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Bachtin Dostoevskij poetica e stilistica, Appunti di Letteratura Russa

riassunto del saggio di Bachtin su Dostoevskij

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 19/03/2020

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eleonora-r 🇮🇹

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Scarica Bachtin Dostoevskij poetica e stilistica e più Appunti in PDF di Letteratura Russa solo su Docsity! CAPITOLO I Il romanzo polifonico di Dostoevskij e la sua interpretazione nella letteratura critica Nella critica letteraria l’opera di D. è composta di varie filosofie/coscienze autonome e contraddittorie date da ciascuno dei suoi eroi. Tra queste ci sono anche le concezioni filosofiche dell’autore che per alcuni si fondono con quelle di suoi personaggi, per altri sono una sintesi di tutte. L’eroe è concepito come una forma autonoma con un suo pensiero (lo osservano anche Engel’gardt e Meier-Grafe). La critica letteraria su D., dice questo non perché è incapace ma perché risponde alla fondamentale caratteristica strutturale delle opere dell’autore  la polifonia delle voci e delle coscienze indipendenti. Gli eroi di D. non sono quindi solo oggetti della parola dell’autore ma anche soggetti della propria parola. D. da vita a un genere romanzesco nuovo: il romanzo polifonico. Ecco perché la sua opera non rientra in nessuna trama, in nessuno schema letterario precedente. Nel mondo di D., i soliti legami pragmatico-narrativi sono insufficienti perché presuppongono che l’eroe sia un oggetto nel progetto dell’autore, invece i punti connettivi in D. sono di altro genere, l’impianto del racconto è diverso rispetto ai romanzi di tipo monologico  la posizione da cui è condotto il racconto è orientata rispetto a questo nuovo mondo romanzesco. Quindi: gli elementi strutturali sono originali in D. perché il suo compito artistico era quello di costruire un mondo polifonico e distruggere le forme fisse del romanzo monologico. Vediamo come si pone la letteratura critica rispetto a questa caratteristica fondamentale. = la letteratura critica non ha fatto altro che monologizzare questo mondo secondo i vecchi schemi, concentrandosi sulle concezioni ideologiche degli eroi e ignorando appunto la polifonia delle coscienze, (questo portava ad avere un monologo filosofico), o interpretando il mondo dostoevskiano come il mondo del romanzo realistico social-psicologico europeo. Entrambi i metodi non sono in grado di penetrare l’architettura artistica di D.  la critica quindi tratta i problemi artistici con superficialità. Il metodo principale era quello della monologizzazione filosofica, gli autori tentavano di costringere la polifonia delle coscienze entro gli schemi di un’unica visione del mondo quindi dalle coscienze degli eroi si estrapolavano tesi ideologiche che venivano: - o disposte in una serie dialettica dinamica - o contrapposte a vicenda come antinomie assolute. Quindi al posto dell’interazione di più coscienze indipendenti mettono un’interrelazione di idee e pensieri limitati a una sola coscienza. Il primo critico a cominciare a capire questa caratteristica del mondo di D. fu Vjačeslav Ivanov  definisce il suo realismo come non fondato sulla conoscenza ma sulla penetrazione, dice che il principio della visione del mondo di D. è affermare l’io altrui non come oggetto ma come soggetto. Questo è il postulato etico-religioso che determina il contenuto del romanzo (la catastrofe della coscienza isolata). Ivanov quindi si limita ad indicare la rifrazione tematica di questo principio nel contenuto del romanzo l’affermazione della coscienza altrui come postulato etico-religioso dell’autore e come contenuto dell’opera non crea ancora un nuovo tipo di romanzo. Ivanov trova quindi una definizione corretta del principio fondamentale di D. ma definisce il romanzo di D. come romanzo-tragedia, non ne comprende l’innovazione artistica e la riduce a uno schema già noto (monologizza il principio). (n c’aveva capito quasi ncazzo) Come Ivanov anche Askol’dov arriva quasi a capire la caratteristica fondamentale di D. ma anche lui resta nei limiti della concezione etico-religiosa di D. e del contenuto delle sue opere interpretato monologicamente. A. dice che la prima tesi etica di D. è “sii persona”, poi passa al contenuto dei romanzi e mostra come gli eroi di D. diventano persone. Nei romanzi di D il delitto è l’impostazione del problema etico- religioso, il castigo la sua risoluzione  formano il tema cardinale della sua opera. La formula di Ivanov è migliore di quella di Askol’dov. Grossman sostiene che il significato principale di D. sta nella creazione di una nuova pagina nella storia del romanzo europeo. G. individua la fondamentale caratteristica della poetica di D. nella violazione del vecchio canone. G. dice che in D. c’è l’impronta profonda del suo stile personale ma sbaglia perché l’unità del romanzo dostoevskiano sta al di sopra dell’impronta e del tono personale: - Dal punto di vista dell’interpretazione monologica dell’unità dello stile è pluristilistico (o astilistico) - Dal punto di vista dell’interpretazione monologica del tono è pluriaccentato G. dice che il significato del dialogo in D. si adatta all’incarnazione della plurivocità. G. spiega questo dialogismo con le contraddizioni nella concezione del mondo di D. :la scepsi umanistica e la fede. Questa spiegazione è esatta come anche il rilievo del carattere personalistico della percezione dell’idea in D. : in lui ogni opinione diventa un essere vivente. Se G. connettesse l’unione di queste contraddizioni con la coesistenza e l’interazione  egli pensava il suo mondo nello spazio e non nel tempo (ecco perché andava verso la forma drammatica).  