Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Bandinelli: Introduzione all'archeologia, Sintesi del corso di Archeologia

Riassunto del libro di Bandinelli.

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 23/05/2019

maki_leone
maki_leone 🇮🇹

4.8

(22)

4 documenti

1 / 17

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Bandinelli: Introduzione all'archeologia e più Sintesi del corso in PDF di Archeologia solo su Docsity! L'archeologia come scienza storica Per molto tempo l'archeologia non è stata sentita come una disciplina autonoma e, se è vero che il termine lo si ritrova in fonti antiche, aveva significato generico di notizie sui tempi antichi. L'archeologia ha subito delle trasformazioni profonde, sia nel suo metodo che nel suo fine. Vi è infatti un'archeologia ottocentesca, essenzialmente filologica (fino alla prima guerra mondiale), un'archeologia storico-artistica (nel periodo intermedio) e un'archeologia storica (dal 1945 in poi). La parola archaiologhìa comparve per la prima volta con lo storico Tucidide, essendo l'introduzione della sua opera detta, appunto, archaiologhìa. L'unità della ricerca storica si frantumò quando il termine “archeologia” si applicò allo studio delle antichità in sé e per sé, rendendole mero oggetto di curiosità e limitando il riferimento al mondo greco e romano. L'opera che avrebbe dovuto costituire l'atto di nascita della moderna archeologia era “storia delle arti e del disegno presso gli antichi” di Winckelmann, pubblicata nel 1764, ma il suo pensiero fu frainteso. Il grande salto di qualità che egli aveva fatto compiere agli studi di antiquaria consisteva nel passaggio da un'erudizione fine a sé stessa ad una prima ricerca e distinzione cronologica di varie fasi dell'arte del mondo antico e alla ricerca di leggi che presiedessero al raggiungimento della Bellezza assoluta nell'Arte. L'antichità non fu più allora considerata un tutto omogeneo, e si introdussero due esigenze di ricerca: storicistica ed estetica; a prevalere per oltre un secolo fu però la seconda. Ci si legò allora ai canoni del neoclassicismo, che si credeva potessero essere desunti da ciò che sopravvive dell'arte antica, e la concezione non mutò nemmeno quando fu palese che quella scultura antica non era vera arte greca ma era composta da copie. L'archeologia fu intesa come storia dell'arte greca basata sulle fonti letterarie, quindi figlia diretta della filologia, mentre lo scavo archeologico era inteso soprattutto come modo per recuperare pezzi da collezione. Questa archeologia, nata da un'erronea interpretazione del pensiero di Winckelmann, fu posta in crisi da due fattori: lo storicismo e l'importanza dell'indagine preistorica. Lo storicismo comparve con gli scritti di Alois Riegl, appartenente alla scuola viennese, che nell'opera “Industria artistica tardoromana” (1901); egli si oppose al pensiero comune che considerava l'arte successiva all'età degli Antonini come decadenza, ritenendola invece espressione di un diverso gusto e che quindi dovesse essere valutata per sé. La scuola viennese giunse a queste conclusione grazie all'influenza che gli impressionisti stavano avendo sull'arte contemporanea. Ci volle circa una generazione perché l'impostazione della scuola viennese venisse accolta, e ce ne volle ancora un'altra perché ci si accorgesse che l'impostazione idealistica di Riegl non era sufficiente a spiegare la rottura nella tradizione artistica dell'ellenismo, che creava una nuova tradizione formale. Intanto si svilupparono nuove correnti dello storicismo e una di queste, con Max Weber, si sforzò di ricondurre la ricerca storica a un concreto processo e concatenamento di fatti. La crisi dell'arte antica è inserita nella generale crisi sociale, economica e politica, che condusse il mondo antico verso il Medioevo: la stessa arte greca non è più apparsa come un modello fisso e immutabile, ma è stata storicizzata. È stato anche affrontato su nuove basi il problema dell'arte romana, che era stata colpita da pregiudizi classicisti ed esaltazioni nazionali. Superato la concezione che vedeva le opere d'arte autonome, anche la storia dell'arte entra a far parte delle scienze storiche. L'archeologia, inoltre, non è più solo storia dell'arte, che diventa anzi un aspetto non primario. La preistoria è stata a lungo giudicata la “scienza degli analfabeti” perché priva di fonti scritte, ma sono stati proprio gli studiosi di preistoria a rinnovare la ricerca archeologica. Hanno sviluppato metodi di scavo molto precisi, sapendo che ogni scavo comporta la distruzione di una documentazione: questa deve essere quindi rilevata, mano a mano che viene alla luce, con estrema esattezza, in modo che in qualunque momento possa essere ricostruita e interpretata, anche sotto nuovi punti di vista. L'archeologia preistorica