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ARTE MEDIEVALE AVANZATO (DUCCIO DI BUONINSEGNA), Appunti di Storia Dell'arte

Appunti monografici su Duccio e il contesto senese tra '200-'300

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 18/09/2020

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yuri-magazzini 🇮🇹

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Scarica ARTE MEDIEVALE AVANZATO (DUCCIO DI BUONINSEGNA) e più Appunti in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! ARTE MEDIEVALE AVANZATO (Bartalini) 26/11 Password: duccio - Alessandro Bagnoli, "Alle origini della pittura senese. Prime osservazioni sul ciclo dei dipinti murali, in Sotto il Duomo di Siena. Scoperte archeologiche architettoniche e figurative" [pp. 105-145] - Luciano Bellosi, "Cimabue" [pp. 105-145] - Luciano Bellosi, "Per un contesto cimabuesco senese: a) Guido da Siena e il probabile Diotesalvi di Speme", in "Prospettiva" [pp. 6-20] - Luciano Bellosi, "Per un contesto cimabuesco senese: b) Rinaldo da Siena e Guido di Graziano", in "Prospettiva" [pp. 15-28] - Catalogo della mostra su Duccio a Siena "Alle origini della pittura senese" a cura di A.Bagnoli, R.Bartalini, L.Bellosi e M.Laclotte (2003) [pp. 118-254, 422-485] Per arte bizantina: - Lazarev, Storia della pittura bizantina - Concina, Le arti a Bisanzio, secoli VI-XV Esame orale, domande su grandi questioni "DUCCIO E IL NODALE MOMENTO DELLA PITTURA ITALIANA AL PASSAGGIO TRA DUE E TRECENTO" Lui e Giotto inaugurano il "nuovo" Gotico. Una lezione a settimana (mercoledi) è di esercitazione, affinare analisi e lettura di opere d'arte medievale Questioni di grandi spessore:  Tradizione della pittura sacra dei luoghi del Cristianesimo, mediorentale  Come nel Nord Europa si sia sviluppata una diversa cultura (tradizione gotica) che dalla Francia penetra fino all'Italia centrale (Siena)  Nuova concezione della pittura che nasce nella Basilica Superiore di Assisi (concezione spaziosa, tridimensionale) Corso dedicato agli anni che segnano la fine del Duecento e l'inizio del Trecento (1280-1320), sentieri ramificati che si espandono da Duccio. PRIMA DI DUCCIO Situazione a Siena negli anni '60-'70 del Duecento: Guido da Siena, Dietisalvi di Speme, i dipinti murali nell'ambiente sottostante la cattedrale di Siena. Con gli occhi rivolti a Cimabue: la pittura degli anni '80 del Duecento. I dipinti murali di Santa Maria Novella a Firenze. Madonna Rucellai, commissionata nell'aprile del 1285 dalla chiesa di Santa Maria Novella. - Reliquiario della veste inconsutile; Assisi, Tesoro della Basilica di san Francesco - Bottega oltremontana di Assisi: avvio della decorazione della Basilica superiore - Guccio di Mannaia e la straordinaria stagione dell'oreficeria senese di fine Duecento - Vetrata del Duomo di Siena. Opera in cui fanno la comparsa alcuni elementi della nuova concezione di pittura (1288-89) - Piccola Maesta del Kunstmuseum di Berna (primi anni '90) - Icone della "rinascenza paleologa" in Italia centrale. Pisa, Museo Nazionale di San Matteo ( Icona di san Michele arcangelo) - Reinvenzione della pala d'altare. Abbandonato il dossale per il polittico gotico Duccio, al culmine della sua carriera (intorno al '300), elabora un secondo linguaggio, un nuovo stile, una diversa gamma cromatica più calda, che è alla base del suo capolavoro: la Maestà del Duomo di Siena (1311). Opera che è dipinta su entrambe le facce (evento più unico che raro). Ulteriore sviluppo della sua idea e della nuova tipologia di polittico che contiene programmi più vasti linguaggi. Come Duccio, nell'affresco della Sala del Mappamondo del Palazzo Pubblico di Siena, con cui apre il filone della pittura topografica, ripresa poi da Ambrogio Lorenzetti e Simone Martini. Conclusione con l'analisi della Maestà del Duomo di Massa Marittima (1316-18). Dalle varie fasi dell'attività di Duccio nascono diversi pittori, tre generazioni almeno: dal Maestro di Badia a Isola a Ugolino di Nerio e oltre, fino a Simone Martini e Ambrogio Lorenzetti. Maestà di San Domenico "ME GUIDO DE SENIS DIEBUS DEPINXIT AMENIS QUEM XR(I)ST(US) LENIS NULLIS VELIT ANGERE PENIS ANNO D(O)M(INI) MCCXXI". Dipinto che non può corrispondere alla data inscritta (1221), data legata all'insediamento dei domenicani a Siena e data della morte di san Domenico. Guido da Siena è un pittore che si dimostra legato ad un tipo di pittura che presuppone l'esperienza di Coppo di Marcovaldo - Maestà dei Servi di Maria (Siena, 1261). Dossale di Guido da Siena del 1270. Questi sono gli anni in cui Duccio si stava formando. Guido non è l'unico. Madonna del voto nella Cappella del voto del Duomo di Siena, faceva parte di un dossale che faceva parte dell'altare di San Bonifacio nel Duomo di Dietisalvi di Speme. Dipinto con Gesù che accoglie Maria sul trono (Esaltazione di Maria). Figurazioni espressionistiche. Dipinto da Rinaldo da Siena per la chiesa delle Clarisse. La cultura figurativa dei pittori senesi nel tempo della formazione di Duccio ha fondamento nella tradizione di "maniera greca", tipo di pittura che si diffonde nel Mediterraneo orientale, che prende luogo nei luoghi sacri (Palestina, Libano, Anatolia, Cappadocia). Si crea una sorta di koinè che coinvolge anche l'Italia, una pittura bizantina "di provincia" che si sviluppa nelle terre dell'origine del Cristianesimo. Pittura bizantina solo alle origine, a cui partecipano i pittori senesi di questi anni. Molte opere distanti fisicamente che sono però vicine nello stile e nell'iconografia Madonna "di sotto gli organi" del Duomo di Pisa = Icona musiva della Madre di Dio, Monte Sinai pittura di Cimabue, si vedono modulazioni chiaroscurali, una tecnica di dipingere a filamenti tipica cimabuesca. Il ciclo più importante degli anni '70 a Siena è quello degli ambienti sottostanti il Duomo. Ciclo di dipinti murali (non solo tecnica affresco), occultato poi con l'ampliamento post 1317. Ma perché c'è questa decorazione: nel XIII secolo la Cattedrale aveva due facciate, con tre ingressi sul lato orientale, perché tutta la zona orientale del Palazzo Pubblico e di Piazza del Campo sono della fine del '200 e quindi questa apertura consentiva di affacciarsi sulla parte nuova della città in espansione, destinata ai luoghi del potere politico. La funzione del luogo dove erano questi dipinti non è conosciuta di preciso, non si sa se servissero per accogliere chi arrivava o se avessere una effettiva funzione liturgica. Questa zona è stata poi sigillata di detriti, il che ci permette di capire come era l'ambiente medievale, dove ogni centimetro era