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Autonomia negoziale e contrattuale ( terzo step diritto privato Perlingieri), Appunti di Diritto Privato

Riassunto dettagliato del manuale di diritto privato, Perlingieri.

Tipologia: Appunti

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Scarica Autonomia negoziale e contrattuale ( terzo step diritto privato Perlingieri) e più Appunti in PDF di Diritto Privato solo su Docsity! A. Autonomia negoziale e autonomia contrattuale a. premessa Autonomia privata, eteronomia ed autotutela. L’autonomia privata è quel potere riconosciuto o attribuito dall’ordinamento giuridico al privato, di autoregolare i propri interessi. I due caratteri distintivi dell’autonomia privata sono: ƒ • eteronomia, creazione di regole da parte non del titolare degli interessi, ma di un soggetto estraneo provvisto di un potere pubblico; sono atti di eteronomia sono la legge, il provvedimento amministrativo, la sentenza perché vengono da soggetti come il giudice che hanno il potere di regolare interessi indipendentemente dalla volontà del suo titolare. • autotutela, consistente nel potere di tutelare da soli i propri interessi; è dunque l’onere di adire agli organi giurisprudenziali per ottenere la salvaguardia dei propri interessi, esso è istituito eccezionalmente e al soggetto è consentito ricorrervi solo nelle ipotesi previste dalla legge (es.: diritto di ritenzione art. 1152 c.c., legittima difesa art. 2044 c.c.). Gli interessi dei singoli possono essere oggetto ad autoregolamentazone o etororegolamentazione anche in via cumulativa (si discorre di concorso di fonti e in fonti eteronome). Autonomia individuale e collettiva, di scambio e associatività. Facendo riferimento all’interesse autoregolato, si definisce la differenza tra autonomia individuale e collettiva. La differenza va fatta sul tipo d’interesse da regolare e non in base alla struttura del soggetto agente: ƒ • l’autonomia individuale, riconosciuta al soggetto individuo, tende a regolare gli interessi esclusivi del singolo agente o dei loro rappresentanti ; ƒ • l’autonomia collettiva, riconosciuta non solo al soggetto individuo ma anche agli enti, tende a regolare interessi della categoria professionale o sociale che essa rappresenta. Dunque sul piano sostanziale la differenza si basa sulla mera circostanza che la prima spetta soggetti individuali mentre la seconda spetta ad enti collettivi e o gruppo privati. Mentre sul piano sostanziale si discorre pur sempre di autonomia singolare. Abbiamo anche: ƒ • l’autonomia di scambio, dove gli interessi, mossi da posizioni opposte, sono tesi a conseguire scopi non coincidenti; ƒ • l’autonomia associativa, dove gli interessi procedono parallelamente, mossi da uno scopo comune. L’autonomia e i suoi presupposti normativi si rinvengono tanto nella carta costituzionale quando nel codice civile, senza tralasciare la legislazione speciale che tende a distinguere le due autonomie in ragione degli scopi e delle attività delle formazioni sociali. Autonomia privata e pubblica amministrazione . Difficile è fare la distinzione fra autonomia privata e pubblica, perché ormai è superata la tradizionale definizione di autonomia privata come potere riconosciuto o attribuito dall’ordinamento giuridico al privato. Il problema sorge nel fatto che anche il soggetto pubblico agisce da privato, non solo nei rapporti pubblico- privato, ma anche nei rapporti pubblico-pubblico dove gli interessi sono regolati in autonomia privata. Il diritto privato non è da intendere solo come diritto civile, ma anche come diritto comune. Si discorre pertanto di autonomia negoziale anziché di autonomia privata in quanto il carattere negoziale dell’atto prescinde dalla natura del soggetto che lo pone in essere e si caratterizza esclusivamente per il tipo di interesse che l’atto è incline a realizzare. L’espressione interesse pubblico può e4ssere considerata come esigenza di protezione e di realizzazione di valori di una comunità, valori essenziali della convivenza e dell’unità politica delle persone accettati da ciascuno al momento del riconoscimento della legittimità dell’ordinamento. Contratti della pubblica amministrazione La p.a non può assumere impegni e concludere contratti se non nelle forme stabilite dalla legge e dai regolamenti, i contratti conclusi dallo Sato e degli enti locali, richiedono la forma scritta ab subastantiam con esclusione di qualsivoglia manifestazione di volontà implicita o desumibile da comportamenti meramente attuativi, anche in considerazione dei principi di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione. Necessaria per la configurazione legislativa è la volontà del soggetto pubblico al fine di individuare il soggetto contraente. Gli accordi debbano essere stipulati per iscritto salvo che la legge disponga diversamente, l’amministrazione può tuttavia recedere salvo obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato. Concetto di autonomia negoziale: dialettica negozio-contratto. Una classificazione di autonomia privata è basata sui mezzi quali essa si esplica. Si discorre per tanto di autonomia negoziale e di autonomia contrattuale muovendosi in relazione alla specie che vincola il negozio (genus) e il contratto (species). L’autonomia negoziale è il potere riconosciuto o attribuito dall’ordinamento, al soggetto di diritto privato o pubblico, di regolare con proprie manifestazioni di volontà interessi privati o pubblici, comunque non necessariamente propri. L’autonomia negoziale si manifesta (si estrinseca) con il compimento di un negozio caratterizzato non solo da negozi bi o plurilaterali, ma anche da quelli unilaterali. L’autonomia contrattuale si manifesta con il compimento del contratto caratterizzato dalla pluralità delle parti e dalla patrimonialità del contenuto (art. 1321 c.c.). Sulla rilevanza costituzionale dell’autonomia contrattuale. L’autonomia contrattuale ha una rilevanza costituzionale da ricercare in un duplice profilo: • quello positivo della ricerca del fondamento e della tutela costituzionale della stessa; • quello negativo, ossia i limiti d’ordine costituzionale da essa imposti. Facendo un confronto fra l’art. 1322 c.c e l’art. 41 Cost., si nota che l’iniziativa economica privata con l’intento di asserirne la tutela costituzionale diretta, ma questa individuazione finirebbe per essere prerogativa solo degli operatori economici. Se si confronta l’art. 1322 c.c. e l’art. 2 Cost., si denota un’autonomia contrattuale associativa, perché proprio l’art. 2 Cost., tutela le formazioni sociali e il loro svolgimento, però non tutela la personalità di scambio che identifica l’autonomia contrattuale. Fondamenti costituzionali dell’autonomia negoziale . Importante è ricercare non il fondamento costituzionale dell’autonomia contrattuale, ma i fondamenti costituzionali dell’autonomia negoziale, esigenza dettata dalla tendenza di proporre soluzioni generalizzanti, con l’esigenza di esaminare l’esperienza giuridica in tutte le sue componenti. Le coordinate per la Costituzione; • Libertà di scegliere il contraente, con diverse modalità (negozio di fiducia, prelazione volontaria e legale); • libertà di determinare il contenuto contrattuale arricchendolo con elementi accidentali ecc… (clausole d’uso); • libertà di apportare schemi contrattuali atipici, creando contratti misti (combinazioni di più contratti tipici), o stabilire una connessione di più contratti; • libertà di determinare nuove forme di contratti come le forme convenzionali o patrizie, e di scegliere anche la forma: o scritta o elettronica. Altre libertà contrattuali. Altra libertà contrattuale è, per esempio la scelta della struttura negoziale che si fonda sul principio dell’economia delle dichiarazioni, del quale il canone dell’economia dei mezzi giuridici è il referente più ampio, esse è esercitabile anche oltre le ipotesi prefigurate dalla legge sempre che il negozio unilaterale sia emancipato dal dogma della tassatività. Questa libertà è intesa come il potere riconosciuto ai soggetti di compiere una duplice opzione: ƒ • scegliere fra una struttura contrattuale ed una struttura negoziale unilaterale; . ad esempio nell’ipoteca • scegliere fra diverse strutture contrattuali, si ricorre quando l’iter formativo è diverso in quanto è anticipato il momento perfezionativo. Altra libertà è la scelta di realizzare il risultato in via diretta o in via indiretta; • in via indiretta quando, mediante apposite clausole, si adattano strutture negoziale tipiche o atipiche, destinate a realizzare altre funzioni, senza però eludere l’applicazione di una norma imperativa. • Figura di negozio indiretto, nulli per violazione di questo divieto e quindi in frode alla legge, è la vendita con patto di riscatto. La libertà di incidere sull’efficacia contrattuale è da intendere: A.a. come possibilità di dissociare il momento perfezionativo della fattispecie contrattuale da quello dell’efficacia stessa apponendo al contratto condizione sospensiva o termine iniziale; A.b. come libertà di deviare gli effetti del contratto dalla sfera giuridica dei contraenti. La libertà cosiddetta sanzionatoria consiste nel potere di creare, a carico dei contraenti, pene contrattuali dirette a sanzionare violazioni: regole, condotta, fonte negoziale (es.: sanzioni disciplinari). Autonomia negoziale nel diritto delle persone, della famiglia e delle successioni per causa di morte. L’autonomia negoziale in relazione alla persona è molto ingarbugliata, perché al legislatore spetta l’arduo compito di definire i limiti di disposizione del proprio corpo e di definire la meritevolezza dell’autonomia nel campo della bioetica o del biodiritto. Persona che è all’apice della graduatoria costituzionale, persona che è unione tra psiche e soma e costituisce la linea-guida per la soluzione di delicatissimi problemi. Altro problema riguarda il collegamento tra l’autonomia negoziale e i rapporti familiari, dove è posto al centro il principio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi impostazione portata avanti anche dall’assetto comunitario oltre che pubblicistico Di autonomia testamentaria gode l’autore del testamento, il quale può scegliere fra tanti strumenti negoziali idonei a disporre delle proprie sostanze anche dopo la morte. b)Strumenti dell’autonomia negoziale: profilo strutturale Contratti, accordi e convenzioni. La definizione del contratto è data dall’art. 1321 c.c., mentre gli accordi e le convenzioni non sono definiti dalla legge. L’art 1321 c.c. afferma che: “il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”. Una differenza fra contratto e accordo sta proprio nel fatto che l’accordo può assumere contenuto patrimoniale o non. Riguardo alla normativa applicabile, la disciplina del contratto, in virtù della sua forza espansiva, è applicata alle convenzioni e agli accordi (art. 1323-1324 c.c.). Accordi che troviamo non sono nella disciplina del codice civile ma anche in quella amministrativa, commerciale ma anche nei patti parasociali ( convenzioni di voto). Si usa accordo per designare l’atto di autoregolamentazione di interessi a struttura bio o plurilaterale suscettibile di assumere, contenuto patrimoniale e non (vedi accordo separazione tra coniugi). Contratti e negozi unilaterali: tra tipicità e atipicità. Contrapposti ai contratti, agli accordi e alle convenzioni sono i negozi unilaterali, dove vi è la presenza di una sola parte, ossia di un solo centro d’imputazione giuridica del regolamento d’interessi. Si tratta di una tipologia disomogenea, in quanto comprensiva di negozi destinati ad operare inter vivos, e mortis causa, nei settori dei rapporti personalissimi, familiari, patrimoniali. A tali negozi il codice riserva il termine atti, provvedendo a dettarne una disciplina specifica in ragione della loro funzione, per tutti quelli operanti inter- vivos e a contenuto patrimoniale (art. 1324 c.c.) il codice detta la disciplina dei contratti in generale. È stata rivisitata la tassatività dei negozi unilaterali riconoscendone molti altri, definiti atipici, come quelli inter-vivos a carattere patrimoniale. La validità dei contratti atipici è naturalmente subordinata all’esito positivo del controllo di meritevolezza di tutela dell’interesse dedotto. Accanto a fattispecie a struttura unilaterale destinate ad acquisire una causa già delineata dal legislatore, possono dunque operare figure unilaterali, fra queste per esempio le dichiarazioni di saldo, apposta ad una quietanza, la dichiarazione di benestare del creditore ad una prestazione inesatta, il negozio unilaterale di accertamento ed alcune specie di lettere di patronage. c. “Elementi essenziali” del negozio e “requisiti” del contratto La parte. Il negozio giuridico presuppone l’esistenza di un soggetto legittimato a porlo in essere, che assuma la qualità di soggetto del negozio giuridico. In tal senso, non è concepibile un atto giuridico in mancanza di un soggetto esistente e determinato; questi è essenziale al perfezionamento della fattispecie negoziale. La parte è intesa come centro di interessi, assumendo il ruolo di portatore degli interessi negoziali e, di regola, di destinatario degli effetti negoziali. La parte si identifica in un soggetto o in una pluralità di soggetti; tale pluralità, tuttavia, non nuoce alla configurazione di un'unica parte, perché questa è individuabile in base all’unicità dell’interesse perseguito. Le funzioni di parte della fattispecie e di parte del regolamento d’interessi sono normalmente svolte da un medesimo soggetto. Non è escluso però che le diverse componenti della vicenda negoziale siano attribuite o riferite a soggetti distinti; un esempio è la rappresentanza. Sotto altro punto di vista, l’assunzione della qualifica di parte del regolamento d’interessi costituisce il presupposto per l’attribuzione della titolarità degli effetti negoziali. Tuttavia, questi ultimi possono essere attribuiti direttamente anche ad un soggetto diverso, come ad esempio nel contratto a favore di terzi o nel contratto per persona da nominare. La determinazione e l’esistenza del soggetto sono necessarie nella conclusione di negozi a carattere personale (intuitu personae), mentre per altri negozi il soggetto può anche essere indeterminato o determinabile in futuro. I soggetti sono identificati mediante l’uso dei segni rappresentativi della soggettività e della personalità. Il problema sorge nel caso una delle parti usi un nome fittizio: in questo caso il contratto conserva la sua efficacia e la sua validità. Problema diverso è se si usa il nome di un’altra persona, usurpandolo. Esistono delle sanzioni per coloro che utilizzano il nome altrui per scopi economici: • il contratto può essere dichiarato nullo • o annullabile, se si voleva eludere un divieto normativo oppure si voleva ingannare la controparte. L’assunzione dell’identità altrui da parte dal contraente è sanzionata mediante la comminazione di conseguenze di volta in volte diverse che dipendono Rappresentanza. Il procedimento di formazione delle fattispecie negoziali, di norma, è dovuto alla diretta e personale partecipazione del titolare degli interessi regolati. Spesso l’interessato non può o non vuole partecipare personalmente alla conclusione degli atti e ciò determina l’intervento di un soggetto in sostituzione nell’atto negoziale. Tra gli schemi usati, un ruolo preminente è svolto dall’istituto della rappresentanza. Nella rappresentanza (art. 1388 c.c.), un soggetto (rappresentante), allo scopo di curare un interesse altrui, compie un atto (rappresentativo) destinato a produrre effetti nella sfera giuridico-patrimoniale di un soggetto diverso (rappresentato). La rappresentanza si può applicare per i negozi giuridici aventi contenuto patrimoniale, ed anche per gli atti giuridici in senso stretto; non si può applicare per gli atti personalissimi come il matrimonio. Diverti fattispecie di rappresentanza: • La rappresentanza diretta è caratterizzata dalla presenza di un rappresentante che è legittimato ad agire per nome del rappresentato (spendita del nome) e per interesse dello stesso, perché gli effetti dell’atto si producono direttamente sulla sfera giuridica del rappresentato. • rappresentanza indiretta, un soggetto mandatario si obbliga a compiere un atto giuridico per conto di un soggetto diverso (mandante), senza, però, manifestare l’altruità dell’affare (mandato senza rappresentanza; art. 1705, 1706, 1707 c.c.); il rappresentante compie un negozio per conto dell’interessato, ma questo negozio è concluso a nome proprio, cioè senza spendere il nome del rappresentato. Nell’acquisto di beni immobili, il mandatario è obbligato a trasferire i beni al mandante; nell’acquisto di beni mobili o nella costituzione di diritti di credito, il mandante può rivendicare i beni ed esercitare i crediti. Quindi, la differenza principale sta nel fatto che nella rappresentanza diretta, il rappresentato è parte del regolamento contrattuale; nella rappresentanza indiretta, il rappresentante è parte del regolamento contrattuale e il rappresentato è soltanto termine di riferimento degli effetti scaturiti dal mandato. nello schema dei patti d’opzione o di un contratto preliminare per sé o per persona da nominare. Articolo 1325 del codice civile: 1. accordo delle parti (art. 1326 ss.); 2. causa (art. 1343 ss.); 3. oggetto (art. 1346 ss.); 4. forma (art. 1350 ss.). 