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Arte Moderna, Tosi. IL 500, Appunti di Storia dell'Arte Moderna

riassunto dettagliato di arte moderna sul Cinquecento

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 24/06/2020

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Scarica Arte Moderna, Tosi. IL 500 e più Appunti in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! IL CINQUECENTO Nel 1550 Giorgio Vasari pubblicava "Le vite dei più eccellenti pittori, architetti e scultori italiani da Cimabue fino ai giorni nostri" L'opera è divisa in tre parti riferite alle 3 età corrispondenti ai secoli 14°, 15° e 16°. Ad ogni età corrisponde una maniera, cioè uno stile, un modo specifico con cui l'arte si manifesta. Alla terza, corrisponde la terza maniera, che è quella della perfezione delle arti. Tale maniera, detta anche moderna, viene infatti fatta iniziare da Leonardo da Vinci che nelle sue opere mostrò tutti i limiti degli artisti dell'età precedente, avendoli tutti superati. Assieme a Leonardo, i protagonisti della maniera moderna sono, fra gli altri Bramante, Raffaello e Michelangelo. Questi, incarnarono l'ideale dell'artista completo e universale che supera i confini di una sola arte riuscendo a essere perfetto anche in altre. Per essere definito un ottimo artista, quindi, non erano più sufficienti la padronanza delle tecniche della propria arte e la conoscenza di alcune discipline (quelle per esempio elencate da Alberti) ma occorreva esserne addirittura maestri. Tutto ciò avveniva in un momento in cui la condizione sociale dell'artista stava mutando in meglio, passando da quella di artigiano a quella di intellettuale. La pittura, la scultura e l'architettura si andavano ad allineare quindi alle altre arti liberali (grammatica, poesia, musica, giurisprudenza, astrologia, filosofia). Roma Il primo ventennio del Cinquecento, specie durante il pontificato di Giulio II e di Leone X, vede il predominio artistico di Roma. Tuttavia, nel 1527, Roma subì un profondo trauma: l'umiliazione del Sacco ad opera delle truppe dell'imperatore Carlo V. La città però riuscì a risollevarsi e intanto la presenza più o meno continua di Michelangelo la portava ad essere sempre all'avanguardia e la trasformava in una città guida dal punto di vista storico-artistico. E' possibile affermare che il Cinquecento è in gran parte il secolo di Roma, la città che vide l'attività di Bramante, Leonardo, Raffaello e Michelangelo. Ed è anche il periodo della massima diffusione dell'arte italiana in Europa, sebbene coincise con il peggiorare delle sorti politiche della penisola, fu infatti in quel periodo che gli stati italiani persero la loro libertà e l'Italia divenne sempre più un teatro di lotte. Il collezionismo Se il 400 aveva visto il ritorno all’antico e con esso il recupero degli ideali e della cultura classici, è Roma nel 500 che nel collezionismo crea un’attività capace di indirizzare il gusto e influenzare le scelte della cultura letteraria e artistica. Statue, capitelli, colonne, busti, erano ricercatissimi dalla corte pontificia e dai nobili e ricchi romani. Basta ricordare Giulio II e il suo cortile del Belvedere in Vaticano, Paolo III Farnese e la sua vastissima collezione. DONATO BRAMANTE (1444-1514) si formò ad Urbino e fu in rapporti molto stretti con Leonardo. Dal confronto con esso e dall'esperienza maturata a Milano, iniziò a sviluppare le sue riflessioni sull'architettura che dettero i suoi frutti migliori a Roma, dove Bramante poté iniziare quelle grandi imprese architettoniche che avrebbero mutato il volto di Roma e dato l'avvio all'architettura del Cinquecento. La pittura prospettica di Piero della Francesca e la classicità di Alberti e Mantegna, saranno una costante nell’arte di Bramante, senza dubbio fino al periodo milanese. Chiesa di Santa Maria presso San Satiro (1482-1486) L’edificio si compone di un corpo longitudinale a tre navate e un transetto. La navata centrale e il transetto hanno una monumentale copertura a botte. Una cupola emisferica cassettonata (sull’esempio di quella del Pantheon) inserita all’interno di un tiburio copre la crociera all’intersezione del corpo longitudinale con il transetto. Quest’ultimo rinvia allo schema della Cappella de’Pazzi. Alla brunelleschiana Basilica di Santo Spirito invece fanno riferimento le navate laterali. La mancanza di spazio, dovuta alla presenza di una strada, lungo il fianco del transetto e la conseguente impossibilità di sfondare in quella direzione costrinsero Bramante a inventare un finto coro che razionalizzasse l’intera struttura. Esso quindi si pone come una sorta di rinforzo psicologico all’equilibrio della cupola, che altrimenti sarebbe apparso precario. A conferire maggiore realtà alla finzione contribuiscono anche gli effetti degli ori luminosi, dei fregi azzurri e la ricchezza e varietà degli ornamenti. In uno spazio di 90 cm, Bramante ricava un coro a tre arcate. Cristo alla colonna (1490) Oggi alla Pinacoteca di Brera, la tavola mostra il Cristo in un interno classicheggiante rivelato da un pilastro di pietra grigia decorato con motivi vegetali dorati. Il colorito del corpo è realistico, al pari della corda, la pelle e i muscoli lasciano intravedere le vene. Le ombre aiutano la modellazione anatomica, che rivela un corpo perfetto e classico nelle proporzioni. La barba e i capelli sono riccioli e ricchi di riflessi luminosi. Gli occhi chiari richiamano l’attenzione sul volto di un uomo angustiato e sofferente. Un paesaggio con rocce e acque è minutamente dipinto oltre il vano della finestra, attraverso la quale penetra la luce. Tribuna della Chiesa di Santa Maria delle Grazie (1492-1497) La tribuna riflette le idee bramantesche sulla pianta centrale. Infatti le absidi dai volumi ben tagliati si dispongono ordinatamente e per corpi decrescenti attorno al tiburio. La nitidezza geometrica della costruzione è solo leggermente offuscata dalla tradizione decorativa e coloristica dei maestri lombardi. Bramante dilatò lo spazio della tribuna trasversalmente, con l’aggiunta di due ampie esedre e prolungò quello del coro facendolo seguire da un’abside. La scansione delle membrature architettoniche interne ripete quella ella pare che nella sagrestia brunelleschiana introduce alla scarsella, a la pluralità delle fonti di luce (dalle finestre sulle pareti agli oculi della volta del coro e della cupola), il basso tamburo sottostante la cupola e le decorazioni graffite suggeriscono una nuova e diversa concezione degli spazi interni e della loro percezione visiva. Tempietto di San Pietro in Montorio (1502-1508) Commissionato nel 1502 dal re di Spagna per ricordare il luogo del martirio dell’apostolo, dovette subire cambiamenti dopo l’esecuzione della cripta, e venne concluso intorno al 1508. Il tempietto è di piccole dimensioni, sopraelevato rispetto al piano del cortile in cui è situato. Esso ricalca la forma degli antichi templi circolari e lo stesso nome è un evidente riferimento alla classicità. Attorno a un corpo centrale cilindrico, corre n peristilio circolare, coperto da lacunari, delimitato da 16 colonne tuscaniche. Il fregio presenta decorazioni a tema liturgico che rinviano a San Pietro e alla Chiesa. Al di sopra della cornice, una balconata con balaustra. Il tempietto divenne un esempio a cui guardare. LEONARDO DA VINCI (1452-1519) A diciassette anni entra nella bottega del Verrocchio dove avverrà la sua formazione. Fin dalle sue prime prove il giovane Leonardo manifesta una sensibilità pittorica originalissima. Abbandona il contorno duro