dipinto, dando l'idea di un medioevo totalmente policromo. Il ciclo è tipologico, cioè mette in parallelo Vecchio e Nuovo Testamento, dove ogni episodio del Vecchio ne prefigura uno del Nuovo. Il ciclo ha un'enfasi particolare verso le storie del Nuovo Testamento con le Storie di Cristo, con le storie centrali più espressionistiche della Crocifissione e della Deposizione, infine il ciclo si conclude con una serie di storie "post mortem" di Cristo. Nei dipinti si apprezza una grande libertà pittorica, grandi pennellate molto ricche di colore, molto utilizzo dell'oro (raro nella pittura murale). Queste immagini ci ripropongono ancora schemi iconografici tipici della pittura bizantina (cfr. Deposizione di Cristo, 1164, Chiesa di San Pantaleimone, Nerezi (Macedonia)). La pittura di questo periodo va quindi capita confrontandola coi fatti che succedono nel bacino mediorientale, con cui ci sono rapporti sia iconografici, che figurativi, che cromatici. Il ciclo murale è molto bello, ma non va a modificare quegli schemi che gia erano proposti nella pittura su tavola degli anni '70. In questo ciclo sembra avere un ruolo importante Dietisalvi di Speme, con soluzioni pittoresche e colori molto caldi e intensi, anche se in scene più malridotte si vede la scomposizione ottenuta dalle pennellate bianche su campiture piatte di colore, tipica di Guido da Siena. In questo ciclo quindi intravediamo i primi elementi di differenza dalla "maniera greca": le soluzioni adottate per il crocifisso, come la larga curva patetica, la posizione delle braccia, la realizzazione dei pettorali, sembrano introdurre gli aspetti del primo Cimabue (Croce della chiesa di san Domenico, Arezzo, ca. 1265- 70). La fonte comune di questi dipinti deve essere il pulpito eseguito da Nicola Pisano per il Duomo di Siena (1266), in cui vengono trasportati gli aspetti dell'arte nordica nell'ambiente senese. Il Compianto sul corpo di Cristo ci mostra un pittore non confrontabile con le opere su tavola che abbiamo, un pittore che spinge sulla raffigurazione dei sentimenti in maniera evidente, ma contenuta, senza la scomposizione dei tratti anatomici di Guido da Siena. Bagnoli fa un'ipotesi interessante, cioè che in questo affresco così nuovo si potesse vedere una prima attività di Duccio, anche se non ha avuto ne conferme ne smentite, si possono vedere degli elementi di compatibilità. 3/12 Negli anni '80 diventa centrale, anche a Siena, oltre che in Italia centrale, l'esempio di Cimabue (contesto cimabuesco). La prima opera che conosciamo è il Crocifisso di san Domenico ad Arezzo (1265-70), comparandolo con la Croce dipinta (San Gimignano)del pittore fiorentino più importante all'epoca, Coppo di Marcovaldo, notiamo che sono totalmente diverse, in quanto quest'ultimo è all'interno di quella koinè culturale di "maniera greca". Cimabue è diverso dal punto di vista figurativo, culturale e iconografico. Coppo di Marcovaldo ha una formazione più arcaica, Storie della Passione; in Cimabue ai lati del corpo flesso di Cristo non ci sono storie, ma una finta stoffa pregiata, nei capicroce i Dolenti. Dal punto di vista figurativo il Crocifisso di Cimabue ci dà una dimensione diversa rispetto alla maniera greca, il corpo tragicamente piegato, il perizoma più mosso. Confrontando lo stesso Crocifisso di Cimabue con quello di Giunta Pisano, il pittore di maggiore affermazione in Italia centrale nelle prima metà del Duecento. Notiamo che Cimabue scappa dalla formazione dei pittori fiorentini e segue le orme di questo grande artista, che si allontana dagli esempi di maniera mediorientale per intraprendere la strada di una pittura bizantina vera e propria. Pittura bronzea, color ocra, croce semplificata con l'abolizione delle storie, curva patetica che elasticizza la figura. Pittoricismo articolato in Giunta Pisano, che è un po' l'anticipazione dello stile cimabuesco. Avvio di modulazione chiaroscurale, segni grafici per rendere le profondità, naso schiacciato, a punta; i capelli sono ancora resi in maniera tradizionale, ma la barba è scomposta in tanti piccoli filamenti resi in punta di pennello. Tutto è realizzato con toni di colore diversi che rendono questa sfumatura chiaroscurale, primo passo verso un modo diverso di pensare. Nel 1272 Cimabue è a Roma, lo sappiamo da un documento della basilica di Santa Maria Maggiore, a cui è testimone "Cimabove pictor de Florencia". Essendo attivo a Roma, possiamo dire che si sta affermando come pittore sovraregionale. Del soggiorno a Roma non rimane niente. Il Crocifisso di Santa Croce (ca. 1280), molto rovinato dall'alluvione del 1966, ci mostra un ulteriore passo avanti. La pittura è più sottile, con una migliore modulazione chiaroscurale, il perizoma quasi trasparente che lascia intravedere l'anatomia del Cristo. I segni grafici sono sostituiti da macchie di colore che gradualmente si schiariscono o scuriscono. Cimabue comincia a porsi il problema di una pittura più verosimile, sono abolite le scomposizioni grafiche, composizione più spasmodica. Il perizoma è un esercizio pittorico di un velo trapassato dalla luce per rendere la trasparenza, la fisicità del corpo. Prossima al Crocifisso di Santa Croce è la grande Maestà del Musée du Louvre (originariamente per la chiesa di san Francesco a Pisa). Il grande trono che allude al "trono della sapienza divina", è orizzontato in diagonale, dando l'idea di più piani, che è qualcosa di diverso da prima anche se non ancora vicino alla spazializzazione trecentesca. Figurazione che scardina dall'interno la tradizione millenaria bizantina ereditata da Giunta Pisano. La pittura di Cimabue procede per filamenti sottilissimi che modulano luministicamente il volto della Madonna, il maforium (mantello) si scioglie rispetto allo zigzagare bizantino, addolcendo le pieghe che creano ombre. Le opere di Cimabue sono sempre solenni, maestosi, sobri, con colori mai troppo accesi, ma abilmente modulati; pittoricismo straordinario. La Maestà del Louvre è un po' il modello per la Madonna Rucellai di Duccio, per Santa Maria Novella, anche se rielaborata. Sappiamo che l'opera fu commissionata a Duccio nel 1285, ragione per cui datiamo la Maestà di Cimabue nei primi anni '80. La Maestà di Santa Trinita, oggi agli Uffizi, ci mostra un Cimabue ancora più avanzato, che pensa in termini pre- trecenteschi. Il trono è enorme, visto frontalmente e scorciato, con al di sotto un'architettura con all'interno i Profeti, che fa incurvare la base del trono per farlo retrocedere, anche se molto irrazionalmente. I Profeti al di sotto, accigliati, buberi, espressivi, notiamo