ci ha insegnato che non esistono doppioni, e che non ci sono nemmeno pezzi unici. Lo scavo stratigrafico è stato perfezionato e a questo si sono andate associando anche tecniche scientifiche come il radiocarbonio, l'analisi pollinica, la fotografia aerea. L'archeologia è diventata così una vera scienza storica e si basa, anziché sulle fonti scritte, sui dati materiali; ciò non vale solo per la preistoria, ma anche per le epoche più vicine. Il dato archeologico è imparziale, ma bisogna saperlo interpretare nella giusta maniera. Winckelmann La nascita dell'archeologia, che studia le opere d'arte in sé e come documenti di civiltà e cultura, è attribuita a Winckelmann. Egli cercò di costruire per la prima volta una vera storia dell'arte, “Storia delle arti e del disegno presso gli antichi”. Quest'opera è superata dal punto di vista scientifico, ma a Winckelmann resta il merito di aver trasportato lo studio dell'arte antica dalla mera erudizione ad un campo più vasto. Il suo fine era soprattutto quello di rintracciare le leggi che regolano la perfezione dell'opera d'arte e ne fanno un esempio di bellezza, ossia la ricerca di un'estetica assoluta. Non bisogna dimenticare che la ricostruzione della cronologia offriva (e ancora offre) numerosi problemi, ma è indispensabile se vogliamo offrire di un'opera d'arte un giudizio che sia storico e non di gusto personale. La comprensione dell'opera d'arte ha inizio proprio attraverso la fissazione della cronologia. Al tempo di Winckelmann l'arte antica si presentava come un ammasso di opere, senza che ci fosse un criterio di cronologia ad eccezione di alcune opere d'età imperiale romana; ma si ricordi che ad esempio, la statua di Marco Aurelio (oggi al Campidoglio) è stata preservata perché si riteneva che raffigurasse Costantino, e a riconoscere che si trattava invece di Marco Aurelio sono stati gli umanisti. Il mondo dell'arte antica appariva quindi come un blocco unico senza prospettiva storica, ed occorreva allora trovare un criterio per stabilire una cronologia. Il compito diventa ancora più arduo poiché la maggior parte delle statue trovate a Roma sono delle copie di originali greci perduti, ma questo Winckelmann ancora non lo sapeva. Il copista di età romana era, di solito, un copista commerciale e tali copie avevano per lo più funzione decorativa: davano uniformità a tutte le opere, anche alle più famose perché spesso erano ripetute senza riferirsi più all'originale. All'epoca il principio dell'analisi stilistica non era ancora nato, e occorse in realtà molto tempo perché fosse riconosciuto come il più affidabile. Fu proprio Winckelmann ad adottare per la prima volta il criterio stilistico e a soffermarsi sull'immagine formale delle opere. Egli effettuò una distinzione in: stile antico, stile sublime (massima fioritura, con Fidia e successori), stile bello (da Prassitele a Lisippo), periodo della decadenza (ultimo secolo a.C. e età imperiale romana). Winckelmann non trascurò nemmeno di ricercare notizie sulle opere nelle fonti letterarie, ma l'elemento più o come Macareo e Canace (mito greco). Riconosciute le figure come immagini di barbari, il Brunn le collegò alla notizia di Plinio circa gli artisti che avevano celebrato le battaglie condotte contro i Galati vittoriosamente da Attalo I e Eumene II. A ciò egli aggiunse il riconoscimento del “piccolo donario di Attalo”, di datazione ancora incerta (Attalo I o Attalo II?). Nel 1514 a Roma erano state scoperte delle figure di combattenti scolpite a dimensione ridotta, interpretate all'epoca in senso romano come gli Orazi e i Curazi, poi disperse tra Napoli e Venezia. Il Brunn vi riunì anche una statua del Vaticano e una del Louvre e tutto questo complesso fu da lui collegato con un passo di Pausania che descrive il dono del re Attalo dedicato sull'acropoli di Atene, composto da 4 gruppi alti circa 90cm raffiguranti la Gigantomachia, l'Amazzonomachia, battaglia di Maratona, vittoria di Attalo sui Galati. Alcune attribuzioni sono tornate ad essere messe in dubbio, come nel caso descritto da Andreas Rumpf, la vicenda della cosiddetta Eirene e Ploutos di Kephisodotos. Questa statua fu interpretata da Winckelmann come Giunone Lucina, ma da lui stesso poi detta Ino-Leucotea col piccolo Bacco. Successivamente fu ritenuta un originale greco del periodo di Fidia, poi attribuita da Friederichs al IV secolo e interpretata come Gea. In base a una moneta ateniese di età imperiale romana si pose uno scettro nella dx della donna. Altri studiosi ritennero di collegare sia la moneta che la statua a due passi di Pausania, nei quali è menzionata una statua ateniese raffigurante Eirene e il fanciullo Ploutos opera di Kephisodotos. Fu Brunn a capire che si trattava di una copia romana e non di un originale greco, e che per il suo stile era collocabile tra