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Avvertenze generali 2019 - Concorso a cattedra 2020, Dispense di Psicologia Generale

Avvertenze generali 2019 - Concorso straordinario a cattedra - bando in uscita - Edizione Edises

Tipologia: Dispense

2019/2020

In vendita dal 13/01/2020

davide_summo
davide_summo 🇮🇹

4.4

(28)

98 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Avvertenze generali 2019 - Concorso a cattedra 2020 e più Dispense in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! avvertenze generali edises formato e book Psicopedagogia Università degli Studi di Napoli L'Orientale 802 pag. Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) Accedi ai servizi riservati Per accedere al software di Software di simulazione allegato gratuitamente all'opera è sufficiente accedere alla propria area riservata mediante la procedura di seguito descritta: - collegati al sito www.edises.it e clicca su "accedi" (in alto a destra in qualsiasi pagina) - inserisci e-mail e password scelte in fase di registrazione al sito per essere automaticamente reindirizzato alla tua area personale L'accesso ai servizi on-line ha la durata di un anno dall'attivazione ed è garantito esclusivamente sulle edizioni in corso L’accesso ai servizi riservati ha la durata di un anno dall’attivazione e viene garantito esclusivamente sulle edizioni in corso. Per attivare i servizi riservati, collegati al sito edises.it e segui queste semplici istruzioni clicca su Accedi al materiale didattico inserisci email e password accedendo alla tua area riservata troverai tutti i collegamenti necessari per iniziare ad utilizzare il materiale didattico allegato all'ebook Indice Accedi Copyright Finalità e struttura dell’opera Parte Prima Competenze pedagogico-didattiche Capitolo 1 Le teorie dell’apprendimento e la psicologia dell’educazione 1.1 Il comportamentismo 1.2 Albert Bandura 1.3 Il cognitivismo 1.4 La psicologia della Gestalt 1.5 Max Wertheimer Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) 10.1 La continuità didattica 10.2 Orientamento e apprendimento 10.3 La valutazione degli studenti In sintesi Verifica Bibliografia Parte Seconda Legislazione scolastica SEZIONE I Il sistema scolastico italiano ed il contesto europeo Capitolo 11 L’evoluzione storica della scuola italiana 11.1 La scuola in Italia nella seconda metà dell’Ottocento 11.2 La scuola in Italia nella prima metà del Novecento 11.3 La scuola in Italia nel secondo dopoguerra 11.4 Le riforme degli anni Novanta 11.5 La strategia di Lisbona 11.6 Il ministero Gelmini 11.7 Il ministero Profumo 11.8 La riforma della “buona scuola” Capitolo 12 La scuola dell’infanzia e del primo ciclo 12.1 Alcune premesse: il diritto all’istruzione nel sistema nazionale 12.2 La scuola dell’infanzia 12.3 La scuola primaria nel primo ciclo di istruzione 12.4 La scuola secondaria di primo grado: il tempo normale e il tempo prolungato 12.5 Le Indicazioni nazionali per la scuola primaria e per la secondaria di primo grado 12.6 La valutazione 12.7 L’esame di Stato conclusivo del primo ciclo d’istruzione Capitolo 13 Il secondo ciclo dell’istruzione: parte generale 13.1 Una premessa sulla riforma degli ordinamenti del secondo ciclo: il sistema scolastico frutto della legge n. 53/2003 13.2 Il riconoscimento del lavoro nell’istruzione superiore riformata 13.3 L’attuale assetto della scuola secondaria di secondo grado 13.4 Iscrizioni e formazione delle classi negli istituti del secondo ciclo dell’istruzione 13.5 L’applicazione del D.P.R. n. 122/2009 nella scuola del secondo ciclo 13.6 L’ammissione all’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo dell’istruzione Capitolo 14 Gli ordinamenti di istituti professionali, istituti tecnici, licei 14.1 Ordinamenti scolastici: gli istituti professionali 14.2 Ordinamenti scolastici: gli istituti tecnici 14.3 Ordinamenti scolastici: i licei Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) Capitolo 15 L’Unione europea e la sussidiarietà verso i sistemi scolastici dei paesi membri 15.1 La prospettiva comune per la vecchia Europa 15.2 Le Istituzioni europee 15.3 Il funzionamento dell’Unione europea 15.4 L’Unione europea e le azioni di supporto ai sistemi nazionali di istruzione SEZIONE II L’istituzione scolastica Capitolo 16 Autonomia scolastica e dirigenza 16.1 L’autonomia scolastica nella legge n. 59/1997 16.2 Il profilo del dirigente scolastico nel D.Lgs. n. 165/2001 e nelle leggi successive 16.3 Il Piano dell’offerta formativa (POF) 16.4 L’organico dell’autonomia 16.5 L’autonomia di associarsi in rete 16.6 Il trasferimento delle funzioni amministrative alle scuole autonome 16.7 La contropartita dell’autonomia: il monitoraggio del sistema Capitolo 17 La comunità scolastica come luogo della partecipazione: gli organi collegiali d’istituto 17.1 I “decreti delegati” nel contesto del 1974 17.2 I vigenti organi collegiali delle istituzioni scolastiche e il loro funzionamento 17.3 Il consiglio d’istituto 17.4 La potestà regolamentare del consiglio d’istituto 17.5 Il collegio dei docenti 17.6 I consigli di intersezione, di interclasse e di classe 17.7 Il comitato per la valutazione dei docenti 17.8 Le assemblee dei genitori e degli studenti Capitolo 18 L’insegnante: stato giuridico e profilo contrattuale 18.1 Lo stato giuridico 18.2 Il periodo di prova del personale docente 18.3 Il “travaso” della funzione docente nel contratto 18.4 Incarichi particolari 18.5 Il diritto-dovere all’aggiornamento culturale e professionale 18.6 La libera professione nel Testo Unico della scuola 18.7 La responsabilità dell’insegnante e della scuola nel codice civile 18.8 La responsabilità disciplinare dell’insegnante 18.9 La valorizzazione del merito degli insegnanti Capitolo 19 Gli studenti con bisogni educativi speciali 19.1 L’handicap a scuola secondo la Costituzione 19.2 I Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) 19.3 Gli alunni stranieri 19.4 Gli alunni con Bisogni Educativi Speciali (BES) 19.5 La scuola in ospedale e l’istruzione domiciliare 19.6 Il “problema” dell’eccellenza SEZIONE III L’ordinamento della Repubblica – La Pubblica Amministrazione Capitolo 20 L’ordinamento dello Stato – Il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca 20.1 L’ordinamento giuridico costituzionale 20.2 Il Parlamento 20.3 Il Governo 20.4 La Magistratura 20.5 Le giurisdizioni speciali 20.6 Il Consiglio Superiore della Magistratura 20.7 Il Presidente della Repubblica 20.8 Gli organi ausiliari e le autorità indipendenti 20.9 La gerarchia delle fonti del diritto Capitolo 21 Le autonomie territoriali della Repubblica 21.1 Le autonomie territoriali 21.2 Le Regioni 21.3 Province e Comuni: la riforma costituzionale del 2001 21.4 I rapporti tra Enti e tra Stato ed Enti Capitolo 22 La Pubblica Amministrazione nella Costituzione e nella legge 22.1 La Pubblica Amministrazione nella Costituzione 22.2 I principi dell’azione amministrativa 22.3 L’atto amministrativo 22.4 Le posizioni soggettive nei confronti della PA: diritto soggettivo e interesse legittimo 22.5 Le regole del procedimento amministrativo 22.6 Il diritto di accesso 22.7 I vizi degli atti amministrativi 22.8 L’autotutela amministrativa 22.9 La tutela amministrativa: i ricorsi amministrativi 22.10 La tutela giurisdizionale Capitolo 23 Il rapporto di lavoro nella PA 23.1 Premesse generali di diritto del lavoro 23.2 Esclusività del lavoro pubblico 23.3 La privatizzazione del rapporto di lavoro nella PA 23.4 Le materie oggetto di contrattazione integrativa d’istituto nel CCNL 2007 del comparto scuola 23.5 L’esercizio dei diritti sindacali nella scuola 23.6 Inderogabilità delle norme di legge in sede di contrattazione Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) l’insegnante, sotto il profilo giuridico e contrattuale, con riferimento ai diritti di rilevanza costituzionale che dialogano nella scuola: la libertà di insegnamento, il diritto all’apprendimento, la responsabilità educativa delle famiglie; gli studenti con bisogni educativi speciali. La terza, e ultima, sezione propone l’orizzonte più ampio del sistema della Repubblica, con riferimento a: l’ordinamento dello Stato e, in particolare, l’organizzazione del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca; le autonomie territoriali della Repubblica; la pubblica amministrazione, nella Costituzione e nella legge; il rapporto di lavoro nella pubblica amministrazione, con ampi approfondimenti dedicati alla contrattazione d’istituto nonché alla gestione del contratto di lavoro del personale docente. La ricerca delle fonti normative e la contestualizzazione storica delle riforme hanno il fine di far emergere le ragioni dell’“agire” del docente e dell’istituto di cui è parte. Le innovazioni scaturite dalla legge n. 107/2015 sono contestualizzate all’interno del sistema nazionale dell’istruzione, così che ne sia facilitata la comprensione in rapporto agli elementi di continuità, come pure in rapporto agli elementi che si distaccano dall’assetto previgente. La funzione docente è la stella polare del nostro studio, che dalla comprensione del passato trae l’intelligenza del presente; dalla cultura del sistema trae le ragioni del fare scuola quotidiano; dalla conoscenza delle responsabilità incanala l’etica della professione. Giuseppe Mariani Emiliano Barbuto Come usare questo manuale: guida allo studio L’ampiezza della trattazione, l’articolazione dei contenuti e i continui collegamenti fra le parti fanno di questo lavoro un manuale per la professione e non semplicemente per il superamento del concorso. D’altro canto, per orientare lo studio e la preparazione alle prove concorsuali, sono stati previsti diversi apparati didattici. In particolare: un indice sistematico estremamente dettagliato consente al lettore di orientare il proprio studio verso obiettivi formativi personalizzati; le sintesi poste al termine di ciascuna parte aiutano a focalizzare i temi principali (e corrispondono ad un livello di conoscenza di base); i capitoli trattano in modo esaustivo le tematiche; le domande di verifica, poste al termine delle parti, rappresentano un momento di autovalutazione e favoriscono l’assimilazione dei concetti; l e estensioni web comprendono ulteriori materiali didattici, ma anche approfondimenti e risorse di studio. Per la sua impostazione, questo manuale si presta ad essere utilizzato in modo diverso a seconda del livello Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) di preparazione iniziale. Per chi parte da un livello di base, si consiglia di: iniziare la lettura cominciando dalle sintesi; passare successivamente alla lettura dei capitoli; verificare l’apprendimento mediante le domande a risposta multipla. 1.1 Il comportamentismo In questo capitolo tracceremo un percorso che tocca le maggiori teorie dell’apprendimento, nell’ambito della Questo lavoro, ricco, complesso, denso di rinvii normativi e spunti operativi per l’attività dei futuri insegnanti, tratta materie in continua evoluzione. Ulteriori materiali didattici e approfondimenti sono disponibili nell’area riservata a cui si accede mediante la registrazione al sito edises.it secondo la procedura indicata nel frontespizio del volume. Altri aggiornamenti sulle procedure concorsuali saranno disponibili sui nostri profili social Facebook.com/ilconcorsoacattedra Clicca su (Facebook) per ricevere gli aggiornamenti www.concorsoacattedra.it Competenze pedagogico-didattiche Parte Prima SOMMARIO Capitolo 1 Le teorie dell’apprendimento e la psicologia dell’educazione Capitolo 2 Psicologia dello sviluppo Capitolo 3 Le competenze psico-pedagogiche Capitolo 4 Le competenze didattiche del docente Capitolo 5 La progettazione del curricolo Capitolo 6 Libri di testo e nuove tecnologie per la didattica Capitolo 7 Le competenze sociali del docente Capitolo 8 Stili di apprendimento e stili di insegnamento Capitolo 9 Dalla disabilità ai Bisogni Educativi Speciali Capitolo 10 Continuità, orientamento e valutazione Le teorie dell’apprendimento e la psicologia dell’educazione Capitolo 1 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) psicologia dell’educazione: dal paradigma comportamentista all’approccio costruttivista, passando attraverso quello del cognitivismo. Le teorie dell’apprendimento saranno presentate attraverso la prospettiva dei loro maggiori esponenti. Pertanto, avremo modo di parlare di Skinner, Bandura, Wertheimer, Kelly, von Glasersfeld e von Foester. 1.1.1 Caratteri generali Il comportamentismo è una teoria dell’apprendimento che si è sviluppata nell’ambito della psicologia principalmente in America; viene anche definito behaviourismo, dal termine inglese behaviour, che significa appunto comportamento. Tra i principali esponenti del comportamentismo classico citiamo Pavlov, Watson, Thorndike e Skinner. Il modello comportamentista parte dall’idea che l’apprendimento avviene mediante degli stimoli S che pervengono al soggetto dall’ambiente esterno. Raggiunto dagli stimoli, questi fornisce delle risposte R, ossia determinati comportamenti. Ciò che avviene nella mente e che determina la risposta R a un dato stimolo S non è oggetto di studio: a tal proposito si parla di una scatola nera (black box) che non desta l’attenzione degli studiosi comportamentisti. In generale, lo stimolo è prodotto dall’ambiente che circonda il soggetto; per tale motivo la visione dei comportamentisti è quella di un ambiente che determina le risposte di un soggetto che si pone in atteggiamento relativamente passivo. Il punto centrale dell’osservazione dei comportamentisti è cercare di associare in un individuo una risposta ad un determinato stimolo, in maniera stabile: la risposta del soggetto allo stimolo è osservabile e può essere studiata scientificamente. Se questa è stabile, si può affermare che il soggetto ha imparato a rispondere in un certo modo allo stimolo, pertanto si è verificato un apprendimento. 1.1.2 Ivan P. Pavlov Lo psicologo russo Ivan Petrovič Pavlov (Rjazan’, 1849 - San Pietroburgo, 1936) è famoso per i suoi studi sullo stimolo e sul riflesso condizionato. Analizzando il comportamento di alcuni cani, egli nota che, alla presenza del cibo, le bestie iniziano a produrre un quantitativo maggiore di saliva, che si mostra sotto forma di una bava evidente. Il cibo rappresenta lo stimolo incondizionato, mentre la bava è la risposta incondizionata del soggetto (il cane) allo stimolo precedente. Questa connessione tra stimolo e risposta è connaturata alle caratteristiche della specie animale, come se fosse frutto dell’evoluzione della stessa. Per Pavlov, non si può affermare che questo comportamento sia realmente appreso dal singolo soggetto animale. Si consideri ora la seguente situazione: la somministrazione del cibo al cane viene fatta da un ricercatore che indossa sistematicamente un camice bianco. All’inizio, quando il ricercatore, tra una somministrazione e la successiva, si avvicina con il camice bianco al cane, in quest’ultimo non si intravede nessuna risposta. Almeno in questa fase iniziale, il camice bianco rappresenta uno stimolo neutro, che non induce, cioè, alcuna risposta. Dopo che la somministrazione del cibo è avvenuta più volte, contestualmente alla presenza del camice bianco, Pavlov nota che anche la sola presenza del camice (senza cibo) induce nel cane la produzione di bava. Il camice ora produce una risposta ed è diventato uno stimolo condizionato, poiché si è condizionata la presenza di questo camice alla presenza del cibo (stimolo incondizionato). Come conseguenza della presenza congiunta dei due stimoli, quello condizionato finisce per destare nel soggetto la stessa risposta dello stimolo incondizionato: questa volta si tratta di una risposta condizionata o risposta riflessa. Un esperimento analogo viene fatto adoperando un campanello elettrico: al suono dello stesso viene Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) di disagio. Occorre sottolineare che il rinforzo negativo non deve essere inteso in generale come una punizione, bensì come la sottrazione del soggetto ad una situazione di disagio. Anche in questo caso, dopo qualche esperienza, il topo “impara” a compiere quelle azioni che rimuovono il disagio dovuto alla scossa elettrica. In entrambi i casi, la risposta del topo (il suo comportamento) induce un rinforzo che funge da stimolo per futuri comportamenti. Il condizionamento operante può essere visto come un processo di apprendimento. In particolare, Skinner riesce a definire e a imprimere negli animali delle catene di connessioni, cioè dei comportamenti, anche complessi, tramite appropriati rinforzi, allo scopo di giungere, per approssimazioni successive, ad un comportamento finale che si ritiene desiderabile. Ad esempio, se si vuole che un piccione abbassi una leva, dapprima gli si dà un rinforzo quando si gira verso di essa, poi si dà il rinforzo solo se si gira e si muove verso la stessa, e successivamente solo se si gira, si muove e si avvicina in prossimità di essa, fino ad attuare il comportamento che consiste nell’abbassare la leva. Questa procedura viene definita shaping (modellamento). Inoltre, Skinner è in grado di mettere in competizione due piccioni, definendo una variante di gioco del ping pong che consiste nel dare un rinforzo ad un piccione quando questo riesce a spingere con il becco una pallina verso l’altro. Allo stesso modo, può creare un clima cooperativo tra due piccioni impegnati in movimenti che ricordano una danza, fornendo loro opportuni rinforzi, proprio come fatto in precedenza. Anche nel bambino e nell’adulto si generano comportamenti operanti, che vengono messi in atto per ricevere un rinforzo positivo, un premio. Ad esempio, un bambino può trovare dilettevole stare in braccio alla mamma. Si supponga che, in seguito al pianto del bambino, generato da un qualsiasi motivo, la madre, con una certa regolarità, lo prenda in braccio per calmarlo. Può succedere che il bambino pianga in modo operante, ossia senza particolari stimoli provenienti dall’esterno, semplicemente per ricevere il rinforzo positivo, ossia per essere preso in braccio. Allo stesso modo, uno scolaro può essere indotto a studiare per ricevere il rinforzo positivo dalla maestra, che può essere una lode in pubblico oppure un buon voto. Oltre a questo tipo di comportamenti, ne esistono altri che vengono attuati per sottrarsi ad una situazione di disagio: sono comportamenti legati ad un rinforzo negativo. Ad esempio, se un alunno molto studioso viene sistematicamente deriso dai compagni meno volenterosi, è probabile che a un certo punto tenderà ad affievolire il suo comportamento da studioso, per eliminare la situazione di disagio che vive. 1.2 Albert Bandura Lo psicologo canadese Albert Bandura (Mundare, 1925) deve la sua fama iniziale ad una serie di esperimenti sull’apprendimento per imitazione e sull’aggressività, che lo portano a formulare la teoria dell’apprendimento sociale, di stampo comportamentista. 1.2.1 Gli esperimenti con la bambola BoBo Nel 1961 Bandura, Ross e Ross pubblicano l’articolo Transmission of aggression through imitation of aggressive models: si tratta del resoconto di un esperimento condotto su 36 bambini e 36 bambine di età compresa tra i 3 e i 6 anni. Questi vengono divisi in tre gruppi, ciascuno formato da maschi e femmine. Un primo gruppo viene condotto in una stanza nella quale vi sono dei giocattoli che è possibile utilizzare. In un angolo Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) della stanza si trova un adulto, maschio o femmina, che funge da modello e che ha a disposizione altri giocattoli: uno di carattere non aggressivo (delle costruzioni) e i restanti che possono essere adoperati in modo aggressivo. In particolare, il modello ha a disposizione un martello e una bambola chiamata BoBo, ossia una bambola che, se urtata e spinta a terra, si rialza per via del basso baricentro e del fondo curvilineo. L’adulto inizia a prendere a pugni la bambola, si siede su di essa e continua a picchiarla, poi la solleva e la lancia in aria, la prende a calci e infine la picchia con un martello. Mentre fa queste cose, pronuncia alcune frasi violente (“picchiala sul naso”, “prendila a calci”) e altre frasi di carattere non violento (“continua a rialzarsi”, “è un tipo duro”). La scelta di far compiere azioni specifiche e ben determinate è giustificata dal fatto che si vuole effettivamente verificare il livello di imitazione dei bambini; in altre parole, si vuole evitare di compiere azioni aggressive troppo banali che magari i bambini possono aver visto e appreso in casi precedenti. Il secondo gruppo si trova in condizioni analoghe al primo, tranne per il fatto che può osservare un modello non aggressivo che gioca con le costruzioni. Il terzo, invece, è un gruppo di controllo che viene lasciato giocare senza alcun modello. L’obiettivo è quello di verificare se i bambini che hanno assistito al comportamento aggressivo risultano più aggressivi di altri quando si determinano situazioni che suscitano aggressività. Di seguito, i tre gruppi vengono portati ciascuno in una stanza dove vi sono dei giocattoli. Ogni bambino si sofferma su un gioco in particolare; quando l’interesse per questo diventa ormai palese, entra un adulto che glielo sottrae e lo sgrida. In tal modo si vengono a determinare nel bambino le condizioni dell’aggressività. Difatti, l’esperimento non vuole dimostrare che, seguendo un modello, il bambino diventa genericamente aggressivo – ossia anche nei momenti in cui l’aggressività non è giustificata – ma che l’imitazione avviene quando si creano condizioni di alterazione nel bambino, cioè avvenimenti che lo predispongono ad essere violento. Di seguito, i tre gruppi entrano ciascuno in una stanza dove vi sono nuovamente giocattoli non violenti, ma vi è anche la bambola BoBo, un martello e altri giocattoli, tra cui una pistola, che possono essere usati in modo aggressivo. Ora lo sperimentatore osserva se i bambini e le bambine si comportano in maniera violenta e con quali modalità. In particolare, osserva se i bambini eseguono azioni simili a quelle del modello, se ripetono l’intera sequenza di azioni violente, se inventano nuove azioni violente con i giochi a disposizione (la pistola), se si comportano in modo aggressivo da un punto di vista fisico o verbale o da entrambi i punti di vista. Dai risultati emerge che: il gruppo che ha osservato il modello aggressivo risulta in media più aggressivo degli altri due (quello di controllo e quello non aggressivo); i maschi risultano più aggressivi delle femmine dal punto di vista fisico, mentre dal punto di vista verbale il livello di aggressività è identico; quando il bambino osserva un modello aggressivo del proprio sesso tende ad essere maggiormente aggressivo, come se riuscisse ad immedesimarsi più facilmente. Tuttavia, questo fenomeno è molto più evidente nei maschi che nelle femmine; anche un modello positivo, come quello non aggressivo, tende ad essere imitato dai bambini, sebbene in tono minore rispetto al modello aggressivo. Difatti, il gruppo che ha visto il modello non aggressivo, nella stanza di osservazione mostra in media minore aggressività dello stesso gruppo di controllo. Le conclusioni di questo esperimento sono le seguenti: un modello aggressivo tende ad essere giustificato e imitato dai bambini quando questi si trovano in uno stato di irritazione. L’esperimento non dimostra che i bambini sono violenti anche quando non sono particolarmente irritati. Questi risultati aprono le porte al concetto di apprendimento osservativo (o apprendimento vicario), un tipo di apprendimento che avviene osservando un Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) modello. 