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Arte, percezione e realtà. Come pensiamo le immagini - Gombrich, Hochberg, Black, Sintesi del corso di Psicologia Della Percezione

Sintesi del libro in programma nell'a.a. 2019/2020 per psicologia della percezione (DAMS)

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 21/02/2020

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valeria-gabriele-3 🇮🇹

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Scarica Arte, percezione e realtà. Come pensiamo le immagini - Gombrich, Hochberg, Black e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Della Percezione solo su Docsity! Arte, percezione e realtà. Come vediamo le immagini. - Gombrich, Hochberg e Black Il libro è suddiviso in 3 saggi, rispettivamente scritti da Gombrich (storico dell’arte), Hochberg (psicologo) e Black (filosofo), i quali affrontano il problema dei modi diversi di percepire le immagini, in particolare quelle pittoriche e fotografiche. 1. La maschera e la faccia: la percezione della fisionomia nella vita e nell’arte - Gombrich Il primo saggio appartiene a Gombrich che affronta la percezione della fisionomia nella vita e nell’arte. Lo storico dell’arte inizialmente prende come esempio le caricature, ritratti in voga nel XVII secolo che mirano alla maggior somiglianza di una fisionomia cambiando tutte le altre parti di un volto, considerate da lui un buon esempio per provare come le immagini artistiche possano essere convincenti senza essere oggettivamente realistiche. Ciò che ci permette di percepire come vivo e reale un ritratto sono i dettagli del volto che ci permettono di superare la maschera e di cogliere l’essenza di esso, ovvero l’insieme degli elementi fisiognomici che rimangono fissi, i cosiddetti universali. Dunque il riconoscimento di un volto avviene tramite l’isolamento degli invarianti che sono distintivi di un individuo. Da questo si può dedurre che tutti i fattori accidentali, come l’angolo o la luce con cui vediamo un volto, non influenzano la costanza fisionomica. Quest’ultima prevale anche sul mutare dell’aspetto dovuto al fattore tempo, mutamento che influisce sullo schema di riferimento ma non sulla struttura base dell’aspetto individuale. La somma dell’esperienza passata e del riconoscimento di un volto produce un’impressione globale – per esempio quando conosciamo una persona da molto tempo non siamo in grado di definire i dettagli del suo volto ma sappiamo certamente riconoscerne i tratti salienti grazie all’impressione globale che la nostra percezione ci ha fornito. Ma poiché la percezione della somiglianza è soggettiva, non tutti hanno la stessa impressione di un volto, bensì ognuno lo vede diversamente a seconda delle sue categorie percettive con cui esamina i suoi simili. Questo ci porta al paradosso della distinzione tra maschera e faccia (costanza dell’unità di base all’aspetto individuale). Quest’ultima, così forte da sopravvivere alle trasformazioni di un’eredità, contrasta con il fatto che questo riconoscimento può essere inibito da ciò che chiamiamo maschera, categoria alternativa del riconoscimento che fa riferimento alla società o ad un determinato ambito di quest’ultima. La maschera rappresenta distinzioni immediate, deviazioni della norma che distinguono una persona dall’altra che attraggono la nostra attenzione per servirci come segni di riconoscimento. Da questo assunto si può affermare che siamo programmati principalmente per cogliere la dissimiglianza, sarà la deviazione rispetta la norma spiccare imprimersi nella nostra mente. Per esempio la credenza che tutti cinesi si somigliano per gli occidentali e viceversa rivela un aspetto importante della nostra percezione: l’effetto di mascheramento, ovvero quando una forte pressione impedisce la percezione di sogni inferiori. La maschera sociale dell’espressione ci rende difficile vedere la persona come individuo, per questo secondo gli storici dell’arte in certi periodi e stili nei ritratti si tendeva a rappresentare tipi piuttosto che sembianze individuali. È quasi impossibile vedere un vecchio ritratto come si voleva che fosse visto prima dell’avvento dell’istantanea e dello schermo, ovvero con tutte quelle implicazioni sullo status sociale che nell’immagine moderna sono quasi impossibili da individuare. L’avvento della macchina fotografica, dell’istantanea, ha cambiato il ritratto e ci ha mostrato il problema dell’immagine somigliante in modo più chiaro intimo, richiamando l’attenzione sul paradosso di catturare la vita in un’immagine ferma e di congelarne l’espressione e lineamenti in un istante di cui non ci saremo mai resi conto nel flusso degli eventi. In questo senso è importante l’ambiguità che risiede in quella che si chiama “artificialità dell’arte”, possono informazione affidata indizi simultanei per cui il ritrattista, che vuole compensare la mancanza di movimento, deve innanzitutto mobilitare la percezione dell’osservatore: deve cioè sfruttare l’ambiguità della faccia immobilizzata in modo che la molteplicità delle possibili letture dia luogo ad una parvenza di vita. Data la difficile gestione di questi elementi espressivi di instabilità, spesso si opta per una soppressione emozionale che impedisca la nostra proiezione semplificando l’immagine. Attraverso le illusioni si può dare una forma apparente della faccia, e di conseguenza di un’espressione ed è in questo modo che l’artista compensa l’assenza di movimento, cosicché l’immagine può essere percepita dissimile per forma colore ma allo stesso tempo percepita come simile nell’espressione. In questo senso, le modalità secondo cui si può produrre la trasposizione della vita nell’immagine avvengono attraverso un processo di bilanciamento di mosse compensatorie, per cui per compensare un tratto si ricerca un suo equivalente, che può essere percepito come tale soltanto in base alla propria soggettività. Il problema della somiglianza si basa comunque sull’equivalenza dell’espressione dominante. Secondo la Legge di Töpffer, ogni configurazione che ci sia possibile interpretare come una faccia avrà subito una sua espressione e individualità. Siccome il numero di variabili interpretative è infinito, abbiamo bisogno di assegnare un’espressione a uno dei due seguenti insiemi: permanente o mobile. Nella vita reale, per questa assegnazione, siamo aiutati dall’effetto del movimento nel tempo, dimensioni che invece manca nell’interpretazione dell’immagine ferma. Dunque il problema della somiglianza dell’espressione nel ritratto trova qui una soluzione nella situazione artificiale del movimento arrestato: il movimento conferma o rifiuta le interpretazioni provvisorie, E quindi per una corretta interpretazione dell’espressione dovremmo assegnare ogni tratto a uno dei due insiemi sopraccitati. Inizialmente la fisiognomica era concepita come l’arte di leggere il carattere della faccia esclusivamente attraverso i tratti permanenti, servendosi della comparazione tra tipo umano e specie animale. Questa comparazione indica decisamente che la nostra reazione alle creature vicine è strettamente legata la nostra immagine corporea dato che, secondo la Teoria dell’empatia, si basa sulle tracce di risposta muscolare che riconosciamo anche come nostre, codificando la percezione delle creature vicine non tanto in termini visivi ma muscolari. Successivamente, invece, la fisiognomica diede più importanza ai tratti mobili, ovvero all’espressione delle emozioni. Ma queste espressioni mobili a poco a poco cambiano la faccia, la quale, prima che l’esperienza individuale ci scrivono sopra la loro storia, è una tabula rasa. Però, questa spiegazione, non ha come oggetto quello proprio della nostra ricerca: il carattere, la personalità o l’indole. Ciascuna di queste espressioni è incastonata in un umore globale o tono del sentimento. Questi umori sono a loro volta soggetti a fluttuazioni: alcuni sono reazioni eventi esterni mentre altri riflettono intenzioni interne. Ma le due variabili sono troppo grossolane poiché non tengono in considerazione quella gerarchia che va dalla struttura permanente del corpo alla fugace increspatura dell’espressione mobile. In qualche punto di questa sequenza gerarchica dobbiamo individuare ciò che avvertiamo essere l’espressione o atteggiamento più permanente e che per noi costituisce un elemento di grande importanza nell’essenza della personalità. È a tale elemento che il nostro rivelatore muscolare è adatto a rispondere. Il rapporto tra il carattere e il tipo di corporatura appartiene e credenze secolari nei tipi e nei temperamenti umani. Ma queste credenze prende poca giustizia alla varietà e sottigliezza dei ragioni si è fermato in modo reciso che l’uso della prospettiva lineare e da considerarsi come una convenzione arbitraria compresa, come il linguaggio della visione, inventato dei pittori occidentali e accettato in forza dell’esperienza che gli occidentali si sono fatti su indizi prospettici. Hochberg obietta che la prospettiva, sia essa appresa o meno, non è in alcun senso arbitraria, e che per spiegare perché i quadri possono essere accettati come rappresentazione di scene anche quando sono visti da un punto d’osservazione inappropriato ci sono altre due spiegazioni: 1. Le forme e le estensioni sono determinate più dal contesto in cui appaiono che dall’immagine che presentano all’occhio. Poiché le distorsioni risultanti da qualsiasi spostamento del punto di vista incidono in eguale misura sullo sfondo sulle linee principali del