V e IV secolo a.C. Confermando l'attribuzione a Kephisodotos, ritenne di poter rilevare anche l'occasione per la quale era stata scolpita, ossia la pace con Sparta del 375. Plinio menziona però due scultori di nome Kephisodotos, e documenti epigrafici ci hanno conservato i nomi di due scultori, Timarchos e Kephisodotos figli di Prassitele, quindi Brunn propose di riconoscere Kephisodotos come membro della stessa famiglia, forse padre di Prassitele. Alcune osservazioni di Rumpf rendono però difficile collocare questa statua nei caratteri stilistici del 375: la cronologia raggiunta in base ad elementi di stile esclude sia Kephisodotos I che Kephisodotos II e quindi anche l'identificazione della statua si apre a nuove interpretazioni. Rumpf propose di interpretarla come Tyche e di attribuire l'originale a Prassitele stesso. Anche nella pittura si cadde nello stesso errore della scultura, pretendendo di ricostruire la pittura classica per mezzo della pittura romana pompeiana. La scuola filologica riconobbe in una serie di quadri delle riproduzioni di pitture originali greche, ma si trascurava il fatto che quelle pitture davano testimonianza dell'arte del tempo nel quale furono eseguite. Si partì dal concetto che nella pittura greca non potessero esserci sfondi paesistici, e quindi quando una pittura pompeiana presenta uno sfondo questo era interpretato come interpolazione romana. Ma la pittura di paesaggio risulta ormai chiaramente essere una conquista ellenistica. Nel secondo quarto del XX secolo si manifestò invece la tendenza ad osservare direttamente la pittura pompeiana, trascurando le fonti antiche, e a considerarla unicamente come pittura romana. Tra i fondatori della scuola filologica dell'archeologia va posto in primo piano Brunn, ma fu Furtwaengler a portare al massimo successo il metodo di ricostruzione degli originali attraverso copie e di inquadramento delle opere in una determinata scuola artistica. Non bisogna dimenticare che, oltre alle copie, si deve ter conto anche delle imitazioni con varianti. Le varianti erano eseguite con estrema libertà, ma non ci si curò di usare copie e varianti per studiare il gusto di età romana: l'unico scopo era ricostruire l'arte greca. Furtwaengler ha riunito le sue principali ricerche nell'opera “Capolavori della scultura greca”, per molto tempo considerata l'ultima parola sull'arte greca, che però trattava solo copie di età romana e indicava come capolavori gli stessi considerati tali dai retori del tardo ellenismo di tendenza classicista. Furtwaengler ha lasciato il segno anche nella ceramica, pubblicando in collaborazione con Reichhold una raccolta di tavole di disegno a grandezza originale dei vasi dipinti più belli accompagnata da studi monografici vaso per vaso. E si è a lungo preferito riprodurre i vasi dai loro disegni piuttosto che dall'originale, nonostante i disegni abbiano la freddezza delle copie. I movimenti dell'avanguardia del primo 900 hanno negato e vituperato l'arte greca, ma la polemica non fu in realtà contro l'arte greca ma contro l'immagine che di essa avevano diffuso gli archeologi dell'800. Sono negazioni che non si basano su un'effettiva conoscenza dell'arte, tant'è che molti avanguardisti se ne sono ricreduti ammirando gli originali greci. Le fonti letterarie La scuola filologica perse come punto di partenza le fonti letterarie, cercando nel patrimonio soprattutto una conferma delle notizie presenti nelle fonti antiche, ma non si pose il problema sul valore critico di tali fonti. Le fonti sono molteplici, dirette o indirette. Quelle per noi più importanti sono la Naturalis Historia di Plinio e la Periegesi della Grecia di Pausania. Overbeck nel 1868 raccolse fonti nel volume “Le fonti letterarie antiche per la storia dell'arte greca e romana”, una raccolta quasi completa dei passi tratti dalla letteratura greca e latina nei quali si accenna ad opere d'arte. Va però considerata come un indice e occorre sempre risalire al testo originale. Plinio il Vecchio con la sua Naturalis Historia è la nostra fonte più completa. Egli stesso dice di raccogliere notizie che non sono né piacevoli né divertenti, ma una raccolta di dati di fatto; riconosce inoltre di non essere uno studioso di professione e di raccogliere piuttosto curiosità. I libri della Naturalis Historia che ci interessano di più sono i libri XXXIV, XXXV, XXXVI, nei quali tratta della scultura (quando arriva a parlare delle pietre e dei marmi), del bronzo e della metallotecnica (parlando dei metalli) e della pittura (parlando delle terre colorate). Le notizie fornite da Plinio sono talvolta contraddittorie, e dobbiamo quindi svolgere noi un lavoro di critica: l'autore infatti, ha riferito le notizie che trovava talvolta senza comprenderle e talvolta prendendo una precisa posizione qualora fossero in