà di Atene (fig. 6), il cui schema planimetrico verrà trasformato da Agrippa copiando il modello romano (lo stesso vale per: fig. 8, foro di Augusta Aurica e fig. 9, foro di Dougga). A Roma saranno costruiti altri due Fori: foro Transitorio e il Forum Pacis (fig. 7 e cap. 7 sintesi), dopodichè la serie dei fori imperiali si concluderà con quello di Traiano, nel II sec. d.C. (cap. 8 sintesi). Le colonie Forme di colonizzazione del territorio erano state messe in pratica fin dall’età arcaica e, in particolare tra il VI e i primi decenni del V sec. a.C., si erano formate le priscae Latinae coloniae; l’invio di coloni nei territori sottratti al nemico vinto in guerra permetteva di alleggerire la pressione sociale e politica da parte dei ceti meno abbienti nel quadro istituzionale di Roma, e di ‘romanizzare’ questi territori anche a livello urbanistico, ad esempio con la diffusa pratica della divisione geometrica del territorio scandita dalla centuriatio. Troviamo 2 tipi di colonie che si differenziano per statuto giuridico e per funzione. Le colonie di diritto romano assolvono sostanzialmente a una funzione di tipo militare: si tratta di piccoli insediamenti, composti da circa 300 coloni, posti a controllo della linea costiera come nei casi di Ostia, Anzio, Terracina e Minturnae. Le colonie di diritto latino assolvono, invece, a una pluralità di funzioni: si tratta innanzitutto di insediamenti con un alto popolamento, solitamente compreso entro i 6000 coloni, l’impatto sul territorio circostante è fortissimo dal punto di vista della quantità di terra fertile distribuita agli abitanti, del controllo comunque esercitato nella regione limitrofa, della propagazione di valori politici e culturali nelle comunità italiche, tanto da creare le premesse per il sorgere di fazioni filoromane ben presto inglobate nel quadro politico delle colonie. Le colonie romane almeno nella fase più antica mostrano un apparato urbanistico scarno ed essenziale, basato su un perimetro rettangolare con al centro l’incrocio dei 2 assi principali, il cardo in direzione nord-sud, e il decumanus, direzione est-ovest. Le colonie latine si dotano, invece, di un impianto urbanistico funzionale e complesso adottando modelli greci (es. divisione per strigas o per scamnas dei lotti rettangolari in cui viene diviso lo spazio urbano), vi è il foro centrale con i soliti impianti architettonici: curia-comitium, tabernae, atria ecc... (es. fig. 2, Cosa). Tra il II e il I sec. a.C. le colonie e i municipi assumono sempre più il volto del decoro urbano ellenistico (si moltiplicano portici, santuari, basiliche, spazi per i ludi, rivisitazioni dei ginnasi ecc....es. Alba Fucens, in Abruzzo, fig. 3, santuario di Ercole, fig. 4, altro esempio Pietrabbondante in area sannitica, fig. 5, in tutti e due i casi assistiamo a un’ellenizzazione contemporanea della romanizzazione). Va inoltre sottolineato il fatto che queste colonie erano siti funzionali per la sperimentazione monumentale. Il I sec. a.C. corrisponde a un generale processo di standardizzazione della forma urbis (dal punto di vista giuridico le città sono elevate a municipi i cui abitanti godono della cittadinanza romana) e la rapidità degli interventi è favorita dall’opus caementicium (cap. 4 sintesi) (le porte assumono sempre più la forma di archi trionfali e si dotano di prospetti animati anche da gruppi statuari, es. fig. 7-8). Le residenze imperiali Almeno all’inizio la volontà è quella di trovare soluzioni che almeno in apparenza non contraddicessero la consuetudine, la forza e i significati della tradizione romana, ad esempio, la prima casa di Ottaviano (fig. 1), appare come una tra le tante residenze aristocratiche, sempre molto attento a non mostrarsi come sovrano assoluto. Successivamente costruirà accanto alla domus, in diretta comunicazione, un santuario dedicato ad Apollo (fig. 2 e cap. 6 sintesi), compiendo una scelta che si riferisce direttamente ai modelli dei palazzi dei sovrani ellenistici. (Stesse influenze subiranno le ville di Tiberio, fig. 3, villa di Sperlonga, fig. 4, villa di Capri). Il lento cambio di mentalità si ripercuote anche nella zona del Foro, tanto che Caligola, ad esempio, mediante un articolato progetto architettonico, trasformerà il tempio