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Atto amministrativo e atto politico, Sbobinature di Diritto Amministrativo

Differenza tra atto amministrativo e atto politico

Tipologia: Sbobinature

2020/2021

In vendita dal 23/03/2021

Claudia__99
Claudia__99 🇮🇹

4.3

(3)

19 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Atto amministrativo e atto politico e più Sbobinature in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! Distinzione tra atti amministrativi e atti politici. Secondo l’articolo 113, possiamo tracciare un importante distinzione: • Atti amministrativi (ricomprendono atti di alta amministrazione e atti amministrativi in senso stretto) • Atti politici. Tale distinzione è molto importante per il diritto amministrativo perché gli atti amministrativi e gli atti politici hanno dei regimi giuridici differenti, dunque capire se si tratta di un atto politico o di un atto amministrativo è essenziale per individuare la tutela giuridica, affinché esistano delle garanzie che la Costituzione offre per gli atti amministrativi ed esistano delle garanzie diverse per gli atti politici. La questione della distinzione attiene, secondo lo studioso Giuseppe Tropea, ai settori scientifico- disciplinari: per cui, dal momento che nel nostro Paese, è netta la distinzione tra diritto amministrativo e diritto costituzionale, l’atto amministrativo e le tutele giuridiche nei confronti degli atti amministrativi riguardano il Diritto amministrativo, mentre l’atto politico e le tutele nei confronti degli atti politici riguardano, più propriamente, il Diritto costituzionale. Atto politico: Il dibattito sulla natura e sui caratteri dell’atto politico si sviluppa in Francia, nella prima metà del XIX secolo con la teoria dell’atto politico, in cui i c.d. actes de gouvernement (atti di governo) vengono esclusi dal controllo giurisdizionale su pressione del Consiglio di Stato. Nello specifico, nei primi dell’800 in Francia, si entra nel periodo della Restaurazione e il Consiglio di Stato viene visto con profonda sfiducia perché è da poco caduto l’Impero Napoleonico, al quale il Consiglio di Stato era legato. In questo clima piuttosto ostile, il Consiglio di Stato, per poter sopravvivere, si autolimita: restringe spontaneamente le proprie attribuzioni e: 1. da un lato, lascia le questioni di maggior rilievo politico al Governo, e, 2. d’altra parte, tutta un’altra serie di funzioni vengono attribuite al giudice ordinario. La nascita del concetto di atto politico, in particolare, risale ad una decisione del 1822, nota tra gli studiosi come la Decision Lafitte: tale decisione nasce quando un creditore della principessa Paolina Borghese reclama il pagamento di una vendita, la quale era stata conferita da Napoleone alla principessa e il Consiglio di Stato, a questo punto, si dichiara incompetente, dicendo che si tratta di una question politique, risolvibile solo dal Governo; quindi, il Consiglio di Stato, preoccupandosi della propria auto-conservazione, si ritira rispetto a zone che ritiene incerte, lasciandole al Governo. Si fa riferimento a queste questioni politiche, senza però addurre delle giustificazioni dogmatiche, a seconda della categoria che è stata delineata; saranno la dottrina e gli studiosi, più avanti, a cercare di trovare delle giustificazioni che, in qualche modo, serviranno ad avere l’emersione di questa categoria. In questi anni, in Francia, nasce la Teoria del movente, elaborata da Rousseau (non esiste) per cui si dice che qualunque atto pubblico può assumere la qualifica di atto politico e di atto del Governo, se viene emanato per perseguire delle finalità politiche e si sottrae, in questo modo, al controllo della giustizia amministrativa. Questo dibattito viene, successivamente, trasposto in Italia e questa stessa posizione viene, poi, ripresa dai nostri studiosi. Nello specifico, se ne discute anche in Parlamento quando si forma il disegno di legge Crispi (sulla Istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato). In particolare, si afferma, in questa sede, la considerazione, che l’attività di Governo non è vincolata al controllo giurisdizionale e è uno degli effetti del principio di separazione dei poteri (rispetto agli atti politici, l’applicazione del principio impone che i giudici si debbano ritirare e che il potere giudiziario non deve ingerirsi nell’attività di Governo, in quanto si tratta di atti che esprimono l’indirizzo politico dello Stato). Quindi, questi enunciati della Legge Crispi, i quali sottraggono l’atto politico o atto di Governo al sindacato del giudice, vengono recepiti nell’articolo 31, del R.d. n. 1054 del 26 giugno 1924 (Testo Unico del Consiglio di Stato), secondo il quale “Il ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale non è ammesso se si tratta di atti o provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico”: a fronte dell’atto politico, non vige tutela giurisdizionale, il giudice non lo può annullare. Oggi, troviamo una disposizione analoga nell’articolo 7 del Codice del processo amministrativo, secondo il quale “Non sono impugnabili gli atti o i provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico”. Dunque, si capisce dalla lettura delle disposizioni in esame, che occorre distinguere gli atti politici dagli atti amministrativi.