che gli elementi di scomposizione grafica non ci sono più, con barba e capelli molto pittocistici. Gli angeli ai lati del trono sono realizzati con molta sottigliezza nella modulazione cromatica. L'unica opera certificata di Cimabue è un San Giovanni Evangelista, un mosaico, del Duomo di Pisa, di cui sono documentati i pagamenti tra il 1301 e il 1302, quando poi muore. Figura monumentale ma con gesti molto patetici, con una consistenza fisica non ancora naturalistica, ma sicuramente molto più verosimile, panneggio con pieghe geometrizzate che ci fa capire che anche la Maestà di Santa Trinita è un'opera tarda, degli anni '90. Periodo tardo della maturazione di Cimabue che vede anche gli affreschi di Assisi. Uno dei maggiori compagni senesi di Duccio e Guido di Graziano, noto con un poliotto di san Pietro (1280-85), dalla chiesa di san Pietro in Banchi a Siena (ora distrutta). Un altro dipinto di Guido di Graziano che si trova a Montaione è una Madonna col Bambino, ma il suo capolavoro è la pala agiografica di san Francesco con una serie di storie del santo ai lati e una gloria in alto, dalla chiesa di san Francesco a Colle di val d'Elsa. Di questo gruppo di dipinti siamo in grado di conoscere l'autore grazie agli studi del Bellosi, che ha comparato modelli stilistici dei dipinti con dei registri di Biccherna di cui conosciamo la commisione ad un pittore di nome Guido, figlio di Graziano. Guido fu un pittore molto importante a Siena, di cui abbiamo sue notizie negli anni 1284 e 1292, a cui fu commissionata la più antica Maestà del Palazzo Pubblico nel 1295. Il paliotto con le Storie di san Pietro ci fa notare come il tono sia completamente mutato rispetto ai pittori senesi della generazione precedente, in cui è evidente l'influenza e l'esempio di Cimabue. La storia con la Crocifissione di san Pietro ci rende palese l'influenza di Cimabue nella pittura, pur sempre legata alla tradizione senese, di Guido di Graziano, il quale guarda al Cimabue maturo degli anni '80, del Crocifisso di Santa Croce. La gamma cromatica di Guido è molto accesa, le figurazioni pittoricistiche, il concetto di pittura non è scomposto, ma ha modulazioni luministiche del colore. Le storiette del paliotto sono molto accese dal punto di vista del colore, tutto rimane comunque su due dimensioni, le animazioni delle figure sono più emotive, sentimentali, alla maniera di Cimabue. L'impatto cimabuesco è quindi fondamentale per lo sviluppo della pittura dell'Italia centrale. La Madonna di Montaione (avanzati anni '80) è un'opera notevole, che messa a confronto con la Madonna del Voto di Dietisalvi di Speme si nota la stessa iconografia, ma un enorme salto in avanti dal punto di vista della verosimiglianza, della realizzazione delle figure senza scomposizioni grafiche. Differenza che si nota ancora di più con la Maestà della Pinacoteca di Siena, anche se siamo di fronte a due opere con la stessa iconografia e la stessa funzione. In 10 anni la pittura a Siena è diventata più leggera, più aerea, più verosimile e luminosa, grazie allo stimolo di Cimabue. Il Dossale di san Francesco proveniente da Colle di val d'Elsa ci fa vedere elementi eseguiti in stucco che si rifanno all'architettura gotica, quest'opera e quella in cui meglio si nota il rapporto di Guido di Graziano con la pittura cimabuesca. Un altro pittore, Vigoroso da Siena, che conociamo solo per il Dossale dipinto per la chiesa di santa Giuliana a Perugia, datato 1291 (oggi alla Galleria Nazionale dell'Umbria). Vigoroso da Siena è un pittore molto documentato, ma del quale ci resta un'unica opera, diventa cittadino senese nel 1276 e diventerà un pittore molto radicato nella cultura pittorica cittadina e che esegue diverse opere per il comune di Siena. In Vigoroso da Siena non si nota il sostrato di pittura senese degli anni '70 di Guido da Siena e Dietisalvi di Speme, inserendolo in un pieno contesto cimabuesco. In rapporto con Vigoroso da Siena si mettevano gli affreschi della chiesa di san Bartolomeo in Pantano a Pistoia, attribuiti poi a Manfredino d'Alberto; questi dubbi nell'attribuzione evidenziano la centralità della maniera cimabuesca in Toscana. Dossale basso monocuspidato: modello principale per la realizzazione di queste opere in Toscana, utilizzo di materiali poveri (tavole di legno dorate) anziché di dossali in oro o in pietra. La struttura, la forma e la funzione sono tipiche occidentali, mentre dal punto di vista figurativo sono legati al medioriente, si ha un sincretismo culturale nella Toscana del '200. Il Dossale di Vigoroso da Siena, per certi versi segue la tradizione, però la copertura a spiovente è modificata in una struttura a cinque punte che rappresenta un gradino dell'esecuzione che porterà alla struttura del Polittico che sarà realizzato dalla bottega di Duccio. La differenza è nella sostanza, il dossale è formato da due tavole orizzontali, il polittico da cinque tavole verticali, ognuna con un dipinto diverso, poi unite da un sistema architettonica (polittico scompartito gotico). 4/12 trasparente, ma il pittore lucchese ha una formazione degli anni '70 di "maniera greca" molto visibile in questa opera. Pittore secondario che si adegua, dagli anni '70 arriva ai primi anni del '300, evolvendo il suo stile prima verso Cimabue e poi verso Giotto. - La Flagellazione (New York, Frick Collection), dipinto al centro di un dibattito accesissimo, uno storico americano (Meis), ha attribuito quest'opera a Duccio, Roberto Longhi invece la attribuiva a Cimabue. Poi è emersa agli inizio degli anni 2000 una Maestà oggi alla National Gallery di Londra che inizialmente era insieme alla Flagellazione. La Madonna in trono è indubbiamente un'opera di Cimabue, con trono e intonazione cromatica vicinissimi alla Maestà del Louvre, con la Vergine molto austera. Di questa opera faceva parte un piccolo dipinto con il Cristo deriso emerso in Francia circa un mese fa (venduto a cifre esorbitanti). Questi tre frammenti facevano probabilmente parte di un paliotto per il culto privato realizzato da Cimabue nei primi anni '80. Prima della Madonna Rucellai il capolavoro di Duccio doveva essere la Madonna dei Francescani che si trova nella Pinacoteca di Siena. Questo piccolo dipinto è malconservato e da un effetto di colore unito, che in origine aveva una modulazione illuministica più chiara che rendeva un panneggio più elaborato. Il dipinto raffigura la Madonna con il Bambino che benedicono tre fraticelli in saio francescano realizzati in maniera fantastica, secondo una maniera bizantina. Anche la loro posizione evidenzia tre gradi diversi