contrasto. Plinio si è trovato difronte la difficoltà di riportare in latino espressione retoriche del tardo ellenismo, talvolta latinizzandole, talvolta traducendole con nuovi termini. Egli ha attinto da scritto del tardo ellenismo di tendenze molto diverse, e da qui vengono le contraddizioni del testo. Bisogna anche ricordare che egli non ebbe una visione storica dell'arte, ma mitica, basando quindi la sua interpretazione su una determinata visione estetica. Queste fonti mettevano in particolare risalto l'arte del V e del IV secolo a.C., ignorando quasi del tutto l'arte ellenistica. Tra le principali fonti di Plinio c'è Apollodoros ateniese, autore dei Chronikà, una cronaca enciclopedica in versi che elencava gli avvenimenti e i personaggi dalla guerra di Troia a 1040 anni dopo essa. La sua opera era dedicata al re di Pergamo Attalo II Philadelphos e doveva contenere anche biografie di artisti celebri. Ma Apollodoros fu esponente del classicismo, e viene quindi fatta esaltazione di Fidia e Prassitele e dopo Lisippo vede iniziare la decadenza. Tra le fonti di Plinio c'è anche Xenokrates ateniese, scultore e discepolo di Lisippo, che rappresenta per lui il culmine dell'arte greca. Tenendo conto che da Lisippo proviene lo slancio verso l'arte ellenistica, c'è uno sfasamento tra le opinioni delle due fonti, ma Plinio li pone sullo stesso piano. L’impostazione di Lisippo e della sua scuola è opposta a quella di Apollodoros, la quale però è prevalente anche in altri scrittori neoclassici. I tratti di Xenokrates in Plinio ci testimoniano un periodo assai più vivo rispetto a quello classicistico ed attico, ma questa corrente è la meno seguita seppur ne abbiamo più attestazioni nelle fonti rimasteci, che sono tutte di età romana. Plinio stesso, nella sua opera, afferma che l’arte morì per poi resuscitare: morì durante l’ellenismo, e resuscitò con il movimento classicistico. Bisogna superare l’equivoco di dare un valore assoluto ai giudizi critici di Plinio, che si riferisce a qualcosa a lui non contemporaneo ma anche se lo fosse non è detto che il giudizio debba essere esatto. Anche Ferri cadde in questo equivoco, ma a Ferri si devono ricostruzioni ed interpretazioni del testo di Plinio che precisano la terminologia tecnica: ad esempio, a proposito di Policleto, gli studiosi interpretavano “quadrata” come “tozzo”, ma Ferri pensò di ritradurre il testo in greco così da capire il significato esatto del corrispondente greco comprendendo che “signa quadrata” significa statue composte in base ad un ritmo chiastico. La precisazione raggiunta da Ferri non fa altro che portare un contributo alla conoscenza terminologica, in quanto era già noto che le statue policletee fossero costruite cercando equilibrio. Pausania: visse nel II secolo, e la sua opera rientra negli scritti di tardi ellenismo i cui autori erano detti periegeti. La Periegetica è un genere che si adatta bene alle tendenze retrospettive del tardo ellenismo. Della Periegesi della Grecia di Pausania ci sono giunti 10 libri privi di proemio e chiusura, forse lasciati interrotti dall'autore. L'opera segue un preciso ordine geografico: comincia dall'Attica, passa per il Peloponneso seguendo un iter da sinistra a destra, passa poi alla Arcadia, Beozia, Focide, Locride; alla fine dell'opera l'autore promette di estendere il progetto, intento mai attuato. Lo scopo era quello di un libro di lettura, che fornisse conoscenza di luoghi e monumenti con narrazioni mitologiche. È stata composta a tavolino, sfruttando scritti di altri periegeti, poeti, tragediografi, mitografi, anche se per alcuni luoghi ci si chiede se li avesse effettivamente visitati; non era necessaria la conoscenza diretta, ma pare che luoghi di maggiore importanza siano stati visti dall'autore, ed è possibile per questi luoghi trovare una precisa corrispondenza tra il testo e quanto emerso dagli scavi. Un esempio è la descrizione del santuario di Olimpia (libri V e VI), all'interno del tempio Pausania parla di un Hermes di Prassitele, di cui non si ha notizia da nessun altro scrittore antico: gli scavi hanno però consentito di ritrovare la statua proprio nel punto indicato da Pausania. La statua è diventata famosa come “Hermes con Dioniso infante” ed è stata celebrata come l'unico originale di uno dei più celebri artisti giunto fino a noi e fu proposta una datazione intorno al 340 a.C. Blumel però osservò che sul dorso di Hermes (incompleto) si poteva riconoscere l'uso di ferri mai usati prima del tardo ellenismo, e quindi giunse a negare che potesse essere un originale di Prassitele. Questa soluzione non era soddisfacente del tutto, e fu lo stesso Blumel a proporre che fosse opera sì di Prassitele, ma del Prassitele di fine II a.C. un forte dislivello tra la parte bassa e quella alta; i sovrani favorirono la cultura, le