1.2.2 La teoria dell’apprendimento sociale In seguito alle osservazioni sperimentali viste nel paragrafo precedente, Bandura delinea la teoria dell’apprendimento sociale negli articoli Social learning and personality development (1963) e Social Learning Theory (1971 e 1977). Nel panorama delle teorie dell’apprendimento, quella dell’apprendimento sociale introduce elementi di novità che la collocano a metà strada tra il comportamentismo e il cognitivismo, di cui elenchiamo alcuni dei principali elementi caratteristici: non si apprende solo tramite il paradigma stimolo-risposta-rinforzo o tramite la dinamica delle prove ed errori. Un’altra modalità di apprendimento, ancora più efficace, è l’osservazione di un modello di comportamento. Per tale modalità di apprendimento Bandura usa l’espressione apprendimento osservativo (o apprendimento vicario); il paradigma del rinforzo viene rivisto e ampliato. Insieme all’usuale rinforzo diretto, inteso secondo il paradigma del condizionamento operante, è opportuno considerare anche un rinforzo anticipato per migliorare l’attenzione di chi osserva il modello, un rinforzo vicario che proviene dall’osservazione del modello o dalle conseguenze che il modello di comportamento genera e un auto-rinforzo, proveniente dalla sfera dei processi interni che avvengono nell’individuo; nel modello cognitivista l’ambiente influenza il comportamento degli individui. Bandura afferma che esiste, invece, un determinismo reciproco, in quanto anche il comportamento dei soggetti può influenzare l’ambiente circostante. 1.2.3 L’apprendimento osservativo L’apprendimento osservativo o vicario è sicuramente il punto centrale della teoria dell’apprendimento sociale: Bandura afferma che questo tipo di apprendimento è più efficace di un addestramento per prove ed errori. Difatti, volendo far replicare ad un soggetto un determinato comportamento, piuttosto che condurlo per tentativi e successive approssimazioni verso il comportamento desiderato, risulta più immediato fargli apprendere il comportamento dall’osservazione di qualche altro soggetto che lo mette in atto. Bandura chiama questa procedura modeling, termine inglese che possiamo tradurre con “modellamento” e che si riferisce proprio all’azione di osservare un modello di comportamento e di conformarsi ad esso. Lo stimolo che viene fornito al soggetto per replicare il comportamento può essere di tre tipologie: l’osservazione fisica diretta di un modello (behavioural modeling), ossia di un individuo che svolge alcune azioni che devono essere replicate. In generale, questo tipo di stimolo è molto efficace e diventa una delle modalità preferenziali per i bambini che ancora non hanno accesso al linguaggio scritto o non padroneggiano bene il linguaggio parlato; la descrizione verbale di un comportamento (verbal modeling), ossia la possibilità di seguire delle istruzioni che vengono lette da un manuale o che vengono impartite verbalmente. In entrambi i casi, ci si riferisce alla rappresentazione della procedura di comportamento mediante il linguaggio (scritto o parlato). Si tenga presente che, in senso stretto, si tratta di una rappresentazione simbolica del comportamento, in quanto il linguaggio è uno strumento simbolico, cioè costituito da simboli (fonemi e grafemi) e regole per utilizzarli; l a rappresentazione pittorica o simbolica (symbolic modeling), ossia l’uso di immagini, disegni e Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) comportamento globale che è quello desiderabile e che costituisce l’apprendimento. A tal proposito, basti ricordare la procedura di shaping elaborata da Skinner (vedi § 1.1.5). 1.4.3 La Gestalt e la visione globale Il termine tedesco Gestalt, che vuol dire forma o configurazione, si riferisce ad una corrente psicologica, la Gestaltpsychologie o psicologia della forma, che è nata in Germania all’inizio del XX secolo e che ha affrontato diverse problematiche, assumendo posizioni critiche nei confronti dell’empirismo e del comportamentismo. Dall’empirismo la Gestalt mutua soprattutto l’idea che la conoscenza avvenga tramite l’esperienza; tuttavia, questa corrente si pone in maniera critica rispetto all’empirismo, in quanto afferma che la rappresentazione mentale generata dalle sensazioni va vista nella sua configurazione totale (da cui il termine Gestalt), in modo unitario, e non va ridotta analiticamente ad una serie di associazioni elementari. Nei confronti del comportamentismo viene avanzata una critica sulla modalità di apprendimento, che non è vista come una successione di tentativi (prove ed errori), ma piuttosto come un fenomeno intuitivo e globale. Altro elemento distintivo, rispetto al comportamentismo, è la convinzione che l’apprendimento sia basato su processi cognitivi e che possa essere compreso andando oltre lo studio del semplice comportamento. In questa trattazione ci soffermeremo soprattutto sui seguenti aspetti caratteristici della Gestalt: lo studio della percezione e dei meccanismi di apprendimento, in particolare dei processi che si attivano nella risoluzione dei problemi. I fondatori nonché maggiori esponenti della Gestalt sono Kurt Koffka, Wolfgang Köhler e Max Wertheimer. Questi tre studiosi hanno lavorato insieme, dapprima nell’Università di Francoforte (dal 1910 al 1916), dove hanno svolto alcuni studi sulla percezione, e in seguito presso l’Università di Berlino (dal 1916 al 1929), dove hanno delineato con maggior rigore il movimento della Gestalt. 1.4.4 Wolfgang Köhler Lo psicologo tedesco Wolfgang Köhler (Reval, 1887 - Enfield, 1967) ha contribuito in maniera determinante allo sviluppo della psicologia della forma. I suoi primi studi sono stati compiuti con Max Wertheimer intorno al 1910, periodo in cui Köhler e Koffka erano assistenti di Wertheimer. In seguito Köhler ha orientato i suoi studi in maniera indipendente, pur rimanendo nell’ambito del movimento della Gestalt. Il nome di Köhler resta associato principalmente ai suoi esperimenti sulle scimmie antropomorfe (o antropoidi), in particolare sugli scimpanzé. Nel 1913, lo psicologo si muove a Tenerife, nelle isole Canarie, dove studia per sei anni i comportamenti delle scimmie. Nel 1925, questi esperimenti vengono presentati nell’opera The Mentality of Apes (L’intelligenza delle scimmie antropoidi), che è la traduzione di una precedente opera in tedesco. Lo schema di base degli esperimenti di Köhler consiste nella costruzione di una situazione nella quale gli scimpanzé sono in presenza di cibo, che però non è direttamente accessibile: in tale contesto, le scimmie devono trovare un modo per arrivare ad esso. In particolare, una banana viene appesa al soffitto di una gabbia, nella quale sono poste delle cassette di legno di varia grandezza. Dapprima gli scimpanzé sembrano muoversi con la dinamica tipica delle prove ed errori, operando dei tentativi casuali: saltano verso la banana, salgono su una cassetta, sollevano un’asta. Tutti questi tentativi, però, si rivelano inutili. Segue un periodo nel quale qualche scimmia si ferma a riflettere e qualche altra continua nei suoi tentativi vani. All’improvviso, qualcuna delle scimmie osserva gli oggetti a disposizione e li combina per ottenere il suo scopo. Ad esempio, può succedere che le scimmie poggino l’una sull’altra le cassette di legno, creando una struttura stabile su cui salire per Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) raggiungere la banana (Figura 1.1, parte sinistra). In un altro esperimento, una banana è posta fuori dalla gabbia, oltre le sbarre. Gli scimpanzé si sforzano di raggiungerla con i loro arti, ma non vi riescono. Nella gabbia si trovano delle aste di una certa lunghezza e di varie sezioni: gli scimpanzé cercano di usare queste aste singolarmente, ma si accorgono che non sono abbastanza lunghe. Questa volta l’idea risolutiva emerge quando uno scimpanzé costruisce un’asta più lunga, incastrando l’uno sull’altro i pezzi di aste di vario spessore e creando un’asta più lunga (Figura 1.1, parte destra). In tal modo può avvicinare la banana alla gabbia. Fonte : The Mentality of Apes (1925) di W. Köhler (http://www.pigeon.psy.tufts.edu/psych26/kohler. http://www.intropsych.com/ch08_animals/chimp_cognition.html). Köhler chiama insight (intuizione) l’illuminazione improvvisa che permette a qualcuna delle scimmie chiuse in gabbia di risolvere il problema. Mediante l’insight, ad un certo momento, lo scimpanzé compie due passaggi importanti: assegna un nuovo significato alle cassette; da attrezzi per contenere oggetti, le fa diventare gradini con cui raggiungere la banana. In pratica, ristruttura alcuni concetti in suo possesso, modificandoli e rivedendoli in una prospettiva diversa e originale; ha una visione globale del problema e mette in rapporto gli elementi che sono a sua disposizione; osserva la banana appesa in alto oppure collocata fuori dalla gabbia e ragiona sugli oggetti circostanti, assemblandoli in una nuova forma globale (le cassette impilate o le due aste congiunte). Questo porta Köhler a muovere delle critiche al comportamentismo di Thorndike che afferma che gli animali imparano per prove ed errori e progressivamente si avvicinano all’obiettivo. In contrapposizione, Köhler nota che, soprattutto i mammiferi più vicini all’uomo dal punto di vista evolutivo, come le scimmie antropomorfe, possono imparare in un modo diverso, tramite un’illuminazione improvvisa, che consiste nell’osservare in maniera differente e globale il problema che si presenta. Grazie all’insight, gli animali compiono quel gesto risolutivo che pochi minuti prima sembrava lontano dall’accadere. Nell’opera del 1920 Die physischen Gestalten in Ruhe und im stationären Zustand (Le forme fisiche in quiete e in situazioni stazionarie) Köhler dà una prima definizione FIGURA 1.1 Le scimmie di Köhler escogitano stratagemmi per raggiungere il cibo. Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) formale di come si possa intendere la Gestalt. Egli afferma che questa corrente studia le situazioni e i processi psichici che non possono essere definiti se scomposti nelle loro singole parti costituenti ed elementari. In alternativa, la loro definizione è possibile solo con una visione d’insieme della percezione del fenomeno. In questa definizione, che riassume in modo emblematico le convinzioni della Gestalt, si avverte anche l’influenza degli esperimenti compiuti sulle scimmie. 1.5 Max Wertheimer Max Wertheimer (Praga, 1880 – New Rochelle, 1943) è il maggiore esponente della Gestalt. Nei paragrafi seguenti delineeremo il suo lavoro sul movimento stroboscopico, che ha contribuito alla nascita della psicologia della forma, i suoi studi sulla percezione, che hanno tentato di descrivere in profondità questo processo cognitivo, e l’idea di pensiero produttivo, che ha stimolato notevolmente la psicopedagogia del XX secolo. 1.5.1 Le parti e il tutto I lavori di Wertheimer in campo psicologico iniziano nel 1910, quando all’Università di Francoforte si interessa del movimento stroboscopico con i suoi due assistenti Köhler e Koffka. L’evidenza sperimentale del movimento stroboscopico viene chiamata fenomeno Phi e viene presentata nell’articolo Experimental Studies on the Perception of Movement del 1912. Su di un muro scuro, Wetheimer proietta velocemente, una dopo l’altra, due luci identiche ad una distanza minima. Da un punto di vista strettamente sensoriale si avvertono due luci fisse che si susseguono temporalmente a breve distanza l’una dall’altra, ma in realtà ciò che viene percepito è un’unica luce in movimento. Si tratta, quindi, di un movimento stroboscopico o apparente. Questo tipo di movimento è alla base del funzionamento del cinematografo ed era conosciuto ben prima degli studi di Wertheimer; tuttavia, egli è stato il primo a darne una lettura in chiave psicologica e in termini di percezione. Dall’esperimento sul fenomeno Phi, Wertheimer deduce che la rappresentazione dell’immagine in movimento non sarebbe stata percepita se non vi fosse una naturale attitudine dell’essere umano ad elaborare il fenomeno nella sua totalità. Nel processo di percezione, la rappresentazione globale prevale sui singoli elementi costitutivi. È per tale motivo che osserviamo un’immagine in movimento (un fenomeno globale) piuttosto che due distinte immagini (una decomposizione nelle parti fondamentali da un punto di vista sensoriale). Ciò che conta è la forma, la rappresentazione complessiva; inoltre, risulta innaturale partire dall’analisi delle singole parti per poi pervenire ad una rappresentazione globale. Nel suo articolo del 1923, Laws of Organization in Perceptual Forms, Wertheimer afferma che, quando osserva un paesaggio, egli percepisce la sua totalità (cielo, case e alberi) e non la presenza di un numero N di colori che lo compongono. Se anche riuscisse ad elaborare un simile calcolo dei colori coinvolti, a questo punto, che senso avrebbe determinare i colori delle case, quelli degli alberi o del cielo? Avrebbe uguale senso creare delle figure arbitrarie nel paesaggio e determinare il numero di colori che le compongono. Con questo esempio, Wertheimer sottolinea come, partendo dai costituenti primari, si perda il senso della rappresentazione generale. Un discorso analogo si potrebbe fare con le note di una musica, composta da una melodia e da un Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) L’intuizione risolutiva, in questo caso, consiste nel vedere la forma totale assegnata (il quadro con la cornice) in un modo diverso rispetto all’impostazione usuale. Nel primo metodo risolutivo, i quattro pezzi della cornice assumono un significato particolare, nel secondo metodo assumono un significato particolare due elementi: l’intero quadro e la tela. I dati del problema sono stati riorganizzati cognitivamente, secondo una nuova forma o una nuova visione globale. Da questi esempi si deduce che il pensiero produttivo è dovuto ad una riorganizzazione originale delle parti e ad una visione diversa del problema, nella sua totalità. 1.6 Lo Human Information Processing 1.6.1 Caratteri generali Human Information Processing, in sigla HIP, si può tradurre in italiano come “Elaborazione dell’Informazione nell’Uomo”. Si tratta di una corrente psicologica che studia la mente umana e i processi che la riguardano, seguendo una stretta analogia con i computer. Per comprendere meglio questo approccio, è necessario introdurre alcuni concetti legati allo studio del computer, che vengono spesso ripresi dall’HIP e riadattati al contesto psicologico. Il computer o calcolatore è una macchina che elabora informazioni: riceve delle informazioni in ingresso (input), le elabora e produce nuove informazioni in uscita (output). Ad esempio, il computer può ricevere dei numeri, svolgere delle operazioni con essi e restituire in uscita i risultati delle stesse. A volte, queste informazioni possono essere organizzate in una sequenza di istruzioni da compiere, a cui ci si riferisce con il termine “programma”. La descrizione dei computer può essere fatta mediante due termini complementari, ossia hardware e software. Col primo s’intende la parte fisica del computer, i suoi circuiti, i dispositivi integrati in esso. In particolare, alcuni elementi dell’hardware essenziali per il funzionamento del computer sono la RAM (Random Access Memory, ovvero memoria ad accesso casuale) e la CPU (Central Processing Unit, ossia unità di elaborazione centrale, detta anche processore). Nella RAM sono contenute le informazioni che la CPU elabora mediante i programmi. Sono importanti anche le memorie di massa (hard disk, chiavi USB, supporti CD e DVD), nelle quali vengono memorizzati i programmi utilizzati da RAM e CPU e i dati prodotti dall’elaborazione. Il software è invece costituito dai programmi, che sono istruzioni codificate in un linguaggio comprensibile al calcolatore. Queste istruzioni possono essere organizzate in molti modi e permettono al calcolatore di svolgere numerosi compiti. I programmi sono salvati in maniera permanente sulle memorie di massa e vengono richiamati dalla RAM quando la CPU deve usarli per elaborare informazioni (Figura 1.5). Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) L’uomo può essere paragonato a un calcolatore che riceve informazioni provenienti dall’esterno (input), le elabora nella propria mente e, a sua volta, produce azioni che hanno un effetto sull’ambiente esterno (output). Queste informazioni possono essere organizzate in modo coerente e diventano programmi, ossia compiti (istruzioni) che l’uomo riesce a svolgere. Tali compiti sono di diversa difficoltà, alcuni sono basilari ed avvengono in modo quasi automatico (ad esempio, il respirare), altri sono più elaborati e vengono eseguiti in maniera consapevole (guidare un’automobile, scrivere, cucinare). Si noti che un programma, ossia un’istruzione che un uomo deve svolgere, può essere a sua volta suddivisa in istruzioni più semplici, fino a giungere a istruzioni elementari. Ad esempio, l’istruzione “guidare un’automobile” può essere suddivisa in “ruotare il volante”, “agire sui pedali”, “osservare la strada”. 1.6.2 Il modello multi-magazzino Nel 1968, Atkinson e Shiffrin pubblicano l’articolo Chapter: Human memory. A proposed system and its control processes. In questo lavoro viene presentato un modello di elaborazione dell’informazione nell’uomo che ha riscosso molto successo, ispirando la pubblicazione di numerosi altri lavori che lo hanno integrato e migliorato. Il modello viene anche detto multi-store model, ossia modello multi-magazzino, in quanto descrive il funzionamento della mente umana mediante un sistema di tre magazzini o memorie che scambiano informazioni. Le memorie del modello sono mostrate in Figura 1.6. Ciascuna di queste memorie ha tre aspetti che la contraddistinguono: la funzione che essa svolge nell’architettura complessiva del modello; la capacità, ossia la quantità di informazione che riesce a gestire contemporaneamente e ad archiviare; il tempo di trattenimento, ossia il lasso di tempo in cui la memoria riesce a trattenere in sé l’informazione. FIGURA 1.5 Lo scambio di informazioni tra RAM, CPU e memorie di massa Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) L a memoria sensoriale (MS) è a contatto con l’ambiente esterno e da esso riceve stimoli (si pensi, ad esempio, ad uno stimolo visivo). Lo stimolo viene conservato in questo registro per frazioni di secondo; una prima elaborazione nel registro sensoriale permette di selezionare solo alcune caratteristiche dello stimolo, che vengono riportate nella memoria a breve termine (MBT), detta anche memoria di lavoro (ML). Contemporaneamente, in questa memoria vengono richiamate anche le informazioni associate allo stimolo che sono presenti nella memoria a lungo termine, frutto di elaborazioni di esperienze passate. La memoria a breve termine conserva l’informazione per una ventina di secondi. In questa fase, vengono elaborate nuove informazioni, come sintesi di quelle sensoriali e di quelle pregresse e già presenti nella memoria a lungo termine. La memoria a breve termine ha anche una capacità limitata nel contenere le informazioni. Per questo, la sovrabbondanza di informazioni provenienti dagli stimoli esterni viene filtrata dal registro sensoriale. Il numero di informazioni elaborabili contemporaneamente nella MBT è inferiore alla decina (tipicamente 7); per informazioni s’intendono numeri, parole o immagini. Si noti l’analogia esistente tra la MBT e la RAM e la CPU del computer. Di seguito, avviene il trasferimento nella memoria a lungo termine, che si suppone dotata di capacità illimitata, in cui le informazioni e i programmi (procedure che si attuano in modo più o meno consapevole) possono essere contenuti per tempi molto lunghi (anche per una vita). Mostriamo adesso, con un esempio, come lavora il modello multi-magazzino. Ai nostri sensi giunge la visione di una moltiplicazione (possiamo vederla scritta su di un monitor, su di un foglio di carta o alla lavagna). In particolare i nostri occhi avvertono la presenza delle cifre e del simbolo di moltiplicazione: quello che viene selezionato e che giunge alla memoria a breve termine è la rappresentazione mentale delle cifre e del segno di moltiplicazione. In corrispondenza viene richiamato dalla memoria a lungo termine il programma che svolge le moltiplicazioni. Ora, il programma (proveniente dalla memoria a lungo termine) e i dati (provenienti dal registro sensoriale) sono entrambi nella memoria a breve termine. In essa i dati vengono elaborati con il programma e si perviene ad un risultato che può essere utile per un calcolo successivo e quindi può essere memorizzato nella memoria a lungo termine. Viceversa, se occorre scrivere tale risultato sul foglio o alla lavagna, allora viene FIGURA 1.6 Il modello multi-magazzino di Atkinson e Shiffrin Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) facendo, si riesce a sviluppare una strategia flessibile che può essere variata in caso di necessità; valutare il risultato. Svolto il compito, occorre chiedersi se si è ottenuto quello che si era programmato. Quest’analisi può mettere in evidenza punti di forza e criticità, al fine di attuare possibili miglioramenti nello svolgimento di futuri compiti analoghi. 1.7.2 La metacomprensione La prima fase dell’attività metacognitiva consiste nel comprendere la natura del compito da svolgere: a questa fase si riconduce la metacomprensione. Se la comprensione è indice dell’aver capito che cosa svolgere, la metacomprensione è un’attività che consiste nel valutare coscientemente il livello di comprensione del compito (con un’espressione insolita si direbbe il “capire di aver capito”). Ci si potrebbe trovare di fronte ad un compito che non è stato formulato in modo adeguato o che è stato mal posto. Ad esempio, i dati o le regole di partenza secondo le quali svolgere il compito potrebbero essere insufficienti e renderlo indeterminato. Un’attività di metacomprensione iniziale aiuta l’alunno a rendersi conto se ci sono incongruenze nel compito assegnato, se è necessario richiedere ulteriori informazioni. Nel 1977 Ellen M. Markman, nel suo articolo Realizing That You Don’t Understand: A Preliminary Investigation, ha messo in evidenza come i bambini in età prescolare o nei primi due anni della scuola primaria siano in grado di comprendere alcuni compiti da svolgere. Tuttavia, per gli stessi compiti, i bambini mostrano scarse abilità sul piano della metacomprensione: in pratica, essi sono in grado di capire il compito da svolgere, ma non ne mettono a fuoco i punti critici e le incongruenze, sebbene queste possano essere vistose. In particolare, nel suo esperimento, Markman propone ai bambini dalla prima alla terza classe due attività. La prima consiste nello svolgere un gioco, nel quale un mazzo di carte viene diviso tra il maestro e l’alunno: a turno, ognuno di loro deve scoprire una carta. Alla fine del gioco vince chi ha scoperto più carte speciali. La vistosa incongruenza è l’assenza di una definizione di carta speciale. La seconda attività è un trucco di magia, svolto con una tazza, un piatto, una moneta e un foglio di carta. Il piatto viene appoggiato sulla tazza, la moneta viene avvolta nella carta e la carta viene strofinata sul piatto. A questo punto si sente cadere la moneta nella tazza, quindi si mostra al bambino il foglio di carta vuoto e la tazza con la moneta. Al bambino viene mostrato parzialmente il trucco, facendo vedere come in realtà la moneta non sia realmente avvolta nella carta, ma venga nascosta in grembo: in tal modo si spiega perché la moneta non è più racchiusa nella carta. Questa volta, l’incongruenza consiste nel non aver spiegato al bambino come fa la moneta a finire nella tazza. Dopo ciascuna delle due spiegazioni incongruenti, ai bambini viene chiesto espressamente se hanno capito il gioco o il trucco magico. Dalle risposte date dai bambini si deduce che molti di essi iniziano il gioco o la spiegazione del trucco magico senza chiedersi quale sia la carta speciale o come finisca la moneta nella tazza. In pratica, tali bambini hanno capito quali sono le azioni da svolgere (girare le carte o avvolgere la moneta nella carta), ma non compiono alcuna attività metacognitiva prima del compito: non si chiedono, cioè, se siano in grado di giocare o di spiegare il trucco. Si nota che i bambini della terza classe, più degli altri, chiedono ulteriori spiegazioni alla maestra prima di iniziare, mostrando un approccio votato alla metacomprensione del compito. 