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Arte: Una storia naturale e civile, vol. 3. Dal Quattrocento alla Controriforma, Sintesi del corso di Storia dell'Arte Moderna

Riassunto completo del testo Arte: Una storia naturale e civile, vol. 3. Dal Quattrocento alla Controriforma

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 19/11/2022

EmanueleCellini
EmanueleCellini 🇮🇹

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Scarica Arte: Una storia naturale e civile, vol. 3. Dal Quattrocento alla Controriforma e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! Arte: Una storia naturale e civile, vol. 3. Dal Quattrocento alla Controriforma Salvatore Settis, Tomaso Montanari Il Gotico Internazionale Introduzione A partire dalla seconda metà del Trecento, la perdita di prestigio di tre grandi istituti medievali, ovvero l’Impero, il Papato e i comuni aveva avuto l’effetto di favorire il potenziamento di alcune monarchie che accentrarono il loro potere (come quelle di Francia e Inghilterra) e, in Italia (soprattutto al nord), l’affermarsi delle Signorie. Laddove invece continuavano a resistere forme di governo repubblicane, come a Firenze o a Siena, importante fu la crescita del peso della borghesia, i cui esponenti iniziarono a ricoprire molte delle più importanti cariche politiche. Questa situazione portò all’elaborazione di uno stile che varcò i confini delle nazioni, assumendo caratteristiche di base simili in tutta Europa (ma con notevoli e diffuse varianti regionali): è il periodo noto come gotico internazionale. E l’internazionalità non fu dovuta al fatto che il nuovo stile nacque in una zona ben precisa d’Europa e da lì si diffuse nel resto del continente, ma fu piuttosto favorita dai reciproci contatti tra artisti provenienti da esperienze e località diverse. In questo periodo, infatti, gli artisti erano soliti spostarsi molto, coprendo anche in alcune occasioni viaggi molto lunghi da una parte all’altra d’Europa. E assieme agli artisti, naturalmente, circolavano modelli, stili, tendenze, orientamenti. Il gotico internazionale fu un fenomeno europeo: si sviluppò in particolare tra la Francia (in particolare ad Avignone, divenuto uno dei centri artistici più importanti del continente dopo il trasferimento della corte papale, e la Borgogna, dove la capitale Digione divenne uno dei principali centri propulsivi del tempo e dove fiorì l’estro dello scultore Claus Sluter) e l’Italia, ma anche altre aree furono interessate. In Spagna, per esempio, conobbe un notevole sviluppo artistico la città di Valencia, all’epoca uno dei porti più trafficati d’Europa (a Valencia soggiornò anche per qualche tempo uno dei maestri del gotico internazionale italiano, Gherardo Starnina). Ancora, una certa vivacità si registra a Praga e in Boemia. Origine del termine “gotico internazionale” Non esiste una sola espressione per definire il movimento noto come “gotico internazionale”. “Gotico internazionale” è oggi l’espressione più diffusa e accettata (è stata coniata a fine Ottocento dallo studioso francese Louis Courajoud) poiché l’internazionalità del movimento è il tratto più comune delle tendenze emerse nella seconda metà del Trecento: tuttavia gli studiosi, focalizzandosi su altri aspetti, hanno elaborato altri termini per definire il movimento. Molto diffuso è il termine “tardo fuori dal comune. Ha lasciato un Taccuino di disegni conservato alla Biblioteca Civica di Bergamo e contenente un grande repertorio di figure e situazioni dal quale attinsero molti artisti che vennero dopo di lui. A Milano fu attivo anche Michelino da Besozzo (Besozzo, 1370 circa – 1455 circa), allievo di Giovannino de’ Grassi, impose un’arte fatta di eleganza sobria che sapeva però convivere con un non trascurabile senso del realismo e dell’espressione dei sentimenti (Matrimonio mistico di santa Caterina, 1440-1445 circa, Siena, Pinacoteca Nazionale), con cui tutti i pittori delle generazioni successive, a Milano, si trovarono a doversi confrontare. Anche il Veneto fu un territorio in cui il gotico internazionale conobbe diffusione, ma in questa stagione il primato non fu quello di Venezia, bensì di Verona. La città stava conoscendo gli ultimi anni della dinastia scaligera, terminati nel 1387 con la cacciata di Antonio della Scala a opera dei milanesi guidati da Gian Galeazzo Visconti, che mal tollerava le mire espansionistiche veronesi. Dopo un breve periodo di dominazione milanese e rinnovati tentativi di indipendenza, nel 1405 Verona passò definitivamente sotto il dominio di Venezia. Questa situazione politica non impedì però la nascita del genio di Antonio Pisano meglio noto come il Pisanello (1395 circa - 1450 circa): nato a Pisa oppure a Verona da una famiglia pisana, il Pisanello fu in Italia il massimo interprete della narrazione fiabesca del gotico internazionale, grazie alla sua interpretazione di tutti i valori cortesi, senza trascurare quell’eleganza che era una delle basi fondamentali dello stile (San Giorgio e la principessa, 1436-1438, Verona, Sant’Anastasia). Anche centri minori in Italia ebbero i loro protagonisti: è il caso di Battista di Gerio (Pisa, notizie dal 1414 al 1418), attivo tra Lucca e Pisa, interessante interprete di varie suggestioni, provenienti specialmente dalla Toscana e da Firenze, che seppe fondere per dare la propria personale interpretazione del gotico internazionale. Lo stile delle corti europee 1. Le miniature - Fratelli de Limbourg, Les Très riches heures du Duc de Berry, 1413-1416, libro miniato. Allegorie dei mesi dell’anno, visione idealizzata. Minuzia nella rappresentazione della realtà. Ripetizione dei medesimi elementi. Cielo atmosferico. 2.La pittura: uno stile cortese Il linguaggio delle miniature rispecchia uno stile cortese. Carattere laico e profano in funzione dei suoi committenti. Minuziosa attenzione per l’indagine della natura e scarsa per la tridimensionalità dello spazio. Questi elementi hanno alle spalle il Gotico francese, per questo è definito anche Tardogotico. - Simone Martini, Madonna dell’umiltà, ca. 1340, lunetta affrescata, Avignone. La Vergine col bambino è seduta a terra in una perfetta sintesi dell’immaginario cortese. All’epoca, mattini lavorava ad Avignone, la più importante corte d’Europa. Questo soggetto si diffuse, e a favorirne il successo fu forse il fatto che si potesse arricchire con elementi profani. - Pisanello, Madonna della Quaglia, ca.1420, tempera e oro su tavola, Verona. Estremizza l’eleganza della figura. Posa tipicamente gotica. Circonda Maria di uccelli e fiori. Le predilezioni sono le stesse: preziosità, raffinatezza e attenzione per la natura. 3.Il Gotico fiorito e l’architettura flamboyant - Cà d’oro, ca. 1424-1431, Venezia. Passione per il mondo vegetale e la decorazione che scala le altezze. Nella facciata, i vuoti dei “fioriti” dominano sul pieno delle murature, dando l’effetto di una struttura leggera. In origine era impreziosita da colori e dorature. Più che in Italia, la versione architettonica del Gotico internazionale ebbe fortuna nel resto d’Europa, dove le nervature si moltiplicano senza ragioni strutturali. Un esempio è la King’s College Chapel, 1446, Cambridge anche se la volta venne costruita nel ‘500, mentre in Italia fioriva il Rinascimento maturo. 4.La Scultura di Claus Sluter - Claus Sluter, Il pozzo dei profeti, 1395-1403, pietra dipinta e dorata, Digione. Sluter è il maestro del Gotico internazionale in ambito scultoreo. È una parte di una Crocifissione andata distrutta e rappresenta personaggi dell’Antico Testamento. Possente monumentalità. Sono figure che tendono al tutto tondo e si distinguono per il vigore delle espressioni. La scultura del Gotico internazionale fu sempre policroma. - C. Sluter e Claus de Werve, Monumento sepolcrale di Filippo l’Ardito, 1381- 1410, marmo e alabastro, Digione. Il monumento si erge isolato, e lungo i fianchi corre una galleria di pleurants, figure a tutto tondo incappucciate e piangenti. Sono antinaturalistiche: affogano il corpo in un oceano di pieghe, eppure danno il senso di un sentimento naturalissimo. Gian Galeazzo Visconti e il ruolo della Lombardia 1. Il Ducato di Milano Negli ultimi decenni del Trecento il Gotico internazionale si impone come linguaggio artistico del Ducato di Milano. La corte di Gian Galeazzo Visconti diviene un polo culturale importante, che ebbe sede a Pavia. 2. Michelino da Besozzo - Michelino da Besozzo, Elogio funebre di Gian Galeazzo Visconti di Pietro da Castelletto, 1403, miniatura. Gian Galeazzo appare incoronato da Gesù bambino in paradiso. Non c’è traccia dello sconforto di un funerale. Figure bidimensionali, sfrenato impulso per la decorazione che converte in un linguaggio personale. Figure quasi incorporee. - Michelino da Besozzo, Matrimonio mistico di Santa Caterina d’Alessandria, con i santi Giovanni Battista e Antonio Abate, ca.1403-1410, tempera e oro su tavola, Siena. Dipinto a fondo oro. Manca concretezza spaziale. Figure esili e guizzanti. Utilizza una tecnica da orafo per impreziosire il dipinto: sapiente uso della pastiglia dorata. 3. Il cantiere del Duomo di Milano Nel 1387 Gian Galeazzo diede inizio alla fabbricazione del Duomo di Milano. Pianta a cinque nacare, forme gotiche e uso del marmo bianco. Terminato solo nell’ottocento. È pensato come un edificio “fiorito” di decori e sculture. Nella zona absidale le pareti sono alleggerite da finestrini ad arco acuto, guglie e pinnacoli. Vide il coinvolgimento di un numero smisurato di maestranze. - Jacopino da Tardate, Papa Martino V, post 1420, marmo. Collocata nel deambulatorio. Pontefice in posa benedicente e austera posa frontale. Veste animata da sottili pieghe: indole gotica. 4. Filippo Maria Visconti: fiabe e tarocchi Signore di Milano che seppe rilanciare il Ducato. - Zavattari, Cappella di Teodolinda, 1441-46, Duomo di Monza. Racconta la vita della sovrana longobarda in un ciclo di affreschi dispiegato sulle pareti della cappella che ne conserva le spoglie. La biografia è trasformata in un romanzo cavalleresco. Sono rappresentate scene di corte. Fondale dorato. Non c’è rigore spaziale. Lezione di Michelino da Besozzo. Per soddisfare le esigenze della corte, i pittori lombardi decoravano anche oggetti di uso comune come le carte da gioco, in particolare quelle dei tarocchi. Tre artisti in viaggio: Gentile da Fabriano, Pisanello e Jacopo della Quercia 1. Gentile da Fabriano: da Pavia a Venezia Il Gotico internazionale si diffonde dalla Lombardia a tutta la penisola. Gentile da Fabriano (1370-1427) si formò a Pavia. - G. da Fabriano, Madonna col Bambino, i Santi Nicola, Caterina d’Alessandria e un donatore, 1400, Berlino. Pala con le più tipiche componenti del Gotico visconteo: prato fiorito, eleganti figure femminili, fondo oro, forme guizzanti. - G. da Fabriano, Polittico di Valle Romita, ca. 1410, tempera e oro su tavola, Pinacoteca di Brera. Dal 1408 Gentile è attestato a Venezia. Nel registro principale c’è l’Incoronazione della Vergine, negli scomparti laterali i santi Girolamo, Francesco, Domenico e Maria Maddalena. Sopra di loro ci sono quattro scene. La cornice, pur rimandando al linguaggio gotico, è novecentesca. Nel martirio di Pietro da Verona non c’è posto per il dolore: il pittore è più attento ai colori. 2. Gentile a Firenze e Roma La parabola di Gentile ebbe il suo vertice a Firenze, dove fu dal 1420 al 1425. - G. Da Fabriano, L’Adorazione dei Magi, 1423, tempera e oro su tavola, Galleria degli Uffizi. Fu commissionata da Palla Strozzi. Ha un coronamento con archi gotici ma presenta una narrazione unica che inizia in alto a sinistra. In primo piano si compie l’epilogo. È una scena di corte che accoglie attori vestiti alla moda, tra cui Palla e il figlio. Non c’è interesse per una resa tridimensionale. Nella predella sono narrate tre storie, tra cui la Fuga in Egitto, dove si dispiega un cielo azzurro, novità eclatante. Sul finire del 1425 si trasferì a Roma. 3. Il miglior allievo di Gentile: Pisanello Pisanello (1395-1455) nasce a Verona e si forma con Gentile. - Pisanello e Nanni di Bartolo, Monumento sepolcrale di Niccolò Brenzoni, 1426, marmo policromo e affresco, Verona. Pisanello si occupa delle pareti dipinte a finta tappezzeria, con l’Annunciazione. La lezione di Gentile si riconosce nella tenerezza delle carni e nella raffinatezza cromatica. - Pisanello, Storia di San Giorgio e la principessa, ca. 1426, affresco, Verona. Rappresenta Giorgio di fronte alla principessa, prima di andare a sconfiggere il drago. Privilegia il registro cavalleresco rispetto a quello devoto. Edifici gotici sullo sfondo. Alterna registro avventuroso e cortese. 4. Pisanello e la “medaglia rinascimentale” L’ultima fase della sua carriera si svolte prima a Mantova, poi a Ferrara e infine a Napoli. - Pisanello, Medaglia di Giovanni VIII Paleologo, ca. 1438, bronzo, Museo Nazionale del Bargello. Si ritiene il più antico modello di medaglia rinascimentale che, 7. L’invenzione della prospettiva Si assegna a Brunelleschi l’invenzione della prospettiva centrale o lineare, intesa come tecnica per rappresentare razionalmente gli oggetti nello spazio, così da ottenere l’effetto della terza dimensione in una superficie bidimensionale. Utilizza un rigoroso metodo matematico, che prevede di individuare un punto di fuga, corrispondente al centro dell’orizzonte verso il quale guarda l’occhio dell’osservatore, e fare convergere in direzione di esso una serie di linee per creare una gabbia spaziale. Voleva rendere in pittura quei caratteri di ordine e verità della scultura antica. - Donatello, Convito di Erode, 1423-27, bronzo, Battistero di Siena. Grazie allo stiacciato e alla prospettiva allestisce la scena in uno spazio tridimensionale. In primo piano la testa del Battista è presentata ad Erode e, di fronte, Salomè danza sulla musica dei suonatori che vediamo in secondo piano. Oltre, si riconosce il momento precedente della storia, quando la testa è offerta ad Erodiade. La scenografia con archi a tutto sesto è ispirata all’antichità. Sono rappresentati spazi e tempi diversi. La scena è parte di un ciclo di Storie del Battista cui presero parte anche Ghiberti (Battesimo di Cristo) e Jacopo della Quercia (Annuncio a Zaccaria). 8. La nuova architettura di Brunelleschi La Cattedrale era stata ricostruita su disegno di Arnolfo di cambio agli inizi del Trecento, ma fu nel 1418 che l’Opera del duomo bandì un concorso per risolvere il problema della cupola. Nominò due capomastri: Brunelleschi e Ghiberti. - F. Brunelleschi, Cupola della Cattedrale di Santa Maria del Fiore, 1418-1436, Firenze. Presto divenne l’unico direttore del cantiere. Il suo progetto prevedeva una cupola con otto costoloni e altrettante vele, costruita senza centine (cioè le basi di appoggio per il posizionamento dei conci). Pensò a una copertura a doppia calotta e utilizzò una muratura con mattoni a spina di pesce. Il verticalismo è ancora di matrice gotica (ragioni strutturali). - F. Brunelleschi, Portico dell’Ospedale degli Innocenti, post 1421, Piazza della Santissima Annunziata. Si succedono campate con identiche proporzioni in larghezza e altezza e arcate a tutto sesto impostate su colonne. È il primo spazio urbano rinascimentale. Il vocabolario classico risorge a nuova vita. L’architettura è posta in termini geometrici e aritmetici. - F. Brunelleschi, Basilica di San Lorenzo, post 1421, Firenze. Tre navate con copertura piana al centro e volte nei corridoi. Il vocabolario dell’architettura è radicalmente nuovo. Masaccio e i suoi 1. Masaccio e Masolino A raccogliere in pittura la lezione di Brunelleschi e Donatello fu Masaccio (1401- 1429) che ebbe una carriera racchiusa negli anni Venti. Il ritardo nella pittura venne colmato. Masaccio si mise in società con un pittore più anziano, Masolino da Panicale (1383-1436). - Masolino e Masaccio, Sant’Anna Metterza, ca. 1424-25, tempera e oro su tela, Galleria degli Uffizi. A Masaccio spettano l’angioletto in alto a destra e la Madonna col Bambino, che si distinguono per la solida volumetria, fondata sui nuovi ideali. A dispetto del fondo oro, il gruppo manifesta concretezza tridimensionale. Lo studio dell’anatomia del Bambino è molto moderno. 