biblioteche, le arti e si collezionarono opere delle scuole d’età classica. Ci furono anche iniziative francesi, come gli scavi a Delo (dal 1877) e a Delfi (1879). Delo era una isola dedicata al culto di Apollo, e quindi non poteva essere abitata; in età romana invece fu consentito di abitarci. A Delo sono stati trovati i precedenti immediati del primo stile pompeiano, confermando quindi che la pittura di Pompei appartiene allo svolgimento artistico del tardo ellenismo. Delfi era invece il più grande santuario dopo Olimpia, ma un piccolo paese si era insediato in mezzo alle rovine del santuario distruggendole in parte per sfruttare il materiale. Ciò rese meno fruttiferi gli scavi ma è stato possibile ricostruire la pianta del santuario, e sono stati ritrovati anche frammenti di sculture. Fino al IV secolo, cioè fino ad Alessandro, si trovano nei paesi asiatico-ellenistici grandi sepolcri monumentali a forma di piccolo tempio che i sovrani locali facevano costruire chiamando artisti greci, e in Grecia non esistevano edifici simili. Il Mausoleo di Alicarnasso è l’esempio più clamoroso e famoso di questo tipo di costruzione. Le sculture del mausoleo sono di grande importanza perché sculture originali di Skopas, Bryaxis, Leochares e Timotheos (come riferisce la nostra fonte Plinio). Tra gli studiosi si è raggiunto un certo accordo per quanto riguarda le attribuzioni Skopas, mentre per gli altri artisti vi è tutt’ora incertezza. Buschor ritiene che il lavoro sia stato interrotto alla morte di Artemisia nel 351 a.C. e che sia stato ripreso solo nel 334, questo gap di circa 20 anni spiega le divergenze stilistiche che sarebbero altrimenti inconciliabili. Ma la scoperta che ebbe maggior risonanza è stata quella di Schliemann il quale, poemi omerici alla mano, riuscì ad individuare il sito di Troia confermando anche la realtà di una distruzione per incendio. Scavò anche a Micene, dove trovò quello che egli chiamò il tesoro di Atreo e la tomba di Clitemnestra, mettendo in luce una civiltà pre-ellenica della quale si era ignorata l’esistenza fino a quel momento. Purtroppo, questi scavi non sono stati eseguiti obiettivamente ed hanno causato la perdita di importanti testimonianze del passato. Importanti furono anche gli scavi a Creta, ed Evans si occupò dello scavo e del restauro del palazzo di Cnosso; scavi italiani hanno portato alla luce un palazzo meno sontuoso, ma importante perché consente di distinguere le fasi di costruzione. Questi scavi furono eseguiti da Pernier che tuttavia morì prima di aver pubblicato tutto il materiale, pubblicando infatti solo il primo libro. Il secondo apparve più tardi con la Banti e con importanti novità perché si pose il problema di rivedere tutta la cronologia del materiale di scavo, arrivando così a diverse conclusioni. Un ulteriore passo in avanti si ebbe con Levi, il quale spostò la prima fase della civiltà cretese di quasi mille anni abbassandola dal 2800-2000 al 2000-1850. Un passo importantissimo fu compiuto nel 1953 con la decifrazione della lineare B, ad opera di Ventris e Chadwick, rivelando che la lingua era quella greca: era chiaro che la lineare B fosse un adattamento della scrittura cretese lineare A alla lingua degli invasori Achei. Tra fine 800 e inizio 900 si aprì così un nuovo capitolo della storia completamente ignorato fino ad allora, dimostrando che le tribù doriche ed achee, che si stanziarono in Grecia intorno al 1200, si erano trovate dinanzi ad una civiltà più avanzata, per quanto limitata alla sfera culturale dell’età del bronzo: furono infatti questi invasori a portare la civiltà del ferro. La scoperta del mondo pre-ellenico va posta a fianco della scoperta del mondo mesopotamico; gli scavi nel Vicino Oriente hanno esteso la nostra conoscenza delle civiltà umane e dell’arte, fino a circa il 6000 a.C. Intorno la fine dell’800 si andava approfondendo la conoscenza delle città greche, e soprattutto dell’acropoli di Atene che iniziava a mostrare il proprio aspetto con la demolizione delle costruzioni che l’avevano trasformata sin dal Medioevo in fortezza. I propilei erano stati inclusi nelle torri di fortificazione, nella cui demolizione subito venne alla luce materiale per poter ricostruire non solo i propilei ma anche il tempietto (quasi completo) di Athena Nike. È tra le testimonianze più belle della generazione successiva a Fidia, intorno al 420 a.C. L’acropoli fu distrutta nel 480 a.C. dai Persiani, i quali distrussero anche tutti i monumenti esistenti, e dopo la vittoria sui persiani l’acropoli fu ricostruita: il primo atto fu quello di allargare l’area utilizzabile e nello spazio intermedio tra il muro e la roccia furono posti tutti i resti degli ex voto che non potevano essere distrutti in quanto cose sacre: questo riempimento è noto come “colmata persiana” ed i pezzi lì