1.7.3 La metamemoria Il passaggio successivo alla comprensione (e alla metacomprensione) del compito è la scelta di una strategia. Il vaglio delle strategie conosciute o la capacità di ricombinarle per formulare nuove strategie dà conto della possibilità di riuscire a svolgere il compito con successo. Supponiamo che un bambino sia posto di fronte a Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) un compito e che, in realtà, sia a conoscenza della strategia per risolverlo. Tuttavia, egli potrebbe non collegare tale strategia al compito assegnato, cioè potrebbe non comprendere che è con tale strategia che porta a termine il compito. In tal caso, il bambino potrebbe ammettere di non essere in grado di svolgere il compito. In alternativa, potrebbe tralasciare la strategia corretta e scegliere una strategia non adeguata, che porta ad una soluzione errata. Il filone di studio della metacognizione, che ha affrontato maggiormente l’aspetto della scelta della strategia, è quello dello studio della metamemoria, ossia la capacità di conoscere la memoria. In questi studi si tiene conto del fatto che nello svolgimento di un compito, nell’attuazione di una strategia, tra le varie abilità, occorre fare uso anche della memoria, ossia richiamare dati che sono memorizzati prima del compito oppure che vengono memorizzati durante lo stesso. Se un individuo non è in grado di valutare quanto e come userà la propria memoria in un compito, allora è presumibile che imposterà una strategia (almeno sul piano mnemonico) piuttosto fallimentare. Flavell individua due componenti principali della metamemoria. La prima si rinviene già nei bambini di tre anni ed è la capacità di discernere tra quei compiti che richiedono l’uso della memoria in modo consapevole e gli altri che non lo richiedono. Per esempio, vi possono essere compiti che richiedono uno sforzo pianificato per recuperare informazioni dalla memoria; pertanto, un bambino deve essere in grado di organizzare la sua attività di memorizzazione durante il compito, con la finalità di richiamare le informazioni memorizzate al momento opportuno. La seconda componente di metamemoria è costituita dalla conoscenza dei fattori che facilitano o ostacolano il compito di memorizzazione: tra questi, in particolare, troviamo le caratteristiche della persona, del materiale e del compito. Il fattore relativo alle caratteristiche della persona è legato sia a caratteristiche della memoria di lavoro che sono comuni ad ogni individuo (si rammenti che la memoria di lavoro ha una capacità limitata), sia a caratteristiche specifiche di ogni essere umano (c’è chi può ricordare meglio immagini o sequenze, chi ricorda meglio suoni, parole o rumori). Questo fattore indica il livello di consapevolezza della capacità della propria memoria e delle proprie attitudini nell’uso della stessa (memoria visiva, uditiva). Tale consapevolezza si esibisce gradualmente nei bambini. Ad esempio, Flavell ha condotto un esperimento nel quale chiede a bambini di età diversa quante immagini sono in grado di ricordare in sequenza, secondo una loro valutazione. Questo numero viene indicato con np, ossia il numero di immagini che il bambino prevede di ricordare. Dopo tale previsione, vengono mostrate ai bambini delle immagini di oggetti in sequenza e poi viene chiesto loro di ripetere i nomi degli oggetti visti nelle immagini. Il numero di oggetti ricordati viene indicato con nr. Si notano due elementi: con il crescere dell’età cresce il valore di nr, ossia l’uso della memoria si potenzia e il bambino ricorda sempre più immagini; con il crescere dell’età diminuisce la differenza np - nr, ossia np tende a coincidere con nr. Il bambino fa una previsione np che è sempre più vicina alla sua capacità reale nr. In pratica, man mano che avanza l’età, cresce anche l’uso della metamemoria, ossia della conoscenza della propria memoria (delle sue potenzialità). Quanto al fattore riguardante le caratteristiche del materiale da ricordare e del compito da svolgere, osserviamo che il ricordo di un elenco di parole sconnesse piuttosto che quello di un racconto richiedono difficoltà diverse. Analogamente, è più semplice ricordare coppie di parole che hanno un legame, anziché coppie di parole che non possono associarsi tra loro. Questi livelli di consapevolezza, che possono sembrare banali per un adulto, in realtà vengono maturati da un bambino gradualmente. Ad esempio, solo verso i 9 anni si è in grado Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) di realizzare che coppie di parole correlate si memorizzano meglio di coppie di parole non correlate. 1.7.4 L’esecuzione del compito Durante l’esecuzione di un compito, le principali attività metacognitive possono essere legate al monitoraggio, al controllo e alla regolazione dello stesso: questi tre aspetti presentano alcune differenze. Monitorare un compito significa chiedersi a che punto del compito si è rispetto alla conclusione dello stesso. Il monitoraggio è inteso soprattutto come strumento utile per considerare i tempi rimanenti alla conclusione dell’attività. Il monitoraggio di un processo sottintende ovviamente che prima del suo svilupparsi siano stati stabiliti dei tempi e dei passaggi del processo stesso (ossia che questo sia stato definito in tutto il suo sviluppo). In precedenza, si è detto che una valutazione dei tempi di svolgimento è una valida attività metacognitiva. Controllare un compito vuol dire chiedersi perché si è a quel punto del compito e non ad un altro punto precedente o successivo. Si tratta di un’analisi nel merito di ritardi o anticipi sull’esecuzione del compito stesso. Regolare un compito significa modificare i passaggi nei quali si articola il compito, intervenendo su di esso in modo che il suo sviluppo prenda un percorso diverso in termini di tempi, attività svolte e risorse utilizzate. Ovviamente le tre fasi (monitoraggio, controllo e regolazione) si susseguono e possono essere svolte anche nello stadio conclusivo, per stabilire se il tempo totale destinato al compito sia stato rispettato, se il compito sia stato svolto correttamente e se per futuri svolgimenti si prevedono modifiche alla strategia. 1.8 Il costruttivismo 1.8.1 Caratteri generali Il costruttivismo è considerato il punto di arrivo delle precedenti teorie dell’apprendimento, come il comportamentismo e il cognitivismo. Esso ipotizza una serie di strutture psichiche che permettono di costruire un modo personale di interpretare la realtà. Ciascun individuo, mediante la propria visione personale della realtà, riesce a decodificarla e a darle un senso, apprendendo, quindi, dall’interazione con l’ambiente. Quest’ultima avviene mediante uno scambio continuo di informazioni che permettono all’individuo di ordinare la realtà nella maniera che gli sembra più funzionale. Ovviamente, ciascun soggetto ha un suo modo di interpretare la realtà: non ha senso chiedersi quale sia il modo che permette di avvicinarsi maggiormente alla descrizione oggettiva della stessa. Ciò che conta è quanto possa essere utile all’individuo la sua descrizione specifica della realtà. 1.8.2 I costruttivismi Piaget, Vygotskij e Bruner sono considerati i padri e i precursori del costruttivismo, in quanto hanno messo in evidenza l’adattamento dell’individuo all’ambiente come forma di conoscenza. A questi studiosi, si aggiungono altri psicologi che hanno maturato declinazioni differenti del costruttivismo. Proprio per indicare questo fenomeno, diversi studiosi usano il termine plurale di costruttivismi, operando una classificazione delle teorie costruttiviste2. In particolare, Chiari e Nuzzo (1996) ritengono che questo movimento costituisca un ponte tra le due correnti filosofiche del realismo e del nominalismo. Il realismo afferma che gli oggetti materiali esistono come realtà esterna a noi e indipendentemente dalla nostra esperienza; inoltre, si può ambire a conoscere tale realtà, in modo più o meno completo e approfondito. Il nominalismo stabilisce che non esiste una realtà esterna e Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) 1.9 George A. Kelly Lo psicologo americano George Alexander Kelly (Perth, 1905 - Kansas, 1967) è considerato uno dei padri del costruttivismo. Nell’opera The psychology of personal constructs (1955), egli presenta la sua psicologia dei costrutti personali, nella quale afferma che la conoscenza non può essere costruita come qualcosa di oggettivo, ma è una rappresentazione della realtà che ogni individuo realizza in modo personale e soggettivo. 1.9.1 L’uomo-scienziato e l’alternativismo costruttivo Le considerazioni di Kelly partono dall’osservazione che l’uomo ha spesso un atteggiamento da scienziato (pur non essendo uno scienziato nel senso letterale del termine). Le persone formulano ipotesi di lavoro sulla realtà circostante e tentano di convalidare o confutare tali ipotesi. Ciascun uomo è disposto a rivedere le proprie convinzioni sulla realtà circostante, costruendo delle visioni alternative. Ancor più, egli può sentire il bisogno di confrontare la propria costruzione della realtà con costruzioni alternative fatte da altri individui. Kelly ritiene che tutte le descrizioni formulate dagli uomini circa l’universo e la realtà circostante siano soggette alla revisione o alla progressiva sostituzione. Nel considerare una descrizione della realtà, ciascun uomo deve essere consapevole che possa esistere una descrizione alternativa: questa posizione è chiamata alternativismo costruttivo. Da un punto di vista filosofico, l’alternativismo costruttivo di Kelly si inserisce nella ben consolidata dialettica esistente tra realismo e nominalismo. Nel realismo si suppone che esista una realtà oggettiva, a prescindere dalle modalità che si adottano per osservarla o definirla. Partendo da tale presupposto, si ipotizza che sia possibile tentare di scoprire questa realtà. Ad esempio, un realista suppone che esista un qualcosa di definibile come intelligenza e che spetti agli studiosi il modo di definirlo nonché di scoprirne le caratteristiche oggettive. Il nominalismo rifugge qualsiasi definizione oggettiva di realtà. Ciò che esiste è solo una definizione soggettiva della stessa, stilata in base alle convinzioni e alle esperienze di ciascun soggetto. Ogni singolo individuo definisce una propria visione della realtà, che ha il vantaggio di essere conveniente e utile per il soggetto stesso. In questo senso, non esiste un concetto assoluto di intelligenza, tuttavia ciascun soggetto trova utile definire alcuni fenomeni e comportamenti come intelligenti, in base a degli schemi operativi che egli adotta per comodità: la posizione di Kelly tende decisamente verso il nominalismo. Il lavoro quotidiano dell’uomo-scienziato mira a realizzare costruzioni del mondo circostante, al fine di anticipare eventi e fenomeni che in esso si verificano. Ciascun individuo può mettere a confronto le proprie costruzioni con quelle di altri individui, che possono essere ugualmente utili per predire fenomeni e comportamenti. Ovviamente, non tutte le costruzioni hanno la medesima validità predittiva: vi sono costruzioni che hanno vasti ambiti di applicazione e altre che sono più limitate nella loro applicabilità. 1.9.2 Postulato e corollari della psicologia dei costrutti personali La psicologia dei costrutti personali di Kelly è fondata su un postulato dal quale derivano undici corollari. I l postulato fondamentale afferma che i processi di una persona sono canalizzati da un punto di vista psicologico dalle modalità con le quali la persona anticipa gli eventi. Pertanto, il comportamento di un soggetto, che ha una sua radice psicologica, può essere interpretato sulla base della modalità con la quale tale soggetto anticipa o prevede ciò che può avvenire. In altre parole, un individuo si comporta in base a ciò che si aspetta che accada o che ha in progetto di far avverare. Le modalità con le quali un individuo formula le sue anticipazioni Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) (previsioni) sono i costrutti, espressione con cui Kelly intende le interpretazioni che diamo agli eventi oppure i termini con i quali decidiamo di ricercare la replicabilità tra gli stessi. Il costrutto è l’unità fondamentale con la quale l’uomo realizza le sue costruzioni, la sua visione del mondo, la sua anticipazione della realtà, la sua capacità di formulare ipotesi su ciò che può accadere. Il corollario della costruzione afferma che una persona anticipa gli eventi costruendo delle loro repliche. In altre parole, l’interpretazione che diamo agli eventi passati rende possibile anticipare l’esito di eventi futuri. Negli eventi che abbiamo vissuto riconosciamo delle regolarità con le quali anticipiamo le repliche degli stessi: in tal modo possiamo prevedere con un certo margine di sicurezza un possibile esito di una certa situazione. È chiaro che gli eventi non si ripetono mai in modo completamente simile ai precedenti, tuttavia la ricerca di alcune regolarità in essi ci permette di individuare un certo ordine nel mondo circostante. Tale ordine è comunque imposto dalla nostra visione. Ad esempio, se in passato abbiamo avuto un’esperienza con un cavallo imbizzarrito per qualche motivo, nel ritrovare un cavallo in un evento attuale, saremo portati a pensare che sia possibile un suo imbizzarrirsi a determinate condizioni. Il corollario dell’individualità stabilisce che le interpretazioni che le persone danno degli eventi differiscono tra loro. Tale corollario rende ragione dell’aggettivo personali che viene attribuito ai costrutti nella visione psicologica di Kelly. Di conseguenza, ciascun individuo agisce in modo coerente con la sua idea e la sua percezione di universo circostante. Il corollario dell’organizzazione stabilisce che i costrutti sono organizzati in sistemi di relazioni gerarchiche. Un costrutto può implicarne un altro, oppure può includere un altro costrutto come suo elemento. Ad esempio, è possibile considerare il costrutto buono-cattivo come sovraordinato al costrutto intelligente-stupido, se, nell’organizzazione del sistema di costrutti dell’individuo in questione, l’essere intelligente implica l’essere buono e l’essere stupido implica l’essere cattivo. In altre parole, l’insieme delle cose buone include quello delle cose intelligenti, oppure le cose intelligenti sono una parte di quelle buone. Inoltre, si può avere che i costrutti buono- cattivo e intelligente-stupido siano entrambi riconducibili ad uno dei poli del costrutto valutativooggettivo. Questo costrutto mette a confronto le cose che tipicamente sono soggette a valutazione personale con quelle che sono qualificabili in modo oggettivo. In tal caso, sia buono-cattivo, sia intelligente-stupido sono costrutti che si collocano nel polo valutativo del costrutto valutativo-oggettivo. Il costrutto cromatico-acromatico si colloca invece nel polo oggettivo. Il corollario di dicotomia asserisce che il sistema di costruzioni personali di un individuo è costituito da un numero finito di costrutti dicotomici. Per tale corollario il pensiero è essenzialmente dicotomico. Abbiamo presentato poco prima l’esempio del costrutto buono-cattivo. Secondo Kelly, per determinare un costrutto occorre un minimo di tre elementi. Tra due elementi si deve stabilire una similarità, per definire uno dei poli del costrutto; il terzo elemento serve, invece, a creare il contrasto con i due precedenti e a individuare l’altro polo del costrutto. Difatti, il livello di similarità dei primi due può essere stabilito solo se si individua un terzo elemento completamente diverso da essi. Ad esempio, due superfici lisce mostreranno tra loro un’analogia, soprattutto in contrapposizione ad una terza superficie che appare ruvida, al fine di creare il costrutto liscio-ruvido. I l corollario della scelta afferma che una persona sceglie per se stessa in un costrutto dicotomico quella delle due alternative che anticipa la maggiore possibilità di elaborazione del suo sistema. Ad esempio, quando un individuo deve costruire un evento in un modo anziché in un altro, egli sceglie la costruzione che gli permette di allargare maggiormente la sua comprensione dell’universo. Il corollario dell’esperienza asserisce che il sistema di costrutti di un individuo varia in base alle successive costruzioni di repliche di eventi. Abbiamo detto che le repliche degli eventi si costruiscono in base alle regolarità Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) osservate in precedenza negli eventi trascorsi. Quando un individuo osserva il passaggio degli eventi, applica ad essi alcune strutture al fine di anticipare la loro replica, ossia al fine di verificare che, in qualche modo, tali eventi si possano replicare secondo quanto già avvenuto in precedenza. Lo stesso fluire degli eventi funge da prova del verificarsi delle anticipazioni. Se tali anticipazioni non trovano riscontro nell’esperienza, allora il sistema di costruzione subisce cambiamenti progressivi. In questo modo l’individuo ricostruisce continuamente e sviluppa ulteriormente il suo sistema di costruzioni. I l corollario della modulazione stabilisce che esistono condizioni mediante le quali possiamo aspettarci cambi nel sistema dei costrutti. In altre parole, ciascun individuo ha una modalità attraverso cui cambia il suo sistema di costrutti. In particolare, il sistema si modifica se, ad esempio, alcuni costrutti maturano un grado di permeabilità tale da assorbire altri costrutti. Si supponga che un adolescente stia valutando di nuovo il modo di confrontarsi con i suoi genitori. Fino ad ora egli si è posto in un atteggiamento a volte remissivo e a volte ribelle, in base al costrutto rispetto-disprezzo. Nel cambiare atteggiamento, deve modificare questo costrutto in termini di altri costrutti. Ad esempio, può usare il costrutto maturità-immaturità applicato nei propri confronti per valutare diversamente la propria maturità, allo scopo di comportarsi in modo nuovo verso i genitori. In tal caso il costrutto rispetto-disprezzo si mostra permeabile nei confronti del costrutto maturità-immaturità. 1.10 Ernst von Glasersfeld Il filosofo tedesco Ernst von Glasersfeld (Monaco di Baviera, 1917 - Leverett, 2010) ha aderito alla corrente filosofica e psicologica del costruttivismo, dando un proprio contributo personale. Von Glasersfeld definisce il suo approccio al costruttivismo come radicale. Per spiegare tale approccio, nei paragrafi successivi ci riferiremo soprattutto all’articolo An Exposition of Constructivism: Why Some Like It Radical (1989) e al volume Radical Constructivism: A Way of Knowing and Learning (1995). 1.10.1 L’interpretazione del pensiero di Piaget Per elaborare la teoria del costruttivismo radicale, von Glasersfeld parte dall’epistemologia genetica di Piaget che descrive l’evoluzione cognitiva attraverso il passaggio a stadi, nei quali il soggetto entra in equilibrio con l’ambiente circostante. Questo equilibrio è caratterizzato da schemi che l’uomo adotta per interagire con l’ambiente e che rappresentano la sua forma di organizzazione della conoscenza. Tali schemi, che con l’evoluzione cognitiva diventano vere e proprie strutture cognitive, sono costruiti mediante l’assimilazione e l’accomodamento. Von Glasersfeld propone una rilettura in termini costruttivisti di questi due processi introdotti da Piaget3. L’assimilazione è costruttivista nel senso che raccoglie informazioni dall’esterno per poi adattarle all’attuale sistema di comprensione dell’individuo, generato dall’esperienza. Quest’ultima viene collocata nelle strutture concettuali e senso-motorie del soggetto. Da un punto di vista costruttivistico, l’assimilazione può essere ricondotta a tre processi consequenziali: il riconoscimento di una particolare situazione o circostanza; l’agire in base a come viene riconosciuta la situazione; la conferma che l’azione intrapresa conduca al risultato atteso. Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) livelli sempre più alti. È in queste successive elaborazioni che emergono gli aspetti qualitativi: in esse, infatti, le onde elettromagnetiche, fino a quel punto descritte solo in termini quantitativi con frequenze numeriche, sono percepite come forme, come luci più o meno intense, caratterizzate da specifici colori. Considerando che le sensazioni iniziali vengono computate ricorsivamente, piuttosto che percepire una realtà, percepiamo una computazione di una descrizione fatta su un certo livello neurale che, a sua volta, è il risultato di una computazione di una descrizione fatta sul livello neurale precedente che, a sua volta, è di nuovo il risultato di una computazione di una descrizione fatta su un livello neurale precedente e così via. Quindi, si può affermare che cognizione vuol dire computare descrizioni di descrizioni di descrizioni di … In questa nuova definizione scompare il termine realtà per il quale non è stata data alcuna definizione precisa. Ora l’attenzione è posta semplicemente su come l’osservatore elabora ciò che gli perviene dall’ambiente circostante. Tuttavia, siccome abbiamo asserito che una descrizione non è altro che una computazione (elaborazione), allora possiamo affermare che cognizione vuol dire computazioni di computazioni di computazioni … Pertanto, il processo cognitivo non è la descrizione di una realtà esterna che esiste in modo indipendente dall’osservatore, ma è un ciclo ricorsivo di computazioni (cioè di elaborazioni successive delle sensazioni iniziali) che sono opera dell’osservatore. In tal modo emerge la visione costruttivista di von Foerster. 2.1 Jean Piaget Piaget (Neuchâtel, 1896 - Ginevra, 1980) è considerato uno dei maggiori psicopedagogisti del XX secolo ed è tuttora un riferimento essenziale per chi studia lo sviluppo cognitivo del bambino. Sebbene collocato nell’ambito del cognitivismo, Piaget è anche un lucido precursore di successive teorie dell’apprendimento, in particolare del costruttivismo. La sua teoria dello sviluppo cognitivo attraverso stadi successivi viene delineata inizialmente in una serie di opere pubblicate tra gli anni ’20 e ’30 del XX secolo. Tuttavia, essa viene riassunta in modo organico nelle due opere Lo sviluppo mentale del bambino (1964) e La psicologia del bambino (1966), scritta quest’ultima con l’assistente Barbel Inhelder. Questa teoria verrà ripresa successivamente ne L’epistemologia genetica (1970). 2.1.1 L’epistemologia genetica Il punto di partenza dell’approccio teorico di Piaget è il pensiero di Kant circa la conoscenza delle cose. Per il filosofo illuminista noi conosciamo le cose solo attraverso delle categorie, che oggi potremmo paragonare a schemi o strutture adoperate dalla nostra mente vi è dunque una continua interazione tra il mondo circostante e la mente umana: la conoscenza del mondo è influenzata dalla struttura stessa della mente. Gli empiristi, come Locke e Hume, considerano l’esperienza come unica fonte di conoscenza e rifiutano qualsiasi forma di innatismo, ossia non ritengono che la mente umana abbia forme di conoscenza che precedono l’esperienza. Kant distingue il suo pensiero dagli empiristi, affermando che i dati provenienti dall’esperienza sono organizzati dalla mente secondo delle categorie. Pertanto, la conoscenza del mondo esterno è una rappresentazione che noi facciamo Psicologia dello sviluppo Capitolo 2 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) mediante queste categorie mentali: esse sono innate nell’uomo e consistono in modi di pensare e modalità di funzionamento dell’intelletto puramente formali. Esempi di categorie sono la quantità, la causa, la classificazione. Esse vanno contestualizzate nell’esperienza, altrimenti restano puri ragionamenti formali e concetti totalmente astratti. Kant ritiene inoltre che le categorie siano immutabili, fisse, prive di alcuna evoluzione nel corso della vita degli individui. Pur partendo dal concetto di categoria di Kant, Piaget se ne distacca asserendo che questi schemi di funzionamento mentale non sono immutabili, ma evolvono in ciascun soggetto. Ciò viene dimostrato dagli stessi sviluppi che hanno avuto, ad esempio, le discipline scientifiche dal punto di vista delle loro idee fondanti, che, dall’epoca di Kant fino al XX secolo hanno subito radicali trasformazioni. Altro aspetto importante è che la conoscenza può essere vista come una continua interazione tra ambiente e organismo. L’ambiente influenza in modo determinante gli organismi che vivono in esso; tuttavia, l’organismo a sua volta modifica l’ambiente circostante e agisce su di esso. Tra ambiente e organismo sussiste una dinamica di influenza reciproca, simile a quella che esiste tra mente ed esperienza. Pertanto, Piaget afferma che vi sono relazioni molto strette tra biologia (vita biologica) e teoria della conoscenza. Questi concetti sono alla base della teoria dell’epistemologia genetica di Piaget, che studia come si origina la conoscenza e come si evolve attraverso varie tappe. I due termini riassumono le caratteristiche stesse della teoria: l’epistemologia è lo studio della conoscenza e delle modalità con cui essa si realizza; l’aggettivo “genetica” indica che tale conoscenza si evolve nel tempo, con la vita biologica, partendo da livelli semplici e basilari, fino a raggiungere schemi più complessi. 