18. Volontà e manifestazione. La volontà è uno degli elementi fondamentali dell’atto negoziale; infatti, il codice civile indica nell’art. 1325 l’accordo tra le parti nei requisiti del contratto. Nella valutazione dell’atto negoziale si sono avuti accesi dibattiti se tenere in considerazione la teoria della volontà, con la quale si valorizza la volontà interna ossia ciò che il disponente realmente voleva, oppure considerare la teoria della dichiarazione, con la quale si valorizza la volontà esterna manifestata dal dichiarante. Anche se l’autonomia non è sempre legata alla volontà, quest’ultima continua ad essere considerata il momento dinamico delle relazione giuridiche e quindi necessariamente essenziale. Infatti, la mancanza della volontà produce la nullità dell’atto, e quando la volontà non è espressa liberamente (cioè è viziata), l’atto è annullabile. La dichiarazione diretta ad uno o più soggetti determinati si dice recettizia quando, per produrre effetti, deve essere conosciuta dal destinatario o conoscibile mediante l’uso dell’ordinaria diligenza (artt. 1374-1375); si dice non recettizia quando non è diretta a determinati destinatari e produce immediatamente i suoi effetti (es. accettazione dell’eredità). La dichiarazione espressa consiste non solo nelle parole, ma anche nei gesti, in segni espressivi che, secondo la valutazione nell’ambiente sociale, sono idonei ad esprimere immediatamente e direttamente la volontà; anche il silenzio può assumere valore di dichiarazione. La dichiarazione tacita comprende quelle dichiarazioni e quei comportamenti che lasciano desumere in modo univoco e immediato la propria volontà (comportamento concludente). Comportamento concludente e attuativo. Con il comportamento concludente, l’agente (inteso come colui che agisce) fa desumere la propria volontà in modo univoco e immediato; un esempio è l’agente che va ad un self-service e si avvicina alla cassa con il vassoio. Con il comportamento attuativo la volontà è intrinseca nell’immediatezza dell’esecuzione e la volontà si realizza senza dichiarazione. Se da un determinato comportamento si può desumere una volontà diversa da quella dell’agente, egli la può escludere manifestando espressamente la sua volontà contraria (protestatio). Il ricorso alla dichiarazione tacita di è naturalmente escluso per quegli atti per i quali la legge richiede la forma scritta o l’atto pubblico volontà. Autoresponsabilità e affidamento. L’autoresponsabilità è una regola generale di comportamento secondo buona fede; essa postula che chi manifesta una concreta determinazione negoziale resti legato alle conseguenze che da questa discendono, tutte le volte che la sua dichiarazione possa apparire. L’autoresponsabilità è vincolante in quanto “regola”. Ai fini della validità dell’atto d’autonomia, la legge non richiede che la volontà intima del soggetto risponda a quanto dichiarato, perché ciò che pensa e ciò che vuole sono un qualcosa di proprio (riserva mentale), e quindi resta vincolato alla sua dichiarazione. La tutela dell’affidamento si ha quando un soggetto ha confidato nel contegno della controparte e tale fiducia si fonda su circostanze oggettive ragionevoli. Il principio dell’apparenza giuridica tutela e protegge, a differenza dell’affidamento, lo stato di fiducia dell’altro soggetto in buona fede. Causa. La causa è uno degli elementi essenziali del contratto ed è tutelato dalla legge, in quanto lecita e meritevole di tutela. Nel caso la causa fosse illecita e immeritevole di tutela, l’ordinamento sanziona ciò con la nullità del contratto. Il vigente ordinamento ha accolto il principio della causalità negoziale che, dettato dalla legge in sede contrattuale, opera anche per i negozi unilaterali. La causa non è solo un elemento essenziale del contratto, ma è intesa anche come quid (qualcosa) che illumina il contratto, un quid che svolge la funzione di regolamento di interessi. Difatti, alla causa è ricondotta una pluralità di funzioni: una funzione economico-sociale, una sintesi degli effetti essenziali, una funzione economica-individuale, giustificazione dello spostamento patrimoniale, ecc…. Con il codice del 1865 si aveva una concezione soggettiva della causa; il contratto era visto come un’obbligazione e la causa si risolveva nel raggiungimento degli interessi, cioè il contratto era valutato dal punto di vista dei contraenti. Con l’entrata in vigore del codice civile del 1942, il contratto non è visto più come una mera obbligazione e la causa si risolveva prima nella ragione economica-giuridica del negozio, in seguito nella ragione economico-sociale riguardante quegli atti negoziali che realizzano una funzione di utilità sociale e la quale causa (tipica) è già disciplinata dall’ordinamento. La causa aveva il ruolo di controllare che i fini perseguiti dai contraenti fossero coerenti con quelli generali fissati dall’ordinamento. Si ha quindi uno spostamento della valutazione del contratto dal punto di vista dei contraenti, a quello dell’ordinamento (concezione oggettiva). Un errore che è stato commesso da molti studiosi è quello di ritenere uguali la causa e il tipo, che è lo schema astratto-regolamentare; per non incorrere in tale errore, nella causa si intravede anche la funzione economico-individuale, cioè la reale partecipazione delle parti all’operazione. L’ordinamento divide i contratti tipici da quelli atipici; • I contratti tipici sono quei contratti caratterizzati da una fattispecie disciplinata e da una causa. Tipica con schemi previsti; bisogna distinguere la causa in astratto e la causa in concreto. 1. Per quanto riguarda la causa in astratto, se si tratta di contratto tipico non si pone un problema 2. di mancanza di causa che invece si pone per quanto riguarda la causa in concreto (es: nullità della fideiussione per inesistenza del debito garantito). • Il problema della causa in astratto si pone per i contratti atipici, cioè quei contratti che sono caratterizzati da una fattispecie non disciplinata e da una causa atipica, dove il giudice dovrà accertare se nel contratto ricorre il requisito della causa. La causa è la funzione giuridica fissata dalla sintesi degli effetti giuridici diretti ed essenziali del contratto; essa (la causa) è costituita dall’incontro del concreto interesse con gli effetti del contratto. Per sintesi si intende la relativizzazione degli effetti con riferimento al concreto negozio. Questa funzione giuridica non si risolve in tutti gli effetti riconducibili alla fattispecie, ma solo alla sintesi di quelli essenziali. Ogni tipologia contrattuale non è possibile ricondurla ad una causa predeterminata, perché, ad esempio, in una pluralità di compravendite è possibile riscontrare non un’identità di tipo contrattuale, ma una pluralità di cause. Nel caso la causa fosse predeterminata per ogni tipo di contratto ad esempio una compravendita non potrebbe mai presentarsi una causa illecita, che invece potrebbe manifestarsi per i contratti atipici. • Il negozio indiretto, inteso come uno schema tipico per raggiungere uno scopo non riconducibile a quel dato tipo negoziale, non rappresenta una situazione anomala, però è sottoposto a controlli di liceità e meritevolezza. • Il negozio indiretto è una connessione di più negozi al fine di ottenere un risultato che è diverso da quello che persegue ogni singolo negozio, senza eludere il divieto di una norma imperativa. La causa nella compravendita è il trasferimento della cosa contro il corrispettivo del prezzo, il motivo è tutto ciò che ha spinto i contraenti alla conclusione del contratto. Il motivo quindi costituisce il concreto interesse di una o di entrambe le parti ed esso non è dedotto nel regolamento da esse (le parti) predisposto; il motivo è rilevante solo se illecito e comune ad entrambi le parti del contratto ed è rilevante non solo in chiave patologica. L’atto ha meritevolezza soltanto qualora risponde ad una funzione giuridicamente e socialmente utile, poiché la mancanza o l’illiceità della causa producono la nullità del contratto. • I negozi astratti, svincolati dalla causa (nel senso che se la causa manchi o sia illecita, ciò non priverebbe al negozio di produrre gli effetti giuridici), sono meramente teorici, non esistendo alcuna disposizione che discorre di astrattezza. La natura causale di un negozio non viene meno per il semplice fatto che la causa non è espressamente indicata, perché essa la si deduce mediante il processo di interpretazione e qualificazione. Tuttavia bisogna dividere il caso di astrattezza piena o assoluta dal caso di astrattezza semplice o relativa, dove nel caso di astrattezza semplice o relativa ossia di negozi provvisti di causa, essi producono gli effetti anche se non sorretti da una causa lecita e meritevole di tutela. Oggetto. L’oggetto è tra i requisiti essenziali del contratto (art. 1325 c.c.); non è facile definirlo in un modo specifico, in quanto, può essere considerato oggetto sia una cosa materiale che una cosa immateriale, sia una prestazione che un diritto, ecc…. Innanzitutto bisogna distinguere l’oggetto del negozio dall’oggetto dell’obbligazione (o del rapporto): il primo indica un elemento della fattispecie, la cui mancanza o patologia (dell’elemento = oggetto) determina l’invalidità della fattispecie; il secondo, invece, indica un elemento del rapporto che scaturisce dall’atto, la cui mancanza o patologia (dell’elemento = oggetto) non determinano vizi genetici della fattispecie ma anomalie che sorgono al momento della fase attuativa o esecutiva del contratto e possono (queste anomalie) essere causa di risoluzione. L’oggetto del contratto o del negozio individua una categoria logica e non un’entità materiale, perché quest’ultima è estranea alla struttura dell’atto, in quanto, costituisce o l’effetto o il termine di riferimento. L’oggetto del contratto o del negozio è un requisito della fattispecie, la cosa sul quale si manifesta la volontà e si forma il consenso. I negozi su beni futuri hanno ad oggetto la vendita di beni futuri come, ad esempio, i frutti di un raccolto e la proprietà passerà dal venditore al compratore nel momento in cui la cosa sarà venuta ad esistenza; è, invece, vietato donare cose future. Nei negozi l’oggetto può essere determinato in modo generico o da determinarsi per relationem; quando è determinato per relationem, l’oggetto è valutato successivamente su accordo delle parti da una fonte esterna. Un esempio è la valutazione di una cosa su cui i due contraenti non riescono a trovare un valore comune: essa è stimata a valore di mercato o può essere stimata da un terzo incaricato a valutarla a valore di mercato o sulla base del suo insindacabile arbitrio (arbitraggio). I requisiti dell’oggetto, indicati dall’articolo 1346 del codice civile, sono: la liceità, la possibilità e la determinatezza o determinabilità. • Possibilità: l’oggetto del contratto deve essere possibile. La possibilità può essere materiale e giuridica: per quanto riguarda la possibilità materiale, l’oggetto è impossibile quando si tratta di una cosa che non esiste oppure di una prestazione materialmente ineseguibile; per quanto riguarda la possibilità giuridica, l’oggetto è impossibile quando esso non è per legge una cosa che può formare oggetto di diritto (corpo umano). Sono giuridicamente impossibili anche i beni che la legge dichiara inalienabili o fuori commercio (beni demaniali). • Determinatezza o Determinabilità: l’oggetto è determinato quando è possibile ed è certa la sua identificazione; l’oggetto è determinabile quando, con stime di mercato o con metodi enunciati nel contratto, è possibile stimarlo e determinarlo. • Liceità: l’oggetto è illecito quando la cosa dedotta in contratto è il prodotto o lo strumento di attività contrarie a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume, o quando la prestazione dedotta in contratto è attività vietata. L’illiceità della causa è differente da quella dell’oggetto, perché quella della causa investe la funzione del contratto: il contratto può avere un oggetto lecito e tuttavia una causa illecita. d) Strumenti dell’autonomia negoziale: profilo dinamico Formazione dei contratti (art. 1326 ss.). La tecnica dello scambio dei consensi è un procedimento idoneo a produrre regole contrattuali. Esso postula che due o più persone si accordano sul contenuto del contratto che intendono concludere. Se le parti sono persone presenti non sorgono problemi relativi ai tempi, ai modi, e al luogo; se invece lo scambio avviene tra persone distanti, il contratto è concluso nel momento dell’accettazione dell’altra parte e il luogo della conclusione del contratto è quello dove il proponente ha conoscenza dell’accettazione. La proposta è l’atto prenegoziale con il quale una parte prospetta (propone) all’altra il contenuto del contratto; tale contenuto deve essere completo ed espresso nella forma richiesta per la validità del contratto. Quando la proposta è incompleta, l’altra parte sollecita il proponente a precisare un elemento mancante, diventando così un invito a proporre. La proposta è rilevante quando rappresenta la volontà definitiva del proponente ed è trasmessa all’altra parte. L’accettazione esprime la volontà di vincolarsi al programma contrattuale della proposta: in caso di un’accettazione parziale o modificativa l’accordo si potrebbe considerare perfezionato. L’accettazione non conforme vale come nuova proposta o controproposta e vale come controproposta anche un’accettazione del contenuto del contratto, ma non espressa nella forma richiesta dal proponente. L’efficacia della proposta ha un termine che è stabilito o dalle parti in accordo oppure è determinato secondo natura del contratto; il proponente può ritenere valida l’accettazione tardiva salvo l’obbligo di darne immediatamente comunicazione all’accettante (oblato). La proposta e l’accettazione sono revocabili fino a quando il contratto non sia concluso: la revoca della proposta deve essere inviata all’oblato prima che la sua accettazione arrivi a conoscenza del proponente; la revoca dell’accettazione deve giungere a conoscenza del proponente prima che giunga l’accettazione. L’art. 1328 c.c. dispone che se l’oblato, dopo l’accettazione e prima di venire a conoscenza della revoca, ha iniziato in buona fede l’esecuzione, ha diritto ad essere indennizzato per le spese e perdite subite. L’art 1335 dispone una presunzione quella di conoscenza: la proposta, l’accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta ad una determinata persona, si reputano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario anche se questi per cause a lui non imputabili prova di essere stato nell’impossibilità di averne notizia. La proposta irrevocabile è atto unilaterale, preparatorio, che ha efficacia per un tempo determinato e vincola immediatamente chi la compie; la sua finalità sta nel fatto che il destinatario di tale offerta ha un determinato tempo in cui decidere, sapendo però che il proponente non modificherà i termini della proposta, come ad esempio l’aumento del prezzo oppure di non proporre ad altri l’affare. La proposta e l’accettazione decadono per morte o incapacità sopravvenuta del proponente prima della conclusione del contratto; non decadono però se vengono fatte dall’imprenditore nell’esercizio dell’impresa. Ci sono dei contratti che hanno un’esecuzione anticipata: sono quei contratti che su richiesta del proponente o per la natura dell’affare non necessitano di una preventiva accettazione per iniziare un’esecuzione. Nel momento in cui l’oblato avvia l’esecuzione, il contratto s’intende concluso nel tempo e nel luogo d’inizio dell’esecuzione e il proponente non può più avvalersi del diritto di revoca. L’oblato può concludere il contratto senza attendere che l’accettazione giunga alla controparte, ma ha l’obbligo di mettere a conoscenza il proponente dell’avviata esecuzione, pena il risarcimento del danno. L’art 1336 dispone dell’offerta al pubblico; essa è un diverso procedimento di formazione del contratto. La proposta non ha un destinatario prestabilito ma è diretta a chiunque ne abbia conoscenza. Ai fini della conclusione del contratto è sufficiente che chi abbia interesse all’acquisto lo manifesti con l’accettazione. Il proponente può revocare la proposta con gli stessi mezzi in cui ha manifestato l’offerta. L’offerta al pubblico si differenzia dalla promessa al pubblico, perché la promessa è negozio unilaterale immediatamente vincolante per chi lo compie, mentre l’offerta è soltanto una proposta revocabile e priva di effetti negoziali che però si possono verificare con l’accettazione. L’art 1333 disciplina la formazione del contratto con obbligazione a carico del solo proponente; esso è per definizione a titolo gratuito, ma non è mosso necessariamente da spirito di liberalità. L’interesse del proponente può avere contenuto economico oppure un contenuto di aspettativa come nel caso della pubblicità. La proposta è irrevocabile anche in assenza di un termine ed il contratto si reputa concluso se l’oblato non rifiuti nel termine richiesto dalla natura dell’affare o degli usi. Il contratto con obbligazione a carico del solo proponente è detto anche contratto unilaterale. Si tratta pur sempre di un negozio bilaterale, che si perfeziona mediante comportamenti riservati ad entrambe le parti: l’unilateralità si riferisce non al numero delle parti, ma alla circostanza che la prestazione è a carico di una sola di esse (del solo proponente) (tesi di bilateralità e unilateralità). Il contratto con sé stesso o l’autocontratto è sicuramente bilaterale, perché il regolamento di interessi è riferito a due parti, al rappresentante e al rappresentato. Molti problemi recano i contratti informatici; essi sono stipulati tramite macchine e rendono difficile l’imputazione degli effetti del contratto, la valutazione della dichiarazione e la presenza dei vizi della volontà. Quindi il contratto può essere concluso in due ipotesi: 1. mediante l’uso di tessere magnetiche con digitazione di un codice segreto; l’identificazione dell’utente sta nel possesso della tessera e nella conoscenza del codice segreto. 