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Arte e spettatore nel Rinascimento italiano - John Shearman, Appunti di Storia dell'Arte Moderna

Arte e spettatore nel Rinascimento italiano - John Shearman

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 16/03/2021

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Scarica Arte e spettatore nel Rinascimento italiano - John Shearman e più Appunti in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! Arte e spettatore nel Rinascimento italiano John Shearman Cap.1 Uno spettatore più coinvolto Cap. 2 Uno spazio condiviso Cap. 3 Ritratti e poeti Cap. 4 Cupole Cap. 5 Storia ed energia Cap. 6 L’imitazione e la miccia lenta Capitolo 1 Uno spettatore più coinvolto La trattazione di Sherman, che parte da Donatello e giunge fino a Correggio, parte da un assunto teorico fondamentale: che, nel corso del Rinascimento, gli artisti hanno inventato e messo in pratica, sviluppando e aggirando, strategie compositive per accentuare la forza comunicativa dell’opera d’arte: l’obiettivo è rendere il più possibile diretta e veritiera l’interazione tra finzione artistica e realtà spazio temporale dello spettatore. L’intuizione dello studioso dunque riconduce già all’arte rinascimentale quella interattività che è punto essenziale del Barocco. E ovviamente, il riferimento alle opere e ai contesti in cui esse si trovano o per cui furono create è continuo e circa 200 sono le opere analizzate. Nel corso di una lettura di un’opera è molto importante tenere conto in primis del giudizio storico, poi mettere in relazione il nostro codice di lettura con quello di un uomo rinascimentale. Ogni volta che un uomo si pone davanti a un’opera ecco che in questi si avvia un iter che si articola in tre fasi: muovendo dalla consapevolezza e dal riconoscimento dell’opera lo spettatore si accosta al soggetto dell’artista, portandone a compimento il programma, infine, da quel tipo di coinvolgimento si arrivava alla fruizione di esso, poichè l’artista ora presuppone la complicità dello spettatore per il funzionamento dell’opera d’arte. Il modo di conversare di un’opera, si può dire, racchiude, dentro di sé, più tradizioni distinte come mitologia, angiografia, devozioni popolari ecc…Ci può portare gli spettatori in quello che l’autore chiama effetto Medusa, dove la statua, con la sua bellezza, pietrifica lo spettatore fino a farlo diventare lui stesso una statua di marmo. Ecco che quindi la nozione di base è che l’opera d’arte è un’opera transitiva, cioè un’opera in cui il soggetto viene completato soltanto al di là di sé stesso nello spazio dello spettatore, oppure viene completato esplicitamente dallo o nello spettatore stesso. La ​Sacrestia Vecchia in San Lorenzo fu progettata nel 1418 e destinata a Giovanni de Medici e sua moglie Piccarda. Giovanni fu il banchiere più responsabile della sottrazione del conto papale a vantaggio di Firenze, che rese economicamente e politicamente predominante il ramo giovane dei Medici. La sua tomba si trova in una cripta cui si accede da due botole circolari di pietra quasi al centro della sagrestia. È un ​sarcofago sotto un tavolo di marmo che serve come piano di lavoro (funzione pratica). La tomba si comincia dopo la morte di Giovanni (1429); il suo esecutore testamentario fu il figlio di Cosimo che ricorre a ​Donatello e a un collaboratore di Brunelleschi per la posizione del sarcofago. Il primo piano di marmo bianco è sostenuto da quattro pilastri di marmo chiaro e il centro dei lati poggia su una colonna bronzea tuscanica. Da ogni colonna spunta un cespuglio di edera bronzeo e dorato, che cresce fino al bordo dei lati lunghi per toccare i dischi bronzei con le palle d’ottone, come per avviluppare l’arma medicea. L’edera ricorre nella figurazione funeraria classica, la sua natura sempreverde esprime la speranza d’immortalità. Vuole far capire che se continuasse, avvolgerebbe lo scudo con le palle ammantandolo d’eternità, come l’osservazione medicea per l’eternità (il significato profondo sta in ciò che sta succedendo). Giovanni e Cosimo furono i veri committenti della ​tomba Cossa fatta da Donatello, simile nella composizione alla faccia del sarcofago più lontana dall’ingresso; Donatello lo fa per ➔ il Colleoni del Verrocchio reinterpreta dinamicamente il comando militare come