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Arte. Una storia naturale e civile 3. Dal Quattrocento alla Controriforma Settis, Dispense di Storia dell'Arte Moderna

Riassunto completo Dal 400 alla controriforma

Tipologia: Dispense

2021/2022

Caricato il 15/04/2024

shurax
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Scarica Arte. Una storia naturale e civile 3. Dal Quattrocento alla Controriforma Settis e più Dispense in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! IL GOTICO INTERNAZIONALE - 1 Lineamenti storici Il 400 è un secolo decisivo per la storia d'Europa. Dopo la tragedia della peste del 1348, il continente conosce una stagione di ripresa economica e culturale. Nel corso del 400 una serie di eventi epocali portò alla nascita di alcuni Stati Nazionali che esistono ancora oggi. Erano tutte monarchie per l'importanza dei diritti feudali. Uno dei più grandi conflitti del 14-15 secolo fu la Guerra dei cent'anni che vide opporsi la Francia e l'Inghilterra per ragioni dinastiche. Con la fine della lunga guerra, la Francia si avviò verso la definitiva unificazione, essendosi liberata dalla presenza inglese. Simbolo della vittoria francese è l'eroina Giovanna d'Arco che guidò le truppe francesi nella citta di Orleans. Una questione dinastica fu all'origine della Guerra delle due rose che vide scontrarsi i Lancaster e gli York dal 1455-1485. La guerra si chiuse con l'inconorazione di re Enrico VII, primo sovrano della dinastia Tudor. La Spagna anche va verso lo stato nazionale. Nel 1469 Ferdinando d'Aragona sposò Isabella di Castiglia, ponendo le basi per l'unione tra i due regni di Aragona e Castiglia. La definizione consacrazione del suo progetto con la presa della città di Granada con cui la Reconquista ai danni dei mori può dirsi conclusa. Nel 1492 Crisoforono Colombo scopriva il nuovo mondo avviando l'esplorazione di nuove rotte commerciali. Il mediterraneo non era più sicuro, nel 1453 i Turchi avevano conquistato Costantinopoli andando a minacciare pure il sacro romano impero. Gutemberg ideò la stampa a caratterti mobili nel 1455. Altra grande invenzione furono le armi da fuoco che imposero la costruzione di nuove tipologie di fortificazioni. L'italia era divisa. Al Nord troviamo la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano. Lo stato della chiesa dopo lo scisma di occidente tornò ad essere una presenza attraverso il rilancio urbanistico di Roma. Il Regno di Napoli conobbe il prevalere della casa d'Aragona. I duri scontri tra gli Stati regionali terminarono nel 1454 con la Pace di Lodi e con la nascita di una lega italica. La Repubblica di Firenze era in mano al potente banchiere Cosimo de'Medici. Gli stati italiani muovendo dalla riscoperta delle lettere classiche latine e greche iniziò a guardare al mondo con occhi più razionali. Corti che ebbero un ruolo importante erano: i Gonzaga a Mantova, gli Estensi a Ferrara, i Malatesta a Rimini, i Montefeltro a Urbino, poi anche la Repubblica di Siena. Il 400 è considerato di norma il secolo dell'Umanesismo e del Rinascimento. A partire dalla seconda metà del 300 si diffuse in europa un linguaggio artistico prezioso. Per definirlo si utilizza l'etichetta di Gotico internazionale, sia per la matrice gotica dello stile sia per l'inarrestabile propagazione. LO STILE DELLE CORTI EUROPEE- 1 Le miniature dei fratelli De Limbourg Nel castello di Chantilly si trova il più bel codice miniato del tramonto del Medioevo: Le ricchissime ore del duca di Berry. Si tratta di un libro di ore, cioè di una raccolta di preghiere. Il titolo dcel codice di riferisce all'eccezionale ricchezza del volume con pagine dovute principalmente alla mano dei fratelli Paul, Jean Hnnequin ed Hermann De Limbourg. Le immagini più significative del codice sono quelle dei dodici fogli di apertura, dove sono illustrate a tutta pagina le allegorie dei mesi dell'anno, oggetto caro alla cultura medievale. I mesi alludonio agli ozi di una ristretta cerchia di gaudenti. Aprile è rappresentato come il mese del fidanzamento. Nel semicerchio in alto è rappresentato un calendario astrologico, con il carro del sole al centro e la volta celeste con i segni zodiacali del mese: toro e ariete. Sotto si trova una scena simbolica di quantyo avviene nel corso del mese. L'episodio è quello di una nobile coppia che si scambia l'anello di fidanzamento. Se osserviamo Luglio vediamo che il soggetto e i protagonisti possono cambioare, ma l'intepretazione no. Il calendario ha le didascalie e i segni sono cancro e leone. La scena è riservata al lavoro degli bumiles. Sono attività dure e faticose, ma nelle miniature non c'è traccia di tutto ciò. Il contadino in veste bianca è attegiato in una posa aggraziata. In parallelo con questa visione idealizzata , una minuziosa nzione per il mondo reale percorre tutta la scena. C'è un cielo atmosferico che cambia tono, come avviene nell'esperienza di ogni giorno. La novità è veramente importante, nel 300 il fondale restava astratto, ma nel gotico internazione iniziano a comparire gli effetti atmosferici di un cielo vero. Il cielo dei De Limborg illumina un paesaggio in cui si riconoscono sempre gli stessi elementi: il castello, la campagna lavorata, il fiume, il bosco. La pittura: uno stile cortese Il linguaggio adottato nelle miniature rispecchia uno stile cortese che riflette i gusti raffinati del signoire e della sua corte. Sul piano sociale denota un carattere laico e profano, mentre su quello dello stile predilige i colori preziosi, l'attenzione alla moda, la fantasia e l'eleganza, ma anche una scrupolosa indagine della natura. Scarsa è l'attenzione per la resa tridimensionale dello spazio. Al rigore geometrico si antempone l'astro della decorazione. Tuti questi elementi hanno alle spalle la secolare esperienza francese del gotico, per questa ragione lo stile è detto Tardogotico. La Madonna dell'umiltà fu elaborata intorno al 1340 da Simone Martini, al servizio della corte pontificia di Avignone. Maria siede sul prato, ma poggia su vesti meravigliose in una perfetta sintesi dell'immaginario cortese. Avignone ospitava la più importante corte d'Europa ( 1309-1377). Tutto ciò permise al Gotico avignonese di diffondersi lungo la rete delle corti europee. Fu così che la Madonna dell'umiltà divenne uno dei soggetti per eccenllenza del Gotico internazionale. A favorire tale successo fu la possibilità di arricchire il tema mariano con elementi profani, unendo i gusti del pubblico religioso e di quello laico. La verione del 1420 di Pisaniello è nota come Madonna della quaglia. Il pittore estremizza l'eleganza della figura sottolineando la posa attraverso la curva, tipicamente gotica, dl panneggio del manto. Pisanello circonda MAria di uccelli e fiori e un posto d'onore è riservato alla quaglia. Si nota la preziosità, la raffinatezza e un'attenzione per la natura. Il Gotico fiorito e l'architettura flamboyant La passione per il mondo vegetale e la decorazione raggiunge l'architettura, tanto che si usano le formule di Gotico fiorito o Gotico fiammeggiante. Lo si nota nella facciata del palazzo sul Canal Grande a Venezia: la Ca' d'oro. L'arco acuto di tradizione gotica rappresenta il punto di partenza per elaborare un coronamento trasforato a infiorescenze, e il gusto ornamentale si manifesta pure nella merlatura. In origine era ulteriormente impreziosita da colori e dorature. La versione architettonica del Gotico internazionale ebbe fortuna nel resto d'europa, dove sorsero edifici in cui le nervature delle volte tendono a moltiplicarsi senza ragioni strutturali e con effetti decorativi e che li fanno somigliare a un intreccio di rami. Ciò si nota nella cappella del King's College di Cambridge e nella chiesa del Monastero dos Jeronimos di Lisbona. Mentre a Roma fioriva l Rinascimento, le principali corti d'Europa parlavno ancora la lingua del Gotico internazionale. La scultura di Claus Sluter Nel campo della scultura il primo grande maestro del Gotico internazionale fu Claus Sluter. Tra l'ultimo decennio del 300 e i primi anni del 400 egli fu al servizio del duca di Borgogna Filippoi l'Ardito e lavorò scomparti laterali i santi Girolamo, Francesco, Domenico Maria Maddalena assistono alla miracolosa visione, mentre sopra di loro vediamo quattro scenette in cui si riconoscono il Martirio di San Pietro martire, San Giovanni Battista nel deserto, le Stimmate di San Francesco e Sant'Antonio da Padova che legge. La raffinata cornice dorata rimanda al più tipico linguaggio gotico, ma non è 400tesca, risale al 1925. Guardando al tragico martirio del domenicano Pietro da Verona, ci si accorge che nella pittura dell'artista non c'è posto per la cruda violenza e per il dolore. Il pittore si rivela più attento alla brillantezza dei colori e ai loro accordi che all'efferatezza del gesto. Gentile a Firenze e a Roma La parabola artistica di Gentile ebbe il suo vertice a Firenze dal 1420 al 1425, periodo in cui le arti stavano vivendo una stagione straordinaria. Brunelleschi, Donatello e Masaccio davano avvio a quello che oggi chiamiamo Rinascimento. Anche se lanciano un'arte nuova, i ricchi fiorentini non cessavano di imitare i signori delle corti settentrionali. L'opera più importante è una pala raffigurante l'Adorazione dei Magi del 1423 comissionata da Palla Strozzi. É una tavola non suddivisa in tanti scomparti, presenta un unico palcoscenico deputato a narrare una storia senza suddivisione tra una scena e un'altra. In primo piano si compie l'epilogo: i Magi rendono omaggio al Bambino e alla Sacra famiglia. Alle loro spalle si acclaca un affolato seguito. Si tratta ancora una volta di una scena di corte gremita di attori vestiti alla moda e rilucente d'oro, senza interesse per la visione tridimensionale e prospettica. Alla base del dipinto, nella Fuga in Egitto, il pittore rinuncia al medievale fondo d'oro e dispiega un vero cielo. La raffigurazione del cielo è una novità eclatante. Sul finire del 1425 si traferì a Roma dove ebbe l'incarico di realizzare nella navata della Cattedrale di Roma un colossale ciclo di affreschi che non è giunto fino a noi. Un disegno tracciato nella cerchia di quest'ultimo resta a testimoniare come si sviluppava il ciclo gentiliano che proponeva due registri: uno narrativo con la succesione di Storie del Battista, l'altro ornamentale con una serie di figure di profeti dipinte, non riuscì a completare l'opera ma fu Pisanello, il suo più grande allievo, a concluderla nel 1431- 32. Il mio allievo di Gentile: Pisanello Antonio Pisano nasce nel 1395 in una famiglia originaria di Pisa, ma trasferitasi a Verona. Fece il suo apprendistato in Laguna con Gentile da Fabriano, è a Verona che rimangono le sue opere più significative. All'interno della chiesa francescana di San Fermo lavorò per il monumneto sepolcrale del veronese Niccolò Brenzoni ultimato nel 1426. Si può leggerela firma di Pisaniello, ma anche quella di Nanni di Bartolo (gruppo scultorio). Pisanello si occupò delle parti dipinte: la finta tapezzeria, il giardino gotico, la scena dell'Annunciazione. É possibile che il pittore abbia progettato l'intero insieme. La dipendenza dalla lezione di Gentile si riconosce facilmente nella tenerezza delle carni e nella raffinatezza cromatica della scena con la Vergine annunciata. Il monumento Brenzoni dimostra come maestri differenti potessero felicemente dialogare e collaborare, era la norma nel 400. Pisanello affrescò sopra l'arcone d'ingresso della cappella della famiglia Pellegrini, una fiabesca Storia di Giorgio e la principessa. Prendendo spunto da un passo della Legenda aurea di Jacopo da Varezze. L'artista privilegiò il registro cavalleresco rispetto a quello devoto. Se non fossimo in un luogo sacro potrebbero essere scambiati per Lancillotto e Ginevra. Alterna un registro avventuroso e uno più cortese evidente nel nobile profilo della principessa con la fronte nuda e i capelli raccolti come le grandi dame dell'epoca. Pisanello e la medaglia rinascimentale L'ultima fase della carriera di Pisanello si svolse prima nella Mantova di Gianfrancesco Gonzaga, poi nella Ferrara degli Estensi e infine nella Napoli di Alfonso d'Aragona. Il successo era legato alla reputazione di ritrattista, accresciuta grazie all'invenzione della cosiddetta medaglia rinascimentale. Nel 1438-39 si tenne un concilio inteso a riunire la Chiesa di Roma con quella d'Oriente. In tale occasione ritrasse l'inperatore bizantino Giovanni VIII Paleologo in quello che si crede essere stato il più antico modello di medaglia rinascimentale. La medaglia si impose a partire dalla metà del 400 come forma di autorappresentazione del potere, la norma era di dedicare il diritto della medaglia a un ritratto di profilo e il rovescio a un emblema o a un episodio narrativo. Nella medaglia il diritto mostra il profilo con l'appuntito copricapo alla greca, nel rovescio Giovanni accompagnato da un cavaliere visto di spalle di fronte al crocifisso. Una delle più significative medaglie di Pisanello è quella dedicata a Lionello d'Este e intesa a celebrarne le nozze con Maria d'Aragona. Sul diritto c'è il profilo del signore che ben si presta al confronto con il Ritratto di Lionello d'Este dell'Accademia Carrare di Bergamo. Due cantieri di Jacopo della Quercia: Lucca e Siena Tra i grandi maestri del Gotico internazionale vi furono anche scultori. Tra questi Jacopo della Quercia è quello che meglio seppe fare da ponte con il nuovo linguaggio rinascimentale. Realizzò la tomba di Ilaria del Carretto, moglie del signore di Lucca, intorno al 1406-08, preferendo una tomba isolata di gusto borgognone. Il gisant (giacente) di Ilaria è disteso sul sarcofago con ai piedi il fedele cagnolino e si distingue per il naturalismo del volto incantevole e dell'elegantissimo abito alla moda. Sui fianchi del sepolcro corre un motivo di spiritelli reggifestone, nei quali Jacopo recupera un tema iconografico della scultura antica interpretandolo con uno spirito spiccatamente gotico. Un monumento sepolcrale tanto innovativo non nacque per caso a Lucca, che conobbe nei decenni della signoria di Paolo Guinigi una notevole fioritura artistica, anche con continui scambi commerciali e culturali con la Lombardia e la Francia. Nel 1408 rientrò nella nativa Siena e ottenne dal comune la commissione della Fonte Gaia per la Piazza del Campo (1414-1419). Siena si era distinta come uno dei centri artistici più rilevanti del 300 europeo. Per la decorazione si scesero soggetti connessi con i temi civili espressi nell'antistante Palazzo Pubblico attraverso cicli di affreschi. Essa appariva come un trono con ali aggettanti al centro del quale sedeva la Vergine con il Figlio, accompagnata nella nicchie dalle Virtù. Sui fianchi c'erano le scene della Creazione di Adamo e del Peccato originale con le statue di Rea Silvia a Acca Larentia. (Nella tradizione italiana le fontane sono monumenti politici. Si aveva la profonda convinzione che le fontane manifestassero visibilmente il bene comune, ciò che tiene insieme la comunità civile.) San Petronio a Bologna: una chiesa civica e un portale di Jacopo Nell'ultimo decennio della sua vita Jacopo della Quercia nel 1425 aveva ricevuto l'incarico di scolpire un gigantesco portale per la Basilica di San Petronio. A Jacopo si deve il progetto del portale centrale riuscì a completare solo in parte. Manca infatti il coronamento gotico che avrebbe dovuto innalzarsi sopra la lunetta, popolata dal gruppo della Madonna col Bambino e i Santi Ambrogio e Petronio. Le figure umane si ergono sulla superficie liscia del fondo, a dare conto di un aggressivo plasticismo e facendo l'effetto di statue a tutto tondo. Nonostante la possente originalità dei rilievi di Jacopo, San Petronio, rimane in tutto e per tutto una chiesa gotica. É ovviamente gotica pure l'architettura delle cappelle che si aprono sulle pareti delle navate laterali. FIRENZE E IL PRIMO RINASCIMENTO - 2 Lineamenti storici Firenze nel 300 avvia una riscoperta della letteratura antica connessa con profondi significati civili. Per Coluccio Salutati, all'inizio del 400 Firenze volle proclamersi erede dell'antica Repubblica romana e del suo vivere civile, che prevedeva una forma antitirannica di governo e l'impegno di ogni cittadino per la difesa della libertà. Si parla in tal senso di umanesimo civile. Salutati fu cancelliere della Repubblica di Firenze, che trovò in Leonardo Bruni un prosecutore dei suoi ideali. Pensava che gli ideali di Roma fossero incarnati da Firenze. La Repubblica di Firenze era fondata sul lavoro. Per essere ammessi agli uffici pubblici si doveva essere iscritti a un'Arte: Corporazioni che riunivano i membri di un categoria professionale, 7 erano dette maggiori e permettevano più guadagni, le altre 14 erano dette minori e riunivano i mestieri più artigianali. Tra le Arte maggiori vi erano Calimala, l'Arte del Cambio e i Medici e Speziali, cui si aggregavano anche i pittori. Gli scultori facevano parte dei Maestri di Pietra e Legname. Nel 1406 la Repubblica conquistò Pisa. Presto la minaccia viscontea tornò a farsi sentire con il nuovo duca Filippo Maria e Firenze fu coinvolta nelle cosiddette guerre di Lombardia combattute tra Milano e Venezia. Ormai le guerre erano combattute da truppe mercenarie. Nel 1440 i Fiorentini sconfissero le truppe milanesi ad Anghiari. L'anno 1434 vide due eventi fondamentali: l'arrivo in città di papa Eugenio IV e il rientro di Cosimo de'Medici. Il papa sarebbe rimasto per anni facendo di Firenze il temporaneo centro della Cristianità traferendo qui il concilio ecumenico. Il concilio fiorentino venne finanziato da Cosimo de'Medici, il quale si fece di fatto signore della città. TRA IL DUOMO E ORSANMICHELE: GHIBERTI, BRUNELLESCHI, DONATELLO - 4 Firenze cambia Per provare a spiegare quello che è il Rinascimento è utile la dedica a Brunelleschi che nel 1436 Leon BAttista Alberti collocò in apertura del suo trattato Sulla pittura. Alberti racconta l'impressione sconvolgente che ebbe quando mise piede a Firenze. Prima credeva nell'assoluto primato dell'antichità e che quest'epoca non riusciva più a partorire uomini geniali. A Firenze capisce che l'antichità era rinata, anzi che era nato qualcosa di totalmente nuovo perchè gli antichi avevano goduto di un ininterotta continuità culturale, mentre la generazione che inventa il rinascimento lo fa dal nulla. Il simbolo di questo è la CUpola del Duomo di Firenze. Promotori di questa straordinaria stagione artistica sono: Filippo Brunelleschi, Donatello e Masaccio. Il concorso del 1401 Nel 1401 fu bandito un concorso tra i migliori artisti toscani, il vincitore avrebbe realizzato una grande Antonio Manetti racconta che l'artista l'avrebbe spiegata ai fiorentini per mezzo di una perduta tavoletta in cui aveva ritratto il Battistero di Firenze visto dall porta della Cattedrale. Chi, sistemandosi nel punto esatto in cui aveva eseguito il dipinto, osservava la tavoletta riflessa in uno specchio attraverso un piccolo foro posto in corrispondenza del punto di fuga, poteva scoprire nella veduta un'immagine identica al vero. Nel 1423-1427 Donatello realizza un rilievo di bronzo per il fonte del battistero di siena con soggetto il Convito di Erode. La scena viene riallestita, grazie allo stiacciato e alla prospettiva, in uno spazio tridimensionale. In primo piano c'è la testa del battista che viene presentata a Erode, in secondo piano al di là di una loggia troviamo suonatori colti di profilo. Ancora oltre si riconosce un momento precendente della storia, quando la testa è offerta a Erodiade. La monumentale scenografia è palesemente ispirata all'antichità e attraverso la diversità dei piani spaziali sono rappresentati, non solo spazi, ma anche tempi diversi. Questo fa parte di un ciclo di Storie del Battista voluto dall'Opera del duomo di Siena per decorare la vasca del Fonte Battesimale, parteciparono anche Ghiberti e Jacopo della Quercia. Qjuest'ultimo eseguì l'Annuncio di Zaccaria dove non riuscì a imitare le novità donatelliane, mentre Ghiberti fece il Battesimo di Cristo dove lo stiacciato non serve a definire lo spazio, ma mira ad esaltare l'eleganza lineare delle figure. É un Ghiberti del tutto gotico come si vede nella figura di Giovanni. La nuova architettura di Brunelleschi La cattedrale di Firenze era stata ricostruita agli inizi del 300 su disegno di Arnolfo di Cambio, ma non si sapeva come costruire la cupola. Nel 1418 l'Opera del duomo bandì un concorso per ricolvere il problema, cui seguì la nomina di Ghiberti e Brunelleschi. Il progetto brunelleschiano prevedeva una cupola con otto costoloni e altrettante vele, costruita senza centine (basi di appoggio) grazie a una serie di espedienti tecnici e architettonici. Pensò a una copertura a doppia calotta e una ad una muratura con mattoni a spina di pesce. Nel 1436 la cupola fu ultimata. Filippo guardò all'antico per le tecniche, ma non per la forma: ragioni strutturali imposero il ricorso a un verticalismo ancora di matrice gotica. Negli stessi anni esibisce una nuova visione architettonica. Sorgono due edifici dove la rinuncia agli orpelli gotici è definitiva e con il quale si fa iniziare il Rinascimento in architettura: la loggia dell'Ospedale degli innocenti e la chiesa di San Lorenzo. Nel 1419 ricevette l'incarico di progettare l'Ospedale degli innocenti. Fu innalzato il loggiato dell'ospedale costituito dal regolare succedersi di campate contraddistinte da identiche proporzioni in larghezza e in altezza, e dal susseguirsi di arcate a tutto sesto impostate su colonne. É il primo spazio urbano rinascimentale e per la prima volta l'architettura è posata in termini geometrici e aritmetici. Brunelleschi si occupò pure della ristrutturazione della chiesa di San Lorenzo. Il progetto prevedeva una suddivisione in tre navate, alternando la copertura piana al centro con le volte nei corridoi laterali e utilizzando per le campate il proporzionale modulo cubico già sperimentato nell'Ospedale. Era una pianta molto simile a quelle delle basiliche gotiche, ma il senso dello spazio era radicalmente nuovo, cioè perchè ispirati all'architettura romana e a quella paleocristiana. L'interno della chiesa mostra nella razionale fuga prospettica dello spazio il segno del disegno di Brunelleschi, che per la decorazione degli altari richiese non più polittici gotici, ma tavole quadrate, prive di cuspidi e pinnacoli. MASACCIO E I SUOI - 5 Masaccio e Masolino A raccogliere in pittura la lezione di Brunelleschi e Donatello fu Masaccio. Per riuscire ad affermarsi a Firenze ancora legata al Gotico internazionale, si mise in società con un pittore più anziano: Masolino da Panicale, che nel 1423 dipinge una Madonna col Bambino in cui il registro è quello tipico del Gotico internazionale. Masolino eseguì per la chiesa fiorentina di Sant'Ambrogio la Sant'Anna metterza, per cui si fece aiutare da Masaccio. A lui spettano le figure dell'angioletto in alto a destra e quelle centrali del gruppo della Madonna col Bambino. La Vergine e il figlio manifestano una peculiare concretezza tridimensionale e il neonato si contraddistingue per uno studio delle anatomie quanto mai moderno. La Cappella Brancacci Masolino e Masaccio rappresentavano due mondi profondamente diversi che si incontrarono nella decorazione di una cappella nella chiesa fiorentina del Carmine, che apparteneva a Felice Brancacci. Il lavoro iniziò nel 1424 e prevedeva di raccontare sulle pareti un ciclo di Storie di San Pietro. Gli affreschi delle vele e delle lunette sono andati distrutti, a ciò si devono le pitture tardobarocche della parte alta. La ducentesca tavola della Madonna del Popolo fu posta sull'altare solo dopo il 1458 dopo l'esilio dei Brancacci. In tale occasione fu rovinata la scena del Martirio di San Pietro. Filippino Lippi completò il registro più basso, infatti Masolino aveva abbandonato il cantiere nel 1425, Masaccio nel 1426 per realizzare un polittico a Pisa. Nel registro superiore della parete d'ingresso, sono rappresentati due episodi della Genesi. A Masolino spetta la Tentazione di Adamo e Eva, dove i protagonisti sono tanto nobili quanto assolutamente bidimensionali. Masaccio racconta in tutt'altro modo la Cacciata dal Paradiso terrestre. Adamo ed Eva hanno corpi umanissimi con una violenta espressività e carnalità. Sono figure tormentate da un estremo dolore che le apparenta all'espressività dei Profeti scolpiti da Donatello per il Campanile di Giotto. Tra questi spicca Abacuc, è la prova decisiva del ruolo giocato dalla scultura di Donatello nella formazione del giovane pittore. Nella scena del Tributo illustra il miracoloso pagamento della gabella. La storia è divisa in tre momenti: al centro Cristo che indica a Pietro di andare a pescare la moneta dalla bocca di un pesce, a sinistra Pietro che esegue l'ordine, e a destra il pagamento