della proskynesis con una gradazione di colore illuministica che è di forte impatto cimabuesco. Comincia ad emergere il fatto che però Duccio è un pittore unico, con elementi propri che conosce lui, derivanti ad esempio dalla miniatura nordeuropea, come la decorazione del fondo, non più dorato, ma con un pattern "a piastrelline". Duccio comincia a far propri questi elementi di contatto con la cultura gotica, che diventerà fondamentale e molto diffuso di lì a pochi anni. Duccio immagina la Madonna come se rotasse su sé stessa, con le ginocchia verso destra ed il volto che ruota verso i fraticelli a sinistra, elemento fondamentale del canone compositivo della scultura gotica francese. Un altro elemento è la dolcezza della veste che non è più zigzagata, ma più sinuosa, sottolineata dal bordino oro che enfatizza la soavità della veste della Vergine. La Madonna dei Francescani per molti aspetti prelude la Madonna Rucellai, come il trono maestoso, gli elementi presi dal gotico nordeuropeo, dove nella seconda entrano ancora piu violentemente nel dipinto. Questo dipinto così moderno, in cui si incontrano mondo orientale e mondo nordeuropeo, ci sottolinea l'abilità e l'intelligenza di un artista come Duccio, in grado di far coesistere in un'opera culture diverse. Questa Madonna sta benedicendo i fraticelli avvolgendoli con il mantello, aperto con la mano destra; dal punto di vista iconografico è un'anticipazione della "Madonna della Misericordia", ancora non presente in Toscana, ma sussunta da schemi iconografici mediorientali, di cui si ritrova la stessa iconografia in un dipinto cipriota, in cui la Madonna avvolge con il mantello dei frati carmelitani ( Madonna col Bambino in trono e frati carmelitani, fine '200, Museo Bizantino di Nicosia, Cipro). - Pittore senese, Madonna della Misericordia 10/12 Dipinti murali della cappella di San Gregorio nella chiesa di Santa Maria Novella, dipinti da Duccio, di cui ci rimane la parte preparatoria. In questo momento la cappella è sotto la compagnia dei Laudesi, la cui funzione primaria era il canto delle Laudi mariane, quindi sono loro che commissionano la decorazione della cappella. Già negli anni '30 la cappella passa alla famiglia Bardi, che la fa completamente ridipingere in un linguaggio più giottesco, facendo si che il ciclo dipinto da Duccio vada a scomparire. Le impronte delle lunette che sono rimaste ci mostrano grandi figurazioni poco canoniche, come il Papa tra due diacono che tengono dei "flabelli" (ventagli ornamentali), scelta iconografica per evidenziare l'importanza del pontefice; o come la figurazione di Dio Padre (come Cristo) fra due angeli, che ci mostra dei dipinti che dovevano essere di grande effetto, in cui l'allungata figura di Dio è seduta su un trono che sembra cimabuesco. Questi dipinti murali sono stati attribuiti per lungo tempo a Cimabue, di cui sono evidenti degli elementi, come il grande trono ligneo in diagonale, anche se sappiamo che a queste date il linguaggio cimabuesco è fatto proprio e interpretato da Duccio, di cui si nota la sottigliezza, l'allungamento delle figure. Guardando un angelo si nota come lo sguardo sia più dolce, placido, vicino alla Madonna di Crevole. - Ricostruzione dell'impaginazione della parete, dei pattern figurativi che decoravano le cappelle (2015). L'apparato ornamentale incorporava elementi di architettura tipicamente gotica, seguendo il sistema della pittura parietale nord-europea, più propriamente francese, in cui c'è una relazione tra architettura vera e architettura dipinta, che Duccio per primo, negli anni '80 del Duecento, ci propone per la prima volta. Quindi quel poco che rimane è di un'importanza e di un'originalita straordinaria, Duccio è l'unico che ci mostra queste soluzioni negli anni '84-'85. Questo ci porta al capolavoro di Duccio, la sua prima opera certamente documentata, la più importante opera di una delle chiese principali di Firenze, la Madonna Rucellai (Uffizi), nome dovuto alla sua collocazione a fine Cinquecento, ma che non ha niente a che vedere con la famiglia Rucellai. L'opera è commissionata dalla compagnia dei Laudesi il 14 aprile 1285, è una tavola enorme (4.5 x 2.9 metri). L'atto di commissione fu pubblicato per la prima volta a fine Settecento, ma per due secoli si è fatto fatica a considerare quest'opera di Duccio, sempre per lo stretto rapporto con Cimabue. Questo dipinto non pare pensato per una cappella, ma grazie anche a testimonianze visive (Giotto, Basilica Superiore Accertamento delle stimmate e Presepe di Greccio), che ci lasciano intuire la costruzione di un tramezzo trionfale che separava la zona dei laici da quella dei presbiteri. Su questi tramezzi erano issate delle immagini piegate verso i fedeli, che costituivano una sorta di facciata trionfale per la zona dei laici, con al centro la Crocifissione e spesso immagini mariane, talvolta vi era una terza immagine, di solito legata al culto specifico della chiesa. Quindi si tende a considerare la Madonna Rucellai (1285) e il Crocifisso di Giotto (fine anni '80) come le due grandi immagini principali della chiesa di Santa Maria Novella, collocate sul tramezzo poco dopo la metà della chiesa. Pare che comunque la Madonna Rucellai abbia trovato una prima collocazione all'interno della cappella di san Gregorio perché la ricostruzione di Santa Maria Novella inizia nel 1279, e quindi probabilmente la navata non era completata nell' '85. Il rapporto con Cimabue è reale, tanto che si usa la Madonna Rucellai per datare la Maestà del Louvre di Cimabue nei primi anni '80. La struttura, il trono poggiante sul fulgore della luce divina, i motivi della decorazione, l'articolazione del mantello della Vergine, sono elementi che si trovano in entrambe le opere. È chiaro però che Duccio abbia una cromia diversa, meno fonda rispetto a Cimabue, più sottili, sgargianti; la figurazione è più graziosa e gentile, mentre i personaggi di Cimabue sono sempre più seri, arcigni. Rapporto fortissimo, ma tutto rielaborato in un senso più ricco, più maestoso, più gotico. Il trono ha il modello di Cimabue, ma non è il grande trono ligneo, ma ha un linguaggio tipicamente gotico, con bifore a sesto acuto, in cui si notano esperimenti di tridimensionalità. Queste commissioni fiorentine ci fanno capire a che punto di originalità era giunto Duccio in date precoci. Duccio conosce la cultura nordeuropea per diversi motivi. Nell'elite senese di fine Duecento si sviluppa una certa moda "francofila", nota a noi grazie a Cecco Angiolieri, che con una satira prende in giro i grandi senesi che vanno in Francia e tornano guardando gli altri dall'alto in basso. Questo gusto "francesizzante" si riversa nelle arti figurative:  Piviale in opus anglicanum (1270-80 ca.); donato alla cattedrale di Ascoli Piceno da papa Niccolò IV (1288- 92). Manufatti che circolano in Italia centrale e che sono un possibile tramite della cultura nordeuropea.  