quadro, il rapporto figura-sfondo rimane intatto; 2. Hochberg, ricollegandosi a ciò che diceva Gombrich sul problema dell’attenzione, afferma che le parte di una scena dipinta appaiono muoversi e deformarsi nelle relazioni spaziali hanno che l’osservatore si muove rispetto al quadro E che ciò avviene quando l’osservatore fa molta attenzione a questi dettagli. Esiste dunque un accoppiamento tra le dimensioni percepite e la distanza percepita per cui, data una determinata configurazione di linee posta di fronte all’occhio, se le distanze parenti mutano, muteranno in modo corrispondente anche le dimensioni apparenti. Questo è l’esempio più chiaro di “casualità percettiva”, per cui un aspetto di ciò che si percepisce, come per esempio l’orientamento, sembra determinarne altri, come per esempio le dimensioni. Dunque le immagini pittoriche non-convergenti possono produrre impressioni di profondità̀ tanto quanto le immagini convergenti. Bisogna inoltre considerare il fattore tempo: le zone incoerenti di un’immagine non vengono di solito comparate direttamente l’una all’altra, infatti ogni oggetto solitamente viene esaminato attraverso una successione di occhiate, e ciascuna delle varie zone guardate ricade ogni volta sullo stesso punto dell’occhio quindi, le parti separate della figura devono coincidere in tempi diversi con la parte centrale della retina, la fovea, per poter essere viste con chiarezza dei dettagli, così poi da poter costruire uno un sistema integrato che contenga l’intera scena. Da ciò si può dedurre che il processo del guardare è attivo e selettivo. Ciò che percepiamo del mondo è quindi determinato sia dai processi che guidano la fissazione sia da quelli che determinano ciò che conserviamo di una sequenza di fissazioni. Questo processo dipende dall’attenzione dell’osservatore e dalle sue intenzioni percettive dunque non si può dare una spiegazione globale della rappresentazione pittorica sulla base di una sola interpretazione della realtà. (3) La percezione come comportamento intenzionato L’analisi dei comportamenti sequenziali specializzati (atti motori, scrivere a macchina, percepire, ecc...) propongono tutte l’esigenza di strutture guida (di attese, di mappe cognitive, di una struttura profonda) da cui si generano diverse sequenze specifiche equivalenti tra loro per il solo fatto che producono lo stesso risultato finale. Hochberg aggiunge che anche tutta la percezione visiva, o gran parte di essa, implica comportamenti sequenziali intenzionati altamente specializzati e che è possibile capire meglio una certa componente generale del processo percettivo nell’adulto in termini di attese e mappe che sottendono tali comportamenti specializzati. Con la pratica continua, ovvero con la ripetizione, gli atti specializzati vengono a determinare sequenze di azioni che vengono eseguite sempre con più facilità senza più bisogno di alcun stimolo esterno avvii l’azione. Determina quindi la sequenza delle azioni muscolari e la capacità del nostro sistema nervoso di generare, immagazzinare ed eseguire un programma, ovvero la serie di ordini o comandi efferenti da eseguire in sequenza. Tali programmi di comportamento intenzionato non implicano la necessità di una coscienza, e hanno delle caratteristiche interessanti: • Sono selettive, nel senso che sono certi aspetti specifici dell’ambiente sono rilevanti per il programma; • Sono diretti verso mete, ovvero vengono eseguiti sulla fine di conseguire una determinata circostanza. Le caratteristiche nei comportamenti percettivi specificatamente disegnata raccogliere le informazioni del mondo che ci circonda, Guidando lo sguardo in base allo scopo non hanno conoscenza pregressa, prendono il nome di attenzione ed intenzione. Perché la successione i movimenti oculari molto rapida, per ricordare concerto numero gli elementi, dobbiamo fare ricorso ai ricordi codificati dalle occhiate precedenti. Le occhiate avvengono tramite movimenti oculari a scatti, balistici, in cui i programmati in anticipo rispetto alla loro esecuzione e devono essere guidati da due fonti di attese: 1. le forme del mondo che ho imparato a conoscere; 2. la periferia della retina, Inadeguata a cogliere dettaglio me grado di fornire un suggerimento di ciò che lo sguardo dell’osservatore incontrerà quando costui muovere agli occhi verso un’altra zona del campo visivo. Dunque guardare un’immagine statica anche un processo temporale. Quando guardiamo un quadro, la stimolazione che ci offre non viene utilizzata simultaneamente dal cervello: riusciamo a vedere distintamente solo ciò che cade dentro il campo visivo nello spazio della fovea, tanto che le occhiate successive verranno dirette proprio in modo da portare alla fovea le parti più informative del quadro, tutto