2.1.2 La costruzione della conoscenza Il concetto di interazione tra organismo (il soggetto) e ambiente è il punto di partenza della teoria di Piaget. Questa interazione viene anche detta da Piaget trasformazione, con la quale il pedagogista intende quel processo che porta il soggetto ad una conoscenza, purché questi agisca sull’ambiente in maniera attiva. Pertanto, si introduce un nuovo concetto fondante, che è quello di azione. L’azione può essere di due tipi: reale, cioè dotata di una vera e propria realtà fisica: il manipolare un oggetto, il tirarlo a sé, il lanciarlo, il succhiarlo sono azioni reali compiute da un bambino. Attraverso di esse il bambino agisce sull’ambiente e delinea una propria conoscenza; interiorizzata, cioè un’azione mentale, nel senso che non è prodotta dal corpo, ma dalla mente, e di conseguenza agisce non sugli oggetti, ma sulle loro rappresentazioni. Anche questo tipo di azione, sebbene sia di natura intellettuale, si esplica sull’ambiente esterno, producendo, quindi, una conoscenza. Un esempio di azione interiorizzata può essere il catalogare oggetti in quanto appartenenti allo stesso ambiente, oppure perché aventi una medesima caratteristica. Le azioni si devono leggere sia sotto il profilo cognitivo, ossia di accesso alla conoscenza, sia sotto il profilo affettivo, ossia di volontà di relazionarsi agli altri, per cui possono avere una doppia dimensione, individuale e sociale. In sintesi, la conoscenza viene costruita dal soggetto: essa costituisce una rappresentazione della realtà fatta dal soggetto, è frutto di un’azione che il soggetto compie in prima persona. Questo approccio aprirà, in seguito, la strada alle teorie costruttiviste dell’apprendimento, di cui Piaget è considerato un precursore. 2.1.3 Gli invarianti funzionali Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) Osservando il comportamento del bambino durante le fasi della sua evoluzione, si nota come le azioni (fisiche o mentali) da lui compiute siano profondamente diverse. Tuttavia, occorre stabilire se tali azioni si possano inquadrare in dinamiche particolari, che possono ripetersi durante le fasi evolutive. A tal proposito, Piaget asserisce che esistono degli invarianti funzionali che governano tutte le azioni degli individui e che non mutano le loro caratteristiche di funzionamento durante lo sviluppo della persona. Un primo invariante funzionale è il principio di organizzazione. L’organismo fisico tende a crescere (evolversi) in modo che le sue strutture siano in armonia coerente tra loro. Lo sviluppo del sistema circolatorio, nervoso e muscolare si armonizza nelle varie fasi della crescita; si può dire che questi sistemi siano delle strutture che hanno nel loro complesso una coerenza di insieme. Analogamente, nel pensiero si sviluppano delle strutture che si organizzano in modo coerente (principio di organizzazione). L’organizzazione di queste strutture tende a migliorarsi con il tempo: per strutture si devono intendere sia delle modalità di azione sia delle modalità di pensiero che conducono alla conoscenza. Un secondo invariante funzionale è il principio di adattamento, la cui elaborazione risente delle influenze provenienti dal funzionalismo e da Claparède. Il soggetto è in continuo adattamento con l’ambiente esterno che può determinare l’insorgere di un bisogno di natura fisica, come il mangiare o il dormire, o intellettiva, come quello di conoscere. Il bisogno determina un’azione, un comportamento, che incide sull’ambiente esterno, ma che, allo stesso tempo, è stato determinato dall’ambiente. Questo scambio continuo tra soggetto e ambiente esterno causa una variazione delle strutture del pensiero. Pertanto, se l’organizzazione tende a determinare la creazione delle strutture, l’adattamento, invece, comporta una modifica delle strutture stesse. L’adattamento avviene mediante due processi che sono in equilibrio: l’assimilazione, che si ha quando le nuove conoscenze o esperienze vengono assimilate, inglobate nelle strutture stesse. In pratica, si tratta di quella conoscenza che può essere inquadrata in modo coerente nelle strutture preesistenti; l’accomodamento, che si ha quando le nuove conoscenze non possono essere inquadrate in modo coerente nelle strutture esistenti. Per tale motivo è necessario adeguare le strutture alle nuove esperienze o alle nuove conoscenze. L’assimilazione e l’accomodamento sono due processi complementari, ciascuno dei quali sostiene e implementa la conoscenza: di volta in volta, uno dei due può tendere a prevalere, tuttavia l’altro non viene mai completamente annullato. L’equilibro tra i due processi dà luogo all’adattamento, che per Piaget è sinonimo di intelligenza o di comportamento intelligente. L’intelligenza costituisce quindi la capacità di adattarsi all’ambiente, di entrare in equilibrio con esso e di determinare la sopravvivenza stessa dell’individuo e della specie. 2.1.4 Le strutture variabili Agli invarianti funzionali si contrappongono le strutture variabili, che sono tali proprio perché modificate progressivamente dai primi: lo sviluppo mentale del bambino è descritto proprio in termini delle variazioni che subiscono tali strutture. Esse sono quindi delle modalità o dei meccanismi di pensiero, degli schemi secondo i quali il soggetto approccia e determina la conoscenza. Piaget definisce le strutture caratteristiche delle prime fasi evolutive con il termine di schemi. Le prime strutture cognitive del neonato sono chiamate schemi d’azione e coinvolgono in prevalenza la sensazione, la percezione e la motricità: ad esempio, i primi schemi d’azione sono i riflessi, come il riflesso di suzione o di prensione. Questi schemi d’azione basilari si possono combinare tra loro in strutture più complesse e successivamente si trasformano in schemi mentali, i quali, a loro volta, si Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) bambino concepisce l’esistenza di un oggetto solo se esso è visibile e se viene percepito. Se quell’oggetto scompare dal suo campo di azione, allora esso non esiste più e il bambino non tende a cercarlo. Il concetto di permanenza dell’oggetto fa sì che il bambino inizi a considerare gli oggetti come permanenti, ossia esistenti anche se scompaiono dal suo campo di azione. In particolare, fino a 8 mesi, il bambino rinuncia a cercare un oggetto nascosto; a 11 mesi cerca l’oggetto nel luogo dove lo ha visto nascondere; se però subito dopo l’oggetto viene nascosto in un altro posto mentre il bambino osserva, egli continua a cercarlo dove lo ha visto nascondere la prima volta. Dal punto di vista del linguaggio, il bambino inizia a pronunciare sequenze di sillabe, come nanana o papapa, che non devono essere scambiate per parole. Il quinto sotto-stadio va dai 12 ai 18 mesi ed è caratterizzato dalle reazioni circolari terziarie. Il bambino modifica gradualmente le azioni che ha imparato a svolgere (e che hanno delle finalità) per osservare l’effetto generato dalle modifiche. Per esempio, piuttosto che raggiungere un giocattolo, lo avvicina con la cordicella a cui è legato e lo afferra. Lo studio delle proprietà degli oggetti avviene non solo afferrandoli e avvertendo l’effetto che suscitano al tatto, ma anche lasciandoli cadere a terra, per sentire il rumore che emettono o per osservarne le traiettorie di caduta. Il bambino si dedica ad una sorta di sperimentazione che lo porta a fare nuove associazioni percettive che generano a loro volta nuovi schemi. Dopo i 12 mesi, continua ad evolversi il concetto di permanenza di un oggetto: ora, se un oggetto viene spostato in più posti, in modo visibile, il bambino lo ricercherà nel posto giusto, ossia l’ultimo in cui è stato nascosto. In questa fase si sviluppa il linguaggio olofrastico: in pratica, vengono pronunciate le prime parole che, però, hanno il significato di un’intera frase. Ad esempio, pronunciare la parola pappa significa dire voglio la pappa. Spesso le parole si coordinano e sono accompagnate da un movimento: si pronuncia mamma e si indica la mamma, oppure si dice ciao e si muove la mano. I l sesto sotto-stadio va dai 18 ai 24 mesi. In questo periodo emerge la funzione simbolica, che si svilupperà decisamente nei periodi successivi. Essa permette di evocare, servendosi di simboli, oggetti, azioni o contesti che al momento non sono percepiti e consente di realizzare rappresentazioni mentali, che sono immagini di oggetti o di azioni che il bambino crea mentalmente. La creazione di tali rappresentazioni ha le seguenti implicazioni: l’interiorizzazione delle azioni, espressione con cui Piaget intende la capacità del bambino di eseguire un’azione solo mentalmente (la rappresentazione mentale). Questa capacità nasce dall’aver sperimentato numerose esecuzioni reali dell’azione: per tale motivo, il bambino padroneggia in pieno l’azione. Mediante l’interiorizzazione, egli può prefigurarsi il risultato o l’effetto che conseguirà svolgendo l’azione e non ha bisogno di eseguirla realmente per operare una verifica. Piaget descrive il comportamento della figlia di 18 mesi. La bambina stringe un oggetto in entrambe le mani e vuole aprire una porta, tirando la maniglia. Dapprima, inizia a stendere una delle mani verso la maniglia, ma prima di raggiungerla si prefigura il risultato inconsistente della sua azione e quindi non la svolge. Pertanto, la bambina ritrae la mano e posa a terra l’oggetto, al fine di aprire la porta; il bambino realizza delle rappresentazioni mentali degli oggetti che sono costituite da un’immagine simbolica degli stessi e sono ricavate dalla continua esperienza avuta con essi in precedenza, visto che sono stati già manipolati. La suddetta capacità di rappresentazione porta a compimento il concetto d i permanenza dell’oggetto. Ora il bambino opera una ricerca dell’oggetto, anche se non ha visto dove è stato nascosto, perché non ne ha potuto seguire visivamente gli spostamenti. Egli sa che tale oggetto sussiste nella vita reale; un altro aspetto importante è lo sviluppo del linguaggio che viene fortemente influenzato dalla Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) funzione simbolica. Fino a questo momento, il linguaggio era usato per manifestare un bisogno attuale, per descrivere un’azione in corso di svolgimento o per indicare un oggetto presente. Lo sviluppo della rappresentazione mentale di azioni o oggetti permette al bambino di creare brevi frasi con cui riferirsi ad azioni passate o fittizie, immaginate. Inoltre, egli si riferisce anche ad oggetti non presenti, di cui ha acquisito delle immagini mentali. Il linguaggio viene utilizzato in modo referenziale, ossia per riferirsi a cose non presenti o visibili: la sua funzione, quindi, non si limita a descrivere cose presenti, che si possono vedere e toccare. Questo aspetto amplifica molto lo sviluppo del linguaggio stesso, in quanto moltiplica le circostanze in cui usarlo. La rappresentazione mentale di azioni osservate in passato permette l’affiorare di due particolari attività: la ripetizione in differita di azioni che il bambino ha visto compiere agli adulti o ad altri bambini, come ad esempio lamentarsi e fare i capricci (cosa che fanno tutti i suoi coetanei). Questa ripetizione è possibile solo se si ha una rappresentazione mentale; il gioco di finzione. Quando, ad esempio, il bambino canta la ninna nanna a una bambola, è perché lo ha visto fare ai genitori, così come quando finge di mangiare o di bere da piatti e bicchieri giocattolo: sta imitando delle azioni che ha visto compiere agli adulti. Il gioco di finzione è un particolare tipo di ripetizione in differita di un’azione. La funzione simbolica viene spesso chiamata anche funzione semiotica, in quanto delinea in modo evidente la distinzione tra significato e significante. Il significante è l’oggetto o il simbolo mediante il quale si vuole rappresentare una cosa o un’azione; queste ultime, invece, rappresentano il significato. Ad esempio: il linguaggio è costituito da significanti (le parole) che hanno dei significati (si riferiscono a oggetti o azioni); le immagini mentali sono dei significanti (cioè delle rappresentazioni) che si riferiscono ad oggetti reali (i loro significati); la bambola è un significante che rappresenta il bambino vero e proprio (il significato). 2.1.7 Lo stadio preoperatorio Lo stadio preoperatorio va dai 2 ai 7 anni e si suddivide in due sotto-stadi o fasi, che evidenziano strutture mentali sempre più complesse. Tuttavia, questo stadio si caratterizza principalmente per compiti o operazioni che il bambino non riesce ancora a svolgere con successo. Difatti, egli non è approdato ancora ad un tipo di ragionamento che coinvolga operazioni logiche (da cui il termine preoperatorio). Il primo sotto-stadio è costituito dalla fase preconcettuale o del pensiero simbolico e va dai 2 ai 4 anni. In essa si afferma definitivamente la funzione simbolica che consente uno sviluppo notevole del linguaggio. Il bambino compie giochi di finzione sempre più complessi o riproduce azioni che ha visto fare, in modo via via più completo. Tuttavia, in questa fase il pensiero del bambino ha ancora dei limiti evidenti, infatti presenta dei preconcetti, da cui il nome del sotto-stadio. Ad esempio, con il concetto di “lumaca” si indica un’intera classe di esseri viventi che sono, appunto, le lumache. Questo concetto si sostanzia poi nelle lumache che possiamo osservare e toccare concretamente nella realtà, se capita l’occasione. Nel preconcetto questa distinzione tra concetto generale ed evento singolare, individuale, non è ancora ben delineata. Piaget, infatti, osserva che sua figlia, nel vedere una lumaca, dice “la lumaca”: nell’esprimersi la bambina utilizza l’articolo determinativo e non quello Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) indeterminativo, infatti non dice “una lumaca”. La frase pronunciata dalla bambina presuppone un evento specifico e individuale, piuttosto che una categoria di eventi possibili. Dopo aver camminato un altro po’, la figlia vede un’altra lumaca e si esprime nuovamente nello stesso modo. Alla domanda se questa lumaca sia la stessa vista in precedenza, la risposta è affermativa: la bambina non ha ancora maturato il concetto di classe alla quale appartiene l’elemento lumaca. Il secondo sotto-stadio è costituito dalla fase del pensiero intuitivo e va dai 4 ai 7 anni. In questa fase il bambino usa un ragionamento di tipo intuitivo, basato sulla percezione dei fatti osservati e su una valutazione di questi, compiuta a livello percettivo, mediante semplici impressioni, ma senza avvalersi di un ragionamento fondato. In pratica, la presenza del pensiero intuitivo si sostituisce provvisoriamente alla maturazione di un pensiero logico che avverrà solo negli stadi successivi. Inoltre, l’assenza del pensiero logico comporta una difficoltà nell’effettuare le classificazioni degli oggetti, ossia nel raggruppare gli stessi in modo coerente in base a caratteristiche pregnanti. Analogamente, vi è una difficoltà nella seriazione, ossia nell’abilità di ordinare oggetti secondo una data qualità. Si noti che la seriazione comporta l’acquisizione della proprietà transitiva: ad esempio, il bambino confronta il bastoncino A con il bastoncino B e vede che A è più lungo. In seguito, confronta il bastoncino B con il bastoncino C e nota che B è più lungo. Tuttavia, il bambino non è in grado di dire che A è più lungo di C, ossia di dedurlo logicamente. Egli non possiede la proprietà transitiva che gli permetterebbe di passare ad un giudizio tra A e C senza operare il confronto diretto. Il bambino raggiunge tale risultato solo operando fattivamente questo confronto. Si è detto che durante lo stadio preoperatorio il bambino è in grado ormai di creare molteplici rappresentazioni e immagini mentali di azioni. Tramite queste, sviluppa ulteriormente il suo linguaggio, ripete azioni in differita e fa giochi di finzione sempre più raffinati. Ad esempio, verso i 4 o 5 anni, simula l’attività del dottore, l’attività scolastica o le azioni che si svolgono in un negozio. Tuttavia, queste rappresentazioni, sebbene siano sviluppate progressivamente lungo l’intero stadio preoperatorio, mantengono ancora due evidenti limiti. Limite 1 Le azioni interiorizzate mediante rappresentazioni mentali conservano alcune caratteristiche delle azioni reali che il bambino svolge o vede svolgere agli altri. Per tale motivo, quando osserva degli eventi li associa ad azioni simili a quelle che lui stesso ha compiuto o che ha visto compiere agli altri (e di cui conserva rappresentazioni mentali). Questo causa nel bambino il fenomeno dell’egocentrismo del pensiero o egocentrismo intellettuale. Ad esempio, osservando il Sole muoversi in cielo, il bambino associa il movimento dell’astro ad uno dei movimenti che egli stesso compie. Pertanto, anche il Sole, come il bambino, si sforza quando si muove, oppure si muove perché ha una qualche particolare intenzione o finalità. L’aspetto egocentrico del bambino consiste nell’attribuire al Sole una natura analoga alla propria. Il pensiero egocentrico e intuitivo dà vita a particolari aspetti che caratterizzano il comportamento e la natura del bambino in questo periodo. Essi sono: animismo, ossia il fatto che il bambino attribuisca la vita (un’anima) agli oggetti. Il Sole si stanca quando si muove e vive perché ha uno scopo; la Luna ci segue quando facciamo una passeggiata (in quanto viene sempre vista alla stessa distanza), ma poi, quando invertiamo la marcia, torna indietro insieme a noi. Un’automobile o una bicicletta sono animate, sono “vive” quando vengono viste muoversi; artificialismo, ossia la tendenza a pensare che gli elementi naturali siano frutto della fabbricazione dell’uomo o siano creati da una realtà divina. Ad esempio, il Sole è stato acceso con un fiammifero, il Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) nella loro posizione originale. A questi esempi se ne aggiungono altri analoghi. Uno di essi riguarda la non conservazione della sostanza (di un solido): si parte da due palline di plastilina uguali, di cui una viene deformata in un ellissoide. Anche in questo caso il bambino non riconosce la conservazione della quantità di sostanza. Analogamente vi è il problema della non conservazione del peso che viene messo in evidenza mediante una bilancia, usando le due palline di plastilina menzionate in precedenza. Infine, merita un accenno un altro esempio. Si tratta dell’esperimento della collana di perle, che mostra il limite del considerare il concetto del tutto e di una sua parte. Al bambino vengono mostrate 20 perle di legno, di cui 15 nere e 5 bianche; gli viene fatto notare espressamente che, anche se le perle sono colorate diversamente, esse sono tutte di legno. Gli si chiede, poi, in che modo è possibile costruire la collana di perle più lunga. Il bambino viene posto di fronte all’alternativa di utilizzare le perle di legno oppure le perle nere: la sua risposta converge verso le perle nere ed è errata perché queste sono una parte del tutto (le perle di legno). La giustificazione del bambino è che le perle nere sono di più di quelle bianche. Piaget spiega che il bambino, per rispondere, ha innanzitutto prefigurato l’azione mentale di divisione (che magari ha fatto in passato). In tal modo ha diviso le perle nere dalle bianche per individuarne la quantità e confrontarla con le prime. A questo punto, però, non ha saputo ricongiungere le perle nere alle bianche, mediante l’azione opposta, per costituire il numero di perle di legno (totale) e osservare che la collana è più lunga di quella fatta con le sole perle nere. Ancora una volta, l’irreversibilità dell’azione incide sulla comprensione della situazione. La spiegazione può essere vista anche in termini di coordinamento di azioni mentali: il bambino non è in grado di isolare le perle nere dalle altre e contemporaneamente di coordinare quest’azione con l’unione delle perle nere e bianche nel loro totale. Sebbene si osservino i limiti visti in precedenza, lo stadio preoperatorio vede la conquista di due importanti concetti. Il primo è il concetto di identità che si osserva mediante dei semplici esperimenti. Se un liquido viene travasato da un bicchiere ad un altro di forma diversa, il bambino fino ai 4 anni afferma che non si tratta più dello stesso liquido, ma di altro liquido. Analogamente, se un fil di ferro diritto viene attorcigliato e curvato, esso non è lo stesso di prima, ma è un altro fil di ferro. Dai 5 anni in poi, il bambino invece sostiene che si tratta ancora della stessa acqua e dello stesso filo, tuttavia le loro proprietà sono cambiate. Si afferma solo il concetto di identità permanente, ma non anche quelli di conservazione della quantità e del numero, come mostrato negli esperimenti FIGURA 2.2 L’esperimento sulla non conservazione del numero Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) precedenti: questo avviene a causa dell’irreversibilità del pensiero. Un’altra conquista è il concetto di funzione, ossia della capacità di mettere in relazione due grandezze, anche in modo molto approssimativo. Al bambino vengono dati tre pesci di diversa grandezza, di cui il secondo è il doppio del primo e il terzo è il triplo del primo. Successivamente, gli viene dato del grano, chiedendogli di nutrire i tre pesci in modo che al secondo sia dato il doppio del grano del primo e al terzo il triplo del grano del primo. I bambini fino ai 4 anni assegnano quantità di grano che non seguono questa regola, neanche in modo approssimativo, ma che risultano essere casuali. Questi bambini non comprendono che il mangiare dato al pesce deve essere in funzione della sua grandezza. Dai 5 anni in poi, il bambino inizia ad assegnare ai tre pesci quantità di cibo via via crescente, mostrando di intuire una relazione funzionale tra la grandezza del pesce e il cibo da fornirgli. Questo aspetto in realtà fa emergere altre importanti conseguenze. Se il bambino traccia delle relazioni funzionali, allora si sta predisponendo a cogliere relazioni funzionali anche nell’ambiente che lo circonda, ossia ad individuare delle regolarità; si sta preparando, cioè, allo stadio successivo. 