dell'imposta. Si ha una scenografia tridimensionale che applica le novità prospettiche in un funzione di una pittura di storia organizzata secondo le regole compositive della narrazione continua. Abbiamo un vero cielo atmosferico solcato da nubi, i tronchi degli alberi digradono proporzionalmente a seconda della distanza dall'occhio, l'edificio suggerisce una costruzione prospettica verso il centro dove si trova la testa di Cristo (unica parte con la mano di Masolino). Straordinaria è l'invenzione delle ombre reali proiettate a terra da ogni personaggio. Nel San Pietro che risana con la propria ombra si ha uno spoglio paesaggio urbano reso in prospettiva. Si tratta di una popolare via di Firenze, quindi la Firenze contemporanea era ora la scena in cui si dipanava la storia della salvezza. Nell'episodio del Battesimo dei neofiti, il soggetto permette la raffigurazione dei corpi nudi, indagati dal punto di vista dell'anatomia e nelle instintive senzasioni. A destra è raffigurato un giovane spoglio che aspetta di essere battezzato, questo nudo maschile è di un naturalismo intenso. Il Polittico di Pisa Nel 1426 Masaccio si spostò nella chiesa del carmine di Pisa per realizzare un polittico commissionato dal notaio ser Giuliano degli Scarsi. Si tratta dell'unica opera del pittore attestata da documenti. Il polittico ci è giunto in frammenti divisi. Nell'ipotizzare una ricostruzione dell'insieme, lo storico John Shearman immaginava i perduti santi laterali come figure disposte su piani diversi rispetto alla madonna. Avrebbe così ordinato un palcoscenico a tutta evidenza tridimensionale. Alla base vi era una predella costituita da 5 scenette ognuna delle quali corrispondeva alle figure soprastanti. Nell'Adorazione dei Magi, al centro, si possono ritrovare lo spoglio paesaggio montano, il cielo atmosferico, l'accurato studio delle ombre, le aureole in scorcio, la ponderata disposizione dlle figure nello spazio. Unica concessione al lusso è la sedie dorata della Vergine. Nella National Gallery di Londra si conservano la Madonna con Bambino e angeli di Gentile da Fabriano e lo scomparto principale del politicco masaccesco pisano. Il linguaggio è antitetico. Nella tavola di Gentile regna l'eleganza delle figure e l'assenza di una ricerca della terza dimensione è lampante al confronto con la prova masaccesca. Colpisce l'utilizzo di una luce fortissima che si nota nella consistenza del trono di pietra, dove non c'è più traccia di elementi gotici. La Crocifissione conservata al Museo Nazionale di Capodimonte in origine costituiva il vertice del polittico pisano. Masaccio vi implica la terza dimensione attreverso il poderoso gesto della piangente Maddanela, la disposione dei piedi di San Giovanni e la scelta di raffigurare Cristo quasi senza collo. La Trinità di Santa Maria Novella A Firenze in Santa Maria Novella, Masaccio affresca una Trinità con un'architettura illusionistica che finge un'intera cappella. In mezzo un Padre eterno colossale sorregge la croce da cui pende il Figlio, ai piedi ci sono la Vergine e San Giovanni, sulla soglia pregano Berto di Bartolomeo e sua moglie Sandra. Nel registro inferiore giace uno scheletro, allude a quello di Adamo, esso proclama che la passione, la morte e la resurrezione di Cristo hanno sconfitto la morte di ogni uomo. Per lui le ragioni della realtà e della prospettiva contano molto più delle abituali gerarchie. L'architettura della cappella sembra dettata da Brunelleschi e, nel susseguirsi dei piani, pare ben conoscere il Convito di Erode di Donatello. Si traferisce poi a Roma per lavorare alle commisioni di papa Martino V. Muore giovane ma alcuni maestri toscani erano gia rimasti colpiti dalla sua rivoluzione. Sulla scia di Masaccio: Sassetta, Beato Angelico e Filippo Lippi. Tra i primi a seguire le novità fiorentine ci fu Stefano di Giovanni detto il Sassetta. Intorno al 1423-24 dipinse un polittico per l'Arte della Lana di Siena, nelle scene superstiti rivela quanto le novità brunelleschiane cominciassero a essere note. Nel frammento con il Sant'Antonio battuto dai diavoli compare un cielo atmosferico e i tre demoni a semicerchio danno un senso dello spazio. Tuttavia le figure conservano una sottigilezza gotica. Abbiamo poi Beato Angelico che nel 1429 ultimava un trittico per il convento femminile domenicano di San Pietro Martire a Firenze. Il formato gotico della carpenteria, il fondo dorato e la sceta di unificare lo spazio del registro principale si uniscono ai 4 santi laterali che si ergono con statuaria solidità. Poi abbiamo Filippo Lippi, il più precoce e autentico seguace di Masaccio. Filippo Lippi fece del l'altare della chiesa del Carmine nel 1430 una Madonna dell'umiltà e santi, dove il soggetto prediletto dai pittori gotici è tradotto in termini massacceschi. Il fondo è azzuro anzichè dorato, manca la ridondanza di fiori e le figure sono salde. Le fisionomie e le capigliatore dei fanciulli annunciano la scultura di Luca della Robbia. avuto la preveggenza che il legno è quella della croce e l'incontro tra la regina e il saggio sovrano israelita che si compie entro un porticato all'antica. Piero della Francesca riesce a rendere l'effetto di un ambiente unificato, sfruttando la colonna centrale come perno per la piramide prospettica. Nella galleria nazionale di Urbino si conserva una Flagellazione. Si tratta di una virtuosistica prova di prospettiva, nata per dimostrare le doti del pittore. Il supplizio di Cristo ha luogo a sinistra, mentre in primo piano a destra tre personaggi sono disposti sul proscenio di un fondale urbano. Per il profilo di Pilato ha preso chiaramente spunto dall'effigie dell'imperatore Giovanni VIII Paleologo nella medaglia di Pisanello. Si capisce che non doveva essere pensato per una chiesa, gli abiti ricchi delle tre figure invitano a vedervi personaggi a cui il committente intendevano dare un nome. Il volto di Giovanni VIII Paleologo compare anche in una delle principali scene del ciclo aretino: lo si riconosce nella figura di Costantino che guida le truppe contro Massenzio nella Battaglia di Ponte Milvio. É una chiara allusione a quotidiani fatti di cronaca, nel 1453 Costantinopoli fu presa dai Turchi. Piero vuole evocare una possibile rivincita cristiana e bizantina. Nel Sogno di Costantino si riconoscono la resa tridimensionale del padiglione in cui dorme, lo scorcio difficilissimo dell'angelo che dall'alto cala a mostrargli la croce, la verità del cielo stellato e lo straordinario studio luministico. Fu la madre di Costantino, Elena, a ritrovare la reliquia della croce. La si vede dapprima osservare il recupero delle tre croci del Golgota e poi inginocchiarsi di fronte alla croce che con il contatto aveva resuscitato un morto. Fa risaltare il sacro legno con uno scorcio attetamente calcolato. Ancora una volta troviamo due episodi in uno spazio unico. LUCA DELLA ROBBIA E LA FORTUNA DELLE ROBBIANE - 7 Le cantorie del Duomo di Firenze a Firenze nel primo rinascimento anche la scultura seppe crearsi un nuovo linguaggio, grazie all'invenzione di una tecnica inedita: la terracotta invetriata. Il merito di ciò spetta a Luca della Robbia. Seppe però dimostrare di essere un grande scultore anche in marmo tanto che si confrontò con Donatello nell'esecuzione delle cantorie del Duomo di Firenze. Brunelleschi non si era occupato solo del cantiere della cupola, ma aveva progettato anche l'arredo della zona sottostante dotandolo di una coppia di cantorie, ovvero di due balconi. Quella a sinistra venne commisionata nel 1431 a Luca della Robbia e conclusa nel 1438, l'altra a Donatello nel 1433. Si conservano nel Museo dell'Opera del Duomo. Quando ottenne la commisione della cantoria, Donatello era appena rientrato da un secondo soggioro romano. Allestisce una sfrenata danza di putti alati, sembra quindi andare in direzione contraria rispetto alla misura e all'equilibrio dell'architettura di Brunelleschi anche con l'utilizzo di tessere vitree colorate, il rifiuto di una rigida composizione e la scelta di lasciare le figure poco più che abbozzate. Per il suo balcone, Luca della Robbia prende spunto dal Salmo 150 che si legge nella doppia iscrizione latina della cornice. Luca mette a punto una serie di dieci rilievi quadrati, con gruppi di cantori e danzatori con pose talvonta tratte dall'antico e un'armoniosa serenità. Inflessibile è l'ordine architettonico, scandito su deu registri dalle mensole del balcone e da coppie di paraste. Pittura come scultura: Filippo Lippi e Domenico di Bartolo Il pacato linguaggio di Luca della Robbia nella cantoria trova un preciso parallelo in pittura con Filippo Lippi e Domenico di Bartolo. Filippo Lippi fece alcuni dipinti in cui le forme delle figure si fanno più larghe e pacate. Un esempio è un trittico ora nel museo di Cambridge, in cui il fondo è ancora dorato ma la carpenteria rinuncia alle cuspidi gotiche, innalzando sullo scomparto centrale un timpano all'antica. Tutte queste figure sono praticamente intercambiabili con quelle affollano la cantoria di Luca. Non si deve scambiare per una madonna dell'umiltà, poichè la vergine sembra a terra ma in realtà è sospesa su un tappeto di nuvole. La Madonna dell'umiltà di Domenico di Bartolo oltre a contenere la sua firma reca anche la data 1433, adesso si trova al Pinacoteca di Brera. Nonostante il fondo d'oro, la tavola è di formato rettangolare e ha lasciato i complicati ornati delle cornici gotiche. La scena conserva il prato fiorito ma è tutta centrata sulla possente figura di Maria. Il solido bambino nudo con l'aureola in scorcio, denota una buona conoscenza di Masaccio e il drappello di angeli pare ricordare le figure di Luca della Robbia. La terrazotta invetriata e la sua fortuna Luca della Robbia seppe farsi apprezzare da Filippo Brunelleschi. Nel 1442 (1444) Luca ebbe l'incarico di eseguire una lunetta con la Resurrezione per la porta della Sagrestia delle Messe, proprio sotto la sua cantoria. La scena fu interamente realizzata con la tecnica della terracotta invetriata. L'episodio mostra un Cristo risorto, adorato da 4 angeli di aspetto classicheggiante e i soldati che dormono. La composizione è esaltata dal contrasto cromatico tra l'azzurro del fondo e le candide figure ad altorilievo. La scultura in terracotta consiste nel plasmare con l'argilla sia rilievi che figure a tutto tondo poi cotte in forno. Questa tecnica fu assai diffusa nell'antichità, fu riscoperta a Firenze nei primi decenni del 400 nella cerchia di Brunelleschi, Donatello e Ghiberti. Luca della Robbia procedette a sperimentare un particolare tipo di terracotta colorata, realizzata attraverso uno speciale smalto superficiale, capace di conferire una lucentezza vitrea. Tra il 1441 e il 1442 Luca aveva collaudato l'uso della terracotta invetriata in un tabernacolo eucaristico per la chiesa fiorentina di Sant'Egidio. Alleste un tempietto all'antica, inquadrato da lesene scanalate e coronato da un timpano. La struttura e le principali figure sono in marmo, l'invetriatura compare a impreziosire il fondo azzurro della lunetta, il motivo decorativo colorato del basamento, i festoni e le teste di cherubini e serafini e gli ornati vegetali dei pennacchi. L'invetriatura smaltata era molto più luminosa e resistente delle tradizionali policromie, inoltre la terracotta permetteva di realizzare grandi complessi tramite l'assemblaggio di molteplici pezzi plasmati autonomamente. Lo scultore aveva già inteso che la nuoca tecnica poteva essere applicata non solo a grandi rilievi, ma pure a scultura a tutto tondo dandone prova in una coppia di Angeli cerofori disposti nella Cappella di Santo Stefano. Dopo la fase di sperimentazione, scelse di dedicarsi solo alla terracotta invetriata organizzando una bottega capace di dare origine a una produzione dal carattere protoindustriale. Nel caso delle grandi pale d'altare, la possibilità di realizzare a Firenze i pizzi da spedire per essere assemblati in loco, garantì un'incredibile diffusione di manufatti. Le rubbiane furono particolarmente apprezzate dagli ordini mendicanti e da francescani in particolare. Ma ebbero anche committenze profane: lo dimostra una serie di robbiamo con immagini di neonati sulla facciata dell'Ospedale degli innocenti. Dopo la sua morte, la bottega familiare continuò ad avere successo grazie al nipote Andrea fino alla prima metà del 500. INTORNO A COSIMO IL VECCHIO: VECCHI E NUOVI PROTAGONISTI - 8 La Sagrestia Vecchia di San Lorenzo Prima di Cosimo de'Medici, era stato suo padre Giovanni a promuovere un importante cantiere nel 1420, la ristrutturazione della chiesa di San Lorenzo. Il progetto venne affidato a Brunelleschi ed era pensata come mausoleo mediceo. Venne ultimata nel 1428. La Sagrestia Vecchia è costituita da un'aula che appare come un nitido spazio cubico e scandito da elementi architettonici classicheggianti in pietra serena. Su ogni lato si sviluppano grandi lunette a tutto sesto, sopra le quali si innalza una cupola. al centro sotto il grande tavolo marmoreo si trova la tomba di Giovanni de'Medici. Nello spazio dell'altare risaltano una serie di colorati rilievi eseguiti da Donatello per gli arconi, i pennacchi e i sovrapporta della sagrestia, raffiguranti storie di San Giovanni Evangelista, allestite con monumentali scenografie prospettiche. Lo si vede bene nell'episodio della resurezione di Drusiana. Il Capitolo de'Pazzi in Santa Croce Brunelleschi dopo la sagrestia du coinvolto in un nuovo progetto. Andrea Pazzi aveva deciso di partecipare alla ricostruzione di alcuni ambienti del convento di Santa Croce e nel 1429 scelse di costruire una propria cappella isolata. Brunelleschi concepì un edificio a pianta centrale, impostanto all'interno su di un'aula cubica con cupola e scarsella. Per la decorazione venne preferita la posata serenità di un corredo scultorio in terracotta invetriata dovuto alla bottega robbiana. L'edificio sarebbe stato ultimato solo nella seconda metà del secolo. Il prospetto della cappella si distingue per un elegante porticato all'antica, sorretto da colonne corinzie che sostengono una trabeazione, interrotta da un arco a tutto sesto. Non siamo certi che questa facciata dipenda dal progetto originale. La Porta del Paradiso di Ghiberti Ghiberti ottine nek 1425 dall'Arte Calimara, l'incarico di realizzare l'ultima porta del Battistero, quella di fronte l'ingresso del Duomo. Quella originale oggi è al Museo dell'Opera del Duomo e sarebbe stata istallata nel1452. La struttura dei due battenti rinunciava a ogni riferimento gotico e prevedeva 10 grandi scene quadrate con storie dell'Antico testamento. Ghiberti rimaneva fedele alle proprie sottigliezze gotiche: le figure acquistavano appena un pò di volume rispetto alla porta nord, la prospettiva gli rimaneva sostanzialmente oscura e lo stiacciato donatelliano veniva utilizzato per rifinire elegantissimi dettagli. Nella storia di Adamo ed Eva, si inizia a sinistra con la creazione di Adamo e si prosegue al centro con quella di Eva. La narrazione poi continua con il momento del peccato originale, illustrato a bassissimo rilievo, che ha come conseguenza la cacciata dal Paradiso terrestre a destra. La materia è preziosissima, i personaggi tendono più alla bellezza che al dramma, gli alberi sono lussureggianti e il paesaggio è descritto accuratamente. Nel breve spazio quadrato della formella hanno luogo 4 momenti successivi del racconto biblico intrecciati e combinati fra loro. Le difficoltà ad intendere la prospettiva si notano nella formella della Storia di Giuseppe ebreo. La vicenda è illustrata attraverso 7 episodi, predisposti intorno a una grande loggia circolare, che Ghiberti non riesce a collocare correttamente nello spazio, Lo scultore si esalta piuttosto nella minuzia delle elegantissime figure arcuate. Il David e la Giuditta di Donatello Il David in bronzo è conservato nel Museo del Bargello di Firenze. Il pagano nudo del David è di un'eleganza estrema, ma propone una novità decisiva, è una vera e propria statua a tutto tondo. La tempera è preferita la pittura a olio, che permette di avere colori più brillanti e una resa luministica più intensa, poi la volontà di rappresentare analiticamente la realtà in ogni dettaglio pur in assenza di una razionale scatola tridimensionale. Sono tanti brani di natura morta amalgamati in un clima d'intimità domestica reso attraverso la luce che si irradia dalla finestra. Dovrebbero essere Giovanni Arnolfini e la moglie Giovanna Cenami, le pose lasciamo intendere che ci troviamo di fronte ad un ritratto celebrativo. L'attenzione al dettaglio si nota anche nella descrizione delle fisionomie e nella resa tattile delle carni e delle vesti. Jan van Eyck era un vero e proprio specialista nell'arte del ritratto. Nel 1425 a Bruges divenne pittore di corte di Filippo il Buono. Nel Uomo col turbante rosso l'uomo appare a mezzo busto e di tre quarti, inoltre è firmato e datato sulla cornice (1433). Sorprende per l'evidenza veristica della stoffa e del copricapo, della pelliccia, della peluria, del colore della pella e dell'intesità dello sguardo, ciò grazie alla pittura ad olio e a una luce che fa risaltare le forme del volto contro il fondo scuro, caratteristica della ritrattistica fiamminga. L'ultimo decennio di attività, dal 1431 al 1441 lo trascorse lavorando alla sua opera più grandiosa, il Polittico dell'Agnello mistico della Cattedrale di San Bavone a Gand. É ancora tardomedievale nel soggetto e nel formato, ma contraddistinta da sportelli dipinti sia davanti che dietro. La pala era destinata alla cappella privata del ricco mercante Joos Vyd, che si vede ritratto in basso chiudendo gli sportelli. Aprendo i battenti ci si trova in un giardino al centro del quale c'è il divino Agnello. Nello scomparto superiore dominano le figure del Dio Padre, della Vergine e del Battista e nelle ante laterali le figure di Adamo ed Eva. Il paesaggio è illuminato dal chiarore del cielo e indagato nei più precisi elementi di natura, ma sfugge a ogni rigore prospettico. La Madonna del cancelliere Nicolas Rolin venne commisionata per la propria cappella nella chiesa di Notre-Dame-du-Chastel ad Autun. É una pala di formato quadrato ambientata nella sala di una sontuosa dimora che si apre in un luminoso loggiato. Ci fa gettera lo sguardo su di un sottostante bortus conclusus dove due uomini si affacciano verso il lontano paesaggio a scutare le architetture gotiche e la rigogliosa vegetazione. Rogier van der Weyden: dalle fiandre all'italia e ritorno Altro protagonista fu Rogier van der Weyden, nel 1435 a Bruxelles si afferma come pittore ufficiale della città. Egli dipinse per la capella della Corporazione dei Balestrieri di Lovanio una pala d'altare che aveva al centro la Deposizione. I personaggi si accalcano senza interesse per una razionale organizzazione spaziale, ma c'è una grande precisione nei dettagli. Esegue il Polittico del Giudizio universale negli anni 40 per l'ospedale di Beaune. Questo si caratterizza per la possibilità di alternare attraverso l'apertura o la chiusura due immagini diverse: una è la visione dell'Arcangelo Michele che divide i beati e i dannati e l'altra è la scena del committente e della moglie in atto di venerare le statue dei santi Sebastiano e Antonio abate. Le due sculture sono rese illusionisticamente. Realizza una miniatura per il frontespizio delle Chroniques de Hainaut per Filippo il Buono, dove si racconta la storia della contea di Hainaut. Raffigura il momento in cui Filippo riceve il manoscritto e l'offerta del libro sottintende un atto di vassallaggio. L'uomo inginocchiato non è l'autore ma il committente. Filippo indossa il collare del Toson d'oro, ordine cavalleresco, ed è indossato da tutti i membri della corte. Si tratta di una scena quotidiana e nonostante qualche riferimento alla moda del tempo, non si colgie la volontà di ostentare una particolare magnificenza. Prediligie la fedeltà al vero e la resa materica delle stoffe e delle cose. Tra il 1449-1450 scende in Italia per partecipare all'Anno Santo di metà secolo. Un tempo si credeva che la sue Deposizione nel sepolcro fosse stato eseguito in tale occasione per Lionello d'Este. Il modello della Deposizione di Beato Angelico è come tradotto nei termini di un verismo fiammingo capace di sottolineare il dolore degli attori e di allargare lo sguardo in lontananza seguendo due strade. Oggi si crede che l'opera risalga al rientro in patria di Rogier che l'avrebbe poi inviata ai Medici. A Bruxelles forma una nuova di generazione di maestri. Tra questi vi fu anche il pittore lombardo Zanetto Bugatto, inviatogli dalla duchessa Bianca maria Sforza. In Italia si trova la prima attestazione letteraria della pittura fiamminga. L'umanistica Bartolomeo Facio nel 1456scrisse nel De viris illustribus una novantina di brevi biografie. Tra i pittori troviamo Gentile da Frabiano e Pisanello, ma anche van Eyck e van der Weyden. Hans Memling: un protagonista del secondo 400. Hans Memling fece il suo apprendistato con van der Weyden. Dopo la sua morte nel 1465 si trasferì a Bruges dove avviò una bottega ottenendo un successo di portata europea, dimostrando un'evoluzione artistica. Una delle opere più significative è un grande trittico raffigurante il Giudizio universale. Era stato commissionato da Angelo Tani, il direttore del banco mediceo di Bruges e fu inviato nel 1473 a Firenze, tuttavia non arrivò mai. La nave fu assalita da un corsaro polacco e ancora oggi si trova a Danzica. Offre una rilettura di quello eseguito prima da van der Weyden. Riduce gli scomparti da nove a tre. Al centro alla corte celeste è riservata solo la parte alta, in mezzo l'arcangelo Michele si erge a dividere la folla di beati e dannati. A sinistra i beati sono accolti da san Pietro alla porta del Paradiso, raffigurata con la facciata di una cattedrale gotica. A destra ci sono le fiamme dell'inferno. Nella composizione più dinamica e nella scelta di calcare l'attenzione sull'umanità nuda si coglie l'evoluzione rispetto a prima. Si occupò di trittici più piccoli e destinati alla devozione privata. Uno di questi fu dipinto per Sir John Donne, un diplomatico legato alla casa reale inglese. Si allinea al più tipico verismo fiammingo, ma dimostra la volontà di aprirsi alla pittura italiana. Al centro c'è la Madonna con il bambino. Il committente, la moglie e la figlia si inginocchiano a riverire le figure divine, mentre negli scomparti laterali si stagliano due santi. La porta e la finestra si aprono a mostrare un quieto paesaggio e vuole sottolineare la tridimensionalità tramite la fuga prospettica degli elementi geometrici del pavimento. Apporta una decisiva novità alla tipologia del ritratto nordico, sostituendo al tradizionale fondo scuro un sereno fondale di paese come si vede nel Ritratto d'uomo con moneta romana. A tipiche caratteristiche dei ritratti nordici aggiunge un gesto inconsueto: l'uomo mostra appunto una moneta, un oggetto. TRA FRANCIA E ITALIA: BARTHÉLEMY D'EYCK E JEAN FOUQUET - 10 Non solo Fiandre: le esperienze francesi Non furono soltanto i pittori fiamminghi a dare una svolta al linguaggio figurativo d'Oltralpe. Emersero personalità di spicco come Barthélemy d'Eyck e Jean Fouquet. L'Italia condivise esperienze artistiche essenziali anche con la Francia. Barthélemy d'Eyck fu al servizio di Renato d'Angiò nel 1433 (a Napoli e in Provenza). Dipinse un trittico intorno ale 1443-45 per la Cattedrale di Aix-en-Provence, oggi smembrato, per il mercante Pierre Corpici. Lo scomparto centrale inquadra l'episodio dell'Annunciazione entro un solenne edificio gotico, la luce tipicamente fiamminga si diffonde a richiarare gli spazi e nelle nicchie si trovano i profeti Isaia e Geremia. Al di sopra di ogni profeta ha ritratto uno scaffale colmo di libri. Questa idea si riallaccia alla pittura di van Eyck. Il ritorno in provenza di Renato favorì il crescere di una scuola che trovò una figura di spicco in Euguerrand Quarton. Tra le sue opere si distingue l'Incoronazione della Vergine commissionata nel 1453 per la Certosa di Villeneuve-les-Avignon. La tavola è ordinata secondo una gerarchia che ingrandisce i personaggi principali. In totale assenza di prospettiva, il compito di uniformare il tutto spetta a una luce proveniente dall'alto. Non è un paesaggio realistico: il crocifisso al centro annienta la distanza geografica tra Roma e Gerusalemme e trasfroma le città in entità simboliche. É un'interpretazione della veduta di paesaggio che tra il secondo e terzo quarto del secolo inizia a diffondersi. Nel 1444 il tedesco Konrad Witz dipinse per la Cattedrale di Ginevra una pala d'altare cui appartiene la Pesca miracolosa. Le dilatate sperimentazioni paesaggistiche di Witz ebbero immediata fortuna. Un nuovo modo di sentire e quindi di dipingere il paesaggio si propagava velocissimamente. Jean Fouquet: un