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Augusto e il suo tempo - W. Eck, Sintesi del corso di Storia Romana

Riassunto del testi per preparare l'esame

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 30/03/2021

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43 documenti

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Scarica Augusto e il suo tempo - W. Eck e più Sintesi del corso in PDF di Storia Romana solo su Docsity! Augusto e il suo tempo Introduzione Alla fine del 14 d.C. venne inviato un dispaccio proveniente da Roma in tutte le provincie. Questo comunicato, che dopo la morte del divinizzato Augusto, fu letto in senato conteneva le sue ultime volontà, tra cui vi era una relazione stesa di suo proprio pugno: le res gestae. Quel dispaccio comunicavano inoltre che quel testo era stato inciso su due pilastri di bronzo posti all’esterno del mausoleo di Augusto in Roma. Per volontà del senato, le res gestae, dovevano essere diffuse in tutto l’Impero. Le res gestae altro non sono che l’autobiografia di Augusto, in cui egli stesso esalta la sua personalità e le azioni del primo princeps. A 19 anni (44 a.C.) egli entrò improvvisamente sulla scena politica di Roma per “propria decisione” e con “mezzi finanziari propri” e vi rimase come figura dominante fino all’età di 76 anni (14 d.C.). Quanto era iniziato per iniziativa personale, ricevette presto la benedizione del senato, sebbene in un primo momento estorta. Augusto elenca poi in dettaglio gli innumerevoli incarichi che gli furono conferiti dal senato e dal popolo. Nessuno prima di lui aveva mai assunto una simile posizione nella società romana, ne raggiunto gli stessi successi. Sotto la sua guida l’Impero raggiunse un livello di forza, stabilità e prestigio mai prima di allora conosciuti. Il senato infatti gli conferì il nome di Augusto lo insignì del titolo di pater patriae (padre della patria). A Roma, dopo la morte di Augusto, si continuò a parlare a lungo della sua figura, delle sue imprese e dei suoi 13 consolati che nessuno prima di lui aveva accumulato. Circa 100 anni più tardi invece, lo storico Tacito, tracciò invece una biografia di Augusto radicalmente differente: spostando l’attenzione invece che sui suoi titoli ed onori sulle sue imprese giovanili e di come egli riuscì ad imporsi sulla scena politica di Roma. Secondo Tacito infatti, non si doveva dimenticare come Ottaviano non si era fatto scrupolo di ingaggiare soldati, corrompendoli con il denaro, ed estorto una carica pubblica dopo aver sconfitto Antonio nella guerra di Modena. Tradimento, inganno degli avversari e degli alleati politici (Antonio e Lepido in testa), brutalità erano le sue “virtù” che egli utilizzo per raggiungere il potere assoluto. In seguito regnò la pace e la prosperità, ma il sangue versato per giungere a ciò fu molto. Da queste parole di Tacito emerge dunque una personalità molto forte ma anche spietata nel raggiungere i propri scopi, non la figura ideale di cui invece abbiamo le comunicazioni ufficiali ne innalzavano le gesta. Sia per i critici sia per i sostenitori è comunque fuori dubbio che Augusto portò una vera e propria rivoluzione nelle istituzioni e nelle politica romana. Apparso improvvisamente sulla scena politica nel 44 a. C., dopo la morte di Cesare, e per 58 anni ne sarà assoluto protagonista. Dal 30 a. C. infatti non si presentò più alcun avversario politico a contendergli il potere, tale era infatti il suo predominio. Da allora fu lui a dare l’impronta decisiva a Roma e all’Impero. Quando morì, era chiaro per tutti che la struttura politica di Roma non poteva più esistere senza la forma di potere monarchico da lui creata. Le origini e la parentela La famiglia di Augusto proveniva da Velitrae, una cittadina ad una trentina di chilometri da Roma e situata ai piedi dei monti Albani. Suo padre Gaio Ottavio apparteneva all’ordine equestre e successivamente divenne senatore. Nel 61 a. C. venne inviato in Macedonia come governatore e là riporto una importante vittoria sui Bessi. Il successo gli avrebbe permesso di ottenere presto il consolato, ma morì sulla strada del ritorno verso Roma (Nola 59 a. C.). Gaio Ottavio era sposato con Azia, nipote di Giulio Cesare (sua mamma era Giulia). Il 23 settembre del 63 a. C., Azia diede alla luce (a Roma) l’unico figlio maschio della coppia, che ricevette lo stesso nome del padre. Determinante per Ottaviano e per le sorti di Roma fu la parentela con il prozio Giulio Cesare, che essendo senza figli e ragionando, come tutti i romani, secondo logiche dinastiche: decise che la posizione da egli raggiunta doveva essere trasmessa all’interno della famiglia. Cesare dunque designò Ottaviano