Questa tendenza a vedere tutto come coesistente lo porta a drammatizzare nello spazio le contraddizioni interiori ad esempio facendo parlare i personaggi col diavolo, con loro sosia ecc. la possibilità di coesistere è per D. quasi il criterio di distinzione dell’esistente dall’inesistente: solo ciò che è contemporaneo è essenziale e rientra nel suo mondo. Per questo anche i suoi eroi non ricordano nulla o meglio ricordano del loro passato solo ciò che non ha cessato di essere presente (un peccato non espiato, un’offesa, un delitto). Questo si spiega anche con la sua posizione di giornalista. Questa caratteristica, della coesistenza e del vedere tutto come contemporaneo è la grande forza di D. ma anche la sua debolezza, non vede molte cose essenziali ma dall’altra parte riesce a percepire al massimo un dato istante e vedere particolari che ad altri sfuggirebbero. Laddove altri vedono un pensiero lui ne vedeva due, tutto ciò che sembrava semplice egli l’ha reso complesso e tutte queste contraddizioni e duplicità non sono diventate dialettiche, non sono state messe su una linea temporale ma si sono dispiegate sullo stesso piano come coesistenti. Solo Dante ha questa particolarità di ascoltare e capire tutte queste voci contemporaneamente. L’eroe di D. è l’uomo e ha raffigurato non l’idea nell’uomo ma l’uomo nell’uomo. Ogni pensiero degli eroi di D. si sente come replica di un dialogo incompiuto. Il termine romanzo ideologico quindi è inappropriato: e manco Engel’gart ha colto fino in fondo la volontà artistica di D. pur avendone individuato alcuni momenti essenziali. A. Lunačarskij ha impostato con molta precisione il problema della polifonia in D.,condivide la nostra tesi sul romanzo polifonico. Sottolinea che tutte le voci sono punti di vista sul mondo. Egli considera Shakespeare e Balzac predecessori di D. nel campo della polifonia. Dice di Sh. che, essendo privo di tendenziosità è altamente polifonico: i suoi drammi non si sforzano di dimostrare alcuna tesi né le voci vengono private della loro pienezza per favorire la costruzione drammatica. Secondo L. anche le condizioni sociali dell’epoca di Sh. sono analoghe a quelle dell’epoca di D. nell’epoca di Sh. iniziava a nascere il capitalismo nell’Inghilterra medievale, si assisteva a scontri tra società e sistemi che prima non erano mai venuti in contatto. In Sh. matura il germe della polifonia, che viene poi portata a compimento da D ma non si può considerare quella di Sh. Una polifonia formata e riuscita, perché: - Il dramma è di natura estraneo alla polifonia, può essere a più piani ma non a più mondi: ammette solo un sistema di riferimento. - Anche se si può parlare di una molteplicità di voci valide lo si può fare solo riguardo tutta l’opera di Sh. Non ai singoli drammi: in ogni dramma c’è sostanzialmente una sola voce pienamente valida. - In Sh. le voci non sono punti di vista sul mondo nello stesso grado in cui lo sono in D. gli eroi shakespeariani non sono ideologi. In Balzac si può parlare soltanto di elementi di polifonia. B. sta sulla stessa linea di sviluppo del romanzo europeo in cui sta D. ed è uno dei suoi più diretti predecessori. Balzac però non supera l’oggettualità dei suoi eroi e la compiutezza monologica del suo mondo. Solo D. può essere riconosciuto come il creatore della polifonia. L. si concentra soprattutto sulla spiegazione delle cause storico-sociali della polifonia di D. (analisi storico-genetica), concorda con Kaus e analizza a fondo la contraddittorietà dell’epoca del capitalismo russo e la contraddittorietà della personalità di D. (oscilla tra socialismo rivoluzionario e conservatorismo religioso). D. infatti è padrone di sé come scrittore ma non lo è come uomo, questa scissione interiore lo rende adatto a farsi interprete del turbamento della sua epoca. Fin qui l’analisi di L. va bene, sorgono dubbi quando da questa analisi si traggono conclusioni sul valore artistico e sulla progressività storica del nuovo romanzo creato da D. L. sembra dedurre che il romanzo polifonico visto che è frutto di una data epoca, col passare del tempo si svaluta, invece le grandi scoperte del genere umano non muoiono mai ma conservano la loro importanza artistica (in questo caso) nelle condizioni completamente diverse delle epoche successive. Infatti il romanzo polifonico sopravvisse al capitalismo. Il dostoevskismo non può essere confuso con la polifonia , esso è lo sfruttamento reazionario