francese e l'Italia Jean Fouquet era apprezzatissmo dai sovrani e godette di buona fama anche in Italia. Verosimilmente soggiornò anche a Firenze. Le conseguenze di tale viaggio sono evidenti nelle opere che seguono il rientro in Francia e in particolare in un impresa per conto del potente Étienne Chevalier, tesoriere di Carlo VII. Alla morte della moglie gli commissionò il dittico oggi smebrato. Dalla cornice proviene un piccolo tondo con l'autoritratto del pittore e la firma, è un immagine esemplare dell'eccezionale perizia di miniatore e ritrattista. Le ante del dittico richiamano le novità italiane. A sinistra c'è il devoto Etienne presentato con il santo patrono Stefano mentre guardado alla loro sinistra dov'era l'affascinante figure della Vergine col figlio. Maria ha le forme provocanti di una giovane dalla vita stretta, i seni prorompenti e la pelle cristallina, che contrasta con il rosso e l'azzurro intenso delle figure angeliche. Il riferimento all'Italia è presente nell'anta sinistra, lo sfondo è costituito da una parete disposta prospetticamente in diagonale. Il lume nitidissimo, la saldezza dei personaggi e la netta definizione delle teste sono segni di una convergenza con la pittura di Beato Angelico, che doveva aver conosciuto. LA DIFFUSIONE DEL RINASCIMENTO IN ITALIA - 4 Lineamenti storici Nei decenni a cavallo della metà del 400, la guerra è una presenza quasi quotidiana: un capo di stato di norma doveva essere anche un buon condottiero. Un caso di condottiero al potere era quello di Francesco Sfrorza che era stato al servizio del duca di Milano Filippo Maria Visconti e ne ha sposato la figlia. Nel 1450 divenne signore di Milano. La contesa tra Angioini e Aragonesi per il trono di Napoli ebbe una soluzione nel 1442 con Alfonso d'Aragona e alla sua corte ebbe particolare successo la pittura fiamminga. La cultura umanista prosperò fra le corti italiane, dal momento che i signori fecero a gara per accogliere i migliori uomini di lettere, anche per avere ottimi maestri per i figli. Nel 1430 Niccolò d'Este accolse a Ferrara Guarino da Verona che si presa cura dell'educazione di Lionello e venne celebrato con una miglioramento della cinta muraria e degli acquedotti e a un rinnovamento della Basilica costantiniana di San Pietro. Nel 1619 Martino Ferrabosco delineò una ricostruzione della pianta del progetto rosselliniano rinnovando in forme grandiose il transetto e il coro. Il progetto fu solo avviato mezzo secolo dopo da Giulio II. Giocò un ruolo decisivo Leon Battista Alberti. Nato nel 1404 a Genova e formato tra Venezia, Padova e Bologna. La sua solida preparazione umanistica gli permise di fare una significativa carriera nella curia pontificia che iniziò nel 1432 con Eugenio IV come abbreviatore apostolico. Alberti fu un grande intelletuale dimostrando una profonda familiarità con la memoria e il linguaggio degli antichi. Alberti ci ha lasciato un autoritratto plasmato in una piccola placchetta metallica, verso la metà degli anni 30 anticipò l'invenzione della medaglia umanistica da parte di Pisanello prendendo ispirazione dai ritratti dinastici dell'antichità. In questi anni scrisse la prima versione del trattato Della pittura in latino. Scrisse nel 1452 il De re aedificatoria, un trattato sull'architettura costruito sul modello del De architectura di Vitruvio al tempo di Augusto e volto a definire i principi tecnici ed estetici di una nuova generazione di edifici, corrispondi ai gusti umanistici. Riprende la scansione dell'opera in 10 libri e dimostra un'incredibile consapevolezza dell'architettura antica. Fu uno scritto dotto ricolto ad altri umanisti. Bernardo Rossellino seppe essere il più fedele paladino dei suoi gusti che miravano ad arricchire l'austera proporzionalità brunelleschiana in senso monumentale. Gli ideali di Alberti meglio si confacevano alle aspirazioni di corte. RIMINI E IL CANTIERE DEL TEMPIO MALATESTIANO - 13 Sigismondo Pandolfo Malatesta e il Tempio Malatestiano Rimini è una della capitali del Rinascimento. Sigismondo si ditinse alle metà del 400 come uno dei più abili condottieri militari d'Italia ma con una grande passione per la cultura antica. Decise di rinnovare la chiesa medievale di San Francesco, si trattò di un'impresa tanto emblematica da essere celebrata da Basinio nell'Hesperis, un poema epico dedicato alle gesta dei Malatesta. I più preziosi manoscritti sono corredati da un illustrazione, in cui Giovanni da Fano ha raffigurato i lavori di edificazione del Tempio, dandoci un immagine davvero realistica di un cantiere 400centesco. In un primo momento aveva in mente soltanto di ristrutturare due cappelle della parete destra. Compiute nel 1447-48 decise di cambiare programma e trasformare l'intero edificio in un Tempio Malatestiano. Si chiama così perchè l'esterno della chiesa richiama alla mente le forme di un tempio antico. L'interno è radicalmente diverso perchè formato da sei grandi cappelle gotiche. Ciò è conseguenza di due progetti diversi: uno di Alberti, l'altro di Matteo de'Pasti, che fu ancorato allo stile del Gotico internazionale. Il ruolo di Matteo de'Pasti e quello di Leon Battista Alberti Sopra gli archi gotici della parete sinistra della navata Matteo firma dichiarando piena responsabilità del progetto. Nello spazio della navata si aprono i vasti archi acuti di 6 cappelle decoratissime da un apparato scultoreo che comprende le transenne, le cornici e i pilastri alternando fli emblemi malatestiani con i soggetti richiesti dalla committenza, il tutto eseguito da Agostino di Duccio. Il fasto delle cappelle contrasta con l'essenzialità del transetto e del coro che non furono mai completati. Il cantiere fu intimamente connesso con il destino di Sigismondo che negli anni 50 conobbe un inarrestabile parabola discendente. Per quanto riguarda l'esterno, appare spartito da colonne e archi a tutto sesto, presentando al centro un portale sormontato da un motivo che richiama il romano opus sectile (decorazioni a marmi policromi) attraverso l'accostamento di lastre riquadrate di porfido rosso, verde e altri marmi di spoglio (provenieni da edifici antichi). La parte alta non è finita, lo testimonia il rovescio della medaglia celebrativa del Tempio Malatestiano che porta la data 1450 e fu fusa di Matteo de'Pasti. Il disegno del tempio si deve ad Alberti. I lavori iniziarono nel 1453 e per comprenderne l'andamento è utile leggere la lettera che Alberti inviò a Roma a Matteo de'Pasti nel 1454. Sono parole che esprimono una esplicita fede nella ragione e negli antichi e che sottintendono il ruolo di direttore di cantiere di Matteo. L'involucro albertiano si estende pure sulla parete laterale destra riservata a galleria dei sepolcri dei migliori cortigiani. L'affresco di Piero della Francesca Nella versione definitiva dell'interno del tempio la scultura è predominante a discapito della pittura. All'inzio non doveva essere così perchè nel 1449 Sigismondo cercò un abile pittore per le sue cappelle. La scelta cadde su Piero della Francesca, cui si deve un affresco esposto nel transetto della chiesa. Dipinse una scena di corte dove Sigismondo spicca al centro nel netto profilo che rimanda ai ritratti di stile pisanelliano tanto che il volto corrisponde a quello delle medaglie di Matteo de'Pasti. Sulla sinistra di erge di tre quarti un san Sigismondo, in un richiamo al santo patrono si riconosce un richiamo ai diritti sulla città di Sigismondo. Abbiamo la eniale invenzione dell'oculo prospettico sulla destra finge illusionisticamente una finestra sul Castel Sismondo. Nella parte inferiore si trova il nome di Piero e la data 1451, è la piu antica opera documentata di Piero. In origine l'immagine fu affrescata dentro la piccola sagrestia che divide le prime due cappelle del Tempio in una posizione infelice. La scena fu probabilmente pensata per stare al centro della prima cappella dedicata a San Sigismondo dato che Castel sismondo è da quel lato della chiesa. Agostino di Duccio scultore Oltre alla firma di Matteo de'Pasti si legge pure quella di Agostino di Duccio, uno scultore toscano, reclutato nel 1449 da Sigismondo. Si occupò dell'estesa decorazione della navata e delle sei cappelle. Sono i temi raffigurati a dare il nome alle cappelle: a destra si trovano la Capella di San sigismondo, quella di Isotta degli Atti e quella dei Pianeti; a sinistra la Cappella delle Sibille, dei Giochi infantili e delle muse e delle arti liberali. Per il tema dello zodiaco e dei pianeti scelse di rappresentare i corpi celesti nelle vesti di figure mitologiche dell'antichità. Agostino adotta lo stiacciato senza interesse per la tridimensionalità e la concretessa delle forme +, cui preferisce un segno addolcito e lineare. Tale specificità si nota nei rilievi con gruppi di putti che appaiono del tutto bidimensionali e privi di consistenza. LEON BATTISTA ALBERTI E FIRENZE - 14 La facciata di Santa Maria Novella Alberti manteneva rapporti anche con Firenze. Il mercante Giovanni Rucellai si rivolse a lui per il palazzo di famiglia e il completamento della facciata della chiesa di Santa Maria Novella. Alla metà del 400 la chiesa attendenva ancora di essere ultimata nella decorazione. Abitando poco lontano, Rucellai sentì l'esigenza di completare l'opera meritando di inserire il suo nome e la data 1470. Alberti doveva necessariamente armonizzarsi con quanto era stato già fatto, dimostrando la capacità di raccordare la predilezione per l'antico con un'attenzione al recupero della tradizione tardomedievale fiorentina. Leon Battista non fu solo appasionato di lettere classiche, ma tenne anche a riconoscere la piena dignità letteraria del volgare di Dante e Petrarca. Ciò non toglie che approfittò dell'occasione per formulare nuovi espedienti con particolare riferimento alle volute di raccordo utili per mascherare la differenza di altezza tra la navata centale e le laterali. Palazzo Rucellai e il recupero degli ordini antichi Alberti aveva ricevuto da Giovanni Ruccelai l'incarico di progettare il suo nuovo palazzo fiorentino finito nel 1465. La direzione del cantiere fu affidata a Bernardo Rossellino. Per la scansione dei livelli adotta una soluzione molto archeologica, scegliendo di recuperare gli ordini vitruviani dell'antica architettura romana. Le finestre risultano inquadrate da lesebe decorate da peducci, capitelli incassati al muro. La forma di questi varia dal basso verso l'alto: al piano terra c'è l'ordine dorico, al primo piano quello ionico e al secondo quello corinzio, secondo il modello del colosseo. Moderni sepolcri all'antica: Bernando Rossellino e Desiderio da Settignano Nella chiesa francescana di Santa Croce a Firenze ci sono 2 monumenti sepolcrali innalzati per rendere onore a due fra i più eminenti cancellieri della repubblica fiorentina del primo 400: Leonardo Bruni e Carlo Marsuppini. Leonardo Bruni fu cancelliere della repubblica dal 1427 e fu un grande umanista.Se ne occupò Bernardo Rossellino che innalzò un monumento sfacciatamente all'antica, un sepolcro inserito entro una nicchia sormontata da un arco a tutto sesto, affiancata da lesene scanalate e piena di elementi decorativi di gusto archeologico con il letto funebre con la realistica figura del gisant. Soltando nella lunetta c'è spazio per il tema cristiano. Il monumento bruni iventa un prototipo da imitare. il compito si scolpire in onore di Carlo Marsuppini una sorta di tomba gemella in Santa Croce fu affidato a Desiderio da Settigano che preferì un'interpretazione più espressiva e vituosistica nella cura dei dettagli. Vasari ci offre una eccellente lettura della personalità artistica di Desiderio definendolo un imitatore della maniera di Donatello. Il gioioso Bambino sorridente conservato a vienna è la prova del talento di Desiderio di cogliere la spensieratezza del fanciullo ed è un perfetto esempio dell'imitazione della natura a cui si riferiva Leon Battista Alberti. Alberti dedica un trattato anche alla scultura intitolato De statua, nel quale indicò la fortunata distinzione tra scultura per via di porre e per via di levare: plasmare e scavare. Individuò il fine della scultura nell'imitazione della natura, proponendo un metodo empiricamente scientifico tramite l'individuazione delle proporzioni base del corpo umano e delle caratteristiche individuali. Una statua doveva essere dunque a tutto tondo. URBINO E LA CORTE DI FEDERICO DA MONTEFELTRO - 15 Il Palazzo Ducale Nel 400 la città di Urbino, capitale del Montefeltro, dominava su di un territorio piuttosto vasto. Era un'area di indubbio rilievo strategico e divenne uno dei centri artistici di maggiore rilievo del Rinascimento solo perchè il suo signore fu uno dei più grandi condottieri del tempo, ovvero Federico da Montelfeltro. Negli anni 30 era stato allievo dell'umanistica Vittorino da Feltre a Mantova e scelse di raccogliere a Urbino una corte costituita anche da uomini di lettere, matematici e artisti facendo della costruzione di una nuova città, Pienza. Enea era nato in campagna in un villaggio della Toscana meridionale, Corsignano. Divenuto papa, decise di trasformarlo in una città. Pio II affidò il progetto a Bernardo Rossellino che scelse un piano urbanistico incentrato su una piazza dominata dal prospetto all'antica della cattedrale. Adottò una pianta trapezoidale capace di dare un senso di maggiore ampiezza allo spazio e lasciando due vuoti, intesi come cannocchiali puntati sul paesaggio. La Cattedrale di Pienza si innalza al centro della piazza con una facciata tripartita dalle grandi arcate a tutto sesto e sormontata da un timpano con al centro lo stemma del pontefice. Ha indiscutibili caratteri albertiani. L'interno della chiesa è gotico con volte a crociera sostenute da pilastri e negli alti finestroni. In ricordo dei suoi soggiorni in terra germanica, richiese di attenersi al modello delle chiese nordiche. La quinta destra della piazza è costituita da Palazzo Piccolomini, per il quale Rossellino si ispirò alla facciata della dimora di Alberti per Giovanni Rucellai. Il Palazzo era destinato a essere dimora del pontefice e sarebbe rimasto emblema del potere della sua famiglia nella città. L'aspetto più originale si nota nella loggia aperta sul giardino pensile. Rivela nei commentari un nuovo rapporto con il paesaggio per puro godimento della natura. Il papa chiese ai milgiori pittori senesi di allora di dipingere per la Cattedrale pale di formato quadrato rinascimentale, prive di pinnacoli gotici. Il modello è ben illustrato dalla pala di Matteo di Giovanni Madonna col Bambino e Santi coronata da una lunetta con la Flagellazione. Un solo aspetto di tradizione gotica rimane, ovvero il fondo oro. Dopo questa esperienza a Siena i polittici cominciarono a passare di moda e iniziarono a rinunciare l'oro del fondo. Donatello a Siena Portò una svolta nell'arte senese il soggiono del vecchio Donatello, lì per lavorare alle porte in bronzo della Cattedrale, il progetto fallì. A Siena lo scultore lasciò un fiero San Giovanni Battista in bronzo, in cui è esternata al meglio l'accentuazione espressiva dell'ultimo Donatello. Il Vecchietta avrebbe preso spunto dal Battista per un monumentale Cristo risorto del 1476 per la chiesa della Santissima Annunziata. Dimostra una fedeltà donatelliana nelle anatomie tirate, nella brutale maschera del volto, nel perizoma aderente alle forme. PADOVA: DONATELLO, SQUARCIONE E MANTEGNA - 17 Donatello a Padova: il Gattamelata e l'altare del Santo nel 1443 Donatello si trasferì da Firenze a Padova dove innalzò un monumento equestre in bronzo accanto alla Basilica di Sant'Antonio dedicato ad Erasmo da Narni detto il Gattamelata. A volerlo furono gli eredi del condottiero con il consenso della Repubblica di venezia. Dei modelli medievali Donatello non conserva nulla: al marmo preferisce il bronzo e la sua ispirazine è in tutto e per tutto all'antichità. A seguito di una donazione del 1446, la Basilica di Sant'Antonio progettò di realizzare un costoso altare e per l'opera fu coivolto Donatello. Nel 1450 fu inaugurato, ma ha perso l'aspetto originale. Le statue appaiono prive dell'imponente cornice architettonica che le inquadrava e in alto si trova un crocifisso che aveva eseguito per un altro luogo della Basilica. Sull'altare si innalzano sette statue a tutto tondo: al centro siede la madonna col bambino, la affiancono in piedi tre santi francescani e un terzetto di santi venerati a Padova. Sul fornte e sul retro dell'alto zoccolo dell'altare si riconoscono ben 22 rileivi tra i quali troviamo 4 Storie di sant'Antonio da Padova che si distinguono per una vistuosistica applicazione della tecnica dello stiacciato e della tridimensionalità prospettica. L'episodio del Miracolo della mula è ambientato nell'immensa scenografia architettonica e i personaggi sono in fervida animazione. Si imponeva così come punto di riferimento di un nuovo linguaggio dove il rigore prospettico convive con una narrazione frenetica. Il maestro di Mantegna: Francesco Squarcione Il principale pittore di Padova era Francesco Squarcione, che seppe essere anche un abile impreditore e nella sua bottega troviamo anche Andrea Mantegna. A Squarcione spettò dipingere nel 1449 il pavimento ligneo dell'altare di Donatello. Fece poi un polittico nel 1452 per la Cappella De Lazara, nella chiesa del Carmine di Padova. Il formato è ancora gotico, al centro c'è san Girolamo dietro di lui la parete si rompe a mostrare uno sfondo di cielo e paesaggio. I 4 santi si innalzano su di uno sfondo dorato ma sono pensati come sculture tridimensionali su appositi basamenti. Andrea Mantegna nella Cappella Ovetari Andrea Mantegna era ancora adolescente quando iniziò a fare il pittore a Padova. Nel 1448 Andrea fu coinvolto nella decorazione della cappella della famiglia Ovetari nella chiesa degli Eremitani. Prevedeva la pittura di un ciclo di Storie dei santi Giacomo e Cristoforo completato nel 1457. In origine dovevano occuparsene tre pittori: Giovanni d'Alemagna e Antonio Vivarini e Niccolo Pizzolo. Nel 1450 Giovanni morì e Vivarini abbandonò l'impresa e nel 1453 venne a mancare anche Pizzolo. Mantegna eseguì la maggior parte del ciclo, ovvero tutte le Storie di san Giacomo della parete sinistra, il registro inferiore con il Martirio di san Cristoforo e il trasporto del suo corpo e l'Assunzione della Vergine. Nella seconda metà dell'800 erano stati staccati in ragione di un cattivo stato di conservazione. Le figure tendono a essere scorciate di sotto in su, così da amplificare l'aspetto monumentale, come nelle storie di sant'Antonio di Donatello. La veduta d'insieme delle storie di San Giacomo rivela la capacità si Mantegna di evolvere rapidamente. I personaggi recitano entro quinte architettoniche ispirate a un repertorio classico o aperte su vedute di paesaggio indagate con puntigliosa attenzione. Andre Mantegna e la Pala di San Zeno a Verona Mantegna dipinse anche una monumentale tavola d'altare per la chiesa di San Zeno a Verona, voluta dall'abate Gregorio Correr ultimata nel 1459. mantegna offrì una propria variante dell'allestimento donatelliano dell'altare maggiore della Basilica del Santo. Nella tavola di Mantegna il quadriportico è costruito attraverso l'interagire tra la festosa cornice lignea e l'architettura illusionistica dipinta in prospettica e aperta sul fondo. La Madonna col Bambino è accompagnata da 8 santi e alcuni spiritelli. É una diretta conseguenza della formazione con Squarcione l'esorbitante decorazione con festoni. Nel gradino sottostante sono raffigurate tre storie di Cristo: l'Orazione nell'orto, la Crocifissione e la Resurrezione. In tutti e tre i casi si tratta di copie perchè gli originali furono condotti in Francia. É narrato con colori esuberanti e vivaci e i personaggi sono colti in scorci arditi e attentamente studiati nelle anatomie. Nell'Orazione di Cristo nell'orto gli apostoli dormono serenamente mentre Cristo recita la sua ultima preghiera, i soldati arrivano da una Gerusalemme che alterna architetture venete e romane. Andrea compiuta la pala, avrebbe abbandonato Padova per diventare pittore di corte. MANTOVA E I GONZAGA: MANTEGNA PITTORE DI CORTE - 18 Un intelletuale di corte Nel 1460 Mantegna si trasferì a Mantova presso la corte di Ludovico Gonzaga. Era una corte attratta dagli studi e dal recupero dell'antico, che nel 1459 aveva accolto un importante concilio con il fine di organizzare una crociata. Il pittore trovò un ambiente ideale per le sue predilezioni. Il primo compito affidato a Mantegna fu quello di decoarare una cappella privata all'interno del castello che non esiste più (1464). A quell'ambiente doveva essere desitnata una tavola con la Morte della vergine. La vecchia Maria è distesa nel letto funebre. Sul fondo della sala ben messa in prospettiva si apre una grande finestra a mostrare un paesaggio, una realistica veduta di quanto si poteva ammirare affaciandosi dalla dimora dei Gonzaga: è uno scorcio dell'antico ponte di San Giorgio. Una serie di studiate opere idrauliche fece si che Mantova non fosse più circondata da una palude, ma da 5 laghi. Una tale azione fu pianificata per trasformare radicalemente il territorio e recare benefici alla città. La Camera degli Sposi Gianfrancesco Gonzaga aveva chiamato in cittò Pisanello per fargli affrescare una sala nel Castello di San Giorgio, un ciclo cavalleresco. Mantegna anche realizzo degli affreschi tra il 1465-74 anella cosidetta camera degli sposi. I gusti si erano radiclamente modificati e si preferisce la concretezza del racconto di quotidiane scene di corte illustrate tramite un finto loggiato coronatodi festoni. In un'altra scena il signore mantovano incontra il figlio Francesco, ormai cardinale. É per tutto e per tutto una celebrazione dinastica, corredata da un gruppo di servitori, cani e destrieri. Mantegna allestisce una paesaggio dominato da una città fortificata, dove la cinta murarua è ispirata alle mure aureliane di Roma. Il soffitto della Camera degli Sposi e il prodigio degli scorci Sul soffitto il tema antiquario fa da cornice a una soluzione prospettica innovativa. Nella volta della Camera degli Sposi Mantegna finge una serie di elementi architettonici e una fastosa seguenza di busti di Cesari inseriti in un cerchio. Sfonda il centro del soffitto con un oculo prospettico aperto sul cielo dal quale si affacciano alcuni spiritelli. La capacità prospettica di Mantegna tocca il suo vertice nel Cristo morto della Pinacoteca di Brera. Ci sono vari aspetti singolari: Non è dipinta su tavola, ma su tela; il corpo nudo di gesù poggiato sulla pietra dell'unzione monopolizza la scena; il sudario dalle pieghe metalliche cala dal bacino poco sopra le caviglie e la scelta di farci osservare il cadavere dal basso esaltando le sue capacità. Leon Battista Alberti a Mantova: San Sebastiano e Sant'Andrea A Mantova ad Alberti si devono i progetti di un paio di chiese mantovane. Come direttore dei lavori fu scelto Luca Fancelli. Verso il 1460 Alberti disegnò la chiesa di San Sebastiano, distinta per l'originalissima struttura rialzata su di una cripta e concepita con una pianta centrale mettendo proporzionalmente insieme le forme geometriche del cerchio e del quadrato. Il risultato fu eccezionalmente moderno. Nel 1470 il marchese Ludovico diede avvio al cantiere tineso a ricostruire la chiesa medievale di Questa curiosa miscela di stili torna nella sua maggiore impresa architettonica: l'ospedale maggiore nel 1456. La facciata si distingue per la compresenza di bifore ad arco acuto e del loggiato con colonne e archi a tutto steso. Vincenzo Foppa: solidità rinascimentale e verismo nordico La cappella privata del fiorentino Pigello Portinari nella chiesa domenicana di Sant'Eustorgio è il primo vero spazio milanese di matrice toscana. La cappella prende ispirazione dai razionali moduli brunelleschiani, tuttavia si aggiungono nelle lunette e negli arconi affreschi con Storie di San Pietro Martire e della Vergine in cui lavora Vincenzo Foppa. Nella scena con il Miracolo di Narni, dove il domenicano si inginocchia a rinasare il piede di un giovane, l'episodio è predisposto entro un rigoroso spazio tridimensionale. L'effetto di profondità è suggerito attraverso la successione dei piani segnati dai due robusti archi. In virtù di questo ciclo, Foppa può essere considerato il primo grande interprete della pittura rinascimentale a Milano. Zanetto Bugatto: il mistero di un lombardo a Bruxelles Nella Pinacoteca del Castello Sforzesco si conserva una Madonna col Bambino di Vincenzo Foppa, che rivela una chiara dipendenza dalla pittura fiamminga nell'impostanzione che ricorre in una madonna col bambino che ricorda Rogier van der Weyden ed è del suo allievo Dirk Bouts. Accostate fanno intendere come un italiano mantenesse comunque una sua identità nella solidità strutturale delle figure, delle cose e