2. La Cappella Brancacci Masolino (legato ancora alla cultura del Gotico, vedi Madonna col Bambino di Brema) e Masaccio rappresentavano mondi diversi. Lavorarono insieme alla Cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine a Firenze dal 1424 al 1426, che apparteneva al mercante Felice Brancacci. Non portarono mai a termine il loro impegno, che prevedeva un ciclo di Storie di San Pietro. - Masolino, Tentazione di Adamo ed Eva, ca.1424-25. Sono ritratti nudi, in modo bidimensionale, galleggiano contro un fondale neutro. - Masaccio, Cacciata dal Paradiso terrestre, ca. 1424-25. Si trova di fronte all’opera di Masolino. L’angelo ha uno sguardo truce. Paesaggio brullo e concreto. Violenza espressiva e carnalità estrema. Sono figure tormentate da un dolore estremo. Apparentate a Donatello, Profeta Abacuc, ca. 1423-35, Campanile di Giotto. - Masaccio, Tributo, ca. 1424-25. Narra il pagamento della gabella, la tassa d’ingresso alla città di Cafarnao. Tre momenti: al centro Cristo indica a Pietro di andare a prendere la moneta nella bocca di un pesce; a sinistra Pietro esegue l’ordine e a destra paga l’imposta. La scenografia è unica e tridimensionale, applica le novità brunelleschiane. Cielo atmosferico. Costruzione prospettica con punto di fuga sulla testa di Cristo. Aureole in scorcio. Straordinaria invenzione delle ombre proiettate a terra. - Masaccio, San Pietro che risana con la propria ombra, ca.1424-25. Spoglio paesaggio urbano in prospettiva. È una via della Firenze del tempo. Le ombre sono protagoniste - Masaccio, Battesimo dei Neofiti, ca. 1424-25. Sconcertante verismo. Monti in prospettiva. Corpi indagati nelle anatomie e nelle sensazioni. Naturalismo intenso. 3. Il Polittico di Pisa Il polittico era per la cappella dedicata ai santi Giuliano e Nicola, ma ci è giunto in frammenti. Su richiesta del committente, dipinse la pala di formato gotico e con il fondo dorato. - Masaccio, Adorazione dei Magi, dalla predella, 1426, Berlino. Nella predella vi erano cinque scenette. Paesaggio montano e cielo atmosferico, ombre, aureole in scorcio. I Magi si presentano con una severa solennità. Evidente differenza con l’Adorazione dei Magi di Gentile. - Masaccio, Madonna col Bambino e angeli, 1426, National Gallery VS Gentile da Fabriano, Madonna col bambino e angeli, dal Polittico Quaratesi, 1425, National Gallery. Linguaggi antitetici. Gentile: sfarzo ed eleganza; assenza di terza - dimensione. Masaccio: fortissima luce, scordi, contrasto tra parti in ombra e illuminate. - Masaccio, Crocifissione, 1426, Museo Nazionale di Capodimonte. Importanza della luce. Poderoso gesto della Maddalena piangente, che allarga le braccia di spalle. 4. La Trinità di Santa Maria Novella - Massaccio, Trinità, 1427, Santa Maria Novella. Dovette affrescare sulla parete un’architettura illusionistica che finge un’intera cappella. Un Padre eterno sorregge la croce mentre la colomba dello Spirito Santo si getta verso lo spettatore. Ai piedi della croce la Vergine e San Giovanni. Sulla soglia pregano Berto di Bartolomeo e la moglie. Nel registro inferiore (sotto l’altare): uno scheletro che allude a quello di Adamo. Un’iscrizione recita: “io fu’ già quel che voi siete, e quel c’hi’ son voi ancor sarete”. Scardina la tradizione medievale di rappresentare i committenti sottodimensionati e li rappresenta in prospettiva. Per l’architettura usa elementi antichi; paraste scanalate, colonne con capitelli ionici, arco a tutto sesto, volta a botte decorata a lacunari. Dopo questa esperienza si ricongiunge a Roma con Masolino, dove muore nel 1429. 5. Sulla scia di Masaccio: Sassetta, gli esordi di Beato Angelico e di Filippo Lippi Stefano di Giovanni detto il Sassetta, Sant’Antonio battuto dai diavoli, 1423-24, Pinacoteca Nazionale. Cielo atmosferico. I demoni danno senso allo spazio. Conservano sottigliezza gotica. - Beato Angelico, Trittico di San Pietro Martire, ante 1429, Firenze. Riecheggia la lezione masaccesca. Formato gotico della carpenteria, fondo dorato. I santi laterali hanno una statuaria solida. - Filippo Lippi, Madonna dell’umiltà e santi, 1429-1432, Pinacoteca del Castello Sforzesco. Soggetto gotico tradotto in termini masacceschi. Fondo azzurro e figure salde. 6. Paolo Uccello: condottieri e battaglie Paolo Doni detto Paolo Uccello (1397-1475) si innamorò della prospettiva. - P. Uccello, Monumento equestre di Giovanni Acuto, 1436, Santa Maria del Fiore. Sulla lezione della Trinità simula un complesso scultoreo. Resa spaziale della cassa e accentuato plasticismo. - P. Uccello, Battaglia di San Romano, ca. 1438, National Gallery / Uffizi / Louvre. Vengono raccontate le principali fasi della battaglia tra fiorentini e senesi del 1432, Raffigurano Niccolò da Tolentino alla testa dei Fiorentini, il Disarcionamento del condottiero senese Bernardino della Carda, e Michele Attendolo guida i Fiorentini alla vittoria. Ossessione per gli scorci difficili. Geometriche volumetrie delle figure. Contrasto tra battaglia e scenette dei paesaggi, in cui echeggiano le preziosità gotiche. Pittura di luce 1. Domenico Veneziano: il maestro di Piero della Francesca Una nuova generazione di artisti mosse dall’esperienza di Masaccio per mettere a punto una pittura fondata sul rigore prospettico e sulla scelta di un registro cromatico vivace e luminoso. Quest’arte è stata chiamata “pittura di luce”, ebbe origine nella Firenze degli anni Trenta per impulso di Domenico Veneziano e si diffuse grazie al suo allievo Piero della Francesca. Ha i suoi cardini nella prospettiva, nell’elaborazione di una composizione essenziale e lineare, in una ordinata narrazione e nell’utilizzo di colori chiari e luminosi. - D. Veneziano, Adorazione dei Magi, ca.1439-40, Berlino. Domenico Veneziano è documentato a Firenze dal 1439 alla morte, nel 1461. Il prato fiorito e la ricchezza - la sua bottega continuava ad avere successo grazie agli eredi, in particolare il nipote Andrea della Robbia. Intorno a Cosimo il Vecchio: vecchi e nuovi protagonisti 1. La Sagrestia Vecchia di San Lorenzo - Filippo Brunelleschi e Donatello, Sagrestia Vecchia di San Lorenzo, 1420-28, Firenze. Era pensata come mausoleo mediceo. È detta “Vecchia” per distinguerla da quella nuova, realizzata da Michelangelo. Spazio cubico con pareti neutre e scandite da elementi architettonici in pietra serena, la pietra arenaria grigia da allora cara all’architettura toscana. Su ogni lato lunette a tutto sesto sulle quali si innalza una cupola impostata su quattro pennacchi con lo stemma mediceo. Al centro la tomba di Giovanni de’ Medici. Risaltano una serie di rilievi di Donatello: figure di evangelisti e santi si alternano con le storie di San Giovanni evangelista, il tutto allestito con scenografie prospettiche e grande fermento. 2. Il Capitolo de’ Pazzi in Santa Croce Brunelleschi fu coinvolto dai pazzi alla ricostruzione di alcuni ambienti del convento di Santa Croce. Nel 1429 venne costruita una cappella personale nella zona del chiostro. È un edificio a pianta centrale impostato su un’aula cubica, tratta dalla Sagrestia Vecchia. Invece dei rilievi donatelliani, Brunelleschi propone un corredo scultoreo in terracotta invetriata. Il cantiere andò a rilento e sia Brunelleschi che il committente prima che fosse finito. 3. La Porta del Paradiso di Ghiberti Nel 1425 Ghiberti ottenne dall’Arte di Calimala di realizzare un’altra porta per il Battistero, installata poi nel 1452. La struttura rinuncia ad ogni riferimento gotico e propone 10 scene quadrate con storie dell’Antico testamento, oltre una cornice con altri personaggi biblici. Ghiberti rimane fedele alle sottigliezze gotiche, la prospettiva gli rimaneva sostanzialmente oscura. Uso dello stiacciato. - Lorenzo Ghiberti, Storia di Adamo ed Eva. Coro angelico in stiacciato. A sinistra viene creato Adamo e si procede con la creazione di Eva. Poi viene narrato il peccato originale che ha come conseguenza la scacciata dal Paradiso terrestre. Spesso racconta più episodi in una sola scena. 4. Il David e la Giuditta di Donatello - Donatello, David, ca. 1435-40, bronzo, Museo nazionale del Bargello. Esprime una grazia eccezionale che lo accomuna a Ghiberti. Adolescente dai lunghi capelli. Ha il piede sul capo del gigante. Posa ancheggiante di estrema eleganza. Novità eclatante: è una statua a tutto tondo, pensata per poterle girare attorno come quelle antiche. - Donatello, Giuditta e Oloferne, 1457-64, bronzo, Palazzo Vecchio. Con il soggiorno padovano l’eleganza del David sfocia nel dramma della Giuditta. È di una forza impressionante. Ai piedi del basamento corrono tre scene bacchiche. Giuditta è esempio di virtù civile e amore di patria. 5. Michelozzo di Bartolomeo, architetto di Cosimo Si forma nel cantiere ghibertiano. Fu l’architetto di fiducia di Cosimo de’ Medici e seguì la lezione di Brunelleschi, morto nel 1446. - progetto di Michelozzo di Bartolomeo, Palazzo Medici, 1444-60, Firenze. Prototipo di edificio gentilizio rinascimentale. Sobria magnificenza, no fasto eccessivo. La facciata è stata alternata in età moderna: le finestre al piano terra sono attribuite a Michelangelo. Conserva le forme michelozziane nelle bifore con archi a tutto sesto e nell’alternare del bugnato sui diversi piani. 6. Beato Angelico al Convento di San marco Michelozzo si occupò della ristrutturazione del convento dal 1437 al 1443, ispirandosi alla lezione brunelleschiana. Qui, il Beato Angelico diede origine a uno dei cicli figurativi più singolari della nostra storia dell’arte. Affrescò non solo le opere mobili - della chiesa, ma anche le pareti del complesso michelozziano, perfino le celle conventuali. - Beato Angelico, Annunciazione, ca. 1440, Convento di San Marco, Firenze. Spazio misurato e prospettico del porticato. Niente eccessi decorativi. Maria siede su uno sgabello e fuori dal porticato si riconosce un hortus conclusus. La povertà dei Domenicani si sposava con la sobria essenzialità di questa nuova cultura figurativa. - Beato Angelico, Pala di San Marco, ca. 1440, Firenze. Pala per l’altare maggiore. Formato quadrato che si sarebbe affermato negli anni successivi. I santi si riuniscono in uno spazio unico intorno alla Vergine. Rinascimento e rinascenze: la pittura fiamminga e francese L’Italia e le Fiandre 1. Relazioni artistiche e commerciali tra due mondi lontani Tra l’Italia e le Fiandre vi sono relazioni mercantili e finanziarie molto strette. Tra la Francia nordorientale e i Paesi Bassi nacque un nuovo tipo di pittura, i cui pionieri furono Jan van Eyck (documentato dal 1422 al 1441) e Rogier van der Weyden (ca. 1399-1464), che indagarono empiricamente la quotidiana realtà delle cose con uno sguardo nuovo e acuto, scrupolosamente attenti ai minimi particolari, grazie anche all’utilizzo della tecnica a olio. Tra la pittura italiana e quella fiamminga vi furono continui scambi. 2. Filippo Lippi: tra Masaccio e van Eyck - Filippo Lippi, Madonna di Tarquinia, 1437, Roma. Nonostante l’uso di una cornice gotica, parla un linguaggio masaccesco. Solido gruppo della Vergine col Figlio. Ambientato in uno spazio domestico con una luce tenue. Dedica una minuziosa attenzione ai dettagli. Lo scenario, l’illuminazione e i dettagli sono decisamente ispirati alle novità della pittura fiamminga. - Filippo Lippi, Annunciazione Martelli, ca. 1440, Firenze. Pala di formato quadrato. Spazio unificato da un’ingegnosa scenografia architettonica: la scena si compie al di là di due arcate di un loggiato all’antica. Iperrealistico dettaglio di un’ampolla in vetro. 3. Jan van Eyck: ritratti e pale d’altare - Jan van Eyck, Ritratto dei coniugi Arnolfini, 1434, National Gallery. Pone sullo specchio la firma e la data. Alla pittura a tempera è preferita la pittura a olio, che permette di avere colori più brillanti. A ciò si unisce la minuta descrizione di ogni dettaglio, pur in assenza di una razionale scatola tridimensionale. Lo specchio convesso riflette la coppia di spalle e il pittore. Clima di intimità domestica. Dovrebbero essere il mercante Giovanni Arnolfini e la moglie. Manca tensione sentimentale, è un ritratto celebrativo. - Jan van Eyck, Uomo col turbante rosso, 1433, National Gallery. Van Eyck è capostipite della pittura fiamminga e specialista nell’arte del ritratto. Finta cornice con incisi la firma e la data. Appare a mezzo busto e di tre quarti. Evidenza veristica della stoffa. Luce radente che fa risaltare le forme del volto contro il fondo scuro. Sintesi perfetta della ritrattistica fiamminga. - Hubert (?) e Jan van Eyck, Polittico dell’Agnello mistico, 1426-32, Belgio. Opera monumentale di soggetto e formato tardomedievale, con soggetti dipinti sia davanti che dietro. Ci sono sportelli che si aprono e si chiudono. Quando è chiuso ci sono due santi e i committenti, sopra l’Annunciazione, nel coronamento sibille e profeti. Aprendo i battenti, un lussureggiante giardino con il divino Agnello, simbolo di Cristo. Nello scomparto superiore la figura del Dio Padre, della Vergine e del Battista, affiancate da un gruppo di angeli cantori; nelle ante laterali Adamo ed Eva. Il paesaggio sfugge a ogni rigore prospettico. 1. Il rinnovamento della città pontificia A seguito della cattività avignonese e dello Scisma d’Occidente, Roma non era più un centro artistico di prim’ordine. 2. Filarete e la Porta di San Pietro - Filarete, Porta, 1433-1445, bronzo, Basilica di San Pietro. Filarete si formò con Lorenzo Ghiberti e fu a Roma per realizzare i battenti della Basilica di San Pietro. Non seppe aggiornarsi sulla nuova visione dell’antico elaborata da Donatello. I rilievi appaiono privi di profondità e le scene risultano affollate, gli ornati sono ispirati all’antichità. La libertà della fantasia domina sul rigore prospettico. 3. Beato Angelico a Roma Fu a Roma dal 1445 al 1449. - Beato Angelico, Cappella Nicciolina, 1447-48, Roma. Rappresenta le Storie dei Santi Stefano e Lorenzo. Seppe rendere solenne uno stile austero. Nella scena con Lorenzo è consacrato diacono da Sisto II, il pontefice compie un rito di consacrazione, ed è ritratto con le sembianze di Niccolò V. In Sisto II affida a Lorenzo i tesori della Chiesa, uno spazio unico mette in scena una duplice sequenza. Luce netta e volti ben caratterizzati. 4. Leon Battista Alberti e l’antico Niccolò V promosse una politica culturale e artistica focalizzata sul rinnovamento della città pontificia. Grande attenzione fu riservata al miglioramento della cinta muraria e degli acquedotti e al rinnovamento della basilica costantiniana di San Pietro, pianificata dal fiorentino Bernardo Rossellino. Un ruolo decisivo lo ebbe Leon Battista Alberti (1404-), a Roma dal 1432. - Leon Battista Alberti, Autoritratto, ca. 1435, bronzo, National Gallery di Washington. Placchetta metallica in cui si ritrae come un imperatore romano. Il De re aedificatoria è un trattato volto a definire i principi tecnici ed estetici di una nuova generazione di edifici, corrispondenti ai gusti umanistici. Rimini e il cantiere del Tempio Malatestiano 1. Sigismondo Pandolfo Malatesta e il Tempio Malatestiano A Rimini, il secolare dominio della famiglia Malatesta ha lasciato memoria nel Castel Sismondo e nel Tempio Malatestiano, voluti da Sigismondo Pandolfo Malatesta. Dopo aver ristrutturato nel 1447-48 le cappelle sulla parete di destra per farmi il luogo della propria sepoltura, decise di trasformare l’intero edificio. L’esterno della chiesa richiama alla mente le forme di un tempio antico. All’interno, l’ampio spazio della navata è affiancato da sei cappelle gotiche. La differenza è conseguenza di due progetti diversi: uno di Leon Battista Alberti e uno di Matteo de’ Pasti. 2. Il ruolo di Matteo de’ Pasti e quello di Leon Battista Alberti - Interno del Tempio Malatestiano (su disegno di Matteo de’ Pasti), post 1449. Ricchissimo edificio celebrativo. Navata unica con sei cappelle decoratissime da un apparato scultoreo eseguito dalla bottega di Agostino di Duccio. Il fasto di esse contrasta con la copertura a capriate della navata e con l’essenzialità del transetto e del coro. Queste parti non furono mai completate. - Facciata del Tempio Malatestiano (su disegno di Leon Battista Alberti), ca. 1453-57. Anche l’esterno è incompiuto. Ha l’aspetto di un’architettura antica. Involucro di marmo bianco spartito da colonne e archi a tutto sesto. Al centro della facciata il portale è sormontato da un motivo che richiama il romano opus sectile (decorazione a marmi policromi). L’involucro albertiano è utilizzato solo ai fini di ornato e non c’è spazio per alcuna decorazione; si espande anche sulla parete laterale destra. 3. L’affresco di Piero della Francesca - P. della Francesca, Sigismondo Pandolfo Malatesta di fronte a San Sigismondo, 1451. Nel tempio, la scultura domina a scapito della pittura. Scena di corte ambientata in uno spazio prospettico di un’aula chiusa. Sigismondo spicca di profilo nel centro, accanto a lui si erge San Sigismondo. Richiama ai diritti di Sigismondo sulla città. A ciò rimanda anche loculo prospettico illusionistico. Retaggio degli studi masacceschi riletti con il lume chiaro di Veneziano. 