e tagliente caro ai maestri del Quattrocento e tende ad ambientare la figura, dai contorni mossi, evanescenti e sfumati, nella luce e nell'atmosfera naturale. Sviluppa una concezione dell'arte intesa come conoscenza, e il cui compito non consiste in una meccanica imitazione della natura, ma nell'atto scientifico della comprensione e riproduzione delle sue leggi. Ha un acuto spirito di osservazione e di ricerca che lo conduce ad indagare i fenomeni naturali e ad attuare uno studio meticoloso della realtà in tutte le sue forme. Già nelle opere del primo periodo fiorentino si evidenzia quale sarà la grande innovazione stilistica di Leonardo: le figure e il paesaggio che le circonda, così come ogni altra zona del dipinto attraverso sottili variazioni chiaroscurali, si fondono nell'atmosfera colorata che ricrea la luce naturale che li avvolge. E' l'invenzione del celebre "sfumato" che si fonda anch'essa sull'osservazione diretta dei fenomeni naturali. Annunciazione (1472-1475) Oggi agli Uffizi. E’ una tavola che ancora ricordi i modi di Verrocchio. E’ divisa orizzontalmente in due parti da un muretto che delimita un giardino. Al di qua si svolge l’evento miracoloso, al di là c’è un ampio paesaggio fluviale a sinistra, e marino a destra. L’angelo, con le ali ancora spiegate si rivolge verso la Vergine, seduta fuori un edificio di gusto quattrocentesco. La giovane è sorpresa, ma il suo volto è dolce e sereno. turbante, mentre le gambe attraversano diagonalmente quelle di Nicodemo, inclinato in direzione opposta a quella di Giuseppe per bilanciare. A desrta la Vergine sviene per il dolore (immagine figurata del dolore di Atalanta e della nuora). Nicodemo, che ha invece i lineamenti del giovane Baglioni, è il tramite figurativo tra il gruppo di coloro che trasportano il Cristo e quello delle donne a destra, partecipando allo stesso tempo dell’uno e dell’altro. STANZE VATICANE (1508-1520) A Roma, Raffaello è impiegato per la decorazione delle stanze dell’appartamento papale. L’artista fu costretto a servirsi di allievi come aiuti, per la grande mole di lavoro, Le stanze di cui si occupò Raffaello sono quattro: La Stanza della Segnatura, così chiamata perchè in essa aveva sede la biblioteca privata del papa; quella di Eliodoro, quella dell’Incendio di Borgo e quella di Costantino. Scuola di Atene (1509) Nella stanza della Segnatura, Raffaello rappresenta una delle due vie attraverso le quali si può arrivare a Dio (il Vero): la filosofia.. In un grandioso edificio classico, che ricorda le terme romane, sono riuniti i più importanti filosofi dell’antichità. L’edificio è preceduto da una scalinata. Su di essa e sui ripiani dei due libelli che collega, l’artista colloca i vari personaggi disponendoli secondo un andamento semicircolare attorno alle figure centrali di Platone e Aristotele. Il primo indica il cielo, ricordando che secondo le sue concezioni il mondo non è che una brutta copia di una realtà ideale e superiore. Il secondo con il braccio teso vuole significare che l’unica realtà possibile è quella concreta in cui viviamo. Fra i due è posizionato il punto di fuga. Tutto è posizionato secondo un equilibrio. Ogni cosa è al suo posto. Ad alcuni filosofi, Raffaello ha dato le fattezze di artisti suoi contemporanei, e fra essi ha posto anche se stesso: è il giovane con il berretto scuro che guarda all’esterno della composizione, a simboleggiare il filo ideale che lega gli uomini colti del suo tempo con quelli del passato. Bramante è ritratto in Euclide che a destra chianto a tracciare disegni con il compasso. Michelangelo è eraclito, pensoso, che non era previsto nel cartone preparatorio, ma è stato incluso per omaggiare il grande autore della cappella Sistina. Liberazione di San Pietro dal carcere (1513) Si trova nella stanza di Eliodoro. L’episodio narra che Pietro, il primo papa, imprigionato a Gerusalemme, credette di sognare di essere libero e lontano dal carcere. Raffaello svolge il racconto secondo tre episodi distinti, separati dalle mura della cella, ma collegati dallo stesso spazio e dalla narrazione. Al centro, l’angelo, luminosissimo, scuote San Pietro per svegliarlo. A destra i due si apprestano a scendere per una scalinata su cui dormono dei soldati. A sinistra, in primo piano un milite che sveglia i compagni addormentati, indicando loro San Pietro liberato e istigandoli a inseguire il fuggiasco. Vera protagonista è l’oscurità, che sta per essere vinta dalla luce. La luce dell’alba e la luce dell’angelo. Ma un’altra fonte di luce deve essere presa in considerazione, quella reale della finestra che è nella parete dell’affresco. Il Vasari diceva che quando si guarda l’affresco, con la luce della finestra nel viso, ti sembra di vedere il fumo della torcia e rimani così abbagliato dallo splendore dell’angelo, che non diresti mai che quello che vedi è dipinto. Questo è l’effetto di controluce. Incendio di Borgo (1514) Raffaello era stato nominato architetto della Fabbrica di San Pietro (essendo scomparso Bramante). Quindi aveva iniziato lo studio degli edifici antichi romani e del trattato d’architettura di Vitruvio. Di questo vi è riscontro nelle architetture dipinte nell’affresco dell’incendio, che si trova nella stanza omonima. Il soggetto rappresentato è la cessazione dell’incendio di Borgo divampato nell’anno 847 in Borgo, quartiere adiacente alla basilica vaticana, fermato dal gesto di un segno della croce di papa Leone 4. Il dipinto, pur organizzato come un teatro con un fondale e quinte laterali, è ricco di movimento. Raffaello, significativamente, pone a confronto la vecchia basilica paleocristiana di San Pietro (in fondo a sinistra) con l’Antico (i due edifici colonnati situati di fianco, forse ripresi dalle rovine del Foro Romano) con un’architettura cinquecentesca, quindi moderna (la loggia da dove il papa si affaccia). Una ripresa letteraria infine, è costituita dal gruppo con un uomo che porta il salvo il vecchio padre sulle spalle ed è seguito da un bambino e da una donna. Evidente riferimento alla fuga di Enea da Troia in fiamme con il padre, il figlio e la moglie. Ritratto di Leone X con due cardinali (1518) Oggi a Londra. Il papa è seduto davanti ad uno scrittoio, sul quale sono poggiati un campanello da camera e un prezioso codice miniato, che egli sta osservano con una lente. Gli sono accanto i cugini cardinali Giulio de’ Medici, sulla sinistra (futuro papa Clemente 7) e Luigi de’ Rossi, in una quasi totale oscurità. Lo scrittorio, disposto inclinato rispetto al quadro prospettico, conferisce dinamismo, altrimenti troppo statica. Lo sguardo di Leone è quello di un uomo intelligente, abituato ale raffinatezza della cultura fiorentina (era figlio di Lorenzo il Magnifico). Un solo colore domina la scena: il rosso. Più volte variato per adattarlo a raffigurare stoffe di diversa specie. Il libro miniato è una Bibbia aperta alla pagina iniziale del Vangelo di Giovanni (allusione al nome di battesimo del papa). Tuttavia egli sfoglia il codice alla rovescia. La pagina che sta per essere scoperta è, l’ultima del Vangelo di Luca, alcuni passi del quale potevano essere usati come pretesto della dispendiosissima costruzione della nuova basilica vaticana. Il ritratto allora, potrebbe essere letto come una risposta del papa alle tesi di Lutero. Tale interpretazione è più credibile se si considera che il dipinto non era stato pensato così come lo conosciamo. Il restauro del 1997 ha rivelato che i due cardinali furono aggiunti in un secondo tempo. Senza i cardinali, il dipinto avrebbe assunto il significato di