Reliquiario della Veste inconsutile (1280 ca.), Tesoro della Basilica di San Francesco, Assisi; realizzato da un atelier parigino e donato dal re e dalla regina di Francia a san Francesco.  Madonna col Bambino, Tesoro della Basilica di San Francesco, Assisi; statuetta in avorio parigina, in cui ci sono le bifore che anche Duccio inserisce nel trono della Madonna Rucellai. Circolano modellini in avorio che sostanzialmente ripropongono la Vierge doré del portale del transetto nord di Notre-Dame a Parigi. Quindi con questa circolazione si conoscevano i modelli decorativi delle grandi cattedrali nordeuropee. Oltre agli oggetti, circolano le persone, per cui si registra una massiccia presenza di maestranze nordeuropee nei grandi cantieri dell'Italia centro-settentrionale. Un esempio è la documentazione relativa ai maestri e agli scalpellisti della fabbrica del Duomo di Orvieto (1293). Così dovrebbe essere anche per il Duomo di Siena. Del resto le vetrate della Basilica superiore di Assisi sono opera di maestranze tedesche (nel coro) e francesi (nella navata) negli anni '60-'70 del tredicesimo secolo, perché nel nord Europa si era sviluppata l'arte della pittura delle vetrate molto più che in Italia, dove troviamo i maggiori lavori ad Assisi ed a Siena. La decorazione di parte del transetto destro della Basilica superiore pare vedere in opera delle maestranze inglesi. L'intelligenza di Duccio è quella di cogliere l'occasione, di ampliare il proprio linguaggio guardando alle novità introdotte da questi artisti nordeuropei, che rompono con la tradizionale stilizzazione per guardare verso una pittura più verosimile, più naturale. 13/12 III LEZIONE ANALISI 1. Dipinto su tavola (dorature); volti, cromia molto scura, contrasti fra colori chiari e colori scure; pittura greca, bizantina; intonazione cromatica bronzea. Ci sono dei profili, scorci nelle vele e nelle rocce, attenzione quasi naturalistica nella realizzazione della nave. Storia di un ciclo agiografico, San Marco, siamo a Venezia, dove c'è un grande rapporto con l'Impero Romano d'Oriente e con Costantinopoli. In un'altra storia dello stesso ciclo si nota l'impatto post-giottesco nelle figure in diagonale e nella spazialità delle architetture, pur se il fondo rimane bizantino. Siamo nella prima metà del Trecento, grande ruolo dell'architettura, di derivazione giottesca. Il più grande pittore in questo periodo a Venezia è Paolo Veneziano, autore di una grande pala, Pala Feriale di San Marco, cioè che veniva esposta nei giorni normali a San Marco a Venezia, mentre nei giorni festivi veniva esposta la grande Pala d'oro. Opera frutto dell'incontro tra la cultura italiana e quella bizantina. Firmata da Paolo Veneziano e datata 1345. 2. Arma Christi, simboli della Passione (croce, corona di spine, lancia, martello, flagello) con Cristo in mandorla al centro. La figura in ginocchio è il defunto al quale è dedicata la cappella. Gesti tipici del Cristo Giudice, elementi tipici del Giudizio Finale. Angeli che suonano le trombe simbolo del risveglio dei morti. In età medievale si crea un problema, una discussione su dove sia l'anima dei santi, cioè se in un limbo o in paradiso. La Scolastica spiega le cose, esiste un giudizio individuale al momento della morte (Inferno, Purgatorio, Paradiso), ma non esclude un giudizio finale che riguarderà l'umanità intera e che sarà diverso. Nel '300 si sviluppa quindi l'iconografia del giudizio individuale che è complementare a quello finale. Qui anche se c'è solo una persona, gli elementi sono quelli tipici dell'iconografia del giudizio finale, ambiente desertico (Valle di ...). Sulle pareti laterali dipinti due profeti che alludono alla seconda venuta di Cristo. Figurazione in termini monumentali, sentimento contenuto, dipinto molto legato all'esperienza di Giotto, ma con larghi piani cromatici, senza tante modulazioni chiaroscurali, ma conservando comunque la spaziosità giottesca. Si tratta di un allievo fiorentino di Giotto (Maso di Banco, Taddeo Gaddi, Puccio Capanna), in questo caso Maso di Banco, molto delicato dal punto di vista cromatico. Affresco della Cappella Bardi, Firenze, Maso di Banco. Anni '30 del Trecento. 3. Dipinto in cui si ricrea la varietà dell'essere umano, 4 volti diversi e con tratti caratteristici, un giovane barbuto, un vescovo con l'aureola, personaggio viscido e pasciuto. È Simone Martini in un particolare momento, confronto serrato con Giotto, opera giovanile. Dettaglio della cappella di San Martino nella Basilica Inferiore di Assisi (1313-15), opera più "giottesca" di Simone Martini, senso voluminoso reso dalla 1. San Giorgio che uccide il drago, principessa in secondo piano, cavallo inarcato. Dipinto su tavola. Trigramma sulla coscia del cavallo (lettere che formano il nome Vitalis). Dinamismo, contrapposizione tra cavallo e cavaliere, moto disarticolato e enfatizzato, elementi propriamente gotici. Pittura bolognese, Vitale, circa 1350. 2. Scultura del basamento di un grande calvario, Francia. Certosa di Champmol a Dijon. Panneggio molto turgido, complesso, angelo piangente con forte sentimento, figure espressive molto naturalistiche. Stilemi calligrafici nel panneggio tipici della cultura tardogotica. Esempio scultoreo per la prima pittura fiamminga, grande forza vitale. Dijon è capitale del regno di Borgogna, centro molto importante. Gotico internazionale molto spinto verso un'interpretazione naturalistica. Scultore Claus Sluter (1340-1405), scultore olandese che lavora per la corte francese. Portale realizzato alla fine del '300, esempio precocissimo di una nuova cultura. 3. Pittura su tavola, vicini a Masaccio. Opera giovanile di Filippo Lippi, San Giovanni Evangelista dolente, chiaroscuro costruttivo, panneggio grandioso, figura che occupa uno spazio, fondo oro. Panneggio tenero, ma molto complesso. Databile negli anni '30 del Quattrocento, prima che Lippi conosca la pittura fiamminga. Dipinto in cui ci sono dei residui del tardogotico. Dipinto che si trova nella Alana Collection a New York. 4. Decorazione dei tessuti molto sottile e molto preziosa, dettagli sottili e sontuosi, volti bellissimi, ma non c'è naturalismo, arpa e organo dipinti con molta attenzione. Dipinto tardogotico, contrasti brutali tra luci ed ombre, pittore a cui non interessa l'indagine luminosa, ritmi complessi, taglienti. Sfumatura fiorentina del gotico internazionale, il pittore è Gherardo Starnina, colori molto forti, dimensione astrattiva. Pittura gotica a Firenze nei primi 20 anni del '400. Pittore che va a lavorare a Valencia e che torna dando questa accezione iberica particolare che accellera la diffusione del Gotico internazionale a Firenze. Pittore di formazione giottesca, colori coprenti, opachi. 