2. L’utente ha l’onere di conservare la tessera e mantenere la segretezza del codice; nei casi in cui l’utente smarrisce o si vede sottratta la scheda, deve tempestivamente comunicare alla controparte il fatto. Per quanto riguarda i vizi di volontà, l’uso del calcolatore richiede che il soggetto sia cosciente e ciò esclude l’ipotesi di incapacità naturale. 3. mediante l’uso di terminali; l’identificazione è fatta presupponendo la personalità del terminale e i vizi possono essere riscontrati nella dichiarazione e nel suo contenuto. La revoca è applicabile alla proposta e non all’accettazione. In entrambi i casi, la dichiarazione è imputata direttamente al mandante in virtù dell’utilizzo dell’elaboratore e senza la necessità di una sostituzione formale. Altri problemi riguardano i contratti via internet, dove è richiesto un minimo di informazione sull’oggetto o sul servizio offerto affinché il messaggio pubblicitario sia riconosciuto come proposta. Tuttavia se manca tale informazione, il contratto non è concluso anche se l’operatore accetta. I contratti via internet hanno la medesima disciplina dell’offerta al pubblico. Come ben sappiamo, il contratto si perfeziona con l’accordo delle parti; da quel momento esso produce i suoi effetti. Tuttavia ci sono casi in cui tale accordo è necessario ma non sufficiente, in quanto il contratto, per perfezionarsi, necessita della consegna della cosa. Sono chiamati contratti consensuali quei contratti che si perfezionano con il solo accordo delle parti; sono chiamati contratti reali quei contratti che per perfezionarsi necessitano non solo dell’accordo delle parti ma anche della consegna della cosa. Esempi di contratti reali sono il comodato, il deposito, ecc…. La categoria dei contratti reali è eterogenea. Nei contratti standard, il regolamento contrattuale è integralmente disposto da uno dei contraenti, di solito l’imprenditore. Trattative, buona fede e responsabilità cosiddetta precontrattuale. L’art. 1337 c.c. dispone che le parti hanno il dovere di comportarsi secondo buona fede nelle trattative e nella conclusione del contratto. Le trattative, caratterizzate da una sequenza di proposte e contro-proposte, s’identificano in inviti ad offrire, a loro volta preceduti da informazioni che illustrano alla controparte i vantaggi connessi alla conclusione del contratto. Circa il dovere di buona fede, un elemento essenziale è l’informazione o meglio del dovere del contraente d’informare la controparte. Esempio tangibile dell’importanza del dovere d’informazione lo si riscontra in alcuni casi particolari come le prestazione mediche o i contratti finanziari. Il paziente e il risparmiatore non sono normalmente in grado di valutare i propri interessi, perché questi ultimi (gli interessi) sono rimessi a dati tecnici a loro sconosciuti. Spetta al contraente (medico o promotore finanziario) tecnicamente consapevole di selezionare i dati da fornire in modo comprensibile alla controparte. Il dovere autonomo d’informazione non è un semplice momento della formazione del consenso contrattuale, perché riguarda interessi costituzionalmente rilevanti, ed infatti alcuni doveri d’informazione sono sanciti dalla legge, e di altri si auspica l’imposizione. Di rilevante importanza non è soltanto il dovere d’informazione, ma anche la trattativa in sé, in quanto considerata dato essenziale per la validità di clausole, altrimenti qualificate vessatorie. La clausola opera nell’interesse di una sola delle parti, poiché l’altra parte è comunque vincolata. L’obiettivo che si vuole raggiungere è un procedimento di formazione del contratto che riequilibri i rapporti tra gli imprenditori e i consumatori, in quanto questi ultimi sono fisiologicamente sbilanciati per la maggiore forza contrattuale dei primi. Criterio generale per valutare la condotta delle parti è la buona fede intesa in senso oggettivo, perché è indifferente parlare di buona fede o correttezza. La responsabilità cosiddetta contrattuale o per culpa in contraendo è applicata nelle ipotesi di recesso ingiustificato dalle trattative. Oggetto di valutazione è il legittimo affidamento che una parte fa nell’altra tanto da rinunciare ad altri affari o a fare spese in funzione della conclusione del contratto. Eguale responsabilità grava alla parte che non abbia informato la controparte della conoscenza delle cause d’invalidità del contratto oppure alla parte che abbia accettato tale contratto pur riconoscendo un errore nella proposta del contraente. La dottrina si mostra poco sensibile per quanto riguarda i doveri d’informazione delle cause che non riguardano l’invalidità, in presenza di contratti validamente conclusi. Il dovere di buona fede è fonte di responsabilità perché nel caso non venga rispettato esso produce un risarcimento del danno; il problema è stabilire se il risarcimento del danno deriva da una fonte contrattuale o extracontrattuale. La dottrina prevalente afferma che il risarcimento del danno deriva da fonte extracontrattuale, ossia da fatto illecito, che ha preceduto o accompagnato la formazione del contratto e quindi la liquidazione del denaro è regolata dalle norme del fatto illecito; una tesi minoritaria afferma che la responsabilità precontrattuale è da intendersi come responsabilità contrattuale e quindi il risarcimento del danno è liquidato per l’inadempimento dell’obbligazione di comportarsi secondo buona fede nelle trattative e nella formazione del contratto. e) Vincoli nella formazione dei contratti Vincoli alla libertà di contrarre . Nel trattare l’autonomia contrattuale si è fatto cenno ai limiti delle singole libertà contrattuali; tra queste rilievo particolare assumono i vincoli che limitano o regolano l’esercizio delle libertà nella fase delle formazione del contratto. Queste libertà sono: la libertà di contrarre o no, la libertà di scegliere con chi concluderlo, la presenta gli estremi del patto commissorio; • gestione fiduciaria, quando il proprietario di azioni o di altri valori mobiliari li trasferisce fiduciariamente ad una società con l’incarico di provvedere alla loro amministrazione. Se il fiduciario non rispetta l’obbligo assunto, il fiduciante può agire giudizialmente: ad esempio, nel caso in cui il fiduciario si rifiuti di ritrasferire il bene, il fiduciante può richiedere una sentenza costitutiva dell’esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre, oltre al risarcimento del danno. Nel caso in cui il fiduciario, violando il pactum fiduciae, trasferisce il bene a terzi, il fiduciante non può opporre tale patto ai terzi, in quanto quest’ultimo non ha valore reale, ma obbligatorio, però può ottenere comunque il risarcimento. Al modello finora studiato, chiamato romanistico, si oppone quello germanistico: il primo si configura nel trasferimento della proprietà e tutela la posizione del terzo nei confronti del fiduciante; il secondo comporta non un trasferimento della proprietà, ma una forma di “legittimazione”, conservando la proprietà al fiduciante, e tutela la posizione di quest’ultimo rispetto ai terzi. Divieti legali e convenzionali di contrarre. In materia di libertà di decidere se concludere o no un contratto esistono limiti positivi, ossia l’obbligo a contrarre, e limiti negativi, ossia il divieto a contrarre. Per quanto riguarda i divieti di contrarre essi sono consentiti in misura limitata perché impediscono l’attuazione del principio della libertà contrattuale e ostacolano la libera circolazione dei beni. Esistono divieti di contrarre sia legali, dettati dalla legge, che divieti convenzionali, la cui fonte è l’accordo fra le parti. Un esempio del divieto legale di contrarre è il divieto di comprare i beni dati in gestione per gli amministratori di beni altrui. Un esempio del divieto convenzionale di contrarre è il patto di non alienare (art. 1379 c.c.). Tale patto ha effetto soltanto fra le parti e crea fra loro un rapporto obbligatorio; se il contraente, violando il divieto aliena a terzi, questi ultimi acquistano validamente, mentre l’alienante inadempiente è tenuto a risarcire il danno alla controparte. Vincoli alla libertà di scelta del contraente. Prelazioni convenzionali e legali. In materia di libertà di scegliere con chi concludere il contratto, esiste il cosiddetto diritto di prelazione; esso può avere fonte convenzionale o fonte legale. Il diritto di prelazione convenzionale o prelazione volontaria si configura o come clausola contrattuale o come autonomo contratto e si ha quando un soggetto (promettente o concedente), in sede di conclusione di un determinato contratto, si obbliga a dare ad un soggetto (prelazionario) la preferenza rispetto ad altri a parità di condizioni. Tale vincolo riguarda solo la scelta del contraente e non la decisione di concludere o no il contratto e per questo motivo non è opportuno eguagliare la prelazione al contratto preliminare. Il vincolo, quindi, consiste in due obblighi del concedente: 1. un obbligo positivo, ossia il concedente deve comunicare al prelazionario la sua decisione di concludere con questi il contratto a determinate condizioni (denuntiatio) consentendo al prelazionario di esercitare il diritto di prelazione; 2. un obbligo negativo, ossia il concedente si obbliga a non stipulare il contratto con terzi prima o durante la fase della denuntiatio. Il patto di prelazione convenzionale ha efficacia obbligatoria e quindi non è opponibile ai terzi e nelle ipotesi di sua violazione, il prelazionario può richiedere solo il risarcimento del danno da inadempimento. Il diritto di prelazione legale è accordato dalla legge al fine di tutelare interessi particolarmente meritevoli: esempio sono le prelazioni previste a favore dell’affittuario coltivatore diretto. La prelazione legale, a differenza di quella convenzionale, ha efficacia reale ed è opponibile ai terzi, cioè il prelazionario può esercitare il diritto di riscatto del bene acquistato dal terzo. Vincoli alla libertà del contenuto contrattuale: inserzione automatica di clausole, clausole d’uso. La libertà di decidere il contenuto del contratto è un elemento essenziale delle libertà contrattuali; a volte, però, quest’elemento trova delle limitazioni imposte dalla legge. Infatti la legge prevede che determinate clausole, determinati prezzi di beni o servizi, già disposti dalla legge, siano di diritto inseriti nel contratto e che vengano inseriti anche in sostituzione di clausole difformi decise dalle parti. Il legislatore prevede anche che le clausole d’uso si ritengano già automaticamente inserite nel contratto, salvo nei casi in cui le parti abbiano disposto di non includerle. Contrattazione standardizzata: condizioni generali di contratto. Moduli e formulari. L’autonomia contrattuale incontra ulteriori limiti non solo al “se” o “con chi” concludere un contratto, ma anche al “come” concluderlo. Infatti esistono alcuni modelli contrattuali in cui risultano marginali la presenza di 2 parti, la loro trattazione, ecc. Sul mercato si rilevano 2 soggetti: • un soggetto forte (di norma imprenditore) il quale, muovendosi da una posizione di supremazia, è capace d’imporre alla massa indifferenziata un regolamento contrattuale predisposto; • un soggetto debole (di norma massa dei consumatori) il quale non può modificare ed incidere assolutamente sui termini del regolamento contrattuale predisposto. Tali contratti sono rivolti ad una massa indifferenziata e, quindi, vengono chiamati contratti standards, di massa o in serie; questi contratti sono chiamati standards proprio perché standard è il loro contenuto, non essendo compatibile la trattativa con la loro natura di affari. Il fine di tali modelli contrattuali predisposti è: • dalla parte del soggetto forte di semplificare, razionalizzare e velocizzare l’economicità, di limitare i poteri dei rappresentanti, di prevenire rischi, ecc…; • dalla parte del soggetto debole di garantire l’omogeneità e l’uniformità di trattamento, la trasparenza del mercato, la possibile riduzione del prezzo. L’art. 1341¹ dispone che il regolamento contrattuale possa essere formulato anticipatamente da una delle parti (predisponente, di regola l’imprenditore), mediante la formulazione di condizione generale del contratto, le quali condizioni vincolano l’altra parte (aderente, di regola il cliente- consumatore) se risulta che quest’ultima le ha conosciute oppure che le avrebbe dovuto conoscere usando l’ordinaria diligenza. Onere imposto dalla legge al proponente è quello di rendere conoscibile le condizioni del contratto, senza, però, richiedere una manifestazione di vero consenso dell’aderente. Ciò, tuttavia, ha configurato una scarsa tutela del soggetto debole (aderente). Il legislatore, per risolvere tale problema ha previsto una specifica disciplina per le clausole vessatorie. Esse, appunto, perché prevedono particolari vantaggi per il predisponente e particolari oneri per l’aderente, devono essere accettate con una sottoscrizione specifica e quindi estranea e aggiuntiva alla sottoscrizione del contratto. Le clausole c.d. vessatorie sono disciplinate dall’art. 1341² che presenta un elenco tassativo il quale, però, è logicamente assoggettabile ad interpretazione. La sottoscrizione è uno dei requisiti della forma ad substantiam e, in ipotesi di un suo difetto, si verifica la nullità del contratto. Spesso le condizioni generali del contratto sono contenute da moduli o formulari che l’aderente è invitato a sottoscrivere; la sottoscrizione di tali condizioni generali è specifica come quella delle clausole vessatorie. Se al modulo o al formulario sono inserite successivamente clausole aggiunte, queste clausole aggiunte prevalgono su quelle predisposte nel caso in cui le clausole predisposte siano incompatibili con quelle aggiunte, anche se le clausole aggiunte non sono state cancellate. Lo strumento della specifica sottoscrizione delle clausole vessatorie è purtroppo poco efficace in quanto illusorio, perché il predisponente riesce sempre ad imporre una 2° firma su un documento che l’aderente di solito non legge e che non può modificare. Per dare una soluzione a questo problema, il legislatore ha orientato la tutela ad un maggiore controllo di liceità e meritevolezza. Anche la comunità europea si è mossa su queste direttrici emanando direttive comunitarie che vengono recepite dai paesi membri nella forma della novellazione. Contratti normativi. Il contratto normativo è concordato dalle parti per regolare loro futuri rapporti; è un accordo con il quale le parti non dispongono immediatamente dei propri interessi, ma fissano il contenuto di futuri contratti con l’obbligo di inserirvi quel determinato contenuto, nel caso questi contratti vengano stipulati. Nel contratto normativo non sorge l’obbligo di contrarre e quindi non è invocabile l’art. 2932, ma sorge un obbligo di determinazione del contenuto, cioè bisogna inserire nel contratto quel contenuto predeterminato nel contratto normativo. Disciplina dei “contratti del consumatore”. Il