come suo principale erede e per questo lo adottò. Gli altri due eredi minori furono Lucio Pinario e Quinto Pedio (nipoti di Cesare). L’usurpatore e la sua legittimazione Quando Cesare fu ucciso alle idi di marzo (15 marzo del 44 a.C.), Ottaviano era ad Apollonia, dove attendeva Cesare, per intraprendere assieme a lui una campagna contro i Parti. Rientrato di fretta in Italia, egli venne a conoscenza delle scelte testamentarie di Cesare. Decise allora di divenire, oltre che l’erede finanziario, anche l’erede politico del prozio. Alcuni tra i più stretti consiglieri di Cesare si accostarono a lui. Anche l’esercito di Cesare si schierò con lui. Ottavio dunque, forte di questo consenso, fece il suo primo passo politico: pretese per sé parte del denaro messo a disposizione per la campagna partica e incassò il tributo annuale della provincia d’Asia, senza alcuna autorizzazione. Quando, nelle res gestae, Augusto scrive di aver allestito un esercito di propria iniziativa e con mezzi privati, per liberare lo stato dalle mani di una fazione, dice allo stesso tempo il vero ed il falso: la decisione di assumere l’eredità politica di Cesare con la forza militare era sua personale, ma i mezzi economici privati non sarebbero bastati. Il 6 maggio dunque Gaio Ottavio alla testa dell’esercito che fu di Cesare raggiunse Roma ed assunse ufficialmente l’eredità di Giulio Cesare. Assieme a ciò assunse anche il suo nome diventando Gaio Giulio Cesare. Il cognome Ottaviano fu da lui abbandonato poiché ricordava troppo le sue modeste origini. Nel frattempo, Marco Antonio, uno degli amici più stretti di Cesare e console in carica, in occasione della celebrazione funebre di Cesare, pronunciò uno sferzante discorso di condanna verso i cesaricidi riuscendo ad aizzare la folla contro di loro e riuscendo dunque farli cacciare dalla città. Nei piani di Antonio vi era l’idea di subentrare a Cesare. Non tutti lo accettarono però come guida dei cesariani. Egli perse simpatie infatti quando in un primo momento impedì che Cesare venisse assunto fra gli dei, come richiesto dal popolo invece. Successivamente la sua posizione fu ancora più messa in discussione quando con una legge si fece a dare la Gallia (conquistata da Cesare) mostrando i suoi veri piani e cioè di ffidare la Gallia (conquistata da Cesare) mostrando i suoi veri piani e cioè di voler aumentare in modo smisurato la propria posizione di potere. Antonio non sospettava che ciò avrebbe facilitato l’entrata in politica del suo lungimirante avversario Ottaviano. A Roma il giovane Cesare ottenne rapidamente sostegno grazie ad alcune iniziative che intraprese: dichiarazione di vendetta contro i cesaricidi, pagamento di 300 sesterzi a ciascuno plebeo (come era stato promesso nel testamento di Cesare) e organizzazione di giochi in onore delle vittorie di Cesare. La sua popolarità crebbe anche in campo politico oltre che tra il popolo. La prima marcia su Roma, che Ottaviano intraprese nel 44 a. C. con i veterani di Cesare della Campania, fallì, poiché questi non volevano combattere contro altri cesariani. Antonio che dal canto suo era in una posizione politica alquanto precaria decise di abbandonare Roma e di impadronirsi anticipatamente delle provincie galliche a lui destinate. Ma due delle legioni che egli chiamò a se disertarono e passarono con Ottaviano. Tuttavia Ottaviano non aveva una “carica u ciale” con cui poter agire ffidare la Gallia (conquistata da Cesare) mostrando i suoi veri piani e cioè di legalmente egli aveva dalla sua unicamente i diritti di farlo in quanto figlio (adottivo) di Cesare. In senato intanto vi era una forte maggioranza di cesariani, guidata da Cicerone, avversi alla politica di potere che Antonio stava esercitando. Questa maggioranza però non aveva un esercito da contrapporre ad Antonio. Era l’occasione per Ottaviano che non mancò di cogliere. Cicerone e Ottaviano strinsero un patto: Ottaviano metteva a disposizione del senato le sue truppe, e questo in cambio gli riconosceva una posizione u ciale. Ottaviano venne ammesso in senato e ricevette un ffidare la Gallia (conquistata da Cesare) mostrando i suoi veri piani e cioè di comando, un imperium, di agire contro Antonio. Ottaviano dunque alla testa del suo esercito si diresse in Italia settentrionale (Modena) dove Antonio stava assediando Decimo Bruto (che era ancora il governatore in carica della Gallia). Si trovavano la anche i consoli Irzio e Pansa. Nella battaglia decisiva (aprile 43 a.C.) Antonio venne sconfitto, ma morirono anche i due consoli in carica. Ottaviano prese con se i loro eserciti, grazie ai quali rafforzò notevolmente la sua posizione militare. Poiché entrambe i consoli di quell’anno