manifestazione di attitudine all’esercizio del comando, durante la battaglia, nel contrapposto tra il cavaliere e il cavallo, con tutta la sua energia rivolto verso un tumulto nello spazio intorno. Il suo significato viene completato solo nello spazio che lo spettatore condivide con lui. Nessuno dei monumenti viene spostato, ma il contesto più tardo della loro piazza viene occupato da un cimitero, che sottolinea il cambiamento in virtù del quale il Colleoni sembra liberarsi dall’idea di monumento come cenotafio e imporre una nuova qualificazione dello spazio come campo di battaglia. Nel 1420 la parte guelfa commissiona a Donatello una statua bronzea di San Ludovico, per la nicchia sulla parte esterna di Orsanmichele. La nicchia deve simbolicamente essere al centro della facciata principale, sulla via più trafficata della città, che connette il centro civico e l’ecclesiastico. L'estremità ricurva del pastorale del vescovo è importante per ripristinare l’equilibrio del disegno e perché dichiara la relazione agonistica tra figura e nicchia. San Ludovico sembra vivere più nello spazio della strada che in quello della nicchia (movimento, gestire, sguardo intento, plasticismo rigonfio). La statua viene trasferita nella chiesa francescana di Santa Croce e fu chiesto a Verrocchio di realizzare un’altra statua per la nicchia; scelse il momento in cui Cristo è con San Tommaso, quando appare a tutti i discepoli per la seconda volta. Verrocchio reinterpreta la nicchia di Donatello come la porta chiusa dalla quale è appena parso Cristo e San Tommaso si accosta al gradino sulla soglia della porta, come se provenisse da dove ci troviamo noi. Il soggetto è completato solo dalla presenza dello spettatore nella vicenda narrativa, quindi la relazione tra opera d’arte e spettatore è transitiva. Il grande gruppo bronzeo del Verrocchio è un caso precoce ma non insolito nell’arte rinascimentale. La modalità transitiva si adotta quando permette la più completa presentazione del soggetto allo spettatore. Leonardo, allievo del Verrocchio, impiega la modalità transitiva, ma due volte porta quest’idea alle sue estreme conseguenze: ➔ Nell’ “Angelo dell’Annunciazione” si nota un’inversione dell’asse della rappresentazione rispetto a un’Annunciazione convenzionale, e si condivide il saluto angelico con un'unica persona. Leonardo rovescia la situazione descritta in “Annunciata” di Antonello, in cui lo spettatore ha un punto di vista angelico e riconosce il proprio ruolo implicito o sceglie di leggere la propria situazione esterna e quella dell’azione del dipinto e pensa a sé come testimone e non attore. ➔ Nella “Leda” lo spettatore è coinvolto pienamente. C’è un nucleo familiare ristretto che include Giove in forma di cigno e i piccoli. Sposta Giove fuori dal quadro, dove siamo noi. L’appropriazione competitiva di Leonardo della licenza poetica crea uno sviluppo narrativo, con la scelta dell’artista visuale in favore della modalità transitiva. Questi disegni hanno un impatto sui futuri artisti. Nel 1480 Leonardo disegnò “Maria Maddalena” con un vaso di unguento per i piedi di Cristo. Quarant'anni dopo questa invenzione fu diffusa dai suoi seguaci a Firenze e Milano. Alcune rappresentazioni di Cristo durante la passione possono farci passare da questo livello di alta cultura a un’arte popolare. In “Ecce homo” di Durer mostra il punto di vista esterno e disimpegnato. Solo il servo in alto a sinistra sembra riconoscere la nostra presenza. Nel suo “Ecce homo”, Massys trasforma il punto di vista in un primo piano particolareggiato, da cui ci sembra di unirci alla folla. Nella sua ultima versione toglie la folla collocandola alla nostre spalle e lasciandoci in prima fila. In “Ecce homo” del Correggio lo spettatore è più vicino e il suo contesto psicologico più invadente nella sfera individuale e più complesso. Il Pilato del Correggio scarica su di noi il problema morale (per far leva sulla coscienza individuale); quello del Massys passa la responsabilità del giudizio fatale a chicchessia. Nella Toscana occidentale c’è un centro francescano di pellegrinaggio, San Vivaldo dove le cappellette su una collina ospitano rappresentazioni in terracotta del ciclo della passione. Lo spettatore si trova in uno spazio esiguo tra due gruppi, uno di fronte all’altro. San Vivaldo fu