5. Miniatura, iconografia della Fuga in Egitto, area franco-fiamminga, cultura del gotico internazionale. Forte indagine naturalistica. Maestro di Boucicaut, miniatore più grande del tempo, presente in Italia, lavora a Parigi. Aspetti naturalistici importanti, pittore prediletto del re di Francia. Naturalismo dettagliato, quasi con la lente di ingrandimento. 6. Foppa, ma con un paesaggio ancora di gusto tardogotico. Crocifissione, dialogo con la cultura antiquaria (due cesari ai lati dell'arco trionfale), rinascimentale di Padova. Forte senso luministico legato a Gentile da Fabriano, non impostazione prospettica studiata. Datato 1456. 7. Madonna col Bambino, legata a Giovanni Pisano, ma con delle differenze. Opera in marmo molto levigata. Opera meno naturalistica rispetto al Pisano, Bambino possente, un Ercolino, i volti sono più monumentali, non pittoricismo di Giovanni. Databile nel primo '300, Tino di Camaino, scultore senese che lavora a Pisa. Subentra a Giovanni Pisano nel 1313 come capomaestro del Duomo di Pisa. Nel 1323 passa a Napoli e diventa lo scultore che celebra la corte Angioina, dopo aver ricevuto commissioni importanti anche a Siena e Firenze. Grandissimo scultore del tempo insieme a Giovanni Pisano. 20/12 Anni finali del '200, primi del '300: si apre una nuova stagione per Duccio, cambia qualcosa. - Madonna Stoclet, 1300 ca. (Metropolitan Museum of Art, New York); iconograficamente uguale alla Madonna di Crevole, ma diversa figurativamente. Nel dipinto più antico Duccio è ancora legato alle icone bizantine, formulazione totalmente bidimensionale, con le mani come forchette. Nella Madonna Stoclet la mano regge veramente il Bambino, la Vergine in diagonale suggerisce una sua posizione nello spazio, la veste ha un'articolazione corporea dovuta anche alla modulazione luminosa. Dipinto che ha ancora un tono bizantineggiante, ma tuttavia con un grande distacco rispetto all'opera giovanile. La sottile modulazione suggerisce anche il panneggio meno geometrico della veste. Passi da gigante verso una resa delle figure più verosimile, più naturalistica. Dipinto che non rinnega nulla delle opere precedenti, ma stratifica una conoscenza decisa e intelligente verso una pittura più moderna. La Madonna Stoclet sembra collocata sopra un'architettura, una trabeazione, come la finta incorniciatura architettonica sperimentata ad Assisi da Giotto. Duccio fa propri gli elementi più moderni della pittura italiana in quel momento e li adatta intelligentemente al suo modo di dipingere. - Trittico delle collezioni reali inglesi, 1300 ca.. Cristo crocifisso tra i dolenti, su un lato L'Annunciazione e la Madonna in trono col Bambino, sull'altro un'allusione all'Incoronazione di Maria e le Stimmate di san Francesco. Dipinto di un bizantinismo estremo, fulgore dell'oro e crisografie molto esibite. La Madonna e il san Giovanni sono però allungati, sinuosi, hanno delle flessioni che rimandano alla maniera gotica; si ricerca una spazialità, uno spessore che è tipico della pittura contemporanea in Italia. Riformula la tradizione paleologa in termini di tridimensionalità giottesca. Il trono su cui siede la Vergine non è più il trono ligneo di Cimabue, ma un grande trono marmoreo scorciato e visto frontalmente, come i troni delle Storie di san Francesco ad Assisi. I colori hanno più corpo rispetto alle opere precedenti, non ci sono piu i giochi di trasparenze cimabueschi, i colori sono meno freddi. Sullo sportello di destra la veste di Maria in trono con il Cristo accanto conferma ancora l'assenza delle trasparenze, ma il colore è coprente, acceso. Duccio sta elaborando una nuova gamma cromatica che d'ora in avanti contrassegnera la sua pittura. Anche le crisografie non sono realizzate alla maniera bizantina, ma sono molto meno euritmiche, di spirito gotico a sottolineare il movimento della veste. In queste due opere è da sottolineare l' "invenzione del velo" della Madonna, un velo bianco che sostituisce la cuffia rossa dell'iconografia di maniera greca precedente. Questa è un'invenzione tipicamente duccesca, una novità che apporta lui a partire dal '300. L'idea del velo bianco è straordinaria, ha molteplici significati dal punto di vista sia stilistico che iconografico. Il velo permette un'esibizione delle capacità disegnative del pittore maggiore, permette di creare un'immagine in cui il Bambino e la Vergine interagiscono di più, dandole un senso più naturalistico, più umanizzante. Guardando Giovanni Pisano notiamo nel Tondo di Empoli (ca. 1270) la cuffia di maniera greca, nella Madonna del Colloquio invece la Madonna ha un qualcosa che non è ancora il velo di Duccio, ma va in quella direzione. Il velo ha anche il significato di allusione alla Passione del Cristo. Esiste nella letteratura religiosa tardomedioevale una tradizione secono la quale il perizoma di Gesù quando fu crocifisso non era altro che il velo di Maria. Il velo con il quale gioca Gesù Bambino è un richiamo prolettico alla Passione. Maestro di Abbadia Isola, uno dei primi pittori seguaci dello stile duccesco. Madonna col Bambino (1290 ca.), Madonna col Bambino e San Francesco (1305 ca.). Segna di Bonaventura (nipote di Duccio), Maria lactans (Madonna che allatta il Bambino) (1295-1300), ancora la Madonna non fa uso del velo, ma sarà centrale nelle figurazioni successive: Madonna col Bambino (Asciano). Maestro degli Aringhieri, Madonna col Bambino (1295- 1300), ancora non è presente il velo. - Trittico della National Gallery di Londra. Dipinto in cui la capacità di stare in equilibrio fra diversi elementi di Duccio è magistrale. Piccolo dipinto per devozione privata di grande livello. Al centro la Madonna col Bambino, quattro angeli fanno da contorno alla Vergine. Su un lato una santa martire (forse Santa Aurea, patrona di Ostia). - Trittico del Museum of Fine Arts di Boston. "Gemello" del Trittico della National Gallery, nella cuspide il Cristo Redentore, ai lati un santo vescovo ed un santo Papa. Entrambi sono dipinti come oggetti di lusso, dipinti anche nel tergo, oggetti polimaterici. Le dimensioni di questi due trittici sono simili, probabilmente