 Tale distinzione, tuttavia, non è sempre facile capire se un atto del Governo è un atto politico oppure amministrativo. Ci sono degli organi che emanano solo atti politici. In particolare, l’atto politico per eccellenza è la legge, la quale proviene dal Parlamento. Mentre, per quanto riguarda gli atti emanati dal Governo, la distinzione non è sempre chiara e nitida, in quanto il Governo può emanare sia atti politici, sia atti amministrativi. A questo punto, si genera confusione. Andando per gradi, occorre vedere più da vicino cosa sia l’atto politico. Gli atti politici o di Governo sono atti nei quali si esprime la direzione suprema della cosa pubblica, ergo l’indirizzo politico. Non è sempre facile il coordinamento e il controllo delle singole manifestazioni in cui la direzione stessa si esprime. La legge, il decreto legislativo, il decreto-legge, la sentenza della Corte costituzionale sono atti politici, in quanto si tratta di atti liberi nel fine. La caratteristica, infatti, dell’atto politico, che permette di distinguere quest’ultimo dall’atto amministrativo, è quella di essere atto libero nel fine, in quanto si raffronta direttamente alla Costituzione e non è subordinato rispetto alla Legge. Dunque, parlando di libertà nel fine, riferendosi alla legge e agli atti aventi forza di legge, non si ha una libertà assoluta di tali atti in quanto devono rispettare le disposizioni e i principi generali contenuti nella Costituzione, quindi si fa riferimento alla gerarchia delle fonti. La funzione libera nel fine per eccellenza è rappresentata dalla funzione del potere costituente, il quale, nel momento in cui pone in essere la Costituzione non ha vincoli. Quindi l’Assemblea costituente stabilì la disciplina senza avere dei preesistenti vincoli giuridici. Le altre funzioni sono costituite, cioè disciplinate, perché sono regolate dalla legge fondamentale, ergo la Costituzione, quindi le leggi e gli atti aventi forza di legge devono muoversi in questo ambito. Tuttavia, anche la legge e gli atti aventi forza di legge hanno una certa libertà di fine: hanno la funzione di revisione costituente, di approvazione delle leggi costituzionali, attraverso la quale si modifica una parte della Costituzione (ovviamente non tutta, in quanto ci sono parti rigide della Carta costituzionale). La legge costituzionale, quindi, è la più libera, nell’ambito di un ordinamento costituito e libera è la funzione legislativa ordinaria, che incontra il limite della Costituzione, per cui la legge e gli atti aventi forza di legge costituiscono atti liberi nel fine, nel limite della Costituzione. Anche le sentenze della Corte costituzionale sono atti politici, essendo delle sentenze diverse da quelle che adotta la Cassazione. Dunque, sono atti politici anche la maggior parte dei decreti emanati dal Presidente della Repubblica e molti atti adottati dal Governo (decreti legislativi e decreti-legge). Si dice, in effetti, che gli atti politici nel nostro ordinamento sono a numero chiuso e se ne potrebbe fare un’elencazione, perché sono atti che vengono adottati dall’organo costituzionale. Tuttavia, non tutti gli atti adottati dall’organo costituzionale sono atti politici, ma solo una parte. A tal proposito, tradizionalmente, la dottrina riconosce natura politica a quegli atti che hanno 2 elementi: • Un elemento oggettivo: consiste nell’esercizio di un potere politico libero nel fine. • Un elemento soggettivo: è rintracciabile nella provenienza dell’atto da un organo costituzionale di governo; in questo senso, la norma individua l’organo di Governo che deve svolgere la valutazione in ordine all’esercizio della funzione politica e tale organo sceglie sulla base di ragioni di opportunità. Prima della Costituzione, l’atto politico si rinveniva nella c.d. ragion di Stato, indipendentemente dai motivi che ne giustificassero l’azione. Con l’entrata in vigore della Costituzione, il dibattito si arricchisce perché si pone il problema della piena giustiziabilità: la Carta costituzionale riconosce al cittadino la tutela piena ed effettiva di fronte ai pubblici poteri che emanano un atto amministrativo.
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