dello spazio. All'inizio degli anni 60 la duchessa Bianca Maria Visconti inviò presso la bottega di van der Weyden il pittore Zanetto Bugatto. In virtù del soggiorno a Bruxelles, si crede che siano sue un ridotto gruppo di opere raccolte dagli studiosi intono alla Madonna col Bambino della collezione cagnola presso varese. L'adesione al linguaggio nordico è ancora più decisa. Nel 1476 dopo la morte del Bugatto, il duca Galeazzo Maria Sforza cercò di reclutare per la sua corte Antonello da Messina: il più grande interprete delle novità fiamminghe. NAPOLI CAPITALE ARAGONESE: DA COLANTONIO AD ANTONELLO - 21 Alfondo d'Aragone, signore di Napoli Lo scenario del golfo di Napoli è oggi marchiato dall'antica dominazione aragonese con il Castel Nuovo. Il 26 febbraio 1443 Alfonso d'Aragono aveva fatto un trionfale ingresso a Napoli. Da qualche secolo era stata al centro di un durissimo scontro tra due famiglie regnanti in Europa: gli Aragonesi e gli Angioini. Alfonso stabilì la sua corte nel Castel Nuovo. La poderosa fortezza esprime al meglio il duplice carattere del signore, che seppe essere un abile condottiero e un accorto mecenate. Le possenti torri rotonde furono studiate da Guillermo Sagrera. L'elegante arco all'antica fu eretto nel 1453 secondo un gusto albertiano, ma c'è ancora qualcosa di gotico nella concezione di allungare il prospetto in verticale tramine la sovrapposizione di due archi. Al centro dell'arco superiore era previsto un monumento equestre di Alfonso in bronzo richiesto a Donatelllo. Il maestro non terminò mai la statua, ma ci resta oggi una Testa di cavallo, che impressiona per il verismo della resa dell'animale. Napoli era un grande centro internazionale. Non sorprende che Bartolomeo Facio dedicasse al suo signore nel 1456 una raccolta di biografie di uomini illustri dove, mancano artisti come Masaccio, Filippo Lippi e Piero della Francesca in quanto il loro moderno linguaggio non andava di moda a Napoli, ma sono presenti artisti della pittura fiamminga come van Eyck e van der Weyden. Colantonio: il maestro di Antonello Queste presenze fiamminghe a Napoli sono fondamentali per capire il linguaggio del pittore Colantonio, protagonista della pittura napoletana intorno al 1450. A lui si deve una pala d'altare destinata alla chiesa francescana di San Lorenzo maggiore costituita da due tavole: in basso la scena di San Girolamo nello studio e sopra San Francesco consegna la regola. É curioso l'accostamento dei due soggeti, infatti Girolamo era vissuto secoli prima di San Francesco, ma qui appare in vesti francescane. Un importante predicatore francescano Bernardino di Siena aveva riconosciuto l'enorme valore degli scritti di Girolamo come stimolo per lo studio delle scritture. Non c'è nulla in Colantonio del linguaggio rinascimentale e manca una seppur minima concezione tridimensionale dello spazio. I loro panneggi sono assolutamenti nordici, mentre i volti hanno un'aria catalana. Nella scena di San Girolamo si trovano libri prodotti con grande attenzione, è facile riconoscere una familiarità con le novità di van Eyck. Sono quasi identici a quelli di Barthèlemy d'Eyck, si erano conosciuti verso il 1440. Verità fiamminga e spazialità italiana: Antonello da Messina La Napoli Aragonese era un crocevia di cultura pittorica mediterranea e per niente italiana. Qui venne a formarsi Antonello da Messina. Le notizie biografica sono molto rarefatte ma sulla sua formazione ci aiuta l'umanista Pietro Summonte con una lettera inviata nel 1524 all'intenditore d'arte Mercantonio Michiel, per procurargli informazioni sull'arte napoletana, dove afferma che antonello era stato allievo di Colantonio da cui apprende le novità stilistiche della pittura fiamminga. Tra le opere più antiche di Antonello c'è una Crocifissione in cui guarda ai modelli della pittura fiamminga, ma nello sfondo propone un'immagine dello stretto di Messina. Antonello preferisce una veduta distesa e dilatata della marina vicina a Konrad Witz o a Quarton. La sua esperienza in Provenza spiegherebbe la sua conoscenza della pittura provenzale. Antonello fu uno specialista del genere del ritratto. Come mostra il sogghignate giovane, fu il primo italiano ad adottare non solo la luce fiamminga e la tecnica ad olio, ma anche la disposizione a tre quarti su fondo scuro. É la capacità si catturare la vita nel colore che lascia esterrefatti. É utile accostare a questo ritratto il busto della bella Eleonora d'Aragona in marmo di Francesco Laurana, che dimostra di condividere la passione del messinese per il naturale attraverso il senso dei volumi che rievoca il rigore geometri di Piero della Francesca La pittura di Piero doveva essere ben nota ad Antonello perchè le opere del suo ultimo decennio di attività dichiarano consapevolezza spaziale e tridimensionale. Nel polittico eseguito per la badessa della chiesa di San Gregorio a Messina, con firma e data 1473, crea uno spazio unificato nonostante l'oro sul fondo. É uno spazio costrutio attraverso il basamento del trono della vergine. Alludono alla profondità dello spazio pure le forme volumetriche dei Santi Gregorio e Benedetto. L'Annunciazione dipinta nel 1474 per la chiesa dell'Annunciata a Palazzo Acreide ripropone la Vergine e l'Angelo in un interno domestico con un fondo scuro e vani illuminati da finestre aperte su di una veduta di campagna. Antonello è capace di amalgamare l'arte fiamminga con un'efficace resa tridimensionale, la solida colonna correda inoltre la scena di una cornice architettonica. GIOVANNI BELLINI E L'ORIGINE DELLA PITTURA VENEZIANA - 22 Gli esordi di Giovanni Bellini: sulle orme di Mantegna Nel 300 la pittura veneziana era stata restia ad accogliere le novità di Giotto mantenendo fedeltà alla tradizione bizantina. Nel 400 la Padova di Donatello stimolò Venezia ad aprirsi al Rinascimento. In seguito al passaggio di Antonello da Messina, la luce e il colore divennero gli strumenti di una raooresentazione della realtà peculisre della pittura veneziana. Principale protagonista fu Giovanni Bellini, detto il Giambellino, che ebbe la capacità di prendere il meglio dai maestri con i quali venne in contatto infatti le prime opere assomigliano a quelle di Mantegna e le ultime a quelle di Tiziano. Giovanni Bellini era nato a Venezia verso il 1430, il padre Jacopo era pittore e freguentava la bottega di Gentile da Fabriano. Quella di Jacopo divenna una bottega familiare, anche con il figlio Gentile. La prima fase dell'attività di Giovanni Bellini è connotata da uno stile padovano come si nota nella Pietà dove intenerisce le durezze delle figure tipiche di Squarcione e di Mantegna attraverso una luce calda che leviga le forme del Cristo morto. Nel paesaggio raffigura un borgo dell'entroterra veneto, ma arricchito di alcune architetture all'antica. Il rapporto tra Bellini e Mantegna è ben testimoniato dal modo di interpretare un medesimo soggetto: l'episodio dell'Orazione di Cristo nell'orto. Alla versione che Andrea aveva dipinto per la Pala di San Zeno nel 1459, Bellini risponde con una tavola dove la luce calda richiara il cielo e si diffonde nella campagna in cui Cristo si inginocchia. Nella Trasfigurazione si notano i segni di un originaria cornice cuspidata mutilita dakka volontà di ridurre a quadro di galleria una tavola per una pala d'altare. L'episodio in cui Cristo conversa con Mosè e Elia è narrato alla maniera di Mantegna, si nota nella saldezza delle figure, nelle pieghe indurite dei panneggi e nell'aspra base rocciosa. Bellini avrebbe dipinto nuovamente la medesima scena sul finire degli anni 70 per una cappella del Duomo di Vicenza. La distanza è enorme. Le asperità mantegnesche sono circostritte alla sedimentazione rocciosa e il dipinto brilla di un'eccezionale luce estiva che si irradia sulla verdeggiante campagna. La pittura ad olio, il colore e la natura sono quindi i cardini della nuova pittura veneziana. Antonello da Messina a Venezia e le conseguenze su Bellini Decisivo fu il passaggio a Venezia di Antonello da Messina per Bellini nel 1474. Antonello fu presto impegnato a dipingere la pala di un altare laterale della chiesa di San Cassiano per il patrizio Pietro Bon. Il duca di Milano Giangaleazzo Sforza cercò di convincere Antonello a trasfersi presso la sua corte, ma Pietro Bon riuscì a trattenerlo a Venezia. Di quel dipinto resta solo un pezzo della zona centrale con la Madonna e il bambino e frammentarie figure di santi. Gli studi hanno messo a punto una ricostruzione che doveva dimostrare la Vergine con Figlio sul trono, al di sopra di un basamento accompagnati da santi entro una colenne architettura. La scelta di Antonello di confrontarsi con un simile modello è legata al dialogo che il pittore ebbe con Bellini, il quale nel 1480 rispose con una monumentale pala per la chiesa di San Giobbe dove riprende il soggeto e le qualità luministiche e naturali delle figure e degli oggetti. C'è soprattutto una convergenza di stile. mano straniera. Morto Lorenzo il Magnifico, il filgio Piero non seppe opporre resistenza al passaggio del re francese e fu cacciato. Nacque così una repubblica guidata da Girolamo Savonarola, che voleva fare di Firenze una ideale città cristiana. Alla passione umanistica oppese un penitenziale rigore. Fu poi impiccato e arso in piazza della signoria nel 1498. Tra i bersagli preferiti di Savonarola vi furono gli eccessi e le licenze degli ecclesiastici, che trovano un esempio in Rodrigo Borgia, cioè papa Alessandro VI celebre per la dissolutezza della sua vita e le amanti. Cercò di fare signore di uno Stato romagnolo suo Figlio Cesare detto il Valentino, che durò poco. Roma continuò ad essere una capitale artistica in espansione anche grazie alla riscoperta della Domus aurea. L'ARTE A FIRENZE AL TEMPO DI LORENZO IL MAGNIFICO - 23 Nuove generazioni: Pollaiolo e Verrocchio Nel 1459 il palazzo progettato da Michelosso a Firenze era concluso, si stava lavorando a decorare la cappella, fatta da un soffito a cassettoni e da un pavimento di marmi e porfidi secondo i modi di Alberti. Le pareti sono decorate con un ciclo di affreschi compiuto da Benozzo Gozzoli, allievo di Beato Angelico. Cosimo volle che Benozzo affrescasse uno sfarzosi Viaggio dei Magi. Celebra la gloria della familgia, ritraendo Cosimo e i suoi parenti. In Gaspare sul cavallo si può riconoscere Lorenzo, dietro Piero il Gottoso e Cosimo e poi un popoloso seguito dove troviamo anche Benozzo. Il dipinto sembra ignorare le novità del linguaggio rinascimentale. Il paesaggio appare fiabbesco e tardogotico e manca la tridimensionalità nella composizione. Non ha nulla della campagna fiorentina ed è una scena cortese: chiaro segno delle aspriazioni feudali dei Medici, è naturale che si torni alla pittura cortese. Verso il 1460 su commisione di Pietro il Gottoso, Antonio il Pollaiolo eseguiva un terzetto di Storie di Ercole con un linguaggio assolutamente inedito, però sono andati perduti. Possiamo averne un'idea da due tavolette degli Uffizi. Gli episodi rappresentati, Ercole che sconfigge l'idra e soffoca Anteo, pongono in contrasto il cielo terso e le vedute a volo di uccelo seguendo i modi di Domenico Veneziano, con gli atletici nudi in primo piano e la precisione anatomia e nella dinamica tensione dei corpi. Antonio Pollaiolo era un'artista eccletico capace nell'orificeria e nella scultura in bronzo. Lo testimonia la versione in bronzo dell'Ercole e Anteo. Si tratta di uno dei casi più antichi di bronzetto rinascimentale, dove esibisce una vera e propria passione per lo studio del nudo. Con la Battaglia degli uomini nudi, attravero la tecnica dell'incisione a bulino, potè riprodutte in molteplici esemplari, utili a divulgare il suo stile al di fuorì dei confini fiorentini. Resta ignoto il soggetto, che sembra essere un pretesto per esercitarsi in possibili raffigurazioni di corpi nudi. A Firenze si metteva a punto l'incisione a bulino: una nuova tecnica per riprodurre illustrazione da una matrice usando uno strumento in acciaio per incidire le lastre e ottenere dei solchi da riempire con l'inchiostro. Fu così che nasque la tecnica calcografica, scoperta intorno al 1460 per merito di Maso Finiguerra. Piero Pollaiolo si dedicò essenzialmente alla pittura in una bottegga autonoma e nel 1475 ultimò una grande pala con il Martirio di San Sebastiano. Adatta al tema sacro la veduta alla fiamminga, con l'accurato nudo, lo studio delle pose complicate e il nitido linearismo. Il martire rimane insensibile al supplizio. Andrea del Verrocchio seppe assumere una posizione dominante nel campo della scultura. Per i Medici realizzo un David in bronzo e in San Lorenzo, tra il 1469-72, il monumento sepolcrale di Piero il Gottoso e di suo fratello Giovanni. Si distingue perchè Verrocchio rinuncia alle figure e sceglie di sottolineare il prestigio del complesso mettendo al centro un sepolcro di porfido impreziosito da raffinatissimi elementi decorativi in bronzo, tra cui la bronzea grata a finta corda. L'apparente sobrietà è più che compensata dalla richezza dei materiali. Fin dal 1467 fu impegnato in un gruppo di due figure con l' Incredulità di San Tommasso per sostituire il San Ludovico di Donatello. La necessità di utilizzare due personaggi gli permette di elaborare una nuova tipologia di composizione per accentuare il senso di movimento. Il Cristo alza la destra che diviene l'apice di una piramide immaginaria che trova il suo estremo vertice nel piede destro di Tommaso disposto fuori. Ciò serve a coinvolgere l'osservatore, ma prolungò i tempo dell'impresa, compiuta nel 1483. Il maestro aveva ottenuto una pretigiosa commissione a Venezia: il monumento equestre di Bartolomeo Colleoni. Aveva utilizzato il formato piramidale anche in pittura, in una pala raffigurante il Battesimo di Cristo per la Chiesa di San Salvi. Il panneggio dell'angelo inginocchiato è modellato da una luce cristallina, che fa di lui uno degli ultimi pittori di luce. La definizione anatomica di Cristo testimonia quanto il lessico del Pollaiolo cominciasse ad essere esemplare. Deve molta della sua celebrità al fatto che alcuni dettagli furono eseguiti dal giovane Leonardo da Vinci, che faceva l'apprendistato nella sua bottega. Leonardo dipinse la testa dell'angelo di sinistra e il paesaggio retrostante. Vasari dichiarerà la superiorità dell'allievo sul maestro, si tratta però di un aneddoto. Gioventù di Leonardo e di Botticelli Leonardo aveva 20 anni quando realizzò una veduta del Valdarno che appare di una modernità impressionante. Rinuncia alla minuzia descrittiva fiamminga dando una visione percorsa da un inedito senso atmosferico delle cose. Già doveva avere in mente un nuovo tipo di pittura intesa a indagare scientificamente la natura. Nella pagine del Trattato sulla pittura esalta la pittura come scienza per eccellenza. Alla metà degli anni 70 Leonardo avviò la sua carriera con l'esecuzione di una pala d'altare per la Chiesa di San Bartolomeo a Monteoliveto con l'immagine dell'Annunciazione. La Vergine siede sulla soglia della dimora dietro a un leggio: secondo una tradizione ella era intenta a leggere l'antico testamento nel passo in cui il profete Isaia predicava l'incarnazione di Cristo per mezzo di una donna. Si riconosce la lezione di Verrocchio nei panneggi plasmati dalla luce, nell'eleganza dei volti e nella composizione piramidale di Maria. Riconosciamo anche elementi personali come la morbidezza delle capigliature e il lontano paesaggio con montagne che si ergono tra la nebbia. L'Adorazione dei magi gli fu commissionata nel 1481 per l'altare maggiore della chiesa di San Donato a Scopeto, ma riuscì solo ad abbozzarla. Di norma era illustrata ordinando la capanna di lato e l'arrivo dei magi sul proscenio, ma Leonardo dispone la Madonna al centro e fa ruotare il gruppo di sovrani orientali intorno. In secondo piano c'è il paesaggio roccioso e un disegno preparatorio per il dettaglio dell'architettura che dimostra la sua competenza prospettica. Sandro Botticelli negli anni 70 aveva per primo allestito un'Adorazione dei Magi, mettendo Maria e il bambino al centro del dipinto. Stava in origine in Santa Maria novella nella cappella di Gaspare del Lama. L'omonimia tra il committente e uno dei Magi spiega la scelta del soggetto, caro ai Medici, omaggiati in una serie di ritratti. Il pittore si è ritratto nel giovane che ci guarda. Rispetto a Leonardo, le figure sono costruite attraverso netti contorni che rilevano le lezioni di Antonio del Pollaiolo, anche se il soggetto impone di evitare i nudi. Racconta Vasari che Sandro prende il sopranome da un orafo con cui studiò detto Botticello e per la pittura con Filippo Lippi. A conferma di ciò, le sue più antiche opere somigliano alle ultime di Filippo Lippi. Confrontando il Convito di Erode di Lippi e la Madonna col Bambino in gloria di serafini di Botticelli si nota una somiglianza nelle figure. Nel 1470 dipingeva per il Tribunale della Mercanzia un'immagine della Fortezza, in cui mostra di volersi aggiornare sulle novità di Verrocchio e Pollaiolo nel panneggio e nella luce. La tavola fa parte di un ciclo che comprende le 6 Virtù compiute da Piero del Pollaiolo. Lorenzo il Magnifico: collezionismo, umanesimo e cultura antiquaria A creare il mito dell'Età laurenziana era stato Vasari in alcuni passi delle Vite. Il magnifico aveva favorito un gruppo di letterati guidati da Marsilio Ficino nell'Accademia Neoplatonica e un nucleo di giovani artisti studiosi della sua ricca collezione di sculture nel giardino della chiesa di san Marco, tra cui Michelangelo. Nel corso del 400 il fenomeno del collezionismo si diffuse e la raccolta laurenziana si distinse per l'eccezionalità dei pezzi. A Lorenzo appartenne il sigillo di Nerone, una corniola attribuita a Dioscuride (intagliatore ai tempi di Augusto). A Firenze Pico della Mirandola scrisse un'Orazione sulla dignità dell'uomo in cui afferma che l'uomo, dotato di libero albitrio, ha la possibilità di determinare la propria natura. Marsilio Ficino aveva dato vita nel 1462 all'Accademia Neoplatonica, un cenacolo di intelletuali. Il circolo propugnava una pia philosophia, fondata sul recupero nel pensiero di Platone attraverso gli scritti di Plotino e sulla possibilità di armonizzare il pensiero filosofico alla fede cristiana. L'amore era il mezzo attraverso cui Dio dona la sua bontà e la bellezza era strumento per elevarsi rispetto alla bassezza dellaz materia. Giuliano da Sangallo: una villa, una chiesa e un palazzo. La principale commissione architettonica di Lorenzo il magnifico è la Villa di Poggio a Caiano, Prato, che fu affidata a Giuliano da Sangallo. Rinuncia ad ogni allusione al carattere difensivo, per un aspetto di un elegante palazzo con un solido porticato alla base utile a permettere una panoramica passeggiata in terazza. Alla dimora si accede tramite una doppia rampa a tenaglia e a un pronao all'antica con colonne ioniche e timpano. Tutto è stato pensato per l'otium. I temi del neoplatonismo si trovano nel fregio in terracotta invetriata sotto al timpano dove si trova il Racconto della Sorte dell'anima, in rilievi in stile donatelliano. A Tavola, volle costruire un secondo polo della tenuta, le Cascine, cioè un complesso agricolo articolato e moderno. Il paesaggio veniva completamente riscritto. A Prato finanzia la costruzione della chiesa di Santa Maria delle Carceri, sorta in seguito a un miracolo, un'immagine di Maria aveva preso vita. Il progetto fu affidato a Giuliano da Sangallo che la impostò su una pianta a croce greca. É uno dei primi esempi della tipologia di chiesa a pianta centrale. Per l'interno adotta una razionale scansione degli spazi che rimanda a Brunelleschi. Il paramento muratio esterno si contraddistingue per le prezione partiture architettoniche rinascimentali bicrome nelle quali si trova un riferimento ad Alberti La casa di famiglia fatta da Michelozzo fece da spunto per altri palazzi a Firenze, tra cui quello voluto nel 1489 da Filippo Strozzi. Palazzo Strozzi, come Palazzo Medici, si innalza su tre piani intorno a un cortile centrale. All'esterno si trovano finestre quadrate al pian terreno e bifore ad arco a tutto sesto ai piani superiori. Del palazzo si conserva un modello ligneo, era consuetudini che presentassero un preciso Maiano e rinuncia allo stiacciato facendo emergere concretamente dal fondo delle figure solide. Verso il 1493 intagliò un Crocifisso ligneo per la chiesa di Santo Spirito. Era la sua prima opera pubblica. É unì'opera che inizia a tagliare i ponti con la tradizione brunelleschiana e donatelliana. Le forme piene e levigate sono un segno di Benedetto da Maiano e la perfezione della descrizione anatomica dipende dalla possibilità di sezionare e studiare i cadaveri. Il Giardino di San Marco fu una palestra nella quale si addestrarono tanti altri artisti tra cui Andrea Sansovino. Fu il primo dei giovani talenti a mettersi in luce a Firenze con un monumento compiuto nel 1492 per la chiesa del Santo Spirito: un altare del sacramento in marmo per la famiglia Corbinelli. É un grande complesso di statue e rilievi in un architettura che ricorda un arco antico. LA CORTE DI ROMA: DALLA CAPPELLA SISTINA ALLA SCOPERTA DELLE GROTTESCHE - 24 Melozzo da Forlì: un affresco per la biblioteca di Sisto IV Nel 1475 papa Sisto IV sancì con una bolla la fondazione della Biblioteca Vaticana, dotata di una sede con 4 aule, dei necessari finanziamenti e di un bibliotecario, carica da a Bartolomeo Sacchi detto il Platina. Volle che le aule fossero decorate e si fece ritrarre nel momento in cui nomina il Platina bibliotecario. É una scena di corte dal carattere celebrativo. Il papa siede di profilo ed è accompagnato da una serie di familiari. É facile intuire con questa organizzazione gerarchica quanto il papa si comportasse come un sovrano. Platina è inginocchiato al centro a indicare l'iscrizione latina che inneggia alla biblioteca come alla maggiore tra le imprese per il rinnovamento di Roma. L'affresco era ben visibili ai lettori dal basso, cogliendone al meglio i caratteri prospettici. Fu eseguito nel 1477 da Melozzo da Forlì e sembra una sorte di risposta romana alla Camera degli Sposi di Mantegna, giocata sui valori della luce e della tridimensionalità. A monte di una tale opera è una grande dimistichezza con la pittura di Piero della Francesca. Allo stesso modo vi è un muto dialogo tra le figure monumentali dipinte con impressionante corrispondenza al vero. Roma stava cambiando e papa Sisto lo aveva reso evidente trasferendo dal Laterano al Campidoglio quasi tutti i preziosi bronzi antichi e donandolo al popolo romano. Nella Roma sistina si ritrutturavano edifici in forme nuove come la chiesa di Santa Maria del popolo, dove i romani veneravano un'immagine di Vergine dipinta da San Luca. Per custodire la tavola nel 1473 si realizzò una pala in forma di tempietto all'antica affidata ad Andrea Bregno. La nuova Santa Maria del popolo si presentava con una facciata tripartita in travertino dove è chiaro il richiamo alla predilizione per l'antico di Alberti. La Cappella Sistina: un cantiere affollato A Sisto IV si deve pure l'idea di corredare il palazzo apostolico di una nuova cappella detta Cappella Sistina. Un poderoso involucro di mattoni, mosso da una merlatura, contiene una grande aula rettangolare coperta da una volta. Si tratta di un'architettura molto semplice che si attribuisce a Baccio Pontelli verso il 1477-81, sotto la direzione di Giovannino de'Dolci. Intorno al 1481-82 la cappella fu completamente affrescata, secondo uno schema suddivis su vari registri: in basso uno zoccolo con finti arezzi, una serie di riquadri narrativi nel secondo registro e alcune figure di papi disposte netro delle nicchie illusionistiche. La volta appariva come un cielo pieno di stelle, seconodun gustotipicamente medievle come la Cappella degli Scrovegni di Giotto. Oggi al posto del cielo, ci sono le Storie della Genesi di Michelangelo, che rinnovo anche la parete terminale in cui dipinse un colossale Giudizio universale. Così andò perduta l'Assunzione della vergine con il ritratto di Sisto IV. Furono inoltre distrutte due immagini di papi e gli episodi della Nascità di Mosè e la Natività di Cristo, le scene iniziali della storia del secondo registro: da un lato quella di Mosè, dall'altro quella di Cristo. Mosè in quanto guida del popolo eletto, appare come una prefigurazione di Cristo che trova continuità attraverso San Pietro. Sisto IV arruolò una folta equipe di pittori giunti dalla Toscana e dall'Umbria, in particolare il Ghirlandaio, Botticelli e Cosimo Rossello. Il Ghirlandaio ebbe il compito di dipingere la Vocazione di San Pietro e Andrea. La scena di apre su una serena veduta del lago di Tiberiade. Sul proscenio emerge la sua passione per i ritratti, Pietro e Andrea si inginocchiano di fronte a Gesù, in un'atmosfera di