dei Castores in una sorta di vestibolo della sua domus imperiale, o per meglio dire, ingloberà l’edificio sacro, fino ad allora assolutamente pubblico, nell’allargata residenza imperiale. Ancora più provocatoria apparve l’azione di Nerone, che in un primo tempo realizzò un complesso che aveva lo scopo di congiungere la residenza imperiale del Palatino con gli orti sallustiani sull’Esquilino (=Domus Transitoria), vi eresse successivamente la famosa Domus Aurea (fig. 5 e cap. 7 sintesi). Domiziano con la Domus Augustana (fig. 6, cap. 7 sintesi), che appare come un vero e proprio palatium, esprime in modo esemplare l’avvenuta svolta in senso esplicitamente monarchico dell’impero, la costruzione prevedeva un ippodromo lungo l’intero lato orientale del palazzo (elemento che diverrà una costante nelle residenze imperiali tardoantiche). Con l’erezione della Domus Augustana l’architettura romana fissò un modello autonomo che eliminò la necessità di rivolgersi alla tradizione orientale. Anche se non vennero costruite ulteriori residenze extraurbane, soprattutto in seguito alla divisione amministrativa e territoriale dell’impero a partire dalla organizzazione tetrarchica concepita da Diocleziano, si vennero moltiplicando le sedi e quindi le residenze imperiali nelle province (es. palazzo di Diocleziano a Spalato, cap. 10 sintesi), che mostrano dimensioni sempre maggiori. Gli spazi dei ludi I ludi fanno parte in origine delle funzioni di culto svolte per le divinità, per questo motivo la loro ricorrenza è inserita nei calendari, si svolgono anche in occasioni rituali, soprattutto per i grandi funerali delle aristocrazie arcaiche. Vi erano i ludi circenses, con corse di carri nel circo (il circo massimo, fig. 1, poteva contare fino a 150.000 spettatori circa), i ludi scaenici relativi a rappresentazioni teatrali, e i munera, che indicavano i ludi gladiatori negli anfiteatri. In età imperiale assistiamo alla massima diffusione di questi ludi. I ludi scaenici utilizzavano solitamente strutture in legno, montate soprattutto presso il tempio di Apollo nel Campo Marzio o presso il tempio di Cibele sul Palatino. Dalla fine del III e soprattutto nel corso del II sec. a.C. rinveniamo i primi edifici teatrali stabili realizzati in Italia (a Roma si dovette aspettare quello di Pompeo del 55 a.C., cap. 4 sintesi). In età augustea sorgono i 2 teatri di Marcello e di Balbo, si è calcolato che tra la metà del I sec. a.C. e la metà del I sec. d.C. verranno realizzati 60 nuovi teatri, si diffonderanno anche nelle province (in Spagna, in Africa fig. 2, in Gallia, ma anche in Asia Minore e in Siria). Il modello riprende da quello greco, fig. 3, anche se quello romano presenta la cavea svincolata dall’obbligo di essere posizionata lungo un pendio, inoltre lo spazio dell’orchestra viene ridotto della metà facendo avanzare la scenae frons. A partire dall’età imperiale il teatro diviene uno specchio fedele della gerarchia sociale con i posti assegnati secondo i vari ordini fino al seggio imperiale. Il primo munus, a noi noto, venne offerto da Giunio Bruto nel 364 a.C. in onore del padre defunto nell’area del Foro (saranno gli editti di Onorio e di Costantino che metteranno definitivamente fine ai giochi gladiatori). I partecipanti si dividevano in: Thraeces con elmo, piccola spada ricurva e schinieri, i Retiarii muniti di rete, gli Equites, i Sagittari armati di arco e frecce, gli Essedarii muniti di carro, i Velites con giavellotti, gli Spatharii con lunga spada, i Murmillones con elmo scudo rettangolare e gladio, gli Oplomachi caratterizzati da pesanti armature. I ludi gladiatori vennero in seguito accompagnati anche dalle venationes, ovvero la caccia ad animali esotici importati. Il Colosseo (fig. 6-7, cap. 7 sintesi), inaugurato nell’80 d.C., è il più celebre degli edifici destinati ai giochi gladiatori, nei cui pressi è stata individuata l’area dove sorgeva il Ludus Magnus (fig. 8), ovvero la caserma dei gladiatori, diretta da un lanista e comprendente i diversi spazi per l’allenamento e per l’alloggio dei combattenti, dei medici, dei maestri d’armi, per il deposito delle armi e altre apparecchiature sceniche, e, infine, per l’ospedale. La sequenza del munus prevedeva al mattino una venatio, al centro della