consumatore è inteso come la persona fisica e non giuridica che si procura per contratto i beni o i servizi per utilizzarli a fini personali ed estranei alla propria attività imprenditoriale. Il consumatore è sicuramente una delle figure cardini del campo contrattuale tanto da essere un punto di riferimento di una serie di normative, che danno vita ad un “diritto del consumatore”. Il sistema giuridico italiano, in riguardo a tale materia, ha colmato le sue lacune sulla base di sollecitazioni comunitarie. Un esempio è la legge antitrust, che, oltre a porsi come fine un corretto funzionamento del mercato, vuole realizzare una migliore qualità dei beni e dei servizi e di un abbassamento del loro prezzo. Anche l’area del contratto richiede sempre più l’esigenza di proteggere la posizione del consumatore, in quanto contraente debole. Un ruolo centrale in un corretto funzionamento della contrattazione hanno l’informazione e la trasparenza, che sono a carico dell’imprenditore o professionista. Il professionista è la persona fisica o giuridica, privata o pubblica, che conclude contratti aventi per oggetto beni o servizi ai fini della sua attività imprenditoriale o professionale. Delle innovazioni sono state apportate al codice civile dagli art. 1469 bis – 1469 sexies: essi introducono una forma di controllo rivolta a verificare l’equità e l’equilibrio sostanziale del regolamento contrattuale. Questo fatto è un’innovazione perché prima i principi codicistici rimettevano alle parti la determinazione del “giusto” regolamento contrattuale e il legislatore poteva intervenire solo in via eccezionale ed entro determinati limiti. La disciplina introdotta da questi articoli ha un ambito d’applicazione sia soggettiva che oggettiva: • ambito di applicazione soggettiva, nel senso che questa nuova normativa è applicata solo ai contratti tra consumatore e professionista escludendo, dalla figura del consumatore le persone giuridiche e gli intermediari; • ambito di applicazione oggettiva, la nuova disciplina ha introdotto un giudizio di vessatorietà del contenuto contrattuale: questo giudizio di vessatorietà comprende un elenco di clausole “sospette” che si presumono vessatorie salvo prova del professionista; comprende un elenco di clausole assolutamente vessatorie e comprende una clausola generale che definisce clausole vessatorie quelle clausole che determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio di diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. Quando si parla di squilibrio il legislatore intende non uno squilibrio economico, ma uno squilibrio dei diritti e degli obblighi. Questa nuova normativa affianca alla tutela individuale una tutela collettiva: • la tutela individuale ritiene inefficaci le clausole giudicate vessatorie, ma il contratto conserva la sua efficacia. Essa è rilevabile d’ufficio dal giudice; • la tutela collettiva: le associazioni di consumatori o di professionisti o le Camere di Commercio, una volta accertata la vessatorietà di una clausola, possono chiedere al giudice di inibire anche con un provvedimento d’urgenza l’uso di quella clausola. Tuttavia la posizione dell’intermediario è tutelata nei confronti dei produttori o dei fornitori, in quanto l’intermediario ha diritto di regresso nei confronti di questi ultimi nel caso di danni subiti dalla dichiarazione di vessatorietà delle clausole nei rapporti dell’intermediario col consumatore; tutto ciò ha la funzione di evitare che gli intermediari possano di conseguenza aumentare il prezzo. Le clausole proposte al consumatore devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile e, in caso di dubbi, queste clausole sono interpretate nel modo più favorevole al consumatore. L’ordinamento risponde con lo strumento radicale della nullità quando salvaguarda valori superiori, essendo state violate norme poste a tutela di interessi generali ( è nullo il contratto che manca di qualche sua parta essenziale o contraria a norme imperative, di buon costume o norme di ordine pubblico), interviene, invece, con l’annullabilità qualora gli interessi lesi si pongano su un piano subalterno rispetto ai primi, trattandosi di violazione di regole poste a tutela di interessi individuali delle parti. Di conseguenza si giustifica il diverso regime delle figure di invalidità in relazione agli effetti del negozio viziato: • il negozio nullo non produce effetti fin dall’origine ed eventuali sentenze che ne accerti la nullità altro non è che di natura dichiarativa; • il negozio annullabile è efficace già dal momento della sua conclusione, ma questa efficacia si rivela precaria, in quanto gli effetti o possono essere eliminati mediante sentenza costitutiva avente efficacia ex tunc (dall’inizio) tra le parti oppure possono essere stabilizzati qualora il legittimato all’impugnazione eserciti il potere di convalida (art. 1444 c.c.) o lasci scadere il termine prescrizionale dell’azione (art. 1442¹). Nella dottrina tradizionale la nozione di nullità coincide con quella d’inesistenza. Ma una simile assimilazione presuppone che la nullità sia intesa come assoluta irrilevanza giuridica, e non è così tant’è che la nullità opera sul piano fenomenico mentre l’irrilevanza su quello sociale. Per quanto riguarda l’inefficacia essa è da intendersi sia in senso lato che in senso stretto: • in senso lato essa è calcolata sullo stesso piano dell’invalidità e riguarda ogni ipotesi nella quale l’atto negoziale non produce effetti; • in senso stretto, il negozio inefficace è negozio valido, ma per un fatto esterno non è idoneo a produrre i suoi effetti (es: contratto con condizione sospensiva). La nullità, a differenza dell’annullabilità, tutele interessi di portata superiore e quindi la legittimazione a far valere il vizio è assoluta, cioè spetta a chiunque ne abbia interesse. Ciò, però, non esclude l’esistenza di una nullità relativa dove la legittimazione è relativa, ed è eccezionalmente limitata ad alcuni soggetti. Per l’annullabilità, invece, la regola è la legittimazione relativa, in quanto essa può essere fatta valere solo dalla parte prevista dalla legge; tuttavia sono previste ipotesi di legittimazione assoluta (es: interdizione legale). La nullità di un atto negoziale può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma non sono esclusi i casi in cui è il diretto interessato a rilevarla al giudice; l’annullabilità, invece, non è rilevata d’ufficio dal giudice. Il carattere imprescrittibile dell’azione di nullità, si pone come una delle differenze più significative rispetto all’azione di annullamento, sempre prescrittibile. L’imprescrittibilità dell’azione di nullità non travolge gli effetti dell’usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione. Nel negozio ad efficacia reale, seguito dall’immissione nel possesso, la dichiarazione di nullità non preclude il maturarsi dell’usucapione. Così nell’ipotesi di vendita immobiliare nulla per difetto di forma, se l’acquirente ha posseduto lo stabile per 20 anni, può opporre alla sentenza di nullità del contratto l’avvenuto acquisto a titolo originario della proprietà per usucapione. In genere il termine di prescrizione dell’azione di annullamento è di 5 anni, tuttavia la legge spesso stabilisce differentemente. Il termine decorre dalla conclusione del contratto. A volte il termine si allunga per effetto dello scivolamento del termine iniziale di prescrizione: per i vizi di volontà, ad esempio, il tempo decorre dal giorno nel quale è cessata la violenza o è stato scoperto l’errore o il dolo; per l’incapacità legale, dal giorno nel quale è cessato lo stato d’interdizione o d’inabilitazione; per il minore, dal giorno nel quale ha raggiunto la maggiore età. La prescrizione riguarda l’azione e non l’eccezione; l’annullamento non può essere chiesto se sono trascorsi 5 anni, ma può essere opposto anche se sono trascorsi i 5 anni, se solo in quel momento l’altra parte chiede l’esecuzione del contratto. L’azione di nullità non modifica la situazione giuridica preesistente, ma è solo di accertamento e si limita solo a dichiarare la nullità dell’atto; l’azione di annullamento modifica la situazione giuridica preesistente in quanto ha carattere costitutivo. Contrarietà del negozio a norme imperative e nullità virtuale Art 1418 afferma che è nullo il contratto contrario a norme imperative salvo patto contrario dettato dalla legge stessa. La nullità virtuale può derivare anche dal contrasto diretto con una previsione costituzionale o con una disposizione straniera o con una legge regionale. Tradizionalmente si reputa imperativa la norma posta a presidio di interessi di rango pubblicistico, tuttavia anche la violazione degli interessi dei contraenti deboli può dar luogo alla nullità virtuale. Ma la nullità non è l’unico modo per contrastare la violazione di norme imperative, vi sono altre sanzioni anche se la fattispecie è abbastanza controversa; • Si pensi ai contratti stipulati dai professionisti non iscritti negli appositi albi, per il quali il dubbio è se alle sanzioni amministrative e penali debba accompagnarsi una sanzione di nullità del vincolo. Secondo la dottrina comunque l’incidenza della norma imperativa sul negozio andrebbe valutata caso per caso al fine di analizzare sempre la condotta prevaricatrice di una della parti nei confronti dell’altra durante la contrattazione. Nullità di protezione Nella normativa di derivazione europea di interviene sempre più nell’ambito di nullità degli schemi contrattuali che alla base presentano una evidente sperequazione di forza tra le parti. Frequente è il ricorso alla nullità anche per sanzionare il difetto della forma scritta e per andare a salvaguardare l’interesse tra privato e pubblico. La nullità di protezione può anche essere rilevata d’ufficio allo scopo di evitare l’inerzia del contraente protetto si risolvi in un pregiudizio oggettivo per le sue ragioni impedisca di ristabilire rapporti commerciali equi. Le nullità di protezione colpiscono di solito solo le singole clausole e non l’intero rapporto, anche se questa regola è coerente con la necessità di attuare appieno l’interesse del contraente debole, la nullità di protezione è per natura parziale ed è preclusa la sua estensione al contratto pur quando la parte colpita da nullità abbia rivestito carattere essenziale per le parti. Mancanza della volontà. L’accordo esprime il consenso delle parti e si raggiunge con la volontà interna che è rilevante quando essa è manifestata all’esterno con una dichiarazione; tuttavia, quando manca la volontà di produrre effetti giuridici, anche in presenza di una dichiarazione contrattuale resa all’esterno, il contratto è nullo. L’accordo è un elemento essenziale non solo per la conclusione del contratto, ma anche per il suo scioglimento (es: il mutuo dissenso). In ipotesi di errore nella dichiarazione o nella trasmissione della dichiarazione, il contratto è annullabile soltanto se l’errore è essenziale e riconoscibile dalla controparte, mentre si considera valido ed efficace nella altre circostanze. Dal pari è irrilevante la riserva mentale fatta da una parte e non manifestata dall’altra. Se alla dichiarazione non corrisponde un effettiva volontà, il dichiarante è comunque vincolato. Incapacità legale e incapacità naturale. Il contratto concluso da incapace legale di agire è dichiarato annullabile; l’annullamento può essere demandato al giudice, da chi esercita la potestà sul minore, sull’interdetto o sull’inabilitato, o anche dagli eredi o aventi causa del minore. Il contratto del minore non può essere annullato se questi ha occultato con raggiri la sua minore età. L’annullamento non può essere chiesto dal contraente capace, ma solo dall’altra parte (incapace); questa disposizione mira a tutelare il contraente che, per effetto della sua incapacità, potrebbe aver concluso un affare svantaggioso. Il contratto concluso dal maggiorenne capace legalmente, ma affetto da una temporanea alterazione delle proprie facoltà mentali, e quindi non interdetto o inabilitato, è annullabile a condizione che si provi l’esistenza di un pregiudizio per l’incapace e si provi l’esistenza della malafede dell’altro contraente; per malafede s’intende la conoscenza dello stato d’incapacità della controparte o la possibilità di conoscerla con la normale diligenza. Gli atti unilaterali sono annullabili su istanza dell’incapace, dei suoi eredi o dei suoi aventi causa, solo se si prova che l’atto comporta un grave pregiudizio all’incapace. I “vizi” della volontà. La volontà negoziale può essere viziata da errore, dolo o violenza. L’errore è la falsa rappresentazione della realtà che induce un soggetto a negoziare: esempio classico è l’acquisto di un quadro credendolo autentico, ma invece è una copia. L’errore può essere: • l’errore motivo incide sulla volontà prima che essa venga dichiarata all’esterno; • l’errore ostativo si verifica quando la volontà di un soggetto ha una erronea formulazione dell’esternazione; esso non è propriamente un vizio della volontà, ma costituisce una divergenza tra dichiarazione e volontà. L’errore per determinare l’annullabilità del contratto deve essere essenziale e riconoscibile: • è essenziale quando: 1. cade sulla natura del contratto (si crede di concludere una compravendita, ma si conclude una locazione) o sull’oggetto del contratto (si acquista un bene credendolo un altro); 2. cade sulla natura o sulla qualità dell’oggetto (si acquista aceto credendo di acquistare vino); 3. cade sull’identità e sulle qualità personali dell’altro contraente (assunzione di un ingegnere straniero non autorizzato dalla normativa italiana). L’errore può essere di fatto e di diritto: • è di fatto, quando è determinato dalla falsa conoscenza dei fatti, delle persone o delle cose; • è di diritto, quando è determinato dalla falsa conoscenza delle norme giuridiche. L’errore causa l’annullabilità del contratto quando, oltre ad essere essenziale, è anche riconoscibile, cioè quando anche l’altra parte si è resa conto dell’errore commesso dall’altro. Il dolo è un altro vizio della volontà e comprende tutti gli artifici, i raggiri o la semplice menzogna che hanno indotto una parte a negoziare. Il dolo può essere commissivo e omissivo. Il dolo commissivo è: • determinante, e quindi causa di annullamento del contratto, se il raggiro usato da uno dei contraenti è così fondamentale che, nel caso non fosse stato utilizzato, l’altra parte non avrebbe stipulato il contratto (es: l’imprenditore che vende un terreno con falsa planimetria catastale dalla quale risulta edificabile, ma in realtà non lo è); • incidente, non è causa di annullamento del contratto; si verifica quando il contraente, vittima del dolo, avrebbe ugualmente concluso il contratto, ma a condizioni diverse (es: il cliente avrebbe lo stesso acquistato il terreno anche se non edificabile ma ad un prezzo minore). I raggiri possono anche essere commessi da un terzo e, affinché siano causa di annullamento del contratto, tali raggiri devono essere non solo riconoscibili, ma anche noti al contraente che ne ha tratto vantaggio; nel caso contrario, cioè quando il contraente che ha tratto vantaggio dall’affare era all’oscuro del raggiro del terzo, il contratto è ritenuto valido. Il dolo, oltre ad essere commissivo, è anche omissivo (reticenza). Il dolo omissivo si identifica nella mancata comunicazione alla controparte dell’esistenza di circostanze che, se fossero state comunicate, lo avrebbero fatto desistere dalla conclusione del contratto. Il dolo omissivo è causa di annullamento del contratto solo se il contraente aveva l’obbligo d’informare l’altra parte sulle circostanze che potevano essere determinanti per il consenso. Il dolo consiste anche nella menzogna e si parla di: • Il dolus malus è quello finora descritto; • con il dolus bonus si indica l’esagerata vanteria della qualità di un bene o della propria abilità professionale ed esso non è causa di annullamento del contratto in quanto il legislatore tiene conto del comportamento dell’uomo medio. La violenza si differenzia in fisica e morale: • il contratto nullo deve contenere i requisiti di forma e di sostanza del contratto diverso. Alla conversione sostanziale si aggiunge la conversione formale, che opera automaticamente quando il negozio, che può avere più vestimenti giuridici, sia nullo per difetto di forma ma possiede i requisiti di altra forma valida; esempio è il testamento segreto il quale è ritenuto nullo per mancanza di qualche requisito, ma vale comunque come olografo se presenta la firma, la data e la sottoscrizione. La nullità di singole clausole non provoca la nullità del contratto quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norma imperative. La convalida è il mezzo mediante il quale il legittimato all’impugnazione manifesta la volontà di sanare il contratto invalido e