erano morti, egli inviò a Roma una delegazione dei suoi centurioni per se il consolato e ricompense in denaro per i soldati. Al rifiuto del senato di queste “legittime” richieste, Ottaviano non esitò a marciare nuovamente su Roma. Questa volta fu un successo. Nell’agosto del 43 a.C., assieme a suo zio Quinto Pedio, venne eletto console. Ottaviano fece subito istituire un tribunale speciale contro i cesaricidi e riuscì, con abile mossa, a far rimuovere la delibera del senato con cui Antonio era stato dichiarato nemico dello stato. accogliere la moglie presso di lui, non avrebbe ottenuto nessun aiuto da Cleopatra. Così egli invitò Ottavia a tornare a Roma, facendo ad Ottaviano un enorme regalo propagandistico: la donna romana e legittima moglie venne cacciata a causa di un’amante orientale. Per tutta risposta, Antonio celebrò con una fastosa cerimonia la conquista dell’Armenia durante la quale egli sottolineo che l’unico erede legittimo di Cesare, essendo figlio naturale, era Tolomeo Cesare (figlio di Cleopatra). Antonio con questo plateale atto propagandistico diede uno schiaffo morale ad Ottaviano poiché tutti sapevano che egli era solo il figlio adottivo del dittatore. Lo scontro militare decisivo: Azio e Alessandria La rottura u ciale si consumò nel 32 a.C. quando furono nominati consoli due degli alleati più ffidare la Gallia (conquistata da Cesare) mostrando i suoi veri piani e cioè di stretti di Antonio: Gaio Sosio e Gneo Domizio Enobarbo. Inoltre, alla fine del 33 a.C., gli accordi del triumvirato potevano dirsi conclusi. Alla prima seduta del senato del 32 a.C. Sosio attaccò violentemente l’operato di Ottaviano. Questi rispose presentandosi alla successiva seduta del senato con un seguito armato. A questo punto i sostenitori di Antonio, nel timore di conseguenze nei loro confronti, decisero di abbandonare l’Italia e di rifugiarsi in Oriente presso Antonio. Nel frattempo a Roma, Ottaviano, venuto a sapere del contenuto del testamento di Antonio (che era conservato a Roma) costrinse la vestale massima a farselo consegnare. Durante la successiva seduta del senato Ottaviano poi divulgò le ultime volontà di Antonio. Nel testamento egli disponeva di essere sepolto ad Alessandria accanto a Cleopatra ed attribuiva regni ai figli avuti con la regina. Il senato indignato da tale decisone decise di privare Antonio di ogni potere. L’abile Ottaviano si presentò dunque come il difensore di Roma e dell’Italia contro una avida regina orientale capace di corrompere l’animo di un grande e valoroso generale romano. La dichiarazione di guerra venne dunque formalizzata contro la sola Cleopatra (per evitare una nuova guerra civile). Lo scontro determinante avvenne nel Mar Ionio dinanzi ad Azio (settembre 31 a.C.), la battaglia navale fu vinta da Agrippa per conto di Ottaviano. Antonio e Cleopatra sconfitti riuscirono comunque a rifugiarsi in Egitto. L’anno successivo (agosto 30 a.C.) Ottaviano penetra in Egitto e prese Alessandria, dichiarando l’Egitto provincia Romana. Antonio prima e Cleopatra poi si suicidarono. Contemporaneamente Tolomeo Cesare (unico figlio naturale di Giulio Cesare) venne assassinato. Al ritorno in Italia (agosto 29 a.C.) ad Ottaviano furono celebrati trionfi per le campagne nell’Illirico, per la vittoria di Azio e per la presa dell’Egitto. I trionfi chiusero un periodo ventennale di guerre civili, che era iniziato con l’attraversamento del Rubicone da parte di Cesare. Erano comparsi uomini nuovi e quello che univa tutti era il desiderio di pace. Quando Ottaviano fece chiudere nel 29 a.C. il tempio di Giano Quirino a Roma come segno che la pace avrebbe regnato ora in tutto l’Impero. Rimanevano da chiarire due punti importanti però: con quale forma la res publica avrebbe condotto la sua nuova vita e soprattutto che ruolo avrebbe avuto Ottaviano in tutto questo. Verso il principato Le fonti per questo periodo sono costituite principalmente da Svetonio e Cassio Dione. La fonte epigrafica più importante è senza dubbio rappresentata dalla Res Gestae, autobiografia di Augusto che egli fece incidere, per volontà testamentaria, all’ingresso del suo mausoleo a Roma e per volontà del senato venne invece promulgato in tutte le provincie dell’impero. Negli anni successivi ad Azio Ottaviano discusse molto con i suoi fedeli (soprattutto Agrippa e Mecenate) su quale aspetto dovesse avere la nuova forma politica da introdurre, perché né lui né i suoi seguaci avevano intenzione di restituire il potere raggiunto. Il dilemma era quello di trovare una forma di governo che gli permettesse di mantenere il potere acquisito in maniera legale. Venne dunque escluso come modello quello elaborato da Cesare, ovvero una