sono nati dallo stesso committente. Coppia di dipinti con programmi complementari. Entrambi sono realizzati precedentemente alla realizzazione della celebre Maestà. Nel trittico di Boston i santi ai lati potrebbero essere San Nicola e San Clemente Papa, mentre a Londra potrebbero esserci San Domenico e Santa Aurea. La scelta dei santi non è mai casuale, solitamente legate al committente o alla chiesa. In questo caso viene fuori una cosa interessante per capire chi possa essere stato il committente: San Domenico (legame con i domenicani), Santa Aurea (patrona di Ostia), San Clemente (protettore di Velletri), San Nicola di Bari (culto molto vasto). Il cardinale Niccolò da Prato risponde perfettamente a questo identikit, era domenicano, si chiamava Niccolò (Nicola) ed era proprio cardinale vescovo di Ostia e Velletri, nominato da Bonifacio VIII nel 1303. Niccolò da Prato è colui che incorona, nel 1312 in nome di papa Clemente V, Enrico VII come imperatore del Sacro Romano Impero. La Maestà per l'altare della cappella del Palazzo dei Nove (conosciuta solo dai documenti). Nel 1302 Duccio fece questa Madonna col Bambino con una predella, una delle primissime attestazioni della commissione di un dipinto con predella, commissione civica importante direttamente dal governo di Siena. Vari studiosi sono riusciti a capire qualcosa e a ricostruire idealmente l'aspetto di questa Maestà dipinta da Duccio. Ci sono tutta una serie di dipinti di pittori seguaci di Duccio che a questa data, personaggi come il Maestro di Città di Castello o il Maestro della Maestà Gondi o ancora Segna di Bonaventura, dipingono una Madonna in trono con il Bambino in piedi che guarda verso l'osservatore con una serie di figure sui lati che si dispongono in verticale, alcuni di questi hanno uno scalino dipinto in basso, come doveva essere la predella della Maestà di Duccio. Si pensa quindi che tutti questi dipinti dipendano da un prototipo comune, appunto quella di Duccio del 1302. - La Madonna di San Domenico a Perugia. Unico dipinto sopravvissuto di un insieme più vasto, era il centro di un polittico. - Polittico n.28 (Pinacoteca di Siena). Dipinto che fa da premessa alla Maestà del Duomo; figura di San Paolo molto simile in entrambe le opere. Nato probabilmente per la chiesa di San Domenico a Siena, come suggeriscono le figure di San Domenico e di Sant'Agostino, di quest'ultimo infatti i domenicani seguono la regola. La Madonna di Perugia ed il Polittico n.28, sono i più antichi polittici (o parti) gotici che ci sono rimasti. Il polittico porta in campo una formazione completamente nuova rispetto al precedente dossale, nel quale c'era solo uno spazio orizzontale all'interno del quale erano le figurazioni. Il polittico invece è formato da diverse tavole tenute insieme dalla carpenteria, come un pezzo architettonico facente parte della chiesa in cui si trova. - Polittico per l'eremo di Montespecchio del Maestro di Città di Castello (1307). Replica del Polittico n.28 di Duccio. La data del 1307 ci permette di datare a qualche anno prima il polittico n.28. - Giotto, Madonna col Bambino e Santi (Uffizi). Polittico in cui è analoga l'idea di Duccio di imitare una sorta di loggia architettonica creato dalla carpenteria che finge di essere parte del nostro spazio, al di là del quale si apre illusionisticamente un altro spazio in cui stanno le figurazioni. Quest'idea del polittico è la traduzione su tavola della finta architettura degli affreschi di Assisi. Duccio e Giotto sono i primi ai quali si deve la diffusione del gotico, anche se già avvicinata nel dossale di Vigoroso da Siena (1291), in cui sopra le figure si ergono delle cuspidi con il Cristo redentore e angeli, aprendo al programma iconografico che porterà Duccio. Duccio punta alla confluenza di culture diverse, facendole vivere in un equilibrio che è sovrano. - Polittico a tre livelli. 7/01 d'Angiò. Iconografia che celebra la dinastia angioina, san Ladislao re d'Ungheria, regno che in questo momento è sotto gli Angio (mamma di Roberto è ungherese). 5. Torsione accentuata della Madonna, che ruota anche su sé stessa. Scultura indirizzata verso gli avori francese, ma di uno scultore italiano, senese, Goro di Gregorio. Collegato ad un tondo del 1324. Scultore importante, il vescovo di Messina gli commissiona il suo monumento funebre. 6. Grande rilievo tardo-bizantino, è una deesis con angeli e Apostoli, Cristo Giudice con la Madonna e san Giovanni Battista che chiedono la salvezza per l'umanità. Siamo nel XII secolo, per cui Venezia e Sicilia sono opzioni possibili, ma è l'architrave del portale del Battistero di Pisa, realizzato da maestranze bizantine o da artisti autoctoni che seguono la cultura orientale. Pisa, san Michele degli Scalzi, Cristo pantokrator e gerarchie angeliche (1204) è un altro esempio della forte cultura bizantina presente a Pisa in questo periodo. Ciò che è stato fatto a Pisa è aver messo in piano, sopra dei portali di chiese romaniche, la decorazione tipica delle basiliche orientali. 7. Mosaico con storie di san Giovanni Battista, legate in una scena apparentemente unitaria. Le due donne ai lati del trono di Salomé sono vestite alla moda moderna. Elementi di cultura bizantina ma con elementi che vogliono dare un'idea spaziosa. Siamo nella basilica di San Marco a Venezia, non artisti di primo livello, incroci di culture, prima metà del Trecento. Soluzioni di mélange culturale. 10/01 Maestà dell'altare maggiore del Duomo di Siena: Nella predella posteriore quindi il ciclio è relativo alle Storie della vita pubblica di Cristo, cioè la rivelazione della natura divine e della missione di Gesù. La predella posteriore costituisce il punto di partenza della narrativa complessa della Passione nella facciata posteriore. Le Storie della Passione si leggono dal basso verso l'alto e sono divise in due blocchi, separati da una fascia di legno di circa 10 cm; in realtà l'andamento non è regolare, ma a zig zag. È il più ampio ciclo dedicato alla Passione dell'arte occidentale con 25 scene, molto drammatico e pacato, con eventi degli ultimi giorni di vita del Cristo e con scene post mortem. Questo ciclo è il risultato dell'intreccio dei quattro Vangeli ufficiali. La prima storia, in basso a sinistra, che occupa uno spazio doppio è l' Ingresso a Gerusalemme, accanto in basso l'Ultima cena e sopra la Lavanda dei piedi, come vuole il vangelo di Giovanni, per cui la lavanda dei piedi è un momento dell'ultima cena. La scena successiva, scendendo verso destra, è il Congedo dagli apostoli. Questi tre momenti collegati fra loro sono