puramente monologico della polifonia di D. Nei due decenni successivi (tra il ’30 e il ’50), i problemi della poetica di D. passarono in secondo piano. Kirpotin al contrario di altri studiosi he vedono in D una sola anima, sottolinea la sua capacità di vedere le anime altrui. K. sottolinea il carattere realistico e sociale dello psicologismo di D. quindi poi capisce la polifonia anche se non usa questo termine. Nell’ultimo decennio nella letteratura su D. prevalgono le analisi storico-letterarie e storico-sociologiche, non vengono trattati i problemi della poetica. Šklovskij parte dalla tesi di Grossman che dice che il contrasto delle voci ideologiche sta alla base della forma artistica delle opere di D., alla base del suo stile. Ciò che interessa a Šklovskij non è tanto la forma polifonica quanto le fonti storiche del contrasto ideologico che dà origine a questa forma. S. espone il contrasto delle forze storiche (politiche, sociali, ideologiche), che passa attraverso tutto il cammino di D.  questo contrasto rimase irrisolto, sia per l’epoca che per D. stesso. Nel libro di Š. ci sono anche osservazioni sulla poetica: - la prima riguarda il processo creativo di D. e i piani con cui abbozzava le sue opere. Non amava terminare i manoscritti, faceva varie minute, i piani di D. quindi contengono l’incompiutezza nella loro stessa sostanza. Terminavano quando i personaggi smettevano di discutere, allora nasceva la disperazione per la mancanza di soluzione. Il processo creativo di D. si distingueva da quello degli altri scrittori, egli non cerca discorsi per i personaggi ma ricerca parole ed espressioni quasi indipendenti dall’autore, per l’eroe, cerca parole che non esprimono il suo carattere ma il suo punto di vista sul mondo, e per l’autore e come autore egli cerca parole e situazioni narrative stimolanti. Questa è la profonda originalità di D. - la seconda riguarda la natura dialogica di tutti gli elementi della struttura del romanzo in D. Non solo i personaggi contrastano tra loro in D.,ma anche i singoli elementi dello sviluppo narrativo. La dialogicità di D. non si esaurisce nei dialoghi esteriori, espressi dei suoi personaggi il romanzo polifonico è tutto dialogico. Ci sono rapporti dialogici tra tutti gli elementi della struttura del romanzo. D. sapeva cogliere i rapporti dialogici dappertutto, dove comincia la coscienza lì comincia il dialogo. Solo i rapporti puramente meccanici non sono dialogici e secondo D. non hanno alcun valore per quanto riguarda la comprensione della vita e degli atti dell’uomo (lotta al materialismo meccanicistico). All’interno di questo grande dialogo risuonano i dialoghi espressi dai personaggi che formano il microdialogo che determina le particolarità dello stile linguistico di D. La posizione dell’autore quindi è nuova riguardo alla persona raffigurata. Si tratta della scoperta di una nuova visione dell’uomo, della personalità. Illustriamo questa forma nuova di visione artistica dell’uomo: la verità esterna dell’uomo, quella sulla bocca altrui e non rivolta a lui dialogicamente diventa una menzogna se riguarda il suo io più intimo. risulta ingiusta se riguarda le profondità della personalità altrui. D. definisce così le caratteristiche dl suo realismo: - si considera realista e non romantico-soggettivista, vuole raffigurare tutte le profondità dell’anima umana e le vede quindi al di fuori di sé, nelle anime altrui - sostiene che per fare ciò non basta il realismo (inteso come il realismo monologico) ma serve il realismo nel senso più alto - nega di essere uno psicologo  criticava la psicologia a lui contemporanea, la vedeva come una materializzazione dell’anima che avviliva l’uomo togliendogli la sua libertà e la sua incompiutezza che è l’oggetto principale della raffigurazione dostoevskiana. D. critica la psicologia meccanicistica e quella giudiziaria. In delitto e castigo l’investigatore Porfirij Petrovič chiama la psicologia “bastone a doppio uso” e non si fa guidare da essa ma da una intuizione dialogica infatti i tre incontri tra Porfirij e Raskol’nikov non sono degli interrogatori giudiziari perché violano le basi stesse del rapporto psicologico tra inquirente e colpevole. Lo spirito di tuta l’opera di D. è dato dalla lotta contro la reificazione dell’uomo nelle condizioni del capitalismo. D. vede la svalorizzazione reificante dell’uomo in tutti gli ambiti della vita contemporanea, quindi la forma artistica ha significato dereificante. la nuova posizione dell’autore rispetto al personaggio del romanzo polifonico di D. è quindi la posizione dialogica che afferma l’autonomia, l’incompiutezza del personaggio. I personaggi non sono inventati perché in essi c’è una logica artistica, una legge regolatrice che rientra nell’ambito della volontà artistica dell’autore ma che egli non può violare: una volta scelto il personaggio e la sua raffigurazione dominante l’autore è ormai legato alla logica interna di ciò che ha scelto. Vinogradov cita il progetto di un romanzo di Černyševskij. C. dice di voler scrivere un romanzo puramente obiettivo senza traccia dei suoi