2.1.8 Lo stadio delle operazioni concrete Lo stadio delle operazioni concrete va dai 7 ai 12 anni. Esso può essere visto, in primis, come uno stadio nel quale le criticità dello stadio preoperatorio vengono superate. Il ragionamento logico prende piede su quello intuitivo, di conseguenza il bambino riesce a compiere delle operazioni che Piaget definisce logiche. Le operazioni si riuniscono in raggruppamenti (parola usata dallo stesso Piaget). Eccone alcuni esempi: operazioni di classificazione e inclusione gerarchica o addizione. In particolare, il bambino comprende il significato di una classe più ampia e di sottoclassi che le appartengono; se somma due sottoclassi, allora compone una classe superiore che le contiene entrambe. Si rammenti il problema delle perle di legno, nere e bianche. Se si uniscono le classi delle perle nere e delle perle bianche si costituisce la classe delle perle di legno. Questa operazione di somma di classi ha anche la sua operazione inversa, che è la sottrazione di classi. Se dalla classe delle perle di legno si tolgono le perle bianche si ottengono le perle nere. Si noti che l’operazione inversa di classificazione implica la reversibilità del pensiero. Difatti, se alle perle nere si sommano le bianche si hanno le perle di legno, ma se a queste si sottraggono le perle bianche si hanno nuovamente le perle nere, ritornando, in modo reversibile, al punto di partenza; operazioni di moltiplicazione di classi. In tal caso il bambino riesce a costruire una nuova classe, intersecando le caratteristiche specifiche di due classi. In pratica, si raggruppano degli elementi, non solo mediante una singola caratteristica, ma anche usando due caratteristiche contemporaneamente. Ad esempio, un gruppo di oggetti solidi può essere visto come formato da classi di forma differente (cubi, tetraedri, sfere), ma anche da classi di colore differente (blu, gialli, rossi). Il bambino riesce a raggruppare tutte le sfere (in base alla classe forma), ma anche tutte le sfere verdi (dove si è moltiplicata la classe forma con la classe colore). L’operazione inversa in questo caso corrisponde all’estrarre dalla classe frutto della moltiplicazione ciascuna delle singole classi di partenza; operazioni di seriazione additiva. Il bambino è in grado di mettere in ordine, secondo una caratteristica specifica, un insieme di oggetti: ad esempio, riesce a ordinare in base alla lunghezza una serie di bastoncini dal più corto al più lungo. I bambini nello stadio precedente riescono a ordinare solo parzialmente, per coppie, questi bastoncini. Verso la fine dello stadio preoperatorio ordinano i Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) bastoncini, ma se viene dato loro un ulteriore bastoncino da collocare all’interno della sequenza, disfano la sequenza costruita e iniziano daccapo. Nel periodo delle operazioni concrete tale problema viene risolto in modo diretto. L’aspetto essenziale è che in questo stadio i bambini riconoscono la proprietà transitiva e collegano le disuguaglianze di lunghezze che osservano nei vari bastoncini. Se A < B e B < C, allora è vero che A < B < C. Inoltre, una volta stabilito che A < B, il bambino è in grado di individuare anche la relazione inversa, che questa volta è data dal fatto che B > A. Il riconoscere l’operazione inversa implica che il bambino coglie il significato di reversibilità anche in questa operazione; operazioni di seriazione moltiplicativa. In questo caso il bambino riesce a ordinare degli oggetti in base a due caratteristiche contemporaneamente. Ad esempio, ordina dei recipienti sia in base alla loro altezza che alla loro larghezza. Questo raggruppamento di operazioni permette al bambino di liberarsi del limite di osservare e concentrarsi su un solo aspetto della situazione, riuscendo a guardare più aspetti contemporaneamente (si parla, in tal caso, di decentrazione). Insieme a questi raggruppamenti di operazioni, Piaget ne individua anche altri e afferma che nello stadio delle operazioni concrete il bambino possiede tutti questi raggruppamenti di operazioni di tipo logico. Si noti che, in ciascuno di questi gruppi, è possibile sempre individuare un’operazione inversa: ciò è dovuto alla reversibilità dell’azione mentale. Inoltre, tutte le operazioni complesse presentano la proprietà associativa, che permette di stabilire che non esiste un ordine preferenziale per svolgere operazioni dello stesso raggruppamento, al fine di arrivare ad un certo risultato. Le strutture logiche appena presentate non sono le uniche operazioni di cui il bambino dispone. Ad esse si aggiungono quelle che Piaget definisce operazioni infralogiche che riguardano le relazioni spaziali e temporali tra un oggetto e le parti che lo compongono. Più nello specifico, a ciascun raggruppamento logico corrisponde un raggruppamento infralogico. Ad esempio, la classificazione o addizione trova la sua corrispondenza infralogica nell’addizione partitiva che permette di scomporre e ricomporre un oggetto in varie parti o un evento in vari intervalli temporali. I raggruppamenti logici e infralogici, dotati di operazioni inverse e di associatività, permettono al bambino di risolvere i vari problemi proposti nel paragrafo precedente. In particolare, i problemi di conservazione della quantità di liquido, del numero, della sostanza solida e del peso potrebbero essere risolti tutti mediante le operazioni di seriazione moltiplicativa (si tengono in considerazione due variabili nel risolvere il problema, ad esempio altezza e larghezza del recipiente) oppure mediante il raggruppamento infralogico dell’addizione partitiva (si suddivide l’oggetto in parti e si nota l’equivalenza dei due casi). Pertanto, l’emergere di una di queste due operazioni dovrebbe portare alla risoluzione quasi contemporanea di tutti quei problemi. Tuttavia, in base a quanto emerge dai dati sperimentali, questo non avviene: vi sono problemi che vengono risolti sensibilmente prima di altri. Piaget chiama questo fenomeno décalage (dislivello). La spiegazione è da ricercare nel fatto che i vari problemi di conservazione presentano gradi differenti di concretezza. La concretezza del problema è un fattore fondamentale per la sua risoluzione (siamo nel periodo delle operazioni concrete). Pertanto, un problema che presenta fattori minori di concretezza viene risolto più tardi. Contemporaneamente al fenomeno della comparsa del pensiero reversibile, vi è anche la progressiva scomparsa dell’egocentrismo: il bambino inizia a osservare i fenomeni anche dalla prospettiva degli altri. Con la scomparsa dell’egocentrismo scompaiono l’animismo, l’artificialismo e il finalismo. 2.1.9 Lo stadio delle operazioni formali Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) Tuttavia, appare difficile pensare che un ragazzo tra i 12 e i 16 anni possa padroneggiare in modo completo il ragionamento formale fatto fino a questo punto. D’altro canto, occorre sottolineare come egli adotti uno schema simile a questo (quindi ragioni in modo formale) quando affronta dei problemi pratici. Un esempio è l’esperimento di Piaget sul pendolo. Si chiede a un adolescente nello stadio delle operazioni formali di svolgere un esperimento con un pendolo, uno strumento costituito da una massa appesa a un filo che oscilla. Il periodo dell’oscillazione è il tempo impiegato dalla massa oscillante per compiere un percorso di andata e ritorno al punto di partenza. Vi sono varie quantità in gioco che possono incidere sulla durata del periodo di oscillazione, come la lunghezza del filo, la grandezza e la forma della massa, l’ampiezza dell’angolo da cui inizia l’oscillazione. I bambini che non hanno ancora raggiunto il periodo delle operazioni formali sono disorientati di fronte al problema e non centrano l’approccio corretto. Gli adolescenti nel periodo formale affrontano il problema in modo sistematico e organizzato, bloccando di volta in volta tutte le grandezze tranne una e osservando, in corrispondenza di variazioni di quella grandezza, se il periodo del pendolo varia. Ad esempio, bloccano tutte le grandezze tranne la lunghezza del filo e si chiedono se il periodo di oscillazione varia. Questo corrisponde a ragionare in modo formale, come di seguito: se la lunghezza varia (proposizione Q), allora è vero che il periodo varia (proposizione B) oppure che il periodo non varia (proposizione ). Analogamente si può fare per tutti gli altri fattori. 2.2 Lev Semënovič Vygotskij Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) Nell’ambito del cognitivismo, lo psicologo bielorusso Lev Vygotskij (Orša, 1896 - Mosca, 1934) è considerato il massimo esponente della scuola storico-culturale, secondo la quale lo sviluppo delle facoltà psichiche non è solo influenzato da fattori biologici, ma anche da fattori storici, sociali e culturali. Nella sua breve vita, Vygotskij ha avuto modo di apportare contributi determinanti allo studio delle modalità con le quali linguaggio e simboli sviluppano le funzioni cognitive. Inoltre, ha fornito spunti interessanti sulla validità pedagogica del gioco e ha introdotto il concetto di zona di sviluppo prossimale. La sua maggiore opera, pubblicata postuma, è Pensiero e linguaggio del 1934. 2.2.1 La funzione del linguaggio nello sviluppo del bambino Nello studio Tool and symbol in child development (1930), successivamente incluso nel volume pubblicato in Italia col titolo Il processo cognitivo (1987), Vygotskij affronta la problematica del linguaggio come strumento di sviluppo cognitivo. Questa tematica viene ripresa anche nell’opera Pensiero e linguaggio (1934). Il linguaggio egocentrico come forma esterna di linguaggio interiore Vygotskij parte dagli esperimenti sull’insight di Kohler (§ 1.4.4). Prima che si sviluppi il linguaggio, l’uso che i bambini fanno degli strumenti è simile a quello delle scimmie di Kohler. Di fronte ad un compito da svolgere o ad un problema da risolvere con uno strumento fanno tentativi confusi e caotici; con l’insorgere del linguaggio, ossia di uno strumento simbolico, questi atteggiamenti sembrano svanire gradualmente. Se in un esperimento un bambino è posto di fronte ad un compito da svolgere con l’uso di alcuni strumenti, si può notare che egli parla mentre usa gli strumenti. Questo parlare emerge in modo spontaneo e continua per tutta la durata dell’esperimento. Si osservano in particolare due caratteristiche del linguaggio: il parlare del bambino sembra quasi una necessità, come se avesse un ruolo fondamentale nel permettergli di svolgere il compito. Il bambino descrive le azioni che esegue, ma il linguaggio e le stesse azioni sembrano intimamente correlate e dirette verso lo scopo. Questo si nota anche quando, con qualche scusa, si impedisce al bambino di parlare. Con l’interruzione del parlare, si congelano anche la sua azione e l’uso degli strumenti materiali; maggiori sono la difficoltà del compito e l’entità degli ostacoli che esso prevede, maggiore sembra essere la tendenza del bambino a parlare di più; in alcuni casi la frequenza del linguaggio raddoppia. Un simile fenomeno era stato già osservato da Piaget, che aveva parlato di linguaggio egocentrico. Questo termine deriva dal fatto che, mentre svolge le sue azioni, il bambino parla in prima persona, ripete spesso il pronome “io” e sembra parlare a se stesso, anche se in presenza di altri bambini. Per Piaget, la spiegazione di questo atteggiamento è l’egocentrismo del bambino e l’incapacità di mettersi nei panni degli altri: tale forma di linguaggio, pertanto, non ha funzioni cognitive fondamentali. Vygotskij vuole osservare questo fenomeno sotto una prospettiva diversa, dando al linguaggio egocentrico un valore cognitivo rilevante: esso, infatti, è essenzialmente un ragionare ad alta voce. Sappiamo che, tipicamente, gli adulti svolgono dei ragionamenti mediante il loro linguaggio interiore, ossia mentalmente ragionano su dei problemi o su delle azioni che stanno svolgendo, senza parlare ad alta voce. Il linguaggio egocentrico del bambino è la manifestazione di tale linguaggio interiore che però si palesa con un linguaggio esteriore, ossia un vero e proprio linguaggio parlato, che gli altri possono ascoltare. Il linguaggio come auto-stimolazione e auto-regolazione Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) Si giunge quindi al problema di individuare cosa distingue le scimmie antropomorfe dai bambini nell’approccio alla soluzione di un problema. L’uso del linguaggio è il punto chiave. Il linguaggio aggiunge alle capacità del bambino i seguenti fattori: la moltiplicazione di stimoli. Mentre svolge un dato compito, il bambino riceve stimoli dal suo campo visivo, dagli attrezzi che vede in esso o dai dettagli che osserva. Fino a questo punto nulla lo distingue dallo scimpanzé. Usando il linguaggio, il bambino è in grado di creare un’ulteriore catena di stimoli. Parlando mentre agisce, può manifestare l’intenzione di usare altri attrezzi che non rientrano nel suo campo visivo o l’intenzione di svolgere a breve un’altra attività. Questo moltiplica gli stimoli che il bambino riceve e amplifica le sue possibilità di riuscita nel compito. In pratica, il bambino aggiunge alla stimolazione esterna un’auto-stimolazione; l a funzione auto-regolativa. Il linguaggio ha una funzione regolativa, infatti rende il bambino più riflessivo, meno impulsivo e spontaneo, a differenza di quello che può essere il comportamento convulso e incontrollato delle scimmie nell’approcciare un problema. Il bambino sembra prima accompagnare i suoi gesti ma poi, a poco a poco, sembra sempre più in grado di pianificarli. Questa pianificazione, che deve necessariamente essere riflessiva, viene fatta ad alta voce e modera l’impeto. Mediante il linguaggio, il bambino non solo controlla gli oggetti che adopera, ma controlla anche il proprio comportamento. Le impressioni di Vygotskij sono confermate dallo studio fatto sui bambini afasici (incapaci di produrre o comprendere il linguaggio). Di fronte a problemi analoghi, questi bambini dimostrano scarsa capacità di pianificare le azioni e agiscono in modo convulso e caotico. Il linguaggio sociale In altri esperimenti il problema proposto al bambino è tale da non poter essere risolto da solo, tuttavia la soluzione è strutturata in modo che egli possa individuarla, ma non attuarla. Durante l’esperimento, mentre i bambini lavorano, nella stanza è presente lo sperimentatore. I bambini interagiscono con la situazione, ma non sono in grado di risolverla: a questo punto chiedono aiuto allo sperimentatore, sebbene questi sia poco più di un estraneo. Emerge quindi una forma di linguaggio sociale (rivolta agli altri), parallela al linguaggio egocentrico (rivolto a se stesso). Non si tratta di una mera e semplice richiesta di aiuto incondizionato. Il bambino, nel chiedere aiuto per trovare la soluzione, delinea allo sperimentatore la strategia che ha pensato di attuare, senza tuttavia essere in grado di realizzarla. Si noti che il socializzare il proprio pensiero con altri comporta un passaggio di astrazione fondamentale. Difatti, nel descrivere l’azione senza averla davanti agli occhi, il bambino la dissocia dal suo significato, dalla sua descrizione in termini verbali. Pertanto, il linguaggio egocentrico, che consisteva nel parlare a se stessi, diventa ora un linguaggio sociale, con il quale ci si rivolge agli altri. A tale proposito Vygotskij formula due importanti osservazioni: linguaggio egocentrico e linguaggio sociale sono due caratteristiche interdipendenti e strettamente correlate. Difatti, quando lo sperimentatore esce, senza aiutare il bambino, questi inizia a rivolgere il linguaggio verso se stesso, continuando a illustrare i passaggi risolutivi che ha pianificato, ma che non ha ancora attuato. Il bambino continua a ragionare sul problema: in tal caso sta socializzando le azioni da compiere con se stesso. Egli chiede aiuto a se stesso nello stesso modo e con la stessa forma con la quale chiede aiuto agli altri. Una forma di linguaggio interpersonale assume una funzione intrapersonale; Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) Seguendo questa intuizione, possiamo dire che l’uomo, per compiere una determinata azione o un dato compito o, più in generale, per fornire una certa risposta (R), secondo il classico paradigma comportamentista, può servirsi di uno stimolo diretto (S) proveniente dall’ambiente esterno (una visione, un suono), come riportato in Figura 2.3 in alto. Tuttavia, per potenziare le proprie funzioni psichiche, oltre a raccogliere gli stimoli visivi o uditivi che provengono dall’ambiente, l’uomo crea dei propri stimoli, auto-generati, che è capace di interpretare in modo diretto e con i quali migliora le sue capacità psichiche. Questi stimoli auto-generati possono essere rappresentati da un sistema simbolico o dal linguaggio. In questo caso, allo stimolo S si sostituisce un legame intermedio che passa attraverso ciò che Vygotskij chiama lo stimolo-mezzo X (si veda la Figura 2.3 in basso) che permette all’uomo di fornire la risposta (svolgere l’azione o il compito) secondo una prospettiva diversa e con maggiori potenzialità. 2.3 Jerome S. Bruner Jerome Seymour Bruner (New York, 1915) è uno studioso americano che ha fornito contributi rilevanti nel campo della psicologia cognitiva, aderendo inizialmente al movimento psicologico chiamato New look. Il suo interesse si è ampliato anche al campo dell’educazione e le teorie da lui elaborate hanno riscosso notevole successo, rendendolo uno dei pedagogisti di riferimento dell’età contemporanea. È autore di numerose opere, degne di considerazione, che sarebbe inopportuno elencare in questa sede nella loro totalità. Tuttavia, è essenziale ricordare A Study of Thinking (1956), The Process of Education (1960) e Toward a Theory of Instruction (1966), sulle quali ci soffermiamo di seguito. 2.3.1 La teoria dello sviluppo cognitivo La teoria dello sviluppo cognitivo è presentata in diversi scritti di Bruner, tra i quali l’articolo The course of FIGURA 2.3 Stimolo diretto e stimolo-mezzo Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) cognitive growth (1964) e il volume Studies in cognitive growth (1966). Per formulare tale teoria, Bruner parte dai precedenti studi di Piaget e Vygotskij. Per Piaget lo sviluppo del bambino è di carattere naturale e biologico. Vi sono delle età biologiche che corrispondono, in modo piuttosto rigido, a stadi evolutivi caratterizzati dalla modalità di interagire con l’ambiente circostante e di apprendere. L’enfasi di Piaget è posta sul livello di sviluppo che il bambino ha raggiunto; inoltre, l’istruzione è un processo slegato dallo sviluppo, può intervenire in esso solo quando il bambino è maturo. Infine, il bambino è curioso e, per sua natura, rassomiglia ad un piccolo scienziato. Per Vygotskij lo sviluppo è determinato anche da fattori storici e socioculturali, che si sommano a quelli biologici. Per lo psicologo, lo sviluppo non è solo rappresentato dal livello cognitivo raggiunto dal bambino, ma anche da cosa il bambino è in grado di fare in modo assistito (la zona di sviluppo prossimale). In tal senso, l’istruzione può indurre lo sviluppo del bambino, diventando un fattore rilevante; sono fondamentali, però, anche le caratteristiche sociali del bambino.1 Operando una sintesi delle due teorie, Bruner raccoglie i caratteri fondamentali di entrambe. Da Piaget acquisisce soprattutto il carattere scientifico della ricerca psicologica, l’atteggiamento esplorativo dei bambini e l’idea di schema o struttura come elemento funzionale che porta alla conoscenza. Da Vygotskij deriva soprattutto la considerazione dei fattori storici, sociali e culturali nella percezione, e quindi nello sviluppo. Inoltre, egli considera valida l’ipotesi di sviluppo legato anche a ciò che il bambino è in grado di fare in prospettiva: in tal senso diventa fondamentale un ottimo programma di istruzione. Per Bruner lo sviluppo cognitivo può essere delineato mediante il concetto di rappresentazione, con cui egli intende una modalità di elaborazione delle informazioni che provengono al soggetto dall’ambiente circostante, un sistema di codifica. Esistono tre modalità di rappresentazione: esecutiva, iconica e simbolica. Ciascuna di esse inizia a manifestarsi in periodi successivi dell’evoluzione del bambino/adolescente; tuttavia, permane e si evolve, senza essere completamente sostituita dalle altre. Le rappresentazioni esecutive sono le prime ad emergere e a svilupparsi nel primo anno di vita e sono simili agli schemi d’azione di Piaget (l’afferrare un oggetto e portarlo alla bocca, il vedere un oggetto e gattonare fino a raggiungerlo). I bambini comprendono gli oggetti in termini di azioni che possono svolgere con essi. Queste rappresentazioni permangono anche nei periodi successivi di vita, per codificare informazioni che vengono meglio descritte tramite sequenze di gesti. Ad esempio, si pensi alla procedura per fare un nodo alla cravatta o ai lacci delle scarpe. Questa conoscenza è difficile da esternare mediante delle parole, tuttavia viene rappresentata molto bene tramite una sequenza di azioni. Per Bruner, lo schema mentale che organizza la rappresentazione esecutiva si origina dall’azione e dal feedback di tipo sensoriale (occhi) che accompagna tale azione. Le rappresentazioni iconiche, che si originano nel secondo anno di vita, avvengono in forma di immagini. Un esempio è dato dall’immagine che ritrae le caratteristiche di una persona conosciuta oppure di un dipinto conosciuto. Non si tratta di immagini dettagliate e identiche a quelle reali, ma che conservano alcune informazioni sulla configurazione dell’oggetto rappresentato. Fattori come il grado di interesse o le conoscenze precedenti determinano il livello di dettaglio della rappresentazione. Il vantaggio di una rappresentazione iconica rispetto ad una esecutiva è il suo affrancamento dall’azione e dalla realtà concreta e visiva. In sostanza, la rappresentazione iconica di un oggetto può essere richiamata anche in assenza dell’oggetto stesso, tuttavia richiama necessariamente la realtà dell’oggetto. 1 Parleremo della zona di sviluppo prossimale nel Capitolo 3, trattando le implicazioni pedagogiche delle teorie Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) di Vygotskij dello sviluppo cognitivo. Le rappresentazioni simboliche si originano più tardi delle altre: sono codifiche basate sul linguaggio e su altre basi astratte (simboli, segni). Rispetto alle precedenti, queste non necessitano di una somiglianza con la realtà che identificano: si pensi ai simboli matematici o alle formule dei composti chimici. Esse introducono un livello di astrazione progressivo che affranca prima il bambino e poi l’adolescente dall’esperienza diretta. Come detto, le varie modalità di rappresentazione si aggiungono alle precedenti man mano che si rendono accessibili. Inoltre, le forme di rappresentazione possono combinarsi tra loro per dar vita a rappresentazioni più complesse e astratte. 2.4 Sigmund Freud Lo psicologo austriaco Sigmund Freud (Freiberg, 1856 - Londra, 1939) è stato il fondatore della psicoanalisi. Dalle sue numerose opere hanno tratto spunto molti psicologi e psicopedagogisti. Di seguito si introduce la descrizione dell’apparato psichico operata da Freud, presentando i due modelli della psiche, quello topografico e quello strutturale, utili per esporre la teoria stadiale dello sviluppo psicosessuale elaborata dallo stesso Freud. 