4. Agostino di Duccio scultore Agostino di Duccio (1418-1481) si formò nella bottega di Donatello. I soggetti pescano nella letteratura antica e tardomedievale. Sono per lo più i temi raffigurati nei pilastri o sugli altari a dare il nome alle cappelle del Tempio. Adotta lo stiacciato senza interesse per la tridimensionalità e la concretezza delle forme. Bidimensionalità e mancanza di consistenza. Uno degli scultori di frontiera tra Gotico e Rinascimento. Leon Battista Alberti e Firenze Il ricco mercante fiorentino Giovanni Rucellai si rivolge a Leon Battista Albert. 1. La facciata di Santa Maria Novella - Facciata di Santa Maria Novella (su disegno di Leon Battista Alberti), 1470, Firenze. È una chiesa domenicana medievale. Rivestimento di marmi bianchi e verdi ispirati ai motivi decorativi del Romanico fiorentino. Completare l’opera apponendo nell’architrave sottostante il timpano il suo nome. Alberti doveva armonizzarsi con quanto era già stato fatto. Raccordare la predilezione per l’antico con un’attenzione al recupero della tradizione architettonica tardomedievale. La cornice del portale principale, le quattro colonne e il formato del timpano richiamano l’antico. Ciò è ornato da motivi geometrici e decorativi suggestionati dagli edifici del Romanico fiorentino. 2. Palazzo Rucellai e il recupero degli ordini antichi - Palazzo Rucellai (su disegno di Leon Battista Alberti), ca. 1455-1465, Firenze. Intervenire su edifici preesistenti per accorparli in maniera razionale. La direzione del cantiere fu affidata a Bernardo Rossellino. Prospetto suddiviso in tre piani, a prima vista simile a quello di Michelozzo. Per la scansione dei livelli recupera gli ordini vitruviani dell’antica architettura romana. Finestre bifore con arco a tutto sesto inquadrate da lesene decorate da peducci. La forma di questi ultimi varia dal basso verso l’alto: dorico, ionico, corinzio; sul modello del Colosseo. 3. Moderni sepolcri “all’antica”: Bernardo Rossellino e Desiderio da Settignano Due sepolcri a Santa Croce a Firenze riflettono il gusto antiquario di Alberti. - Bernardo Rossellino, Monumento sepolcrale di Leonardo Bruni, 1445-1450. Monumento sfacciatamente all’antica, impostato sul modello di un arcosolio, ovvero un sepolcro inserito entro una nicchia sormontata da un arco a tutto sesto, affiancato da lesene scanalate ed elementi decorativi di gusto archeologico. Solo nella lunetta soprastante c’è spazio per il tema cristiano. Rigoroso classicismo albertiano. - Desiderio da Settignano, Monumento sepolcrale di Carlo Marsuppini, ca. 1459-60. Interpretazione più espressiva e virtuosistica nella cura dei dettagli. Vasari lo definisce un imitatore della maniera di Donatello. Urbino e la corte di Federico da Montefeltro 1. Il Palazzo Ducale Urbino divenne uno dei centri artistici di maggiore rilievo del Rinascimento perché il suo signore fu uno dei più grandi condottieri del tempo. Federico da Montefeltro (1422-1482) raccoglie a Urbino una corte costituita anche da uomini di lettere, matematici e artisti, accolti nella dimora di Federico: il Palazzo Ducale. Esso si estende su un’area considerevole. I lavori vennero avviati nel 1454 e proseguirono per decenni. Verso l’esterno della città troviamo la “facciata dei torricini”, dove due torri rotonde angolari fiancheggiano il prospetto slanciato al centro da quattro logge. - Cortile del Palazzo Ducale (su disegno di Luciano Laurana). A sovrintendere la costruzione della facciata fu Luciano Laurana (1420-1479), cui si assegna anche il progetto del cortile d’onore. Contraddistinto da razionale successione di loggiati con archi a tutto sesto, combinati tramite l’inedita soluzione dei pilastri agli angoli. Sopra le arcate corre un’iscrizione in latino. - Studiolo del Palazzo Ducale, ca. 1474-76. Carattere privato. Stanzìni decorata nella parte alta da un ciclo di Uomini illustri. Il protagonista è l’arredo ligneo, che dimostra come la tecnica medievale della tarsia potesse essere trasformata in uno strumento per creare effetti di illusione spaziale e minuziosa resa veristica dei dettagli. 2. Piero della Francesca a Urbino - P. della Francesca, Dittico Montefeltro, 1460-54, Uffizi. Ritrae il duca Federico e la moglie Battista Sforza, effigiati di profilo. Fuga in lontananza della veduta di paese a volo d’uccello, in cui risalta ogni dettaglio, una pittura minuziosa e luminosa ispirata alle novità fiamminghe. Utilizza la pittura ad olio. Concretezza delle carni e dei tessuti. I due pannelli sono dipinti anche sul tetro, dove Piero raffigura un trionfo dei due personaggi, accompagnati da allegoriche figure di virtù. - P. della Francesca, Madonna di Senigallia, ca. 1474, Urbino. Dimostra di essere padrone degli elementi più peculiari dei maestri fiamminghi. Atmosfera domestica e figure a mezzo busto. - P. della Francesca, Pala Montefeltro, ca. 1472-74, Pinacoteca di Brera. Il duca è ritratto di profilo con un’armatura, inginocchiato alla Vergine col Bambino, accompagnata da una corte di santi e angeli. Lei è il centro di una rigorosa composizione prospettica. Assoluta razionalità delle forme architettoniche. Sacra conversazione ambientata in uno spazio all’antica, con le pareti decorate con riquadri di marmi policromi, lesene scanalate e capitelli, volta a botte. Uovo di struzzo che accentua l’effetto tridimensionale. 3. Presenza fiamminghe a Urbino: Giusto di Gand e Pedro Berruguete La pittura fiamminga ebbe successo a Urbino - Giusto di Gand, Pala del Corpus Domini, 1473-74, Urbino. Alle storielle prospettiche di Uccello, Giusto di Gand risponde in un linguaggio nordico. Nella Comunione degli Apostoli rappresenta il momento in cui tutti hanno abbandonato la tavola. Cura dei dettagli e delle fisionomie. Irrazionalità della composizione. Federico è a destra. - Paolo uccello, Pala del Corpus Domini. Ne dipinse la predella. In sei episodi racconta il Miracolo dell’ostia profana. Essenziale scatola prospettica. - Pedro Berruguete, Federico da Montefeltro e il figlio Guidobaldo, ca. 1476, Urbino. Pittore spagnolo che parla fiammingo. Attimo di risposo: ancora in armi è intento alla lettura di un libro mentre il figlio si poggia al suo ginocchio. Atmosfera intima e luce soffusa. Indaga ogni dettaglio. 4. Fortezze e città ideali Francesco di Giorgio Martini andò ad Urbino per costruire delle fortificazioni allo scopo di difendersi dalle armi da fuoco. Tra le fortezze di Federico spicca la rocca di Sassocorvato, con un aspetto particolarmente massiccio e somiglia a una tartaruga. All’attività di Francesco si deve l’ammodernamento delle difese di San Leo, piazzaforte ubicata in cima a uno sperone roccioso. L’affermarsi degli ideali brunelleschiani e Albertini permetteva di aspirare a una progettazione più ambiziosa e funzionale degli spazi, che non si limitava solo a prevedere nuove chiese e palazzi, ma pianificava la nascita di città fondate su disegni urbanistici tanto razionali da apparire “ideali”. - Donato Bramante (?), Città ideale, ca. 1470-80, Urbino. Raffigura la piazza di una città imperniata su di un edificio a pianta rotonda e di gusto antiquario, chiusa lateralmente da una serie di palazzi che fanno l’effetto di quinte teatrali. La protagonista assoluta è la prospettiva. Pio II: un papa umanista tra Pienza e Siena A. Mantegna, Orazione di Cristo nell’orto, ca. 1455-60, National Gallery. Sorta di variante della predella. Curiosa Gerusalemme che, dentro le possenti mura, alterna architetture venete e romane, omaggio alla passione antiquaria del pittore. Mantova e i Gonzaga: Mantegna pittore di corte 1. Un intellettuale di corte Nel 1460 Mantegna si trasferisce a Mantova presso la corte del marchese Ludovico Gonzaga, e vi risiederà fino alla morte. - A. Mantegna, Morte della Vergine, ca.1460-64, Museo del Prado. Versione singolare con Maria distesa circondata da un gruppo di apostoli donatelliani per il vigore. In prospettiva si apre una finestra che mostra una realistica veduta: scorcio dell’antico ponte di San Giorgio. Fu il comune a far costruire il ponte per riorganizzare il corso del Mincio allo scomodi far si che Mantova non fosse più circondata da una palude ma da cinque laghi. 2. La Camera degli Sposi Negli anni Trenta il padre di Ludovico aveva fatto dipingere a Pisanello un ciclo cavalleresco ispirato alle tendenze del Gotico internazionale. Alle temperie rinascimentali si ispirano gli affreschi che Mantegna realizzò tra il 1465 e il 1474 nella cosiddetta “camera picta” o Camera degli Sposi. Concretezza del racconto di quotidiane scene di corte illustrato tramite un finto loggiato coronato da festoni. In una scena vediamo Ludovico di fronte alla corte che riceve una lettera da un segretario. È una celebrazione dinastica corredata da un gruppo di servitori. 3. Il soffitto della Camera degli Sposi e il prodigio degli scorci - A. Mantegna, Volta con busti di cesari e oculo prospettico, 1465-74. Soluzione prospettica innovativa. Finge elementi architettonici e una sequenza fastosa di busti clipeati. I medaglioni fanno da contorno all’idea di sfondare il soffitto con un oculo prospettico da cui si affacciano degli spiritelli. Felicissimo espediente illusionistico. - A. Mantegna, Cristo Morto, 1475-80, Pinacoteca di Brera. Eccezionale capacità prospettica dell’artista. È su tela e non su tavola (peculiare). Compianto sul Cristo morto: i dolenti si fanno di lato, quasi solo delle teste piangenti. Il corpo di Gesù monopolizza la scena. Attento studio dell’anatomia. Atmosfera cupa, colori spenti, effetto scultoreo. 4. Leon Battista Alberti a Mantova: San Sebastiano e Sant’Andrea Fu a Mantova in occasione del concilio del 1459. - San Sebastiano, post 1460. Aspetto classico del prospetto poi alterato. Originale struttura rialzata su una cripta e concepita a pianta centrale. Predilezione per la croce greca (conciliare cerchio e quadrato). - Sant’Andrea, post 1470. Frutto di un altro soggiorno. Completata solo nel XVIII secolo. Facciata ispirata a un tempio antico. Interno a pianta basilicale. Compattare il prospetto: uso delle lesene. Ferrara e gli Estensi: tre pittori e un progetto urbanistico 1. Nella Ferrara di Lionello e Borso d’Este 2. Lo stile rovente di Cosmè Tura - Cosmè Tura, Musa (Calliope?), 1458-63, National Gallery. Con Borso d’Este nasce una vera e propria scuola di pittura ferrarese, che ebbe il primo protagonista in Cosmè Tura (ca. 1433-95). Originariamente era parte di una serie destinata a decorate lo studiolo di Belfiore, una residenza degli Estensi. Temperamento estroso. Riconosciamo diversi artisti: Pisanello nel tono cortese; Piero della Francesca nella saldezza strutturale, la luce tersa il panneggio aderente. Le cromie accese e la - precisione descrittiva sono fiamminghe. Il risultato è un linguaggio eccentrico: fantasia del trono che ricorda la bottega di Squarcione. 3. I Mesi del Palazzo Schifanoia Palazzo Schifanoia sorge per godersi le gioie della vita. Nel Salone dei Mesi troviamo il ciclo allegorico dei mesi affrescato intorno al 1469 sulle novità di Tura. Il solo nome documentato è quello di Francesco del Cossa (1436-1478). Il tema dei mesi si dipana su tre registri: in alto il trionfo della divinità mitologica; in centro il segno zodiacale e le sue figure allegoriche; in basso uno scorcio della vita di corte. Del Cossa rilegge lo stile di Tura in un tono meno rovente e più disteso. Nel mese di Settembre sono stati riconosciuti gli esordi del terzo protagonista della pittura Ferrarese del Quattrocento: Ercole de’ Roberti (ca. 1450-96). È più vicino al lessico di Tura. 4. L’evolversi della pala d’altare Lo stile eccentrico ebbe fortuna anche sugli altari delle chiese. - Cosmè Tura, Pala Roverella, ca. 1476-79, National Gallery. Nonostante le cornici citino la struttura del polittico, lo spazio della pala vuole essere unico grazia alla prospettiva e alle arcate. - F. del Cossa e E. de’ Roberti, Pala Griffoni, 1470-73, smembrata. Trittico di formato rinascimentale. Alla predella lavora de’ Roberti. - E. de’ Roberti, Pala di Ravenna, 1479-81, Pinacoteca di Brera. Maturando, stempera le propensioni per il Tura per un gusto più quieto. Formato moderno, spazio unificato, quadripartito all’antica. 5. Un precoce progetto urbanistico: l’”addizione erculea” di Biagio Rossetti Interesse degli Estensi per una razionale organizzazione dello spazio urbano. Intorno al 1484 l’architetto Biagio Rossetti disegnò il progetto che venne realizzato tra 1492 e 1510. L’”addizione erculea” prendeva spunto dal modello romano degli assi viari ortogonali. Le due arterie si intersecano nel Palazzo dei Diamanti, progettato da Rossetti nel 1492. È un edificio rinascimentale i cui prospetti sono decorati con un bugnato marmoreo in forma di punta di diamante. Gli Sforza e il primo Rinascimento a Milano 1. Filarete: realtà e fantasia Nel 1447 Filippo Maria Visconti morì senza eredi, e la figlia sposò Francesco Sforza, che dal 1450 si impose come nuovo duca di Milano. La famiglia Sforza ha marchiato il paesaggio urbano di Milano con il Castello Sforzesco. Per proteggerne l’ingresso venne innalzato un torrione di gusto gotico per mano del Filarete, trasferitosi nel 1451 alla corte sforzesca, di cui oggi vediamo una ricostruzione. Durante questo soggiorno, Filarete scrisse un trattato dedicato alla progettazione di Sforzinda, una città ideale che non venne mai realizzata. La maggiore impresa del maestro è l’Ospedale maggiore, fondato nel 1456. Cultura ibrida tra Gotico e Rinascimento (compresenza di bifore con arco acuto e loggiato con arco a tutto sesto). 2. Vincenzo Foppa: solidità rinascimentale e verismo nordico Cappella provata del fiorentino P. Portinari nella chiesa domenicana di Sant’Eustorgio. Non si sa chi sia l’autore dell’architettura ma si coglie l’ispirazione alla razionalità brunelleschiana. Vincenzo Foppa, autore del ciclo nelle lunette e negli Marconi con Storie di San Pietro Martire e della Vergine nella Cappella Portinari, può essere considerato il primo grande interprete della pittura rinascimentale a Milano. 3. Zanetto Bugatto: il mistero di un lombardo a Bruxelles - V. Foppa, Madonna col Bambino, ca.1465, National Gallery. Chiara dipendenza dalla pittura fiamminga nell’atmosfera domestica e nell’impostazione. Nella bottega di Wan der Weyden lavorò il lombardo Zanetto Bugatto. Napoli capitale aragonese: da Colantonio ad Antonello 1. Alfonso d’Aragona, signore di Napoli Nel golfo napoletano c’è un chiaro segno della dominazione aragonese: Castel Nuovo. Nel 1443 Alfonso d’Aragona entra a Napoli e prende il posto di Renato d’Angiò. Il Castel Nuovo che vediamo oggi è frutto di una ristrutturazione di una vecchia fortificazione angioina. Le possenti torri rispondono a nuove esigente delle guerre (armi da fuoco). L’arco all’antica rivolto verso il centro urbano risponde ad un gusto albertiano, anche se c’è ancora qualcosa di gotico. Al centro dell’arco superiore era previsto un monumento equestre di Alfonso. Donatello, a cui fu richiesta la statua, non laterminò mai: rimane una Testa di Cavallo (ca. 1455), che impressiona per il verismo. Affacciato sul Mediterraneo, Napoli era un grande centro internazionale. La corte impazziva per la pittura fiamminga. 2. Colantonio: il maestro di Antonello Le ignote presenze fiamminghe a Napoli sono fondamentali per capire il linguaggio di Colantonio. - Colantonio, Pala di San Lorenzo Maggiore, ca.1445-50, Museo Nazionale di Capodimonte. In basso c’è San Girolamo nello studio, in alto San Francesco consegna la regola. Non c’è nulla di rinascimentale. Panneggi nordici, i volti hanno un’aria catalana. I libri di san Girolamo sono riprodotti con grande attenzione del reale (fiamminghi). 