giornata i damnati ad bestias, nel pomeriggio i gladiatori, e nelle pause al pubblico venivano lanciati generi alimentari, monete e tessere per il ritiro di premi (in questi luoghi il popolo aveva l’occasione di esprimere il proprio apprezzamento o il proprio disprezzo anche nei confronti della politica imperiale). Così come nelle nicchie dei teatri, anche negli anfiteatri la presenza dell’imperatore e della sua famiglia era costante, attraverso l’esposizione di numerose statue. Nelle arene degli anfiteatri potevano svolgersi anche altri tipi di ludi come per esempio le naumachie o battaglie navali. Le esecuzioni canore e musicali avvenivano, invece, nell’odeum, l’esempio più antico è quello di Pompei, 70 a.C. circa (ad Atene ne furono realizzati 2, uno da Agrippa, fig. 9, e uno da Erode Attico). Il culto imperiale La prima tappa per la formazione del culto imperiale si compie con Cesare, nel 45 a.C. impone che nel calendario debbano comparire feriae publicae per commemorare ogni anno le sue vittorie. Altro momento fondamentale è quello relativo ai funerali dello stesso Cesare, infatti, dopo la sua uccisione viene eretto un altare rotondo sul luogo della pira nel Foro, ove gli vengono dedicati onori divini, cui farà seguito la dichiarazione del suo statuto di divus. Il ricorso a una genealogia o a una identificazione divina diviene parte integrante della lotta politica alla fine della Repubblica: Sesto Pompeo, ad esempio, si dichiara figlio di Nettuno, Ottaviano si presenterà nelle vesti di Apollo, dopo la vittoria di Azio; quest’ultimo subentrerà anche al culto faraonico in terra egizia, mentre tra il 29 e il 27 a.C. in Asia, in Bitinia e a Mitilene si richiederà di svolgere onori divini a lui dedicati. Con Ottaviano, futuro Augusto, il culto imperiale si doterà di tutte quelle caratteristiche che rimarranno costanti per i successivi imperatori. Il giorno della sua nascita verrà proclamato giorno festivo pubblico, il suo nome verrà inserito tra quello degli dèi nell’inno religioso del collegio dei Salii, verranno effettuate libagioni al suo Genius sia in pubblico che in privato. Un altro punto fondamentale si colloca tra il 12 e il 7 a.C. quando i Lares Praestites (antenati di tutto il popolo romano) divengono Lares Augusti, in tutti i vici di Roma si irradia così il culto indiretto di Augusto e quello della sua famiglia. Egli muore il 19 agosto del 14 d.C. a Nola, e tutto il percorso di ritorno, col suo corpo, verso Roma diventa una sorta di grande corteo trionfale, vengono chiusi tutti i templi e si interrompono tutte le attività. La promessa di apoteosi viene ribadita da un decreto senatorio che prevede il transito del corteo verso il Campo Marzio attraverso la porta Trionfale. Qui avviene la cremazione con la decursio (=manovra militare) dei cavalieri e dei sacerdoti attorno alla pira, in quell’occasione un senatore dichiarò di aver visto la sua anima ascendere al cielo sotto forma di aquila; il 17 settembre del 14 d.C. vennero assegnati gli onori celesti al Divus Augustus (l’anno seguente verrà eretto a Tarragona il primo tempio a lui dedicato). Il modello augusteo, come già anticipato, costituisce il punto di riferimento per la storia successiva del culto imperiale che riceve una più precisa canonizzazione in età flavia (fig. 2-3). Ad Aphrodisias, in Caria, (fig. 5-6, cap. 7) si costruirà un grandioso apparato architettonico il cui impianto decorativo è volto totalmente a commemorare la famiglia giulio-claudia. Nelle capitali orientali, da tempo abituate a simili concezioni elaborate nelle corti dei dinasti ellenistici, aveva sede il koinon, guidato da un archiereus (sacerdote maggiore), che addirittura coordinava il culto imperiale nel relativo territorio. Per le province africane la dinastia dei Severi segna il massimo sviluppo del culto imperiale (culto particolare quello promosso in favore di Antinoo, cap. 8 sintesi). Nel III sec. d.C. vi è una ulteriore spinta verso una più decisa affermazione della qualità divina dell’imperatore (ad esempio Eliogabalo si presenta come il nuovo Helios, Aureliano come il dio Sole), tanto che la sua presenza diviene una sorta di teofania (fig. 7-8 e cap. 11 sintesi). Religioni e culti
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