quindi annullabile, rendendolo definitivamente efficacie e impedendo l’annullabilità. La convalida può essere: • espressa, atto unilaterale redatto dal legittimato, non recettizio, accessorio al contratto, che contiene il motivo di annullabilità e la dichiarazione di convalida; • tacita, quando il legittimato all’azione, pur conoscendo il vizio di annullabilità, procede volontariamente all’esecuzione del contratto; in questo caso, se il soggetto legittimato vuole chiedere successivamente all’esecuzione l’annullamento del contratto, l’altra parte può opporgli la sua (del soggetto legittimato) convalida tacita. Non può essere convalidato il contratto nullo, perché la dichiarazione di convalida o la volontaria esecuzione non impediscono l’azione di nullità. Un istituto che si basa sul principio di buona fede e sul principio di conservazione del contratto è la rettifica; essa opera per il contratto annullabile per errore. La rettifica è un negozio accessorio unilaterale recettizio, redatto dalla parte non in errore la quale offre all’altra parte in errore l’esecuzione della prestazione in modo conforme al contenuto e alle modalità del contratto. La parte non in errore, offrendo all’altra parte in errore l’esecuzione del contratto, perde sia il diritto di chiedere l’annullamento, sia il potere di convalidare il contratto. Il negozio nullo non produce effetti né fra le parti, né rispetto ai terzi; i contratti annullabili producono effetti purchè non siano stati dichiarati annullati. Tuttavia, per quanto riguarda i contratti annullabili, la sentenza di annullabilità non pregiudica i terzi purchè abbiano acquistato i diritti a titolo oneroso e non gratuito, erano all’oscuro della causa di invalidità e quindi in buona fede, e che non fossero incapaci legalmente. Rescindibilità. La rescissione è una forma di scioglimento del contratto ben diversa dall’invalidità e dalla risoluzione: a differenza dell’invalidità, la rescissione non riguarda la struttura e gli elementi del contratto, a differenza della risoluzione, la rescissione riguarda un vizio genetico sorto al momento della conclusione del contratto derivante da uno squilibrio economico originario, mentre la risoluzione deriva da una difetto sopravvenuto dopo la conclusione del contratto. Di regola le parti sono libere di determinare il contenuto del contratto, ma, in ipotesi ben definite e per motivi di interesse generale o di determinati soggetti, l’ordinamento può imporre le proprie leggi e quindi limitare l’autonomia contrattuale; è l’esempio della rescissione del contratto quando vi sono squilibri delle condizioni che dipendono dallo stato di pericolo e di bisogno di una parte e che un’altra se ne approfitti. È rescindibile il contratto concluso in stato di pericolo, ossia quando un soggetto ha assunto obbligazioni a condizioni inique al fine di salvare sé stessi o altri (e non cose o beni) dal pericolo attuale di un danno grave alla persona. Il requisito affinché il contratto concluso in stato di pericolo sia rescindibile è che il pericolo deve essere attuale e non semplicemente temuto, deve corrispondere a un danno grave alla persona e può essere causato anche volontariamente o per imprudenza. Tale requisito è rimesso alla valutazione del giudice, il quale deve anche valutare l’iniquità della condizione; una volta che è stata pronunciata la rescissione, il giudice può anche assegnare un compenso alla parte che ha prestato l’opera. Più frequenti sono i contratti conclusi in stato di bisogno; in questi casi il codice prevede una rescissione per lesione in quanto non è richiesta la presenza di situazioni gravi come per i contratti conclusi in stato di pericolo. I requisiti sono: • l’esistenza di uno squilibrio delle prestazioni; è necessario che la parte lesa abbia eseguito o promesso una prestazione che valga più del doppio di quella ottenuta come corrispettivo; • lo stato di bisogno di una parte; esso non è paragonabile allo stato di necessità, ma comunque induce un soggetto ad accettare offerte svantaggiose; • l’approfittamento dell’altra; affinché esso sussista non è richiesto necessariamente un comportamento attivo, ma basta anche un comportamento passivo, ossia la consapevolezza dell’iniquità delle prestazioni, dello stato di bisogno dell’altra parte e dell’ingiustificato vantaggio che si consegue; se manca uno di questi requisiti, la rescissione non può operare. Non possono essere rescissi i contratti aleatori, perché il valore di una delle prestazioni non è determinabile e di conseguenza non è determinabile nemmeno la lesione. L’azione di rescissione spetta esclusivamente al contraente che ha stipulato in stato di bisogno o di pericolo; essa è soggetta a prescrizione con un termine breve di 1 anno ed è soggetta a prescrizione anche l’eccezione di rescissione. Il contratto rescindibile non può essere convalidato, ma può essere modificato con riequilibrio delle prestazioni. La sentenza che pronuncia la rescissione ha natura costitutiva ed elimina il contratto con efficacia retroattiva tra le parti, liberando dall’obbligo di adempimento e imponendo la restituzione di quanto già adempiuto. Una particolare disciplina è prevista per la rescissione del contratto di divisione, dove non sono richiesti lo stato di bisogno e di approfittamento, e la lesione deve eccedere di un quarto. Accordo simulatorio e figure affini Anche in mancanza di un vizio della volontà negoziale o di una qualsiasi forma patologia, può esservi difformità tra ciò che è voluto e ciò che è dichiarato. Se la vera intenzione non viene comunicata né ai terzi né alla controparte si parla di riserva mentale, essa è giuridicamente rilevante, poiché la legge prende in considerazione soltanto la volontà manifestata espressamente o tacitamente tramite un comportamento. La conoscenza o riconoscibilità della riserva da parte di una delle parti o la doppia riserva mentale da parte del destinatario degli effetti negoziali, non integra un accordo simulato. L’accordo simulatorio (art. 1414 c.c.) si ha quando le parti stipulano un contratto, ma in realtà non vogliono che siano prodotti gli effetti oppure vogliono la produzione di effetti diversi. Si parla di accordo simulatorio quando l’accordo comune rimane segreto, ciò che ha portato ad escludere la natura negoziale dell’accordo è il fatto che pur idoneo a modificare creare ed estinguere rapporti giuridici risulterebbe una mera dichiarazione di scienza. Altra specie è negozio simulato quando la volontà negoziale manifestata ai terzi non è una reale volontà. La simulazione può essere: • assoluta, quando le parti concludono un contratto e con separato e segreto accordo dichiarano di non volerne gli effetti; lo scopo è quello di creare ai terzi l’apparenza del trasferimento di un diritto. Si configurano in tal modo un negozio simulato destinato ad apparire ai terzi e un accordo simulatorio diretto ad evitare gli effetti del primo. • relativa, quando le parti fingono di stipulare un contratto (contratto simulato), ma in realtà vogliono che si producono gli effetti di un altro contratto (contratto dissimulato). Si configura pertanto un negozio simulato destinato ad apparire ai terzi e un accordo simulatorio diretto a produrre gli effetti diversi dal primo. Un esempio è la simulazione di una vendita per realizzare una donazione. La simulazione relativa può riguardare,anche la causa (le parti simulano una vendita mentre in realtà vogliono realizzare una donazione) oltre che l’oggetto o il titolo del contratto, anche i soggetti dello stesso: si discorre allora di interposizione fittizia di persona. Così, chi vuole acquistare un determinato bene, ma non vuole che agli occhi dei terzi tale bene appaia suo, fa figurare come compratore un altro soggetto dando luogo ad una vendita simulata (nella quale appare come compratore l’interposto) e ad una sottostante vendita dissimulata (nella quale appare come compratore l’interponente, cioè il compratore effettivo). L’effetto principale della simulazione assoluta è la nullità del contratto; tuttavia si dovrebbe parlare di inefficacia, in quanto non c’è una vera e propria irregolarità del contratto, ma sono le parti a stabilire la non produzione di effetti. Nel caso, invece, della simulazione relativa, il contratto dissimulato è nullo solo se lo scopo perseguito dalle parti è illecito; negli altri casi esso ha efficacia tra le parti se la dichiarazione apparente contiene i requisiti di sostanza e di forma previsti dalla legge. Circa la tutela dei terzi, l’ordinamento distingue 2 categorie di terzi interessati: 1. gli aventi causa o creditori del simulato acquirente, che hanno interesse a far valere la situazione apparente in quanto, per esempio, in buona fede hanno sottoposto apignoramento il bene oggetto del contratto simulato; 2. gli aventi causa o creditori del simulato alienante, che hanno interesse, invece, a far valere la situazione reale, in quanto la legge consente a questi creditori di dimostrare, con ogni mezzo di prova, che il contratto era simulato e di procedere quindi all’esecuzione forzata di quel bene. Terzi in buona fede sono quelli che non erano a conoscenza che il contratto di acquisto era simulato, ciò a condizione che l’ignoranza non derivi da colpa, ravvisabile ogniqualvolta una persona di normale diligenza nelle stesse circostanze si sarebbe resa conto che il suo dante causa non era il vero titolare del bene ma solo il prestanome. Per la prova della buona fede si applica l’art 1147 essa si presume ed è sufficiente che sussisti al momento dell’acquisto. Sull’opponibilità ai terzi, incidono gli effetti della pubblicità, qualora la domanda giudiziale di simulazione riferendosi ai beni immobili sia soggetta a trascrizione. Dal giorno dal quale la domanda è trascritta nei pubblici registri immobiliari, i terzi sono messi in grado di conoscerne la pendenza. In ogni simulazione l’intento perseguito dalle parti è quello di creare di fronte ai terzi, l’apparenza ora del trasferimento di un diritto o dell’assunzione di un obbligazione ora della onerosità dell’attribuzione, ora del soggetto contraete. La specificità della simulazione sta nella circostanza che la divergenza tra la dichiarazione diretta ad apparire all’esterno non è soltanto consapevole ma è concordata. L’accordo interno tra le parti, di solito, è documentato da una controdichiarazione scritta (rileva solo ai fini della prova). Ogni contratto può essere simulato ma è anche vero che la necessità di un accordo simulatorio, impone per gli atti unilaterali una rilevanza bilaterale della vicenda. L’art 123 prevede la simulazione del matrimonio, discussa è la possibilità di poter simulare la data di un atto. La simulazione si differenzia dal contratto in frode alla legge (1344) il quale avendo una causa illecita è nullo, la simulazione in sé è infatti un negozio fittizio e non rappresenta necessariamente il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa o di frodare i creditori. La simulazione, l’interposizione fittizia non vanno confuse con la semplice intestazione di un bene a nome di altri. Gli effetti della simulazione sono diversi secondo che si consideri la situazione tra le parti o rispetto ai terzi, per quanto riguarda gli effetti tra le parti, occorre distinguere tra simulazione assoluta e relativa. Vi è incertezza circa il termine di prescrizione. Stipulazione a favore dei terzi. Nel contratto a favore di terzo, le parti si accordano affinché un altro soggetto (il terzo) acquisti il diritto contenuto nel contratto; quindi il terzo non assume obbligazioni, ma acquista solo diritti. Il contratto a favore di terzo è valido solo se lo stipulante abbia un proprio interesse, anche di natura non patrimoniale, a procurare un beneficio ad un terzo. Le parti di questo contratto sono: • lo stipulante che è colui che contratta a favore di un terzo; • il promettente che è colui che si obbliga verso lo stipulante ad eseguire la prestazione a favore di un terzo. Un esempio del contratto a favore di terzo è quando il soggetto A vende un bene al soggetto B, il quale (soggetto B) si obbliga verso il soggetto A ad adempiere al soggetto C che è il terzo e che non è parte del contratto. In questa forma di contratto non è richiesta l’accettazione del terzo, perché, nel caso il terzo non accetti, gli effetti del contratto si produrranno lo stesso a beneficio dello stipulante; nel caso, invece, che il terzo accetti, la sua dichiarazione di accettazione non serve a perfezionare il contratto, ma ad impedire la revoca da parte dello stipulante. Nel caso la prestazione deve essere eseguita dopo la morte dello stipulante, la revoca può avvenire con il testamento anche se il terzo ha dichiarato di voler accettare il beneficio; tale diritto dello stipulante viene meno solo se egli (lo stipulante) vi abbia rinunziato per iscritto a tale potere di revoca. L’oggetto dei contratti a favore di terzo può essere sia un diritto di credito che un diritto reale, perché, anche se i diritto reali comportano degli obblighi al terzo, egli è sempre libero di rifiutare. Con l’accettazione del contratto, il terzo rende irrevocabile, da parte dello stipulante, l’acquisto della titolarità del diritto senza, però, subentrare nel rapporto contrattuale che, a differenza della cessione del contratto, continua ad interessare lo stipulante ed il promettente. Il contratto a favore di terzo è un’eccezione al principio della relatività degli effetti, perché non è richiesta l’accettazione del terzo affinché si producano gli effetti; infatti, se il terzo non accetta la prestazione rimane a beneficio dello stipulante. Il contratto a favore del terzo, rispetto al contratto con obbligazioni a carico del solo proponente, ha delle differenze e delle affinità: • l’affinità è che in entrambi i contratti è riconosciuto all’oblato (chi riceve l’offerta) il potere di accettare o meno, e l’accettazione nel contratto con obbligazioni a carico del solo proponente si configura nel non rifiuto; • la differenza è che nel contratto con obbligazioni a carico del solo proponente lo stipulante si obbliga verso il beneficiario, e tale beneficiario può essere revocato o modificato fino a quando il terzo non abbia dichiarato di volerne profittare. Differimento ed eliminazione dell’efficacia. Il contratto, di regola, produce gli effetti dalvmomento nel quale è stato concluso; tuttavia le parti possono disporre clausole che subordinano gli effetti al verificarsi di un determinato evento, oppure stabiliscono un termine di decorrenza, oppure possono stabilire che gli effetti durino solo per un determinato periodo. Da qui la definizione di termine, evento futuro ma certo e di condizione, evento futuro ma incerto. La condizione e il termine non possono essere apposti ai negozi puri (non tollerano condizioni), perché i loro effetti sfuggono alla disponibilità dei terzi; esempio di negozio puro è l’accettazione o la rinunzia dell’eredità e l’atto di matrimonio. Sono degli elementi accidentali ma essenziali per la conclusione del contratto. Si distinguono 4 proposizioni: • Dies incertus an, incertus quando • Dies incertus an certus quando • Dies certus an incertus quando • Dies certus an certus quando La condizione e il termine incidendo sull’efficacia negoziale, possono essere opposti soltanto agli atti di autonomia gli effetti dei quali rientrano nella disponibilità degli interessati. Condizione. La condizione è un evento futuro e incerto alle quali le parti intendono subordinare l’efficacia del contratto concluso o l’eliminazione degli effetti che il contratto ha prodotto, può essere di duplice natura, sospensivo o risolutivo: • la condizione sospensiva si ha quando le parti subordinano l’efficacia degli effetti del contratto al verificarsi della condizione; • la condizione risolutiva si ha quando le parti subordinano l’eliminazione degli effetti del contratto al verificarsi della condizione. La condizione può essere apposta sia ai contratti ad effetti reali, sia a quelli ad effetti obbligatori. Il periodo che va dalla conclusione del contratto al verificarsi dell’evento è chiamato periodo di pendenza della condizione e in questo periodo il contratto non è privo di effetti, in quanto la parte interessata può disporre di tale contratto, ma resta il fatto che gli effetti si verificheranno solo dopo l’avverarsi della condizione. L’art 1359 c.c. (finzione di avveramento) afferma che la condizione si considera avverata anche quando non si è verificata per causa imputabile alla parte che aveva interesse affinché non si avverasse la condizione. La ratio di tale principio è quella di vietare alle parti di influenzare sia positivamente che negativamente l’avveramento della condizione. Le parti, utilizzando la condizione, danno rilevanza ad interessi soggettivi normalmente irrilevanti, ma che in questo caso decidono