un vero e proprio ritratto di Stato, in cui il papa si proponeva come interprete delle Sacre Scritture. Cappella Chigi (1511) La cappella si apre nella navata laterale sinistra della chiesa romana di Santa Maria del Popolo. Costruita su richiesta del potente banchiere Agostino Chigi, si configura come riflessione sulle fabbriche di Bramante mediata dalla forte suggestione dell’architettura e decorazioni del Pantheon. L’edificio ha una pianta quadrata con spigoli smussati che riecheggiano la forma dei piloni centrali del progetto bramantesco per la nuova Basilica di San Pietro, mentre la cupola priva di lanterna guarda al Tempietto di San Pietro in Montorio. La ricca decorazione degli elementi architettonici e la policromia dei monumenti sono riprese e rielaborazioni del Pantheon. La cupola è in riferimento a quella del Tempietto di Bramante. Inoltre in quest’opera Raffaello porta alla vita la tecnica del mosaico, caduta nell’oblio da tempo, ed ad essa affida la resa dell’ornamentazione della cupola. Villa Madama (1517) Progettata per il cardinale Giulio de’ Medici, la villa, che sorge sulle pendici di monte Mario, non fu mai conclusa, ma restò come esempio di villa rinascimentale suburbana per gli architetti successivi. Nelle intenzioni di Raffaello, la villa avrebbe dovuto comprendere ambienti e livelli diversi. Da un grande cortile esterno, un’ampia scalinata avrebbe condotto a un vestibolo diviso in tre navate, accesso per un cortile circolare, attorno al quale si sarebbero articolati gli ambienti più intimi della villa. Una grande loggia era prevista comunicante con un giardino chiuso da mura. Poi una cavallerizza, terme e un teatro. Del progetto iniziale, è stato realizzato solo metà del cortile circolare che costituisce oggi parte della facciata. Essa è organizzata da paraste ioniche. Trasfigurazione (1518-1520) Oggi nella Pinacoteca Vaticana. Rimase incompiuta. La tavola unisce due distinti racconti evangelici: nella porzione superiore, la trasfigurazione di Cristo, e in quella inferiore la liberazione di un ragazzo indemoniato. Il dipinto prende forza proprio nella contrapposizione delle due parti, calma, ovattata e solare la prima; concitata e tempestata dalla luce la seconda, dove si fronteggiano gli Apostoli (a sinistra) e la famiglia dell’indemoniato (a destra). L’artista continua a riferirsi a Leonardo con lo studio fisionomico, il linguaggio dei gesti, il colloquio degli sguardi e il trasparire dei sentimenti, mentre sviluppa il tema della figura in moto torsionale, di origine michelangiolesca. MICHELANGELO BUONARROTI (1475-1564) Compì i suoi primi studi finché andò a bottega da Domenico Ghirlandaio. Piuttosto che con questi però il giovane artista si formò copiando gli affreschi di Giotto e di Masaccio, nonché studiando sia la scultura degli antichi nell'ampia collezione medicea sia quella dei grandi Nicola e Giovanni Pisano sia, infine, quella dello stesso Donatello. Nel corso della sua lunga vita Michelangelo mutò alcune delle proprie concezioni sull'arte, sia per una logica e naturale evoluzione, sia per la realtà storica che si trovò a vivere. Come tutti gli artisti del Rinascimento era convinto che l'arte consistesse nell'imitazione della natura e come tutti quelli di formazione fiorentina riteneva che alla bellezza si arrivasse tramite l'indagine scientifica di quella. A Michelangelo tuttavia non era sufficiente la fedele imitazione della natura. Egli credeva infatti che questa occorresse scegliere le cose migliori e, anzi, era convinto che con la fantasia l'artista fosse capace di dare vita ad una bellezza superiore a quella esistente in natura. Esiste allora secondo lui un modello di bellezza che ogni artista si forma nella mente, modello ideale al quale conforma tutto ciò che vuole raffigurare. Per lui la cosa più bella del creato è l'uomo, o meglio il perfetto corpo umano, in quanto rispecchia la bellezza divina. Successivamente egli divenne più profondamente religioso, e la bellezza fisica divenne per lui secondaria rispetto a quella spirituale e la considerò solo un mezzo per rendere quest'ultima evidente. La pietà di San Pietro (1498) Venne incaricato di scolpire un gruppo marmoreo rappresentante la Pietà. La Vergine michelangiolesca è una fanciulla dal volto appena velato di tristezza che sorregge amorevolmente il corpo del figlio, invitando chi guarda a provare per lui il suo stesso dolore. L'ampio panneggio con le sue ombre profonde è il mezzo di cui l'artista si serve affinché, per contrasto, il corpo nudo liscio e perfetto del Cristo abbia maggior risalto. Michelangelo propone di contemplare degli esseri giovani senza imperfezioni nei quali si riflette la bellezza di Dio. David (1501-1504) Al suo ritorno a Firenze da Roma nel 1501 l'opera del Duomo lo incarica di scolpire una statua di David mettendogli a disposizione un enorme blocco di marmo che giaceva inutilizzato, ma che era stato manomesso anni prima da Agostino di Duccio. L'incarico quindi presentava un problema tecnico in più, ma quel che Michelangelo ne ricavò fu stupefacente e fu quasi come se fosse riuscito a far resuscitare un morto. Il David è colto nel momento che precede l'azione: la fronte è leggermente aggrottata, i muscoli in tensione e le mani nervose e scattanti. Tutto ciò rivela l'interna tensione psicologica del personaggio. Per le qualità morali che questo nudo virile incarnava, rappresentando pienamente quei principi di libertà e d’indipendenza che i fiorentini stessi vedevano nelle proprie istituzioni repubblicane fu deciso che la statua fosse collocata non in Duomo, ma davanti Palazzo Vecchio, sede del potere cittadino, divenendone simbolo. Sacra Famiglia - Tondo Doni (1504) Poco prima di allontanarsi nuovamente da Firenze, Michelangelo dipinse l'unica tavola finita che conosciamo di lui. In primo piano Michelangelo ha raggruppato saldandoli in un sol blocco, i componenti della Sacra Famiglia: Maria, Giuseppe e il piccolo Gesù. Questi seguono l’andamento elicoidale, l’avvitamento verso l’alto. Al di là di un muretto alle spalle di Giuseppe, emerge sulla destra la piccola figura di S. Giovannino dietro il quale, disposti a semicerchio su di un rilievo roccioso, stanno dei giovani nudi. A Michelangelo interessa poco il paesaggio, ciò che gli preme è la raffigurazione del corpo umano: è l'uomo al centro della sua attenzione e delle sue riflessioni. La Sacra Famiglia rappresenta il mondo cristiano, i nudi simboleggiano quello pagano e San Giovannino è l'elemento di mediazione fra i due mondi. Nell'opera i colori sono vivaci e cangianti, i corpi sono trattati in maniera scultorea, chiaroscurati e spiccati dal fondo della tavola tramite una linea di contorno netta e decisa, contrariamente a quanto veniva fatto in quegli anni. GIORGIONE DA CASTELFRANCO (1477-1510) Frequenta la bottega di Giovanni Bellini, da cui apprende il gusto per il colore e l'attenzione per i paesaggi. La prospettiva di Giorgione non è costruita secondo precise regole geometriche, ma piuttosto suggerita attraverso il colore. Usando tonalità di colore più calde o più fredde riesce a costruire una scala di sfumature che sovrappone le une alle altre, dando all'osservatore l'illusione della profondità. Pala di Castelfranco (1504-1505) La pala rappresenta la Madonna in trono fra i santi Nicasio a sinistra e Francesco. Venne realizzata su commissione del condottiero Tuzio Costanzo, che intendeva arricchire la propria cappella di famiglia nel Duomo di Castelfranco Veneto. La tavola presenta un’interpretazione assolutamente nuova di un tema