3. Verità fiamminga e spazialità italiana: Antonello da Messina Nella bottega di Colantonio si formò Antonello da Messina (ca. 1430-1479). Antonello da Messina, Crocifissione di Sibiu, ca. 1460, Romania. Nelle figure guarda modelli fiamminghi, ma nello sfondo propone una veduta dilatata dello Stretto di Messina. - A. da Messina, Ritratto d’uomo, 1460-70, Cefalù. Rendere la realtà di un volto. Come i fiamminghi è specialista nel ritratto. Adotta la luce fiamminga e la pittura a olio (personaggio di tre quarti su fondo scuro). - A. da Messina, Polittico di San Gregorio, 1473, Messina. Gli era nota la pittura di Piero. Consapevolezza spaziale e tridimensionale: crea uno spazio unificato nonostante l’astratto fondo oro grazie al basamento del trono. Forme volumetriche. - A. da Messina, Annunciazione di Palazzolo Acreide, 1474, Siracusa. Interno domestico. Amalgama la definizione e la luce fiamminga con un’efficace resa tridimensionale. Giovanni Bellini e l’origine della pittura veneziana 1. Gli esordi di Giovanni Bellini: sulle orme di Mantegna Alla metà del Quattrocento Venezia cominciò ad aprirsi al Rinascimento. Antonello da Messina passò in Laguna, e la luce e il colore divennero gli strumenti di una rappresentazione della realtà peculiare della pittura veneziana, che presto avrebbe adottato su larga scala la tecnica dell’olio su tela. Principale protagonista fu Giovanni Bellini, detto il Giambellino (ca.1430-1516), la cui carriera si estende su un lungo periodo. La sorella sposò Mantegna e in famiglia erano pittori. - G. Bellini, Pietà Correr, ca. 1460, Venezia. La prima fase è connotata da uno stile padovano. Intenerisce le durezze squarcionesche e mantegnesche con una luce calda che leviga le forme. Il paesaggio è rischiarato da un cielo crepuscolare. Raffigura un borgo che arricchisce con architettura all’antica. - G. Bellini, Orazione di Cristo nell’orto, ca. 1460-65, National Gallery. VS Orazione di Mantegna. Cerca di intenerire le durezze attraversi la luce calda che rischiara il cielo. - Trasfigurazione Correr VS Trasfigurazione di Capodimonte. La prima, degli anni ’50, è narrata alla maniera di Mantegna. Nella seconda, del finire degli anni ’70, le asperità mantegnesche sono circoscritte alla sedimentazione rocciosa; la superficie - A. del Verrocchio, Monumento sepolcrale di Piero e Giovanni de’ Medici, 1469-72, San Lorenzo. Il sarcofago è collocato in un’intercapedine a forma di arcosolio. Gusto antiquario che rimanda alle tombe in Santa Croce ma rinuncia alle figure e sceglie si sottolineare il prestigio del complesso, mettendo al centro un sepolcro di porfido con raffinati elementi in bronzo, che culminano nella gita a finta corda. La sobrietà è compensata dalla ricchezza dei materiali. - A. del Verrocchio, Incredulità di San Tommaso, 1467-83, Orsanmichele. Nicchia dell’Arte della Mercanzia. Nuova tipologia di composizione che accentua il senso di movimento. Cristo accoglie l’apostolo alzando il braccio, il piede di Tommaso è posto fuori dall’incavo: strategia di composizione che accoglie lo spettatore (formato piramidale). - A. del Verrocchio, Battesimo di Cristo, ca.1475, Firenze. Usa il formato piramidale anche in pittura. Identità di stile con il gruppo di Orsanmichele: accentuata gestualità, panneggio modellato dalla luce. Definizione anatomica del corpo (Pollaiolo). Alcuni dettagli furono eseguiti d a Leonardo: la testa dell’angelo di sinistra e il nebbioso paesaggio (attenzione per il naturale). 2. Gioventù di Leonardo e di Botticelli Leonardo da Vinci (1453-1519) si forma nella bottega del Verrocchio. - Leonardo, Paesaggio del Valdarno, 1473, Firenze. Inchiostro su carta. Modernità impressionante. Rinuncia alla minuzia descrittiva fiamminga e rende il senso atmosferico delle cose. Aveva già in mente un nuovo tipo di pittura teso a indagare scientificamente la natura. - Leonardo, Annunciazione di Monteoliveto, ca.1475, Firenze. Pala d’altare. Gabriele si inginocchia nell’hortus conclusus. La Vergine siede sulla soglia di fronte a un leggio (secondo la tradizione stava leggendo l’Antico Testamento. Nei panneggi plasmati dalla luce vediamo i segni della formazione del Verrocchio, come anche nell’impostazione piramidale di Maria. Sono elementi personali la morbidezza della capigliatura e il paesaggio con rocciose montagne, tema caro al pittore. - Leonardo, Adorazione dei Magi, 1481-82, Firenze. Opera incompiuta ma che mostra una nuova animazione. La Madonna col Bambino sta al centro (in genere è a lato), e intorno ad essi ruota un folto gruppo. In secondo piano un edificio in costruzione si alterna con il consueto paesaggio roccioso. Assoluta competenza prospettica. Incessante moto: chiave di volta della sua pittura. - S. Botticelli, Adorazione dei Magi, 1475-47, Firenze. Sandro Botticelli (1445- 1510) pone Maria e Cristo al centro entro una rovina. I Medici sono omaggiati con una serie di ritratti. Anche il pittore stesso si è autoritratto. L’effetto è meno concitato, le figure sono costruire attraverso netti contorni (Pollaiolo). Botticelli si forma con Filippo Lippi, infatti le sue più antiche opere somigliano molto alle ultime di Filippo Lippi, che dal 1452 al 1465 fu impernato nel vasto ciclo di affreschi con Storie dei Santi Stefano e Giovanni Battista nel Duomo di Prato. 3. Lorenzo il Magnifico: collezionismo, umanesimo e cultura antiquaria A creare il mito dell’età laurenziana era stato Giorgio Vasari. Lorenzo il Magnifico aveva creato un nucleo di giovani che si formarono studiando la sua collezione di sculture, e fra questi vi era il giovane Michelangelo. Nel corso del Quattrocento si diffuse il fenomeno del collezionismo, e la raccolta laurenziana si distinse per il numero e l’eccezionalità dei pezzi. Marsilio Ficino diede vita nel 1462 all’Accademia Neoplatonica sotto la protezione medicea. Volendo resuscitare l’Accademia ateniese, il circolo proponeva una filosofia fondata sul recupero del pensiero di Platone basandosi sugli scritti del neoplatonico Plotino e sulla concisione di una possibile armonizzazione del pensiero filosofico con la spiritualità e la fede cristiana. 4. Giuliano da Sangallo: una villa, una chiesa e un palazzo Lorenzo commissionò negli anni Ottanta la Villa di Poggio a Giuliano da Sangallo. Realizza un dialogo con il territorio circostante. Elegante palazzo con un solido porticato alla base cui si accede tramite una doppia rampa a tenaglia frutto di un intervento successivo. Vero e proprio prototipo di villa moderna pensato affinché il proprietario potesse trascorrere un felice otium. Dall’altra parte, le cascine: complesso agricolo articolato e moderno in cui il paesaggio viene riscritto secondo una misura armonica e completa (lezione neoplatonica). Nella vicina Prato affidò a Giuliano la chiesa di Santa Maria delle Carceri. Pianta a croce greca, uno dei primi esempi di chiesa a pianta centrale. Familiarità con i modelli dell’architettura fiorentina. Razionale e austera scansione spaziale. Partiture architettoniche bicrome (Alberti). - Palazzo Strozzi (su progetto di Giuliano da Sangallo), ca. 1489-1505, Firenze. Del mercante e banchiere Filippo Strozzi, che riprende le forme cubiche di Palazzo Medici e analogamente si innalza su tre piani intorno a un cortile, con un prospetto in bugnato digradante in altezza sul quale su aprono finestre quadrate e bifore a salire. 5. Le favole pagane di Sandro Botticelli La fortuna del Neoplatonismo si associa al nome di Sandro Botticelli e a due dipinti forse destinati in origine a Palazzo Medici e commissionati da Lorenzo di Pierfrancesco. Soggetto profano e mitologico, linguaggio di gusto estetizzante (tende alla raffinatezza e alla bellezza). - S. Botticelli, Primavera, ca. 1478-1482, Uffizi. Al centro c’è Venere accompagnata da Cupido bendato; alla sua sinistra Zefiro rapisce per amore la ninfa Clori che, unitasi al vento, rinasce nella forma di Flora, personificazione della Primavera. A destra danzano le tre Grazie mentre Mercurio scaccia le nubi. Immagine gioiosa che richiama la poesia di Poliziano. - S. Botticelli, Nascita di Venere, ca. 1482-85, Uffizi. Venere approda su Cipro sopra una conchiglia e sospinta da Zefiro abbracciato a una figura femminile. È accolta da un’ancella che le porge un manto fiorito. È un episodio raccontato nelle Metamorfosi. Illustrano temi cari al circolo neoplatonico. Rinuncia alle predilezioni prospettiche e propone scene in cui la resa spaziale viene di fatto elusa. Riproduce dettagliatamente specie botaniche e le onde del mare. Le figure appaiono bidimensionali e prive di rigore plastico: rinuncia alla materialità proponendo la visione di un paradiso divino e ideale. 6. Il compimento della Cappella Brancacci La Cappella Brancacci era palestra per la formazione dei giovani pittori fiorentini. - Filippino Lippi, Crocifissione di San Pietro, ca. 1477-78, Torino. Filippino Lippi (1457-1504) era figlio di Filippo. Negli anni Ottanta ultimò le Storie di San Pietro lasciate incompiute. Fece il suo apprendistato con Brunelleschi, da cui dipendono le sue opere più antiche. 7. Ghirlandaio e Filippino: le influenze della pittura fiamminga e l’antico Nel tardo Quattrocento vi furono grandi cicli destinati a cappelle familiari in edifici pubblici. - D. Ghirlandaio, Cappella Sassetti, Storie di san Francesco e Adorazione dei Pastori, 1482-85, Firenze. Domenico Ghirlandaio (1449-1494) elabora un linguaggio affabile, chiaro e sereno. Ambienta qualche episodio a Firenze. Al centro della cappella vi è una sorta di trittico, una pala con l’Adorazione con i committenti inginocchiati. Nel formato, le lesene della capanna palesano espliciti richiami all’antico. Spiccato verismo dei pastori e dei committenti: omaggio alla pittura fiamminga, in particolare al cosiddetto Trittico Portinari (ca.1477-78, Hugo van der Goes) che illustra la Natività e che conferma i continui scambi tra Firenze e le Fiandre. - Filippino Lippi, Apparizione della Vergine a San Bernardo da Chiaravalle, ca.1484- 85, Firenze. Carica di suggestioni nordiche nella definizione dei dettagli e nel realismo del committente raffigurato in abisso. - - D. Ghirlandaio, Cappella Tornabuoni, Storie della Vergine e di San Giovanni Battista, 1485-90, Firenze (Santa Maria Novella). Nella Natività della vergine si sofferma sulla qualità illusionistica della stanza. Descrive una scena cogestrice con le donne di casa Tornabuoni. La camera è riccamente arredata come una camera fiorentina. Una stanza simile ma più austera torna nella Nascita di San Giovanni Battista. nell’Annuncio dell’angelo a Zaccaria il registro antiquario è esaltato grazie alla scenografia ispirata a un arco romano. Ci sono alcuni membri della famiglia medicea. - Filippino Lippi, Cappella Strozzi, Martirio di San Giovanni Evangelista, 1487-1502, Firenze (Santa Maria Novella). Il pittore andò a Roma dal 1488 al 1493: studiando l’antico dette al suo linguaggio una svolta in senso archeologico. Il protagonista è immerso in un pentolone di olio bollente da cui uscita illeso. Si distingue dal Ghirlandaio per la natura appassionata e la carica espressiva dei personaggi, ma anche per il ridondante gusto antiquario. 8. Il Giardino di San Marco, gli esordi di Michelangelo e la scultura Michelangelo Buonarroti (1475-1564) e si formò nella bottega del Ghirlandaio. La sua vera formazione si realizzò grazie alla protezione di Lorenzo il magnifico e alla frequentazione del “Giardino di San Marco”, ovvero un giardino in cui le figure antiche e pitture erano una sorta di accademia per giovani pittori. Anche il giovane Michelangelo si esercitò disegnando le figure affrescate nella Cappella Brancacci. - Michelangelo, Madonna della Scala, ca. 1490-1492, Firenze. Evidente ispirazione donatelliana nell’uso dello stiacciato, nei panni aderenti e nelle forme della grande Vergine, nelle figure dei bambini (muscoloso Gesù e motivi donatelliani sullo sfondo). - Michelangelo, Battaglia dei centauri, ca. 1490-92, Firenze. Linguaggio distante da quello donatelliano. Il tema della battaglia è un espediente per studiare le pose dei corpi e richiamata soggetti cari alla scultura antica. Dal Giardino Michelangelo usciva con una solida formazione sull’antico. Rinunciando allo stiacciato donatelliano, fece emergere dal fondo delle figure solide, volumetriche e carnose. - Michelangelo, Crocifisso di Santo Spirito, ca. 1493, Firenze. Inizia a tagliare i ponti con la tradizione brunelleschiana e donatelliana. Forme piene e levigate segno della lezione di virtù- suo dati concavi del basamenti vi sono le immagini allegoriche delle Arti liberali (tra cui la Prospettiva). - A. del Pollaiolo, Monumento sepolcrale di Innocenzo VIII, ca. 1493-97. Fu successore di Sisto IV. Più tradizionale schema parietale. Compare due volte: disteso sul letto di morte e seduto in posa benedicente. Accompagnano le quattro virtù cardinali e le tre teologali. 7. I cicli ad affresco di Perugino e Pinturicchio - Perugino, Sala delle udienze del Collegio del Cambio, 1496-1500, Perugia. La volta è un tesoro di grottesche. Nelle lunette inferiori c’è un ciclo con Natività, Trasfigurazione, Profeti e Sibille, Virtù e Eroi antichi. Sdolcinato stile maturo. Consueto paesaggio. Linguaggio facile e attraente. - Pinturicchio, Libreria Piccolomini, 1502-08, Siena. Vasto spazio che si apre nel Duomo. Soffitto con grottesche. Dieci finestrini in cui sono narrate le vicende di Enea Piccolomini. Vera e propria biografia dipinta. 8. Gli inizi umbri di Raffaello Raffaello Sanzio (1483-) nacque a Urbino. Perugino lo accolse nella sua bottega: nelle prime opere umbre appare come un alter ego del maestro. - Raffaello VS Perugino, Crocifissione. Il dipinto corrisponde alla pittura di perugino nella composizione ordinata, negli equilibrati accordi cromatici, nella svenevole tenerezza delle figure, nel quieto paesaggio. - Raffaello, Sposalizio della Vergine, 1504, Pinacoteca di Brera. Raffigura il momento in cui prende come sposa Maria. Si muove ancora sulle orme del maestro (pavimento prospettico che conduce al tempio a pianta centrale). Le forme dell’edificio spiccano con maggiore evidenza poiché ha alzato il punto di vita e atteggiato i personaggi in primo piano con maggiore libertà. La Milano moderna di Ludovico il Moro e altre esperienze lombarde 1. Leonardo a Milano Leonardo da Vinci è a Milano dal 1483 al 1499, dove fu al servizio della corte di Ludovico Maria Sforza detto il Moro, che rimase signore della città fino alla conquista francese de 1499. Al Moro Leonardo si propose non solo come pittore, ma come artista a tutto tondo. - Leonardo, Monumento equestre di Francesco Sforza. Non fu mai portato a compimento. Elaborò una soluzione ardita, immaginando il destriero impennato su due zampe. Avrebbe dovuto essere colossale, superando i sette metri di altezza. Ludovico gli chiese di occuparsi del sistema dei Navigli, i canali navigabili che mettevano in comunicazione Milano con il Ticino e l’Adda. Operò in particolare per la cosiddetta “conca dell’Immacolata” per risolvere il problema del dislivello tra la parte alta e bassa delle città. - Leonardo, La Vergine delle rocce. Commissione per la confraternita dell’Immacolata Concezione. Ci sono arrivare due versioni, forse conseguenza di una lite con la confraternita. La versione più antica (1483-85) è conservata al Louvre. La Vergine siede a terra su un paesaggio roccioso in cui le piante sono indagate con precisione naturalista. A destra c’è san Giovannino rivolto verso il Cristo fanciulllo accompagnato da un angelo. Disposizione piramidale di rilordo verrocchiesco. Le figure palpitano di vita grazie allo “sfumato”, una tecnica che ne attenua i contorni, tendendo a fonderli, attraverso il colore, con l’aria umida. Immagine intima e incantata. Alla confraternita finì la variante della National Gallery (1494-1508), dove l’atmosfera è più limpida e tutto è più definito. - Leonardo, Dama con l’ermellino, ca. 1489-90, Cracovia. Dal fondo scuro emerge la giovane Cecilia Gallerani adornata secondo la moda dell’epoca. L’ermellino è simbolo di purezza e forse allude all’ordine cavalleresco cui appartenne il Moro. Cecilia era la donna amata dal signore di Milano. Sono rivolti a sinistra. Il contrasto tra le figure e il fondo scuro, come anche le figure di tre quarti ricordano i ritratti alla fiamminga di Antonello da Messina, che tuttavia Leonardo seppe rinnovare (le pose non sono più rigide, le gestualità indicano movimento). - Leonardo, Ultima cena, ante 1498, refettorio di Santa Maria delle Grazie. Usa una tecnica particolare: dipinge su intonaco asciutto e ritocca continuamente. A causa della tecnica il dipinto è assai deteriorato. Luce soffusa e adozione dello sfumato. Rigore spaziale e salone privo di ornati. Predilezione per le figure e i gruppi piramidali. La novità è la scelta del tema e il modo in cui viene trattato: non l’eucarestia ma l’annuncio del futuro tradimento, che provoca un intenso turbamento che emerge attraverso la gestualità. Vuole rendere i “moti dell’animo”. VS Ultima cena del Ghirlandaio (reazione meno concitata). Leonardo va verso la Maniera moderna. 