monarchia esplicita, dove il modello repubblicano non era più presente. La morte di Cesare era stata la risposta a quell’idea. La decisione quindi che prese il giovane Cesare fu quella di ripristinare l’antico ordinamento repubblicano. Per assicurare il potere ad Ottaviano si usarono astuzie mirate atte ad innalzare la sua figura. Una forte propaganda fece poi il resto. Ottaviano venne celebrato come portatore di pace. Gli onori che gli furono conferiti dimostrarono quanto eccezionali fossero le sue gesta. Il suo nome doveva essere incluso in tutte le preghiere dei sacerdoti dello stato; il suo compleanno, così come il giorno della vittoria di Azio, vennero dichiarati giorni festivi. La sua figura venne collocata in una sfera che si innalzava sopra gli uomini e veniva mostrato a tutti che l’esistenza della repubblica dipendeva dalla sua persona. A Roma vennero ricostruiti templi e santuari. Nel 30 a.C. nominò nuovi patrizi poiché parecchi famiglie importanti erano state cancellate durante gli anni della guerra civile. Nel 28 a.C. dichiarò nulle tutte le misure introdotte durante il triumvirato. Questo fu uno dei passi decisivi verso la restaurazione della repubblica, che, come Augusto scrive nelle res gestae, ebbe luogo durante il sesto e il settimo dei suoi consolati. All’inizio dell’anno 27 a.C. Ottaviano entrò nel suo settimo consolato, avendo come collega l’amico e fedele Agrippa. In una famosa seduta del senato Ottaviano rinunciò formalmente a tutti i suoi poteri straordinari, accettando solo un comando decennale sulle province non pacificate (Spagna, Gallia, Siria, Egitto, ecc.) e sulle rispettive guarnigioni legionarie. Tale mossa dava ad Ottaviano il potere su quasi tutte le legioni disponibili ed evitava allo stesso tempo che qualsiasi altro generale potesse mettersi in luce riportando vittorie su fronti importanti. Qualche giorno dopo il senato lo proclamò “Augusto”, appellativo che lo proiettò in una dimensione religiosa sacrale (Augusto va ricollegato all’etimologia del verbo latino augere che significa innalzare). Per comprendere meglio i fondamenti del potere di Ottaviano Augusto dopo il 27 a.C., vale quanto scritto da lui stesso nelle Res Gestae, testamento che egli redasse verso la fine della sua esistenza:”Successivamente fui superiore a tutti per autorità, pur non possedendo poteri superiori ai miei colleghi nelle magistrature“. In questo passo Augusto sottolinea con evidenza il suo alone carismatico proclamandosi così “principe”, ovvero il primo uomo dello Stato. L’architettura istituzionale che egli pian piano riuscì ad introdurre si basava sulla prudenza e sulla tradizione. Le strutture della repubblica infatti non furono abolite ed il loro funzionamento anzi divenne sempre più regolare di quanto fosse all’epoca di Cesare. In tale sistema tuttavia si insinuò una figura nuova, il principe, che deteneva il comando di quasi tutto l’ esercito e che si poneva come un punto di riferimento e di equilibrio fra le diverse componenti della nuova realtà che poteva ormai definirsi “imperiale”. Per dare un’idea della situazione Ottaviano aveva una clientela nell’impero vastissima e nessuno poteva concorrere con la lui sotto il potere finanziario e politico. Il suo peso nella società era fortissimo. Altro aspetto molto importante era il permanere della lealtà dei soldati e dei veterani. Ottaviano insomma non aveva rivali nell’Impero in nessun campo. In suo onore in senato fu affisso uno scudo d’oro con indicate le sue virtù: coraggio (virtus), clemenza (clementia), giustizia (iustitia) e l’adempimento dei doveri nei confronti degli uomini e degli dei (pietas). Ottaviano le impersonava tutte secondo il senato. Ottenuto l’appellativo di Augusto, Ottaviano lo completò in Imperator Caesar Augustus. Dove con imperator egli reclamava l’attitudine vittoriosa dei Romani. Prima di allora non vi era stata una famiglia dei Cesari, in quanto questi erano un ramo della famiglia dei Giulii. Con il suo nuovo nome entrava nella storia romana una nuova famiglia, la sua. Le tre parti costitutive (Imperator Caesar Augustus) non erano però un titolo. Erano e rimasero un nome. Solo quando i suoi successori ne assunsero lo stesso nome , il significato che vi era insito si trasformò in un titolo. La formazione del principato Augusto lasciò la capitale a metà del 27 a.C., dirigendosi prima in Gallia e poi in Spagna, dove Asturi e Cantabri si opponevano al domino romano. Augusto aveva preso sul serio il mandato che gli era stato a dato di pacificare i territori che non avevano ancora trovato un ordine. Il soggiorno ffidare la Gallia (conquistata da Cesare) mostrando i suoi veri piani e cioè di ra orzò la coesione con