sfruttatissimo. E’ innanzitutto significativo che la scena non sia ambientata in un interno, ma sullo sfondo di un paesaggio, Il trono non ha alcuna caratterizzazione di tipo architettonico, ma sembra piuttosto un semplice volume geometrico. Sembra un allestimento teatrale provvisorio. Gli alberi e la campagna non sono uno sfondo accessorio, ma parte integrante del dipinto. La Vergine è vestita con i colori delle tre virtù teologali: verde (speranza), rosso (carità) e bianco (fede). La prospettiva, nonostante sia scandita dalla pavimentazione, è dipinta, cioè suggerita dal colore. Anche i personaggi sono modellati dal colore. Il bambino in particolare, è rappresentato con grande realismo, nel momento in cui socchiude le palpebre per proteggersi dalla luce che inonda obliquamente la scena. La tempesta (1502) Uno degli esempi più belli della visione naturalistica di Giorgione. Il dipinto rappresenta un paesaggio con sullo sfondo un piccolo borgo fortificato (forse Padova o Castelfranco) in procinto di essere investito da una tempesta che si annuncia con un fulmine. Le due figure in primo piano sono state interpretate in più modi. La donna che allatta (Eva con Caino), l’uomo abbigliato secondo la moda veneziana (Adamo), Le rovine che emergono tra la vegetazione (la morte), il fulmine (Dio), la città lontana (il perduto Eden). Oppure, la donna potrebbe essere Venere e l’uomo Marte. Il fulmine in questo caso potrebbe essere Giove. Un’altra interpretazione la identifica con il ritrovamento di Mosè salvato dalla figlia del faraone. In questo caso la città sarebbe Gerusalemme. Comunque, al di là delle ipotesi, il soggetto evidentemente affascinante del dipinto è il colore. Attraverso la modulazione dei toni, infatti, Giorgione riesce a creare l’illusione di uno spazio prospetticamente infinito, al fondo del quale il nostro occhio si perde. Paesaggio e figure sono armoniosamente amalgamati. Venere dormiente (1508-1510) La dea dell’amore è colta in un momento di sonno, in mezzo a un prato. Nell’innocenza del volto, Giorgione non ha voluto ritrarre una dea, ma una donna. E il suo fascino è umanissimo, soprattutto nella serena inconsapevolezza della sua nudità. Il prato fiorito e cespuglioso dietro a Venere sembrano volerle rendere più tranquillo il riposo e anche il villaggio deserto sta a sottolineare l’immobilità del momento estivo. Secondo la tradizione, alla realizzazione di questo paesaggio a più piani, ha partecipato anche Tiziano. TIZIANO VECELLIO (1490-1576) Nacque in provincia di Belluno. Frequenta giovanissimo varie botteghe di pittura e fin dall'inizio si distingue per la spontaneità con la quale riesce a padroneggiare i colori. Poco più che adolescente entra nella cerchia di Giovanni Bellini e in seguito approda alla bottega di Giorgione, presso il quale approfondisce lo studio del tonalismo. Tiziano comincia a maturare uno stile molto personale che prevede un uso dei colori del tutto nuovo. Questi vengono stesi in modo rapido e a volte anche impreciso, senza disegni preparatori e con poco scrupolo dei contorni. La pittura che ne deriva è di grande immediatezza e di forte espressività. Le forme, liberate da ogni obbligo disegnativo, sono spesso più accennate che descritte e questo conferisce loro un realismo mai visto prima. La carriera di Tiziano è tutta un crescendo di fama e di successo, e quando Giorgione scompare prematuramente, egli si trova ad essere il primo pittore di Venezia. Amor sacro e Amor profano (1514) L’opera viene commissionata da Niccolò Aurelio, cancelliere del Consiglio dei Dieci della Serenissima. E’ una rappresentazione ticca di rimandi simbolici, ancora in parte oscuri o comunque possibili di diverse interpretazioni. Ci sono due personaggi femminili seduti. L’ambientazione naturalistica, che risente della lezione di Giorgione, comprende un dolce paesaggio veneto. La donna di sinistra, in bianco, rappresenta probabilmente Laura Bagarotto, che il committente sposa proprio in quell’anno. La donna può comunque anche rappresentare l’Amor profano, inteso come amore coniugale. La donna di destra, potrebbe impersonare Venere stessa, che introduce la giovane sposa ai segreti del matrimonio, ma anche l’Amor sacro, a sua volta inteso come suprema ricerca del bello e della perfezione spirituale. La tecnica di Tiziano è protagonista. Sa modulare i vari toni di colore riuscendo a dare ai volti accenti di naturalezza e agli abiti cangianti riflessi e panneggi scultorei Pala dell’Assunta (1516-1518) Fu la sua prima e importante commissione religiosa e rappresenta l'assunzione in cielo di Maria. La narrazione si articola su tre registri sovrapposti: in basso sono rappresentati gli Apostoli, sbigottiti e increduli di fronte all'evento soprannaturale. Al centro Maria è in piedi sopra una vaporosa nube, attorniata da una gruppo festoso di cherubini che cantano e suonano inni di lode. Il piede destro quasi completamente sollevato e le braccia levate al cielo sottolineano la tensione dell'intera figura ormai in procinto di spiccare il volo. Anche il suo volto è radioso ed è colto nell'attimo d'estasi appena precedente alla definitiva assunzione. Tiziano attenua l'atmosfera di spiritualità dipingendo il manto della Vergine in modo assolutamente realistico, come se fosse gonfiato da un turbine di vento che ce lo fa percepire in tutto il suo volume. In alto infine è raffigurato il Padre Eterno nella gloria dei cieli, che chiude lo svolgersi della narrazione. Il Creatore ci appare fortemente in controluce e rimaniamo abbagliati dallo splendore nel quale è immerso, ciò attenua i contorni rendendo la scena simile ad una visione soprannaturale e dota la metà superiore del dipinto di una fonte di luce autonoma e intensa. Flora (1520) Oggi agli Uffizi, un piccolo olio su tela databile al periodo della prima maturità artistica del pittore. E’ un vero ritratto; l’identificazione con la ninfa Flora dipende dalla manciata di fiori che regge con la mano destra. Il delicato effetto di chiaroscuro intorno al volto è ottenuto grazie a tenui passaggi di colori aranciati che, ripresi anche nella veste e nei capelli, suggeriscono la tiepida atmosfera di un tardo pomeriggio di primavera. Venere di Urbino (1538) Il dipinto rappresenta una giovane donna nuda semidistesa su un letto e il riferimento alla Venere Dormiente di Giorgione è pressoché evidente, ma evidenti sono anche le caratteristiche del tutto diverse che presenta. Innanzitutto l'ambientazione è all'interno di una casa patrizia e gli unici accenni di natura ci sono dati dalle fronde di un albero che si intravedono attraverso un'apertura colonnata e da una pianta in vaso posta sul davanzale. La Venere di Tiziano poi non è sola, sullo sfondo infatti sono raffigurate due domestiche nell'atto di cercare in un cassone di legno gli abiti da portare alla padrona. Ai piedi del letto infine, dorme un cagnolino, la cui presenza ci ribadisce che la fanciulla è una donna vera e non una dea. La maggiore differenza tra i due dipinti comunque, sta nell'atteggiamento delle due Veneri, quella di Tiziano infatti è perfettamente consapevole della sua nudità e forse anche orgogliosa. Ci fissa con uno sguardo deciso e sicuro, e non prova alcun disagio a mostrarsi così com'é. La scena si apre prospetticamente verso destra, suggerendoci l'ampio interno della casa. Il colore determina la successione dei piani, partendo dai toni caldi del letto, fino alla fredda lontananza del cielo oltre il davanzale. Questo sfondamento prospettico pone ancora più in primo piano la Venere, chiudendo in un certo senso