ordinata serenità che mette insieme il rigore masaccesco e lo splendore dei pittori della luce. A Botticelli furono affidate: le Prove di Mosè, le Prove di Cristo e la Punizione dei Ribelli. Quest'ultima aveva un significato particolare, poichè sottolineava la pena per chi non rispettava l'autorità ecclesiastica. La rivolta di 250 israeliti contro Mosè è a destra, al centro Mosè disperde i ribelle che finiscono per essere cacciati agli inferi. Le figure tendono ad essere bidimensionali e sono spesso lumeggiate d'oro. Notevole è la differenza con la scena dipinta di fronte da Pietro Perugino. Perugino e il nuovo stile umbro San Pietro ebbe da Cristo le chiavi del Paradiso, gli fu riconosciuto un primato di autorità sul popolo che fu ereditato da ogni pontefice. Nella Cappella Sistina l'episodio della Consegna delle chiavi non poteva mancare, fu realizzato da Perugino. In primo piano Pietro si inginocchia a ricevere le chiavi da Gesù sotto lo sguardo degli altri apostoli. Fra altri personaggi si possono riconoscere Baccio Pontelli e Giovannino de'Dolci, progettista e direttore. L'episodio è disposto su una piazza, pavimentata con grandi lastre che individuano con la chiarezza la fuga prospettica indirizzata sull'edificio sul fondo, che vuole alludere al tempio di salomone. In lontananza c'è un quieto paesaggio. In secondo piano si muovono una multitudine di eleganti figure a narrare il tributo della moneta e la tentata lapidazione di Cristo. Contiene tre episodi e risaltano l'ordine e la precisione prospettica illuminata da una luce nitida e che fa risaltare le forme tridimensionali. Pietro Vannucci detto il Perugino nacque nel 1450 in un cittadina non molto lontana da Perugia. Quando dipinse la consegna delle chiavi, era già un maestro affermato infatti Sisto IV gli affidò le pitture perdute della parete d'altare e tre ulteriori storie della Cappella. In lui si può riconoscere il vero registra del ciclo, anche perchè ricorre uno tesso tipo di paesaggio sereno che ricorda la sua terra natia. L'equilibrio prospettico e la nitidezza si spiegano con una formazione a Firenze, infatti era iscritto alla confraternita di pittori intitolata a san Luca sotto la disciplina di Verrocchio come si nota nelle figure di Cristo e degli apostoli più giovani e nel modo di accartocciare i lunghi mantelli in ampie pieghe messe in evidenza dalla luce. Nel San Bernardino risana una fanciulla del 1473 si riconosce nella luce e nella prospettiva. Nella Cappella Sistina il Perugino ebbe numerosi assistenti tra cui Bernardino di Betto detto il Pinturicchio con cui aveva collaborato alle Storie di San Bernardino. Evidente è la derivazione dalla consegna delle chiavi dell'affresco con i Funerali di San Bernardino nella Chiesa di Santa Maria in Aracoeli a Roma che appartiene al ciclo di storie in una cappella di Niccolo Bufalini. Perugino lavorò tra Perugia, Roma e Firenze, dove stabilì la sua bottega. Maturò un nuovo linguaggio come si nota in una pala del 1493 per la Chiesa di San domenico a Fiesole. La serenità del linguaggio umbro si diffonde sull'intera composizione, la Madonna siede al centri e la affiancano san Giovanni Battista e San Sebastiano che non esprime dolore. Perugino ottenne un successo eccezionale e in Lombardia Ludovico il Moro gli commissionò una pala per la Certosa di Pavia e Isabella d'Este un dipinto per il suo studiolo di mantova. I muscoli di Luca Signorelli Il cantiere della Cappella Sistina fu frequentato anche da Luca Signorelli che collaborò direttamente con Perugino dipingendo la consegna delle chiavi con i dettagli di tre teste di apostoli. Il linguaggio di Signorelli è assai differente da quello di Perugino preferendo all'equilibrio la possanza e il movimento dei corpi. Era stato allievo di Piero della Francesca ed era entrato in contatto con la bottega del Verrocchio. Osservando la Flagellazione di Cristo si può capire quanto preferisse una composizione più agguerrita con movimento e torsione dei corpi che fa tesoro della lezione del Pollaiolo e del Verrocchio. L'opera è del 1482-84. Nel 1499 ottenne l'incarico di decorare la Cappella di San Brizio nel Duomo di Orvieto. Era stata innalzata nelle forme di una grnade aula gotica e la commissione prevedeva che narrasse le storie della fine del mondo e del giudizio universale. Lo svolse in forme drammatiche, riempendo le scene di nudi come si nota nell'episodio della Resurrezione della carne. L'inferno è un vero e proprio trionfo di nudi nelle pose più complicate. Il ciclo era compiuto nel 1504 e comprendeva alla base le immagini di illustri letterati tra i quali si riconosce Dante che è inserito in un ornato dichiaramente all'antica corredato di 4 medaglioni con episodi del Purgatorio e motivi decorati grottesche. Le decorazioni pittoriche romane conservate nella Domis Aurea ebbero un successo immediato presso gli artisti tanto che questa tipologia ornamentale, fatta di figure esili e mostruose intrecciate e fantasiose si diffusse con rapidità. Per questo tipo di ornati si usò il termine grottesche, perchè la Domus Aurea era stata interrata e i suoi accessi si aprivano in forma di grotte. Filippino Lippi, Pinturicchio e il culto dell'antico Reclutato da Carafa, Filippino Lippi fu impegnato nel ciclo romano dal 1488 al 1493 e a Roma ebbe modo di approfondire gli studi archeologici. La parete principale presenta una soluzione curiosa. Al centro è una pala d'altare con l'Annunciazione. La Vergine è protagonista anche nella storia che si svolge intorno alla pala, una vasta Assunzione popolata di figure bizzarre secondo un regiatro che si estende alle Sibille della volta. Finse poi ad affresco delle paraste ornate a grottesche. I rimandi all'antico sono continui. Non si stabilì a Roma e lasciò la strada al Pinturicchio che aveva una vera e propria ossesione per l'antico con continui studi nella Domus Aurea. Su una volta egli stesso incise il proprio soprannome. Fu uno dei primi interpreti della decorazione grottesca. Alessandro VI si rivolse a lui per affrescare il suo appartamento in Vaticano dove affrescò le 5 sale dal 1492 al 1494 con una pittura estremamente decorativa come si vede nella Resurrezione o nella Disputa di santa Caterina d'Alessandria. Si allontanava dalla severità compositiva del Perugino. Antonio del Pollaiolo e due monumenti sepolcrali in bronzo Il trasferimento a Roma dei fratelli Pollaiolo fu definitivo. Antonio giunse con il proposito di occuparsi del sepolcro del pontefice dietro la commssione del futuro Giulio II. Entrambi i fratelli furono sepolti nella chiesa di San Pietro in Vincoli, dove resta il monumento funebre che ne reca i ritratti, un'opera che attesta la fortuna dei due fratelli e il gusto che andava di moda nella scultura sepolcrale. Ultima cena del Ghirlandaio del 1480 per il refettorio di Ognissanti a Firenze. Le figure ghirlandaiesche appaiono poco disinvolte. Bramante pittore e architetto Prima di Leonardo, a Milano c'era Donato Bramante di Urbino e profondamente segnato dalle esperienze di Piero della Francesca. Nel 1490 ha raffigurato una solida mezza figura di Cristo, attentamente studiato nell'anatomia e legato a una colonna con le forme di un pilastro con motivi antiquari. Il linguaggio è diverso da quello di Leonardo, preferisce una luce netta e risoluta. Nel paesaggio non c'è spazio per le foschie leonardesche ma risulta asciugato dal tono caldo della luce. Bramante si specializzò nel campo dell'architettura. Fu coinvolto nel cantiere della chiesa di Santa Maria presso San Sitiro. Edificio sorto per venrrare un'immagine mariana miracolosa. Seppe usare la prospettiva per risolvere un problema di spazio. La muraglia in fondo era priva della superficie necessaria per il coro e l'absdie, così ricavò un vano illusionistico capace di fingere la profondità con un'imponente arcata a lacunari, che ricorda quella della Pala Montefeltro di Piero della Francesca. Nel corso degli anni 90 ebbe un ruolo di primo piano nel cantiere della chiesa di Santa Maria delle Grazie dove si occupò di rinnovare il presbiterio e il tiburio dell'edificio, che reimpostò sulla superficie di un grande quadrato. Sopra sorse una luminosa cupola e l'area presbiteriale fu completata lateralmente da due absidi e sul fondo dal coro. All'esterno risaltano i volumi dei vani e le pareti evidenziano un gusto tutto lomabrdo per la bicromia e la profusione decorativa. Bramante manifesta un interesse per il tema della pianta centrale. Cantieri lombardi: la Certosa di Pavia Guardando la facciata della Certosa di Pavia sembra un'architettura gotica, ma gli elementi sono rinascimentali, come le bifore e lunette con archi a tutto sesto, timpani, finestre rettangolari e il gusto antiquario. Manca il severo rigore di Brunelleschi e Alberti. Fu fondato nel 1396 vicino Pavia da Gian Galeazzo Visconti ma fu con Ludovico il Moro che ebbe un'accelerazione con il coinvolgimento di Giovanni Antonio Amadeo. Ebbe un ruolo nei rilievi con le Storie dell'Antico e Nuovo testamento, che documentano i caratteri della scultura lombarda del tempo, come si nota nel Cristo deriso dove le figure sono espressive, alle spalle si ha la cultura squarcionesca. Nel gusto architettonico e nella precisione prospettica si sente il peso delle novità bramantesche. Cantieri lombardi: la Cappella Colleoni a Bergamo Fin dalla metà degli anni 70, Giovanni Antonio Amadeo curò un progetto architettonico e scultorio per Bartolomeo Colleoni. Era di origine bergamsca, volle innalzare un mausoleo nel centro della città nella piazza della Cattedrale. La facciata reca la data 1476. Tra i molti elementi della decorazione risaltano un paio di edicole pienamente rinascimentali sopra i due finestroni per incorniciare i busti clipeati di Giulio Cesare e Traiano. Rilegge l'antico con una personale espressività, il collo si allunga, gli occhi si allargano e le pieghe dei panni si accorciano, ricordando Mantegna. Entrando all'interno del mausoleo troviamo il monumento sepolcrale di Bartolomeo Colleoni, unico elemento superstite dell'allestimento 400centesco. L'arca si eleva su alti pilastrini con due sarcofagi, che illustrano le Storie della passione e le Storie della Natività di cristo. In alto si erge la statua equestre di Colleoni, l'originale fu rimosso perchè troppo pesante e quello che vediamo è del 1500. Le tre figure di antichi condottieri sembrano colti in un maliconico momento di meditazione sui destini del defunto. Nella parete sinistra della cappella si innalza il monumento sepolcrale per la figlia Medea. Si tratta di una versione lombarda dei modelli all'antica di Rossellino e Desiderio. Adotta una cornice antiquaria e un vivace fondo bicromo: la madonna col bambino affiancata dalle sante Caterina d'Alessandria e da Siena, mentre la giovane è distesa. I pittori lombardi: Mantegna e lo studiolo di Isabella d'Este Le esperienze di Leonardo e di Bramante furono decive oer i pittori lombardi: da Vincenzo Foppa a Bernardo Zenale. Nella sua Adorazione del bambino le fisionomie dei volti e il paesaggio roccioso ricordano Leonardo, mentre la luce tersa e il chiaro ordine spaziale e architettonico Bramante. Bartolomeo Suardi fu detto Bramantino, in virtù di una speciale dipendenza dal'artista che lo educò, interpretandolo in senso fortemente personale guardando al retaggio della cultura artistica lombarda. Il suo Cristo risorto è una sorte di versione enigmatica del Cristo della colonna, in cui la luce fredda e lo studio delle anatomie danno vita ad una versione glaciare del Cristo. Queste novità non fecero effetto su Andrea Mantegna. Nel 1496 realizzò una pala con la Madonna della Vittoria. In un pergolato abbondante di frutti e animali evoca la formazione padovana con Squarcione. Ha inscenato una sacra conversazione, al centro si staglia la Vergine col figlio con il piccolo san Giovannino e due santi mantovani e due santi guerrieri. A sinistra Francesco Gonzaga si inginocchia a ricevere la benedizione mentre all'opposto troviamo Isabella d'Este. Primogenita di Ercole, duca di Ferrara, Isabella d'Este andò in sposa a Francesco Gonzaga. A Mantova seppe mettere in piedi una corte quanto mai colta, fu una grande collezionista di arte antica e moderna ed ebbe al suo servizio anche Baldassare Castiglione. Accolse Leonardo quando abbandonò Milano che le fece un ristratto in un foglio. Isabella progettò di allestire nel Castello di san Giorgio due ambienti emblematici del suo impegno intelletuale: uno studiolo e una grotta. Lo studiolo accolse una serie di dipinti. Il primo dipinto ad essere realizzato fu nel 1497, il cosiddetto Parnaso di Mantegna, in cui effigiò le Muse in atto di danzare al suono della cetra di Apollo insieme ad altre divinità, Venere e Marte dovrebbero alludere a Francesco Gonzaga e Isabella, sotto il governo dei quali fioriscono le arti, simboleggiate dalle muse. Isabella si rivolse ai migliori pittori dell'epoca. Resta la corrispondenza con la quale ordinò una tela a Pietro Perugino con soggetto la Lotta tra amore e castità. Consegnò il dipinto nel 1505 disponendo un gruppo di figure in primo piano con alle spalle uno dei suoi tipici paesaggi umbri. Non è uno dei suoi migliori dipinti, probabilemente il tema era troppo difficile. VENEZIA ALLA FINE DEL SECOLO - 26 Colore e natura: Giovanni Bellini Giovanni Bellini completò due grandi dipinti che attestano il suo ruolo dominante nell'ambiente artistico lagunare. Uno era per la famiglia Pesaro per la chiesa francescana dei Frari, l'altro per il doge Agostino Barbarigo nel 1488. Nella Pala dei Frari, realizzò un trittico con un'opera che non guarda al passato. Pensò a una carpenteria tripartita preferendo una decorazione di gusto antiquario, seppe unificare lo spazio tra gli scomparti attraverso degli elementi architettonici. L'utilizzo della pittura a olio offre un naturalistico tono, riecheggiante Antonello da Messina. Il basamento riecheggia i valori prospettici e albertiani. La vergine è su di un'abside rasserenata da una luce diffusa e culminante in un arcone e una calotta decorati a mosaico. É un motivo caro alla pittura veneziana del tardo 400, rievoca la magnificenza della Basilica di San Marco. Per il doge Agostino Barbarigo dipinge un telero, ovvero una tela di formato rettangolare con lo scopo di celebrare la famiglia. Il doge è ritratto inginocchiato, mentre san Marco lo presenta alla Vergine alla presenza di sant'Agostino. Sono figure con un preciso significato: Agostino è il santo eponimo del doge, Marco non è solo il patrono ma anche eponimo del fratello. Solo un raffinato tendaggio difende il gruppo dall'incombere della natura. Giovanni Bellini sperimenta due dei cardini della pittura veneziata del 500: la tecnica dell'olio su tela e il cosiddetto tonalismo, ovvero una pittura che non è definita precisamente dal disegno e dalla prospettiva, ma è concepita attraverso uno studiato accostamento dei toni del colore. Colore e natura: Cima da Conegliano Alle novità di Giovanni Bellini seppe guardare Giovanni Battista Cima da Conegliano. Per la chiesa di Santa Maria dei Battuti aveva dipinto tra il 1492-93 una pala dove la deferenza a Bellini è chiarissima. É una tipica sacra conversazione, il gruppo divino è protetto da un quadriportico con le superfici decorate a mosaico. Manca l'abside, perchè dipinge un cielo azzurro e naturale. Dedicò molto impegno alla raffigurazione del paesaggio veneto. In una sua pala d'altare san Girolamo e san Ludovico di Tolosa omaggiano la Madonna con il bambino che non siede su un trono, ma su uno sperone di roccia e dietro di lei si innalza un albero di arancio, è infatti detta Madonna dell'Arancio. É una campagna in cui l'uomo ha lasciato tracce non troppo evidenti della sua azione. C'è anche un asino con il suo padrone, ovviamente san Giuseppe, e alle loro spalle si inepica un sentiero che conduce a un borgo murato su un'altura: un dettaglio che in Cima da Conegliano non manca mai. La tavola fu eseguita nel 1496-98 per la chiesa francescana di Santa Chiara nell'isola di Murano. La luce decisa è capace di plasmare le forme dei suoi personaggi. Teleri e scuole: Gentile Bellini e Vittore Carpaccio Grande lacuna della storia dell'arte veneziana è che non ci è arrivato nulla della decorazione 400centesca dei principali ambienti di palazzo ducale. Nel 1577 un incendio distrusse i dipinti di Giovanni e Gentile Bellini che dovevano rinnovare le Storie di Alessandro III e di Federico Barbarossa affrescate da Gentile da Fabriano e Pisaniello. La necessità di sostituire quel ciclo era dovuta al fatto che l'umidità del luogo rendeva breve la vita degli intonaci, quindi Gentile iniziò ad utilizzare i telieri: grandi tele cucite e montate su articolati telai. Fu così che la pittura ad olio iniziò a diffondersi. Gentile diventerà pittore ufficiale dela repubblica che tra il 1479-80 lo manderà anche a dipingere un ritratto di Maometto II. A Venezia le Scuole erano istituzioni ispirati da fini di devozione non sottoposte al controllo della chiesa e contribuivano alla coesione sociale. I più ricchi cittadini ci tenevano a celebrale la propria scuola attraverso immagini di grande dimensione in cui le scene richiamavano la quotidianità. La Scuola grande di San Giovanni Evangelista fu decorata con una serie di teleri ora nelle Gallerie dell'accademia. Al centro della storia è la preziosa reliqua di un frammento della vera croce. Gentile Bellini dipinse nel 1496 l'episodio della Processione in piazza san Marco. In tale occasione era consuetudine che le Scuole sfilassero per la città con le relique. Assistendo alla cerimonia, il mercante Jacopo de'Salis pregò per la guarigione del figlio che fu guarito. La vicenda è un pretesto per allestire una Giovannino. L'aspetto più singolare sta nella scelta di astenersi da qualsiasi ornato o sfondo architettonico, le figure si ergono come statue, da attenzione alle forme volumetriche e poco al colore. Fu assolutamente convinto del primato della scultura. Nel 1498 il cardinale Jean Bilheres de Lagraulas stipulò un contratto con la quale si impegnava a realizzare una Pietà in marmo da collocare nella Cappella di Santa Petronilla in San Pietro, fu ultimata nel 1499. Il soggetto della Madonna con il Cristo morto non era troppo diffuso nella scultura italiana, deriva infatti dai paesi nordici. Michelangelo non ambiva solo a essere alla pari della natura, ma anche degli antichi. La Pietà voleva apparire scolpita ex uno lapide, in un solo sasso, come le statue descritte da Plinio il Vecchio nel Naturalis historia. La scultura era scolpita in più parti ma le commettiture erano nascoste così bene che sembrava un unico blocco. Nella firma utilizza il verbo all'imperfetto latino faciebat per alludere alla perenne perfettibilità dell'arte, recuperando una tipologia di firma adottata nell'antichità, che verrà poi utilizzata nel 500. Al culto della bellezza ideale del Neoplatoniso sembrano richiamarsi i volti, la Vergine è giovanissima. Attirò anche critiche, ma Varasi ne diede giustificazione perchè le persone vergini si mantengono nel tempo senza macchia. La Pietà annunciava una nuova stagione, quella della maniera moderna. LA MANIERA MODERNA - VI Lineamenti storici I piccoli stati italiani non erano pronti a reggere l'urto dei nuovi grandi stati nazionali. Lo storico fiorentino Guicciardini scriveva a proposito della situazione italiana a fine 400. In Italia vi era un equilibrio, perchè ogni stato era attento a mantenere i propri confini e i conflitti si svolgevano con grande calma. Con l'arrivo dei francesi, gli stati assunsero un atteggiamento passivo e le guerre si fecero violente e improvvise. Sul finire del 1508 le maggiori potenze europee si coalizzarono nella Lega di Cambrai, con il fine di attaccare Venezia e spartirsi i territori. L'obiettivo non fu raggiunto per uno sconvolgimento degli equilibri della lega. Nel 1503 diventa papa Giulio II e fu un grande mecenate e bellicoso capo di uno stato secolare. Nel 1510 fece sciogliere la lega e creò la Lega Santa, il papato e Venezia si unirono per liberare il ducato di Milano. Il re di Francia Luigi XII promosse il Concilio di Pisa, affinchè alcuni cardinali deponessero Giulio II ma fu un insuccesso. Presto abbandonò MIlano, dove tornarono gli Sforza, mentre i domini della chiesa si ampliavano. Nel 1513 Giovanni de'Medici fu eletto papa Leone X e si distinse per il mecenatismo. Grazie a lui i Medici tornarono a Firenze. Il clima del suo pontificato è ben illustrato da un ritratto di Raffaello dove appare seduto a uno scrittorio, lo accompagnano due familiari che aveva nomitano cardinali, Giulio de'Medici e Luigi de'Rossi. Nel 1517 Martin Lutero mette sulla porta della chiesa di Ognissanti a Wittenberg le sue 95 tesi nel quale contestava la vendita delle indulgenze, un mezzo per perdonare i peccati e raggiungere il Paradiso. Lutero restò scandalizzato dal fasto della curia, eccessivo e pagano, così come Erasmo da Rotterdam, ma la sua posizione non fu di rottura proponendo un umanesimo cristiano per coinciliare il culto dell'antico con quello di Cristo. Lutero elaborò una dottrina secondo la quale la salvezza viene conseguita per fede, per volontà di Dio. Iniziò un profondo scontro con il Papato. Carlo V fu eletto nel 1519 imperatore del Sacro Romano impero e si ritrovò ad essere l'uomo più potente d'Europa. Era nipote di Massimiliano d'asburgo, era re di Spagna e di Napoli, vantava diritti sul Ducato di Borgogna, a ciò si aggiungono le terre del nuovo mondo. Si scontrò continuamente con il re di Francia Francesco I, che aveva riconquistato il ducato di Milano nel 1515. Nel 1525 fu sconfitto nella battaglia di Pavia, detenuto e liberato solo dopo la rattifica del Trattato di Madrid, con il quale rinunciava a ogni pretesa su Napoli, Milano e Borgogna. Intanto viene eletto papa Clemente VII. FIRENZE ALL'INIZIO DEL 500: LEONARDO,MICHELANGELO E RAFFAELLO - 28 Il David di Michelangelo: un simbolo della Repubblica Giorgio Vasari chiamò maniera moderna la fase più matura del Rinascimento che rappresenta il momento culminante in cui i maestri riescono a superare gli antichi e la natura stessa. La miccia era stata innescata a Firenze dove Leonardo, Michelangelo e Raffaello aveva convissuto per un decisivo lasso di tempo. Nel 1501 gli operai della Cattedrale di Firenze commissionarono a Michelangelo una statua dell'eroe biblico David. Il David era quasi finito quando nel 1504 si decise di nominare una commissione per stabilire il luogo dove collocarlo, partecipò anche Leonardo che non provò a nuocere il rivale e propose di metterla sotto la Loggia dei Lanzi. Non c'era artista che non fu colpito dalla statua, tra cui Raffaello che dorò la ghiralanda di metallo con cui si ornò il David e ne studiò il tergo in un celebre foglio. Leonardo stesso non faceva eccezione e in un disegno sicuro copiò il david trasformandolo in un nettuno. Alla fine lo si collocò davanti a Palazzo Vecchio. La scelta era giustificata dal significato politco della statua, eletta a simbolo della repubblica. Era una figura simbolo della libertà dello Stato, tanto che già Donatello e il Verrocchio lo avevano raffigurato trionfante sulla testa. Michelangelo lo raffigurò dal fisico perfetto, che non ha ancora vinto ma è pronto. La posa appare carica di energia. La Battaglia di Anghiari e la Battaglia di Cascina: Leonardo e Michelangelo Il gonfaloniere Pier Soderini volle decorare la Sala del Consiglio Grande del Palazzo Vecchio. L'idea era di dipingere le pareti con scene di battaglia. Si pensò a due enormi affreschi, il primo fu richiesto a Leonardo e il secondo a Michelangelo, ma nessuno è giunto fino a noi. Nel 1501 Leonardo era rientrato in patria. Da lì a poco aveva seguito Cesare Borgia,ma nel 1503 torna a Firenze dove riceve la commissione di dipingere la battaglia di Anghiari, in cui i fiorentini avevano sconfitto Filippo Maria Visconti. La storia si focalizza sulla scena in cui un gruppo di cavalieri si azzuffava per la conquista del stendardo nemico. Leonardo sperimenta una tecnica a encausto ispirata alla pittura romana, ma fu un fallimento perche il colorea olio colava. Restano alcune copie del gruppo dei cavalieri. Nel 1504 Pier Soderini aveva incaricato Michelangelo di dipingere la battaglia di Cascina, contro i Pisani. Riduce l'episodio a uno studio di nudi in movimento, scelse infatti di raffigurare il momento precendete, quando i fiorentini sono avvertiti dell'arrivo del nemico mentre fanno il bagno nell'Arno. Immediata fu la fama del disegno preparatorio nella Sala del Papa del Convento di Santa Maria Novella, i milgiori artisti di Firenze accorsero a studiarlo tra cui Aristotile da Sangallo, cui si deve una fedele copia a testimoniare l'energia della composizione. L'originale è andato perduto. Scultura in pittura: il Tondo Doni Michelangelo era convinto del primato