l’esercito e con i veterani. A Roma intanto si discuteva della situazione ffetto propagandistico che ne seguì. Se a ciò aggiungiamo che attuale e del futuro e ci si interrogava su quanta libertà effettiva il senato avesse senza entrare in conflitto con il principe. Nel 23 a.C. la crisi si inasprì, arrivando ad una congiura. Fortunatamente per Augusto la cospirazione fu scoperta ed i partecipanti condannati a morte. La tensione psicologica che viveva Augusto era tremenda. Tale condizione gli provocò una malattia che lo mise in pericolo di vita nella primavera del 23 a.C. Dal letto in cui giaceva malato egli affidò l’anello con il suo sigillo ad Agrippa e consegnò al collega console Pisone la lista delle truppe nelle sue province e la lista delle finanze statali. Augusto infine guarì ma decise di deporre la carica di console e con esso il potere di intervenire politicamente a Roma. Nelle sue provincie invece il potere di Augusto rimase immutato grazie al conferimento di un imperium proconsolare. Questo potere però non gli consentiva di convocare il senato e l’assemblea popolare, essenziali per l’organizzazione della politica. A ciò fu trovata una soluzione: il senato gli assegnò i pieni diritti di un tribuno della plebe: la potestà tribunizia. Non la magistratura in sé stessa però. Inoltre, venne deciso che Augusto poteva convocare il senato in ogni momento. Nel 22 a.C. si verificò una carestia, il popolo di Roma allora cercò di costringere Augusto ad assumere la dittatura. Egli però, con un gesto teatrale, si strappò la veste e disse che preferiva essere trafitto dai pugnali della folla piuttosto che assumere la dittatura. Tra l’altro la dittatura era stata resa illegale nel 44 a.C. da Antonio. Augusto si dichiarò invece pronto a provvedere all’approvvigionamento della città, venendo a capo della carestia in breve tempo. Augusto rifiutò successivamente anche la censura, ma i censori eletti al suo posto fallirono il loro incarico. Sembrava quasi che senza Augusto gli incarichi pubblici non si potevano più compiere. Tale teoria fu confermata negli anni seguenti, quando in occasione delle elezioni si arrivò a una controversia riguardo la nomina dei consoli. Augusto che si trovava nelle province orientali per trattare con i Parti, ordinò ad Agrippa di fare ritorno a Roma per sistemare le cose. Stranamente Anche Agrippa fallì fu dunque necessario il ritorno di Augusto a Roma (autunno 19 a.C.). Nel 18 a.C. terminò l’imperium decennale di Augusto, che gli venne prolungato per altri cinque anni. Contemporaneamente venne rinnovato l’imperium di Agrippa, il quale ricevette anche la potestà tribunizia. Erano in due a dividersi la cura di Roma, ma uno solo era il princeps. Nel 20 a.C. Augusto aveva adottato i due figli di Giulia e Agrippa. I progetti sul futuro di Augusto vennero turbati dall’inaspettata morte di Agrippa nel 12 a.C. e dei suoi due figli adottivi Lucio e Gaio, nel 2 e nel d.C. Nel 12 d.C. Augusto alla morte di Lepido assunse anche la carica di pontefice massimo. Augusto riuscì dunque a congiungere entrambe le sfere di potere nelle sue mani. Egli ancora una volta veniva visto come l’unico responsabile di tutto l’Impero. Questo sentimento trovò espressione nella nomina a pater patriae (prima di lui solo Romolo e Marco Furio Camillo avevo ricevuto tale onorificenza). Le res gestae si concludono proprio con il ricordo di questo pubblico onore (2 a.C.). Il principe e le classi alte di Roma Con la restauratio res publica del 27 a.C. l’autorità del senato fu ripristinata. Ma dal punto di vista politica cambiò qualcosa. Augusto era console e come tale non aveva altri poteri rispetto ad altri consoli. Fu però il comando delle grandi province che egli aveva e soprattutto il comando su quasi tutte le legioni dell’Impero a conferirgli un certo peso nello stato, superiore per certi versi anche al senato stesso. Anche perché il senato non era più quello di una volta. Molte delle antiche famiglie si erano estinte durante le guerre civili, altre si erano impoverite e sopravvivevano solo grazie al sostegno economico di Augusto. Sulle orme di Cesare, anche Augusto aveva introdotto in senato numerosi suoi seguaci italici, assicurandosi da loro la completa fedeltà. Augusto introdusse non solo le élite italiane, ma anche quelle delle province, soprattutto dalla Gallia e dalla Spagna. Tale azione portò però ad avere più di 1000 senatori, che erano ben lontani dai 600 stabiliti da Silla. Una drastica riduzione dei senatori avvenne nel 18 a.C., quando più di 300 senatori vennero allontanati sotto costrizione. La minaccia di un attentato ai suoi danni, combinato dagli allontanati, era molto alta tanto che portò Augusto a