il cerchio della composizione. Paolo III Farnese con i nipoti (1546) Il colore si riconferma trionfatore. Tiziano mette perfettamente a fuoco le diverse psicologie dei tre personaggi. Al centro il papa, curvo e malandato nel fisico, con il naso affilato e le gote incavate, che rivolge a Ottavio un vivacissimo sguardo. Questo si genuflette con finta devozione, per dovere formale più che per affetto o convinzione. A sinistra l’altro nipote ha uno sguardo distratto, quasi non facesse caso alla scena e stesse seguendo il filo dei propri pensieri. I tre emergono dalla penombra. La tecnica, propria della tarda maturità del pittore, mette in evidenza l’uso di pennellate sempre più rapide e meno precise, al fine di abbozzare le forme più che di definirle dettagliatamente, lasciando addirittura alcune zone incompiute. Questo dà al dipinto un’atmosfera tetra. Pietà (1576) L'ultimo dipinto di Tiziano, lasciato incompiuto per il sopraggiungere della morte, è la Pietà. Qui vediamo ambientata sullo sfondo di una grande nicchia incorniciata da un portale di gusto manierista, una scena di grande drammaticità. A sinistra la Maddalena disperata urla con rabbia il proprio dolore e allo slancio del suo movimento si contrappone la pacatezza di Maria che osserva con amore il volto del figlio morto. A destra vi è invece Nicodemo, in atto di sorreggere il Cristo. Infine all'estrema destra del dipinto, troviamo appoggiata ad un piedistallo di marmo, una tavoletta rappresentante lo stesso Tiziano e il figlio Orazio in atteggiamento di preghiera verso la Madonna. I colori del dipinto appaiono cupi e impastati, la luce livida conferisce ai personaggi un aspetto spettrale, le pennellate sono rapide e imprecise con alcune parti appena abbozzate e l'atmosfera generale è quella dell'incombere di una qualche immagine tragedia. IL CORREGGIO (1489-1534) Antonio Allegri nasce a Correggio, piccola cittadina nella piana di Reggio Emilia. Risulta geograficamente escluso sia dalle nuove tendenze del Rinascimento fiorentino-romano sia dal cromatismo dei veneziani. Egli però riesce comunque a maturare una straordinaria tecnica pittorica che ci fa supporre, anche in assenza di notizie certe, una sua presenza a Mantova, e forse anche un breve viaggio a Roma. In ogni caso ogni suo contatto anche indiretto con i maggiori esempi del Rinascimento, rimane solo uno stimolo puramente esterno, importante più per sollecitare la sua fantasia inventiva che, per indagare e approfondire le motivazioni artistiche degli artefici suoi contemporanei. Camera della Badessa (1518-1520) Correggio viene chiamato a Parma dove affresca il soffitto della Camera della Badessa, nel Convento di San Paolo. L’opera, di concezione assai originale, consiste nel dipingere sulla volta un finto pergolato di legno ricoperto da una fitta vegetazione, nel quale si aprono sedici ovati da cui si affacciano vari putti intenti ai loro giochi. Alla base di ciascuno dei sedici, sono raffigurate, entro delle lunette concave, alcune figure allegoriche tratte dalla mitologia classica. Esse sono dipinte in monocromia, cioè con diverse sfumature del medesimo colore (in questo caso il marrone-grigiastro), al fine di imitare il rilievo di una scultura a tutto tondo. Diana sul suo carro (1518-1520) Omaggio alla propria committente, la badessa Giovanna da Piacenza. Il dipinto rappresenta la dea mentre conduce tra le nuvole il proprio carro trainato da due cerve. La donna porta un falcetto di luna d’argento sulla testa (simbolo della sua purezza). La strana postura (non è infatti nè in piedi nè seduta) sottolinea la singolarità della visione, come se la dea, serena e giocosa, ci apparisse all’improvviso, tra le nebbie di un sogno. Cupola di San Giovanni Evangelista (1520-1524) Correggio per la Chiesa ha ideato una struttura prospettica molto impegnativa. Al bordo inferiore della cupola, affacciati su una densa corona di nubi, sono disposti gli Apostoli, in atteggiamento solenne, intenti a dialogare tra loro. Dietro di essi, le nuvole vanno IL MANIERISMO Fino a non molti anni fa, il termine “manierismo” veniva impiegato con il significato negativo di “imitazione”. Esso inoltre veniva riferito a tutti quegli artisti che, soprattutto nella seconda metà del 500, operavano alla maniera di Leonardo, Raffaello e Michelangelo, privandosi della propria fantasia e creatività per riprodurre cose già viste. A detta del Vasari, non era sufficiente imitare la natura servendosi solo dei propri mezzi, che a volte potevano non essere sufficienti; occorreva prendere a modella anche le opere di coloro che nell’imitazione della natura erano già stati perfetti. Questo tipo di operazione, però, comportava l’apprendimento dello stile, cioè della maniera, di un grande maestra. Quindi, Vasari usava il termine “maniera” come sinonimo di “stile”. Ma attualmente con la parola manierismo, si indicano alcune tendenze dell'arte cinquecentesca successiva al 1520 (morte di Raffaello) diffuse in Italia soprattutto dopo il sacco di Roma del 1527. Un’opera manierista ricerca: - La grazia (eleganza, dolcezza); che consente di portare a termine un lavoro con facilità. Essa dipende soprattutto dall’esercizio del disegno, dall’aver copiato a lungo e dall’essere capaci di disegnare a memoria un soggetto. L’opera non deve rivelare la fatica del lavoro. - La licenza della regola; cioè l’allontanarsi dalla regola, la libertà. E’ una conseguenza del gusto dell’artista. - Il virtuosismo - La difficoltà - L’inusuale e la bizzarria, l’eccentrico, il capriccio. PONTORMO (1494-1556) Incarnò più di ogni altro lo spirito del primo Manierismo fiorentino. Nacque a Pontorme d’Empoli. Allievo di Andrea del Sarto, ebbe commissioni da parte dei Medici dal 1519, quando venne incaricato di un dipinto murale per la Villa di Poggio a Caiano. Dal 1523 al 1525 lavorò alla Certosa del Galluzzo (alle porte di Firenze), nella Villa medicea di Castello e nel chiostro della Basilica di San Lorenzo (1546). Di carattere scontroso e volubile, venne poco compreso dai suoi contemporanei. La sua arte è, da subito, di altissima qualità e tenta di conciliare la ricerca volumetrica di Michelangelo con l’effetto luministico dello sfumato di Leonardo (luministico: realizzazione di un effetto di luce tramite il contrasto tra luce e ombra; in Leonardo non è tanto importante il contrasto, ma il passaggio graduale dalla luce all’ombra). Ne è un esempio lo studio eseguito a matita nera per una Donna Seduta, oggi agli Uffizi. Deposizione (1526-1528) In questo dipinto è riassunto ogni tema manierista. La scena ha un’ambientazione innaturale. I personaggi sono disposti secondo una tragica composizione teatrale. Ogni corpo è esageratamente esile, snodato, allungato. Le teste sono rimpicciolite e aumenta così l’impressione di slancio. L’equilibrio compositivo è dato dalla nuvola in alto a sinistra, in posizione simmetrica rispetto al personaggio di destra vestito di verde. L’equilibrio statico è dato da un vaporoso drappo verde su cui, contro ogni logica, il giovane in primo piano sembra poggiare le ginocchia. I gesti sospesi si concentrano verso il groviglio di mani intrecciate. Gli sguardi pieni di stupore di alcuni personaggi sono rivolti in più direzioni all’esterno del dipinto. Le vesti senza consistenza sono come incollate ai corpi, in una traduzione immediata del disegno di nudo in immagine dipinta. Si vedono, ad esempio il busto del giovane in rosa in basso, la giovane donna in azzurro in alto a sinistra, il giovane in verde in alto a destra nella tavola, forse San Giovanni (l’abito del