della scultura sulla pittura. Durante l'attività fiorentina, diede un'esplicita prova di scultura in pittura nel Tondo Doni, commissionato dal banchiere Agnolo Doni. Il dipinto è dominato dal massiccio gruppo scultorio della Sacra Famiglia, colot in una posa innaturale. É una sorta di complicato esercizio di equilibrio, cui assiste divertito san Giovannino, dietro di loro è un fondale roccioso dominato da una serie di nudi dei quali resta difficile capire il significato. Rimandano alla predilezione di Michelangelo per la purezza della figura umana. Già Luca Signorelli aveva posto un gruppo di nudi dietro alla Madonna con il bambino in un tondo ed è difficile che Michelangelo non conoscesse questo precedente e non sapesse farne tesoro. Nei nudi pare omaggiare la posa di due celebri sculture antiche, l'Apollo del Belvedere e il Laocoonte, riscoperto solo nel 1506. Per questa reagione si crede che era per celebrare la nascita nel 1507 di Maria Doni. Un'identica carica di energia potenziale è concentrata in un tondo che scolpì in marmo verso il 1505 per Bartolomeo Pitti. La Vergine è costretta entro le dimensioni troppo piccole del formato circolare con il capo che oltrepassa la cornice. Nel dare vita alle figure ha giocato sugli effetti della materia grezza e lo spessore del marmo, come a distinguere gerarchicamente gli attori, Maria con la testa quasi a tutto tondo, il Bambino con la testa ad altorilievo e il san Giovannino è scolpito in un rilievo schicciato, ma nell'espressione assomiglia a quello del Tondo Doni. Pittura in scultura: i bronzi di Giovan Francesco Rustici Leonardo aveva un'idea opposta a quella di Michelangelo. Il primato per lui andava alla pittura, nel suo Trattato afferma che la pittura è una vera e propria scienza. La differenza consiste nel fatto che lo scultore fa maggior fatica di corpo mentre il pittore maggior fatica di mente. Leonardo non praticò mai la scultura per via di levare, ma si esercitò in quella per via di porre. Nella Firenze di primo 500 l'Arte di Calimala decise di rinnovare i monumentali gruppi scultori realizzati da Tino di Camaino nel 1322-24 per coronare le porte del Battistero. Nel 1502 fu commissionato un Battesimo di Cristo ad Andrea Sansovino. Un gigantesco gruppo di tre statue in bronzo fu commissionato nel 1506 a Giovan Francesco Rustici, seguace di Leonardo, che rappresenta l'Interrogatorio e testimonianza di Battista, in cui Giovanni rivela la sua missione di precursore di Gesù. Ebbe a fianco Leonardo e questo spiega il carattere leonardesco dei bronzi, dove il giovane Giovanni ricurda nel gesto dell'indice alzato il San Giovanni Battista di Leonardo. Anche la testa calva e volumetrica del levita ricorda gli studi leonardeschi sul corpo umano come in un folgio del 1490. Il giovane Raffaello matura con Leonardo, Michelangelo e Fra Bartolomeo. Il giovane Raffaello seppe far tesoro delle novità di Michelangelo e Leonardo, a Firenze tra il 1504 e il 1508. Nel 1508 fu poi chiamato a Roma da Giulio II. Tra le prime opere ammirate da Raffaello dovette esserci un cartone con la Madonna col Bambino, Sant'Anna e San giovannino di Leonardo. Il cartone è andato perduto ma restano due interpretazioni leonardesche del tema: un cartone e una tavola. In entrambe le immagini ricorrono i più tipici caratteri leonardeschi: il paesaggio roccioso, la disposizione piramidale, la loro resa sfumata e la gestualità accentuata, ad alludere ai moti dell'animo, l'intensità nell'espressione degli affetti e l'esplorazione di nuove modalità compositive. Vediamo che ha riflettuto su questi temi in alcune tavole. La prima è la Madonna del cardellino, così chiamata per la presenza dell'uccellino presentato da san Giovannino al piccolo Gesù, nel 1506 fu commissionato dal mercante Lorenzo Nasi. Vi adotta un paesaggio umbro, ma la distanza dal Perugino è decisa, il gruppo di figure denota lo studio di Leonardo. A ciò si aggiun la conoscenza di Michelangelo, cui fanno pensare la testa dolcissima di Maria che scarta rispetto al corpo. L'altra tavola commisionata da Domenico Canigiani è una composizione piramidale ancora più accentuata. Nel modo in cui la Vergine è tradizione a simbolo dell'amore infelice e malinconico. Alle sue spalle compare un secondo giovane che sembra trattenere un sorriso beffardo. Il Doppio ritratto è stato messo in rapporto con le colte riflessioni sull'amore di Pietro Bembo che trovarono espressioni negli Asolani. Nella Venere dormiente di Dresda, la dea è ritratta nuda e dormiente in una posa ispirata all'antico, ma non ha nulla di archeologico. É in campagna e si copre pudicamente con la madro sinistra. Venne commisionato in occasione del matrimonio nel 1507 tra Girolamo Marcello e Morosina Pisani e mise a piunto un modello per esaltare la bellezza femminile che sarà un classico della pittura erotica. Giorgione lascia come suo erede spirituale Tiziano. L'affermazione di Tiziano Tiziano Vecellio nacque intorno al 1488-90, intrapese la carriera di pittore a Venezia legandosi a Giorgione. Michiel racconta di un intervento nella Venere di Dresda, in quanto Tiziano avrebbe cpmpletato il paeasaggio aggiungendo un cupido. Venne danneggiato e nascosto da vari restauri. Alcuni studiosi gli attribuiscono il panno e il cuscino. Nel Noli me tangere il cristo risorto appare alla Maddalena ma non si lascia toccare da lei. Le due figure sono immerse nella natura e nel colore. Tiziano ha assimilato completamente il linguaggio di Giorgione e mette in scena un episodio sacro con i colori del naturale. Di questi primi tempi tizianeschi si conserva un ritratto in cui potrebbe essere raffigurato il patrizio veneziano Girolamo Barbarigo di profilo e con la testa appena voltata verso di noi. Vasari dice che se Tiziano non vi avesse scritto il suo nome sarebbe stato considerato di Giorgione. Nel 1511 a Padova realizzò i suoi primi lavori documentati: tre Storie di sant'Antonio da Padova affrescate nella Scuola del Santo. Tiziano illustrò tre dei miracoli più famosi: Antonio che fa parlare il neonato per scagionare la madre, Antonio che riattacca un piede a un giovane e Antonio che risana una donna pugnalata dal marito. In quest'ultimo ha scelto di mostrare in primo piano il momento del tragico assalto. I protagonisti risaltano sul registro neutro del paesaggio grazie ai colori vivi delle vesti, il bianco e l'arancio e le bande bianche e rosse dell'uomo. Si riconosce in lontanza inginocchiato di fronte a sant'Antonio che ascolta il suo pentimento. Dipinse nel 1514-1515 dipinse Amor sacro e Amor profano. Davanti a un idilliaco paesaggio veneto due donne si appoggiano a una vasca, una è ben vestita l'altra è nuda e tra di loro c'è un cupido. Gli studiosi proposero infinite letture alternative e oggi sappiamo che deve essere collegato alla nozze di Nicolò Aurelio e Laura Begarotto. Gli stemmi si riconoscono sul fronte della vasca e nel bacile soprastante. La seminuda Venere e Amore accompagnano l sposa che forse è proprio un ritratto di Laura. I conigli sono augurio di fecondità. La forma adottata per la vasca attesta l'interesse per il mondo classico e le figure si fanno più solide e monumentali. Tiziano ebbe la sua definitiva consacrazione a maggior pittore di Venezia con la pala per l'altare maggiore della chiesa dei Frari nel 1516-18. É un'opera che apre un nuovo capitolo della pittura veneziana lasciando alla spalle la tradizione belliniana. Nell'Assunta il colore veneziano è adattano a figure dall'enfatica gestualità sulle quali è costruita l'intera composizione giocata su tre semplici livelli: la sorpresa deegli Apostoli in basso, l'ascesa di Maria e l'Eterno sulla sommità. Non ebbe immediato successo perchè il pubblico era abituato ai gusti di Giovanni Bellini. Un pittore per l'entroterra: Lorenzo Lotto. Tiziano riuscì ad affermarsi a Venezia anche per l'assenza di reali concorrenti. Due erano i pittori che avrebbero potuto misurarsi con lui: Lorenzo Lotto e Sebastiano Luciani, ma si affermarono lontano dalla Laguna. Lotto si distinse fin dai primi anni del 500 a Treviso dove realizzò una pala destinata alla chiesa di Santa Cristina di Quinto nel 1506. Il cristo in pietà sorretto dagli angeli riprende un tema caro alla pittura veneziana appare quasi una risposta polemica alla Pala di San Zaccaria compiuta da Bellini, la composizione è quasi identica ma i personaggi sono come innervati da uno spirito capriccioso figlio di un interesse per la pittura di Durer. Venezia non era pronta per questa pittura anticonformista, Lotto appare quasi come un pittore in fuga e si traferì nella Marche con un breve intermezzo romano. A Bergamo ottenne la commissione di una pala per la chiesa di Santi Stefano e Domenico da Alessandro Colleoni, compiuta nel 1516. É una sacra comversazione ambientata in un edificio stravagante in cui lascia piena libertà all'indisciplinato atteggiamento e all'esasperata gestualità degli attori. Non c'è distinzione tra i protagonisti e comparse. Gli angioletti, che nella tradizione belliniana stavano ben composti a suonare, si contorcono a stendere un telo. Sebastiano del Piombo prima di Roma Nella venizia di primo 500 si formò un pittore che avrebbe fatto fortuna a Roma tanto da ricevere la carica di piombatore delle bolle pontificie. Per questo è noto come Sebastiano del Piombo. La migliore fonte sulla vita di Sebastiano resta Vasari che racconta che la sua prima professione fu la musica. Decise di praticare la pittura, prima con GIovanni Bellini poi con Giorgione. Le poche opere che si conoscono mostrano uno spiccato debito verso la pittura giorgionesca. La più importante è una pala nella chiesa di San Giovanni Crisostomo. Le fisionomie, la materia sfumata e la composizione con grandi campiture cromatiche riecheggiano i linguaggio giorgionesco. Da grande attenzione alla solennità e all'equilibrio compositivo, evidente anche nell'assoluta precisione della fuga prospettica del pavimento. L'aspetto più innovativo è l'allestimento della scenografia dominata dalle robuste colonne di una possente architettura rinascimentale. Giovanni Crisostomo è effigiato di taglio intento alla scrittura e lo affiancano sei santi. É una nuova modalità di interpretare la pala d'altare. Nel 1511 Agostino Chigi era in visita a Venezia. Qui egli conobbe Sebastiano e decise di invitarlo a Roma. Così la sua carriera proseguì nell'urbe dove sarebbe stato tra i protagonisti della Maniera moderna. UNA NUOVA ATENE: LA ROMA DI GIULIO II E LEONE X - 30 Giulio II, Bramante e il progetto del nuovo San Pietro Roma aveva già l'urbinate Donato Bramante che sarebbe rimasto nell'Urbe fino alla morte. A Milano con l'arrivo dei francesi si era deciso ad andarsene a Roma. Lo scarto tra le opere del periodo lombardo e quelle romane è evidente se si confronta l'esterno del tiburio di Santa Maria delle Grazie a Milano con il tempietto di San Pietro in Montorio. É un edificio a pianta centrale nel luogo in cui San Pietro avrebbe subito il martirio con un aspetto sobrio e classico. Adotta l'ordine dorico nei capitelli e nella successione di metope e triglifi dell'architrave a rievocare un antico mausoleo. Fu portato a termine certamente prima del 1506, quando Bramante si stava occupando di un'impresa più prestigiosa: la costruzione della nuova Basilica di San Pietro. Ai tempi di Niccolo V Bernardo Rossellino aveva avviato la demolizione di una parte del vecchio edificio e la costruzione di un nuovo coro che avrebbe dovuto svilupparsi su 5 navate e dotata di una cupola, secondo un'idea di Leon Battista Alberti. Ad avviare il cantiere fu Giulio II che si accorse della capacità del Bramante, facendolo suo architetto di fiducia. Nel 1506 fond la nuova Basilica di San Pietro e fece fondare una medaglia in memoria dell'evento eseguita da un orafo detto Caradosso, che documenta il progetto di Bramante per San Pietro. Aveva in mente una chiesa a pianta centrale a croce greca con una grande cupola e 4 cupole più piccole. Avrebbe avuto una facciata all'antica e una torre avrebbe dovuto innalzarsi a ognuno dei 4 angoli. All'interno ci sarebbero state due grandi navate coperte da un'ampia volta decorata a lacunari, che Raffaello avrebbe rappresentato nella Scuola di Atene. Quando Bramante morì erano stati innalzati appena i 4 pilone su cui sarebbe stata impostata la cupola assai divera disegnata da Michelangelo. Molti architetti si sarebbero succeduti nella dirazione della fabbrica. Non ci sono le torri, la pianta è a croce e si sviluppa su tre navate. Nella Chiesa di Santa Maria del Popolo, Giulio II volle che Bramante costruisse un nuovo coro con una solenne abside all'antica, peceduta da una volta. É una soluzione molto più monumentale rispetto a quelle lombarde. La campata precedente il coro reca una serie di affreschi compiuti nel 1510 dal PInturicchio, secondo il gusto delle grottesche. Sotto gli affreschi si innalzano due monumenti sepolcrali che commissionò ad Andrea Sansovino per i due cardinali: Ascanio Maria Sforza e Girolamo Basso della Rovere. Le due tombe furono scolpite tra il 1505 e il 1509 da Andrea Sansovino. Realizzò due tombe gemelle contraddistinte dal medesimo assetto compositivo. Quella Ascanio Maria Sforza, nell'aspetto tripartito richiama la forma di un arco trionfale romano. Al centro si erge il cardinale defunto che non è disteso ma appare reclinato sul fianco con la testa poggiata su un braccio e per offrire una visione più serena della morte. Nelle nicchie laterali ci sono due statue raffiguranti le virtù della Giustizia e della Prudenza che somigliano a due divinità pagane. Sedute ai lati del coronamento troviamo la Fede e la Speranza con la parte superiore del corpo scoperto. Asseconda in tutto e per tutto la frenesia per la scultura antica che percorreva Roma. Nel 1506 in un luogo detto le Capocce fu fatta una scoperta archeologica che suscitò enorme clamore, un gruppo che raffigurava con notevole vigore espressivo il sacerdote troiano Laocoonte che fu strangolato insieme ai figli da due serpenti inviati da Atena, perchè aveva cercato di convincere il popolo a rifiutare il cavallo lasciato dai Greci. Si trattava di un'opera descritta da Plinio il vecchio nella Naturalis Historia. Sabadino degli Arienti riferisce che l'opera attirava molti visitatori. L'opera finì presto nelle mani del papa che incaricò Bramante di allestire un cortile delle statue. Quella del papa era una collezione curiale visibile solo all'interno dei rituali della conte pontificia. Fu presto visitato dagli artisti per studiare da vicino le pose e l'espressioni di quei marmi che iniziarono ad essere modelli per pittori e scultori. Michelangelo analizzando il Laocoonte si accorse che non era scolpito in un solo blocco di marmo ma mostrava circa quattro commettiture. Quando parlava di un solo blocco, Plinio utilizzava un topos per esaltare la qualità dell'opera, ma i moderni ormai erano in grado si superare gli antichi. Raffaello e la Stanza della Segnatura Nel 1507 Giulio II scelse di stabilirsi al secondo piano del Palazzo Vaticano che fece ristrutturare da Bramante e che nel 1508 venne decorato da un'equipe di maestri. Il loro impegno fu di breve durata infatti quando Raffaello giunse a Roma dimostrò il suo valore facendo licenziare tutti gli altri e conquistandosi l'intera commissione, ovvero affrescare le 4 stanze, dette Vaticane. La prima sala a essere affrescata fu la Stanza della Segnatura perchè avrebbe ospitato il supreno tribunale ecclesiastico detto della Segnatura apostolica. In origine doveva ospitare la biblioteca di Giulio II. Per questo le immagini alludono alle discipline che si studiavano nelle università e i libri. Troviamo un L'antico e la Maniera: Andrea Sansovino e Raffaello in Sant'Agostino La novità della volta sinistra ebbe immediati effetti a Roma. Nel 1510 Giano Coricio decise di fondare un altare al terzo pilastro sinistro della Chiesa di Sant'Agostino, egli aveva amato una cortigiana e all'origine dell'altare vi era la volontà di darle sepoltura. Lo scandalo fu trasfigurato in un culto per Sant'Anna. Per l'inaugurazione si tenne una festa nel suo giardino,fu un eventuale che si omaggio Goritz com poesie encomiastiche negli anni successivi. Goritz volle un gruppo scultoreo ricavato da un solo blocco con sant'Anna insieme alla Madonna col bambino. Lo ordino ad Andrea Sansovino che prese spunto dal cartone della Sant'Anna di Leonardo e rese al meglio le espressione del maestro nel sorriso della vecchia santa velata. Maria appare come una solenne matrona romana, parve che il Sansovino avesse superato gli antichi facendo sembrare vive le figure intagliate. Al di sopra era presente un affresco in cui Raffaello aveva raffigurato il profeta Isaia. Si osserva la somiglianza che corre tra il profeta raffaellesco e le opere di Michelangelo, per esempio il Mosè di marmo. Raffaello aveva avuto modo di vedere la cappella prima dell'inaugurazione e aveva arricchito il suo repertorio con il linguaggio michelangiolesco. Egli srotola una pergamena con una scritta in ebraico. Alle sue spalle due putti sostengono una tabula ansata con una iscrizione in greco. Raffaello e la stanza di Eliodoro Nella seconda delle Stanze vaticane, quella per le udienze pontificie, il programma si distingue per una forte valenza politica in cui la chiesa e gli eroi si salvano da pericolose minaccie. Giulio II nel 1511 stava vivendo un momento difficile. Bologna era stata riconquistata, le storie dovevano essere un monito per i nemici della chiesa e vennero illustrate con un linguaggio estremamente drammatico, segnato dalle novità di Michelangelo. La volta rinuncia ai toni antiquari: è spartita in 4 Storie dell'Antico testamento dove le figure sono grandiose e i paesaggi spogli, quindi aveva già studiano la Genesi della Cappella. La stanza é detta di Eliodoro dal soggetto della prima scena. Nella lunetta si vede un cavaliere, accompagnato da due robusti giovani armati, che travolge un uomo in armatura. È un dettaglio di decisa impronta michelangiolesca e si tratta di Eliodoro d'Antiochia incaricato di profanare il tempio di Gerusalemme. A metterlo in fuga fu un cavaliere inviato direttamente da Dio inginocchiato al centro. È un architettura molto diversa da quella della stanza della segnatura: ora alla passione archeologica si antepone quella per una resa incisiva della realtà. A sinistra c'è Giulio II sulla sedia gestatoria davanti al gruppo delle vedove e degli orfani. Il messaggio è che la chiesa lotta in difesa dei deboli, il che giustificherebbe il suo diritto ai beni temporali. L'ingresso del papa parla veneziano. Raffaello non era mai stato a Venezia, ma aveva conosciuto Lorenzo Lotto e Sebastiano del Piombo. Questi incontri furono sufficienti affinché comprendesse le potenzialità del colore veneziano e aggiornasse così il suo stile. La seconda scena illustra la Messa di Bolsena. É un episodio che allude alla difesa dell'eresia, poiché fu celebrata da un prete che dubitava della trasformazione del pane e del vino. L'ostia iniziò a gettare sangue dissipando i dubbi, l'atmosfera é tenebrosa e il lato destro é riservato a Giulio II. È tutto legato alla pittura di Venezia. La terza scena racconta la Liberazione di San Pietro dal carcere, l'episodio ha la sua fonte negli Atti degli Apostoli e vuole alludere alla liberazione dei territori della Chiesa dalla minaccia francese. L'affresco risale al 1512-1513 ed é diviso in tre momenti: al centro l'angelo appare in un bagliore di luce dentro la cella, a destra l'angelo e Pietro se ne stanno andando, a sinistra la fuga é stata scoperta e si vede il terrore nelle guardie. Avrebbe completato il ciclo della sala con l'Incontro tra Attila e Leone Magno quando c'era un nuovo papa: Leone X. Raffaello avrebbe continuato a dipingere le Stanze, nonostante i molti impegni. La villa di Agostino Chigi: Peruzzi, Raffaello, Sebastiano del Piombo e Sodoma. Uno dei primi illustri committenti di Raffaello fu il magnifico Agostino Chigi, ricchissimo imprenditore e banchiere e a lui spettò il compito di gestire le finanze pontificie. Agostino Chigi volle costruire una villa suburbana, posta in una particolare posizione strategica: in prossimità del Tevere dal lato del Vaticano. Il progetto fu affidato a Baldassare Peruzzi che si era formato con Francesco di Giorgio Martini. Utilizzò un modello di villa assolutamente nuovo. La villa della Farnesina appare come un palazzo a due piani che si apre con una loggia a cinque arcate e due ali aggettanti verso il giardino. L'edificio aveva inoltre le pareti esterne dipinte "all'antica". Questa decorazione non é giunta fino a noi. Il gusto all'antica contraddistingue pure gli interni affrescati. Nella sala di Galatea si trova in dipinto compiuto da Raffaello verso il 1511-1512. È il trionfo della ninfa del mare Galatea che appare su di una conchiglia con tre amorini che stanno puntando verso di lei le loro frecce. La ninfa era innamorata di un giovane Aci che fu ucciso dal ciclope Polifemo. Anche lui era innamorato di Galatea. A sinistra Polifemo é tranquillo e sta guardando Galatea. A dipingere il ciclope fu Sebastiano del Piombo che adotta un linguaggio assolutamente veneziano nel paesaggio e nel colore, nella possenza dimostra di essere stato colpito dalle novità di Michelangelo. A Sebastiano spetta anche il ciclo delle dieci lunette soprastanti con poesie mitologiche. In alto Baldassare Peruzzi aveva raccontato l'oroscopo di Agostino Chigi mettendo insieme una serie di personificazioni di pianeti e costellazioni per alludere all'ordine del cielo nel giorno di nascita del committente. Le grandi feste organizzate da Agostino erano l'occasione per rappresentare commedie in latino. In quegli anni il cardinale Bernardo Dovizia da Bibbiena scriveva la Calandra, la prima commedia italiana in prosa e per la recita fu allestita una scenografia come non si era mai vista, con un moderno fondale prospettico. Quello romano fu disegnato da Baldassare Peruzzi infatti nella Sala delle Prospettive domina la pittura illusionistica, attraverso la quale le pareti fingono nicchie con statue e un loggiato aperto su di un paesaggio. I balconi appaiono reali. Al Sodoma toccò il compito di affrescare nella camera da letto del magnifico un paio di Storie di Alessandro Magno tra cui le Nozze di Alessandro e Rossane, chiara allusione a quella tra Agostino e Francesca Ordeaschi. Raffigura in uno stile raffaellesco una ricca camera dove Rossane siede su un letto seminuda e Alessandro si volta verso di lei. Cercò di ricostruire un perduto dipinto dell'antichità del pittore Aezione sulla base di una descrizione. L'episodio avviene al di là di una balaustra aperta al centro. L'incendio di Borgo, le Logge e la bottega di Raffaello Nel 1513 fu eletto papa Leone X, distinguendosi più per il mecenatismo che per le imprese militari. Raffaello proseguì il lavoro nella successiva delle stanze vaticane che aveva la funzione di sala da pranzo e prese il nome di Stanza dell'incendio di borgo, dal primo degli affreschi. Il dipinto risale al 1514 e lo interpreta come una scenografia. Siamo nell'847 e nel quartiere di Borgo divampa un tremendo incendio. Lontano, al centro, si riconosce la facciata dell'antica basilica paleocristiana di San Pietro e la loggia da cui si affaccia papa Leone X che placa l'incendio con la sua benedizione. Si vuole alludere alla politica di pacificazione di Leone X. Alla morte di Bramante, Raffaello ebbe l'incarico di seguire il cantiere della nuova Basilica Vaticana. Nel 1515 egli fu commissionato un ciclo di dieci arazzi con Storia dei santi Pietro e Paolo per il registro inferiore della Cappella. Si limitò a fornire una serie di cartoni e gli arazzi furono tessuti a Bruxelles. Raffaello fu inoltre incaricato di occuparsi della tutela e dello studio delle antichità di Roma. Tutto ciò impose a Raffaele di strutturare una bottega in cui accolse giovani per i quali i cantieri raffaelleschi rappresentarono le palestre in cui esercitarsi. Due furono le principali imprese compiute intorno al 1518- 19: la loggia al secondo piano del Palazzo Apostolico e la Loggia di Psiche nella villa di Agostino Chigi. La decorazione delle Logge Vaticane comprende una galleria di ben 13 campate, ornate ad affresco e instucci con Storie dell'Antico e nuovo testamento. La loggia della Farnesina racconta la Storia di Amore e Psiche. Il ciclo é impostato su di un ordinati pergolato ed ebbe enorme fortuna. Il pergolato di presto riproposto dal pittore emiliano Correggio a Parma e Giulio Romano. Giulio de'Medici: una gara tra Raffaello e Sebastiano del Piombo Nella Roma di Leone X un solo pittore poteva ambire a confrontarsi con Raffaello: Sebastiano del Piombo. Lo aveva capito bene il cardinale Giulio de'Medici, poi Papa Clemente VII e arcivescovo di Narbonne in Francia. Per la cattedrale volle commissionare nel 1516 