rinvenuti si datano automaticamente al periodo precedente al 480 a.C. A una società aristocratica ne è succeduta una democratica, creando un nuovo tipo di stato che si basa sul principio della isonomia, e l’espressione artistica cambia e per noi segna il limite del periodo arcaico e l’inizio dello “stile severo”. Il trentennio che va dal 480 al 450 è ricco di trasformazioni: nel giro di una generazione si passa dalla rigida statua arcaica alla ricchezza della plastica di Fidia. Bernhard Schweitzer giunse a delle conclusioni che furono poi confermate dai risultati dello scavo ad Olimpia ripresi dopo la seconda guerra mondiale, nei resti dell’officina di Fidia poi tramutata in chiesetta bizantina. I frammenti hanno accertato che lo Zeus di Olimpia doveva essere un’opera di Fidia posteriore alla Parthenos dell’acropoli e alla sua fuga da Atene: consegue un abbassamento della cronologia dell’attività di Fidia, e la conferma che nel corso dei 16 anni durante i quali furono eseguite le opere del Partenone l’arte del maestro poté subire un ricco sviluppo che appariva impossibile a chi poneva la direzione dei lavori dell’acropoli alla vecchiaia dell’artista. Dopo la prima guerra mondiale lo studio della storia dell’arte entrò in una nuova fase, e se l’800 era stato il secolo della ricerca sistematica e dell’ordinamento, la prima metà del 900 ha visto un approfondimento di problemi e un continuo tentativo di intendere l’opera d’arte nei suoi valori intrinsechi. Ricerche teoriche e storicismo agli albori del 900 Alla fine del periodo filologico (tra 800 e 900) va posta in evidenza la figura di Emanuel Loewy, che fu il primo archeologo a riprendere uno dei motivi dell’effettiva grandezza di Winckelmann: la ricerca intorno all’essenza dell’arte stessa. Cerca di porre lo studio dell’arte antica sopra un fondamento teorico generale. I suoi studi più importanti sono due, “la natura nell’arte greca più antica” e “migrazioni tipologiche”, importanti perché toccano due punti essenziali della storia degli studi dell’arte antica: il rapporto tra arte greca e il vero della natura e la persistenza iconografica. E l’iconografia è stata presa troppo poco in considerazione dagli archeologi. Bisogna ricordare che non ci troviamo difronte alla personalità dell’artista, isolata, ma che nell’antichità l’artista era prima di tutto un artigiano che si formava in un patrimonio di tradizioni tecniche ed iconografiche. Si lavora così come si impara nella bottega, ma ogni artigiano di talento può aggiungere piccole varianti che a lungo andare portano innovazioni anche profonde. Finché esiste nell’arte una forte tradizione artigiana, la persistenza di schemi iconografici è forte. Quando si studia una determinata rappresentazione bisogna esaminare da dove proviene lo schema iconografico e cercarne i precedenti: solo dopo tale ricerca si può stabilire la posizione storica dell’opera e valutare il contributo personale dell’artista. L’altro punto fondamentale esaminato da Loewy è quello della rappresentazione della realtà, del vero e della natura. Winckelmann riteneva di poter definire l'essenza dell'arte greca, arrivando a formulare il concetto di idealizzazione delle forme reali per costituire una forma ideale; si è quindi fatto strada a fatica il riconoscimento dell'arte greca come la più naturalistica tra quelle antiche. Alla fine dell'800 le teorie di Winckelmann furono riviste in base alla visione positivistica, e il danese Lange si occupò del rapporto tra arte greca e la forma della natura; egli è stato il primo ad osservare e definire alcune “leggi” della concezione artistica del periodo più arcaico: la prima di queste leggi è la frontalità (l'immagine perde volume, evita qualsiasi scorcio e la figura non ha profondità). Ciò si può vedere, ad esempio, in figure che hanno le gambe di profilo ma il torso frontale; queste convenzioni sono particolarmente evidenti nell'arte egizia ed i greci inizialmente le assunsero e ciò ha creato l'equivoco di definire “stile egiziano” lo stile arcaico. Il merito del Lange fu notare che questa legge della frontalità è presente in ogni arte primitiva e l'arte egiziana la superò solo nel momento in cui venne a contatto con l'arte greca, poiché questa fu la prima ad andare oltre la frontalità. Ma, partecipe di un comune equivoco, ritenne la frontalità conseguenza dell'incapacità di avvicinarsi al vero: di qui la necessità di tipizzare la realtà in maniera tale che l'artista avesse una guida e l'artigiana potesse formarsi con un repertorio in grado di aiutarlo nel suo lavoro. Il Lange però non si accorse che questa frontalità, comune alle espressioni artistiche primitive, nell'arte greca era diventata un altissimo stile. Giudicando la frontalità come elemento primitivo si ribadiva il concetto di provvisiorietà dell'arte arcaica, come