comparire in senato con una corazza sotto la tunica. In tal modo egli riuscì a ristabilire il numero dei senatori a 600. Uno dei criteri con cui veniva misurata la “dignità” di un senatore ossia l’entità del proprio patrimonio. Fino alla riforma augustea la soglia minima era di 400mila sesterzi, sotto Augusto tale soglia fu innalzata ad 1milione di sesterzi. A ciò si legava il fatto che l’ingresso in senato ora avveniva attraverso un’elezione da parte del popolo. In realtà il princeps aveva il potere di pilotare le elezioni grazie al diritto di accettare o rifiutare le candidature , inoltre egli aveva il diritto di nominare i alcuni candidati che quindi dovevano essere forzatamente eletti. La trasformazione del senato attraverso le nuove famiglie volute da Augusto fu ebbe vita facile e con i suoi attacchi conquistò rapidamente nuovi territori. Nel 9 a.C. egli giunse fino al fiume all’Elba. Sfortunatamente Druso morì nella marcia di ritorno, a causa di una caduta da cavallo, Tiberio dunque gli subentrò al comando. Con lui la Germania divenne una provincia tributaria (sulla carta, in realtà la situazione era ben diversa). Queste conquiste e la propaganda messa su da Augusto non riuscirono tuttavia a mascherare quello che innegabilmente fu un clamoroso insuccesso: la mancata sottomissione della Germania. L’obiettivo da conseguire era mantenere il confine sulla linea del fiume Elba. Ma il mal governo di Varo (un legato di Augusto in Germania) provocò una grande rivolta delle tribù germaniche, che riuscirono a far fronte comune contro Roma. Nel 9 d.C. si ebbe l’episodio decisivo: Tiberio, impegnato a sedare una ribellione in Pannonia, riuscì ad avere la meglio riportando però gravi perdite. Per Tiberio fu decretato il trionfo, ma le risorse finanziarie e umane dell’impero erano allo stremo. L’esercito e il bilancio statale avrebbero avuto bisogno di una pausa di riposo. Ma pochi giorni dopo questa acclamazione giunse notizia che i Germani, a destra del Reno, avevano annientato il governatore Publio Quintilio Varo (un legato di Augusto). A capo delle tribù Germaniche riunite vi era Arminio, che aveva servito nell’esercito romano ed era stato onorato della cittadinanza romana. La battaglia nella selva del Teutoburgo durò tre giorni e alla fine fu una carneficina per le legioni romane. Varo e altri ufficiali si suicidarono; il resto delle truppe senza comandante venne massacrato o preso prigioniero dai Germani. La frontiera dell’impero dunque si arrestò sul Reno. Roma: La città augustea Augusto viaggiò a lungo per tutto l’impero. Il senato inviava di volta in volta delegazioni presso di lui per discutere questioni politiche relative all’Impero. L’autentico centro del potere rimaneva comunque Roma. Grazie ad Augusto Roma divenne anche dal punto di vista urbanistico cuore dell’impero e centro del mondo conosciuto. Augusto non edificò una residenza che esprimesse la sua posizione (come altri fecero prima o dopo di lui), mostrando un certo rispetto verso la repubblica. Egli seguì la massima di Cicerone che diceva: “ Il popolo romano odia il lusso dei privati, ama invece le spese per loro”. Durante il triumvirato Ottaviano aveva acquistato una casa sul Palatino. L’ampliamento e la gestione di questa domus rimasero sempre modesti. Dopo la sua elezione a pontifex maximus nel 12 a. C. (alla morte di Lepido) il principe fece di parte della sua casa un edificio pubblico perché così si richiedeva al pontefice. Nella sua casa edificò anche un santuario di Vesta e Livia assunse la funzione di vestale. Il ruolo pubblico e la vita privata di Augusto si mescolavano nella sua domus. Nella sua casa Augusto fece anche costruire il tempio per il suo dio protettore: Apollo. Augusto trasformò anche Roma. La prima nuova costruzione fu il tempio di Cesare divinizzato, eretto dove il corpo di Cesare era stato cremato. Vicino al tempio di Cesare fu installato l’arco partico, dove erano rappresentate le imprese di Augusto e le insegne restituite dai Parti. Accanto al centro repubblicano, il principe creò un nuovo foro, dove vi costruì anche un tempio dedicato a Marte Ultore. L’imponente santuario divenne parte di un complesso architettonico molto importante. Tuttavia lo scopo principale di Augusto era quello di integrare visivamente il nuovo principe nella famiglia Giulia e di presentarlo come il punto di arrivo della storia di Roma. Statue dei più importanti uomini di Roma, da Romolo a Pompeo, erano collocate nelle nicchie del portico a sinistra del tempio. A destra del tempio si presentava in modo analogo la famiglia Giulia, che aveva inizio con Enea e finiva con Marcello, il genero defunto di Augusto. Le due linee trovavano il loro