2. Bramante pittore e architetto Donato Bramante (1444-1514) proveniva da Urbino, e anch’egli era stato accolto a Milano. Decisamente segnato dalle esperienze di Piero della Francesca. - D. Bramante, Cristo alla colonna, ca. 1490, Pinacoteca di Brera. Si nota il sostrato pierfrancescano. Solida mezza figura di Cristo, attentamente studiato nell’anatomia. Pilastro con motivi antiquari. Luce netta e risoluta, Gesù appare levigato come il marmo. Sullo sfondo montagne rocciose, ma non c’è spazio per le foschie leoanrdesche. - D. Bramante, Santa Maria presso San Satiro. Nel campo dell’architettura si specializzò in eccezionali competenze prospettiche. Prospettiva per risolvere un problema di spazio: ricava un vano illusionistico che inganna l’occhio alla vista di un coro capiente. - D. Bramante, Presbiterio di Santa Maria delle Grazie. Rinnovare l’area del presbiterio, che reimpostò sulla superficie di un quadrato. Sopra esso sorse una cupola. Monumentalità. All’esterno le pareti evidenziano un gusto lombardo per la bicromia e la profusione decorativa, resa attraverso elementi di gusto antiquario. 3. Cantieri lombardi: la Certosa di Pavia La devozione bramantesca per l’antico e la prospettiva si trovò a fare i conti con la peculiare predilezione decorativa lombarda che tendeva a rifuggire la semplicità dei volumi puri, riempiendo le pareti di colori e di elementi scolpiti. A guardare l’esuberanza cromatica e ornamentale della facciata della Certosa di Pavia, sembra di osservare un’architettura gotica. In realtà, gli elementi architettonici sono ormai rinascimentali: i vocaboli del nuovo stile sono presenti ma organizzati in una sintassi ampollosa. 4. Cantieri lombardi: la Cappella Colleoni a Bergamo Bartolomeo Colleoni volle innalzare un vero e proprio mausoleo nella piazza della Cattedrale. La facciata abbiada du elementi rinascimentali e sculture, e attesta la fortuna dell’idioma colorato e ornamentale lombardo. Rilettura dell’antico con una personale espressività. L’autore è Giovanni Antonio Amedeo, autore anche della Certosa di Pavia. - G. A. Amedeo, Monumento sepolcrale di Bartolomeo Colleoni, ca. 1472-76, Bergamo. Impostato su pianta quadrata. Statua equestre del defunto. Figure di antici condottieri ai piedi del sarcofago in meditazione. 5. I pittori lombardi, Mantegna e lo studiolo di Isabella d’Este Il bergamasco Bartolomeo Suardi fu detto Bramantino (documentato dal 1480-1530) in virtù della sua speciale dipendenza dall’artista, che lo educò ai valori della prospettiva e al gusto per le forme monumentali, che tuttavia interpretò in modo originale. - Bramantino, Cristo risorto, ca. 1490, Madrid. È una sorta di versione enigmatica e lunare del Cristo del Bramante. Particolare luce fredda e studio delle anatomie. Metallica articolazione delle pieghe del sudario che richiama il panneggiare del Mantegna e degli scultori lombardi. Mantegna, a Mantova continuava a essere il pittore dei Gonzaga. - A. Mantegna, Pala della vittoria, 1496, Louvre. Le novità lombarde non fecero presa su Mantegna. Fatta per celebrare l’esito della battaglia di Fornovo. Entro un pergolato che abbonda di frutti e animali, che evoca la formazione squarcionesca, ha inscenato una sacra conversazione con figure solenni. C’è la Vergine col Figlio e un folto gruppo di santi. A sinistra Federico Gonzaga. Isabella d’Este era la moglie di Francesco Gonzaga, e mise in piedi una corte colta, essendo essa stessa appassionata di lettere, musica, moda (..). Isabella progettò di allestire nel Castello di San Giorgio due ambienti emblematici: uno studiolo e una grotta (destinata a conservare un’eccezionale raccolta di antichità). Lo studiolo accolse una serie di dipinto commissionati ai principali pittori del tempo. Il ciclo oggi si conserva al Louvre. - A. Mantegna, Parnaso, 1497. Consueto spirito antiquario, mostra Muse in atto di danzare al suono della cetra di Apollo e altre divinità. Venere e Marte uniti alludono a Isabella e al marito, sotto il cui governo fioriscono le arti. - Perugino, Lotta tra amore e castità, 1505. Numerose figure mitologico. Languido gruppo in primo piano con alle spalle uno dei suoi tipici paesaggi umbri. Venezia alla fine del secolo 1. Colore e natura: Giovanni Bellini Mentre Venezia costruita il suo impero, Giovanni Bellini dipingeva due dipinti che ne attestavano il ruolo dominante nell’ambiente artistico lagunare. - G. Bellini, Pala dei Frari, 1488-89, Venezia. Voluto dalla famiglia Pesaro. È un trittico ma non guarda al passato: al formato gotico preferisce un assetto e una decorazione di gusto antiquari. Unifica lo spazio, costruzione prospettica degli elementi. Morbido e naturalistico tono. Basamento del trono in cui riecheggiano i valori prospettici. Alle estremità sottili brani di paesaggi rischiarati. - G. Bellini, Madonna col Bambino, il doge Agostino Bargarigo e i santi Marco e Agostino, 1488, Murano. È un “telero” (tela di formato rettangolare) che celebra la figura del doge, ritratto inginocchiato. Scena ambientata in un balcone che si affaccia su una veduta dell’entroterra veneto. Raffinato tendaggio. Spunti che esploderanno nella pittura Giorgione, sperimenta due dei cardini della pittura veneziana del Cinquecento: l’olio su tela e il “tonalismo”, ovvero una pittura non definita precisamente dal disegno e dalla prospettiva, ma concepita attraverso uno studiato accostamento dei toni del colore, usato per dare forma alle figure. 2. Colore e natura: Cima da Conegliano Alle novità di Bellini seppe guardare Cima da Conegliano (documentato a Venezia dal 1486-1518). - Cima da Conegliano, Madonna col Bambino e santi, 1492-93, Conegliano. Deferenza a Bellini evidente. Tipica sacra conversazione con trono elevato. Cielo azzurro sul fondo con luce cristallina. - Cima da Conegliano, Madonna dell’Arancio, ca. 1496-98, Venezia. Impegno nella raffigurazione del paesaggio veneto. Ambientato in campagna. Tema agreste, luce netta e decisa che va a plasmare i personaggi. 3. Teleri e scuole: Gentile Bellini e Vittore Carpaccio A noi non è arrivato quasi nulla della decorazione quattrocentesca dei principali ambienti di Palazzo Ducale, poiché distrutte da un incendio nel 1577. In quanto l’umidità della Laguna rendeva breve la vita degli intonaci, Gentile (incaricato dal 1474 di rinnovare le Storie di Alessandro III e Federico Barbarossa affrescate da Gentile da Fabriano e Pisanello) iniziò ad adottare i telerò: grandi tele cucite, dipinte e montate su articolati telai. Fu così che a Venezia la pittura a olio su tela iniziò a diffondersi in tutta Europa, finendo per soppiantare quella su tavola. Gentile divenne il pittore ufficiale maestri riescono a superare gli antichi e la natura stessa. A Venezia i protagonisti furono Giorgione e Tiziano; in Emilia Correggio e Parmigianino; ma il vero motore fu la Roma di Giulio II e Leone X. La miccia era stata innescata a Firenze, dove, agli inizi del secolo, Leonardo, Michelangelo e Raffaello avevano convissuto per un breve lasso di tempo. - Michelangelo, David, 1501-04, Galleria dell’Accademia. Nel 1501 venne commissionata a Michelangelo una statua del David da collocare su uno dei contrafforti del Duomo. Il blocco di marmo era alto più di 5 metri. Fu collocata davanti a Palazzo Vecchio, da dove fu spostato nel 1873 e trasferito alla Galleria dell’Accademia. La scelta della collocazione era giustificata dal significato politico della statua, eletta a simbolo della Repubblica: come David aveva difeso il suo popolo e governatolo con giustizia, così doveva fare chi governava Firenze. La figura era cara alla città, tanto che già Donatello e il Verrocchio lo avevano effigiato in statue di bronzo. Nelle figure quattrocentesche appare come un adolescente trionfante. Michelangelo raffigura un giovane atletico dal fisico perfetto. David non ha ancora vinto, è pronto alla tenzone. La posa appare carica di energia: la posa richiama al contrapposto della scultura antica. 2. La Battaglia di Anghiari e la Battaglia di Cascina : Leonardo e Michelangelo Decorazione della Sala del Consiglio Grande in palazzo Vecchio (sala poi nota come Salone dei Cinquecento). Le pareti dovevano essere dipinte con scene di battaglia per ricordare le passate affermazioni militari della Repubblica. Di questi due enormi affreschi, nessuno è giunto fino a noi; ciò che vediamo oggi è opera di Giorgio Vasari. - Leonardo, Battaglia di Anghiari, 1503-05. Nel 1440 i Fiorentini sconfissero l’esercito milanese. Evidente passione per i cavalli e moti dell’animo: la scena si focalizzava su un gruppo di cavalieri che si azzuffavano. Dopo aver eseguito un cartone preparatorio, sperimentò una tecnica a encausto ispirata alla pittura romana: fu un fallimento. Oltre ad alcuni studi restano alcune copie: importante il movimento, le pose ardite, le escrezioni. - Michelangelo, Battaglia di Cascina, 1504. I Fiorentini sconfissero i Pisani nel 1364. Ridusse l’episodio a uno studio di nudi in movimento. Raffigura il momento in cui i Fiorentini, avvertiti dell’arrivo del nemico, stavano facendo i bagni nell’Arno. A causa della sua partenza per Roma nel 1505 il cartone preparatorio non venne mai tradotto in affresco. Fu smisurata la fama del disegno. Ad Aristotile da Sangallo di deve una fedele copia che testimonia l’energia della composizione, con corpi energici colti in scorci arditi e movimenti innaturali. 3. Scultura in pittura: il Tondo Doni Le pitture di Michelangelo ci appaiono come fossero traduzioni bidimensionali delle sue voluminose statue. - Michelangelo, Tondo Doni, ca. 1507, Uffizi. I dipinti tondi ebbero buona diffusioni nelle case fiorentine abbienti del Rinascimento. La commissione venne dal banchiere Angelo Doni. Il dipinto è dominato dal gruppo scultoreo della Sacra famiglia, colto in una posa innaturale. La Vergine muscolosa è a terra e si volta a prendere il muscoloso Bambino. Complicato esercizio di equilibrio cui assiste san Giovannino, in secondo piano dietro una trincea, che a sua volta separa il fondale roccioso popolato da una serie di nudi (predilezione per la purezza della figura umana). In alcuni nudi sembra omaggiare l’Apollo del Belvedere e il Laooconte. Si crede che il dipinto serva a celebrare la nascita di Maria Doni. Sicuramente, preannuncia quanto avrebbe fatto sulla volta della Sistina anche nei colori acidi, nel paesaggio spoglio e nelle figure dei protagonisti. - Michelangelo, Tondo Pitti, ca. 1505, Firenze. Identica carica di energia potenziale. Vergine costretta nelle dimensioni troppo piccole del formato. Gioca sugli effetti della materia. San Giovannino è scolpito in stiacciato. 4. Pittura in scultura: i bronzi di Giovan Francesco Rustici Per Leonardo il primato andava alla pittura, mentre la scultura è un’arte meccanica. La pittura prevede maggior fatica “di mente”. Nella Firenze di primo Cinquecento: rinnovare i gruppi scultorei per coronare le porte del Battistero. La commissione andò a Giovan Francesco Rustici, che nel realizzare l’impresa ebbe a fianco Leonardo. 5. Il giovane Raffaello matura con Leonardo, Michelangelo e Fra Bartolomeo. Raffaello fece tesoro delle novità di Leonardo e Michelangelo quando soggiornò a Firenze tra 1504 e 1508, dove dimostrò di evolvere rispetto alla tradizione del maestro Perugino. - Leonardo, Madonna col Bambino, sant’Anna e un agnellino, post 1503, Louvre. Tra le opere ammirate da Raffaello vi fu questa. Tipici caratteri leonardeschi: paesaggio roccioso, disposizione piramidale, resa sfumata, gestualità accentuata che allude ai moti dell’animo. - Raffaello, Madonna del cardellino, ca. 1506, Uffizi. Presenza dell’uccellino. Paesaggio umbro ma si discosta dal Perugino per l’impostazione piramidale e, in generale, lo studio di Leonardo è evidente. Conoscenza di Michelangelo (testa di Maria e fattezze del Giovannino). - Raffaello, Sacra famiglia Cangiani, ca. 1507, Monaco di Baviera. Composizione piramidale. Vergine accovacciata (riflesso del Tondo Doni), interazione tra le figure e moti dell’animo sulla lezione di Leonardo. - Raffaello, Ritratto di Agnolo Doni e Ritratto di Maddalena Strozzi, ca. 1506, Uffizi. Sono i committenti del Tondo Doni. Di tre quarti e a mezza figura. Balcone che affaccia sulla campagna toscana nello stile del Perugino. La formula era stata elaborata da Memling e si era diffusa in Italia, trovando un ottimo interprete nel Perugino. Concretezza del corpo e degli indumenti maggiore che nel Perugino. Nell’impostazione vediamo un omaggio alla Gioconda. - Leonardo, Gioconda, post 1503, Louvre. È il ritratto di Lisa Gherardini, moglie del fiorentino Francesco del Giocondo. Elementi della pittura di Leonardo: sfondo montuoso e nebbioso solcato da corsi d’acqua, attenzione al dettaglio naturale, uso accuratissimo dello sfumato, espressività intesa a rendere i moti dell’animo. - Baccio della Porta (Fra Bartolomeo), Apparizione della Vergine a San Bernardo, 1504-07, Uffizi. Esprime la devozione attraverso una composizione bilanciata e un gusto per il colore denso e ricercato con un gusto leonardesco per gli squarci di paesaggio. - Leonardo, Deposizione Baglioni, 1507, Galleria Borghese. Alludere alla grafica vicenda della famiglia Baglioni. Più che una deposizione pare un trasporto al sepolcro. La donna che si volta a sorreggere Maria strizza l’occhio al Tondo. Azione drammatica e un ruolo fondamentale è il giovane atletico che sorregge Cristo (palese debito michelangiolesco). Raffaello intesse un profondo dialogo con Fra Bartolomeo. La natura di venezia: Giorgione e la gioventù di Tiziano e Lorenzo Lotto 1. Venezia agli inizi del secolo: Dürer e Giovanni Bellini - Vittore Carpaccio, Leone di san marco, 1516, Palazzo Ducale di Venezia. Simbolo dell’evangelista e dell’antica Repubblica. Si staglia a metà tra terra e acqua a sottolineare il potere della Serenissima. Venezia è una città cosmopolita e multiculturale, ponte fra Oriente e Occidente. Vi erano tante comunità, e ognuna aveva il suo fondaco, ovvero la sua sede. Il più illustre era il Fondaco dei tedeschi. Venne anche istituito il primo ghetto ebraico della storia. - Albrecht Dürer, Festa del Rosario, 1506, Praga (ma venne dipinto a Venezia). Sullo sfondo di un paesaggio alpino allestisce una scena colorata e fastosa, dove la Madonna col Bambino incoronano il papa e l’imperatore. Nel largo seguito c’è anche il pittore. Dürer conosceva bene Venezia, in quanto vi aveva soggiornato diverse volte. Giovanni Bellini agli inizi del Cinquecento, seppur settantenne, rimaneva protagonista assoluto. - G. Bellini, Ritratto del doge Leonardo Loredan, 1501-02, National Gallery. Lo ritrae alla maniera di Antonello da Messina, affiancato da un davanzale con un cartiglio con la firma del pittore. È di tre quarti con la veste damascata e il copricapo dogale. Fondo azzurro lapislazzuli. - G. Bellini, Pala di San Zaccaria, 1505, Venezia. Sacra conversazione con i protagonisti su un trono sopraelevato. Abside all’antica decorata a mosaico. L’angelo musicante è un motivo a lui caro. Carattere assorto e ombroso, denso sfumato. Le figure non comunicano. Bellini stava mutando, facendo tesoro delle novità di Leonardo e Giorgione. La sua nuova maniera si riflette in una serie di tavole per devozione privata, come la Madonna col bambino alla Pinacoteca di Brera (tonalismo). 2. La nuova pittura di Giorgione Giorgione da Castelfranco detto Giorgione (1477-1510) seppe imprimere una svolta decisiva alla pittura veneziana. La sua vita fu molto breve e le notizie della sua attività in Laguna sono scarse. - Giorgione, Adorazione dei pastori, ca. 1500-1505, National Gallery di Washington. Atmosfera crepuscolare. Ambienta la nascita di Gesù nell’entroterra veneto. Due umili pastori omaggiano il Bambino. Metà del dipinto è riservata al paesaggio, sul fondo del quale si apre un borgo murato. La luce quasi notturna proviene da sinistra. Tutto è giocato sulla luce e sul colore. Il manto arancione di Giuseppe non è reso attraverso il disegno, ma per mezzo di un sapiente uso della croma. Volti sfumati con delicatezza. - Giorgione, Pala di Castelfranco, ca.1505, Castelfranco Veneto. È giunta una sola pala d’altare. Rompe con il passato: scacchiera prospettica e colori ricercatissimi. Madonna con Bambino sopraelevati su un podio, inedita è la rinuncia all’abside: al suo posto un parapetto che divide le figure dal paesaggio, un ampio brano di natura. Lo stemma della famiglia Costanzo risalta al centro del sarcofago sottostante, che allude alla nobiltà (è in porfido) e alla morte del figlio. Con San Francesco è raffigurato un guerriero dalla lucente armatura. - Giorgione, La Tempesta, ca. 1506-08, Venezia. Il committente è marcantonio Michiel. Un temporale si abbatte su un borgo veneto, mentre nella vicina campagna una donna siede ad allattare un bambino sotto gli occhi di un giovane. Si discute sul tema del quadro. - Giorgione, Doppio ritratto, ca. 1502-05, Roma. Dipinse più di una volta opere difficili da decifrare, richieste da una committenza istruita. Per staccarsi dalla tradizione antonelliana guardò alla realtà e ai sentimento, esprimendo in modo originale i moti dell’animo tramite luce. Colore. Un giovane elegante si affaccia alla finestra con fare pensieroso, mentre in mano tiene un melangolo, simbolo dell’amore infelice. Alle sue spalle un secondo giovane trattiene un sorriso beffardo. Immagine attualissima. - Giorgione (e Tiziano), Venere dormiente, 1507-10, Dresda. La dea è ritratta nuda, in posa ispirata all’antico. È addormentata in campagna. Modello per esaltare la figura femminile che sarebbe diventato un classico della pittura erotica (Tiziano, Goya, Manet..). Così si chiude la breve carriere di Giorgione. 