la produzione o no degli effetti del contratto. La presupposizione è una causa di risoluzione del contratto e si presenta come un evento non dichiarato dalle parti nel contratto, ma considerato dalle stesse come evento necessario affinché il contratto produca gli effetti. L’istituto della presupposizione può riguardare sia eventi futuri, sia presenti o passati; essa non è prevista dalla legge, ma è molto usata dalla giurisprudenza. La condizione deve riguardare un interesse meritevole di tutela (giuridicamente e socialmente utile): la condizione se interessa una sola parte, cioè quella che ne trae vantaggio, si chiama condizione unilaterale, se interessa entrambe le parti si chiama condizione bilaterale. La condizione deve avere come oggetto un evento: • possibile, cioè realizzabile; • lecito, cioè non contrario a norme imperative, all’ordine pubblico, e al buon costume; in caso di condizione illecita, il contratto è nullo, mentre in caso di condizione impossibile, se la condizione era sospensiva il contratto è nullo, se la condizione era risolutiva si considera la condizione come non apposta. Questo problema di distinzione tra condizione impossibile o illecita non si ha nel testamento perché la condizione viene considerata non apposta. È nullo il contratto con condizione sospensiva meramente potestativa, perché essa dipende dall’arbitrio di una delle parti: esempio “Ti vendo la mia casa si deciderò di venderla”; la ragione della nullità sta nel fatto che non c’è la volontà di vendere un diritto o di assumere un’obbligazione da una parte, mentre l’altra resta in balìa dell’arbitrio del suo contraente. A differenza del contratto con condizione sospensiva meramente potestativa, il contratto con condizione risolutiva meramente potestativa è ammissibile e un esempio calzante è la facoltà di recedere. La condizione può essere: • casuale, se dipende dal caso; • potestativa, se dipende da una delle parti; • mista, se dipende dall’unione di quella casuale e quella potestativa. La condizione volontaria è retroattiva, salvo la diversa volontà delle parti o per la natura del rapporto. Per quanto riguarda la retroattività della condizione sospensiva, essa consiste nel fatto che gli effetti si considerano prodotti non dal giorno in cui si è verificata la condizione, ma dal giorno della conclusione del contratto. Per quanto riguarda la retroattività della condizione risolutiva, essa consiste nel fatto che gli effetti si presumono eliminati non dal giorno in cui si verifica la condizione, ma dal giorno della conclusione del contratto; tuttavia per i contratti ad esecuzione continuata o periodica con condizione risolutiva, la condizione non ha efficacia retroattiva, cioè non colpisce e pregiudica le prestazioni già eseguite. Oltre alla condizione volontaria abbiamo anche la condizione legale quando è la legge a subordinare l’efficacia del contratto al verificarsi di un evento futuro e incerto; essa non ha effetto retroattivo. Normalmente dunque la condizione ha effetto retroattivo. Termine di efficacia e termine di adempimento. Il termine di efficacia è il momento a partire dal quale (termine iniziale) o entro il quale (termine finale) il contratto produce gli effetti; il termine non ha efficacia retroattiva, perché gli effetti si verificano o cessano al momento della sua scadenza. Il termine può consistere sia in una data che in un evento certo e futuro; tuttavia è anche possibile che il termine conviva con la condizione. Ci sono delle similitudini e delle differenze con la condizione: • la similitudine è che entrambi hanno la funzione di circoscrivere l’efficacia temporale; • la prima differenza è che il termine, al contrario della condizione, non rende incerta la produzione degli effetti, perché esso (il termine) consiste in un fatto futuro ma certo; inoltre la condizione può essere apposta ai contratti con effetti sia reali che obbligatori, mentre il termine non è opponibile ai contratti ad effetti reali, salvo diversa disposizione legale, perché è impensabile che un contratto traslativo di proprietà sia soggetto a termine iniziale o finale dando vita alla c.d. proprietà temporanea. Accanto al termine di efficacia vi è il termine di adempimento che è il momento a partire dal quale (termine iniziale) o entro il quale (termine finale) il debitore può o deve adempiere. Requisiti legali di efficacia. Il contratto non sempre è in grado di produrre immediatamente gli effetti tipici in quanto la legge ne subordina la realizzazione al verificarsi di fatti ulteriori intriseci vedi contratto fallimentare. In questi casi interviene la condizione legale si ha quando la legge subordina gli effetti del contratto al verificarsi di effetti futuri e incerti; un esempio è il contratto concluso dal falsus procuràtor che produce gli effetti per il dominus solo se quest’ultimo (dominus) lo ha ratificato. La condizione legale, come quella volontaria, può incidere sull’efficacia del negozio senza però pregiudicare gli effetti preliminari rispetto a quelli finali. Una differenza tra la condizione legale e quella volontaria è che nei casi di condizione volontaria i privati possono incidere nei limiti sull’efficacia negoziale. Tuttavia, per la condizione legale, manca una specifica disciplina e la dottrina è contraria ad applicare, per la condizione legale, la stessa disciplina della condizione volontaria, perché vi sono delle sostanziali differenze: 1. la condizione legale, non è necessariamente retroattiva, ma, appunto perché manca una specifica disciplina, si considera retroattiva. 2. non è estendibile alla condizione legale la norma della finzione di avveramento (art 1359) perché il verificarsi dell’evento, di regola, non dipende da chi è parte del negozio. Alla condizione legale sono invece utilizzate le stesse norme applicate a tutela di chi acquista un diritto sottoposto a condizione volontaria. Interpretazione. Il contratto è soggetto ad interpretazione, che è trattata dagli art. 1362 ss. L’art. 1362 c.c. afferma che nell’interpretare un contratto si deve indagare la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole. L’interpretazione, quindi, al pari di una prova, deve verificare la comune intenzione; tale valutazione è fatta tenendo conto non solo della comune intenzione attuale, ma anche di quella anteriore e posteriore alla conclusione del contratto. La dottrina associa l’interpretazione alla qualificazione che è rivolta all’accertamento della veste giuridica adeguata. L’art 1362² c.c. afferma che l’interpretazione deve tener conto non solo del senso letterale delle parole, ma anche di altri dati e di elementi del fatto. Altro criterio d’interpretazione, c.d. criterio della totalità, è postulato dall’art. 1363 c.c. il quale afferma che le clausole del contratto non devono essere valutate isolatamente, ma devono essere valutate nell’insieme del contratto. Alle norme d’interpretazione soggettiva finora analizzate, possiamo affiancare, le norme di interpretazione oggettiva, le quali sono legate alla struttura e alla funzione del contratto, e alle tecniche di contrattazione impiegate; tra queste norme vanno ricordate: • l’art. 1369 c.c. dove in presenza di espressioni con più sensi, esse devono essere intese nel senso più adeguato e conveniente alla natura e all’oggetto del contratto; ceduto può opporre al cessionario tutte le eccezioni derivanti dal contratto e non le eccezioni derivanti da altri rapporti col cedente, salvo che il ceduto ne abbia fatto espressa riserva al momento in cui ha accettato la cessione; • l’art 1410 c.c. disciplina il rapporto tra cedente e cessionario: l’articolo afferma che il cedente è tenuto a garantire la validità del contratto e, nel caso egli (cedente) si assume la garanzia dell’adempimento del contratto ceduto al cessionario, il cedente risponde come fideiussore per le obbligazioni (non adempiute) del ceduto. Il ceduto può opporre al cessionario le eccezioni inerenti al contratto originario, non quelle relative ad altri suoi rapporti con il cedente, salvo che ne abbia fatto espressa riserva. Non è invece saldamente disciplinato il regime delle eccezioni riservate al cessionario nei confronti del ceduto. Il cedente deve garantire la validità del contratto e pertanto deve risarcire il cessionario nelle ipotesi di contratto originario inesistente, nullo, annullabile ecc. Il cedente può anche assumere le garanzie dell’adempimento delle prestazioni contrattuali e rispondere come fideiussore per le obbligazioni del contraente ceduto. Subcontratto e divieti di subcontrarre. Il subcontratto,ricorre quando la parte di un contratto base conclude con un terzo un nuovo contratto del medesimo tipo a quello originario. A differenza della cessione del contratto, è caratterizzato dalla dipendenza e dalla derivazione dello stesso subcontratto al contratto principale; infatti nella sublocazione (art. 1594 c.c.) non vi è successione del terzo nella posizione contrattuale di una delle parti originarie: il rapporto di locazione principale e originario perdura tra le parti. Nella sublocazione si definiscono la figura del subconduttore, che è colui che acquista in sublocazione una posizione giuridica derivante dal sublocatore: si configura quindi un contratto di sublocazione che dipende dalla locazione principale. La sublocazione può essere esclusa preventivamente da un patto che le parti appongono al contratto di locazione principale. Tuttavia, è richiesto, nella sublocazione di locazioni urbane, il consenso autorizzativo del locatore all’adempimento della sublocazione e questo consenso deroga i divieti di subcontrattazione. In riguardo alla sublocazione bisogna fare una differenza tra le locazione abitative e quelle non abitative; per quelle abitative bisogna fare un’ulteriore distinzione: • sublocazione totale: il consenso del locatore è funzionale ad una cessione di contratto ed esclude l’utilizzo abitativo del sublocatore; • sublocazione parziale: il consenso del locatore non esclude l’esigenza abitativa del primo conduttore (sublocatore) che ha l’onere di comunicazione. Secondo una disposizione, il consenso del locatore è necessario solo se la sublocazione non è attuata nello stesso momento della locazione o della cessione dell’azienda. i) Esecuzione dei contratti Buonafede nell’esecuzione dei contratti. L’art 1375 postula che il contratto deve essere eseguito secondo buona fede; la buona fede è una regola-principio che disciplina il comportamento esatto ed adeguato delle parti. Essa è utilizzata anche per valutare l’esatto adempimento, è utilizzata per escludere l’inadempimento di una parte, se l’altra parte ha avuto un comportamento non previsto dal contratto. Regola che ha la funzione di integrazione del rapporto, è espressione di cooperazione nell’attuazione del rapporto obbligatorio, e si concretizza nella definizione del contegno dei contraenti per il corretto svolgimento della fase esecutiva. In conclusione, la buona fede esprime l’esigenza di valutare e misurare gli interessi coinvolti nell’esecuzione del contratto e tale dichiarazione è fatta secondo principi fondamentali identificati, appunto dalla buona fede. Risoluzione. Risoluzione, dal latino solvère, significa scioglimento; la risoluzione quindi scioglie il contratto e fa venir meno gli effetti e il vincolo da esso (contratto) prodotti. A differenza dell’invalidità, che opera in presenza di difetti originari e che elimina il contratto dall’inizio come se non fosse mai esistito, la risoluzione opera in casi di difetti sopravvenuti dopo la conclusione del contratto e tali difetti non toccano l’atto, ma il rapporto contrattuale. Di conseguenza, gli effetti prodotti dal contratto fino al momento della risoluzione non sono privi di causa. Quindi l’efficacia retroattiva della risoluzione vale solo tra le parti (salvo per i contratti a esecuzione continuata o periodica) e non nei confronti dei terzi (art. 1458 c.c.); difatti se un terzo ha acquistato un diritto da una delle parti del contratto che poi è stato risolto, tale risoluzione non pregiudica la sua (del terzo) situazione. La risoluzione non è l’unico modo affinché operi lo scioglimento del contratto: difatti abbiamo il mutuo dissenso, il recesso unilaterale e la condizione risolutiva. La risoluzione opera quando vi è un difetto sopravvenuto che incide sul rapporto contrattuale e che comporta un’alterazione del legame sinallagmatico tra le prestazioni corrispettive (rapporto sinallagmatico = la prestazione di una parte ha la sua giustificazione nella controprestazione dell’altra). Le tre ipotesi di risoluzione disciplinate dalla legge sono: a) per inadempimento; b) per impossibilità sopravvenuta; c) per eccessiva onerosità. a. Risoluzione per inadempimento (art. 1453 ss c.c.). In caso di inadempimento di una parte, l’altra ha la facoltà di scegliere tra la domanda di adempimento e la risoluzione. Se permane un interesse ad un adempimento anche tardivo, essa può chiedere la condanna della controparte ad eseguire la prestazione non ancora adempiuta (domanda di adempimento); se, invece, non ha un interesse ad un adempimento tardivo, essa può chiedere la risoluzione del contratto: perde il diritto a ricevere la prestazione, ma, comunque, non deve più eseguire la sua e, nel caso l’avesse già eseguita, può richiedere la restituzione. Se la parte non inadempiente sceglie l’adempimento tardivo, può sempre chiedere successivamente la risoluzione del contratto; non è possibile il viceversa perché la parte inadempiente non può essere pregiudicata ulteriormente. La parte inadempiente non può bloccare la risoluzione del contratto con un’esecuzione tardiva, salvo nel caso in cui la parte non inadempiente accetta l’adempimento tardivo e rinuncia alla risoluzione. La parte non inadempiente può chiedere il risarcimento del danno che è misurato in risarcimento aggiuntivo, se ha chiesto l’adempimento tardivo, oppure è misurato in risarcimento sostitutivo della prestazione, se ha chiesto la risoluzione. La risoluzione per inadempimento è meglio qualificata come risoluzione giudiziale, in quanto, su domanda della parte, essa è pronunziata dal giudice con sentenza costituiva. La valutazione della gravità dell’inadempimento è rimessa al giudice, salvo previsione legale; il giudice può anche accertare se l’inadempimento è imputabile o non alla parte inadempiente. La risoluzione di diritto consiste nel fatto che in alcuni casi la risoluzione opera automaticamente senza la necessità della sentenza del giudice; questi casi sono: 1) diffida ad adempiere; 2) clausola risolutiva espressa; 3) scadenza del termine essenziale. 1) Diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.). Affinché possa operare l’adempimento tardivo dell’inadempiente senza ricorrere all’azione giudiziale, la parte non inadempiente può intimare per iscritto all’altra parte inadempiente ad adempiere entro un adeguato termine che, di regola, è di 15 giorni; se entro tale termine la parte inadempiente non adempie, il contratto si ritiene risolto di diritto senza la necessità dell’intervento del giudice. Tale avvertimento, ossia che alla scadenza del termine il contratto si ritiene risolto, deve essere espressamente dichiarato dalla parte non inadempiente, altrimenti l’intimazione vale solo come costituzione in mora. 2) Clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.). I contraenti possono concordare espressamente che il contratto si risolve nel caso una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite; in questo caso la risoluzione si verifica di diritto, cioè senza l’intervento del giudice, quando la parte interessata dichiara all’altro di volersi avvalere della clausola risolutiva. Affinché la clausola risolutiva espressa sia efficace non è richiesto che l’inadempimento sia di grande importanza, ma è necessario che le parti abbiano indicato esplicitamente le obbligazioni su cui agisce tale clausola. 