personaggio sembra quasi dipinto sulla pelle). Per quanto riguarda i colori, usa i toni più chiari del rosa, del giallo, del celeste e del verde. Le ombra sembrano inesistenti: il Vasari dice che le tinte usate sono così chiare e simili nell’intensità che le parti in piena luce sono a stento distinguibili da quelle in ombra. ROSSO FIORENTINO (1495-1540) Nasce a Firenze e fu allievo di Andrea del Sarto. Lavora a Firenze spostandosi spesso in Toscana fino al 1523 quando si reca a Roma, che abbandona dopo il Sacco del 1527. Dopo una peregrinazione che lo porta a Perugia, a Sansepolcro e a Venezia, nel 1531 si trova in Francia alla corte di Francesco I. Lavora per il re alla decorazione della reggia di Fontainebleau, insieme ad altri artisti italiani. L’attività di questi artisti è nota come Scuola di Fontainebleau per concentrazione di ingegni, scambi intellettuali e creazione artistica. Muore qui forse suicida. Il suo disegno fu esperto e raffinato. Pietà (1535-40) Oggi al Louvre. L’opera risale al periodo francese ed era destinata alla cappella del castello di Ecouen. Fu commissionata da Anne de Montmorency, il Connestabile di Francia. Il formato rettangolare del dipinto è sottolineato in alto dal margine esterno del sepolcro scavato nella pietra ed è saturato da 5 figure. Gesù è appoggiato sui grandi cuscini rossi con i simboli araldici dei Montmorency (degli aquilotti stilizzati). Il suo lungo corpo che attraversa diagonalmente il dipinto, suggerendo la profondità della scena, è piegato, come se la tela non potesse contenerlo. Il busto sollevato è sostenuto da San Giovanni, inginocchiato a destra, il braccio destro è abbandonato sulle ginocchia della madre, coperte da un manto violaceo, le gambe sono tenute sollevate dalla Maddalena, accoccolata a sinistra. La Vergine rovescia il busto indietro sostenuto da una donna e allarga le braccia in un gesto che è allo stesso tempo di disperazione e di abbraccio. Ogni personaggio sembra adattarsi con fatica al formato del supporto. San Giovanni, piegato sulle ginocchia, fa forza sul piede sinistro: il bacino volge a sinistra e il busto verso destra, sollevando la spalla destra e abbassando quella opposta. La sua testa ruota da destra a sinistra. Il fondo nero dell’antro del sepolcro, fa risaltare il nudo di Gesù, dalla barba rossa, e la schiena possente di San Giovanni e quella delicata della Maddalena. La Vergine quasi sparisce sotto le vesti: il rosso dell’abito, il bianco del velo, il viola del mantello e il giallo del lembo del manto della donna che la sostiene. Le pieghe degli abiti sono sottili e suggeriscono i volumi dei corpi. Il rosso, nei toni dell’arancio, e il verde si sovrappongono e si sovrappongono, in accostamenti mai sperimentati prima. AGNOLO BRONZINO (1503-1572) Fu allievo di Pontormo, per cui fece anche da modello e da cui venne adottato. Portò alle estreme conseguenze le novità artistiche di Pontormo ma, al contrario del maestro, fu apprezzato. Lavorò soprattutto per i Medici e divenne il loro pittore ufficiale dal 1539. Fu uno dei fondatori dell’accademia del disegno. Allegoria con Venere e Cupido (1540-1550) Oggi alla National Gallery di Londra. Venere è seduta su un cuscino coperto da un drappo azzurro e ha in mano il pomo aureo della Discordia. Cupido è inginocchiato sullo stesso cuscino e abbraccia e bacia la dea dell’amore. I due occupano quasi l’intera metà sinistra della tavola. Venere allontana da sé una freccia di Cupido. A destra, lo Scherzo o la Follia danza spargendo rose e scuotendo i sonagli della cavigliera. Dietro di lui sta la Frode, un essere ibrido e mostruoso dalla testa di bambina, ma dal corpo squamoso con coda di serpente, zampe di leone e due mani destre. Due maschere sono ai piedi di Venere. In alto il Tempo, tenendo sulle spalle una clessidra, vincendo la forza dell’Oblio (la figura in alto a sinistra senza cranio, perciò senza ricordi) scosta il drappo azzurro, rivelando la Gelosia, figura femminile che si strappa i capelli. Si tratta forse dell’allegoria dell’amore carnale; dell’allegoria della bellezza che disarma la passione, le cui conseguenze sono la gelosia, l’inganno, la follia e l’oblio combattuto dal tempo o dell’allegoria del giudizioso agire del regnante (il dipinto era stato commissionato da Cosimo dei Medici per donarlo al re di Francia). Lui, infatti, deve smascherare chi, fingendo devozione e amore, offre servigi interessati, nascondendo la sua vera natura. Da notare il colore prezioso, la luce emessa dagli incarnati dei 3 personaggi in primo piano e il disegno nitido che precisa ogni dettaglio. IL PARMIGIANINO (1503-1540) Detto dai contemporanei un Raffello redivivo. Nacque a Parma, si formò nella bottega degli zii paterni e lavorò nel duomo di Parma quando vi era ancora attivo il Correggio. Si trasferì a Roma e vi stette fino al 1527, poi andò a Bologna. La grazia correggesca, acquisita fin dai prima anni nella città natale, fu arricchita dalla monumentalità e dalla bellezza a contatto con le opere romane di Raffaello, Michelangelo, Giulio Romano e Rosso Fiorentino. Madonna dal collo lungo (1534-1540) Oggi agli Uffizi.​ ​Si tratta di un’opera non finita. Un esile, ma lungo collo sorregge una piccola testa coronata da una raffinata acconciatura di capelli e gioielli. La Vergine è seduta e poggia il piede destro su due cuscini. Il Bambino si è addormentato sulle sue ginocchia e lei lo tiene delicatamente, circondandogli le spalle e guardandolo con orgogliosa tenerezza. Il suo corpo ampio, dai fianchi larghi e dalle gambe lunghe, è messo in mostra da un abito leggero e aderente che rivela l’ombelico e fa risaltare i seni. Questi sono ancora più evidenziati da una fascia diagonale (ripresa da quella stessa fascia che attraversa il busto di Maria nella Pietà di Michelangelo di San Pietro). Un mantello azzurro-verde scivola a terra e le scopre le spalle. Il bambino addormentato, che come il Cristo della Pietà vaticana ha un braccio abbandonato lungo le gambe della Vergine, è simbolo della morte del Salvatore. In basso sulla destra, un San Girolamo mostra i suoi scritti a un ipotetico interlocutore. La prospettiva dal basso verso l’alto, stando la linea dell’orizzonte sul terzo inferiore della tavola, contribuisce alla monumentalità della rappresentazione. GIULIO ROMANO (1499-1546) Allievo, collaboratore e continuatore dell’attività di Raffaello. Pittore, decoratore e architetto, nacque a Roma, ma le sue opere migliori si trovano a Mantova, dove si recò nel 1524 su invito del marchese Federico II Gonzaga. Nel 1526, fu nominato prefetto generale delle fabbriche (architetto sovrintendente alle costruzioni). Allegoria della Reggenza del cardinale Ercole Gonzaga (1540-1545) Sullo sfondo di un paesaggio lacustre con una cittadina alle sponde (allusione a Mantova e al fiume Mincio) limitato dalle montagne, un puttino guida un carro trainato da quattro focose aquile imperiali (uno dei simboli araldici dei Gonzaga, protetti dall’imperatore). Sopra di lui, due puttini portano in volo un cappello cardinalizio (del cardinal Ercole) e uno stemma dei Gonzaga con due leoni rampanti. Il carro e il riferimento a Ercole simboleggiano il ducato di Mantova ben governato durante la reggenza del cardinale. La scena è inquadrata da due alberi, con rami legati da tralci di vite, che formano un arco a sesto acuto (in relazione con quella giustificazione naturalistica che Raffaello aveva dato dell’architettura gotica nella Lettera a Leone X). Il disegno, tracciato a penna, è acquerellato a inchiostro bruno dato a pennello. Palazzo Te (1525-1534) Si trova a Mantova. Del palazzo, Giulio predispose il progetto, seguì la costruzione e realizzò la decorazione interna con aiuti. Costruito sull’isola Tejeto nella zona meridionale di Mantova, (dove il marchese aveva le stalle dei cavalli), il palazzo ebbe principalmente la funzione di svago. L’edificio ha forma quadrata e si compone di un solo piano sovrastato da un mezzanino. Esso si articola attorno a un cortile interno, chiamato cortile d’onore, come in una domus romana. A est un grande giardino, delimitato su un lato dalle stalle, si conclude con un’esedra ad arcate aperta sulla natura circostante. Non vi è nell’edificio una facciata uguale all’altra (e quella sud non venne realizzata). Quella nord e quella ovest, entrambe bugnate, sono determinate assemblando gruppi modulari delimitati da paraste, ora accoppiate, ora impiegate singolarmente, ora che stringono delle nicchie, ora delle finestre o delle grandi arcate. L’edificio infine è coronato da una trabeazione dorica con un fregio a metope e triglifi. La facciata settentrionale, rivolta verso la città, ha un portale a tre aperture affiancate da lesene doriche giganti, che comprendono sia il piano terreno sia il mezzanino (Giulio voleva dare l’idea di un unico piano). La facciata occidentale ha un unico accesso, che immette in un vestibolo diviso in tre spazi da colonne rustiche (cioè dal fusto appena sbozzato), mentre quella orientale si apre sul giardino. Sala dei Giganti (1532-1534) Nella Sala del palazzo è raffigurato l’episodio di Giove che punisce i giganti che gli si erano ribellati. Secondo la mitologia, i Giganti, figli di Urano, assaltarono l’Olimpo dopo aver accatastato i monti l’uno sull’altro. Giove li colpì con i fulmini facendoli precipitare e sprofondandoli nelle viscere dell’Etna. Giulio riuscì a fondere la rappresentazione pittorica con l’architettura, mimetizzando le aperture (porte e finestre) con le pietre dipinte e realizzando un’impressionante visione di finzioni che atterrisce a affascina lo spettatore. BENVENUTO CELLINI (1500-1571) Si forma come orafo. Lavorò soprattutto a Firenze a Roma. Dal 1540 al 1545 fu alla corte del re di Francia Francesco I. Rientrato in Italia stette a servizio di Cosimo I dei Medici, duca di Firenze. JACOPO BAROZZI-IL VIGNOLA (1507-1573) Nacque a Vignola. Si forma a Bologna. Dal 1541 al 1543 si stabilisce a Roma, dove succede a Michelangelo nella conduzione della fabbrica di San Pietro e opera prevalentemente per la famiglia Farnese. Chiesa del Gesù (1568-1571) Edificata per i Gesuiti, la chiesa si compone di una grande aula coperta con una volta a botte che si conclude con un’abside a pianta semicircolare sull’esempio della Sant’Andrea mantovano dell’Alberti. L’unica vasta navata (capace di accogliere una moltitudine di fedeli e quindi esemplare ai fini della predicazione) è affiancata da cappelle che mancano in corrispondenza del presbiterio. Il presbiterio è coperto è coperto da una cupola emisferica su alto tamburo finestrato. Il Vignola aveva ricevuto precise istruzioni per la progettazione da parte della Compagnia di Gesù. GIACOMO DELLA PORTA (1533-1602) Modifica il progetto del Vignola per la facciata, tenendo presente la facciata della basilica di Santa Maria Novella dell’Alberti, specie nel raccordo a volute delle 2 porzioni più basse dell’edificio (corrispondenti alle cappelle laterali) con l’unica navata. Lì dove il Vignola era riuscito ad armonizzare la parte superiore con quella inferiore tramite un’orditura regolare di colonne e paraste, l’intervento di Della Porta appiattisce la facciata in quanto moltiplica gli elementi verticali senza che vi sia più corrispondenza tra il registro superiore e quello inferiore. E’ il caso delle controparaste che chiudono il corpo centrale, che Vignola prevedeva per entrambi i registri e ora sono solo in quello inferiore; delle coppie di paraste estreme che non hanno un richiamo nel registro superiore, mentre nel progetto di Vignola avevano una prosecuzione nei piedistalli ai piedi dei raccordi curvilinei. Il Vignola, inoltre, avrebbe voluto sottolineare anche esternamente l’importanza della navata dando alla porzione di facciata che le corrisponde un aggetto maggiore rispetto al piano arretrato delle cappelle laterali. In più, il portale centrale e il sovrastante finestrone avrebbero dovuto aggettare ulteriormente, come per venire simbolicamente incontro ai fedeli. Della Porta, invece, riconduce ogni aggetto quasi a un’unica superficie, rendendo illeggibile la composizione gerarchica dei piani desiderata da Vignola. Nonostante ciò, i Gesuiti esportarono il modello della chiesa in tutta Europa e anche nell’America centro-meridionale. ANDREA PALLADIO (1508-1580) Nacque a Padova. Lavorò inizialmente come manovale a Vicenza e grazie al letterato Gian Giorgio Trissino potè avere un’educazione umanistica. Con lui compì il primo viaggio a Roma, primo di una lunga serie, dove poté ammirare le architetture di Bramante, di Raffaello e di Michelangelo. Studiò anche i monumenti classici, che disegnò in proiezione ortogonale, tecnica già nota agli architetti gotici, ma che si affermò in modo definitivo con Raffaello e la sua scuola. Molti di questi disegni furono molto importanti per il trattato I Quattro Libri dell’Architettura (1570). Egli svolse la sua attività soprattutto a Vicenza e dal 1561 a Venezia: qui si trasferì nel 1570 quando divenne architetto ufficiale della Serenissima. La Basilica-Palazzo della Ragione (1549-1614) La sua prima affermazione fu la realizzazione delle Logge di Palazzo della Ragione. L’edifico 400esco ha una pianta fortemente irregolare ed è posto tra la piazza dei Signori e la piazza delle Erbe. Palladio incluse, entro un doppio ordine di pilastri con semicolonne addossate (tuscaniche nella parte inferiore e ioniche in quella superiore), un complesso di serliane (finestre) doppie. La posizione fissa delle semicolonne trabeate e la luce costante degli archi suggerisce una scansione regolare che in realtà non esiste. Infatti muta ogni volta la distanza fra i pilastri e le coppie di colonne libere trabeate che sostengono gli archi delle serliane. LE VILLE PALLADIANE Palladio divenne famoso per le sue ville, costruite nella campagna veneta. Accanto alla villa si trovavano quei fabbricati ad uso agricolo, necessari per la conduzione delle terre. La pianta è solitamente di pianta quadrata o rettangolare con la presenza di uno o più loggiati. Il salone centrale (quadrato, rettangolare o cruciforme) costituisce l’ambiente principale dell’edificio, intorno a cui si dispongono simmetricamente le scale e tutti gli altri ambienti abitativi e di servizio. Villa Barbaro-Volpi (1554-1555) I committenti furono i fratelli Daniele e Marcantonio Barbaro. Lo spazio residenziale è costituito essenzialmente dal corpo centrale avanzato. La facciata di questa porzione è trattata a bugnato dolce, ma grazie all’impiego di un ordine ionico gigante e alla terminazione a timpano, assume l’aspetto del fronte di un tempio tetrastilo. La trabeazione è spezzata e gli stucchi vistosi del frontone si devono alla sovrintendenza di Paolo Veronese. I volumi porticati laterali costituiscono le cosiddette barchesse, cioè gli ambienti a servizio della villa padronale e delle sue attività produttive. Villa Almerico-Capra (1566-1567) La villa fu commissionata da Paolo Almerico e costruita sulla sommità di una collinetta poco fuori Vicenza. È una villa pensata non solo come abitazione, ma anche come luogo di piacere e di colto intrattenimento, dal momento che vi si svolgevano