3. L’affermazione di Tiziano Tiziano Vecellio (1488-) nacque nelle Dolomiti, che all’epoca rientrava nei confini della Serenissima. Completa la Venere di Dresda nel paesaggio. personaggi illustri che gesticolano con enfasi, esaltando il Sacramento. All’estrema sinistra riconosciamo Bramante. Vi sono anche Dante, Giulio II, Sisto IV, sullo sfondo un accenno alla fondazione della nuova San Pietro. In alto, Cristo siede al centro sulle nubi, e sopra di lui Dio Padre, sotto la colomba dello Spirito santo. Intorno, su due registri, drappello di patriarchi, profeti e santi. Si sente l’insegnamento del Perugino e quello leonardesco nella gestualità e nel rigore della composizione. Ne La Scuola di Atene (1510-11) il rigore prospettico è ancora maggiore. L’episodio si svolge in un enorme edificio all’antica che evoca la Basilica di Massenzio, mostrandoci come Bramante aveva immaginato l’interno di San Pietro. Le pareti fingono nicchie con abbondante corredo statuario. Questo contesto antiquario accoglie personaggi che dialogano o disputano, con la gestualità tipica di Raffaello. Al centro obediamo Aristotele e Platone. Tra gli altri, riconosciamo Euclide, Epicuro (..). si autorappresenta. In primo piano, solitario, siede Eraclito, che in verità è un ritratto di Michelangelo. Il Parnaso (1511) è il monte della Grecia consacrato ad Apollo e alle nove Muse protettrici delle arti. Non usufruisce dell’intero spazio (finestra). In centro Apollo suona una lira affiancato dalle Muse. Ai lati, una carrellata di poeti antichi e moderni, tra i quali si riconoscono facilmente Saffo, Dante, Omero e Virgilio. 3. Michelangelo: la tomba di Giulio II e la volta della Cappella Sistina Dal 1505 Giulio II aveva chiamato Michelangelo a Roma con l’idea di commissionargli il suo monumento sepolcrale nella Basilica di San Pietro. La vicenda vide una successione di varianti al progetto originario. - Il primo progetto. Prevedeva un monumento isolato di dimensioni ragguardevoli. Pianta rettangolare, ogni parte fornito di statue e altre statue “legate”: allo stesso modo del papa defunto, anche le arti erano imprigionate. Sopra questo registro sarebbero dovute esserci quattro grandi statue tra cui il celebre Mosé. In cima l’arca sosteniti da due angeli. Giulio II avrebbe trasformato la principale chiesa della Cristianità nel suo mausoleo personale. Dopo che litigarono, si riappacificarono nel 1506. Nel 1508, però, Michelangelo era impegnato nella Cappella Sistina. - Michelangelo, Volta della Cappella Sistina, 1508-12. Anche qui interpretò la pittura come scultura. La decorazione è articolata e ambiziosa, e si raccorda con il ciclo sistino di Storie di Mosé e di Cristo tramite la raffigurazione di scene dell’Antico Testamento. Lo spazio è scandito da una struttura architettonica dipinte, nella quale non ci sono ornati. Nella parte centrale si cono nove Storie della genesi, agli angeli serie di figure di nudi (venti). Nei sottostanti scomparti verticali siedono dodici Veggenti (sette Profeti e cinque Sibille). Le vele e le lunette illustrano un ciclo di Antenati di Cristo; nei pennacchi angolari quattro Storie dell’Antico Testamento. Sapientissima correlazione compositiva. Cromia acre e cangiante. - Storie della Genesi. Creazione di Adamo: il paesaggio è quasi inesistente. Perfezione anatomica del corpo nudo del primo uomo. Si toccano le dita e nasce la vita, resa attraverso le forme statuarie dei protagonisti. Peccato originale: viene creata Eva. Possenza dei corpi. La posa della donna è contorta all’innaturale. Le figure di Michelangelo hanno delle volumetrie energiche. Spazio che non ha bisogno della prospettiva. - Sibille e Profeti. Le figure femminili hanno corpi voluminosi come quelli maschili: emblematiche è la Sibilla Delfica per l’efficace scarto della testa rispetto al resto del corpo. Nei Profeti come Geremia appare il sentimento malinconico nella storia dell’arte europea. - Michelangelo, Mosè, 1513-16, monumento sepolcrale di Giulio II. Sta a sedere in atteggiamento percosso. Quando Giulio II morì il progetto del monumento sepolcrale venne rilanciato, modificando il progetto originale. Sepolcro parietale su più registri. Abolita la camera mortuaria. Nel 1516 un nuovo progetto semplificò ulteriormente il monumento. In quegli anni per il sepolcro realizzò anche due “prigioni”. Le pose sono contorte (omaggio al Laooconte). Altre furono solo abbozzate e mai finite. La differenza tra la figura del Louvre e quelle all’Accademia è evidente nello stato di finitura: all’Accademia vediamo una figura che sta cercando di liberarsi dalla materia che la ricorrere. Sovrumana tensione, che mostra con quale vigore Michelangelo aggredisse il blocco di marmo per far emergere la figura al suo interno. Vera e propria lezione di figura “per via di levare”. 4. L’antico e la Maniera: Andrea Sansovino e Raffaello in Sant’Agostino - Andrea Sansovino, Altare di Giano Coricio, 1512, Sant’Agostino (Roma). Le novità della sistina ebbero effetti immediati. All’origine dell’altare c’è la volontà di dare sepoltura a una cortigiana. Finì per essere trasfigurato in un culto per Sant’Anna. Il gruppo scultoreo raffigura Sant’Anna e la Madonna col Bambino. Prese spunto dal soggetto leonardesco. Passione per l’antico: Maria come matrona romana. Fortuna immediata. - Raffaello, Isaia. Al di sopra della nicchia dell’altare Raffaello raffigurò il profeta Isaia. Corre una somiglianza importante con le opere di Michelangelo. Isaia srotola una pergamena scritta in ebraico. Alle sue spalle due graziosi putti ispirati a un modello antiquario. 5. Raffaello e la Stanza di Eliodoro - Raffaello, Stanza di Eliodoro, 1511-14, Stanze Vaticane. Questa stanza era riservata alle udienze pontificie. Il programma iconografico ha una forte valenza politica, narrata altra verso episodi di una storia millenaria in cui la Chiesa o gli eroi biblici che ne prefigurano la funzione si salvano da varie minacce. Non mancano allusioni a quanto stava accadendo a Giulio II con il re di Francia Luigi XII. Adotta un linguaggio inedito: intensamente drammatico e segnato dalle novità di Michelangelo e della pittura veneziana. Nella volta vediamo quattro Storie dell’Antico Testamento allestite come fossero finti arazzi. La Cacciata di Eliodoro dal Tempio (1511-12) è un episodio apocrifo dell’Antico Testamento. A destra, un cavaliere travolge un uomo in armatura, mettendo in fuga il suo seguito. Dettaglio michelangiolesco: vaso rovesciato, che ci fa capire che si tratta di Eliodoro, emissario del re di Siria incaricato di profanare il tempio di Gerusalemme. A metterlo in fuga è il cavaliere inviato da Dio grazie alle preghiere del sacerdote che vediamo inginocchiato di fronte alla menorah. La navata del tempio fugge in prospettiva. Architettura diversa: a quella antiquaria si contrappone una passione per una resa vitale della realtà. A sinistra entra in scena Giulio II su un trono mobile, davanti a cui c’è un corteo di vedove e orfani. Il messaggio è che la chiesa difende i deboli. Questo ingresso trionfale parla veneziano (colore). Raffaello è capace di fare propria ogni suggestione e aggiornare costantemente il suo stile. La Messa di Bolsena (1512) è il miracolo che diede origine alla festa del Corpus Domini. Allude alla difesa dell’eresia: durante la messa in cui un prete dubitava della trasformazione del pane e del vino in corpo e sangue di Cristo, l’ostia iniziò a gettare sangue. Atmosfera tenebrosa. Giulio II è inginocchiato di fronte all’altare. Nelle carni, nelle stoffe, nei bagliori tutto parla veneziano. La Liberazione di san Pietro dal carcere (1512-13) avviene grazie all’apparizione di un angelo. Allude anche alla liberazione dei territori della Chiesa dalla minaccia francese. Tre momenti: al centro l’angelo appare dentro la cella di san Pietro dormiente; a destra i due se ne vanno mentre i carcerieri dormono; a sinistra la fuga è stata scoperta (terrore nelle guardie). Eccezionale luminismo. Il ciclo si completa con l’Incontro tra Attila e Leone Magno (1513-14) concluso quando a Giulio II era succeduto Leone X. 6. La villa di Agostino Chigi: Peruzzi, Raffaello, Sebastiano del Piombo e Sodoma Uno dei più illustri committenti di Raffaello fu Agostino Chigi, imprenditore e nacchere che gestì òe finanze pontificie sotto Giulio II. La sua dimora appartiene oggi all’Accademia dei Lincei e nota come Villa Farnesina. La villa suburbana si trova appena fuori dal centro di Roma, in una posizione strategica. Il progetto fu affidato all’architetto senese Baldassarre Peruzzi. È un modello nuovo: appare come un palazzo a due piani che si apre con una loggia a cinque arcate e due ali aggettanti verso il giardino. In origine aveva le pareti esterne dipinte all’antica, ma tale decorazione non è giunta fino a noi. - Sala di Galatea. Il gusto all’antica si riconosce anche negli interni affrescati. Raffaello, Trionfo di Galatea, 1511-12 rappresenta il trionfo della ninfa del mare, che appare su una conchiglia trainata da due delfini in mezzo alla sua corte. Il tema antico e d’amore è reso con figure “ingrandite” alla luce della sistina. La storia vuole che la ninfa si innamorò del giovane Aci, ucciso poi da Polifemo, a sua volta innamorato di Galatea. A sinistra, il Polifemo di Sebastiano del Piombo guarda Galatea tranquillo, mentre lei sembra voler fuggire. Il suo linguaggio è veneziano nel paesaggio e nel colore, ma nella possanza della figura dimostra di conoscere le novità michelangiolesche. A Sebastiano spettano anche le lunette con “poesie” mitologiche tra cui Dedalo e Icaro e Giunone. Sensualità e ampie campire di colore puro dalla pittura veneziana. Nel soffitto Baldassarre Peruzzi aveva raccontato l’oroscopo di Agostino Chigi in una complicata serie di personificazioni di pianeti e costellazioni nelle vesti di divinità antiche. - Sala delle prospettive. Intorno ad Agostino orbitava una vasta corte: lo spazio davanti alla loggia era utilizzato come scena teatrale. Gli incredibili apparati scenografici non sono arrivati fino a noi, ma Baldassarre Peruzzi affresca questa sala intorno al 1518, rendendo protagonista la pittura illusionistica attraverso la quale le pareti fingono nicchie con statue e un loggiato aperto su un paesaggio romano. - Sala delle Nozze. Verso il 1516-18 Agostino si sposò con Francesca Ordeaschi, e in quest’occasione chiese al Sodoma di affrescare nella camera da letto un paio di Storie di Alessandro Magno. Fra queste, Nozze di Alessandro e Rossane: raffigura una ricca camera dove Rossane siede sul letto seminuda e Alessandro si volta verso di lei. Cercò di ricostruire un perduto dipinto dell’antichità. L’episodio avviene al di là di una balaustra aperta al centro, come se si potesse partecipare alla scena. 7. L’ Incendio di Borgo , le Logge e la bottega di Raffaello - Raffaello, Stanza dell’Incendio di Borgo, 1514, Stanze Vaticane. Nel 1513 fu eletto papa Giovanni de’ Medici con il nome di Leone X. Interpreta l’episodio come fosse una scenografia. Nell’847 nel quartiere di Borgo (davanti al Vaticano) divampa un incendio che vediamo ai lati della lunetta, che appaiono come quinte architettoniche popolate di figure che fuggono. Al centro obediamo la facciata dell’antica basilica paleocristiana di San Pietro e, più avanti, la loggia da cui si affaccia Leone IV, che placa miracolosamente l’incendio (allude alla politica pacificatoria di Leone X. Anche nelle altre storie è protagonista un pontefice di nome Leone, e sono state in gran parte affidate alla bottega di Raffaello. - Raffaello e bottega, Logge vaticane, 1518-19. Nel secondo decennio del Cinquecento Raffaello era impegantissimo: alla morte di bramante gli venne affidato il cantiere della nuova Basilica Vaticana. Nel 1515 iniziò un ciclo di dieci arazzi con Storie dei santi Pietro e Paolo per il registro inferiore della Sistina (i cartoni sulla base dei quali vennero fatti gli arazzi). Tutto ciò gli impose di organizzare una bottega che accolse giovani di talento. Tra le principali imprese compiute troviamo la loggia del secondo piano del Palazzo Apostolico e la Loggia di Psiche nella Villa Farnesina. Inoltre, vi fu la decorazione delle Logge Vaticane: una galleria di tredici campate ornate ad affresco e stucco che illustrano le Storie dell’antico e del Nuovo Testamento. La Loggia di Psiche racconta la Storia di Amore e Psiche, pensata per richiamare il matrimonio di Agostino. Il ciclo di gusto antiquario è impostato su un ordinato pergolato dal quale si affacciano personaggi e storie. 8. Giulio de’ Medici: una gara tra Raffaello e Sebastiano del Piombo L’unico a potersi confrontare con Raffaello era Sebastiano del Piombo. Giulio de’ Medici, diventato poi papa con il nome di Clemente VII commissionò una pala d’altare a ciascun artista. Sebastiano finì sotto l’ala protettiva di Michelangelo. misero mano prima Dosso Dossi e poi Tiziano, cercando di uniformarla a una serie di scene bacchiche che Tiziano dipinse per la medesima stanza. Quest’opera è parte di un ciclo focalizzato sul mito di Bacco. Tiziano dipinse tre tele (i Baccanali) intese a “ricostruire” tre dei dipinti che Filostrato descrisse in un testo del II secolo d.C.. aveva iniziato ad arricchire il suo linguaggio di citazioni della scultura antiche della pittura centroitaliana. - Tiziano, Bacco e Arianna, 1520-23, National Gallery. Siamo su una boscosa riva del mare. In lontananza vediamo la nave di Teseo che ha abbandonato Arianna, che si volta in una posa raffaellesca. La sua attenzione è attirata dal corteo di Bacco, che si è innamorato di lei. Tra i suoi compagni vi è un uomo che lotta con dei serpenti, richiamo al Laooconte. - Tiziano, Offerta a Venere, 1518-19, Museo del Prado. Aperta campagna. Prato con una schiera di bambini con buffe ali blu. Sono Amorini, fratelli riuniti sotto la statua della madre Venere. Sono armati di arco e frecce. Giocano tra loro, scatenati al ritmo dei cembali suonati dalle Grazie. - Tiziano, Baccanale degli Andrii, 1523-25, Museo del Prado. La donna nuda che dorme evoca la Venere di Dresda. L’uomo reclinato al centro è tratto dalla Battaglia di cascina. 2. Ludovico Ariosto e Dosso Dossi Alfonso d’Este fu protettore del poeta Ludovico Ariosto, che scrisse l’Orlando furioso. Giovanni Luterai detto Dosso Dossi (ca. 1486-1542) fu al servizio di Alfonso nel 1514. Lavorò alle decorazioni della “via coperta” e mise a punto uno stile fantasioso che rispecchia gli ideali di corte estensi e il gusto ariostesco. - Dosso Dossi, Melissa, ca. 1520, Galleria Borghese. Raffigura un personaggio dell’Orlando furioso, ovvero Melissa. La libertà cromatica di Tiziano appare arrangiata a un registro cortese. Risalta la preziosità dell’abito. Paesaggio di matrice gigionesca in una visione onirica e fantastica. Novità a Firenze: la scuola dell’Annunziata e Michelangelo 1. Andrea del Sarto: Pontormo e Rosso nel chiostrino dell’Annunziata La chiesa della Santissima Annunziata ha un ingresso al modo delle antiche basiliche romane: è preceduta da un cortile porticato detto “chiostrino dei voti”, costruito nel Quattrocento su disegno dei Michelozzo, e appare come una severa galleria di gusto brunelleschiano. Tra il primo e il secondo decennio del Cinquecento accolse il più importante ciclo della Firenze del tempo, e vide il confronto tra Andrea del Sarto e i suoi allievi Pontormo e Rosso Fiorentino. Questi affreschi tracciavano una nuova strada nella pittura fiorentina, un linguaggio complesso in cui i modelli di Leonardo, Raffaello e Michelangelo erano riletti. La Maniera moderna si faceva così “maniera”, ovvero lo stile del Rinascimento maturo mutava in qualcosa di più complicato ed eccentrico. Una volta superati gli antichi e imitata alla perfezione la natura non si poteva che andare oltre, essere originali in una pittura in cui l’artificio diventava la regola. Nella pittura fiorentina la passione per l’antico era ormai finita. - Andrea del Sarto, Natività della Vergine, 1514, chiesa della Santissima Annunziata. Andrea del Sarto (1486-1530) nacque a Firenze. Spazio grandioso, clima intimo. I gesti delle figure sono memori della lezione leonardesca, presente anche nello sfumato. Gioacchino (seduto) sottolinea che conosceva le novità romane di Michelangelo. La grazia dei volti viene da Raffaello. Scena equilibrata. Nella bottega di Andrea del Sarto si formarono due apprendisti: Jacopo Carrucci detto il Pontormo (1494-1557) e Giovanni Battista di Jacopo, detto il Rosso Fiorentino (1494-1540). - Pontormo, Visitazione, ca. 1514-16, chiesa della Santissima Annunziata. Si svolge sul proscenio di un emiciclo. Elisabetta si inginocchia a Maria. Pittura morbida, dolce e sfumata di effetto naturale, figlia dello studio di Leonardo. Il tono cromatico sui colori dell’arancio, rosso e malva è una volontà di guardare alla pittura romana. L’ancella seduta sulle scale è michelangiolesca (ma svuotata di energia). Rompe con la pittura fiorentina del Quattrocento proponendo una personale vena caratteriale, come notiamo nell’aspetto malinconico di certe figure. - Rosso Fiorentino, Assunzione della Vergine, 1513-14, chiesa della Santissima Annunziata. La rottura con la tradizione è ancora più evidente. Non ebbe successo. Non ci sono architetture o paesaggi, è tutto giocato su due gruppi di figure. In alto, la Vergine assunta circondata da angioletti. In basso, gli apostoli a osservare. Queste figure tendono a essere irriverenti. L’insieme è stravolto dalla macchia verde del mantello che deborda. Manca il sarcofago in mezzo gli apostoli. Rosso va oltre il maestro: pare voler coniugare i moti dell’animo con la conoscenza delle incisioni nordiche di Dürer. 