due pale d'altare, una a Raffaello e l'altra a Sebastiano, era chiaramente una competizione. Mentre Sebastiano lavorava alla villa di Agostino Chigi alcuni sostenitori di Raffaello cominciato ad affermare che era alla pari di Michelangelo. Sebastiano non si schierò da quel lato e attirò l'attenzione del Buonarroti che lo prese in protezione per poter battere coloro con questa opinione. La prima opera michelangiolesca di Sebastiano si riconosce nella Pietà del 1516 per l'altare Giovanni Botonti che possedeva nella chiesa di San Francesco a Viterbo, in cui mette insieme un notturno reso con bellissimo accostamenti di colore. Fin dal 1517 Sebastiano era impegnato nel suo dipinto per la cattedrale di Narbonne: una Resurrezione di Lazzaro. Abbiamo un disegno preparatorio di Michelangelo per la figura di Lazzaro che dispose sulla destra del dipinto quasi completamente nudo. Cristo si erge a indicare l'uomo miracolato. Lontano é un paesaggio ancora di sapore veneto tutto giocato sui toni scuri e larghe campiture cromatiche individuano i protagonisti della storia. Raffaello fece qualcosa di molto diverso. Dal 1518 si mise a dipingere una tavola divisa in due parti. In alto la Trasfigurazione, con Gesù che si leva in cielo sul monte; in basso gli altri apostoli si trovano di fronte un gruppo che accompagna un fanciullo posseduto dal demonio che Gesù avrebbe guarito. La scena inferiore é dominata da personaggi monumentali in pose magniloquenti, adotta inoltre in registro cromatico contrastato, apre uno squarcio di paesaggio in lontananza e si sofferma sui brani di natura degli alberi. Nel 1520 le due opere erano pronte e stando a Vasari furono pubblicate in concistoro poste in paragone. Poi quell'anno Raffaello morì e il corpo ebbe l'onore di una sepoltura nel Pantheon. La trasfigurazione fu quindi destinata da Giulio de'medici all'altare maggiore di San Pietro in Montorio mentre la resurrezione di Lazzaro fini nella cattedrale di Narbonne AUREA PARMA: CORREGGIO E PARMIGIANINO - 31 Parma tornò ad essere un centro artistico di altissimo livello nella prima metà del 500 grazie a due pittori come Correggio e Parmigianino. La città era rientrata nei confini del Ducato di Milano poi nel 1513 fu annessa allo stato della chiesa. Nella Madonna Sistina, Raffaello propone una originalissima versione di pala d'altare. In essa cogliamo la forza spirituale di un trittico medievale. C'è la fantasia di Mantegna nella ali degli angioletti, c'è il colore di Tiziano che culmina nel rosso del mantello di San Sisto. Ci sono i L'uomo declinato al centro è tratto da un dettaglio del cartone della Battaglia di Cascina di Michelangelo. In mezzo a queste figure c'è il putto e poco lontano da lui un cartiglio con la partitura musicale del canone. Ludovico Ariosto e Dosso Dossi Il più noto tra i virtuosi sotto Alfonso d'Este è Ludovico Ariosto. Tiziano fu suo amico e infatti il suo nome compare nell'edizione definitiva del suo poema. C'era uno stretto dialogo tra le arti figurative e la letteratura antica e moderna e Ariosto poteva essere una forma di aspirazione. Giovanni Luteri, detto Dosso Dossi, dovette formarsi tra Mantova e Venezia per poi passare al servizio di Alfonso nel 1514. Mise a punto uno stile fantasioso che ben rispecchia il gusto ariostesco, giungendo a raffigurare alcuni dei protagonisti tra cui Melissa, la maga che profetizza la discendenza della casata estense. Il gusto è cortese e il paesaggio è una visione onirica e fantastica. É colei che libera i cavaliere trasformati in alberi e a ciò alludono l'armatura in primo piano, il cane e le figure simili a statuette vudù, e in secondo piano i soldati liberati. NOVITÀ A FIRENZE: LA SCUOLA DELL'ANNUNZIATA E MICHELANGELO - 33 Andrea del Sarto, Pontormo e Rosso nel chiostrino dell'Annunziata La chiesa della santissima Annunziata è preceduta da un cortile porticato, detto chiostrino dei voti, che fu costruito verso la metà del 400 su disegno di Michelozzo e appare come una galleria di gusto brunelleschiano con arcate a tutto sesto e colonne con capitelli corinzi. Tra il primo e il secondo decennio del 500 accolse il più importante ciclo di affreschi di Firenze e vide il confronto tra Andrea del Sarto e i suoi allievi, Pontormo e Rosso fiorentino che tracciarono una nuova strada nella pittura fiorentina. Con la Maniera moderna lo stile del rinascimento matura mutava in qualocosa di più complicato ed eccentrico. Una volta superati gli antichi non si poteva che andare oltre ed elaborare una pittura in cui l'artificio diventa regola. La passione per l'archeologia era ormai finita e si preferisce l'esercizio sulle battaglie di Leonardo e Michelangelo e sulle novità della Roma moderna. Andrea del sarto si era formato con il pittore Piero di Cosimo e tra il 1509 e il 1510 fece il suo esordio nel chiostrino dell'Annunziata affrescando 5 Storie di san Filippo Benizi. Per un paio di decenni Andrea avrebbe rappresentato una figura di primo piano per la pittura fiorentina e la sua fama giunse fino in Francia, tutto ciò in virtù di uno stile sempre attento all'equilibrio della composizione. Realizzò una Natività della Vergine nel 1514. Il clima è meno celebrativo e più intimo, predominano i gesti delle figure della lezione leonardesca, ben presente anche nello sfumato delle carni. La posa pensierosa del vecchio Gioacchino fa capire che conosceva le novità di Michelangelo e la grazie dei volti femminili quelle di Raffaello. Il giovane Pontormo affrescò l'episodio della Visitazione nel 1516. La scena si svolge sul severo palcoscenico di un emiciclo. Al centro la vecchia Elisabetta si inginocchia di fronte a Maria e la pittura è morbida e sfumata, di effetto naturale. La pittura di Michelangelo è facile da riconoscere nel tono cromatico abbassato e nell'ancella seduta sulle scale con le gambe piegate come nel Tondo Doni, cosi come nella figura pensierosa del fanciullo nudo adagiato sulle scale. Anche il carattere di Pontormo era maliconico. Tra il 1513-14 Rosso fiorentino dipinse un'Assunzione della Vergine, che Andrea del Sarto avrebbe dovuto ridipingere perchè non piaceva, ma non se ne fece nulla. Il Rosso seppe turbare Firenze. L'episodio è descritto con grande rigore e tutto è giocato attraverso due gruppo di figure, in alto la Vergine e in basso gli apostoli. Queste figure tendono ad essere irriverenti: la misura dell'insieme è stravolta dalla macchia verde del lungo mantello che deborda oltre la cornice, manca il sarcofago, le teste risultano fin troppo eloquenti nel loro voltarsi verso l'alto e il san Giacomo si distingue per un ghigno quasi diabolico e poco consono. Tra pale d'altare Si può fare un paragone tra tre pale d'altare che Andrea del Sarto, Pontormo e Rosso Fiorentino. Andrea del Sarto aveva ricevuto la commissione della pala per l'altare maggiore della chiesa di san Francesco de'Macci nel 1517. Il dipinto è famoso come la Madonna delle arpie, perchè la Vergine si erge su un piedistallo con agli angoli dei mostriciattoli che Vasari diceva arpie. Allestisce una composizione ben equilibrata e le figure statuarie si dispongono davanti a una parete neutra seguendo uno schema piramidale. A destra troviamo san Giovanni e si rinosce un tratto di inquetudine nell'occhieggiare furbesco del Cristo e nelle pose contorte dei due spiritelli e nelle arpie. Nel 1518, Pontormo dipinge una pala per il gonfaloniere di giustizia Francesco Pucci per l'altare nella chiesa di San Michele Visdomini. I colori vivaci sono una delle cifre stilistiche della tavola dove l'ordine si disgrega. Gli angioletti aprono il tendaggio dal quale si mostra Maria che siede dentro una nicchia. Non si capisce come faccia il piccolo Gesù a stare in equilibrio sulle ginocchia del padre con il quale condivide simmetricamente la testa inclinata e lo sguardo visionario, per il resto le figure appaiono respingersi. Nel 1518 il monaco Leonardo Buonafede commissiona al Rosso Fiorentino una pala per la chiesa di Ognissanti per rispettare la volontà di una vedova catalana, non volle però la tavola affermando che lo aveva frodato. Il dipinto è una sacra conversazione tradizionale nell'impostazione: i colori sono vivaci, lo spazio è un pò complesso e non presta attenzione a costruire una scatola tridimensionale. I personaggi sono stravaganti e spigolosi, con le mani come artigli, gli occhi attoniti e l'aria crudele come per il San Girolamo a destra con l'aspetto scheletrico e demoniaco. Finì poi nella chiesa di Santo Stefano a Grezzano e il cambiamento di sede richiese il mutamento di alcuni soggetti, cambiarono i santi appaiati a Maria. I due spiritelli in basso sono del tutto disinteressati, come una variante fiorentina della coppia che Raffaello aveva disposto ai piedi della Madonna Sistina. Rosso Fiorentino a Volterra Il Rosso si spostò a lavorare a Volterra. Una sua pala fu richiesta da una confraternita per la Cappella della Croce di Giorno, un edificio gotico completamente affrescato agli inizi del 400 da Cenni di Francesco con un ciclo di Storie della croce. É noto come precedente iconografico per quello aretico di Piero della Francesca. La confraternita volle un'immagine della Deposizione dalla croce, che dipinse su un paesaggio desolato. I personaggi sono tragiche maschere tridimensionali che calano il corpo su tre scale, che individono lo spazio e rendono la composizione instabile. Sotto esplode il dolore con Giovanni e tre donne. Punta tutto sulla figura umana ma la sua umanità è scheletrica e diabolica in certi volti e i volumi non sono mai torniti, ma tendono sempre a un'accentuata geometrizzazione come nelle vesti dilatate. Michelangelo a Leone X: San Lorenzo e la Sagrestia Nuova Firenze conosceva una nuova fase della sua storia. A seguito dell'elezione di Giovanni de'Medici, la Repubblica permise il rietro in città dei Medici. Leone X dette avvio a due grandi progetti che interessarono la Basilica di San Lorenzo. Leone X decise di completare con una solenne facciata la chiesa di San Lorenzo. nel 1516 decise di affidare l'incarico a Michelangelo e nel 1518 si procedette a stipulare il contratto per avviare i lavori ma il cantiere ebbe vita breve. Ecco perchè la facciata ci appare grezza. Sappiamo cosa avesse in mente Michelangelo da alcuni disegni e da un modello ligneo. Aveva spartito la facciata su due registri e presenta un coronamento orizzontale con timpano centrale. Si comprende come avesse giocato il suo progetto sul netto contrasto tra le superficie vuote e i massicci elementi architettonici con aperture coronate da timpani circolari e possenti coppie di colonne. Il cantiere si arenò perchè i Medici affidarono a Michelangelo due nuovi progetti. Nel 1519 il cardinale Giulio de'Medici decise di progettare una biblioteca a fianco della Basilica di San Lorenzo, detta Laurenziana. La biblioteca fu inaugurata nel 1571 e Michelangelo ne aveva diretto personalmente i lavori fino al 1534 quando si spostò a Roma. Disegnò però la scala di accesso alla sala di lettura, uno spazio ordinato dove lungo i lati si dispongono i banchi e le bianche pareti laterali sono scandite dal disciplinato ripetersi dei grigi elementi architettonici in pietra serena. Leone X riuscì a fare sì che due membri della famiglia Medici ottenessero titoli feudali, suo fratello Giuliano e il nipote Lorenzo. Per la loro sepoltura progettò un nuovo mausoleo mediceo, una cappella autonoma da innalzare alla fine del transetto destro della Sagrestia vecchia. Detta Sagrestia nuova, ne progettò l'architettura e l'arredo scultorio Michelangelo fino al 1534. Se osserviamo l'interno notiamo il ripetersi del severo gusto brunelleschiano nel contrasto tra superficie bianche e il grigio delle modanature in pietra. E se passiamo alle strutture delle tombe è evidente come superi la devozione per gli ordini antichi. Era un nuovo modo di pensare l'architettura e Vasari lo sapeva bene perchè quel cantiere l'aveva frequentato, vedendone il raggiugimento della libertà assoluta. L'arredo marmore si compone dell'altare delle due tombe gemelle di Giuliano e Lorenzo e del gruppo scultorio della Madonna col Bambino con i santi Cosma e Damiano. Nelle due tombe rompe con la tradizione costruendo strutture massicce, ognuna è tripartita e suddivisa in due registri e nelle nicchie centrali si trova la statua del defunto, effigiato vivo con in basso il sarcofaco con due volute anticlassiche sulle quali sono adagiate una figura maschiele e una femminile in allusione al tempo che comsuma tutto. Troviamo da un lato le personificazioni della Notte e del GIorno e dall'altro dell'Aurora e del Crepuscolo. Un sentimento miliconico pervade le figure muscolose e in pose difficili. Non portò mai a compimento la decorazione scultoria della Sagrestia. Dal 1527 al 1531 i lavori si interruppero per le tragiche vicende del Sacco di Roma e l'assedio di Firenze. Riprese nel 1534 ma Michelangelo decise di lasciare Firenze. Nella Madonna col Bambino lei è disposta a sedere con il bambino che si torce verso la madre chiedendo il latte. In questa torsione troviamo un'emblema dell'artificio della Maniera. Oggi la troviamo sopra un basamento con i Santi Cosma e Damiano realizzati da Giovanni Angelo Montorsoli e Raffaello da Montelupo. DAL SACCO DI ROMA ALLA CONTRORIFORMA - VII Lineamenti storici L'italia è un campo di battaglia tra l'Impero e la Francia. Il papato, la repubblica di Firenze e Venezia e qualche altro piccolo stato si alleano nel 1526 con la Francia nella Lega di Cognac. Nel 1527 le truppe mercenarie (lanzichenecchi) di Carlo V conquistano e saccheggiano Roma. Clemente VII fu costretto a cercare una tregua, così nel 1529 si giunse alla Pace di Cambrai. L'amicizia tra il papa e gli Asburgo portò all'incoronazione di Carlo V come imperatore del sacro romano impero e la fine della Repubblica di Firenze. Il figlio Filippo II avrebbe ratificato con Enrico II di Francia il Trattato di Cateau-Cambrèsis. Milano, Napoli, sicilia e Sardegna erano sotto il controllo spagnolo, la chiesa conservava il suo dominio, nasce il granducato di Toscana. Venezia restava una repubblica autonoma. Maniera con le sue figure, dette serpentinate. La Maniera sarebbe diventata una moda italiana e europea. Condannata dalla Controriforma agli inizi del 600, la Maniera fu sostituita dalla nuova pittura dei Carracci e di Caravaggio. L'insuccesso fu tale che il più importante ciclo di affreschi di Pontormo, nel coro della chiesa di San Lorenzo fu distrutto. Solo nei primi decenni del 900, l'arte della Maniera fu riscoperta e fu allora che si introdutte la definizione di Manierismo, come a voler dare una connotazione da avanguardia novecentesca. L'inquetudine anticonformista della maniera è stata vista anche cone conseguenza dell'infelice stagione delle Guerre d'Italia. LA DIASPORA DEGLI ARTISTI: LA MANIERA SI ESPANDE - 36 Jacopo Sansovino: un fiorentino trova casa a Venezia Il Sacco di Roma ebbe conseguenze decisive per la diffusione della Maniera in Italia. I maggiori artisti fuggirono accolti da altri signori, e con il tempo si superarono anche le Alpi. Tra i maestri più affermati vi era il fiorentino Jacopo Tatti detto il Sansovino. Vero il 1515 scolpì per il giardino del palazzo del mercante Giovanni Bartolini una statua di Bacco. Il mito antico è trattato in modo diverso rispetto a Michelangelo. La statua michelangiolesca è quasi un falso archeologico, mentre questa è innervata di movimento con una posa serpentinata. Grazie ai due papi di casa Medici, la carriera del Sansovino proseguì tra Firenze e Roma. Per sfuggire al sacco andò a Venezia dando una svolta all'ambiente artistico lagunare. Si occupò di risolvere i problemi statici delle antiche cupole della Basilica di San Marco e ebbe un'infinita serie di commissioni pubbliche e private. Progetta tre edifici. Il massiccio palazzo della Zecca dove si coniavano le monete, è un edificio quadrato con una possente facciata su tre registri segnata da un robusto bugnato e da colonne che affiancano le grandi aperture rettangolari delle finestre. Gli ordini classici sono rielaborati secondo l'artificio della Maniera, tanto che il motivo del timpano è inserito a coronare le finestre costretto tra due colonne. Il grande palazzo della Libreria fu avviato dal Sansovino nel 1537 e sarebbe stato ultimano da Vincenzo Scamozzi. Rinuncia alla fedele indole classica e progetta un ampio loggiato su due livelli, con ordine dorico in basso e ionico in alto, coronato da una balaustra intervellata di statue. Nel loggiato superiore compareun motivo tipico della Maniera: la serliana, un particolare tipo di trifora costituita da tre aperture: quella centrale ad arco e le laterali trabeate. Il nome deriva da Sebastiano Serlio. Tra il 1537 e il 1549 si occupò della costruzione di unaloggetta ai piedi del campanile di San Marco. L'edificio fu corredato da un ciclo di statue bronzee di tema antico, tra cui l'Apollo con il suo atteggiarsi. Alla sommità dello scalone di accesso al Palazzo Ducale pose due colossi di marmo, Marte e Nettuno che per la repubblica erano il corrispondente di quello che il David era per Firenze. Giulio Romano nella Mantova dei Gonzaga Giulio Romano si trasferì nel 1524 alla corte mantovana di Federico Gonzaga, effigiato a mezza figura in un ritratto di Tiziano nel 1529. Correggio eseguì per lui gli Amori di Giove, che documentano la predilizione per la pittura sensuale, che si nota anche nei Due amanti di Giulio Romano del 1524 e che dovette nascette nascere parallelamente all'impresa dei Modi. Giulio aveva fornito i disegni per 16 incisioni erotiche che mostravano i possibili modi di accoppiamento. L'incisore fu imprigionato e le stampe furono distrutte. Il pittore arrivò in citta insiema a Baldassarre Castiglione, umanista e diplomatico. Giulio Romano e Palazzo Te Nel corso del 1526 Giulio divenne cittadino mantovano e avviò il più grandioso dei suoi progetti: il Palazzo Te. Si tratta di una dimora suburbana costruita entro il 1534 che Federico utilizzò per i propri svaghi, ma anche per grandi ricevimenti istituzionali. Il palazzo è organizzato su di una pianta quadrata, intorno ad un grande cortile e con un solo piano. Si predilige il bugnato rustico e le serliane. Si occupò anche della decorazione ad affresco degli interni. Nell'ambiente più sontuoso narrò la Storie di Amore e Psiche con un grande senso del movimento e accesi scarti cromatici. Nelle scene delle pareti, i protagonisti sono coinvolti nella preparazione del banchetto nuziale e nella cornice soprastante corre una iscrizione in latino che allude alla funzione del palazzo. La sala venne compiuta nel 1528 e qui fu accolto Carlo V. In un'altra sala racconta la sconfitta e la caduta dei giganti che cercano di assalire l'Olimpo e sono fulminati da Giove. É un'allusione alla vittoria dell'imperatore. Raffigura figure enormi e movimenti tumultosi con l'assenza di uno spazio prospettico e la volontà di andare oltre ogni regola compositiva. Aveva addirittura smussato gli angoli delle pareti. Genova, Andrea Doria e Perin del Vaga Il tema della Caduta dei giganti fu dipinto anche da Perin del Vaga a Genova, però lui ha costruito la scena con un preciso ordine: in alto le divinità dipinte con fattezze raffaellesche, in basso i giganti come nude figure serpentinate.Perin del Vaga visse la tragedia del Sacco di Roma e intorno al 1528 si trasferì a Genova. Genova non aveva vissuto anni facili: nel 1522 era stata conquistata dagli spagnoli e liberata solo nel 1528 grazie all'ammiraglio Andrea Doria (ritratto da Sebastiano del Piombo ormai anziano). Doria fece innalzare un palazzo sul golfo nel 1529. Era una vera e propria reggia, corredata di giardini (in origine era isolata, oggi si trova in centro). Perin del Vaga si dedicò a realizzare una serie di affreschi celebrativi dell'ammiraglio e di Carlo V, che nel 1531 gli aveva concesso l'onorificenza di cavaliere del Toson d'oro. Fu compiuto nel 1533. Polidoro da Caravaggio nel Meridione spagnolo Polidoro fu allievo di Raffaello e seppe specializarsi nella pittura di facciate all'antica: era consuetudine che i prospetti dei palazzi fossero completamente dipinti a chiaroscuro a fingere una decorazione scultoria. Abbandonò ROma e si recò prima a Napoli, poi a Messina. Messina era un grande porto mediterraneo strategico per i commerci e per la lotta verso i Turchi. Il dipinto più significativo del soggiorno messinese è una drammatica Salita al Calvario destinata alla chiesa dell'Annunziata dei Catalani (oggi a Capodimonte) del 1534. Il linguaggio è contraddistinto dalla carica espressiva dei personaggi e dall'esuberanza dei brani di natura. Cristo è crollato sotto il peso della croce, la Vergine è svenuta, mentre Giovanni prega e Maria Maddalena si addolora in primo piano. Sopra di lei è la santa Veronica e più lontano ci sono i gruppi dei coldati e dei curiosi che si affacciano. Dietro un tale dipinto vi sono le esperienze romane. L'aggressiva intensità degli attori, il particolarissimo paesaggio con le architetture all'antica e la natura era parte del suo repertorio. Si osservi nella cappella in San Silvetro al Quirinale il Matrimonio mistico di Santa Caterina da Siena, in cui il paesaggio anticipa la nascita del genere del paesaggio secentesco. Il soggetto è solo il pretesto per raffigurare la natura. La Salita al Calvario appare come una risposta al dipinto di identico soggetto di Raffaello del 1517. Egli però scardina lo statuario rigore compositivo raffaellesco con una violenza espressiva inaudita. Bizzarrie toscane: Pontormo A Firenze per la cappella della famiglia Capponi nella chiesa di Santa Felicita, Pontormo dipinse tra il 1526-28 un Deposizione, priva di fondale architettonico e costituita da 11 figure con attori ispirati alle volumetrie dei corpi di Michelangelo, ma sembrano gonfi di aria e non di muscoli. I volti sono allucinati e i colori contraddistinti da tonalità accesse. Pontormo dipinse vero il 1528-30 un pala per la chiesa di Carmignano a Prato, una Visitazione. In un fondale essenziale si stagliano 4 donne con pose contorte e sguardi straniati. Maria abbraccia Elisabetta nella consapevolezza che entrambe saranno madri. Alla scena assistono due figure che ci guardano frontali e ci si è chiesto se il pittore non abbia effigato due volte i medesimi personaggi. Bizzarrie toscane: Beccafumi A Siena iniziava ad affermarsi Domenico Beccafumi, che seppe diventare un vero e proprio protagonista della maniera, ma non mancava di bizzarrie. Nel corso degli anni Venti Beccafumi dipinse per la chiesa dei Carmelitani di Siena un San Michele e gli angeli ribelli, alludento alla capacità della Chiesa cattolica di difendersi dalla Riforma. La prima versione non era per niente ortodossa: l'arcangelo si ergeva in alto ma sotto di lui c'era una confuzione di figure. Nella seconda versione adottò una composizione molto più ordinata suddivisa su tre registri: Dipo in alto circondato dagli angeli ordinati, il san Michele al centro e Lucifero nel registro inferiore. É nel colore e nella luce che l'estro di Domenico emerge al meglio. Questa doppia versione mostro quanto fosse importante il parere del committente e come il prestigio dell'aertista bastasse a conservare anche la versione scartata. Nel 1529 gli commissionarono un vasto ciclo di affreschi per la volta di una sala del Concistoro. La città era orgogliosa della propria libertà e il ciclo avrebbe dovuto essere manifesto di valori repubblicani da mostrare a Carlo V. La volta è all'antica, ordinatamente spartita in riquadri, al centro si trovano le figure allegoriche della Giustiza, dell'Amor di patria e della Mutua Benevolenza. Al di sotto ci sono una serie di eroi e di storie antiche. Si tratta di un ciclo chiaramente politico per sottolineare il valore della politica come servizio, la necessità di sacrificare l'interesse personale a quello dello Stato. Nel Sacrificio del re Codro, quest'ultimo si sveste. Atene è in guerra con Sparta e l'oracolo ha profetizzato che vinceranno se il re verrà ucciso, Codro si traveste da vecchio e si fa uccidere. Bizzarrie padane: Parmigianino alchimista Il Parmigianino rientra definitamente a Parma nel 1531, dove gli viene commissionata la decorazione del catino absidale della chiesa di santa Maria della Steccata che non finì mai perche l'incarico gli fu revocato. Era stato distolto dal cantiere dalla bizzarra passione per l'alchimia. L'unica parte completata della Steccata è il sottarco. Uno spazio con un assetto architettonico giocato su possenti lacunari all'antica circonadati da festoni di frutta, alla basi laterali dell'arcone troviamo due coppie di nicchie xon figure monocrome di personaggi biblici e due terzetti di elengati figure femminili. Le figure compongono una elegante interpretazione della figura serpentinata. Nella Madonna con il collo lungo adotta un linguaggio di