concerti e gare poetiche. Ricorda la tipica villa romana, descritta dagli antichi scrittori. Si tratta di un edificio a pianta quadrata con una ripartizione simmetrica degli ambienti interni, raggruppati attorno a un salone circolare coperto da una cupola prevista emisferica, ma poi modificata nel corso della costruzione. In ognuna delle 4 facciate si apre un accesso preceduto da un classico pronao, a cui si perviene tramite una scalinata Il pronao ha colonne ioniche, intercolunnio centrale più ampio degli altri, architrave a tre fasce e cornice dentellata come nel timpano. La villa, al pari di un tempio romano, è come sollevata su un podio. Questa caratteristica ricorre spesso nelle ville palladiane, dove i volumi corrispondenti al podio sono ambienti di servizio. Andrea inserisce i loggiati per far godere sempre della natura circostante, ovunque si volgesse lo sguardo. Chiesa di San Giorgio Maggiore ​(​1565) Nel 1565 Palladio ricostruisce la chiesa benedettina di San Giorgio Maggiore, ultimata nel 1610. In essa affronta 2 temi su cui si erano esercitati in molti tra 400 e 500: -il disegno della facciata di un edificio basilicale a 3 navate -il disegno di una pianta che leghi un corpo longitudinale a uno accentrato. La facciata è rivestita in bianca pietra d’Istria ed ha un unico accesso. Vi sono quattro semicolonne su alti piedistalli sormontate da una trabeazione su cui insiste un classico timpano a dentelli. Tale soluzione, che richiama il fronte di un tempio prostilo tetrastilo, si intreccia con un retrostante schema templare il cui frontone, interrotto solo lungo i due lati inclinati, poggia su un architrave a sua volta sorretto da paraste corinzie. La pianta comprende un grande ambiente rettangolare diviso nella parte anteriore in tre navate e da cui sporgono due esedre, corrispondenti alle opposte estremità del transetto. Seguono un presbiterio quadrato e un coro per i monaci che si conclude a semicerchio. L’interno della chiesa si caratterizza per le coperture con volte a botte della navata centrale e con volte a crociera in ciascuna campata delle navate laterali. Le pareti sono scandite da semicolonne composite su alto piedistallo addossate a pilastri. Chiesa del Redentore​ ​(1576-1577) La chiesa venne eretta sul canale della Giudecca. La chiesa ha una facciata costituita, come in San Giorgio, dall’intreccio di 2 schemi templari, uno più piccolo d’ordine corinzio, l’altro più grande d’ordine composito: entrambi poggiano su uno stesso piano. Lo schema templare maggiore determina l’effetto dominante. Esso si compone di due grandi semicolonne, collocate tra due paraste angolari che sostengono un frontone triangolare. Lo schema minore è allo stesso livello del maggiore ed è articolato con paraste che sostengono due semitimpani dentellati, con il geison e la sima che si interrompono in corrispondenza delle paraste terminali dell’ordine maggiore. L’interno dell’edificio è a una sola navata rettangolare con tre cappelle per lato. Teatro Olimpico​ ​(1580) Nel 1580, anno della sua morte, Palladio iniziò la costruzione del Teatro Olimpico; l’opera poi fu conclusa dall’allievo Vincenzo Scamozzi. Una ripida cavea è conclusa in alto da un colonnato trabeato, sormontato da statue. La cavea racchiude l’orchestra e fronteggia il palcoscenico, dietro a cui si dispone uno scenario architettonico fisso. Nel palcoscenico l’architettura si struttura in due ordini sovrapposti (ambedue corinzi) e un attico (fascia di coronamento di un edificio che nasconde il tetto). Nell’ordine inferiore, le colonne poggiano su piedistalli. Il soffitto è dipinto simulando un cielo con delle nuvole. Una delle grandi innovazioni di Palladio sta anche nelle prospettive plastiche (cioè tridimensionali) posizionate nel retro-scena. Infatti dalle tre aperture del fronte architettonico si dipartono 5 strade che sembrano lunghissime grazie all’illusionismo prospettico. Esse sono state realizzate in leggera salita e si restringono via via che si allontanano dallo spettatore. Ciò permette di fingere una grande profondità, come se si fosse in presenza di un medio complesso urbano, mentre in realtà lo spazio scenico è ridotto soltanto a pochissimi metri. Tali prospettive sono state realizzate da Vincenzo Scamozzi. JACOPO TINTORETTO (1518-1594) Jacopo Robusti detto il Tintoretto, nacque a Venezia nel 1518. Fondamentale per la sua maturazione artistica è stato il contatto con la scuola del disegno fiorentinoromana, Michelangelo poi diventa il punto di riferimento dell'artista sia per quel che concerne il soggetto sia per la tecnica disegnativa. Ma la sua invenzione nuova e straordinaria è una: la luce. La luce del Tintoretto infatti evidenzia i personaggi e gli oggetti staccandoli da qualsiasi contesto reale e proiettandoli nello spazio scenografico di una fantasia che prefigura già la futura sensibilità barocca. Non fu mai completamente apprezzato ne in patria ne fuori e godrà di grandissima fama solo nei secoli successivi, quando più evidente sarebbe stato il suo contributo all'arte barocca. Il Vasari, che accusa Tintoretto di essere un disegnatore superficiale e disordinato, sottolinea le sue stravaganze di carattere, le sue innovazioni stilistiche e la sua straordinaria produttività. I suoi disegni, però, realizzati con una linea non continua, data dalla somma di più tratti curvilinei, dimostrano che i suoi modelli erano manichini che lui stesso costruiva in legno e stoffa nella sua bottega. Miracolo dello schiavo​ ​(1548) Oggi a Venezia. E' il dipinto con il quale Tintoretto si impone all'attenzione dei suoi contemporanei ed è realizzato per la Scuola Grande di San Marco. Il soggetto si rifà al miracolo di San Marco che, secondo la tradizione, interviene rendendo invulnerabile uno schiavo che era stato sorpreso dal padrone a venerare le reliquie del santo e aveva comandato che venisse martirizzato. La scena ricca di luci e di movimento, si svolge sotto una specie di pergola, tra un edificio colonnato e delle rovine. I personaggi principali sono tre: a terra vi é lo schiavo rappresentato di traverso, in cielo appare San Marco, a destra infine siede un vecchio in un atteggiamento di stupore (un giudice o lo stesso padrone). La folla che assiste all'evento è percorsa da un moto violento, chi si sporge per vedere meglio e chi si ritrae quasi inorridito. Il colore collabora a dare credibilità all'opera, nei primi piani è violento per dar volume ai corpi, mentre sullo sfondo diventa più incerto al fine di aumentare il senso di sfondamento prospettico. La vera protagonista del dipinto è però la luce. Vivida e naturale come nella piazza retrostante, cupa come sotto il pergolato, o divinamente innaturale come quella che proviene da San Marco e che si riflette sul corpo del servo. Susanna e i vecchioni​ ​(1557) Oggi a Vienna, Secondo l’Antico Testamento, Susanna, moglie del ricco babilonese Ioachim, era una giovane di grande virtù e purezza. Accadde che due vecchi giudici, invaghitisi della donna, si fecero rinchiudere nel giardino del suo palazzo quando ella, credendosi sola, si era spogliata per fare il bagno. Dopo averla a lungo spiata si fecero avanti per possederla, ma Susanna si rifiuta di accontentare le loro voglie. Così per vendicarsi, i due giudici la accusano di essersi intrattenuta in segreto con un amante. Poiché il popolo e il marito credettero alla falsa versione dei giudici, la giovane venne condannata alla lapidazione. Solo con l’aiuto del profeta Daniele, si seppe la verità e così i due
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