2. Tre pale d’altare - Andrea del Sarto, Madonna delle Arpie, 1517, Uffizi. La Vergine col figlio è posta su un piedistallo ortogonale sul quale vi sono delle arpie (corpo di donna e volto di uccello). Figure solide e statuarie. Composizione equilibrata. Studiata alternanza tra luce e ombra. Schema piramidale caro a Leonardo. San Francesco con panneggio con pieghe abbondanti. A destra san Giovanni scrive il Vangelo. - Pontormo, Pala di San Michele Visdomini (Pala Pucci), 1518, Firenze. Colori vivaci cifra caratteristica. Gli angioletti agli angoli superiori aprono il tendaggio nel quale si mostra Maria seduta in un contorto contrapposto. La sacra conversazione è animatissima e volutamente sgangherata. Sguardi visionari. Rimandi al Mosè di Michelangelo. - Rosso Fiorentino, Pala dello spedalingo di Santa Maria Nuova, ca. 1518-19, Uffizi. Insuccesso del dipinto. Sacra conversazione con impostazione piuttosto tradizionale. Colori vivaci, spazio un po’ compresso. Resa di figure molto espressive. No attenzione alla creazione di una scatola prospettica. Attori stravaganti e spigolosi, con le mani che sembrano artigli, gli occhi attoniti e un'aria crudele. 3. Rosso Fiorentino a Volterra - Rosso Fiorentino, Deposizione della Croce, 1521, Volterra. Dopo gli insuccessi. Firenze, Rosso si spostò a lavorare per centri periferici. Intonazione cupa. Croce solida e geometrica. Paesaggio desolato come quelli michelangioleschi. Cielo azzurro astratto. A calare il corpo sono tragiche maschere teatrali che si arrampicano su tre scale dipinte in modo essenziale, che rendono la composizione instabile nella loro asimmetria. Sotto esplode il dolore. Come Michelangelo, punta tutto sulla figura umana, ma rinuncia al plasticismo dei corpi. La sua umanità è scheletrica, esasperata, diabolica. I volumi tendono ad un’accentuata geometrizzazione. Linguaggio modernissimo. Solo con il Novecento le potenzialità di questo dipinto vennero comprese. 4. Michelangelo e Leone X: San Lorenzo e la Sagrestia Nuova Con l’elezione di Giovanni de’ Medici come papa Leone X, a Firenze furono riammessi i Medici. Negli anni successivi diede avvio a due grandi progetti per la sua città. - San Lorenzo, facciata. La chiesa era stata scelta dai Medici per le proprie sepolture. L’incarico di completare la facciata venne affidato a Michelangelo, e sappiamo cosa avesse in mente grazie ad un modello ligneo: facciata su due registri che nascondesse le differenti altezze delle navate. L’effetto sarebbe stato simile a quello di un palazzo maestoso. Non fu mai completato. - Biblioteca Laurenziana. Il progetto di San Lorenzo si arenò perché a Michelangelo venne affidato il progetto di allestirà una biblioteca vicino alla chiesa stessa nel 1519. La sala di lettura fatta su disegno di Michelangelo. - Michelangelo, Sagrestia Nuova, 1520-24, San Lorenzo. Costruzione di un nuovo mausoleo in cui collocare le tombe dei Magnifici (Lorenzo e Giuliano): una cappella autonoma da innalzare alla fine del transetto destro, a fare da pendant alla Sagrestia vecchia. Sorse su pianta quadrata e fu chiusa da una cupola: omaggio al modello della Sagrestia Vecchia evidente. All’interno notiamo il ripetersi del gusto brunelleschiano, nel contrasto bianco e grigio. Nella struttura delle tombe e nell’architettura è chiaro come Michelangelo superi la devozione per l’antico e proponga un nuovo modo di pensare. È impossibile dire dove l’architettura si fa scultura e viceversa - Michelangelo, Tombe gemelle di Lorenzo e Giuliano de’ Medici, 1520-34, San Lorenzo. Rompe con la tradizione dei monumenti funerari precedenti. Strutture massicce per profondità e altezza. Tripartite e divise in due registri. In alto tre nicchie in forma di finestre, due vuote e in quella centrale una statua del defunto. In basso il sarcofago, sul cui coperchio ci sono due volute anticlassiche su cui poggiano due figure che alludono al tempo che consuma tutto e poter alla morte. Sono, infatti, su di uno il Giorno e la Notte, sull’altro l’Aurora e il Crepuscolo. Sentimento malinconico. Figure possenti in pose difficili. - Michelangelo, Madonna col Bambino, 1520-34, San Lorenzo. Non portò mai a compimento la decorazione della Sagrestia. Nel 1534 abbandonò Firenze, infatti alcune statue appaiono non finite (come le allegorie die monumenti sepolcrali): la loro complicatissima torsione è un emblema della Maniera. Questo gruppo della Madonna col Bambino fu pensato per stare al centro del monumento di Lorenzo e Giuliano, ma non fu mai innalzato. Oggi la vediamo su un semplice basamento. Dal Sacco di Roma alla Controriforma Nel 1526 nasce la Lega di Cognac, che coinvolge il Papato, le Repubbliche di Firenze e Venezia e la Francia di Francesco I. Nel frattempo, Giuliano de’ Medici era stato eletto papa con il nome Clemente VII. In risposta alla Lega, l’esercito dei lanzichenecchi di Carlo V conquistò Roma nel 1527. Nel 1529 si raggiunse la pace di Cambrai. Nel 1559, Filippo II (figlio di Carlo) avrebbe ratificato con Enrico II di Francia il trattato di Cateau-Cambrésis, che segnava la fine delle guerre d’Italia. Milano, Napoli, Sicilia e Sardegna erano in mano agli spagnoli. La Chiesa conservava il dominio temporale su gran parte del centro Italia, dove Firenze aveva ottenuto il territorio della Repubblica di Siena. Solo Venezia restava una Repubblica autonoma. Nel 1534 a Clemente VII succedette Alessandro Farnese con il nome di Paolo III, che adottò una politica di difesa dalla minaccia protestante, approvando nel 1540 la regola dei Gesuiti, riorganizzare l’inquisizione e aprire il Concilio di Trento nel 1545. Il concilio si chiuse solo nel 1563 con Pio IV, dando avvio all’ ”Età della Controriforma”, una stagione segnata dall’applicazione delle disposizioni conciliari. Il concilio riaffermò l’assoluta autorità spirituale e temporale della Chiesa di Roma. Le arti figurative rappresentarono uno strumento fondamentale: vennero proposte immagini sacre dal linguaggio semplice e comprensibile, con una rinuncia degli artifici della Maniera. La Chiesa trovò un paladino in Filippo II. Nel 1571 la Lega santa (Spagna, Papato, Serenissima e altri stati) arrestò l’avanzata dei Turchi. l’Inghilterra era ormai protestante: dal 1533 Enrico VIII aveva dato vita alla Chiesa anglicana, che accoglieva alcuni principi luterani e riconosceva come capo supremo il re. Aveva creato uno Stato laico capace di evitare le violente guerre civili che insanguinavano gli altri Paesi. Novità nel paesaggio: ville, giardini, montagne sacre 1. Le ville: tenute agricole e luogo di svago Si affermano nuove forme di interazione tra l’uomo e il paesaggio. Già Leon Battista Alberti sottolineava la duplice fusione della villa: residenza per l’ozio e lo svago intorno alla quale esercitare l’agricoltura per sostenere la propria famiglia. Si trattava di trasportare in campagna gli agi della vita urbana, articolandone i ritmi in una calcolata simbiosi con la natura. - Jacopo Sansovino, Bacco, ca. 1515, Museo del Bargello. Il mito antico è trattato in modo diverso rispetto a Michelangelo, che è quasi un falso archeologico. Questo Bacco è innervato di movimento, cerca la posa serpentinata e mostra una grazia raffaellesca. La carriera di Jacopo proseguì tra Roma e Venezia, dove andò per fuggire al Sacco imperiale e rimase per tutta la vita. Inizialmente risolse i problemi statici delle antiche cupole della Basilica. - Jacopo Sansovino, Palazzo della Zecca, 1537-47, Venezia. Massiccio edificio quadrato in pietra d’Istria. Facciata su tre registri segnata da bugnato in fondo, poi colonne logiche e ioniche che affiancano le finestre rettangolari. Gli ordini classici sono rielaborati secondo la maniera. - J. Sansovino, Libreria Marciana, post 1537, Venezia. Ampio loggiato su due livelli con ordine dorico in basso e ionico in alto, coronato da una balaustra intervallata da statue. I vuoti prevalgono sulla struttura, le regole classiche sono infrante. Motivo tipico della Maniera: le serliane, un particolare tipo di trifora costituita da tre aperture: quella centrale ad arco e le laterali trabeate. - J. Sansovino, Loggetta del Campanile di San Marco, 1537-49. Vediamo una ricostruzione novecentesca. Edificio corredato da un ciclo di statue bronzee dove domina il tema antico. Rilettura originale del tema antiquario. Alla sommità dello scalone di accesso stanno due colossi di marmo dal chiaro significato politico, sono Marte e Nettuno. 2. Giulio Romano nella Mantova dei Gonzaga Giulio Romano si trasferì nel 1524 alla corte di Federico Gonzaga. - Giulio Romano, Due amanti, ca. 1529, Hermitage. Predilezione per una pittura sensuale (Correggio). Atmosfera erotica. 3. Giulio Romano e Palazzo Te - Giulio Romano, Palazzo Te. Dimora suburbana costruita entro il 1534 ai margini della città sull’isola di Teieto, che oggi non esiste più. Pianta quadrata intorno a un grande cortile centrale. Un solo piano che annuncia le predilezioni per il bugnato rustico e le serliane adottate da Sansovino. - Giulio Romano, Sala di Amore e Psiche, 1527-28. Con lo stesso soggetto aveva già affrescato Villa Farnesina (nella bottega di Raffaello). Le scene sembrano riecheggiare qui con maggiore senso di movimento e accesi scarti cromatici. Nella cornice corre un’iscrizione in latino che allude alla funzione del palazzo. - Giulio Romano, La caduta dei Giganti, 1532-34. Storia tratta dalle Metamorfosi di Ovidio: la sconfitta e caduta dei Giganti che cercano di assalire l’Olimpo. Allusione alla vittoria dell’imperatore Carlo sui nemici, resi in modo originale: figure enormi e ultraespressive, movimenti tumultuosi, volontà di andare oltre ogni regola compositiva. Ha smussato gli angoli delle pareti. 4. Genova, Andrea Doria e Perin del Vaga - Perin del Vaga, Caduta dei Giganti, ca. 1530-32, Genova. Lo stesso soggetto venne ripreso e costruito con un preciso ordine. Zeus ha fattezze raffaellesche e colori brillanti. Sotto vediamo una distesa di nude figure serpentinate. Perin del vaga andò a Genova nel 1528 e ci rimase per un decennio, prima di tornare a Roma. Genova era stata messa a sacco e restaurata in repubblica grazie all’ammiraglio Andrea Doria. - Palazzo del principe Andrea Doria a Fassolo. A dare conto della sua magnificenza fece innalzare questo palazzo. Ci è giunta in forme alterate (in origine era solitario). Con molti altri lavorò Perin del Vaga (qui sta la Caduta dei Giganti). 5. Polidoro da Caravaggio nel Meridione spagnolo Allievo di Raffaello, Polidoro da Caravaggio (1499-1543) si specializzò dagli anni Venti nella pittura di facciate all’antica, che si usava dipingere “a chiaroscuro”, ovvero a monocromo, con soggetti antiquari, a fingere una decorazione scultorea. Dopo il Sacco, Polidoro giunse a Messina, dove rimase fino alla morte. - Polidoro, Salita al Calvario dei Catalani, ante 1534, Museo Nazionale di Capodimonte. Emblematica del linguaggio che diffuse in Sicilia. Accentuata carica espressiva. Esuberanza dei brani di natura. Stesso soggetto che Raffaello propose per la chiesa palermitana di Santa Maria dello Spasimo. Scardina il suo rigore compositivo con una violenza espressiva inaudita. - Polidoro, Matrimonio mistico di santa Caterina da Siena, ca.1525, Roma. Dietro tale dipinto ci sono le esperienze romane. Particolare paesaggio con strutture all’antica e dove la natura è ridondante. Raffigurato da grande distanza, le figure sono minuscole. Il soggetto è solo un pretesto per raffigurare la natura con l’ampia nube all’antica. 6. Bizzarrie toscane: Pontormo - Pontormo, Deposizione di santa Felicita, 1526-28, Firenze. Variante serrata di una composizione piramidale priva di fondale architettonico con undici figure avvinte in un nodo inestricabile. Ispirati alla volumetria dei corpi di Michelangelo ma sembrano essere gonfi d’aria anziché muscoli. Volti allucinati. Tonalità rare e accese. Il linguaggio stravagante è conseguenza di una personalità alienata e malinconica. - Pontormo, Visitazione di Carmignano, ca. 1528-30, Prato. Fondale essenziale. Quattro donne in pose contorte, sguardi straniati e vesti colorate. Composizione singolare per l’Italia, guarda a Dürer. 7. Bizzarrie toscane: Beccafumi Domenico Beccafumi (1484-1551) guarda con occhio personalissimo la pittura fiorentina di Fra Bartolomeo, agli esiti romani di Raffaello e Michelangelo. Svolse la sua carriera a Siena. - Beccafumi, San Michele scaccia gli angeli ribelli, Siena. Allude alla capacità della Chiesa di difendersi dalla Riforma. La versione del 1524 mostra l’arcangelo in alto attorniato da una gran confusione di figure. Predilezione per il nudo michelangiolesco, interpretato con iridescenti sbattimenti di luce. È incompleto. La versione del 1528 propone una composizione più ordinata, con Dio Padre circondato dagli angeli. Sotto di lui san Michele alza la spada per sconfiggere Lucifero. Mirabolanti effetti luministici. - Beccafumi, Sala del Concistoro, 1529-36, Palazzo Pubblico di Siena. Manifesto di valori repubblicani da mostrare a Carlo V. Volta all’antica spartita in riquadri con al centro le figure allegoriche della Giustizia e dell’Amor di Patria. Al di sotto una serie di eroi e storie antiche rappresentato con uno stile brillante di colori e di movimento e un attento rigore spaziale. Ciclo chiaramente politico. Nella scena del Sacrificio del re Codro, al centro l’ultimo re di Atene si sveste e traveste da vecchio, andando a provocare dei soldati che lo uccidono. Il suo sacrificio permettere ad Atene di vincere la guerra, passando da monarchia a Repubblica. 8. Bizzarrie padane: Parmigianino alchimista Durante il Sacco fuggi per qualche anno a Bologna e poi tornò definitivamente a Parma nel 1531. - Parmigianino, Catino absidale della chiesa di Santa Maria della Steccata. Unica parte completata della decorazione della Steccata: il sottarco. Dominato da colori accecanti e un assetto architettonico giocato su lacunari all’antica circondati da festoni di frutta. Alla base dell’arcane due coppie di nicchie con figure monocrome di personaggi biblici e due terzetti di eleganti figure femminili. Felice ed elegante interpretazione della figura serpentinata. - Parmigianino, Madonna dal collo lungo, ca. 1534-39, Uffizi. Eleganza aristocratica. Allunga esageratamente le figure. È incompleta. San Girolamo srotola un papiro. Embelmatica della tarda attività del pittore, contraddistinta da una grazia estrema nei colti e dalle acconciature di impareggiabile finezza. 