3) Scadenza del termine essenziale (art. 1457 c.c.). Il contratto si ritiene risolto senza bisogno di alcuna dichiarazione quando una parte non adempie in un termine essenziale stabilito nell’interesse dell’altra parte; tuttavia, nel caso la parte non inadempiente abbia un interesse a ricevere un adempimento anche tardivo, essa può esigere la prestazione rinunziando alla risoluzione dando notizia di tale decisione all’altra parte entro 3 giorni dalla scadenza del termine. È stato scelto questo termine breve di 3 giorni per non lasciare la parte inadempiente in un lungo stato di incertezza. Il termine è riconosciuto essenziale quando la parte non inadempiente non ha nessun interesse a ricevere un adempimento tardivo; il termine essenziale può derivare o dalla natura della prestazione o dal contratto o dalla volontà dei contraenti. La risoluzione di diritto non esclude tassativamente l’intervento del giudice, il quale può essere chiamato a risolvere controversie circa la risoluzione: la sua sentenza è dichiarativa e non costitutiva, in quanto accerta solo la validità della risoluzione. Nel caso il giudice accerti che la contestazione contro la parte che si è avvalsa della risoluzione sia fondata, questa parte (che si è avvalsa della risoluzione) è condannata a risarcire il danno per aver impedito e non accettato la prestazione dell’altra parte. Nel caso di un contratto plurilaterale, l’inadempimento di una delle parti non provoca la risoluzione, salvo nel caso in cui tale prestazione era da considerarsi essenziale (art. 1459 c.c.). L’eccezione di inadempimento e la sospensione dell’esecuzione sono strumenti di autotutela: ● l’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.) riguarda i contratti con prestazioni corrispettive: le parti oltre a tenere un comportamento attivo (agendo per l’adempimento) possono tenere un comportamento passivo e di attesa rifiutandosi di adempiere la prestazione nel caso in cui l’altra parte non adempie o non offre di adempiere la controprestazione contemporaneamente, salvo nei casi in cui sono previsti dalla parti o dalla natura del contratto termini diversi per l’adempimento. Un rifiuto illegittimo è contrario alla buona fede. ● la sospensione dell’esecuzione (art. 1461 c.c.): ciascun contraente può sospendere l’esecuzione della prestazione da lui dovuta se le condizioni patrimoniali dell’altra fanno sorgere pericoli. Le parti, affinché non sia impedita o ritardata l’esecuzione delle prestazioni, possono accordarsi per apporre al contratto la c.d. clausola solve et repete, ‘’prima paghi e poi chiedi la restituzione’’ (art. 1462 c.c.) la quale impedisce a una delle parti di opporre le eccezioni; tuttavia tale clausola è inefficacie per l’eccezione di nullità, di annullabilità e di rescissione. Il giudice in presenza di gravi motivi può sospendere la condanna all’adempimento imponendo una cauzione. b. Risoluzione per impossibilità sopravvenuta (art. 1463 ss c.c.). L’impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore provoca l’estinzione del contratto: se il contratto ha per oggetto prestazioni corrispettive legate da un vincolo sinallagmatico, esso (contratto) è ritenuto risolto. La parte liberata dall’adempimento per impossibilità sopravvenuta della propria prestazione non può chiedere la controprestazione e, nel caso avesse già ricevuto la controprestazione, egli deve restituirla. La risoluzione opera di diritto ma può essere richiesta anche una sentenza dichiarativa del giudice che accerta la validità della risoluzione. Se l’impossibilità è imputabile al debitore, agiscono le norme della risoluzione per inadempimento. • L’art. 1465 c.c. dispone che nei contratti traslativi o costitutivi di diritti reali, l’acquirente B. Autonomia negoziale a contenuto non patrimoniale. a. Atti a contenuto non patrimoniale. Premessa. La dottrina ha dato scarsa importanza agli atti a contenuto non patrimoniale, concentrandosi sugli atti con regolamentazione patrimoniale; tuttavia, i dottrinari stanno cercando di superare queste tipicità. Si dava importanza prevalentemente alle vicende riguardanti i beni e i rapporti di natura non economici erano circoscritte entro fattispecie particolari. L’attuazione del potere di autoregolamentazione degli interessi si pensava facesse riferimento in via esclusiva al solo art 1322 che prevedeva la facoltà di porre in essere atti non riconducibili ai tipi aventi una disciplina particolare. Negoziabilità senza patrimonialità. Il nostro codice e il nostro ordinamento pongono come obiettivo centrale la realizzazione e la tutela dell’uomo; quindi appunto perché vi è questa centralità della persona umana è sbagliato dire che l’ordinamento tutela soprattutto i beni di natura patrimoniale ed è sbagliato asserire che l’ordinamento tutela i beni di natura non patrimoniale solo perché esiste un interesse patrimoniale, ossia si dimostri che quei beni sono negoziabili. La patrimonialità è un requisito mutevole utilizzato per definire l’obbligazione e il contratto e per definire i limiti dell’operatività delle norme; la negoziabilità, invece, serve a verificare l’idoneità di un bene ad essere oggetto di atti di autonomia; essa è strettamente legata alla meritevolezza, in quanto l’economicità di un bene deve realizzare interessi meritevoli di tutela. Un errore che non bisogna commettere è quello di considerare gli atti a contenuto non patrimoniale come atti con operazioni contrattuali, mutando così la natura non patrimoniale del bene in natura patrimoniale. In conclusione non bisogna confondere i negozi di natura patrimoniale con gli atti a contenuto non patrimoniale. Per dare una definizione agli atti a natura ‘’non patrimoniale’’ si parte dalla lettura dell’art 1174 e 814 che vanno a sottolineare uno stretto legame tra nozione di contratto e bene giuridico. Bisogna distaccarsi dall’assimilare gli atti negoziali con il contratto altrimenti gli atti destinati ad incidere sui rapporti di natura personalissima non possono non prestare sotto il profilo strutturale e contenutistico caratteristiche peculiari e originali. Specificità degli atti a contenuto non patrimoniale. La dottrina afferma che è impensabile utilizzare le stesse norme adoperate per gli atti a contenuto patrimoniale per quelli a contenuto non patrimoniale; ad esempio il principio dell’affidamento, vigente in materia contrattuale, risponde a esigenze di sicurezza nel traffico giuridico ed è applicabile solo quando si parla di diritti patrimoniali, non potrebbe invece invocarsi in ordine ad accordi che investono profili inerenti alla persona, al modo di sentire dei singoli componenti. È necessario far leva su principi di carattere generale da ricercare essenzialmente ma non esclusivamente nell’ambito della disciplina dei rapporti familiari ove grande rilievo va riconosciuto alla libertà. Talune ipotesi. Esempi di atti con contenuto non patrimoniale li ritroviamo nel diritto di famiglia (es: accordi coniugali), nel diritto della personalità (es: atti di disposizione del corpo) e nel fenomeno associativo; in questo ultimo caso è molto discusso il contratto costitutivo dell’associazione, perché tale contratto non può non avere un ruolo economico e quindi patrimoniale. Le innegabili differenze tra le sfere della patrimonialità e della personalità sconsigliano il ricorso tout court alle regole contrattuali anche nell’individuazione della normativa idonea a disciplinare la circolazione giuridica del valore economico dei segni distintivi della persona. L’elemento economico che non svolge un ruolo assorbente nell’economia dei relativi negozi sia per il carattere essenzialmente non patrimoniale degli interessi in gioco sia per l’incontestabile permanenza nella realizzazione dello scopo comune. b) Atti di disposizione del corpo. Fondamenti e limiti degli atti di disposizione dell’integrità psicofisica. L’articolo 5 del codice civile vieta gli atti di disposizione del corpo quando comportano una diminuzione permanente dell’integrità fisica o quando sono contrari alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume. Tale norma è molto controversa e non poche volte è stato oggetto di discussione a causa delle continue scoperte in campo biologico come la biogenetica e i trapianti. Lasciando all’interprete l’individuazione dei limiti di ordine pubblico e la tutela di interessi fondamentali. Venne introdotta nel codice civile per eliminare i dubbi della configurabilità di un diritto sul proprio corpo e per conservare l’integrità fisica al fine di eseguire i doveri verso lo Stato e verso la famiglia. Introdotta dopo un famoso caso giudiziario circa un trapianto di ghiandole sessuali, cercando di esigere la garanzia di una certa sfera di disponibilità del corpo e quella di delimitare l’ambito di tale disponibilità. In seguito tale visione fu rivista e all’uomo venne riconosciuta una certa libertà di disporre del proprio corpo entro logicamente il limite di assicurare la tutela dell’interesse individuale e collettivo alla salute (art. 32 Cost.), ossia di un valore psichico oltre che fisico. Incrociando l’art 5 con i principi chiave costituzionalistici. Trattamenti sanitari. Problemi e discussioni tuttora accese riguardano i trattamenti sanitari: • circa il trattamento medico – chirurgico - l’ordinamento afferma che tale trattamento trova la ragione della sua liceità non nel consenso del paziente, ma nel raggiungimento di un interesse alla salute del paziente: perciò l’interesse è elemento essenziale ma non sufficiente della liceità del trattamento; • circa la sperimentazione - la sperimentazione, per l’incertezza degli effetti, è sottoposta ai limiti imposti dall’art. 5, cioè non deve comportare diminuzioni permanenti all’integrità fisica e psichica; con le recenti normative in tema di sperimentazione cliniche e dei medicinali, attuative delle linee guida di buona pratica clinica elaborate dall’UE è stata disciplinata l’attività di sperimentazione prevista e regolata dal funzionamento di Comitati etici composti da medici e non che hanno responsabilità circa i diritti delle persone, circa la sicurezza e il benessere delle persone coinvolte nella sperimentazione clinica. • circa la sterilizzazione - vi sono due opposte fazioni: la prima si oppone a tale trattamento in quanto comporterebbe un pregiudizio permanente alla funzione procreativa e quindi ritengono illecita la sterilizzazione; l’altra invece lo ritiene lecito in base al principio di libertà di autodeterminarsi; • circa il rifiuto di cure - questo è un argomento molto discusso e vasto, difatti l’ordinamento, sotto la spinta di ricorrenti rifiuti, ha limitato le terapie al solo caso di necessità; negli altri casi il soggetto può rifiutare anche se tale scelta gli comporta una diminuzione permanete. Altro problema riguarda l’eutanasia passiva, ossia il rifiuto di curarsi, dove tale rifiuto è lecito solo se è diretto a perseguire l’interesse a morire naturalmente salvaguardando la propria dignità. Il principio di libertà di autodeterminarsi afferma che ogni soggetto è libero di disporre del proprio corpo senza alcun limite dettato dall’integrità fisica o dalla salute; a tale principio si oppongono molti dottrinari che affermano che la salute è non solo un diritto, ma un dovere, cioè l’uomo ha il dovere inderogabile di provvedere alla conservazione della propria salute. Natura degli atti di disposizione. Gli atti di disposizione del corpo in chiave di lettura con l’art 5 e con i principi costituzionali,non possono essere intesi come atti di disposizione delle situazioni patrimoniali, perché dagli atti di disposizione del corpo il soggetto può trarre solo la realizzazione ottimale della personalità. Per gli atti di disposizione del corpo, il consenso ha un ruolo fondamentale: deve essere reale, persona, consapevole, revocabile e conferisce al destinatario la facoltà di compiere determinati atti che senza il consenso sarebbero considerati illeciti. Esso non si limita alla fase iniziale del rapporto ma deve persistere fino all’adempimento, là dove il consenso svolge un ruolo più che di disposizione di perfezionamento. Il consenso integra pertanto una volontà diretta a conferire al destinatario la facoltà di compiere determinati atti, altrimenti illeciti senza tuttavia importare un vincolo per il dichiarante. Atti di disposizione e legislazione speciale. Tra gli atti di disposizione del corpo troviamo: • Disposizione del rene al fine di trapianto terapeutico;legge n 248 del 26 giungo 1967, tale atto è consentito ai genitori, ai figli, ai fratelli del paziente e, in assenza di questi, a donatori esterni, inoltre deve essere tassativamente a titolo gratuito. Affinché si possa procedere al trapianto è necessaria l’autorizzazione del giudice, che constata se il disponente è legalmente e naturalmente capace di agire e se è consapevole delle conseguenze personali. • prelievi di organi o tessuti da cadaveri; legge n 91 del 1 aprile 1999, ultimamente tale materia è stata disciplinata con il principio del consenso espresso dal soggetto e tale dichiarazione nega ai familiari di opporsi all’espianto. Non possono essere espiantati l’encefalo e le ghiandole sessuali e il consenso del soggetto può essere espresso o palesemente in vita, manifestando la propria volontà all’espianto, oppure con dichiarazione all’ASL competente. Il consenso del prelievo espresso e presunto è manifestazione della libertà di determinazione del singolo. • donazione di sangue a fini trasfusionali legge n 592 del 14 luglio 1967; le donazioni di sangue e plasma devono essere a titolo gratuito e fatte da persona legalmente capace; non devono, logicamente, compromettere permanentemente l’integrità fisica; il tutto deve avvenire dopo una serie di controlli mirati. l’accettazione del destinatario indeterminato. Ricognizione di debito e promessa di pagamento. La ricognizione (o riconoscimento) del debito è la dichiarazione del debitore al creditore con la quale egli (il debitore) riconosce un proprio debito: “riconosco di doverti pagare 1000 €”; la ricognizione non fa nascere un nuovo rapporto obbligatorio, ma riconosce l’esistenza di un rapporto obbligatorio preesistente. La promessa di pagamento è la dichiarazione con la quale un soggetto promette ad altri di effettuare una prestazione: “prometto di pagarti 1000 €”; essa ha valore negoziale. Sia la ricognizione del debito che la promessa di pagamento possono essere: pura (o astratta), se manca l’indicazione del titolo; titolata (o causale), quando è indicato il titolo. Una caratteristica fondamentale è che in entrambe vi è l’inversione dell’onere della prova: il debitore che ha riconosciuto o promesso deve sopportare l’onere della prova, mentre il creditore ne è dispensato. Quindi, il debito si presume fino a prova contraria (astrazione processuale). Gestione di affari altrui. Ogni soggetto ha il potere di curare i propri interessi e i propri affari personalmente, salvo casi di incapacità; deroga a tale principio è la gestione di affari altrui. La gestione di affari altrui si ha quando un soggetto (gestore) interviene spontaneamente per gestire un affare altrui nell’interesse del titolare (interessato o dominus). In questo caso il gestore interviene per evitare un danno o per procurare un vantaggio all’interessato il quale non è tenuto a dare alcun compenso od onorario al gestore. I presupposti della gestione di affari altrui sono: • l’utilità iniziale; l’atto o l’attività del gestore deve essere utile per l’interessato; • l’assenza di un vincolo che leghi il gestore ad intervenire; • la consapevolezza del gestore di curare un interesse altrui; • l’alienità dell’affare stesso; • l’impedimento oggettivo o soggettivo dell’interessato. Nel caso manchi un di questi presupposti, la gestione è detta irregolare o impropria e rimane tale finché l’interessato non ratifichi l’operato della gestione. L’oggetto della gestione è sia un’attività, sia singoli atti negoziali che singoli atti giuridici. Nel momento in cui il gestore inizi la gestione, egli è tenuto a continuare l’affare intrapreso fino a quando l’interessato non sia in condizione di provvedere personalmente; il gestore è obbligato ad adempiere con l’ordinaria diligenza. La gestione rappresentativa si ha quando il gestore compie atti che producono i loro effetti nei confronti di terzi; essa può essere: 1. gestione rappresentativa diretta: in questo caso il gestore agisce in nome dell’interessato e quest’ultimo è obbligato ad adempiere le obbligazioni assunte in suo (dell’interessato) 2. gestione rappresentativa indiretta: in questo caso il gestore agisce in nome proprio ma nell’interesse del dominus; l’interessato è obbligato a tenere indenne il gestore dalle obbligazioni assunte a suo (del gestore) nome ma per conto dell’interessato. La gestione termina quando interviene l’interessato o un suo erede, quando l’affare è concluso oppure per la morte del gestore. Nel caso in cui la gestione sia svolta in presenza di un esplicito divieto dell’interessato, gli atti prodotti sono ritenuti inefficaci. b. Titoli di credito in generale. Premessa. Fra le promesse unilaterali troviamo: i titoli di credito. Il titolo di credito contiene la promessa di adempimento di una determinata prestazione a favore del soggetto che alla scadenza risulti creditore della somma indicata sul titolo. Il titolo di credito è un documento contenente una dichiarazione con la quale un soggetto si obbliga verso un altro che è possessore del documento. Funzione e caratteristiche del diritto cartolare I titoli di credito sono strumenti di circolazione della ricchezza e il loro trasferimento è molto più veloce e sicuro rispetto alla cessione dei crediti. L’elemento che caratterizza i titoli di credito è l’incorporazione, ossia il collegamento