di congiunzione in Augusto. L’iscrizione sulla base della statua lo celebrava come padre della patria. La progettazione augustea di Roma si estese però oltre questi centri dove il principe rappresentava con forza la propria identità. Stando alle res gestae Augusto edifico numerosi santuari, rinnovò la Curia, restaurò il teatro di Pompeo, costruì il teatro di Marcello (suo genero). In questa alacre attività edilizia Augusto trovò in Agrippa grande esecutore. Costui infatti aveva assunto nel 33 a.C. l’ufficio di edile. Due nuovi acquedotti: l’Aqua Virgo e l’Aqua Iulia, portarono a Roma una notevole quantità d’acqua rispetto al passato. La Virgo riforniva le terme di Agrippa in Campo Marzio. Là vicino si innalzava il Pantheon, altra imponente struttura voluta da Augusto e fatta costruire da Agrippa, nel cui atrio accoglievano il visitatore statue monumentali proprio di Augusto e Agrippa. All’interno di questo monumento, pervenuto sino noi, il visitatore poteva trovare le statue degli dei, tra cui quella di Cesare divinizzato. In poco più di 40 anni il volto di Roma era stato modificato radicalmente, così come avvenne anche nella vita politica. Il messaggio degli edifici pubblici, delle iscrizioni e delle statue a lui dedicate rese evidente che Augusto non era solo un princeps, egli era un monarca. La ricerca della continuità politica: il problema della successione La potenza di Augusto si basava su diversi poteri che gli erano stati attribuiti da senato e popolo in tempi e modi diversi. Il suo straordinario patrimonio aveva fatto il resto grazie ai numerosi legami di clientela che egli si era creato. Clientela che riguarda sia singole persone che gruppi in tutto l’impero (es. l’esercito). Da ciò derivava anche la sua auctoritas, che egli stesso pose sempre in primo piano nel suo agire politico. Una tale posizione di forza e di potere era impossibile da trasmettere ad un erede e questo Augusto lo sapeva benissimo. Egli fu molto abile infatti a non apparire mai in modo diretto ed evidente come colui che disponeva dell’Impero; bensì come colui che il senato ed il popolo avevano messo li a fare da tramite delle loro volontà. Augusto, come ogni aristocratico romano, voleva mantenere nella propria famiglia la posizione raggiunta, una posizione che però ora comportava la direzione monarchica della res publica romana. Non meraviglia perciò che fin dai primi momenti egli si sforzò di associare a lui qualcun altro. Il problema principale era quello di non avere mai avuto un figlio maschio. La sua unica figlia naturale fu Giulia che fece sposare con suo cugino Marcello (figlio della sorella di Augusto, Ottavia). Quest’ultimo grazie a questo matrimonio acquisì immediatamente un peso politico molto importante. Non vi era dubbio che il principe vedesse in lui il suo successore. Ma Marcello morì nel 23 a.C. Augusto allora designò Agrippa come suo successore che fu dunque costretto a separarsi dalla propria moglie per sposare Giulia (la figlia di Augusto). Nel 20 a.C. i due ebbero un figlio, a cui ne seguì un secondo nel 17 a.C. Augusto li adottò entrambi: Gaio e Lucio Cesare. Fin dal principio fu evidente che l’obiettivo di quell’adozione era che questi sarebbero stati un giorno i suoi successori. Nel 12 a.C. morì anche Agrippa, quando i nipoti di Augusto erano ancora minorenni. Il principe fu nuovamente costretto dunque a cercare una soluzione. In primo luogo, bisognava trovare un nuovo marito a Giulia. Venne quindi individuato in Tiberio il designato. Tiberio dunque fu costretto suo malgrado a separarsi dalla sua sposa (era sposato con una delle figlie del primo matrimonio di Agrippa) e a sposare Giulia. Nel 6 a. C. il principe fece attribuire a Tiberio la potestà tribunizia. Ma era troppo tardi. In quello stesso anno Tiberio si ritirò dalla politica e andò a Rodi in una sorta di esilio volontario. Non è chiaro il motivo, ma sicuramente contribuì a tutto questo il suo rapporto con Giulia. Nel frattempo i figli adottivi di Augusto furono avviati alla carriera politica ricevendo cariche politiche ed onori in maniera forse troppo repentina rispetto alla loro età. Era evidente che il princeps voleva affrettare i tempi del loro insediamento al potere e dunque alla sua successione. Gaio venne addirittura eletto console a 20 anni ! Anche a Lucio Cesare nel 2 a.C. vennero riconosciuti gli stessi onori del fratello. Purtroppo nello stesso anno Gaio morì improvvisamente in seguito ad una ferita di guerra. Nel 4 d.C. la stessa sorte toccò al fratello Lucio Cesare. Venne dunque il turno di Tiberio, unico figliastro rimasto ad Augusto. Anche se Tiberio aveva un figlio quasi diciottenne, Druso minore, Augusto pretese che Tiberio