9. Le peregrinazioni di Rosso Fiorentino Dal Sacco Rosso scappa prima a Perugia e poi a Sansepolcro. - Rosso Fiorentino, Compianto sul Cristo morto, 1527-28, Sansepolcro. Torna a essere demoniaco: atmosfera tenebrosa, ricompare la croce con le scale. Clima di dolore ed eccentrica tensione. Al centro è il Vesperbild: Maria, velata e svenuta, tiene sulle gambe il corpo del figlio scheletrico. Giovanni ne sostiene le spalle e la Maddalena si dispera. Angosciante afflizione. Tra i soldati uno è bestiale, con il volto di una scimmia. Nel 1530, dopo un breve soggiorno a Venezia, se ne andò in Francia alla corte di Francesco I. Anche Leonardo aveva trascorso gli ultimi due anni al suo servizio, morendo nel 1519. Fin dal 1532 Rosso fu impegnato in un cantiere prestigiosissimo: il castello di Fontainebleau, fortemente ispirato alla Maniera italiana. Adotta uno stile più sereno, scene della vita del sovrano ed episodi tratti dall’antico come il Bagno di Pallade, un trionfo di figure serpentinate. I principali esponenti della cosiddetta “scuola di Fontainebleau” ebbero un ruolo centrale nella diffusione della Maniera italiana in Francia. 10. Benvenuto Cellini in Francia Nel cantiere del castello arrivò nel 1540 Benvenuto Cellini (1500-1571), che si confrontò anche con la scultura monumentale in bronzo: decorazione plastica della Porte dorée, della quale oggi rimane una lunetta con una ninfa in posa michelangiolesca. Dietro di lei un cervo a ricordarci uno dei principali svaghi della corte. Cellini è anche famoso per i suoi capolavori di oreficeria, come la saliera che realizzò per Francesco I, icona dell’artificio della Maniera. Sono il Mare (Nettuno) e la Terra seduti e nudi. Roma dopo il Sacco: dall’ombra di Michelangelo al colore di Barocci 1. Michelangelo pittore: il Giudizio universale Nel 1534 Michelangelo abbandonò Firenze per trasferirsi a Roma, dove sarebbe rimasto per il resto della sua vita. Papa Clemente VII chiese a Michelangelo di riaffrescare il la parete principale della Cappella Sistina, ma morì prima. Michelangelo lo eseguì dunque per Pio III (Alessandro Farnese). Venne distrutto il ciclo quattrocentesco cui, fra gli altri, contribuirono il Perugino e lo stesso Michelangelo. Il Giudizio universale sarebbe stato scoperto al pubblico nel 1541. Il ciclo porga alle estreme conseguenze il linguaggio giocato sullo studio di nudi possenti e articolati, che ripropone con inaudita libertà. Le figure sono protagoniste e articolano la struttura della rappresentazione. È facile seguire la narrazione. Tutto ruota intorno a Cristo giudice; a destra la figura serpentinata della Madre con intorno una moltitudine di santi. Tra questi, san Bartolomeo tiene il coltello con il quale fu scuoiato e la propria pelle, nel volto della quale Michelangelo si è autoritratto. Nelle lunette, gruppi di angeli senza ali. Sotto suonano le trombe del Giudizio. A sinistra vediamo la resurrezione dei corpi dalle viscere della terra, a destra l’inferno e il tormento. In mezzo un fiume con Caronte, il traghettatore di anime. È un omaggio alla Commedia dantesca, e non è l’unico: al margine degli inferi troviamo Minosse che appare come un’orribile creatura avvinghiata nella sua stessa coda. Il volto è quello di Biagio da Cesena, che biasimò il Giudizio. La moltitudine di nudi era critica ricorrente. L’inarrestabile dinamismo domina nell’organizzazione spaziale, gli angeli non hanno ali o aureole, ci sono personaggi del mondo pagano. Chiuso il Concilio di Trento nel 1564, anno della morte del Buonarroti, a Daniele da Volterra fu affidato il compito di nascondere le oscenità del Giudizio, cosa che fece con grande discrezione. Il Giudizio ebbe enorme fortuna tra gli artisti e si erse a vero e proprio manifesto della Maniera. - Obelischi. Volle lasciare un segno indelebile riutilizzando monumenti antichi per sottolineare il trionfo della Chiesa controriformata. Roma era tornata a essere una degna capitale dello Stato della Chiesa. La Repubblica di Venezia 1. La gloria di Tiziano Tiziano ebbe enorme fortuna a Venezia e in tutta Europa dagli anni Venti alla morte (1576). - Tiziano, Pala Pesaro, 1519-26, chiesa dei Frari. Estremamente innovativa. Vivacità cromatica. Immagine costruita in diagonale. Podio monumentale. L’uomo con il turbante è un prigioniero turco: il committente fu il condottiero che li sconfisse. Il soldato ha lo stemma deciso nell’arme di papa Borgia e quello della famiglia Pesaro. Di fronte a Jacopo sono ritratti altri personaggi della famiglia (estrema verosimiglianza). Gioco di accordi cromatici, colpiscono le due colonne che alludono ad uno spazio ancora più grande. Tiziano, Madonna del coniglio, ca. 1530, Louvre. Nel 1530 incontrò Carlo V, che divenne suo cliente. Dipinse questa pala per Federico Gonzaga. Dipinto di devozione privata. Scanzonato picnic. Idillio bucolico con luce del tramonto e sfondo delle Dolomiti. Lezione di Giorgione. - Tiziano, Venere di Urbino, 1538, Uffizi. Va oltre Giorgione, ma ne riprende il modello. La giovane si copre il pube con la mano. Ricca dimora. Icona della sensualità femminile. - Tiziano, Diana e Atteone e Morte di Atteone, 1556-59, National Gallery. Dipinse una serie di miti antichi per Filippo II. Nel primo Atteone scopre Diana e le compagne. Nel secondo Diana lo trasforma in cervo e i suoi cani lo sbranano. Livida foresta. Atmosfera diversa dalle opere per Alfonso. Resta la passione per la femminilità e il colore. La narrazione diviene febbrile e le pennellate rapide. Scenario con toni scuri e tragicità. Più su avvicina alla movere più la materia del suo colore si disgrega. - Tiziano, Punizione di Marsia, 1570-76, Rep. Ceca. Nell’ultima fase della sua vita adotta un linguaggio personalissimo e disperato. Marsia viene scorticato da Apollo sotto gli occhi di re Mida. Aveva osato sfidare il dio e fu punito per superbia. Orgia di sangue. Presenze impassibili. Immagine cruenta. La pittura è ormai sfaldata e le figure umane sono plasmate dalla luce e dal colore. Enorme forza espressiva. - Tiziano, Pietà, ca. 1575-76, Venezia. Destinata alla propria cappella sepolcrale. Massiccia nicchia affiancata dalle statue di Mosè e una Sibilla. La Vergine sorregge Gesù, la Maddalena grida, un vecchio seminudo si inginocchia (è un autoritratto). Fu completata da Palma il Giovane (spiritello). Forza espressiva, atmosfera tenebrosa e materia vibrante. 2. I destini di Lorenzo Lotto Il linguaggio di Lotto è irriverente ed eccentrico. - Lorenzo Lotto, Annunciazione, 1527, Recanati. Viaggiò molto. Spirito popolaresco. Resa accurata e ordinata della stanza. Animazione dei personaggi, agitati. Maria è impaurita. - Lorenzo Lotto, Ritratto di Andrea Odoni, 1527. Collezionista di anticaglie. Grande verosimiglianza. Elegantemente abbigliato. - Lorenzo Lotto, Elemosina di Sant’Antonio, 1540-42, Venezia. Soggetto inconsueto che richiama la politica umanitaria veneziana. Il vescovo aveva fondato una confraternita per aiutare i bisognosi. Il vescovo ascolta i consigli di due angeli. Nella parte inferiore due chierici ricevono le suppliche dalla folla. Quest’ultima è protagonista. I simboli del potere clericale sono negletti. Nel 1552 si trasferì definitivamente a Loreto, dove morì nel 1556. 3. La “prestezza” di Tintoretto Cominciano ad emergere nuove generazioni come Jacopo Robusti detto il Tintoretto (1519-1594). - Tintoretto, Miracolo di San Marco, 1548, dalla Scuola Grande di san Marco. Una folla si accalca intorno al corpo al centro in una scenografica cornice sansovinesca. Indossano il turbante perché siamo ad Alessandria, in Oriente, dove uno schiavo viene punito per aver venerato le reliquie di san Marco, che dall’alto si getta per salvarlo. Dipinto costruito per masse di colore (pittura veneziana), rapida e fremente. Ad animare la scena dei bagliori di luce come quello del nimbo del santo. Nei corpi possenti e serpentina appare evidente un aggiornamento sulle novità michelangiolesche. La Maniera riecheggia a Venezia, ma non l’avrebbe mai avuta vinta sul colore. - Tintoretto, Ritrovamento del corpo di san Marco, 1562-66, dalla Scuola Grande di San Marco. Atmosfera spettrale. 828, catacombe di Alessandria ambientate in un ambiente sansovinesco. Due mercanti veneziani vogliono portare il corpo a Venezia, e hanno appena trovato il cadavere giusto. San Marco in forme michelangiolesco vuole fermare la profanazione delle tombe. La reliquia è rappresentata in un abile - scorcio ai piedi dell’Evangelista. Intanto, in primo piano un indemoniato viene guarito. Forme michelangiolesche plasmate con il colore e la luce. - Tintoretto, San Rocco in gloria, 1564, Scuola Grande di san Rocco. Difficile scorcio del santo di fronte a Dio Padre e alla corte angelica. - Tintoretto, Crocifissione, 1565, Scuola Grande di san Rocco. Vista di sottinsù. La scena ruota intorno al Cristo oltremodo muscoloso. Ai suoi piedi un gruppo di dolenti. Intorno si accalca un gruppo di figure. Sapienza spaziale, rapidità di esecuzione, foga espressiva, assenza di disegno, bagliori luminosi. L’intero ciclo si distinguer per unità di concezione. 4. La magnificenza di Veronese Paolo Caliari detto il Veronese (1528-88) fu il pittore che meglio seppe esprimere la magnificenza di Venezia. Ebbe qualche problema con la Controriforma. Elaborò uno stile solare e fastoso. Nel 1533 fu coinvolto nella decorazione di alcune sale di Palazzo Ducale. - Veronese, Giunone getta doni su Venezia, 1554-56, Sala del Consiglio dei Dieci. Figure femminili della divinità e allegoria della Repubblica. Forme voluminose e scorci arditi. Buona conoscenza della Maniera che riesce a rasserenare adottando una pittura gioiosa e aggraziata. Stile facile e sontuoso. - Veronese, Trionfo di Venezia, 1579-82, Sala del Maggior Consiglio. L’apparato decorativo venne distrutto da un incendio nel 1577, alla ricostruzione parteciparono sia Tintoretto che Veronese. Linguaggio trionfale e sfolgorante di colore. Visione di sottinsù, Venezia è una regina. In basso il popolo sorvegliato da cavalieri. Resa illusionistica dell’incorniciatura architettonica, imperniata sul loggiato con colonne tortili. Scenografia teatrale. - Andrea Palladio, Villa Barbaro, anni Cinquanta, Maser. Carattere classico. Immersa nei giardini. La facciata ricorda un tempio antico. A lato ci sono le “barchesse”. - Veronese, Villa Barbaro, 1561. Decorazione illusionistica fatta di architetture dipinte a fingere finestre aperte o nicchie popolate di figure. Diligenza nella costruzione prospettica. Al fasto eccessivo si preferisce una pittura fresca e spensierata. Vediamo Giustiniana affacciata da un balcone: elegante quotidianità. 5. La campagna di Bassano Jacopo dal Ponte detto il Bassano (1510-1592) nacque a Bassano del Grappa. - Bassano, Riposo durante la fuga in Egitto, ca. 1547, Pinacoteca Ambrosiana. Ambientato nella campagna veneta. Il cesto con le fasce è una natura morta. Giuseppe ha un’espressione piena di saggezza e di profondo affetto paterno. 6. Il rigore di palladio Andrea Palladio (1508-1580) nasce a Padova. - Andrea Palladio, Basilica Palladiana, dal 1549, Vicenza. Compito prestigioso, edificio simbolo del potere municipale. Nascose l’edificio gotico dietro ad un moderno loggiato costruito con un doppio ordine di serliane (motivo carico all’architettura della Maniera). Monumento dalle forme grandiose e ordinate. Devozione per Virtuvio: vede la classicità come una lingua viva. - Andrea Palladio, Villa Almerico detta la Rotonda, 1566-91, Vicenza. Progettata per il conte Paolo Almerico. Culmine del suo ideale antiquario. Furiose completa con il paesaggio. Pianta centrale rotonda (soluzione inedita), che si sviluppa intorno alla cupola. Quattro facciate con logge identiche. Prototipo per le generazioni di architetti successive. Nel settecento nell’Inghilterra Neoclassica si ebbe un vero e proprio fenomeno di “palladianesimo”. - Andrea Palladio, Basilica di San Giorgio Maggiore, 1565. Sull’isola che si affaccia di fronte a Palazzo Ducale. Il cantiere si prolungò fino al Seicento. Facciata monumentale con pronao sorretto da quattro colonne. Forse ultimata con una certa libertà rispetto all’originario. 1. Messina: le fontane di Montorsoli - Giovanni Angelo Montorsoli, Fontana del Nettuno, 1547-53, Messina. La Maniera continua a diffondersi in forma sempre più elaborate. Si erge come se uscisse dal mare a placare Scilla e Cariddi, i mostri che incutevano timore ai naviganti dello Stretto. La fontana era l’ennesimo omaggio a Carlo V, volendo alludere ai suoi successo. - Giovanni Angelo Montorsoli, Fontana di Orione, 1547-53, Messina. Orione era il mitico fondatore della città. Sovrapporsi alla vasca di due tazze circolari di dimensioni sempre più piccole e coronata dalla statua di Orione. Sotto abbondano putti e creature marine. - Niccolò Tribolo, Bartolomeo Ammannai e altri, Fontana di Ercole e Anteo, post 1538, Firenze. Tazze sovrapposte. 2. Un michelangiolesco a Napoli: Marco Pino Stile giocato sull’artificio delle figure serpentinate. - Marco Pino, San Michele Arcangelo, 1573, Napoli. Posa contorta dell’arcangelo che sconfigge Lucifero. Colori vivaci. Gestualità michelangiolesca. 3. La Maniera a Milano: Pellegrino Tibaldi Anche Pellegrino Tibaldi muove dalla Maniera di Michelangelo. È uno dei maggiori artisti della Milano Spagnola. - Pellegrino Tibaldi, chiesa di San Fedele. Corrispondente meneghino della chiesa del Gesù du Roma. Interno pensato per favorire la predicazione e il coinvolgimento dei fedeli. Unica navata. - Simone Peterzano, Deposizione di Cristo, 1573-78, San Fedele. Fu alunno di Tiziano. Immagine austera e devota. Luce netta. Corrisponde alle esigenze della Controriforma. - Tiziano, Cristo coronato di spine, 1542-43, Louvre. Linguaggio più aderente al vero, era a Santa Maria delle Grazie. 4. Fedeltà all’Impero: Giuseppe Arcimboldi e Leone Leoni Giuseppe Arcimboldi fu alla corte del Sacri Romano Impero. Gusto per il bizzarro. Deve la sua fama alla pittura di stranissime teste allegoriche composte tramite un accostamento di fiori, frutti, verdure, come vediamo in Autunno (1573), parte di un ciclo delle Quattro stagioni. Cuoco (1570) è osservabile anche capovolto. Alle spalle c’è una particolare predilezione di Leonardo. - Leone Leoni, Ritratto di Carlo V, ca. 1555, Vienna. Artista di punta della Milano spagnola. Gli si devono due strabilianti ritratti di Carlo. - Leone Leoni, Casa degli “Omenoni”, 1562-66, Milano. Presenza nella facciata di due ordini delle grandiose figure di telamoni realizzate in stile grottesco da Antonio Abbondio. - Leone e Pompeo Leoni, Escorial di Madrid. Vennero coinvolti nella decorazione della principale cappella della chiesa del monastero dell’Escorial, un grande complesso voluto da Filippo II. Abissale differenza con Fontainebleau, con torri angolari e austero paramento in pietra. Solenne e severa fortezza. 5. Un Greco italiano e spagnolo Domenico Theotocopulos detto El Greco (1541-1614) si traferì a Venezia nel 1567 e la sua pittura si trasfigurò nel fuoco deformante dell’arte di Tintoretto. Nel 1570 andò alla corte del cardinale Alessandro Farnese. - El Greco, Ragazzo che soffia sul fuoco, ca. 1570, Museo Nazionale di Capodimonte. Una sua invenzione che conosciamo in più versioni. Annuncia i risultati della pittura caravaggesca. Raffinato naturalismo. - - El Greco, Cacciata dei mercanti dal tempio, ca. 1575, Minneapolis. Concentrato di ciò che aveva imparato: affollarsi michelangiolesco, colore di Tiziano, passione di Tintoretto, architettura del Palladio. - El Greco, Sepoltura del Conde de Orgaz, ca. 1586, Toledo. Andò a vivere nella Spagna di Filippo II. Durante i funerali appaiono i santi Stefano e Agostino. Nero confine tra la terra e il cielo. Poesia struggente. El Greco, Laooconte, ca. 1610-14, National Gallery di Washington. Notare il cielo. Le figure si contorcono. La Troia sullo sfondo ha le sembianze di Toledo. 6. Gli albori di Caravaggio: la pittura della realtà in Lombardia In Lombardia emerge il filone di un’arte semplice e concreta, che guardava al mondo degli umili caro a Loro. Riflettere la sobria quotidianità della vita di un tempo. Importante il rilievo che tale filone ebbe per la formazione di Caravaggio. - Girolamo Romanino, Cena in casa del fariseo, ca. 1540-50, Castello del Buonconsiglio a Trento. L’atmosfera è seria e la luce gioca un ruolo fondamentale. Risalto al mantello della Maddalena. - Moretto, Cena in casa del Fariseo, 1550-54, Brescia. Non c’è ostentazione della ricchezza: pareti scabre. Figure imponenti e solide. Impressionante accuratezza fotografica. - Giovanni Girolamo Savoldo, San Matteo e l’angelo, ca. 1534, Metropolitan Museum. Incredibili doti luministiche. Notturno con tre fonti di luci diverse: naturale della luna; fuoco acceso al di là della porta; candela in primo piano. - Giovan Battista Moroni, Ritratto di Sarto, 1565-70, National Gallery. Fu allievo del Moretto e divenne celebre per i suoi ritratti. Elegante sarto in atto di tagliare un pezzo di stoffa. Nulla di idealizzato, culto per la realtà nuda e cruda da cui prenderà le mosse Caravaggio.
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