costruito per far sì che il pellegrino potesse, seguendo la passione di Cristo, annullare nella sua immaginazione la distanza storica per partecipare a quell’esperienza come se si ripetesse in quel momento. Un interessante sviluppo recente della storiografia è noto in Germania come Rezeptionsgeschichte, che delinea la vita e il significato delle opere d’arte dopo la loro creazione. A Firenze la Rezeptionsgeschichte fu importante per la scultura pubblica (gruppo del Verrocchio) in quanto plasmò le intenzioni e aspirazioni di ​Benvenuto Cellini​, chiamato a dare il suo contributo a questa tradizione. Gli spettatori della scultura pubblica erano diventati a Firenze sofisticati e capaci di un attento approccio visivo. Nel 1545 Cosimo commissiona a Cellini il “Perseo con la testa di Medusa” e i rapporti della scultura con il pubblico fiorentino diventano più socievoli. Doveva essere collocato a sinistra della piazza, sotto l’arcata della loggia de’ Lanzi, come la “Giuditta che decapita Olofene” di Donatello sotto l’arcata destra. Per questo fece scelte simmetriche: Il genere che sicuramente nel Rinascimento ha dato l’impressione del più assiduo e diversificato rapporto comunicativo con lo spettatore è il ritratto. Infatti nel ritratto si vogliono conservare e tramandare tutti gli aspetti che determinavano la persona ritratta, di dargli l’immortalità nel suo ricordo. Con la riscoperta del mondo classico, avviene una trasformazione del ritratto, che ha come spunto anche una sorta di genere ritrattistico, ovvero l’epigramma, un breve componimento di pochi versi dove l’autore voleva racchiudere tutta una persona. Attraverso un epigramma, o un’epigrafe, una persona diveniva icona, la quale viene modellata anche per via della città. Infatti se si viene a creare una triade poeta-artista-città, ad esempio Castiglione/Raffaello a Urbino, Bembo/Tiziano a venezia. Per concludere sia la poesia che la ritrattistica sono l’una fonte dell’altra e conseguenza e realizzazione dell’altra Ecco perché nel Rinascimento il ritratto è strettamente collegato alla poesia, in quanto entrambi conferiscono immortalità ad una persona. Capitolo 4 Cupole La difficoltà di un artista nel realizzare le cupole risiede nel fatto che debba afferrare il significato della tridimensionalità della superficie della forma concava. Poi bisogna tenere presente che il punto di vista cambia continuamente e non c’è un unico punto come per le pale d’altare. Quindi ogni zona di una cupola va sotto distorsione o altro, fuorchè la superficie che sta agli angoli retti rispetto alla linea di visione. Infine non va dimenticato che si tratta della decorazione di un elemento architettonico. Ecco che nella decorazione delle cupole risiede l’azione più forte dell’attività transitiva di un’opera d’arte. Capitolo 5 Storia ed energia Si riprende il discorso fatto in precedenza. Benvenuto Cellini e forse Benedetto Varchi, progettarono il perseo di bronzo con piena consapevolezza della ricezione critica della scultura pubblica esistente e con l'intenzione non soltanto di coinvolgere i fiorentini più sofisticati nella tessitura dell’invenzione, ma anche di sfruttare le loro aspettative; ovvero arruolare lo spettatore come complice del funzionamento estetico dell’opera. Cap. 6 L’imitazione e la miccia lenta Il nostro studioso tiene a precisare che l’imitazione di modelli o opere precedenti in nessun caso limita la libertà creatrice dell’artista, e che la citazione può essere attivata solo in un caso: in quello in cui ci sia uno spettatore che sappia coglierla- che altrimenti sarebbe solo un vacuo gioco intellettuale o, al limite, un bisogno personale e soggettivo. La citazione è dunque un dialogo tra l’artista e il suo pubblico (in primis committenti ed élite colte: un pubblico ben consapevole di quel che vedeva), che egli attua principalmente per comunicare. Una delle conseguenze di una tale interpretazione è quella di fare dell’artista un uomo colto, un intellettuale consapevole del tutto degno del suo pubblico. Tutto ciò ci insegna alcune cose importanti: per esempio che, in arte, c’è una differenza abissale tra citazione e plagio - il problema, si può aggiungere, è che questa differenza nei casi singoli può essere sfumata e difficile da cogliere.
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