adottasse comunque Germanico, il figlio di Druso maggiore, poco più grande del cugino. Ciò fu dovuto al fatto che Germanico discendeva in modo diretto dalla famiglia del principe attraverso sua madre Antonia, la nipote di Augusto, figlia di Ottavia. Tiberio rassegnato accettò Germanico come figlio nel 4 d.C. Quello stesso giorno Augusto adottò Tiberio come figlio. Tiberio fu poi nominato successore di Augusto nel testamento del “padre”. Nel caso in cui il principe fosse morto, la questione di successione era sistemata. La morte e la fortuna Il pensiero della morte accompagnò sempre Augusto per via della sua salute che era cagionevole. Proprio per tale motivo, con la solita lungimiranza che lo contraddistinse, lavorò con largo anticipo alla sua successione. Il principe aveva preparato per tempo anche alla sua tomba: nel 32 a.C. egli infatti diede inizio alla costruzione, in Campo Marzio, di un monumento funebre che avrebbe accolto lui e la sua famiglia. Il mausoleo fu il più grande che fosse mai stato eretto a Roma. La costruzione era completamente ricoperta di marmo bianco e probabilmente Augusto trasse ispirazione dalla tomba di Alessandro Magno che egli vide durante il suo soggiorno ad Alessandria d’Egitto [subito dopo aver sconfitto Antonio]. La prima persona che venne deposta nel mausoleo di Augusto fu il nipote e genero Marcello; Seguirono lo stesso destino Agrippa ed i suoi figli Lucio Cesare e Gaio. Iscrizioni con la narrazione delle loro gesta ornavano il muro perimetrale del mausoleo. A Giulia venne vietato di essere sepolta qui per via di vari episodi di adulterio di cui si era macchiata durante il corso della sua vita. Subito dopo la morte del principe (19 Agosto del 14 d.C.), vennero innalzati due pilastri di bronzo sui quali vennero incise le res gestae. Attorno al sepolcro Augusto fece allestire dei parchi per indurre il pubblico a soffermarsi e quindi ad osservare le iscrizioni, le statue, e le gesta presenti sul mausoleo. Nel 13 a.C., tornato Augusto dalla Gallia, il senato decise di far erigere l’ara pacis nell’area sud del mausoleo. Fu creato anche un enorme orologio solare il cui gnomone era il primo obelisco che fu portato a Roma dopo la presa dell’Egitto. L’ ara pacis e l’obelisco furono posizionati in modo che il 23 settembre (data di nascita di Augusto) l’ombra della punta dell’obelisco cadesse proprio all’ingresso dell’ara pacis rimanda così a cui per il quale era stato fatto costruire. Ciò doveva servire, assieme al mausoleo, ad andare oltre la morte naturale innalzando per l’eternità la figura di Augusto. Nel 13 d. C. la salute di Augusto peggiorò, nello stesso anno Tiberio ricevette un imperium di pari livello di quello di Augusto. Nell’estate del 14 d.C. Augusto si recò a Nola, dove era morto suo padre Ottavio. Il 19 agosto del 14 d.C. egli morì là, nella stessa stanza dove era morto suo padre. Livia e Tiberio erano con lui. Tiberio gi succedette divenendo il nuovo princeps. Nessuo si oppose alla successione. Da Nola le spoglie di Augusto vennero portate a Roma. Il giorno dei funerali furono emanati i funerali di stato. Migliaia di persone, provenienti da tutta Italia, parteciparono alle esequie. Druso minore e Tiberio tennero i discorsi funebri. Il senato dichiarò Augusto divus (uno dio al pari degli altri dei). Augusto divenne parte del pantheon romano ed il suo culto divenne il culto di colui che potreggeva la res publica. Venne eretto anche un tempio per il culto u ciale di Augusto. Le spoglie cremate diffidare la Gallia (conquistata da Cesare) mostrando i suoi veri piani e cioè di Augusto vennero raccolte e deposte in un’urna di marmo nella camera funeraria principale del mausoleo sul quale si ergeva un’imponente statua di bronzo. Tutti i suoi successori si richiamarono a lui, tanto che il suo nome divenne un vero e proprio titolo. Augusto regnò per 45 anni, calcolando dalla battaglia di Azio. Nessuno prima di lui ne dopo di lui farà altrettanto. Il suo agire non fu quasi mai contestato. Qualche critica sul suo operato fu relativa esclusivamente al periodo del triumvirato. Crudeltà, astuzia, bramosia di potere: queste le accuse sollevate. Nonostante ciò persino i suoi critici più duri non poterono mettere in dubbio la straordinaria opera politica di cui fu artefice. La rifondazione della res publica, anche se attraverso una forma di monarchia da lui inventata, diede nuovo valore politico alle province e garantì la pace per la maggior parte del suo regno. Nessuno dei suoi successori presentò un bilancio della propria opera paragonabile al suo. Nessuno uomo di stato poté, neanche alla lontana, rivaleggiare con lui.
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