un'eleganza tanto aristocratica e astrattiva da tendere ad allungare le figure. Si tratta di una pala commissionata nel 1534 per la cappella della famiglia boiardi nella chiesa dei Servi di Parma. L'aveva lasciata incompleta, come si intende dalla zona di ombra retrostante Maria o dal piede di una personaggio mai realizzato. Le peregrinazioni del Rosso Fiorentino Rosso Fiorentino venne improgionato durante il Sacco, così scappo prima a Perugia poi a Sansepolcro. Per tramite del vescovo Tornabuoni, Rosso eseguì tra il 1527-28 una pala per la Compagnia di Santa Crose dove torna ad essere demoniaco. L'atmosfera è tenebrosa e il clima è di struggente dolore ed eccentrica tensione. Al centro è il Vesperbild: Maria tiene sulle gambe il corpo del figlio scheletrico, Giovanni ne sostiene le spalle mentre Maddalena si dispera. Tra i soldati ve n'è una bestiale con il volto le gambe di Gesù, Michelangelo volle ricavare il nuovo corpo di Cristo dal blocco di Maria scolpendo la testa nella spalla di lei e le braccia nei fianchi. Il nuovo braccio sinistro di Maria fu tratto dalla originaria figura di Cristo. Michelangelo architetto: il Campidoglio e la cupola di San Pietro Paolo III impiegò Michelangelo anche come architetto, assegnandogli nel 1535 la soprintendenza dei Palazzi apostolici. Sui resti del Tabularium fu costruito nel XII secolo il Palazzo Senatorio. É da allora che il Campidoglio è sede mucipale romana e cominciava a prendere forma la grande piazza che sarebbe stata progettata da Michelangelo. Lavorò sulle preesistenze rinnovando il Palazzo Senatorio e il Palazzo dei Conservatori. Nel concepire la piazza scelse una pianta trapezoidale per dare l'illusione di uno spazio più grande e focalizzare maggiormente l'attenzione sul Palazzo Senatorio. Il Palazzo dei Conservatoi e il Palazzo nuovo si contraddistinguono per il profondo porticato al piano terreno, l'ordine gigante delle paraste e la balaustrata di coronamento, elementi tipici della tarda architettura michelangiolesca. La piazza fu pavimentata con un elegante motivo geometrico accogliendo al centro l'antica statua del Marco Aurelio. Paolo III coinvolse Michelangelo anche nel cantiere del Palazzo Farnese. Nel 1546 la fabbrica fu al Buonarroti che si dedicò a terminare la monumentale facciata, con un imponente cornicione e rimodulando il finestrone centrale. Con questo arrivava al suo vertice la genealogia di palazzi rinascimentali. Nel 1547 si trovò a dirigere il canitere della cupola della Basilica di San Pietro. Della Nuova San Pietro erano stati innalzati solo i grandi piloni del transetto che avrebbero dovuto sostenere la cupola pensata da Bramante. Michelangelo non avrebbe mai visto la fine del progetto, perchè la cupola fu finita solo alla fine del 500 sotto la direzione di Giacomo della Porta e Domenico Fontana. Tiziano a Roma A Roma nel 1545 giunse il veneto Tiziano. Era il suo primo soggiorno nella città e la sua guida fu Giorgio Vasari. Era stato il cardinale Alessandro a invitare in città Tiziano, che per il quale stava dipingendo per lui la Danae, posseduta da Giove sotto forma di una pioggia dorata. La nudità femminili assume forme corpulente, decise da un aggiornamento sulle novità di Michelangelo. Ciò che colpisce è il colore liquido, vibrante e luminoso. Il dipinto fu esaminato da Michelangelo, il cui commento ci fa intuire la sostanziale ritrosia dei pittori centroitaliani nei confronti della pittura veneziana, viene lodato come colorista ma biasimato per lo scarso interesse verso il disegno. Presso la conte pontificia si dedicò a ritrarre Paolo III. Si conserva a Capodimonte il Ritratto a Poalo III con i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese. La tipologia è la stesa del Ritratto a Luigi V di Raffaello, l'atmosfera tuttavia è diversa. Il verismo è estremo e i colori accesi sono tutti giocati sulle tonalità del rosso, quindi l'intonazione appare cupa. Finisce con l'essere la raffigurazione del fenomeno del nepotismo. Il passaggio in città di Tiziano non ebbe effetto sulla Maniera romana per il linguaggio troppo differente. Fasti farnesiani: la Villa di Caprarola Il pontefice seppe elevare la famiglia farnese a una delle maggiori casate italiane. La Famiglia Farnese era di origine feudale e proveniva dall'alto Lazio. A Caprarola, in provincia di Viterbo, scelse di innalzare una struttura fortificata, l'edificio attuale è frutto dell'impegno del nipote di Alessandro e dell'architetto Jacopo Barozzi da Vignola. Si tratta di una vera e propria esibizione del potere, al tempo stesso è una villa, una fortificazione e un palazzo signorile. Il palazzo è organizzato intorno ad un cortile circolare e una scala elicoidale conduce al piano nobile, dove si succedono una serie di ambienti affrescati da alcuni dei migliori pittori di Roma. Il salone principale è detto dei Fasti farnesiani, perchè si narra la gloriosa storia familiare dal Medioevo al 500. In uno Taddeo Zuccari ha narrato l'incontro del cardinale Alessandro e Carlo V del 1545 a Worms. La Controriforma: Jacopo Vignola e Scipione Pulzone Nel 1563 si chiudeva il Concilio di Trento con conseguenze decisive in ambiente artistico. Si richiesero nuove tipologie di edifici sacri per coinvolgere i fedeli, le chiese divennero più spaziose e accoglienti: furono eliminati i tramezzi e si predispose che l'altare maggiore accogliesse una custodia per il sacramento. Nelle pale d'altare si richiese che il soggetto fosse sempre comprensibile. I Gesuiti furono i veri e propri protagonisti della Controriforma e la loro chiesa romana divenne il prototipo per gli edifici sacri. I Farnese ebbero a cuore l'ordine dei Gesuiti e il cardinale Alessandro dal 1561 cominciò a pensare al progetto della chiesa del Gesù. La costruzione fu iniziata nel 1568 su un progetto del Vignola che si dedicò anche alla teoria con il trattato Regola delli cinque ordini di architettura. Per la chiesa del Gesù pensò a una pianta longitudinale a croce latina con un'ampia navata, affiancata da cappelle. La navata si apriva senza ostacoli così da rendere più diretto il rapporto tra il clero e il popolo. L'austera monumentalità del tempio è intesa a imporre rispetto e devozione. Il Vignola morì nel 1573, a proseguire la fabbrica sarebbe stato il suo allievo Giacomo della Porta. Una delle prime pale d'altare fu il Compianto sul Cristo morto che stava al centro della cappella della Passione e che reca la data 1593 e la firma di Scipione Pulzone. Il contenuto è estremamente chiaro con forme nitide e colori non troppo accesi. I dettami della nuova pittura di trovano nel Discorso intorno alle immagini sacre e profane di Gabriele Paleotti. Gli artifici sono ormai banditi e l'arte di Scipione appare come senza tempo, fu pensata per essere oggetto di culto in ogni epoca. Il colore di Barocci e la devozione di san Filippo Neri Nel 1575 papa Gregorio XIII concesse la chiesa romana di Santa Maria in Vallicella al sacerdote fiorentino Filippo Neri. Egli viveva la controriforma con uno spirito di allegria, coinvolgendo il popolo e i giovani, non gli mancava inoltre una brillante sensibilità estetica che gli permise di apprezzare la pittura di Federico Barocci. Barocci si affermò in tutta l'italia centrale grazie ad un linguaggio coloratissimo. La Madonna del gatto del 1575 è un'opera esemplare della sua maniera, fatta di composizione ordinate e serene dove la pittura di Raffaello e Correggio è reinterpretata attraverso colori vivacissimi e con una estrema dolcezza di atteggiamenti e gesti. Il gatto in primo piano sta per saltare verso l'uccellino e distoglie l'attenzione del Cristo dal seno della Madre. Intorno al 1583-86 Barocci dipinse per Santa Maria in Vallicella una Visitazione che ottenne grande successo. La Roma di Sisto V Papa Sisto V realizzò una vera e propria trasformazione urbanistica dell'Urbe, affidando la maggior parte dei lavori all'architetto Domenico Fontana, dando alla città un'organizzazione urbanistica moderna e razionale. Roma vide la costruzione di un nuovo acquedotto, detto Acqua Felice, riutillando l'antico acquedotto alessandrino. La nuova Roma prevedeva che le principali basiliche fossero collegate da vie monumentali e diritte, concentrandosi soprattutto su Santa Maria Maggiore che fu il fulcro intorno al quale andarono a ruotare tre nuovi rettifili: la strada felice, la Via Merulana e la Via Panisperna. Sisto V volle lasciare un segno indelebile riutilizzando monumenti antichi. Recuperò quattro obelischi, facendoli collocare in piazza San Pietro, in piazza San Giovanni in Laterano e in piazza del Popolo. LA REPUBBLICA DI VENEZIA - 38 Nel 1519 Jacopo Pesaro, vescovo di Pafo, ordinò a Tiziano un grande dipinto per l'altare di famiglia nella chiesa di Frari per cui aveva già eseguito l'Assunta dell'altare maggiore. É un'immagine costruita in diagonale, la Madonna col Bambino siede in alto, di tre quarti, su di un podio, al suo fianco ci sono i santi Francesco e Antonio da Padova. Sulle scale san Pietro e poco più in basso il committente effigiato di profilo e una figura con un turbante, a ricordarci la sconfitta dei Turchi. La bandiera contiene uno stemma diviso in due: da un lato mostra l'arme Borgia di papa Alessandro VI e dall'altro quello di casa Pesaro. Nella pala colpiscono le due gigantesche colonne che fuoriescono dalla dimensione della pala, è una sorta di finestrone affacciato sulla navata sinistra della chiesa. Tiziano si affermò nell'Italia settentrionale lavorando per il Camerino di Alfonso d'Este. La sua fortuna internazionale trovò un momento decisivo nel 1530, quando incontrò a Bologna Carlo V. Per il signore di Mantova Federivo Gonzaga realizzò la Madonna del coniglio dove mette a frutto tutto ciò che aveva imparato da Giorgione. É un intimo idillio bucolico, illuminato dal chiarore di un cielo al tramonto con lo sfondo delle Dolomiti. Sapeva andare ben oltre Giorgione e ne dà prova nella Venere di Urbino, acquistata da Guidubaldo II della Rovere. Riprende il modello della Venere di Dresda variandolo, la bella giovane nuda è distesa nella camera di una ricca dimora; ai suoi piedi è accucciato un cagnolino e sullo sfondo due domestiche. Quella di Tiziano non dorme e guarda verso uno spettatore indiscutibilmente maschile, è un'icona della sensualità femminile. Fu impegnato in una serie di dipinti aventi per soggetto il mito antico per Filippo II. Furono detti Poesie, equivalenti visivi delle Metamorfosi. Nel primo dipinto il cacciatore Atteone scopre Diana nuda, nel secondo Diana punta l'arco verso di lui, che si sta trasformando in cervo, sbranato dai suoi cani. Rispetto ai dipinti per Alfonso, lo scenario predilige i toni scuri e si fa tragico: le forme non sono delineate e la stesura del colore è veloce. Più Tiziano si avvicina alla morte e più la materia del suo colore si disgrega. Muore nel 1576. L'ultima fase della sua attività lo vide formulare un linguaggio personalissimo e disperato, come si nota nella Punizione di Marsia. É l'episodio in cui il sileno Marsi è scorticato da Apollo, sotto gli occji del re Mida. Non è chiaro se la figura con la lira sia Apollo, la sua adiacenza alla tortura, simmetrica a Mida, la inquadra entro presenze impassibili indifferenti al dolore. Volle poi cimentarsi in un'immagine della Pietà destinata alla propria cappella sepolcrale. Il progetto fallì e sarebbe finita nella chiesa di Sant'Angelo. La vergine sorregge il corpo morto di Cristo, mentre Maddalena grida il suo dolore e un vecchio seminudo si inginocchia, è un ritratto dell'artista. Viene completata dal pittore Palma il Giovane. I destini di Lorenzo Lotto Per via dei suoi insucessi, Lorenzo Lotto cercò fortuna nelle Marche e a Venezia, ma le commissioni maggiori venivano da fuori. Nel 1527 spedì a Recanati un'Annunciazione per la scuola dei mercanti, dipinto innervato di commovente spirito popolaresco e ricco di invenzione inconsuete. I personaggi sembrano agitati: il giovane angelo inginocchiato in una posa complicatissima, Maria si volta verso di noi per proteggersi e un impaurito gatto scappa. Lotto sapeva adottare tuttavia uno stile più alto, come si nota in un ritratto del collezionista di anticaglie Andrea Odoni nel 1527. Egli ritrae con grande verosomiglianza, a mezza figura, elegaantemente abbigliato. Questo è il più antico ritratto di collezionista dell'arte europea. Tra il 1540 e il 1542 dipinse una pala per la chiesa domenicana dei Santi Giovanni e Paolo, raffigura un soggetto inconsueto, l'Elemosina di Sant'Antonio, in cui dedica la parte alta al malinconico vescovo di Firenze Antonio Pierozzi, che ascolta i consigli di due angeli eccentrici; nella metà inferiore troviamo due chierici. É del tutto anticonformista, come dimostrano i simboli del potere clericale del tutto negletti, poggiati ai piedi del vescovo. Non ebbe troppo successo, nel 1552 decise di trasferirsi a Loreto, lontana dalle grandi capitali artistiche. Il Salone di Cosimo e lo Studiolo di Francesco I A partire dalla metà degli anni 50 Vasari fu impegnato nell'ambiente più prestigioso di Palazzo Vecchio: il Salone voluto da Savonarola. Per il Salone del Cinquecento, Cosimo volle farne una monumentale sala di rappresentanza, perciò il corredo di immagini fu chiamato a celebrare le glorie del granduca. Vasari seppe aumentare di diversi metri l'altezza della vasta aula e approntò un soffitto a cassettoni decorato da 42 tavole, che mostrano Cosimo e le allegorie dei suoi domini. Dietro c'era il programma del letterato Vincenzio Borghini, il quale progettò per gli affreschi delle due pareti più lunghe la guerra contro Pisa e contro Siena. L'effetto d'insieme del Salone risulta grandioso ma le immagininon si possono dire capolavori. Si nota nella Presa di Siena: un'animata scena di battaglia in notturna è realizzata con un lessico chiassoso e fumettistico. Dal Salone si può accedere oggi a uno studiolo progettato da Vasari nel 1570 seguendo un complicato programma di Vincenzio Borghini. Era una Wunderkammere, ovvero una camera delle meraviglie in cui il collezionista conservava preziosi reperti naturali e manufatti artistici. I dipinti e le statuette compongono un ciclo allegorico centrato sui 4 elementi con allusioni agli oggetti custoditi. Lo studiolo contiene una straordinaria galleria di dipinti e stesso Vasari dipinse su di un supporto di lavagna il Perseo e Andromeda aull'esterno degli sportelli. Lo dipinse con eleganza sopraffina e con tutto l'artificio della Maniera. Bronzino: un pittore glaciale Un allievo di Pontormo, Agnolo di Cosimo detto il Bronzino si affermò presso la corte medicea. Realizzò vari ritratti di corte negli anni 40 con un tono assolutamente aristocratico. Nel ritratto della duchessa con il figlio Giovanni, si nota una maniacale attenzione ai particolari della preziosissima veste e dei gioielli. Madre e figlio sono in posa e l'etichetta impone che non vi sia accenno ai sentimenti, sono due figure impenetrabili. La pittura glaciale di Bronzino appare perfetta per esprimere l'alterigia del principe e dei suoi familiari. Dal 1540 si era occupano di decorare la nuova cappella realizzata per Eleonora di Toledo in Palazzo Vecchio, dove troviamo il serpentinato San Michele arcangelo, che pare voler proteggere il sottostante altare dove realizzò nel 1545 una pala con il Compianto sul Cristo morto. La Vergine aiutata da Giovanni e dalla Maddalena tiene il Figlio morto con una folla di dolenti, mentre gli angioletti portano gli strumenti della passione. Nella scena tragica manca il dolore, perchè Bronzino non cede al sentimento. Cosimo I lo volle donare al cancelliere di Carlo V, dunque fu costretto a dipingerne una copia. Il Perseo di Cellini Nel campo della scultura, la Firenze di Cosimo I conobbe esperienze memorabili. Nel 1545 Benvenuto Cellini decise di rientrare a Firenze, era un orafo famoso ma voleva affermarsi come scultore. Cosimo gli affidò l'esecuzione di un monumentale Perseo in bronzo, che sarebbe andato sotto la grande loggia della signoria prestandosi ad un immediato confrotno con il passato tra cui la Giuditta in bronzo di Donatello. Contrariamente ai maestri precedenti che affidavano la fusione a specialisti, egli volle seguire tutto il processo e per testare il tipo di terra migliore per realizzare l'anima in terracotta realizzò un titanico busto di Cosimo I, che appare come un imperatore antico trasportato nel 1557 all'isola d'Elba. Il Perseo fu presentato nel 1554: si erge trionfante sul corpo della Medusa, con la spada e la testa mostruosa. É nudo se non per l'elmo di Ade e i calzari alati ed è sostenuto da un elegante basamento marmoreo a pianta quadrata che reca i bronzetti di altri protagonisti della storia: Giove, Danae, Minerva e Mercurio. Nel rilievo sottostante narra la storia in cui libera la principessa Andromeda. Dietro la scelta del soggetto si intravede la volontà di Cosimo di paragonarsi a Perseo. L'impresa richiese 9 anni per le difficoltà della fusione del bronzo e la necessità di rinettare e cesellare con accuratezza quanto uscito dal forno. Giambologna: un fiammingo alla corte di Cosimo Benvenuto Cellini morì nel 1571 quando iniziò ad affermarsi il Giambologna, lo scultore fiammingo Jean de Boulogne. Dopo un breve soggiorno a Roma nel 1552 si trasferì a Firenze dove fu reclutato per diversi cantieri medicei e elaborò un linguaggio capace di condurre a estreme conseguenze il movimento e le contorsioni care alla Maniera. Una delle invenzioni più celebri del Giambologna è una statua in bronzo in cui Mercurio, con solo l'elmo, i calzari alati e il caduceo, è colto nell'atto si spiccare il volo. Fu replicata in numerosi esemplari con la funzione di dono diplomatico. Per rispondere alle malelingue che lo volevano incapace di realizzare grandi statue di marmo, realizzò un colossale gruppo marmoreo che Francesco I fece collocare nella Loggia della Signoria nel 1583. É un vorticoso intreccio di tre figure nude in movimento: un vecchio in basso si piega, una giovane alza le braccia perchè rapita da un atletico uomo. É detto Ratto della Sabina, anche perchè il rilievo posto alla base i Romani rapiscono le donne sabine.Concepisce una composizione elicoidale e continua. Fontane di Nettuno tra Firenze e Bologna Cosimo I mostrò un'attenzione particolare nel curare la manutenzione e migliorare la rete dei corsi d'acqua. Aggiunse un nuovo acquedotto che recava l'acqua fino alla Piazza della Signoria dove volle innalzare la prima fontana pubblica con una statua di Nettuno, quale emblema della sua capacità di governare le acque. Intorno alla commissione si scatenò una feroce competizione che vide protagonisti Bartolomeo Ammannati, Cellini, Vincenzo Danti e Giambologna. Ognuno di essi realizzò un modello in terracotta e alla fine si preferì Ammannati, Vasari incoraggiò Cosimo I a sceglierlo a danno del Giambologna. Nel 1565 inaugurò una prima versione della fontana che non mostrava nulla di nuovo, avrebbe completato il resto della fontana con un ricco corredo di creature marine. Giambologna trovò il modo di realizzare il proprio progetto a Bologna, dove si prevedeva l'apertura di una centralissima piazza fornita di una magnifica fontana del Nettuno. Vennero coinvolti l'architetto Tommaso Laureti e il fonditore Zanobi Portigiani. É formata da un Nettuno con 4 putti ai suoi piedi, 4 arpie agli angoli e gli emblemi araldici, venne ultimato nel 1566. I due Nettuno hanno una posa identica, ma alla rigidezza del marmo fiorentino, il bronzo bolognese risponde con il movimento circolare. TERRE IMPERIALI: LA SICILIA, NAPOLI, MILANO, LA SPAGNA - 40 Un Nettuno era già presente a Messina, che si ergeva come se uscisse dal mare a placare Scilla e Cariddi. Messina rientrava nei confini dell'Impero e la fontana era ovviamente un ennesimo omaggio a Carlo V. Ultimata nel 1557, fu danneggiata con il tempo e nel 1934 la fontana fu traslata di fronte alla Prefettura, adesso si dispone a guardare le acque. Fu scolpita da Giovanni Angelo Montorsoli. Montorsoli era stato incaricato nel 1547 di realizzare una fontana intitolata a Orione che si erge in prossimità del Duomo: è costituito dal sovrapporsi alla vasca di due tazze circolari con la sommità coronata dalla statua di Orione, sotto di lui ci sono putti e creature marine e sui bordi quattro nude figure delle divinità di 4 fiumi, il Tevere, il Nilo, l'Ebro e il Camaro. Il complesso programma si deve all'umanista Francesco Maurolico. Con questo fece conoscere a Messina il più aggiornato linguaggio michelangiolesco. Nel progettare la fontana di Orione si era rigatto a un modello che si stava affermando a Firenze. L'idea delle tazze era stata elaborata nel 1538 da Niccolò Tribolo nella fontana di Ercole e Anteo della Villa di Castello. Una di queste fontane fu scolpita tra gli anni 50 e 60 da Francesco Camilliani per il giardino della residenza fiorentina di Pedro di Toledo. Popolata da quasi 50 figure, la fontana fu imballata e spedita in Sicilia e posta di fronte al Palazzo Pretorio. Un michelangiolesco a Napoli: Marco Pino Anche la Napoli dei viceré spagnoli conobbe le novità provenienti dalla Toscana e da Roma. Al tempo di don Pedro di Toledo, dal 1532 al 1553, la città fu rinnovata con nuove fortificazioni. Negli anni 40 arrivò in città il senese Marco Pino, che aveva uno stile tutto giocato sull'artificio delle figure serpentinate. La grande pala dell'altare maggiore della chiesa di Sant'Angelo a Nilo del 1573 è emblematica della maniera di Marco, per la posa contorta con cui l'arcangelo Michele sconfigge Lucifero e per l'audacia di colori vivicissimi. La Maniera a Milano: Pellegrino Tibaldi Pellegrino Tibaldi fu uno dei maggiori artisti della Milano spagnola.Verso il 1562 Tibaldi si stabilì a Milano chiamato da Carlo Borromeo, che applicò con estremo rigore morale i principi della Controriforma e Tibaldi fu strumento dell'azione del Borromeo. Progettò dal 1569 la chiesa di San Fedele, sede dell'ordine; si ha una sola ampia navata che focalizza l'attenzione sull'altare maggiore. In San Fedele si conserva un dipinto, la Deposizione di Cristo di Sumonie Peterzano, alunno di Tiziano; è un'immagine austera e devota con forme compatte e solidificate da una luce netta che corrispondono alle esigenze della Controriforma, ma risulta molto diversa dalla pittura rapida di Tiziano. Infatti elabora un linguaggio più aderente al vero, fu con lui che Caravaggio svolse il suo apprendistato. Fedeltà all'impero: Giuseppe Arcimboldi e Leone Leoni Il pittore milanese Giuseppe Arcimboldi si traferisce nel 1562 a Vienna alle dipendenze del futuro Massimiliano II d'Asburgo e poi di Rodolfo II a Praga. Il gusto per il bizzarro di Rodolfo trovò un vero e proprio campione di Arcimboldi, che deve la sua fama alla pittura di stranissime teste allegoriche composte da un accostamento di fiori, frutti, verdure, animale e svariati oggetti, come si vede nell'Autunno, le cui fattezze sono costruite montando insieme le doghe di un tino e tanti fiori, frutti e ortaggi. Questo dipinto è parte di un ciclo delle Quattro stagioni. Il suo essere eccentrico lo dimostra nel ritratto di un Cuoco realizzato attraverso l'accostamento di stoviglie e differenti animali arrostiti, che ci rivela una figura umana quando l'osserviamo capovolta. Aveva alle spalle la predilizione che Leonardo da Vinci ebbe per lo studio di teste grottesche, come Testa di vecchia. Tra gli artisti di punta della Milano spagnola troviamo l'orafo e scultore Leone Leoni che nel 1542 passò prima al servizio del governatore Alfonso d'Avalos, poi di Ferrante Gonzaga. A lui si devono due straordinari ritratti in bronzo di Carlo V. Uno di questi, del 1555, mostra l'imperatore a mezza figura indagato accuratamente nei dettagli. Alla base ci sono l'aquila imperiale e due nude figure serpentinate di telamoni. Il secondo è una statua monumentale a tutto tondo, commissionata dallo stesso Carlo V a Bruxelles nel 1549, in cui nel vincere il Furore Carlo V può manifestarsi in due versione differenti: nudo come una divinità greca e abbigliato di una elegantissima armatura. L'affermazione di Leone Leoni presso la corte imperiale raggiunse l'apice nel 1580, quando fu coinvolto nella decorazione scultorea della principale cappella della chiesa del monastero dell'Escorial. Era stato Filippo II a volere la costruzione di questo grande complesso e il progetto fu affidato all'architetto Juan Battista de Toledo. L'Escorial è una solenne e severa fortezza, la pianta a reticolo della vasta struttura quadrilatera vuole alludere a una graticola, ovvero lo strumento del martirio del titolare. É un emblema della politica di Filippo II, indirizzata alla difesa della Chiesa di Roma. Un Greco italiano e spagnolo Il più singolare tra i trapianti artistici è quello che riguarda Domenico Theotocopulos, noto come El
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