tra diritto e documento; l’effetto dell’incorporazione è che la titolarità del diritto di credito dipende dalla proprietà del documento: infatti, chi acquista il documento, acquista il diritto. Tuttavia, per esercitare tale diritto non è necessario questo collegamento, in quanto il diritto cartolare (incorporazione) si trasferisce anche con la registrazione contabile, mediante il sistema dell’addebito e dell’accredito dal conto dell’alienante a quello dell’acquirente. I titoli di credito sono trasferiti secondo le norme del trasferimento di cose mobili e non secondo le norme della cessione del credito. L’acquirente acquista il diritto a titolo originario e, nel caso acquisti da un soggetto che non è proprietario, tale acquisto è valido se l’acquirente era in buona fede ed abbia rispettato le leggi. L’acquirente può esigere la prestazione dal debitore presentandogli il titolo senza provare di essere titolare del diritto. • La legittimazione attiva è l’idoneità del soggetto legittimato possessore, e quindi proprietario e titolare del diritto, ad esercitare il diritto cartolare. • La legittimazione passiva è il potere del debitore di liberarsi pagando a che appare legittimato a ricevere; tuttavia il debitore non è liberato, se adempie conoscendo il difetto di titolarità e se il difetto era conoscibile con l’ordinaria diligenza. Le caratteristiche del diritto cartolare sono: • la letteralità, essa indica la qualità del diritto esercitatile, impedendo al creditore di esigere prestazioni non indicate nel titolo: il principio della letteralità tutela il debitore in quanto gli consente di rifiutare l’adempimento di prestazioni estranee;art 1993 • l’autonomia, ogni possessore del titolo ha una posizione diversa dal possessore precedente: il principio di autonomia impedisce al debitore di opporre, al possessore del titolo, le eccezioni fondate su rapporti con i precedenti possessori. Art 1993 Regime delle eccezioni. Le eccezioni che il debitore può opporre al creditore nel rapporto cartolare possono essere sia reali (assolute) che personali. • Le eccezioni reali sono quelle che il debitore può opporre a chiunque entri nel rapporto cartolare; esse sono: 1. l’eccezione della falsità della firma; non riferibile al soggetto che l’ha apposta 2. l’eccezione del difetto di forma; inosservanza requisiti formali richiesti 3. l’eccezione del difetto di capacità o del potere di rappresentanza nel momento dell’emissione del titolo; 4. le eccezioni fondate sulla letteralità del titolo; 5. le eccezioni concernenti la mancanza delle condizioni necessarie per l’esercizio dell’azione; 6. l’eccezione della prescrizione decennale; essa è proponibile solo se sul titolo appare una scadenza o un’omissione. • Le eccezioni personali sono quelle opponibili al possessore attuale e che derivano da rapporti personali del debitore con precedenti possessori; esempio: l’eccezione della mancanza di titolarità. Le eccezioni personali possono essere opposte solo se il possessore, nell’acquistare il titolo, ha agito intenzionalmente a danno del debitore; un esempio è quando il possessore acquista il titolo per sottrarre al debitore la possibilità di esperire l’eccezione di compensazione. Vicende del rapporto cartolare. La fonte dell’obbligazione cartolare sta nella dichiarazione stessa e non nel rapporto che ne costituisce la giustificazione economica. La circolazione può essere: • regolare, se il titolo circola secondo la sua disciplina; esempi: o i titoli al portatore si trasferiscono con la consegna del documento; o i titoli all’ordine richiedono oltre alla consegna, anche l’annotazione; • impropria, se il titolo circola secondo le regole del diritto comune; • irregolare, (o involontaria, o autonoma), se il titolo circola contro o senza la volontà dell’emittente. Colui che ha perso involontariamente il possesso del documento è reintegrato nell’esercizio del diritto cartolare; per i titoli di credito deteriorati o distrutti, è possibile ottenere il rilascio di un duplicato o di un titolo equivalente. La legittimazione cartolare per il possessore di un titolo nominativo è ricostruita con la procedura di ammortamento; è autorizzato all’azione di rivendicazione, per ricostruire la legittimazione cartolare. Classificazione dei titoli di credito. I titoli possono essere classificati in: 1. titoli astratti, dove non è menzionato il rapporto fondamentale, e titoli causali, dove, invece, il rapporto fondamentale è menzionato; 2. titoli semplici, che attribuiscono il diritto ad ottenere una determinata prestazione, e titoli complessi, che conferiscono un insieme di poteri; 3. titoli di credito in senso stretto, che hanno per oggetto il diritto ad ottenere una somma di denaro, e titoli di credito rappresentativi di merci, che hanno per oggetto il diritto alla riconsegna delle merci menzionate; 4. titoli individuali, che sono connessi ad uno o più soggetti determinati, e titoli di massa, che sono connessi al pubblico dei risparmiatori; 5. titoli privati, emessi da un privato e il potere di emissione è limitato solo per i titoli al portatore, e titoli pubblici, emessi dallo Stato, Le cambiali finanziarie e le accettazioni bancarie sono strumenti di finanziamento per le imprese. Altri documenti. La disciplina generale dei titoli di credito non è applicabile ai documenti che servono ad identificare l’avente diritto alla prestazione o a consentire il trasferimento del diritto senza l’osservanza delle forme proprie della cessione. I documenti di legittimazione (es: biglietto di un concerto) si differenziano dai titoli di credito, perché non posseggono le caratteristiche dell’autonomia e della letteralità. I titoli impropri circolano come i titoli di credito, ma la circolazione produce gli effetti della cessione. Funzione di legittimazione presente anche in altri documenti come la carta di credito (anche se controversa è la natura del rapporto sottostante) s’instaurano 2 rapporti: 1. di provvista tra l’istituto di credito emittente e il cliente titolare della carta; 2. di valuta tra l’istituto di credito e i fornitori di beni e servizi. Valori mobiliari e strumenti finanziari Nozione e rinvio. I valori mobiliari sono titoli di credito emessi in quantità notevoli e caratterizzati dalla omogeneità e dalla fungibilità; essi sono strumenti d’investimento, di raccolta di risparmio, di mobilizzazione della ricchezza. Inizialmente titolo utilizzato come equivalenza di titoli di massa secondo la tradizione francese, recentemente all’espressione nobiliare si è preferita quella di ‘’strumenti finanziari’’ anche se la legge n 415 del 23 luglio 1996 ne ha vietato l’incorporazione. Il tema ha rilievo nell’ambito delle specifiche discipline del mercato mobiliare. Nel caso manchi la continuità delle trascrizioni, la trascrizione attuale non è annullata, ma è sospesa ( è temporaneamente inefficace) fin quando la catena dei trasferimenti non venga completata; quando avviene la trascrizione dell’atto precedente, le successive trascrizioni hanno efficacia ex tunc. Esempio della continuità delle trascrizioni: se Caio acquista un immobile da Tizio, il quale lo ha acquistato da Sempronio, affinché Caio possa rendere opponibile ai terzi il suo acquisto, deve non solo trascriverlo contro Tizio (suo alienante), ma deve accertarsi che sia stata curata la trascrizione a favore di Tizio contro Sempronio (alienante di Tizio); Caio può anche personalmente provvedere alla trascrizione a favore di Tizio contro Sempronio. Una deroga al principio della continuità delle trascrizioni è rappresentata dall’ipoteca legale a favore dell’alienante e del condividente che iscritte contemporaneamente alla trascrizione del titolo o di acquisto o della divisione prevalgono sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite anteriormente contro l’acquirente o il condividente tenuto al conguaglio. In conclusione, si può acquistare un immobile con tutta sicurezza solo se dai registri immobiliari risulta una serie continua di trascrizioni, che parte dal dante causa e va a ritroso fino al primo proprietario. Atti soggetti a trascrizione e relativa efficacia. L’elenco degli atti che devono essere trascritti è presente nel codice; la caratteristica è che per grandi linee devono essere trascritti tutti quegli atti che richiedono la forma scritta ad substantiam, pena la nullità. Tra questi atti figurano: • atti o provvedimenti che costituiscono, modificano, o trasformano la proprietà, oppure altri diritti reali immobiliari; • il contratto preliminare: la sua trascrizione ha solo un effetto prenotativo; • i contratti condizionati o a termine; citando nella nota di trascrizione l’esistenza del fatto che impedisce il verificarsi dell’effetto reale immediato e provvedendo poi a cancellare tale menzione. • gli atti, aventi ad oggetto beni immobili, di permuta, di locazione, di donazione, di transazione; • l’accettazione dell’eredità; • le convenzioni matrimoniali: tale trascrizione ha solo una mera funzione di pubblicità notizia; il tutto introdotto con la riforma del diritto di famiglia che afferma la necessità della trascrizione per opponibilità verso i terzi anche se la cassazione ne ha tracciato un profilo meramente di pubblicità notizia. • la cessione dei beni ai creditori per scopo di inopponibilità verso i creditori cessionari di ogni acquisto di diritti verso il debitore cedente sopra i beni ceduti iscritto o trascritto posteriormente alla trascrizione della cessione . nella medesima direzione si colloca la trascrizione degli atti ex 2645 che consente l’opponibilità della separazione patrimoniale prodotta dalla destinazione. Trascrizione delle domande giudiziali. La trascrizione delle domande giudiziali ha lo scopo di rendere opponibile la sentenza ai terzi che abbiano acquistato il diritto durante lo svolgimento del processo. La trascrizione ha una funzione preliminare di prenotazione, in quanto, dopo che la domanda è stata accettata, le trascrizioni successive a quelle della domanda giudiziale non avranno effetti contro colui che ha trascritto la domanda giudiziale. Il tutto secondo il principio di giustizia che chi propone la una domanda in giudizio non debba subire pregiudizio in base alla durata del processo. Ciò non vale per i contratti nulli, dove la sentenza che dichiara la nullità travolge in linea di principio anche i diritti acquistati dai terzi in buona fede. Rappresenta una deroga in ipotesi nella quale il contratto nullo o annullabile per incapacità legale sia stato trascritto e siano trascorsi 5 o 3 anni senza che sia eseguita la trascrizione della domanda giudiziale di nullità. Modalità della trascrizione. La trascrizione si può chiedere esclusivamente in forza di un titolo prescritto dalla legge, come una sentenza, un atto pubblico, una scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente. La trascrizione è un onere per la parte e un obbligo per il pubblico ufficiale che redige l’atto. I registri immobiliari sono affidati al conservatore; la parte per ottenere la trascrizione deve presentare una copia autentica del titolo e una nota in doppio originale nella quale sono contenute le indicazioni prescritte dalla legge. Se l’immobile si estende su due circoscrizioni, la domanda deve essere presentata presso entrambe e l’atto trascritto presso entrambi gli uffici. Il conservatore può rifiutare di ricevere le note e i titoli solo se tali documenti non presentano i requisiti previsti dalla legge; egli non può rifiutarsi pena la sua responsabilità. Nel caso ci sono dubbi gravi e fondati sulla trascrivibilità di un atto, il conservatore può operare una trascrizione con riserva e la parte contro interessata può proporre reclamo entro 30 giorni. La domanda di trascrizione può essere presentata solo negli orari d’ufficio (allo scopo di evitare abusi) e il pubblico ufficiale è obbligato a curare la richiesta nel più breve termine possibile, pena la sua responsabilità. La domanda di trascrizione è annotata dal conservatore sul Registro generale d’ordine; in questo registro non esiste un’elencazione dei beni perché la trascrizione è fatta sotto il cognome e il nome dell’interessato, in base ad un criterio personale e non reale. Altre forme di pubblicità: intavolazione mobiliare e iscrizione costitutiva. Nel sistema giuridico tedesco e in alcune regioni come il Trentino e il Friuli, un istituto giuridico molto simile alla trascrizione è l’intavolazione. Differenze: 1. mentre la trascrizione ha effetto dichiarativo, l’intavolazione ha effetto costitutivo, in quanto solo con essa il soggetto interessato acquista la titolarità del diritto; 2. mentre la trascrizione si basa su un criterio personale, l’intavolazione si basa su un criterio reale, in quanto è attuata con riferimento ai beni e non alle persone. Anche i beni mobili registrati seguono il criterio reale e non il criterio personale utilizzato dal sistema italiano della trascrizione. Altra forma di pubblicità è l’iscrizione, che ha efficacia costitutiva: le società di capitali si costituiscono solo con l’iscrizione del relativo atto costitutivo nel Registro delle imprese. F. Prove Principio dispositivo e onere della prova. La prova è lo strumento necessario per convincere il giudice circa la situazione. È opportuno distinguere la questione di fatto ( accertare i fatti portati in esame dalle parti) e la questione di diritto (applicare la norma al caso concreto). Occorre che i fatti allegati debbano essere provati, occorre cioè convincere il giudice della veridicità dei fatti addotti a fondamento della propria posizione processuale. L’onere dell’allegazione e l’onere della prova sono contenuti nel principio dispositivo. Il giudice valuterà liberamente le prove valutandone l’ammissibilità e la rilevanza. La regola sulla ripartizione dell’onere della prova non è privo di eccezioni tant’è che le parti possono pattiziamente invertire o modificare l’onere della prova purchè non sia reso eccessivamente difficile ad una delle parti l’esercizio del diritto. Nozione e carattere Il giudice durante il giudizio di fatto usa le prove fornite dalle parti. Queste dunque si possono definire come strumenti processuali mediante i quali il giudice forma il proprio convincimento circa la verità dei fatti. Il sistema dei mezzi di prova è a numero chiuso e si esaurisce nella riproduzione, esibizione di cose o documenti e nell’interrogatorio di persone (parti o terzi). Vari sono i criteri di classificazione delle prove; 1. In base alla modalità di formazione: • Prove documentali o precostituite perché formate prima del processo • Prove semplici o costituende perchè si formano durante il processo. 2. In base alla loro efficacia nel giudizio: • Prova legale il giudice non può valutare liberamente il contenuto ma deve giudicare tenendo presente i risultati della prova • Prova diretta o storica che consiste nell’esposizione o rappresentazione del fatto Singoli mezzi di prova: prove documentali Per documento si intende qualunque mezzo materiale idoneo a rappresentare un fatto, in modo da consentire la presa di conoscenza a distanza di tempo. Diversi documenti: • Atto pubblico ora anche informatico, è il documento redatto da un notaio o da un pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli la buona fede. Il giudice è vincolato nella valutazione di tale prova. • Scrittura privata è il documento redatto per iscritto e sottoscritto dalle parti con firma autografa o al quale è opposta la firma digitale. La sua forma probatoria è limitata rispetto a quella dell’atto pubblico. • Scrittura autentica, documento informatico della firma elettronica o con qualsiasi altro tipo di atto che prevede la firma avanzata autenticata, si tratta di un documento redatto dalle parti e sottoscritto davanti ad un pubblico ufficiale il quale attesta che la firma è autentica in quando apposta in sua presenza. • Telegramma che ha valore di scrittura privata se l’originale è stato sottoscritto dal mittente o se è stato da lui consegnato o fatto consegnare anche senza sottoscrizione • Telefax • Riproduzioni meccaniche meccanismo simile a quello che vale per le scritture private Di particolare importanza è la data della scrittura, poiché in ragione del tempo dell’atto si risolvono conflitti tra situazioni o diritti incompatibili. Se la data non è apposta al documento il tempo della scrittura può essere provato liberamente dalle parti. La data se risulta da atto pubblico o da scrittura privata autenticata è opponibile senza riserve se risulta da scrittura privata non autenticata è opponibile soltanto se certa. La certezza della dato oltre che con l’autenticazione scritta si accerta con la registrazione, che deve essere effettuata presso l’ufficio del registro ovvero la riproduzione del contenuto della scrittura in atti pubblici.
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