realizzati nello stesso ambiente, costruito in maniera razionalmente tridimensionale, questo fatto è straordinario perché forza i limiti della pittura medievale, andando a forzare appunto sia lo spazio che il tempo delle scene. Nuova narrativita fatta di sequenze, inaugurata nella Basilica superiore di Assisi da Giotto con il "dittico" delle Storie di Isacco, in cui nello stesso spazio si percepisce che le scene appartengono a momenti diversi. In Giotto la teatralità è molto più forte, ma comunque è un momento fondamentale. Le scene proseguono con il Tradimento di Giuda e la Preghiera nell'orto degli olivi, realizzata secondo le convenzioni medievali precedenti, cioè facendo avvenire in uno stesso spazio scene in realtà successive, tornando quindi ad una maniera di dipingere precedente alla nuova maniera trecentesca. Questo fa capire la complessità del momento storico, anche Maso di Banco nel 1335 usa la convenzione tipicamente medievale negli affreschi della Cappella Bardi in Santa Croce a Firenze. Nella Preghiera nell'orto Duccio riesce a rendere in maniera eccellente il sonno, lo stato di abbandono degli apostoli. Prosegue la narrazione con la Cattura di Cristo, al centro del primo blocco narrativo, con la scena del bacio di Giuda. Per ora Gesù è sempre vestito con un abito rosso, una tunica rossa e un mantello blu lapislazzulo. Spostandoci nella metà destra si comincia con una grande scena raffigurante Cristo di fronte ad Anna, suocero di Caifa (sommo sacerdote), e Prima negazione di Pietro. In basso, a destra, Cristo di fronte a Caifa, sommo sacerdote, e seconda negazione di Pietro, poi Cristo percosso e terza negazione di Pietro. Inizia poi il Primo interrogatorio di Gesù da parte di Pilato, seguito da Pilato che dichiara ai farisei che non trova nessuna colpa in Cristo. Il secondo blocco inizia con Cristo di fronte a Erode, poi Gesù ricondotto di fronte a Pilato (vestito di bianco come un pazzo). La storia prosegue con la Coronazione di spine e la Flagellazione; poi Pilato si lava le mani. Duccio ha dilatato la narrazione incrociando i Vangeli. Inizia il percorso verso la morte con l'Andata al Calvario, si arriva alla Crocifissione esattamente al centro, che occupa due riquadri, dal tono molto pacato, luminosa e fatta di varietà cromatiche. Poi due storie, la Deposizione dalla Croce e la Deposizione al sepolcro; Duccio mantiene un'allusione ai dipinti murali sottostanti il Duomo, che a loro volta riproponevano temi di origine bizantina. Il gioco di rimandi è esplicito anche nel Compianto sul corpo del Cristo. Gli ultimi quattro riquadri sono dedicati a scene post mortem, Discesa agli inferi e liberazione dei patriarchi e dei giusti, in cui le vesti di Gesù sono ricoperti di fitti filamenti dorati. Poi le Marie al sepolcro e il Noli me tangere, l'ultima scena è l'Apparizione ai due discepoli diretti ad Emmaus. Queste scene si collegano alle ultimissime in alto, scene molto particolari che completano la parte tergale. La prima è Apparizione del Cristo agli apostoli a porte chiuse e poi l'Incredulità di san Tommaso, unica scena che non è stata tagliata. Segue con l'Apparizione di Cristo sul lago di Tiberiade, poi il pannello centrale è perduto, ma è probabile che ci fosse l'Ascensione con sopra l'Eterno benedicente. Continua il ciclo di di apparizioni con l'Apparizione durante la cena, chiude il coronamento la Pentecoste, scena che ci costringe a tornare sul davanti perché compare la Madonna. La narrazione totale si conclude nella parte frontale, in alto, nel coronamento, con l'Annuncio di morte alla Madonna, poi la Miracolosa apparizione degli apostoli e congedo della Vergine da San Giovanni evangelista, Gli Apostoli intorno al letto della Vergine. Al centro probabilmente vi erano l'Ascensione e la Coronazione della Madonna, segue poi la Dormitio Virginis. Infine il Seppellimento della Vergine. La fonte di questo ciclo dedicato alla Vergine è la Legenda Aurea di Jacopo da Varazze. Si conclude così l'impianto narrativo della Maestà del Duomo di Siena. La Maestà non è un polittico, ma presuppone la nuova tipologia del dipinto d'altare che permette un programma iconografico più ampio e complesso. Dal punto di vista figurativo riassume un po' le esperienze e l'intelligenza di Duccio, la Madonna in trono, le file di figure euritmiche e isocefale ricordano la maniera orientale, ma il trono stesso e la realizzazione delle figure che occupano uno spazio, indefinito, ma tridimensionale rimandano alla nuova maniera moderna trecentesca. Se guardiamo la galleria di Apostoli in alto si nota che rimandano chiaramente alla pittura bizantina contemporanea, Paleologa, ennesimo tentativo di tenere insieme la pittura della Terra Santa contaminandola con le esperienze nuove occidentali. Il ciclo della Passione ha un linguaggio pacato ma molto sensibile, partecipe, tipico di Duccio, con un'attenzione particolare sia al pathos che alla varietà di colori. Nella Crocifissione c'è una citazione esplicita al fariseo dipinto da Cimabue in una delle grandi Crocifissioni della Basilica di Assisi, altro dato per rendere evidenti le proprie origini. Grande carattere narrativo rispetto ai contemporanei. Arriva a realizzazioni architettoniche a cui solo Giotto e Simone Martini possono arrivare a concepirle, affiancate a scene in cui la prospettiva viene ribaltata o realizzata "a volo di uccello", come nell'Ultima cena. Molto forte è l'unità temporale per cui diverse azioni eseguite in tempi diversi si ripropongono nello stesso spazio, come le Storie di Pilato, in cui però si arriva a soluzioni che sembrano irrazionali, segni che Duccio conosce e maneggia abilmente la nuova concezione spaziosa della pittura, ma non è nel suo interesse rimanere fedele ad essa fino in fondo. Partendo da Giotto, se vogliamo, arriva anche oltre, realizzando edifici e scorci urbani perfettamente tridimensionali, naturalistici e pertinenti alla realtà del tempo, con ambienti che rimandano alla Siena contemporanea, aprendo un po' la strada a quella pittura "topografica" che sarà tipica di Ambrogio e Pietro Lorenzetti. Sulla base Duccio scrive "sis Ducio vita, te quia pinxit ita", dichiarandosi pittore dell'opera, anche se è impossibile che abbia fatto tutto da solo, ma è da considerarsi come opera della sua bottega, per cui vediamo disegni meno riusciti dai suoi aiuti. Non è da pensare una divisione a tavolino dei disegni, ma lui era supervisore e ideatore dell'intera opera, Duccio è colui che indirizza i suoi aiuti che intervengono al momento opportuno.
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