2.4.1 Il modello topografico della psiche Freud distingue tre elementi essenziali della personalità dell’individuo chiamati conscio, inconscio e preconscio. La parte conscia della psiche (il conscio) rappresenta tutto ciò di cui l’individuo è consapevole. Ad essa si riconducono le percezioni, i sentimenti, i processi intellettivi e le volontà che avvertiamo e di cui siamo consapevoli e coscienti. Alla parte conscia, già riconosciuta e studiata da altri psicologi, Freud aggiunge una parte di cui non siamo affatto consapevoli nell’ambito della quale occorre tracciare delle importanti distinzioni: in essa infatti vi sono elementi psichici che pur essendo inconsci possono, con uno sforzo di attenzione, divenire consci ed elementi, invece, stabilmente inconsci che possono divenire consci solo attraverso tecniche apposite. Alcuni processi inconsci vengono riportati alla luce, accedendo alla parte conscia; essi possono nuovamente cessare di essere consci, ma possono ridiventare consci senza grandi difficoltà. In altre parole, questi processi possono essere riprodotti e ricordati in modo semplice. Questa condizione fa comprendere come lo stato di coscienza di un processo sia una situazione molto sfuggente e temporanea. Tutto ciò che appartiene alla parte inconscia e che si comporta in questo modo, ossia che trasmigra facilmente da una condizione di inconsapevolezza ad una di coscienza e viceversa, rientra nel preconscio, che rappresenta una porta di comunicazione, un confine tra la parte conscia e la parte inconscia della mente. Esistono, però, come già accennato, altri processi mentali o contenuti della nostra mente che è molto difficile far affiorare alla coscienza e che costituiscono l’inconscio in senso stretto. In prevalenza, esso è costituito da esperienze avute durante l’infanzia, che spesso sono sgradevoli e connotate da sensi di colpa. Talvolta, queste esperienze sono talmente angosciose da risultare intollerabili per il soggetto; pertanto per evitare una condizione di disagio, l’effetto di questi ricordi viene annullato mediante un meccanismo che Freud chiama rimozione: in questo modo tali esperienze vengono escluse dalla parte cosciente della psiche e relegate nella parte inconscia. Inoltre, Freud stabilisce che non tutto ciò che si trova nell’inconscio è stato oggetto di rimozione. Per definire al meglio la relazione che lega i processi mentali consci e inconsci ed i meccanismi che permettono passaggi di Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) 2.4.3 I compiti dell’Io e le forme di angoscia (o di ansia) La condizione dell’Io non è semplice, in quanto esso deve mediare e conciliare le esigenze e le richieste provenienti da tre interlocutori distinti e “tirannici”, come li definisce Freud, ovvero l’ambiente esterno, il Super-Io e l’Es. Queste richieste sarebbero anche conciliabili, se puntassero tutte nella stessa direzione; tuttavia, ciò non avviene, in quanto esse sono spesso incompatibili e divergenti. Abbiamo visto come l’Io sia strutturato in modo da dover rappresentare all’Es le esigenze del mondo esterno; per tale motivo, nelle sue rappresentazioni, esso deve tenere conto di questo interlocutore. Tuttavia, l’Io deve anche rimanere al servizio dell’Es e deve indirizzare le pulsioni e gli istinti dell’Es verso le rappresentazioni reali dell’ambiente esterno, appositamente create. In questa dinamica già complessa, si aggiunge la variabile del Super-Io che osserva severamente l’operato dell’Io, imponendogli delle norme di comportamento, senza preoccuparsi più di tanto delle pulsioni dell’Es e delle difficoltà provenienti dall’ambiente esterno. Se le norme dettate dal Super-Io non sono osservate, allora l’Io prova un senso di tensione, di inferiorità e di colpevolezza. Quando l’Io non riesce a resistere a queste dinamiche, allora cade in uno stato di angoscia o di ansia. In particolare, Freud riconosce tre forme di angoscia: l’angoscia reale o oggettiva, che è quella che proviene dall’ambiente esterno, quando quest’ultimo ci presenta un pericolo imminente, una minaccia. Ad esempio, si può provare angoscia se si è soli di notte in una strada deserta e si nota una figura poco raccomandabile che punta diritto verso di noi; l’angoscia neurotica, che è generata quando le violente passioni provenienti dall’Es non riescono ad essere governate e mitigate dall’Io. Ricordiamo che questa tipologia di angoscia viene solitamente sopita dalla parte inconscia dell’Io che rimuove esperienze angosciose, spingendole nell’Es; l’angoscia morale (o normale), che è generata dal Super-Io. Questo tipo di angoscia si genera FIGURA 2.4 Il modello topografico e il modello strutturale della psiche secondo Freud Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) quando il soggetto agisce o desidera agire in un modo che viola i principi morali; spesso si concretizza nella vergogna e nel senso di colpa. 2.4.4 La teoria evolutiva di Freud In base al modello topografico e soprattutto a quello strutturale, Freud ha elaborato una teoria dello sviluppo del bambino di tipo stadiale. In altre parole, l’evoluzione del bambino passa attraverso alcuni stadi (o fasi) nei quali la psiche presenta caratteristiche qualitative molto diverse. Per altri versi, questi stadi possono essere definiti anche stadi psicosessuali, in quanto ciascuno di essi è caratterizzato da una particolare zona erogena del corpo umano, che serve come fonte di piacere. La sessualità in Freud ha un significato molto ampio e include qualsiasi esperienza, in relazione al proprio corpo, che possa recare piacere. Pertanto, i genitali non sono l’unica zona erogena del corpo. Il corpo è capace di provare piacere in molte altre parti che producono gratificazione sessuale. Gli stadi psicosessuali sono denominati in base a quelle zone del corpo che contraddistinguono il piacere in quel determinato stadio. Per tale motivo, in sequenza, durante il percorso evolutivo, il bambino incontrerà lo stadio orale, lo stadio anale, lo stadio uretrale, lo stadio fallico, lo stadio di latenza e lo stadio genitale. Lo stadio orale Il primo stadio dello sviluppo psicosessuale è lo stadio orale, che va dalla nascita ai 12-18 mesi. La bocca è la zona erogena di riferimento per il bambino, il centro dei piaceri e delle gratificazioni per l’istinto sessuale. Difatti, in questo periodo il bambino prova piacere dal nutrimento che riceve dal seno della madre o dal biberon. Freud sottolinea che egli non allude al solo fatto di nutrirsi attraverso il seno della madre, ma alla vera e propria ostinazione nel succhiare, che spesso persiste anche quando il bambino è sazio. Questo tipo di atteggiamento denota la radice sessuale dell’azione e il conseguente piacere. Freud richiama l’immagine del volto del bambino, soddisfatto e sazio dopo un allattamento; essa ricorda l’immagine del viso di un adulto che ha provato un piacere sessuale. Inoltre, la bocca è il mezzo con il quale esplora l’ambiente esterno. Questo viene confermato dall’atteggiamento tipico del bambino in questa fase, quando è solito portare tutti gli oggetti alla bocca. Da un punto di vista psichico, la situazione è molto elementare, in quanto l’Io e il Super-Io non si sono ancora sviluppati. L’unica parte dell’apparato psicologico che è presente fin dalla nascita è l’Es. Pertanto, guidato dal solo Es, il bambino non ha ancora una personalità (che si determinerà con la nascita dell’Io); inoltre, ogni sua azione è finalizzata al voler provare piacere. In preda all’Es, per il bambino vale il solo principio del piacere. In questa fase, il bambino conosce in prevalenza solo le due pulsioni basilari individuate da Freud, ossia: l a pulsione sessuale, che è mirata a ottenere piacere mediante le zone erogene del corpo. Per questo tipo di pulsione, Freud usa il termine Eros, dal Dio greco dell’amore. L’energia psichica che viene profusa alla ricerca del piacere è detta libido; la pulsione distruttiva o aggressiva, che mira a ritornare allo stato precedente di non-esistenza ed esprime morte. Per questo tipo di pulsione, Freud usa talvolta il termine Thanatos, la personificazione della morte nella cultura dell’antica Grecia. Le prime forme di istinto aggressivo si rivelano quando il bambino, con lo spuntare dei denti, inizia a mordere il seno della madre. La comparsa dei denti segna l’inizio dello svezzamento e l’avvicinarsi a un tipo diverso di alimentazione che segnerà un solco tra il bambino e la madre e costituirà una prima lieve forma di indipendenza dal seno materno. Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) In questo periodo comincia a costituirsi l’Io infantile che giungerà a piena maturazione solo più tardi. Alcune esperienze preliminari contribuiscono alla sua formazione: il provare dolore, che delinea i confini del corpo del bambino rispetto all’ambiente esterno; in questo modo il bambino inizia a prendere coscienza di essere una realtà distinta e specifica rispetto all’ambiente in cui è immerso; l’attesa per una certa gratificazione, durante la quale il bambino piange. Egli inizia ad associare che alcuni comportamenti, come il pianto, conducono poi alla soddisfazione di certi bisogni. Lo stadio anale Questo stadio va dai 12-18 mesi fino ai 36 mesi (3 anni). Si tratta della fase nella quale la libido, l’energia sessuale, si indirizza verso la zona anale del corpo. Il bambino inizia a guadagnare il controllo delle funzioni sfinteriche e, contestualmente, trae appagamento dalle sensazioni corporee coinvolte in questa attività. Il trattenimento o il rilascio delle feci costituisce un’altra semplice forma di controllo del bambino sull’ambiente. La funzione chiave di questo stadio è “l’educazione al vasino”. Pertanto, si innesca un conflitto tra l’Es, che vorrebbe una gratificazione istantanea della propria pulsione verso il piacere, data dalla evacuazione, e l’Io che vorrebbe ritardare questo piacere al momento opportuno, assecondando la volontà dei genitori. Questo conflitto permette all’Io di formarsi ulteriormente. Dal conflitto nasce per il bambino la comprensione del valore della pulizia e dell’ordine nell’ambiente circostante. Nel bambino possono generarsi anche dei disturbi, quando i genitori sono troppo esigenti e non comprendono le difficoltà che egli può incontrare nell’esercitare l’auto-controllo della defecazione. Lo stadio uretrale Tra lo stadio anale e quello fallico, Freud accenna anche ad uno stadio intermedio, che possiamo chiamare uretrale. Questo stadio non è molto approfondito dallo psicologo. Ad esso si riconducono aspetti tipici della fase finale dello stadio anale e aspetti dell’emergente stadio fallico, che avrà luogo in seguito. Lo zona erogena viene localizzata nel canale che conduce l’urina dalla vescica, fino ad espellerla dal corpo. L’ultimo tratto delle vie urinarie è, appunto, l’uretra. Pertanto, il piacere è simile a quello provato dal bambino nel controllare le escrezioni nella fase anale. Questa volta il controllo viene esercitato sull’espulsione dell’urina. Mentre la criticità dello stadio anale era l’educazione al vasino, in questo stadio emerge la criticità dell’enuresi, ossia del bagnare il letto con le urine. Tuttavia, emergono anche aspetti che saranno caratteristici della fase fallica (la fase successiva). Difatti, lo spostamento della zona erogena verso l’uretra inizia a mettere a fuoco la zona erogena interessata dallo stato successivo, che è costituita dai genitali. Lo stadio fallico Questo stadio va dai 36 mesi (3 anni) fino ai 5 o 6 anni circa. La zona erogena di riferimento per il bambino diventa la zona genitale. In questo periodo i bambini soddisfano la loro curiosità circa la loro conformazione fisica, catalizzando la propria attenzione sulla zona genitale e scoprendo le differenze fisiche tra maschio e femmina. Il bambino è spinto da pulsioni provenienti dall’Es verso la madre, che è stata la fonte del suo nutrimento negli stadi precedenti. Tuttavia, questo desiderio nella fase fallica assume una connotazione specificamente riconducibile alla zona genitale. Questo desiderio incestuoso verso il genitore di sesso opposto è accompagnato da una forte pulsione di rivalità e di gelosia verso il genitore del medesimo sesso. Questo insieme di pulsioni viene definito da Freud come il complesso di Edipo, dal nome del leggendario re greco che, senza Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) suoi studi culminano con la definizione di un modello costituito da diversi stadi di sviluppo psicosociale che caratterizzano l’esistenza di ogni individuo, dalla nascita alla vecchiaia; dunque rispetto alla teoria freudiana, il modello a stadi di Erikson non si arresta al termine dell’adolescenza ma copre l’intero arco di vita dell’essere umano. 2.5.1 Le caratteristiche generali degli stadi evolutivi Come accennato, Erikson eredita da Freud l’impianto strutturale che descrive la psiche umana, senza molte variazioni. L’Es, l’Io e il Super-Io sono intesi come concetti astratti che sono utili per sviluppare la discussione intorno al concetto di personalità. Tuttavia, Erikson rivolge una particolare attenzione all’Io e attorno a questo concetto elabora i suoi stadi di sviluppo. Per Erikson, l’Io è la componente dell’apparato psichico, descritto da Freud, che maggiormente contribuisce alla formazione dell’identità psicologica di un individuo, ossia della sua personalità. Quando si parla di identità ci si riferisce a diversi aspetti: l’identità somatica, legata all’aspetto fisico e genetico; l’identità sociale, legata al ruolo sociale (la professione, lo stato civile, la cittadinanza) e alla collocazione che l’individuo raggiunge nella società; l’identità psicologica, conosciuta come la personalità, che delinea l’apparato psichico dell’individuo e che è in relazione con le altre identità. Ciascuno stadio evolutivo costituisce una particolare sfida per l’Io e lo pone in uno stato di crisi. Pertanto, ogni stadio rappresenta una particolare crisi d’identità dell’individuo che deve essere superata. La crisi è di carattere psicosociale, in quanto emerge da un conflitto che coinvolge i bisogni specifici di un individuo che si determinano nelle condizioni dell’ambiente in cui vive. Il superamento di uno stadio corrisponde a uno sviluppo positivo dell’identità di una persona, principalmente sotto il profilo psicologico. Come per gli stadi di sviluppo cognitivo individuati da Piaget, anche queste tappe evolutive si presentano secondo una sequenza che non varia da individuo a individuo: ciascun soggetto deve necessariamente passare attraverso uno stadio per giungere al successivo. Infine, ogni stadio è qualitativamente diverso dal precedente, perché presenta modelli di comportamento differenti. Oltre a queste caratteristiche riconducibili anche agli stadi individuati da Piaget, ciascuna delle fasi del percorso evolutivo individuate da Erikson è caratterizzata dai seguenti aspetti fondanti: in ogni stadio il soggetto in fase di sviluppo si confronta con due forze opposte, che potremmo anche definire potenzialità o qualità opposte dell’Io, dalla cui azione nasce la crisi evolutiva. Tali forze formano una coppia antinomica, contraddistinta da una qualità positiva e una negativa, che individua il conflitto da superare in quel determinato periodo della vita. È necessario far prevalere la qualità positiva per raggiungere una soluzione appropriata della crisi di identità che soggiace allo stadio evolutivo. Ciascuno stadio è caratterizzato da una virtù di base; questa si determina con il progredire positivo dello stadio e si afferma definitivamente nella personalità quando la crisi viene superata in modo positivo. La virtù acquisita può essere usata per completare positivamente gli stadi successivi. Ogni stadio ha due patologie di base che si determinano se la crisi di identità dello stadio non si risolve in modo positivo. Una patologia si manifesta con un eccesso di una delle due forze, l’altra si Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) determina con l’eccesso della forza opposta. Parimenti, l’identità resta afflitta da una delle patologie caratteristiche dello stadio concluso in modo negativo. Queste patologie possono causare problemi negli stadi evolutivi successivi e impedirne il superamento positivo. Ciò non toglie che un recupero positivo degli stadi conclusi negativamente possa avvenire in un secondo momento. Infine, vi è l’aspetto sociale di ciascuno stadio, che è strettamente legato a quello psicologico. In ogni fase evolutiva il soggetto ha delle figure di riferimento o, più semplicemente, delle figure con cui interagisce in modo privilegiato. Queste figure influenzano il soggetto. Il rapporto che si instaura tra il soggetto e le figure può determinare nel soggetto l’emergere della virtù caratteristica dello stadio oppure la nascita della debolezza patologica, dovuta a una conclusione negativa dello stadio. 2.5.2 Gli stadi psicosociali Primo stadio: fiducia contro sfiducia In questo stadio la figura di riferimento è unica ed è costituita dalla madre, che instaura con il bambino un rapporto affettivo basato sulla costanza e sulla ripetitività. In altre parole, la madre nutre con regolarità il bambino, si prende cura dei suoi bisogni e gli mostra affetto periodicamente, attraverso il contatto fisico. Da queste esperienze, il bambino viene in contatto con la fiducia, che è la forza positiva che caratterizza questo stadio. Con un comportamento adeguato della madre, la fiducia trova fondamento nell’identità del bambino. Se la madre non si prende cura in modo adeguato del bambino, questi sperimenta la sfiducia, la forza opposta e negativa, anch’essa propria di questo stadio. Erikson puntualizza che è necessario per il bambino sperimentare la fiducia, ma in parte anche la sfiducia. Difatti, una certa dose di quest’ultima è necessaria per gestire in modo consapevole le relazioni con gli altri, nelle fasi evolutive successive. Se la dinamica tra le forze contrapposte è quella corretta, tale da far prevalere la forza positiva senza eccesso, l’identità del bambino ne esce rafforzata. La virtù acquisita alla fine di questo stadio è la speranza. Tale virtù aiuterà il bambino negli stadi successivi quando incontrerà delle difficoltà. In tal caso, egli sarà sempre pronto a pensare che vi possa essere una soluzione favorevole per qualsiasi tipo di avversità. Una conclusione negativa dello stadio, delineata da un eccesso di sfiducia, condurrà invece il bambino a privarsi della speranza e a sviluppare una condizione patologica di rassegnazione nei confronti degli altri e dell’ambiente circostante. Tuttavia, anche un eccesso di fiducia può essere negativo. Difatti, troppa fiducia porterà il bambino a un’eccessiva dipendenza dagli altri. Un segno evidente del corretto passaggio evolutivo allo stadio successivo è la constatazione che il bambino, ad un certo punto della sua esistenza, riesce ad accettare la momentanea assenza della madre. Un altro segnale positivo è l’assumere da parte del bambino un atteggiamento aperto che lascia avvicinare gli altri, che si fa toccare dalle persone, che segue gli altri con lo sguardo. Al contrario, il desiderio di avere la madre sempre vicino a sé, la riluttanza a far avvicinare gli altri e a farsi toccare, la reticenza a seguire le persone con lo sguardo, indicano che il passaggio evolutivo non sta avendo un buon esito. Secondo stadio: autonomia contro vergogna e dubbio In questo stadio, le figure di riferimento sono rappresentate dai componenti del nucleo familiare. Sotto gli occhi dei genitori, il bambino inizia a prendere confidenza con il proprio corpo, muove i primi passi e vede evolvere le proprie abilità motorie. Inoltre, il bambino impara a dire le prime parole, che poi si trasformano in frasi di senso compiuto. In questo periodo, si assume il controllo definitivo delle funzioni intestinali. Infine, il bambino impara a mangiare da solo. Si tratta di una serie di funzioni che sono acquisite progressivamente e fanno Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) sperimentare al bambino la forza positiva dell’autonomia, caratteristica di questo stadio. I genitori e gli altri componenti della famiglia devono assecondare questo processo verso l’autonomia, avendo pazienza quando il bambino non acquista le funzioni in un tempo ragionevole. Può succedere che il bambino si trovi in situazioni frustranti che i genitori possono aggravare con i loro atteggiamenti, sentendosi giudicato per gli errori (ad esempio quando cade muovendosi o quando non riesce a trattenere l’urina) o ridicolizzato, quando si sottolineano aspetti imbarazzanti. Talvolta, i genitori possono attuare un controllo stringente del bambino, che in alcuni casi può sentirsi insicuro. Nell’agire in questo modo, i genitori fanno sperimentare al bambino la vergogna, ossia il timore di essere preso in giro, e il dubbio, ossia la paura di essere giudicato, forze negative che si oppongono all’autonomia. Se la dinamica tra le forze contrapposte si dispiega in modo corretto, facendo prevalere senza eccessi l’autonomia, allora l’identità del bambino ne esce rafforzata con una nuova virtù, ovvero la volontà. Essa accompagnerà il bambino nelle sfide che lo attendono durante la sua evoluzione. Egli troverà più facilmente quella forza di volontà, di sacrificio e di abnegazione che lo aiuteranno a superare ostacoli e difficoltà, proprio come da piccolo è riuscito a conseguire tutte quelle conquiste che lo hanno portato all’autonomia. Se durante lo stadio vi è una carenza eccessiva di autonomia, il bambino può ritrovarsi in una situazione di debolezza, che si traduce in un senso di costrizione che gli impedirà di affermarsi. Tuttavia, anche un eccesso di autonomia può essere nocivo per il bambino e può portarlo a una forte impulsività negli stadi successivi. Segnali evidenti che il bambino sta operando un passaggio evolutivo in termini positivi sono il mostrare sicurezza ed assertività, lo svolgere semplici compiti da solo con successo, l’essere indipendente dagli altri per quanto possibile. Segnali negativi sono il rimandare di frequente il raggiungimento di un obiettivo, la difficoltà nello svolgere compiti semplici, l’incapacità di prendere decisioni, la facilità nell’essere influenzato dagli altri, il continuo bisogno di istruzioni e direttive. Terzo stadio: iniziativa contro senso di colpa Le figure di riferimento in questa fase sono ancora i membri del nucleo familiare, ai quali si aggiungono le persone che il bambino incontra nella scuola dell’infanzia. Si tratta di un periodo nel quale il bambino accresce il proprio repertorio di capacità, diventando molto attivo: vuole muoversi, giocare, sperimentare tutto ciò che ha intorno. In particolare, inizia a sperimentare il gioco di immaginazione, nel quale fa finta di essere un adulto. Il bambino ha voglia di esprimersi anche con le parole e il suo lessico e le sue abilità nel parlare hanno un forte impulso. Può succedere che questa sua voglia di agire lo porti ad essere talvolta iperattivo, violento nei confronti delle cose o degli altri, in particolare dei coetanei. È importante che i genitori non interpretino questi atteggiamenti come negativi e lesivi, cercando di correggerli a tutti i costi; i bambini non devono vivere questi loro sfoghi di iperattività e di aggressività come dei comportamenti che inevitabilmente saranno censurati dagli adulti. Piuttosto, è bene che il genitore assecondi l’iniziativa tipica dei bambini di questa età altrimenti il rischio è che essi sviluppino il senso di colpa, forza opposta all’iniziativa, che li porta a sentirsi frustrati o ad assumere sistematicamente un atteggiamento irrispettoso nei confronti degli altri diventando individualisti, competitivi e adottando un atteggiamento di sfida nei confronti degli adulti. Se questo stadio viene superato positivamente, l’identità del bambino acquista una nuova virtù, ossia quella di riuscire a prefiggersi scopi e propositi, grazie alla quale sarà in grado di motivarsi, di porsi degli obiettivi e di cercare di raggiungerli. Se, durante lo stadio, il bambino vede limitato eccessivamente il suo livello di iniziativa, allora può maturare una situazione patologica che lo porterà a sentirsi afflitto da un senso di inibizione che lo fermerà ogni volta che vuole attivarsi per fare qualcosa. Viceversa, un eccesso di iniziativa lo porterà ad uno stato patologico di antisocialità e di narcisismo. I Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) Questo stadio rappresenta l’età adulta. Per generatività, Erikson non intende soltanto la capacità di generare attraverso la procreazione, che si potrebbe indicare, più correttamente, con il termine pro creatività, piuttosto il termine generatività ha un senso più ampio e si riferisce anche ad una attività creativa e produttiva, portata avanti attraverso il lavoro. Alla base di questa forza, vi è la voglia di prendersi cura del futuro e delle prossime generazioni: si lavora per creare un mondo migliore. Si riconosce che il senso della continuazione della vita e dell’immortalità si può cogliere non solo attraverso la generazione di figli, ma anche attraverso la volontà di aver cura delle generazioni future, in quanto il proprio lavoro e la propria testimonianza di vita sopravvivranno al singolo individuo e lo consegneranno alla storia dell’umanità. La filantropia, ossia la volontà di promuovere il benessere e la felicità degli altri, è un esempio nobile di generatività. La virtù che si matura in questo periodo è proprio l’attitudine ad aver cura degli altri. La mancanza di generatività si esprime con la stagnazione e l’immobilità e un suo eccesso genera quella che Erikson chiama recettività, ovvero l’incapacità di dare un significato alla propria vita. Viceversa, un eccesso di generatività fa concludere lo stadio con la sovraestensione, ossia un desiderio convulso di essere indaffarati, tanto da non potersi dedicare più alle proprie esigenze. Segnali di un andamento positivo dello stadio sono la volontà di raggiungere obiettivi, la capacità di essere produttivi nella vita lavorativa, la volontà di assumersi delle responsabilità. Viceversa, segnali negativi provengono da atteggiamenti quali la volontà di ritirarsi, l’attitudine fatalista, l’insoddisfazione generalizzata. Ottavo stadio: integrità dell’Io contro disperazione In quest’ultimo stadio dell’esistenza, l’uomo maturo può essere ancora impegnato in attività produttive, ma generalmente inizia a tracciare un bilancio della propria vita. L’integrità dell’Io rappresenta quella forza positiva caratteristica di questa fase che implica un’accettazione favorevole della propria esistenza come esperienza proficua, pregnante e ben vissuta. Sul lato opposto vi è la disperazione, ossia il ripudio della propria esistenza, che determina sconforto e non lascia aperta la porta ad ulteriori barlumi di speranza. Quando la forza positiva prevale nella giusta misura, si determina la virtù della saggezza. Questa comporta una valutazione obiettiva e distaccata della propria esistenza. Un eccesso di disperazione determina lo stato patologico del disprezzo, che si può manifestare, ad esempio, nei confronti dei cambiamenti, delle novità e delle nuove generazioni. Al contrario, un eccesso di integrità dell’Io, travalica la saggezza e diventa presunzione. Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) 2.6 John Bowlby Lo psicologo inglese John Bowlby (Londra, 1907 - Isola di Skye, 1990) si è occupato dello sviluppo psichico e sociale del bambino nei primi mesi di vita, prestando particolare attenzione al legame privilegiato che si instaura tra il bambino e la madre. I suoi studi hanno profonde radici nell’analisi del comportamento animale (etologia), nella teoria dell’evoluzione della specie (teoria di Darwin) e negli studi della psiche formulati da Freud. È ricordato principalmente per la sua teoria dell’attaccamento. 2.6.1 La prima versione della teoria dell’attaccamento Nell’articolo The Nature of the Child’s Tie to His Mother (1958), Bowlby formula una prima versione della sua teoria dell’attaccamento che resterà alla base anche delle successive versioni. Soffermandosi sugli aspetti positivi che caratterizzano il legame del bambino con la madre, Bowlby sottolinea che esso si esprime attraverso una serie di risposte istintuali (o reazioni istintuali) primarie, ovvero innate o ereditate (distinguendosi dalle risposte secondarie che sono acquisite tramite un processo di apprendimento), e indipendenti l’una dall’altra, nel senso che la frequenza, l’intensità, lo sviluppo di una risposta non influenza la frequenza, l’intensità o lo sviluppo delle altre. Queste risposte istintuali sono essenzialmente dei comportamenti che il bambino adotta per fare in modo che la madre sia in contatto con lui o resti nelle sue vicinanze. Bowlby ne individua cinque principali, ossia Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) succhiare, aggrapparsi, seguire, piangere e sorridere, senza escludere che ve ne possano essere altre. Durante il primo anno di vita del bambino, queste risposte istintuali si integrano formando il comportamento di attaccamento (attachment behaviour) o semplicemente l’attaccamento. Le cinque risposte istintuali si suddividono in due classi: una comprende il succhiare, l’aggrapparsi e il seguire, comportamenti che raggiungono il loro scopo anche se la risposta reciproca della madre è relativa o limitata (ad esempio, un bambino può seguire la madre, anche se questa non mostra molto interesse verso il comportamento del bambino e non attua quindi una risposta reciproca); l’altra classe comprende il pianto e il sorriso, risposte che sortiscono un effetto e raggiungono il fine prefissato solo se la madre attua una risposta reciproca. Ad esempio, se un bambino vuole essere preso in braccio, allora può iniziare a piangere. Tuttavia, questo comportamento non otterrà il risultato sperato se la madre non rivolge la propria attenzione al bambino e lo prende in braccio. Queste due risposte istintuali sono chiamate da Bowlby anche social releaser (rilasci sociali) poiché attivano negli adulti comportamenti innati con i quali essi si prendono cura dei bambini. 2.6.2 Le basi etologiche della teoria di Bowlby Bowlby formula la sua teoria dell’attaccamento dopo aver raccolto numerosi studi di etologia, alla luce dei quali osserva che le risposte istintuali e il comportamento di attaccamento sono presenti in tutte le specie animali. Egli si sofferma in particolare sul comportamento dei primati, sottolineando come i figli si “aggrappino” alle madri, di alcune specie di uccelli, che da piccoli emettono un canto riconducibile a un “pianto”, delle oche che da piccole “seguono” il becco della mamma quando questa cerca di nutrirle. Per tale motivo, Bowlby parla di risposte primarie, ossia innate, ma anche di risposte indipendenti, poiché sviluppate nelle varie specie in modo differente. Inoltre, per quanto osservato dagli etologi, si tratta di comportamenti universali. Bowlby afferma che queste risposte istintuali presentano due caratteristiche: la loro frequenza di adozione ha un andamento variabile nel tempo (ad esempio, vi sono risposte come il seguire o l’aggrapparsi che, durante i primi due anni di vita, raggiungono un apice e poi declinano in termini di frequenza e intensità) e si manifestano sotto forme espressive differenti, in base al periodo della vita nel quale vengono rivelate. Difatti, per le diverse risposte istintuali, Bowlby nota che: alla nascita le risposte del seguire e dell’aggrapparsi sono poco effettive, mentre le uniche operative sono la suzione e il pianto. Di queste solo il succhiare è la risposta che non necessita di una grande partecipazione (o risposta reciproca) della madre; al contrario, il pianto richiede la partecipazione della madre; per tale motivo, il bambino è piuttosto dipendente dalla mamma; la risposta del sorriso fa la sua comparsa più tardi, verso le sei settimane. Si tratta di un social releaser molto potente, in quanto induce in modo forte la madre a prendersi cura del bambino; al terzo mese, il seguire diventa un comportamento riscontrabile nel bambino, che “segue” con lo sguardo i movimenti della madre e si accerta che resti sempre nel suo campo visivo e non scompaia. Quando il bambino acquista le capacità motorie, inizia a muoversi in modo da restare sempre in contatto visivo e anche uditivo con la madre; l’aggrapparsi è una risposta istintuale che varia nella forma espressiva. Nel primo periodo di vita, l’aggrapparsi si esprime in forme molto rudimentali; infatti si sa che alla nascita i bambini sono in grado di sopportare il loro peso, mantenendosi aggrappati alle mani degli adulti. Nei primi mesi, questo comportamento si esprime mentre il bambino succhia e tende ad aggrapparsi lievemente al seno materno. Più tardi, il bambino riesce ad aggrapparsi con grande tenacità al corpo della madre Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) base alla modalità di interazione stabilita con la madre: comportamenti che innescano l’interazione, come salutare, sorridere, chiamare, avvicinarsi, raggiungere, toccare e abbracciare; comportamenti che rispondono alle iniziative della madre, di cui fanno parte tutti quelli già elencati ai quali si aggiunge il guardare; comportamenti mirati ad evitare la separazione, come piangere, seguire e aggrapparsi; comportamenti di tipo esplorativo, che mantengono come costante riferimento la madre; comportamenti di ripiegamento verso la madre, dettati da paura o da ansia. 2.6.5 Gli stadi di sviluppo dell’attaccamento Per Bowlby il comportamento di attaccamento si sviluppa in quattro fasi principali. Fase 1: Orientamento e segnalazione senza discriminazione Questa fase va dalla nascita ai 2-3 mesi. Il bambino interagisce con l’ambiente e le persone circostanti, soprattutto mediante comportamenti di orientamento e segnalazione: egli volge il viso verso le persone, le segue con gli occhi, sorride, afferra le dita, interrompe il pianto quando sente una voce o vede un volto. In particolare, il bambino sembra porre attenzione soprattutto ai movimenti dei visi delle persone, seguendone le traiettorie. Inizialmente non sembra distinguere la faccia di un familiare da quella di un estraneo. A poco a poco, imparando a riconoscere le sembianze, si concentra esclusivamente sui familiari ignorando gli altri. Il bambino sembra provare diversi schemi comportamentali semplici, come il sorriso, la suzione, il movimento della testa, il pianto, il balbettio, l’aggrapparsi, sperimentando quali di essi suscitano maggiore risposta negli adulti e, in particolare, nell’adulto di riferimento (la madre). Tipicamente, le risposte attese dal bambino sono il cibo e la prossimità dell’adulto. Gli schemi che sortiscono meglio l’effetto saranno ripetuti più degli altri, destinati a diventare di conseguenza rari. Fase 2: Orientamento e segnalazione con discriminazione Questa fase va dai 2-3 mesi fino ai 5-6 mesi. In questo periodo, i comportamenti che prima erano diretti in modo indiscriminato verso tutti gli adulti, ora si indirizzano in modo specifico verso la madre. Sono veri e propri schemi di comportamento che mirano a conseguire l’attaccamento alla madre. In particolare, il bambino smette di piangere solo se la madre lo prende in braccio o solo se la madre gli si avvicina. Egli sorride in via preferenziale alla mamma orientando il volto in prevalenza verso di lei. In questa fase la responsabilità di mantenere il legame tra madre e figlio viene ascritta principalmente alla madre. Il bambino, infatti, è incapace di attuare comportamenti esecutivi efficaci perché ha una motilità limitata e pertanto può lanciare solo dei segnali, che spetta alla madre cogliere per mantenere stretto il legame. Fase 3: Mantenimento della prossimità, mediante segnalazione ed esecuzione Questa fase va dai 5-6 mesi fino ai 2 anni d’età. Si tratta di un periodo cruciale, durante il quale il bambino inizia a maturare abilità motorie. Pertanto, cresce il numero dei comportamenti esecutivi che affiancano quelli di orientamento e di segnalazione, già sviluppati in precedenza. Continua a permanere il legame privilegiato con la madre, che è la destinataria di tutti i comportamenti mirati all’attaccamento. Si attuano quegli schemi mentali che prevedono il mantenimento di una distanza prefissata dalla madre: il bambino si avvicina, segue, si arrampica sul corpo della madre, esplora, si aggrappa a parti del corpo della madre. Anche se in questa fase il bambino Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) acquisisce abilità motorie, non gli si può attribuire un livello crescente di responsabilità del legame. Egli è ancora inesperto nei movimenti e non ha una lucida cognizione dei pericoli circostanti. Pertanto, la responsabilità di mantenere il legame tra madre e figlio è ancora in buona parte nelle mani della madre. Fase 4: Formazione di una relazione reciproca In questa fase, che va dai 2 anni in poi, il bambino è entrato in sintonia con la madre: la conosce bene e riesce a prevedere i suoi comportamenti. Pertanto, aggiusta e calibra i propri in modo da mantenere l’attaccamento alla madre e le distanze prefissate come obiettivo. Inoltre, il bambino è in grado di attuare comportamenti tesi a modificare quelli della madre. Quando non è in grado di aggiustare la distanza con le proprie forze, il bambino innesca schemi di comportamento mirati a persuadere l’adulto di riferimento e ad indurlo a fare qualcosa. Questa strategia ha una sua particolare competenza, richiede uno sviluppo cognitivo non banale. Per cercare di convincere l’altro, il bambino deve essere capace di porsi nella stessa prospettiva dell’adulto. Ovviamente si tratta pur sempre di strategie semplici; difatti, Bowlby non rifiuta gli studi di Piaget e ritiene che il bambino sia ancora in una fase egocentrica, che tuttavia deve gradualmente attenuarsi. In questa fase il bambino ha raggiunto buone capacità motorie, pertanto è in grado di gestire in prima persona il livello di vicinanza alla madre. Ora la responsabilità del comportamento di attaccamento ricade maggiormente sul bambino e, rispetto alle fasi precedenti, i ruoli di responsabilità tendono a invertirsi. 2.6.6 La teoria di controllo del comportamento di attaccamento Nei due volumi intitolati entrambi Attachment and loss, pubblicati nel 1969 e nel 1973, Bowlby riformula la propria teoria dell’attaccamento. Quello che inizialmente era stato indicato come un gruppo primario e indipendente di comportamenti di attaccamento, ora sembra assumere la forma molto sofisticata di un sistema comportamentale che controlla il comportamento istintuale. Di giorno in giorno, il bambino si ritrova in situazioni per le quali deve: valutare la propria incolumità e l’eventuale insorgenza di un pericolo; valutare in quanto tempo sia possibile avere la disponibilità della figura di riferimento (cui è attaccato); valutare quanto questa figura di riferimento sia disposta a prestargli attenzione e cure. Ogni volta che un bambino si ritrova in una situazione del genere, non compie i propri ragionamenti partendo da zero, ma cerca di ricondursi ad esperienze precedenti. In questo modo il bambino, interagendo di continuo con il mondo esterno, costruisce dei Modelli Operativi Interni (Internal Working Model) che sono sempre più sofisticati. Questi modelli mirano a costruire delle rappresentazioni mentali che includono: il mondo e l’ambiente circostante in cui il bambino interagisce; il comportamento degli adulti di riferimento (significativi) per il bambino; il comportamento del bambino stesso. Difatti, nella loro dicitura completa i modelli vengono definiti Modelli Operativi Interni delle figure di riferimento e di sé. Con i Modelli Operativi Interni, il bambino può valutare le conseguenze dei propri comportamenti e prendere una decisione su quali attuare. Inoltre, i modelli operativi si arricchiscono e diventano più complessi e articolati in seguito alle esperienze vissute. In particolare, Bowlby afferma che essi hanno le seguenti funzionalità: rappresentare il mondo esterno o la situazione che viene vissuta in piccola scala; Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) mettere in evidenza le possibili azioni, o le sequenze di azioni da eseguire in questa situazione; selezionare quelle che sembrano più efficaci, fattibili e plausibili; individuare quale di queste azioni è la migliore da mettere in pratica; raccogliere risultati e conseguenze della scelta effettuata; provare a prevedere quali sono gli sviluppi che possono determinarsi in futuro, da una certa situazione di partenza; utilizzare cosa si è appreso nelle situazioni passate, per metterlo a frutto nel futuro. Si noti come la nozione di Modello Operativo Interno di Bowlby sia simile agli schemi o alle strutture di pensiero introdotte da Piaget nella sua teoria dello sviluppo cognitivo. Bowlby rileva l’importanza che ha lo sviluppo di Modelli Operativi Interni corretti nel bambino, al fine di influenzare positivamente la sua vita di relazione con gli altri e il giudizio su se stesso, quando egli sarà un adulto. Ad esempio, se la figura di riferimento rifiuta il legame che il bambino vuole instaurare con lei, oppure ridicolizza questa volontà di legame, il bambino può sviluppare un Modello Operativo Interno nel quale i genitori sono scostanti, ma nel quale egli stesso non si sente degno di essere aiutato e consolato. Al contrario, se una figura di riferimento aiuta e consola il bambino quando ve n’è bisogno, allora il bambino tenderà a sviluppare un modello nel quale i genitori sono attenti e amorevoli ed egli stesso si considera una persona degna di tali attenzioni. 2.6.7 L’ipotesi della deprivazione materna Il volume Maternal Care and Mental Health è un report che Bowlby ha preparato per l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1952. In esso, lo psicologo inglese argomenta la sua tesi sulla deprivazione materna. In particolare, Bowlby riesce a catalogare numerosi studi che mettono in evidenza come la mancanza e/o l’assenza in età infantile della figura materna possa avere degli effetti, anche a lungo termine, sulla salute mentale e sullo sviluppo della personalità di un bambino. Gli studi si suddividono in tre tipologie: studi di osservazione diretta, nei quali si cerca di mettere in relazione il fenomeno della deprivazione materna con i disturbi mentali e i ritardi di sviluppo. Di solito si confrontano bambini ospitati in istituzioni specifiche, in ospedali o presso famiglie adottive, che hanno vissuto un’esperienza accertata di deprivazione materna, con bambini che invece non hanno subito tale esperienza traumatica e che vivono in famiglie appartenenti a uno strato sociale generalmente umile, perché normalmente è il medesimo dei bambini ospitati in istituti, ospedali o famiglie adottive; studi di retrospettiva, nei quali si considerano persone adulte o adolescenti con malattie e problemi mentali cercando di ricostruire la storia passata di questi soggetti per constatare in quanti casi vi è stata una condizione di mancanza e/o assenza della figura materna durante l’infanzia; studi di follow-up, in cui si considerano dei bambini che hanno vissuto esperienze di deprivazione materna, nell’ottica di rilevare se hanno maturato disturbi mentali oppure mostrano segni di ritardo nello sviluppo. Per Bowlby, da questi studi emerge, senza ombra di dubbio, che il bambino e l’adulto di riferimento (solitamente la madre, o un suo sostituto permanente) devono sperimentare una relazione continua e intima, che rechi ad entrambi soddisfazione e godimento. Se questa relazione si stabilisce, le emozioni che inducono Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) sviluppare correttamente il suo Io ed il suo Super-Io. Pertanto, lo sviluppo di questi ultimi è inestricabilmente legato alle relazione che il bambino instaura con la figura materna nelle sue prime fasi di vita; se queste relazioni sono soddisfacenti, allora lo sviluppo dell’Io e del Super-Io lo sarà altrettanto. In conclusione, Bowlby afferma che l’Io e il Super-Io dei bambini che hanno vissuto esperienze di deprivazione materna, si sono sviluppati poco rispetto alla media degli altri bambini. Il loro comportamento è infatti in parte ancora controllato dall’Es. Si tratta di un comportamento impulsivo, incerto, incapace di stabilire obiettivi a lungo termine, perché sempre in balia di capricci temporanei. Tutti i desideri hanno lo stesso valore e devono essere affermati. Questi bambini non hanno alcuna capacità di inibizione. Sono incapaci di concentrarsi sulle esperienze che vivono e pertanto hanno difficoltà a imparare e a crescere cognitivamente. Essi stessi rappresentano il loro maggior nemico. 2.7 Mary D. S. Ainsworth Mary Dinsmore Salter Ainsworth (Glendale, 1913 - Charlottesville, 1999) è stata una delle maggiori collaboratrici di Bowlby. In seguito ha continuato ad approfondire gli studi sul legame madre-figlio autonomamente, concentrandosi in prevalenza sulla procedura della Strange Situation, da lei concepita per studiare la qualità del legame tra mamma e figlio. 2.7.1 La Strange Situation L’obiettivo di Ainsworth è descrivere il comportamento di attaccamento del bambino alla madre. Esistono vari modelli di attaccamento, che presentano differenze sostanziali; inoltre l’attaccamento del bambino alla madre può avere intensità differenti a seconda dei casi e delle situazioni. Con il suo esperimento, Ainsworth vuole studiare questo comportamento al quale Bowlby ha associato delle ragioni evolutive e di sopravvivenza. Ainsworth analizza anche il comportamento di esplorazione del bambino che ha anch’esso delle ragioni evolutive e di sopravvivenza. L’uomo si è adattato all’ambiente proprio grazie alla sua voglia di imparare e di scoprire. A tale scopo, la psicologa predispone una camera nella quale deve essere inscenata la strange situation, ovvero la situazione sperimentale. Il ricercatore può osservare quanto avviene nella stanza, senza che le persone coinvolte ne avvertano la presenza. Per l’esperimento vengono selezionati bambini di un anno che vengono osservati uno alla volta. La madre entra nella camera con il bambino; in seguito si succedono alcuni eventi: dapprima entra un estraneo, poi la mamma esce dalla camera, successivamente esce l’estraneo e il bimbo resta solo, poi rientra l’estraneo e infine la madre. La dinamica specifica dell’esperimento è riportata in Tabella 2.5. In ciascuno degli 8 episodi, le figure coinvolte svolgono determinate azioni. In questo contesto, si osservano i comportamenti del bambino. Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) I comportamenti del bambino osservati sono quello di attaccamento, di ricerca e di esplorazione. Il comportamento di attaccamento viene a sua volta suddiviso in classi distinte: Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) comportamenti di prossimità e di ricerca del contatto, come l’avvicinamento, l’arrampicarsi sull’adulto, l’appoggiarsi, il rivolgere urla verso l’adulto; comportamenti di mantenimento del contatto, ossia quei comportamenti che vengono attuati dopo aver raggiunto un contatto, come abbracciare, tenersi stretto; comportamenti che vogliono evitare la prossimità e il contatto, ossia quei comportamenti che tendono ad evitare l’adulto, come girarsi dall’altra parte, evitare di guardarlo, allontanarsi, muoversi dalla parte opposta; comportamenti che resistono all’interazione e al contatto, ossia quei comportamenti che vogliono allontanare con forza l’adulto, come colpirlo, scalciare, spingerlo lontano, urlare per essere lasciato libero. Tali comportamenti vengono osservati nei confronti sia della madre, sia dell’estraneo, in diverse condizioni d’animo del bambino, negli episodi 2, 3, 4, 5, 7 e 8. Ovviamente, ciascuno di questi comportamenti dà luogo a una diversa intensità dell’attaccamento del bambino. I l comportamento di ricerca è definito come quel comportamento mediante il quale il bambino ricerca la propria madre quando questa non è nella stanza. Questo comportamento viene evidenziato dal muoversi verso la porta dalla quale è uscita la madre, dal cercarla nell’ultimo posto dove era stata vista e da altri atteggiamenti simili. Tale comportamento viene osservato negli episodi 4, 6 e 7. Infine, vi è il comportamento di esplorazione che consiste nel muoversi nella stanza ed esplorarla, oppure nel concentrarsi sull’utilizzo di un giocattolo. È un comportamento che si osserva negli episodi dal 2 al 7. 2.7.2 I gruppi individuati nella Strange Situation Per ciascun bambino vengono valutati quantitativamente i seguenti comportamenti: quanto il bambino si attacca alla madre e quanto all’estraneo; quanto il bambino ricerca la madre se assente; quanto il bambino esplora la stanza o osserva gli oggetti che gli vengono dati. In base a queste valutazioni i bambini sottoposti allo studio vengono distinti in tre gruppi. Il gruppo A viene definito gruppo dei bambini insicuri ed evitanti, che mostrano una scarsa tendenza (o non la mostrano affatto) a ricercare la prossimità o l’interazione con la loro madre. Se presi in braccio tendono a non aggrapparsi alla madre e sono indifferenti al suo allontanamento; inoltre tendono ad evitare la madre, anche quando ritorna dopo l’assenza. Non danno cenni di benvenuto alla madre e la ignorano. In aggiunta, i bambini di questo gruppo trattano l’estraneo allo stesso modo, talvolta ignorandolo anche di meno. Non entrano in uno stato d’ansia quando si separano dalla madre oppure restano soli. Il gruppo B viene definito gruppo dei bambini sicuri. Quando la madre ritorna nella stanza, questi bambini la salutano. Mostrano un chiaro desiderio di attaccamento e di prossimità con la madre. Vogliono interagire con lei. Quando non la vedono, tendono a cercarla attivamente. I bambini di questo gruppo possono relazionarsi con l’estraneo oppure possono evitarlo; senza dubbio sono più propensi, però, a interagire con la madre, anziché con lo sconosciuto. Quando questi bambini entrano in uno stato di ansia durante gli episodi, ciò avviene per l’assenza della madre e non semplicemente perché sono soli. Questi bambini riescono a vedere nella madre una base sicura da cui far partire l’esplorazione dell’ambiente circostante. Il gruppo C viene definito gruppo dei bambini insicuri e ambivalenti. Si tratta di un gruppo di bambini che Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) Stadio 1: evolutivi che codificheranno la sua teoria. In primo luogo, uno stadio rappresenta un sistema organizzato di pensiero alla cui base vi sono delle strutture. Un individuo è collocato in uno stadio evolutivo quando riesce a inquadrare il proprio livello di giudizio e di ragionamento morale, in modo consistente, in quel sistema di pensiero. Ovviamente, gli stadi sono qualitativamente diversi, perché le strutture e i ragionamenti alla loro base sono diversi da un punto di vista qualitativo. Inoltre, gli stadi formano una sequenza invariante. Vale a dire che gli stadi si susseguono allo stesso modo in tutti gli individui. In altre parole, ciascun individuo evolverà dallo stadio 1 allo stadio 2, poi dal 2 al 3 e così via. L’evoluzione è sempre in avanti e progredisce sempre di uno in uno; in pratica, nessuno stadio evolutivo può essere evitato. Se ciò è vero in qualsiasi individuo, allora vuol dire che la sequenza è invariante per qualsiasi cultura si consideri. In questo secondo caso si parla anche di sequenza universale, in quanto è la stessa per tutte le culture. Infine, gli stadi sono integrati gerarchicamente tra loro. In altre parole, lo stadio successivo è comprensivo del precedente. Il sistema di pensiero caratteristico di uno stadio è inclusivo del sistema dello stadio che lo precede. Per definire gli stadi di sviluppo, Kohlberg intraprende due tipologie di studi: d i carattere trasversale, ossia su più soggetti tutti della stessa età anagrafica, per inquadrarla all’interno di un certo stadio, da un punto di vista statistico; di carattere longitudinale, ossia sullo stesso soggetto, studiato più volte in un arco di tempo lungo, per osservare l’evoluzione del soggetto e il suo passaggio da uno stadio al successivo. Lo strumento alla base della ricerca di Kohlberg è un insieme di dilemmi morali. Questi dilemmi sono proposti ad individui di diverse età. In base alla risposta, viene assegnato un punteggio che li colloca in uno stadio. Un esempio di dilemma morale è quello di Heinz. La moglie di Heinz è vicina alla morte per una forma di cancro. Un dottore informa Heinz che la guarigione è possibile solo grazie a una medicina, ricavata di recente, che è in possesso di un solo medico. Il medico lucra molto sulla vendita della medicina e chiede ad Heinz una cifra che non ha a disposizione. Heinz può offrigliene la metà con la promessa di saldare il debito appena possibile, ma il medico rifiuta. A questo punto, Heinz decide di rubare la medicina per salvare la moglie. Il dilemma è il seguente: “Ha fatto bene Heinz?”. Più che alla risposta affermativa o negativa, Kohlberg è interessato a cogliere la motivazione presente dietro la risposta. In quella motivazione è racchiuso il ragionamento morale che colloca il bambino nello stadio evolutivo opportuno. 2.8.3 Gli stadi dello sviluppo morale Kohlberg giunge a delineare la seguente teoria dello sviluppo morale. Egli individua tre livelli; ciascun livello è caratterizzato da due stadi. Pertanto, vi è un totale di sei stadi che si susseguono. Livello Pre-convenzionale (da circa 4 anni a circa 10 anni) A questo livello il bambino è consapevole delle regole culturali e tramite esse è in grado di etichettare le azioni e i comportamenti come buoni o cattivi, come giusti o sbagliati. Tuttavia i suoi ragionamenti sono indotti osservando le sole conseguenze fisiche o edonistiche. Le cose sono giuste o sbagliate perché vi sono conseguenze come le sanzioni, le punizioni, le ricompense e i premi. Il compiere un’azione può essere utile per avere un qualcosa in cambio successivamente. L’obbedienza è rivolta soprattutto verso il potere fisico. Il bambino agisce in base a quali saranno le conseguenze fisiche delle sue Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) l’orientamento verso la punizione e l’obbedienza Stadio 2: l’orientamento strumentale- relativistico Stadio 3: l’orientamento verso la concordia generale e l’approvazione degli altri azioni. La bontà o l’inadeguatezza di un’azione sono determinate dagli effetti che essa determina, a prescindere dal significato o dal valore delle conseguenze che comporta. A dettare il comportamento è soprattutto la paura della punizione; vi è ubbidienza e deferenza verso chi detiene il potere di punire. Il bambino decide di sottostare ad una autorità per evitare conseguenze, ritenendo che questo modo di agire costituisca un valore in sé. Obbedire ad una autorità non ha un particolare significato morale. In relazione al dilemma di Heinz, la risposta di un bambino allo stadio 1 potrebbe riportare che Heinz non deve rubare la medicina altrimenti finisce in prigione. Come si vede, l’orientamento dell’azione è dettato dal timore della punizione. Il bambino ritiene che le azioni giuste siano quelle destinate a soddisfare strumentalmente i propri desideri e, talvolta, anche quelli degli altri. L’ambito delle relazioni umane è paragonato ad un mercato nel quale avvengono scambi e contrattazioni. Se esistono degli elementi di equità e di reciprocità, questi sono sempre visti in un’ottica di pragmatismo e convenienza, innanzitutto per se stessi. Se ci si comporta in un certo modo, che può sembrare moralmente giustificabile, lo si fa solo perché si ha un tornaconto. Le azioni sono guidate dalla possibilità di avere qualcosa in cambio e non da un senso di giustizia, di gratitudine o di lealtà. Nel dilemma proposto, la risposta di un bambino allo stadio 2 contemplerebbe la possibilità di Heinz di rubare la medicina perché alla fine, sebbene in prigione, potrebbe comunque incontrare la moglie ed essere più felice che rimanendo da solo. In alternativa, potrebbe rispondere che Heinz non deve rubare la medicina perché in prigione lo aspetterebbe una vita triste almeno quanto quella che non può più vederlo al fianco della moglie. Come si vede, non importa se la risposta è affermativa o negativa; alla sua base vi è sempre la ricerca della condizione più favorevole, più conveniente in relazione a un proprio tornaconto. Livello Convenzionale (adolescenti e adulti) Nel livello convenzionale, l’individuo inizia a percepire che è moralmente opportuno perseguire gli obiettivi di un gruppo con il quale condivide la propria esistenza. Questo gruppo può essere la propria famiglia, una generica collettività nei confronti della quale si nutre un sentimento di appartenenza, un’istituzione da cui ci si sente rappresentati oppure una nazione. Pertanto, l’individuo è disposto a intraprendere azioni in questa direzione, anche se ha ben chiare le dirette conseguenze. In altre parole, ci si adopera perché un certo ordine precostituito possa permanere, perché l’essere conformi a quest’ordine e l’identificarsi con il gruppo che lo mantiene è ritenuto un valore morale. Un comportamento corretto è quello che desta approvazione negli altri ed è socialmente accettato. L’adolescente tende a conformarsi ad alcuni stereotipi che riconosce nella maggioranza degli individui che costituiscono la collettività di cui si sente parte. Ciò che riesce ad aiutare questa collettività e che suscita consenso in essa, è ciò che trova una giustificazione morale. Si tende a voler evitare la disapprovazione degli altri e a mantenere buoni rapporti nella collettività. Kohlberg parla anche di orientamento verso l’essere “un bravo ragazzo” o “una ragazza garbata”. Per quanto riguarda il dilemma di Heinz, l’adolescente al terzo stadio risponderebbe che l’uomo deve rubare la medicina perché un buon marito è disposto a tutto per la moglie, oppure che Heinz non deve rubare la Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) Stadio 4: l’orientamento verso l’ordine e la legalità Stadio 5: l’orientamento legalistico verso il contratto sociale (con toni utilitaristici) Stadio 6: l’orientamento universale, etico e verso i principi medicina perché un gesto del genere creerebbe disappunto tra i suoi conoscenti e chi gli sta vicino. In entrambi i casi, vi è un comportamento dettato dal ricercare l’approvazione di chi è intorno ad Heinz. A questo stadio, l’individuo ritiene che abbiano un valore morale tutte quelle azioni che riescono a garantire e sostenere l’ordine sociale, le regole comunemente accettate e l’autorità riconosciuta dalla collettività. I comportamenti corretti sono quelli che permettono di svolgere il proprio dovere, che mostrano rispetto per l’autorità e garantiscono il mantenimento dell’ordine sociale vigente. Il dilemma di Heinz per una persona adulta al quarto stadio sarebbe risolto affermando che il marito non può rubare la medicina perché è una azione proibita dalla legge. In alternativa, Heinz dovrebbe rubare la medicina per salvare la propria moglie, ma dovrebbe accettare anche la sentenza che lo condanna al carcere per aver rubato, nel pieno rispetto della legge. In entrambi i casi, si tratta di risposte che concordano con l’affermare che tutto si deve svolgere nei termini di legge, secondo quanto è stabilito dall’ordine precostituito nella società. Livello Post-convenzionale (o livello autonomo o livello di principio) Si tratta di un livello che non viene raggiunto da tutti gli adulti, ma solo da una parte di essi. In questo livello vi è il superamento dell’autorità precostituita, nell’ottica di definire nuovi valori morali e nuovi principi che hanno un valore ancora più generale di quelli che vigono nel gruppo di appartenenza, con cui si identifica l’individuo. In questo stadio, c’è una chiara consapevolezza del relativismo dei valori e delle opinioni personali; di conseguenza viene posta enfasi sulle regole procedurali che possono far raggiungere un consenso generale su di un tema o una questione, garantendo al meglio i diritti di tutti. Un’azione con uno sfondo morale è quella che tiene conto dei diritti dei singoli individui e che può essere comunemente accettata dalla società. Si pone l’accento sulla possibilità di cambiare le leggi e le regole per migliorarle in termini di utilità sociale, seguendo procedure concordate e razionali. Sotto questo punto di vista vi è il superamento dello stadio 4, nel quale l’impegno era profuso verso il mantenimento dell’ordine attuale, senza alcuna lettura critica che portasse ad un suo miglioramento. In questo stadio, il dilemma proposto sarebbe risolto affermando che Heinz dovrebbe rubare la medicina perché ognuno ha il diritto di vivere a dispetto di ogni legge. In questo caso si cerca una morale che vada oltre le regole vigenti e che, comunque, sia comunemente accettata e abbia un suo fondamento logico. Il bene è definito secondo dei principi che l’individuo pone a se stesso e che sono auto-consistenti, universali, logici, coerenti e completi. Si tratta di principi astratti che ricordano l’imperativo categorico kantiano; non si tratta di regole morali di tipo concreto. Si è di fronte a principi universali di giustizia, di reciprocità e di uguaglianza dei diritti umani. Si considera il rispetto della dignità di ogni singolo essere umano come un valore irrinunciabile. L’uomo deve essere il fine di ogni azione e non il mezzo per raggiungere uno scopo (l’imperativo categorico kantiano). Nel dilemma di Heinz, una risposta che evidenzia questo stadio può riportare che Heinz deve rubare la medicina perché esiste una scala di valori universali e il diritto alla vita viene prima del diritto alla proprietà (in questo caso della medicina). Quest’ultimo può essere violato per affermare il diritto superiore alla vita. In alternativa, si potrebbe rispondere che Heinz non deve rubare la medicina perché così la sottrae a un’altra persona che ne ha bisogno e che può pagarla. In questo secondo caso sarebbero soddisfatti entrambi i diritti, quello alla vita e quello della proprietà e del compenso per il lavoro svolto del medico. Si nota che entrambi i Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) su di un albero. L’unico modo di salvare il gattino è arrampicarsi sull’albero e rompere la promessa fatta al padre. Dopo aver raccontato la storia ai bambini, viene posta loro la seguente domanda: “Pensi che il papà di Holly si arrabbierà quando verrà a sapere che la figlia si è arrampicata sull’albero?”. Dalle risposte dei bambini si può dedurre quanto essi riescano a calarsi nei panni del padre, ad osservare la situazione dal punto di vista del genitore, piuttosto che dal loro punto di vista, che può essere simile a quello di Holly. In parole semplici, fino a che punto i bambini riescono ad assumere il ruolo del padre (Role-taking)? Fino a che punto i bambini riescono a porsi dalla prospettiva del padre (Perspective-taking)? 2.9.4 Gli stadi evolutivi del Role-taking Selman individua 5 stadi evolutivi del Role-taking, che di seguito presentiamo nel dettaglio. Stadio 0 – Lo stadio egocentrico (da circa 4 anni a circa 6 anni) Dal punto di vista del contenuto, ossia il riconoscere la condizione psicologica dell’altro, il bambino si limita all’osservazione dei fenomeni che sono apertamente visibili e manifesti. Egli è capace di leggere le emozioni degli altri, comprende che un altro bambino piange oppure che si diverte. Il bambino comprende cosa può far piangere o può far divertire un altro bambino e, analogamente, cosa può essere di diletto o può far contrariare se stesso. Tuttavia, il bambino ha difficoltà nel capire perché le persone compiono certe azioni, sul piano della loro motivazione interna. Per lui è evidente l’azione, ma il piano dell’azione resta indistinto da quello della motivazione che produce l’azione stessa. In altre parole, per il bambino, gli altri non sono ancora dei soggetti che interpretano le situazioni sociali, proprio come può fare lui. Inoltre, l’incapacità di distinguere negli altri il movente dall’azione, determina anche l’incapacità di distinguere le azioni volute e intenzionali, da quelle avvenute per caso o in modo fortuito e non intenzionale. Dal punto di vista della struttura formale, il bambino non è in grado di comprendere il punto di vista altrui di una situazione sociale. Proietta negli altri il proprio punto di vista e non vede alternative possibili. Sebbene il bambino sia in grado di distinguere fisicamente sé dagli altri, egli non è in grado di differenziare i punti di vista, riconducendo qualsiasi situazione sociale sempre nell’ambito della propria prospettiva. Per questo motivo tale stadio è definito egocentrico. Per tornare all’esempio pratico della storia di Holly, un bambino al livello 0, alla domanda sull’irritazione del padre circa la disobbedienza della figlia, potrebbe rispondere, ad esempio, che il padre sarà felice dell’impresa di Holly, perché gli piacciono i gattini. Tuttavia, alla richiesta di motivare meglio la felicità del padre, il bambino potrebbe rispondere che a lui piacciono i gattini, pertanto anche al padre di Holly piaceranno. In questo caso, in modo evidente, il bambino non riesce a distinguere il proprio punto di vista da quello del padre. Siccome il bambino è felice dell’impresa di Holly, anche il padre lo sarà, in quanto sia al bambino sia al padre di Holly piacciono i gattini. Stadio 1 – Lo stadio soggettivo (da circa 6 anni a circa 8 anni) Sul piano del contenuto, il bambino capisce che gli altri sono in grado di interpretare una situazione sociale, proprio come fa lui. In altre parole, gli altri diventano dei soggetti che hanno una capacità di valutare le situazioni. La grande conquista di questo stadio è l’abilità del bambino di comprendere che le azioni e le scelte hanno sempre un movente o una ragione sottostante, sia nel suo caso, sia nel caso degli altri. Inoltre, il bambino comprende che esistono distinzioni precise tra le azioni che sono intenzionali, per le quali vi è un proposito, e quelle accidentali o non intenzionali. Sul piano della struttura formale, il bambino comprende che vi è un proprio Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) modo di interpretare la situazione sociale, ma vi deve essere anche un modo diverso di vedere, interpretare e giudicare una situazione sociale, che è quello degli altri. Inoltre, comprende che il giudizio di una situazione sociale cambia in base alla quantità di informazioni che si possiedono. Ciascuno è un soggetto che può vedere una situazione dal proprio punto di vista. Per tale motivo si parla di stadio soggettivo. Riguardo all’esempio pratico di Holly, un bambino in questo stadio evolutivo potrebbe rispondere che il padre potrebbe essere arrabbiato perché Holly si è arrampicata sull’albero; tuttavia, se venisse a conoscenza che lo ha fatto per salvare un gattino, allora potrebbe apprezzare il gesto della figlia. A questo livello ci sono due tipi di consapevolezza: il padre riesce a comprendere il punto di vista di Holly, ossia quello di salvare il gattino; pertanto, il bambino è in grado di percepire che è possibile calarsi nei panni degli altri; il padre può assumere un atteggiamento diverso a seconda del livello di informazioni che possiede; quindi, il bambino riconosce che non tutti possono essere consapevoli allo stesso livello di una certa situazione sociale. Stadio 2 – Lo stadio autoriflessivo (da circa 8 anni a circa 10 anni) Dal punto di vista del contenuto, il bambino è consapevole che: ciascuno possiede una gerarchia di priorità e ha una scala di gradimento di situazioni psicologiche; queste priorità influenzano le azioni concrete di ognuno da un punto di vista sociale. In altre parole, mentre nello stadio 1 si coglie il nesso tra il movente e l’azione, nello stadio 2 si avverte la presenza di una gerarchia di obiettivi in ciascun individuo; questi obiettivi determinano un movente e un’azione; ogni persona dà un peso specifico, assegna una particolare rilevanza ad alcune azioni sociali; questo peso e questa rilevanza sono frutto di moventi e ragionamenti, specifici di ciascun individuo; così come egli può ritenere gli altri autori di azioni intenzionali o fortuite, anche gli altri possono ritenere lui autore di azioni parimenti programmate o casuali; in altre parole, il bambino è in grado di cogliere una certa reciprocità tra movente e azione sua e degli altri. Sul piano della struttura formale, il bambino comprende che così come egli è stato in grado di cogliere la soggettività dei sentimenti e delle azioni in relazione a sé e agli altri, allo stesso modo anche gli altri hanno elaborato questo risultato. Pertanto, il bambino capisce che, così come egli giudica ed esamina le azioni degli altri, anche gli altri fanno lo stesso riguardo alle sue azioni. Ciò chiaramente influenza il modo di comportarsi del bambino e modifica in modo qualitativo il suo Role-taking. Tornando alla situazione sociale che vede protagonisti Holly e suo padre, un bambino in questo stadio risponderebbe che il padre sa che Holly pensa che lui si arrabbierebbe. Tuttavia, il padre potrebbe pensare anche che Holly, nel decidere di arrampicarsi, abbia pensato che lui non si sarebbe arrabbiato per quello che lei stava facendo. Pertanto, alla luce di questo ragionamento, il padre non dovrebbe adirarsi per il gesto di Holly. In altre parole, il bambino mette in evidenza il fatto che il padre è consapevole che la figlia, prima di compiere il gesto, si chiede, in ogni caso, cosa il padre possa pensare. A questo punto, si può chiedere al bambino cosa penserebbe il padre se Holly non valutasse la sua posizione prima di salire sull’albero. Il bambino potrebbe rispondere che, in tal caso, il padre si arrabbierebbe. In questo caso, si nota come il bambino sia in grado di imputare a un soggetto (il padre) delle valutazioni e dei giudizi sulla posizione degli altri; tuttavia, il bambino comprende anche che il soggetto (il padre) è consapevole che anche gli altri (Holly) fanno delle valutazioni sui propri giudizi. Siamo giunti a un nuovo livello di Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it) consapevolezza: il bambino fa delle valutazioni sulle reazioni degli altri, ma è cosciente che anche gli altri fanno valutazioni su quali possano essere le sue reazioni. Stadio 3 – Lo stadio reciproco (da circa 10 anni a circa 12 anni) Dal punto di vista del contenuto, il bambino è consapevole che: in modo simultaneo e sistematico tra due soggetti vengono attuate dinamiche in cui ciascuno considera allo stesso tempo il proprio punto di vista e il punto di vista altrui. Pertanto la reciprocità viene perfezionata; al di fuori di una dinamica sociale a due, vi sono anche soggetti terzi che possono essere influenzati da quella stessa dinamica; a tale proposito, questi soggetti terzi hanno un loro punto di vista. Sul piano della struttura formale, il bambino è cosciente che, in una situazione sociale, si possono prendere in considerazione più prospettive e si genera una rete di relazioni, piuttosto che una relazione diadica (di coppia). Inoltre, queste relazioni si instaurano simultaneamente, rendendo più complesso il quadro sociale. Tornando alla situazione sociale di Holly e del padre, un bambino in questo stadio, stimolato con domande appropriate, risponderebbe con un’analisi simultanea delle posizioni di Holly e del padre, spiegando da un lato le ragioni per le quali Holly non dovrebbe salire sull’albero (divieto del padre), e dall’altro le ragioni per le quali dovrebbe farlo (l’incolumità del gattino) e le motivazioni dell’arrabbiatura del padre (per il divieto infranto), ma anche della sua possibile comprensione (perché il padre non poteva prevedere la situazione del gattino). Il bambino è in grado di assumere la posizione di una terza parte, non coinvolta direttamente nell’evento. Stadio 4 – Lo stadio sociale (da circa 12 anni in poi) Dal punto di vista del contenuto, il bambino è consapevole che comprendere le dinamiche simultanee e reciproche che avvengono tra due soggetti non sempre porta ad una comprensione completa da parte di entrambi. Per questo motivo, esiste anche un insieme di convenzioni sociali, di valori unanimemente accettati, che è alla base della comunicazione tra gli individui e che rende possibile la comprensione tra questi ultimi. Ciascun soggetto è frutto di un sistema di valori, convenzioni, abitudini e credenze, che si determina in un ambito più vasto, quale la società che accoglie i soggetti stessi. Sul piano della struttura formale, il bambino comprende che le relazioni tra i soggetti sono determinate da un sistema di valori influenzato oltre che dalla sua storia personale, anche da un particolare stato d’animo che sta vivendo, nonché da un sistema sociale che esibisce valori morali condivisi in modo diffuso. In relazione alla storia di Holly e del padre, un bambino in questo stadio risponderebbe con un’analisi fatta in termini di convenzioni e valori sociali generalmente accolti da tutti i soggetti. In particolare, potrebbe rispondere che il padre non dovrebbe essere adirato perché Holly ha agito per un fine nobile, ossia salvare il gattino. In questa tipologia di risposta si riconosce un insieme di elementi valoriali che sono alla base delle azioni delle persone (Holly), ma anche del giudizio che si può dare sulle azioni di altre persone (la valutazione che il padre fa dell’azione di Holly). Document shared on www.docsity.com Downloaded by: davide_summo (demasiadofeliz@libero.it)
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