rapporti personali e delle sue simpatie, vorrebbe scrivere come Shakespeare che fa parlare tutti mentre lui tace. Qui C. si avvicina alla forma uova del romanzo obiettivo in contrapposizione a quello soggettivo (monologico). Secondo V. egli non vuole eliminare l’autore ma mutare la posizione dell’autore , e C. trova attuata questa mutazione solo in Sh. Quindi possiamo dire che C. ha colto l’idea della polifonia. C. è un contemporaneo di D. e possiamo vedere come abbia sentito la polifonia della sua epoca. Nei romanzi di D. la coscienza dell’autore è costantemente presente, è la sua funzione che cambia, sente le altre coscienze accanto a sé, incompiute come essa stessa. L’autore non rinuncia alla sua coscienza ma la allarga in modo da poter accogliere coscienze altrui. L’autore si sforza di rivelare tutte le possibilità interpretative racchiuse in un dato punto di vista. Per chiarire la posizione nuova dell’autore del romanzo polifonico, vediamo la posizione monologica di un’opera qualsiasi: Tre morti di Tolstoj. Nel racconto sono raffigurate tre diverse morti : quella di una ricca signora, quella di un postiglione e quella di un albero. T. fa della morte il risultato della vita quindi nel racconto sono raffigurate tre vite pienamente compiute. Le tre morti risultano esteriormente collegate ma non c’è un legame tra le coscienze, non ci sono rapporti dialogici tra di esse.MA sono unite nella coscienza dell’autore, lui sa tutto di loro.l’orizzonte dell’autore è superiore agli altri, ha un vantaggio enorme, nel racconto il senso della vita e della morte di ogni personaggio si rivela solo nell’orizzonte dell’autore. L’autore non parla con il personaggio ma del personaggio. Quindi ci sono sì, molti piani ma non c’è polifonia  c’è un unico soggetto conoscente, tuti gli altri sono oggetti della sua conoscenza. CAPITOLO III L'idea in Dostoevskij Nell'impostazione dell'idea appare l'originalità di D. Egli non parla solo di sé stesso, ma del mondo: è non solo cosciente ma anche ideologo. Già l'uomo del sottosuolo è ideologo, ma dove raggiunge maturazione è nei romanzi, qui l'idea diventa protagonista dell'opera. Secondo D. la verità del mondo non è separabile dalla verità della persona = fusione di vita personale e concezione del mondo. L'idea, in se e per se, non è di nessuno; il personaggio è solo un portatore d essa (appartiene alla concezione sistematico- monologica dell'autore stesso). Tutto ciò che è ideologico si scinde in : • Certi pensieri : pensieri veri (non si raffigurano, si affermano) • Gli altri pensieri : pensieri non veri (non vengono affermati, ma o vengono negati polemicamente o perdono la loro diretta significatività e diventano semplici elementi di caratterizzazione) Tutte le idee affermate si fondono nell'unità della coscienza dell'autore, quelle non affermate vengono distribuite tra i personaggi non come idee significanti, ma come manifestazioni di pensiero socialmente tipiche o individualmente caratteristiche. Solo l'autore è l'ideologo, soltanto lui conosce comprende e vede. Le idee dell'autore non sono raffigurate, esse o raffigurano o illuminano ciò che è raffigurato. Endel'gardt sostiene che non è l'idea la protagonista dell'opera, ma l'uomo d'idea = non è un carattere, un temperamento, un tipo sociale o psicologico. Soltanto " l'uomo nell'uomo" può essere portatore di un'idea valida = in D. l'uomo diviene "uomo nell'uomo" diventando disinteressato uomo d'idea. Vediamo il personaggio nell'idea e attraverso l'idea; vediamo l'idea nel personaggio e attraverso il personaggio. Tutti i principali personaggi di D. sono disinteressati, in quanto l'idea ha conquistato il nucleo profondo della loro personalità. L'idea comincia a vivere, a formarsi, a trovare la sua espressione verbale, a generare nuove idee solo entrando in rapporti dialogici con altre idee = natura dialogica. L'idea è simile alla parola, vuole essere udita, compresa e ribattuta da altre voci che partono da altre posizioni. Egli ascolta sia le voci forti, dominanti, principali; sia le idee ancora deboli; sia le idee nascoste che ancora cominciano a maturare; in più si sforza di cogliere anche le idee-voci del futuro, cercando di indovinarle. Mette insieme idee e concezioni che nella realtà sono separate, e le fa disputare tra loro = previde nuove idee, cambiamenti tra le voci-idee nel dialogo del mondo, per questo i lettori di D. ancora oggi sono attirati. Per comprendere pienamente le modalità di raffigurazione dell’idea in Dostoevskij non bisogna trascurare uno dei caratteri fondamentali dell’ideologia dell’autore: l’assenza di “pensiero singolo” e di un “sistema di pensiero oggettualmente unitario” – caratteri sui quali solitamente si fonda il lavoro di un pensatore. D. non conosce né pensiero singolo né unità sistematica, in quanto per lui l’unità minima indivisibile (" l'atomo ” del pensiero) non è il singolo giudizio oggettivamente vero o falso, ma il punto di vista su di esso di una personalità individuale. A combinarsi non sono più i pensieri, ma i punti di vista, e quindi le voci, le differenti personalità dei personaggi: il risultato non è un sistema unitario e astratto, ma un lavoro continuo, travagliato e inesauribile di definizione delle idee, un pensiero “scissionale”. Questa tendenza si riflette anche negli articoli pubblicistici di Dostoevskij, che seguono spesso una struttura compositiva ben precisa: il contenuto 3. Qui la fantasia è motivata da un fine filosofico-ideale: quello di creare situazioni eccezionali per provocare la verità. I personaggi salgono in cielo, scendono agli inferi, visitano la luna, vagabondano attraverso paesi fantastici, si trovano in situazioni di vita eccezionali. 