fosse una fase di preparazione all'arte classica. Era necessario superare questa concezione evoluzionistica, e passi in avanti vero una migliore interpretazione fece Loewy che nel suo volume “naturwiedergabe” si sganciò dalla dalla visione di Lange e capì che la frontalità arcaica non era dovuta a incapacità ma ad un determinato processo di concezione dell'atto artistico. L'artista primitivo non imita un oggetto dalla natura, ma crea seguendo un ricordo, e l'immagine mentale dell'oggetto è più semplice e schematizzata; ecco perché si formano immagini in piano, definite da linee di contorno. La concezione dell'arte arcaica era quindi collegata ad un determinato mondo e ad un determinato tempo, e poteva cambiare solo a patto che cambiassero le premesse: ognuno degli artisti arcaici va valutato per quello che è e in relazione al proprio tempo. Della Seta si occupò del problema del superamento della frontalità nell'arte greca, e trovava che la frontalità venne superata grazie ad una maggiore conoscenza dell'anatomia: egli cadde nell'equivoco e nell'errore di porre lo sviluppo dell'arte greca sotto l'etichetta di ricerca anatomica. Nella sua opera “il nudo nell'arte” passa in rivista tutta la scultura greca, ma il suo giudizio storico resta inficiato dal suo vizio di impostazione; negli ultimi anni forse dubitò della verità della sua tesi, ed infatti non portò a compimento la sua opera. Questi tre studiosi hanno in parte superato il più stretto filologismo tedesco e l'archeologia si indirizza verso l'interpretazione del fatto artistico. All'inizio del 900 si entra in una nuova fase degli studi di archeologia, il cui processo accelera dopo la prima guerra mondiale: una serie di opere rinvenute alla luce dopo la guerra provocarono una maggior presa in considerazione degli originali rispetto alle copie e si arriva ad un punto in cui gli studi considerano solo gli originali. Ma alla fine dell'800 prende inizio anche Nell'archeologia tedesca, che è stata all'avanguardia nel 800, è avvenuta una fuga verso l'irrazionale, il mitologico. Il Buschor presentava il cammino dell'arte diviso in 6 cicli, rigorosamente successivi nell'ordine prestabilito e chiusi ciascuno in sé: in questo caso l'opera viene incasellata nel ciclo pertinente, da quale derivano forma e contenuto. Queste categorie sono: 1. mondo della prescienza: fino a tutto il VIII aC 2. mondo della realtà esistente: VII-VI aC 3. mondo dell'eccelsa determinatezza: V-VI aC, fino ad Alessandro Magno 4. mondo dell'immagine e dell'apparenza: fine IV-I aC 5. mondo dell'artIfizio: I aC – III dC 6. mondo dei segni o simboli: III – V dC Secondo questa costruzione ogni civiltà passa necessariamente attraverso i 6 cicli, dopo l'ultimo dei quali ricomincia daccapo. Ovviamente impossibile che la storia e il mondo siano regolati e retti da una così sistematica e sempre ripetuta preordinazione. Questo tentativo del Buschor rientra nell'indirizzo della scuola morfologico-culturale. Non mancano, tuttavia, intuizioni acute da parte del Buschor: 1. alle opere del mondo della prescienza viene riconosciuta una particolare forma di spontanea intuizione artistica e non un deliberato proposito di fare arte; 2. nella fase del mondo della realtà esistente vi è una parziale consapevolezza intellettuale dell'artista, essendo l'artista non più anonimo e acquistando una concezione religiosa dell'arte; 3. riconosce che le premesse per il ritratto sono nel terzo periodo, per poi svilupparsi nel quarto periodo; 4. sono individuate alcune della cause per cui solo in periodo ellenistico si giunge alla rappresentazione di figure non intere: la statua non è più sentita come cosa viva, ma come oggetto d'arte; 5. le statue nella tarda antichità tornano ad essere monumenti statici in quanto non esprimono più né la vita esteriore né la molteplicità dello spirito, ma solo la situazione sociale e la dignità di chi domina; 6. ad un certo momento l'arte greca, abbandonando la concezione religiosa, diventa cosciente del proprio artifizio: l'arte diventa frutto di riflessione perdendo la sua spontaneità. Il merito maggiore dell'archeologia germanica è quello di aver dato ordine sistematico ai materiali sui quali si basano tutti gli altri studi. Dopo il periodo della scuola filologica, gli studi hanno tentato di incasellare i fatti fondamentali della storia entro sistemi rigidi e svolgimenti preordinati; in Italia è mancata una ricerca sistematica entro un piano organizzato di studi, ma si è formata la base per un pensiero critico e storiografico abbastanza maturo. Influenzato dalle idee di Croce fu Sedlmayer, il quale risaliva al concetto di “struttura”: in sostanza cercava di ritrovare, attraverso la molteplicità delle opere, l'elemento che le lega ed è comune a tutte. Queste “ricerche di struttura” furono proseguite