in base all’ipotesi che si generano da ciò che è presente nella visione periferica. L’integrazione delle immagini successive dipende infine dalla nostra abilità di far rientrare ogni singola immagine in una mappa mentale, in una struttura cognitiva che immagazzina l’informazione portata in ogni occhiata in modo da formare una singola struttura percettiva di forma stabile. Di conseguenza, si può affermare che la maggior parte del quadro non è visto sulla retina nessun piano del quadro, bensì nell’occhio della mente dove la scena rappresentata viene immagazzinata in codice, piuttosto che secondo un rispecchiamento mentale della scena: ciò che è in realtà codificato, e il modo in cui è codificato, dipende dal compito dell’osservatore, da ciò che può prevedere e immagazzinare, e da dove guarda. Purtroppo non si conoscono le dinamiche del processo di ricomposizione del quadro partire dalla serie di occhiate ma siamo sicuri che le elezioni della coerenza prospettica, che abbiamo discusso prima, sembrano dimostrare che normalmente non codifichiamo e immagazziniamo tutti gli aspetti metrici della scena e che ciò che non codifichiamo e immagazziniamo è perduto per la percezione. Se prendiamo come esempio il disegno lineare, possiamo affermare che l’artista non ha inventato il linguaggio completamente arbitrario ma scoperto, invece, uno stimolo che é in qualche modo equivalente ai cui sistema visivo normalmente codifica le immagini degli oggetti nel campo visivo, e tramite i quali guida le sue azioni intenzionate. (4) Caricature di oggetti Hochberg riprende l’argomento del saggio di Gombrich: la caricatura. Egli sostiene che nella rappresentazione caricaturale delle proprietà fisiche degli oggetti, l’essenza è descritta più rapidamente perché si fonda completamente sulla sua forma canonica, cioè sui tratti in base a cui la codifichiamo e ricordiamo. Questi tratti ricordiamo meglio perché sono stati semplificati E quindi ci richiedono una minore attenzione e un minor numero di fissazioni per campionar la: la caricatura raggiunge quindi risultati migliori delle immagini più accurate perché accento quei tratti distintivi in base quali di norma si percepisce la natura tridimensionale degli oggetti. Un modo per scoprire i tratti della caricatura consiste nell’impiegare ciò che Gombrich ha chiamato la legge di Töpffer, ovvero apportando variazioni sistematiche dei disegni di facce e scoprendo l’effetto che producono nell’osservatore. Cambiando gli aspetti della configurazione dello stimolo, il giudizio dei soggetti, in accordo per interi insiemi di tratti come umore, età, bellezza, etc…, nota di conseguenza. In conclusione sembra assai probabile che il riconoscimento sarebbe più rapido con buone caricature che con immagini non distorte e che le caricature sono forse più efficaci delle fotografie perché rendono possibile un vocabolario visivo più compatto poiché usano un numero relativamente piccolo di tratti per rappresentare un insieme molto più vasto di facce. Inoltre, la ricerca sulla natura della caricatura può avere un ruolo determinante nello studio del modo in cui percepiamo e pensiamo la persona. (5) La rappresentazione delle facce: fisionomia e carattere In quest’ultimo paragrafo del suo saggio, Hochberg propone che i tratti espressivi di una persona servono a segnalare ciò che quella persona farà in seguito, e che servono principalmente a ridurre l’incertezza dell’osservatore riguardo ciò che la persona intende dire e fare. Se un tratto locale ha la forma che avrebbe in uno dei comuni gesti paralinguistici, E se non è smentito da altri tratti, devo che era un’attesa espressiva nell’osservatore. Anche i tratti che non si situano in una deformazione dell’espressione possono avere una connotazione espressiva per due ragioni: 1. Possono presentare un rapporto che è rappresentato anche da una data deformazione dell’espressione > es. sopracciglie inarcate; 2. Possono deviare rispetto alla norma nella direzione di un certo modello ben definito che comporta una propria serie di attese > es. essere bambinesco. Si può così rendere conto del fatto che le facce, anche riposo, hanno effetti espressivi sull’osservatore, e riusciamo a farlo senza ricorrere necessariamente alla teoria dell’empatia di Gombrich. Questa spiegazione presume che le linee e le configurazioni della caricatura abbiano gli effetti che hanno perché sono codificate nello stesso modo dei gesti espressivi qui dobbiamo di norma prestare attenzione rapporti con le persone. Perciò, i simboli dell’iconografia del disegno animato non sono arbitrari nel senso che devono essere appresi tramite l’esperienza col repertorio degli elementi espressivi dell’artista
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