4. Una particolarità è il combinarsi di libera fantasie, le avventure avvengono sulle strade, nei lupanari, nei covi dei ladri, prigioni. 5. Nella menippea appare per la prima volta il fattore psicologico-morale, la follia di qualsiasi tipo, lo sdoppiamento della personalità, i sogni strani, le passioni confinanti con la follia, suicidio ecc. Anche D. nella raffigurazione dello sdoppiamento conserva accanto all’elemento tragico anche quello comico. 6. Caratteristiche le scene di scandali, comportamenti inopportuni ed eccentrici, diversi anche dalla commedia. 7. Piena di contrasti: libertà del saggio e stato di schiavitù, l'imperatore che diventa schiavo, cadute morali, lusso e miseria. 8. Caratteristico è l'uso di generi inseriti: lettere, orazioni ecc- e la mescolanza di discorso in prosa e versi. 9. Altra particolarità è il carattere pubblicistico d'attualità - genere giornalistico, come diario di uno scrittore. La menippea accoglie in sé i generi affini come la diatriba, il soliloquio, il simposio ( dialogo conviviale, di natura carnevalesca). Tutte le particolarità si ritrovano anche in D., la differenza è che l'antica menippea non conosce la polifonia. Carnevalizzazione: il carnevale ha elaborato tutto un linguaggio, tutti prendono parte all'azione carnevalesca. E' abolita qualsiasi distanza tra persone: nuovo modo di rapporti tra uomo e uomo. La principale azione carnevalesca è l'incoronazione e scoronazione del re del carnevale: il rito della scoronazione porta a compimento l incoronazione ed è inseparabile da essa. Il cerimoniale è opposto: nella scoronazione si tolgono i vestiti regali, si leva lo scettro, si strappano gli altri simboli del potere, lo si schernisce e lo si batte. Caratteristico è anche l'uso degli oggetti alla rovescia: vestiti indossati al contrario gonne sulla testa, vasi al posto di copricapi, utensili domestici al posto delle armi ecc. Ambivalente è l'immagine del fuoco= che contemporaneamente distrugge e rinnova il mondo. Il rito del "moccolo": candela accesa; e il "riso": diretto verso l'alto = la parodia. La parodia era in antichità legata con senso carnevalesco. Tutto ha una sua parodia, cioè il suo aspetto comico perché tutto rinasce e si rinnova attraverso la morte - I sosia parodianti = quasi ognuno dei personaggi di D. ha alcuni sosia che lo parodiano, in ognuno di essi il personaggio muore (cioè si nega) per rinnovarsi (purificarsi ed elevarsi sopra di esso). L'atmosfera carnevalesca dominava nel Medioevo: l'uomo medievale aveva due vite: una ufficiale, sottomessa a un ordine gerarchico, piena di paura; l'altra carnevalesca, di piazza, libera, piena di riso ambivalente, sacrilegi, oscenità, contatto familiare con tutti. Il Rinascimento è la vetta della vita carnevalesca, poi comincia il declino. Dalla seconda metà del XVII secolo il carnevale cessa di essere fonte immediata della carnvealizzazione e cede il proprio posto all'influenza della letteratura, dunque gli elementi caratteristici mutano di forma e significato. La menippea si introduce in tutte le maggiori opere di D.- dà il tono a tutta la sua opera. -Bobok (1873) è una delle più grandi menippee di tutta la letteratura mondiale. Caratteristica qui è la figura del narratore: che si trova sulla soglia della pazzia; egli non è come tutti, ha infatti deviato dalla norma comune e da tutti viene disprezzato e disprezza. Il tono è incerto, con ambivalenza soffocata. Il suo discorso è dialogizzato e pervaso dalla polemica. All'inizio del racconto si introduce una discussione sul tema tipico della menippea carnevalizzata : sulla relatività e ambivalenza di ragione e sragione, e poi c'è la descrizione del cimitero e dei funerali con atteggiamento familiare e profanante. Dinanzi a noi il tipico inferno carnevalizzato della menippea: la follia variopinta di morti che non sono capaci di liberarsi subito dalle loro posizioni e dai loro rapporti gerarchici terrestri, i conflitti comici che nascono su questo terreno. Il carnevalesco tono di questa paradossale vita fuori dalla vita è dato fin dall'inizio con la partita di preference che si svolge sulla tomba, sulla quale è seduto il narratore- tutti questi sono tratti tipici del genere. Il piccolo Bobok è quasi il microcosmo di tutta l'opera di D. - appaiono qui in maniera chiara temi e figure della sua opera: la confessione senza ritegno e la "sfrontata verità" (che passa attraverso tutta l'opera di D a partire da memorie del sottosuolo), il tema della coscienza ai confini con la follia, il tema della sconvenienza e mancanza di dignità. L'inferno carnevalizzato di Bobok corrisponde alle scene di scandali e catastrofi che hanno molta importanza in tutte le opere di D., queste scene si svolgono in salotto di solito. Ad es. la scena dell'onomastico di Nastas'ja Filippovna (L'idiota) trova delle corrispondenze con Bobok, quando Ferdysenko propone a ciascuno di raccontare la più cattiva azione della propria vita = contribuisce a preparare quell'atmosfera da piazze del carnevale, si smascherano i calcoli cinici. Oppure la scena carnevalizzata di scandali e scoronazioni al pranzo funebre per Marmeladov (Delitto e Castigo). -Il sogno di un uomo ridicolo (1877) - appartiene alla menippea, ma ad altre sue varianti: satira onirica e ai viaggi fantastici. Il sogno con un significato artistico particolare entra per la prima volta nella letteratura europea nel genere della satira menippea. Il sogno qui è visto come possibilità di vita diversa, la vita in sogno è diversa dalla vita consueta; l'uomo diventa un altro uomo. Forse non c'è scrittore nella letteratura europea i cui sogni abbiano svolto un ruolo cosi importante : i sogni di Raskol'nikov, Svidrigajlov, Myskin, Ippolit. l'adolescente, Versilov ecc. In questa opera si manifesta l'eccezionale capacità di D. di vedere e sentire l'idea- un vero artista dell'idea. Qui domina uno spirito non cristiano, ma antico. E' un enciclopedia quasi completa dei temi dell'opera di D.: 1. la figura ambivalente dello sciocco-saggio e del buffone-tragico, ambivalenza caratteristica di tutti i personaggi di D. ( Myskin, Raskolnikov ecc hanno sempre qualcosa di ridicolo). Caratteristica è anche la pienezza dell'autocoscienza dell' uomo ridicolo: egli sa meglio di tutti di essere ridicolo; non è ingenuo. 2. Il racconto si apre con il tema tipico della menippea, dell'uomo che conosce solo lui verità e perciò è deriso da tutti, caratteristico di tutti i personaggi da Raskol'nikov a Ivan Karamazov. 3. Poi il tema dell'indifferenza a tutto nel mondo che porta all'idea del suicidio. 4. Il tema delle ultime ore prima del suicidio. Egli qui incontra una bambina che lo prega di aiutarla ma egli la allontana bruscamente perché ormai si sente fuori da tutte le norme e i doveri della vita umana. 5. Tema centrale del sogno di crisi: tema della rigenerazione e rinnovamento dell'uomo attraverso un sogno che permette di vedere con i propri occhi la probabilità di una vita umana diversa da quella sulla terra. 6. Tema del paradiso terrestre nel sogno. 7. Trasformazione della vita in paradiso 8. Fanciulla offesa (Nelly in Umiliati e offesi; Fratelli Karamazov) Elementi di menippea si hanno anche - Nell'Idiota: la confessione di Ippolit nella scena che termina con il suo tentativo di suicidio. - Nei Demoni : la confessione di Stavrogin - Nell'Adolescente: il sogno di Versilov Dal punto di vista della linguistica pura tra l’uso monologico e polifonico della parola non c’è differenza. Per esempio in D. non c’è molta differenziazione di linguaggio tra i personaggi come c’è negli autori monologici, perché le caratteristiche di linguaggio dei personaggi servono a creare personaggi oggettivi e compiuti (in D. sono sempre incompiuti)  quindi la varietà linguistica nella polifonia è importante ma passa in secondo piano. La questione non riguarda gli stili di linguaggio ma sotto quale angolo dialogico essi sono messi a confronto nell’opera, questo non può essere stabilito con criteri esclusivamente linguistici. I rapporti dialogici sono oggetto della metalinguistica. I rapporti dialogici sono extralinguistici ma non possono essere staccati dall’ambito della parola, della lingua.  la lingua vive soltanto nella comunione dialogica di coloro che la usano. I rapporti dialogici non possono essere ridotti a rapporti logici e semantico-oggettuali anche se essi gli sono indispensabili. Ci sono fenomeni artistico-linguistici che sono metalinguistici: - Stilizzazione - Parodia - Narrazione mediata - Dialogo Questi fenomeni hanno in comune il fatto che in essi la parola ha una duplice direzionalità: verso l’oggetto del discorso e verso l’altra parola. Se non conosciamo l’esistenza del secondo contesto non possiamo capire ad esempio la parodia . Questi fenomeni esigono un modo nuovo di considerare il linguaggio rispetto al solito modo del contesto monologico. La parola viene determinata in rapporto al suo oggetto (teoria dei tropi), o in rapporto alle altre parole dello stesso contesto (stilistica). La parte lessicale della parola ad esempio accenna ad un altro contesto (letteratura arcaica) e questo altro contrasto non è un’enunciazione altrui ma materiale di lingua se invece la parte lessicale accenna a un’enunciazione altrui allora siamo di fronte alla stilizzazione o alla parodia. Cosi anche la lessicologia rimane in ambito monologico. L’esistenza di una parola bidirezionale include la necessità di classificare le parole dal punto di vista di questo principio, ma anche le parole a doppia direzione hanno bisogno di una differenziazione, bisogna indicare le varietà: questo porta a nuovi problemi stilistici. -Parola di primo tipo: parola diretta, che comunica, nomina ed esprime, è usata per l’immediata comprensione dell’oggetto -Parola di secondo tipo: parola raffigurata, oggettiva = il discorso diretto dei personaggi, che ha un immediato significato oggettuale però non sta sullo stesso piano di quello dell’autore. Dove c’è un discorso diretto troviamo due centri discorsivi in un solo contesto: l’unità dell’enunciazione dell’autore e l’unità dell’enunciazione del personaggio; la seconda unità è sottomessa alla prima. La parola del personaggio viene elaborata come oggetto della comprensione dell’autore e non dal punto di vista della sua direzione oggettuale. Se poi la parola dell’autore è elaborata in modo da far sentire che essa è caratteristica di una data persona, ci troviamo di fronte alla stilizzazione o a una narrazione mediata = parola di terzo tipo. L’elaborazione stilistica della parola del personaggio è soggetta ai compiti stilistici del contesto dell’autore. Il dramma è fatto quasi sempre di parole raffigurate, oggettive. L’ultima istanza semantica è il disegno dell’autore, ed è realizzata con l’ausilio di parole altrui. Nel dialogo drammatico non c’è uno scontro di due ultime istanze semantiche ma uno scontro oggettivo di due posizioni raffigurate, assoggettate al disegno dell’autore. Il contesto monologico non si indebolisce  avviene solo quando si incontrano due enunciazioni direttamente intenzionali ed esse non possono essere vicine senza incrociarsi dialogicamente. Terzo tipo di parola: la stilizzazione presuppone che quell’insieme di procedimenti stilistici che riproduce esprima una istanza semantica ultima. Solo la parola di primo tipo po’ essere oggetto di stilizzazione. Sebbene tra stilizzazione e imitazione vi sia un confine semantico, tra loro esistono sottili collegamenti. Il racconto del narratore è analogo alla stilizzazione, esso può svilupparsi nelle forme della parola letteraria o nelle forme della lingua parlata. Ma la parola del narratore non può mai essere puramente obiettiva, anche quando egli è uno dei personaggi, ciò che importa in lui è la maniera di vedere e di rappresentare. Il narratore anche se scrive il racconto non è un letterato di professione, non possiede uno stile ma soltanto un determinato modo di raccontare, che tende alla narrazione mediata orale, se invece possiede un proprio stile ci troviamo di fronte ad una stilizzazione e non a un racconto. Sia il racconto sia la narrazione mediata possono diventare parola diretta dell’autore (ex in Turgenev è sempre così). Nella maggioranza dei casi la narrazione mediata è introdotta i virtù di una voce altrui che ha una serie di punti di vista che sono necessari all’autore. Non tutte le epoche possiedono uno stile poiché esso presuppone la presenza di sfumature ideologiche. Analoga al racconto del narratore è la Icherzahlung: a volte è determinata dall’impostazione sulla parola estranea a volte invece (come in Turgenev), può avvicinarsi e fondersi con la diretta parola dell’autore. Tutti i fenomeni delle parole di terzo tipo (stilizzazione racconto e Icherzahlung) sono accomunati dal fatto che l’intenzione dell’autore si serve della parola altrui in direzione delle sue stesse intenzioni. Nella parodia è diverso, qui l’autore parla con una parola altrui ma con un’intenzione direttamente opposta all’intenzione altrui: la seconda voce si scontra con l’antico padrone e lo costringe a servire fini opposti: la parola diventa teatro della lotta di due intenzioni  quindi nella parodia è impossibile la fusione di voci. La parola parodistica può essere molto varia, l parodia può essere più o meno profonda, si possono parodiare solo le più superficiali forme verbali o i principi più profondi della parola altrui. La parodia può essere fine a se stessa o voler raggiungere altri fini. Alla parola parodistica è analoga la parola altrui ironica e qualsiasi parola altrui usata ambiguamente=ciò è diffuso nella lingua della vita pratica nel dialogo. Nell’ultima varietà del terzo tipo, la polemica nascosta, la parola altrui rimane oltre i confini del discorso dell’autore. La parola dell’autore è diretta sul suo oggetto ma ogni affermazione sull’oggetto si costruisce in modo che colpisce polemicamente la parola altrui sullo stesso tema. 2. La parola monologica del personaggio e la parola del racconto nei romanzi brevi di D. D. iniziò dalla parola rifrangente, dalla forma epistolare. L’autore si limita a disporre le parole dei personaggi. La forma epistolare è una varietà di Icherzahlung, le intenzioni dell’autore si rifrangono nelle parole dei personaggi-narratori. In Povera gente il discorso di Devuškin ci interessa solo come enunciazione monologica dell’eroe, qual è il tipo di enunciazione monologica di Devuškin? La forma epistolare è più favorevole per la parola dell’ultima varietà del terzo tipo cioè la parola altrui riflessa. La lettera è rivolta a una persona determinata, calcola le sue possibili reazioni, la sua eventuale risposta. Questo calcolo dell’interlocutore in D. è molto intenso.  quindi nella sua prima opera D. elabora lo stile caratteristico di tutta la sua opera, determinato dall’intensa anticipazione della parola altrui. In Povera gente comincia ad elaborare una varietà di questo stile, la parola che si contorce con E' una lirica - “mal di denti”, egli vuole uccidere qualsiasi desiderio di sembrare un eroe agli occhi altrui, perciò vengono tolti dalla sua parola i toni eroicizzanti e la si rende cinica. La parola su di sè dell'uomo del sottosuolo è una parola con scappatoia = importante in D. La scappatoia è il lasciarsi aperta la possibilità di mutare il senso ultimo della parola. La parola con scappatoia per il suo senso deve essere l'ultima parola, ma non è mai l'ultima parola se non la penultima, non ha un punto definitivo ma convenzionale. La parola con scappatoia è presente in quasi tutte le confessioni degli eroi di D. La scappatioa rende il personaggio ambiguo. Su tale motivo è costruito il personaggio di Nastas'ja Filippovna, pur ritenendosi colpevole, ritiene che l'altro in quanto altro debba assolverla e non può considerarla colpevole. Essa parla sinceramente con Myskin che la assolve in tutto, ma con la stessa sincerità odia tutti quelli che la considerano una donna perduta. Alla fine N. non sa neppure qual'è la sua vera parola su di se. Nell'uomo del sottosuolo, oltre la parola anche il suo volto indica circospezione e ricerca di scappatoia; poi odia il suo volto. L'uomo del sottosuolo è un ideologo e polemizza oltre che con gli altri uomini, anche con le altre ideologie. La sua parola è "allocutoria": triplice direzionalità contemporanea della parola (si riferisce all'ascoltatore, al giudice e al testimone). 3. La parola del personaggio e la parola del racconto nei romanzi di D. Raskol'nikov colpisce per la dialogizzazione interiore e per l'essere rivolta a qualsiasi cosa pensa e parla, non ragiona sui fenomeni ma parla con essi. Egli si rivolge a se stesso, si smaschera, si punzecchia, si interroga. Questa è l'impostazione di tutto il romanzo. Ogni personaggio entra nel suo discorso non come carattere ma come personaggio di una trama che è quella della sua vita. Il personaggio di D. sa e vede tutto fin dall'inizio (non esistono motivi tipo"non lo so, non me ne sono accorto"ecc). La confessione di Ippolit è un classico modello di confessione con scappatoia, così come il mancato suicido indica scappatoia. Anche la voce di Ippolit è incompiuta, non a caso la sua ultima parola non risulta essere l'ultima in quanto il suicidio è fallito. Anche il discorso di Myskin si svikuppa sia verso che se stesso che verso l'altro, anche lui non parla ne di se ne dell'altro, ma con se e con l'altro. Myskin è portatore di "parola penetrante", cioè di un parola che si introduce attivamente nel dialogo interiore di un'altra persona, ad es. lo fa con Nastas'ja F., ma la sua parola è priva di sicurezza e autorità. La confessione di Stavrogin, come la confessione di Ippolit e quella dell'uomo del sottosuolo, è una confessione con una intensa impostazione sull'altro, di cui non può fare a meno ma al tempo stesso odia e non accetta il giudizio. Perciò la sua confessione non ha forza conclusiva. Si differenzia dalla confessione del sottosuolo perchè non è presente parola altrui, influenza e presenza altrui; lo stile è determinato dal rifiuto di riconoscere l'altro, egli vuole che tutti guardino lui, ma al tempo stesso egli si confessa chiuso in una maschera. Dunque da notare in D. è la "parola penetrante" : una parola senza sguardi, senza scappatoie, senza polemica, parola possibile solo nel reale dialogo con un altro; "lo stile del narratore": è parola tra le paroleche si muove tra 2 limiti =parola protocollare (informativa) e parola del personaggio. Nel mondo di D. non c'è nulla di morto, di fermo, che rimanga senza risposta o che abbia goà detto l'ultima parola. 4. Il dialogo in Dostoevskij L'autocoscienza del personaggio di D. è dialogizzata, il personaggio è il soggetto d'un rivolgersi, di lui non si può parlare ci si può solo rivolgere. Al centro del mondo di D c'è il dialogo, non come mezzo mezzo ma come fine autonomo. Essere significa comunicare dialogicamente, quando il dialogo finisce, tutto finisce = due voci sono il minimum della vita. Lo schema del dialogo in D: contrapposizione dell'uomo all'uomo, come contrapposizione "io", "altro"= il mondo si divide in 2 : io / essi (altro). Tipica in D è la ripartizione dei personaggi= nell'Idiota. Nastas'ja, Myskin e Rogozin costituiscono un gruppo; Myskin, Nastas'ja e Aglaja un altro. Primo gruppo= la voce di Nastas'ja si scinde nella voce che la riconosce colpevole la voce che la giustifica , nessuna delle due voci vince sull'altra. Le voci reale di Rogozin e Myskin si intersecano con le voci del dialogo interiore di Nastas'ja; Rogozin è per Nastas'ja l'incarnazione della sua seconda voce. Il principio con cui sono costruiti i dialoghi è lo stesso dappertutto: intersezione,intermittenza tra dialogo interiore ed est ed esteriore= dialogo esteriore legato al dialogo interiore
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