soprattutto da G. Von Kaschnitz Weinberg, che si adoperò per definire la struttura dell'arte egiziana, etrusca, mediterranea in genere. La ricerca di struttura rimane però pura enunciazione, e l'essenza storica dello svolgimento artistico non diventa evidente. La storia dell'arte invece consiste nel definire le singole opere nella loro storicità individuale e nel legarle con la storia della cultura determinando il rapporto tra l'opera ed il suo ambiente. La ricerca che si cerca di condurre è duplice: da un lato bisogna stabilire da quali schemi iconografici preesistenti discende l'opera, ed in cosa tali schemi vengono o meno innovati; dall'altro quali premesse ideologiche ne determinano il contenuto. Va considerata illusoria la ricerca di un metodo scientifico che possa essere applicato anche senza una personale intelligenza. Il periodo arcaico della scultura greca è stato frainteso e considerato, secondo lo schema di Winckelmann, solo come preparazione al periodo classico, trascurando la ricerca della personalità artistica e limitandosi ad effettuare una suddivisione in tre scuole: dorica, ionica, attica. Tale suddivisione si è però dimostrata non esatta, e si cominciarono a cercare le singole personalità artistiche; ma in un secondo momento anche la ricerca della definizione di Maestri è degenerata e si è appiattita in uno schematismo privo di valore critico. La definizione critica di un Maestro ha ragion d'essere solo se ci si trova di fronte ad un'opera, anche singola, di eccezionale qualità dalla quale si possano far discendere altre opere, anche minori; oppure costituire un gruppo di opere che si possano ricondurre alla stessa mano o quantomeno alla stessa officina. Il lavoro che l'archeologo può affrontare si articola in due fasi: 1. classificazione ed inquadramento cronologico, mediante l'ausilio di un metodo filologico ed attraverso testi letterari ed epigrafici e materiale archeologico di ogni specie. 2. Indagine propriamente storica, cercando di giungere alla ricostruzione dello svolgimento della produzione artistica e a individuare le forze motrici che determinano tale svolgimento. Non manca chi ritiene che le considerazioni storico-economiche e la ricerca delle basi ideologiche della produzione artistica non abbiano nulla a che fare con la storia dell'arte. In questa avversione si possono individuare due diversi motivi: lo scorgervi dello spettro del marxismo o l'essere legati al pensiero dell'idealismo ritenendo quindi autonoma la produzione artistica. Il ritenere che il modo di produzione della vita materiale condizioni il processo della vita sociale e spirituale non significa, comunque, ridurre tutta la storia al mero fattore economico. Per impostare in modo veramente storico un problema artistico è necessario considerare quell'opera in un processo di produzione più generale. Doveva aver rappresentato un fenomeno di grande importanza, se ha potuto permettere una produzione di alta qualità, soprattutto in due sensi: 1. attraverso l'addestramento di maestranze esperte 2. costituirsi di un fatto economico di tale rilievo da essere il supporto di una produzione di maggior impegno e quindi di maggior costo E' quindi da rifiutare una separazione netta tra la sfera pratica e la sfera artistica. Il fine specifico dell'archeologo è la ricostruzione della storia attraverso i documenti materiali, da porre accanto ai dati storici derivanti dalle fonti letterarie. Il fine specifico della storia dell'arte è diverso, ossia la storia della forma artistica nel suo concretarsi, il chiarimento della sua formazione ma anche della sua sopravvivenza. Vi è anche un problema che potremmo definire di “linguaggio”, ma al tempo stesso si presenta anche il problema del suo significato espressivo. Ogni opera d'arte è il prodotto di una particolare sensibilità, capacità e cultura dell'artista, ma può anche voler contenere un messaggio sorretto da una particolare idea di quello che possa e debba essere arte. Questa duplicità deriva dalla natura stessa dell'evento artistico che da un lato è il prodotto storico di una civiltà, ma dall'altro è espressione di un bisogno della natura umana. L'unico modo per acquisire il fatto artistico è storicizzarlo. Purtroppo si tende ad eliminare il pensiero critico autonomo e responsabile, sostituendolo con una soluzione dogmatica eliminando la responsabilità delle scelte. In conclusione: una storia dell'arte antica è un'indagine della formazione degli elementi costitutivi della forma artistica nei vari momenti del suo percorso storico, una valutazione dei sui significati sociali e quindi culturali, interpretazione e definizione critica dei suoi valori espressivi. È un modo di appropriarsi del passato attraverso una delle sue più genuine espressioni: l'arte.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved