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Barbieri G. Psicologia dinamica, tra teoria e metodo., Dispense di Psicologia Dinamica

Per gli studenti di Scienze dell’educazione e dei processi formativi (30 ore; Unipr) sono stati selezionati dal professore, ai fini dell'esame, alcuni capitoli e paragrafi del libro "Barbieri G. L., Psicologia dinamica. Tra teoria e metodo, Milano, Libreria Cortina, 2009" qui riassunti. Sono stati esclusi dalla scelta i paragrafi: 3.5, 29.5, 29.8,34.4 e 34.5 e i capitoli: 7, 8, 9, 10, 11, 12, 14, 16, 18, 19, 20, 21, 25, 28, 30, 31, 32, 33, 34 e 35 che non troverete nel seguente riassunto.

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 06/01/2023

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Scarica Barbieri G. Psicologia dinamica, tra teoria e metodo. e più Dispense in PDF di Psicologia Dinamica solo su Docsity! PSICOLOGIA DINAMICA TRA TEORIA E METODO DI GIAN LUCA BARBIERI CAPITOLO 1: RIFERIMENTI EPISTEMOLOGICI Possiamo pensare la psicoanalisi in relazione a due grandi modelli epistemologici che propongono diversi paradigmi scientifici: quello positivistico e quello della complessità. Secondo l’accezione positivistica, la scienza autentica è quella sperimentale che si basa sulla ricerca di leggi invariabili e formule matematiche quantitative ricavate da condizioni controllabili. I risultati di tali ricerche per essere considerati attendibili, e quindi scientifici, devono essere verificabili. È un tipo di scienza che fa riferimento a parametri oggettivi e i risultati sono oggettivi ed escludono la soggettività del ricercatore. Il secondo riferimento epistemologico è il paradigma della complessità che è l’opposto di quello positivistico, propone un’idea di realtà non data una volta per tutte, non esprimibile in leggi universali e impersonali, ma in continuo divenire. Secondo questo paradigma, la convinzione di poter studiare una realtà fissa, bloccata in una condizione di immutabilità è del tutto illusoria. La complessità concepisce la realtà come un sistema in continua evoluzione. Inoltre, sottolinea come sia impossibile che l’osservatore assuma una posizione distaccata ed esterna perché in realtà è un fattore inquinante che può alterare la scientificità e l’oggettività dei risultati di una ricerca. L’osservatore con la sua presenza condiziona, secondo la teoria della complessità, la sua osservazione è filtrata attraverso il suo pensiero, i suoi riferimenti teorici, la sua esperienza pregressa e le sue emozioni. In questo modo il concetto di oggettività risulta poco valido, c’è molta soggettività. Mentre l’ideologia positivistica ricerca la legge universale, la generalità, la complessità oltre alla norma considera anche la singolarità, il particolare che si sottrae ad una legge universale. La prospettiva positivistica è centrata su una visione lineare e causale dei fenomeni, del mondo e degli eventi. Mentre, la complessità critica questa concezione, la considera una semplificazione che non tiene conto della varietà, della complessità, della molteplicità e della contraddittorietà. Il modello positivistico punta all’utilizzo di determinati paradigmi preformati mentre il modello della complessità non li utilizza. 1.2 LA CONOSCENZA PSICOANALITICA La psicoanalisi nasce tra l’800 e il 900, precisamente nel 1899 con “l’Interpretazione dei sogni” di Sigmund Freud, in un contesto culturale intriso di principi positivistici. Ma già con Freud ci si allontana un po’ da questa prospettiva per avvicinarsi in parte a quella che sarà la teoria della complessità, con una modalità di pensiero alternativa alla rigidità paradigmatica della scienza sperimentale. Alcuni aspetti peculiari della psicoanalisi: -Un’idea di uomo il cui comportamento e il cui pensiero sono determinati in maggior misura dall’inconscio. Oltre agli aspetti razionali ci sono anche quelli non razionali che costituiscono la motivazione latente di ogni evento osservabile; -Ogni manifestazione umana rimanda a un discorso latente che ne detiene il significato. Bisogna ricercare i messaggi occulti che si celano dietro la superficie degli eventi, dei discorsi, dei pensieri e del comportamento; -L’analista ha il compito di interpretare i segnali che si ricavano dai fenomeni apparentemente secondari e marginali come lapsus, atti mancati, espressioni verbali, sogni e sintomi; -Il comportamento, i pensieri, le emozioni di un individuo non sono mai casuali ma dipendono sempre da dinamiche inconsce; -Tra corpo (sfera somatica) e mente (sfera psichica) esiste una continuità, sono inscindibili; -Tra nevrosi, psicosi e condizioni non psicopatologiche non esistono linee di demarcazione ma sfumature e variazioni; -Il coinvolgimento dell’analista, che non è semplice osservatore; L’attenzione della psicoanalisi si sposta dal sintomo al soggetto nella sua globalità e complessità. Ricerca nell’inconscio, in ciò che si cela dietro le parole, i comportamenti, tenendo conto della storia unica e specifica del paziente. Nel suo approccio terapeutico, la psicoanalisi non tiene conto della verità storica, dell’oggettività di un evento, quanto piuttosto di come sia stata elaborato dal paziente, come è stato rappresentato nella sua mente (poco importa se reale). La conoscenza avviene attraverso il dialogo, nell’incontro tra due persone con l’obbiettivo di attribuire significato ai fatti psichici, alle 2.3 ASPETTI DELLA PRIMA PSICHIATRIA DINAMICA La psichiatria dinamica andava in parallelo e in contrasto con la medicina ufficiale. Gli aspetti più rilevanti di questo indirizzo terapeutico, che poi verranno ripresi e superati da Freud, sono:  La mente umana o psiche comprende una parte conscia e una inconscia;  L’accesso alla parte inconscia è possibile attraverso l’ipnosi;  Nella mente agisce un’energia che ne determina il funzionamento normale o patologico: la terapia deve agire su questa energia;  Alcune psicopatologie vengono poste al centro dell’attenzione in particolare quelle di “personalità alternate” o “personalità multipla” e a fine Ottocento l’isteria;  È fondamentale per il successo della cura il rapporto e cioè la relazione affettiva tra paziente e terapeuta; 2.4 LE CORDINATE CULTURALI Alcuni orientamenti culturali e filosofici tra il Settecento e l’epoca in cui visse Freud hanno influenzato il suo pensiero. Sono cinque i movimenti che hanno segnato delle vere e proprie svolte culturali: illuminismo, romanticismo, positivismo, marxismo e decadentismo. L’avvento di uno non scalza o sostituisce l’altro ma si influenzano a vicenda.  L’Illuminismo: ha contribuito al superamento del passato e a una laicizzazione, privando la religiosità della centralità di cui aveva da sempre goduto. La scienza ha giovato del pensiero illuminista per rinnovarsi. La psichiatria verso la fine del Settecento faceva risalire le patologie a cause di natura organica (soprattutto a lesioni cerebrali) e dunque non più ricorrendo a pratiche di stregoneria o magiche. Nell’ottica illuminista la psichiatria e la medicina fecero notevoli progressi. In un’epoca basata sul trionfo della borghesia e la caduta della nobiltà, le manifestazioni nevrotiche degli aristocratici lasciavano posto ai disturbi tipici della borghesia e dei ceti popolari, legati ai modi e ai ritmi di vita della società industriale (Illuminismo: Rivoluzione francese e industriale);  Romanticismo: può essere considerato come una reazione all’Illuminismo. In questo periodo storico si è dato valore a tutto ciò che rientrava nella sfera dell’irrazionale. Al centro dell’attenzione apparve il sentimento religioso, l’amore, la follia, la sofferenza, la morte e tutti gli aspetti più nascosti e inquietanti dell’uomo che sono stati considerati con curiosità e interesse. Mentre l’Illuminismo era più distaccato e razionale, con il Romanticismo si fece strada un atteggiamento caratterizzato dal coinvolgimento emotivo e dall’empatia;  Positivismo: ha avuto inizio nell’800 con l’avvento della borghesia e la seconda rivoluzione industriale. Veniva attribuita una straordinaria importanza alla scienza e la conoscenza che, secondo il positivismo, avveniva attraverso dati concreti dell’esperienza e sulla sperimentazione. Il sapere scientifico si basa sull’osservazione concreta dei fenomeni e mira al rilevamento delle loro costanti per ricavare leggi universali. Tutti gli aspetti della vita umana, secondo questa corrente, vanno indagati come fossero fenomeni naturali e lo scopo è quello di ricercare le loro cause fisiche e sociali. Due i personaggi illustri di questo periodo: Auguste Comte e Charles Darwin che con la sua teoria evoluzionistica ha modificato radicalmente l’idea tradizionale di uomo ereditata dalla Bibbia. Il concetto cardine del positivismo è il progresso;  Marxismo: ha rafforzato l’idea di religione come semplice costruzione ideologica elaborata dalle classi dominanti allo scopo di tenere sottomesse le classi subalterne; è quindi un’illusione e una giustificazione delle disparità sociali che potevano essere superate solo con un riscatto dell’uomo che percepiva la sua reale dignità (idea che si ritrova anche in Freud). Altro importante concetto del marxismo, è quello di “alienazione” che caratterizza la condizione del proletario che si trova a produrre manufatti non suo, con macchine non di sua proprietà e all’interno di un sistema economico che non lo utilizza come uomo ma come componente del meccanismo produttivo, quindi come forza-lavoro. Alienazione, quindi, come perdita della personalità di un individuo da parte di un’economia basata sulla produzione e sull’arricchimento della borghesia, a discapito dei valori umani. I ritmi di lavoro della seconda rivoluzione industriale hanno portato l’uomo a perdere la sua umanità e a ridursi come semplice ingranaggio di un meccanismo. L’uomo si è alienato diventando estraneo a sé stesso, ha perso la parte più intima e preziosa (concetto accolto anche dalla psichiatria);  Decadentismo: periodo irrazionalistico. Dal punto di vista artistico si oppone al realismo tuffandosi nell’anticonformismo e irrazionalismo più estremo. La vita, secondo questa corrente, deve essere vissuta come un’opera d’arte. Torna l’interesse per il sonnambulismo, la follia, l’ipnosi e lo sdoppiamento di personalità. Si parla di erotismo e si afferma l’idea di una sessualità infantile, argomento trascurato dai medici. Vige il pensiero che ogni uomo sia vittima di alienazione e il mistero, la follia, l’angoscia, la parte oscura e nascosta della mente diventano i principali oggetti di interesse degli intellettuali del decadentismo. Spicca in questo periodo la figura di Nietzsche che studia l’inconscio, secondo il filosofo l’uomo è guidato da forze incontrollabili e da pulsioni: il bisogno di piacere, di lotta, la pulsione sessuale, quella verso la conoscenza e la volontà di potenza. Nella società si può sopravvivere solo se queste pulsioni vengono inibite, rinunciando alla loro gratificazione. (Freud riprenderà questi concetti). 2.5 JANET Pierre Janet fu un grande innovatore nell’ambito psicologico e psichiatrico anche se ignorato perché sovrastato dalla fama di Sigmund Freud (molto simili). Ha lavorato presso un ospedale, ha studiato la psichiatria da autodidatta, si è laureato in medicina e ha collaborato con Charcot. Portò forti innovazioni nella conduzione della terapia: l’indagine approfondita condotta sulla vita del paziente e sulla storia familiare, la scelta di annotare durante i colloqui ciò che il paziente diceva o faceva e il rapporto tra medico e paziente concepito come una relazione basata su fiducia e intimità che favorisce l’attivazione di condizioni terapeutiche facilitanti e positive. La psiche secondo Janet è strutturata in livelli: la superficie, il livello intermedio e quello profondo. L’analisi era finalizzata a penetrare negli strati più profondi della mente per cogliere le cause delle patologie. Il percorso veniva facilitato dall’ipnosi, scrittura automatica, sogni e distrazioni: tutte modalità che rendevano possibile l’emergere del subconscio. Molto spesso le cause di una patologia Janet le ricollegava al periodo dell’infanzia perché come affermò poi anche Freud “nulla va perduto nella mente dell’uomo”. Un avvenimento traumatico solitamente precoce, secondo Janet, si sottrae alla coscienza e dà origine ai sintomi. La terapia non consiste solo nel riportare alla luce queste cause ma la guarigione si ottiene con la distruzione delle idee fisse del paziente (tutto si ritrova anche nel pensiero di Sigmund Fredu). coinvolgimento che venne ripreso nelle teorie di Freud come essenziale per il transfert e il controtransfert. 3.4 VERSO LA PSICOANALISI Gli scritti di Freud riguardanti l’isteria fanno presente il cambiamento di pensiero che ha avuto riguardo l’isteria: -nei primi scritti, tra cui il saggio intitolato “L’Isteria” del 1888, emerge la sua adesione alle idee di Charcot precisando che l’isteria è ereditaria. La predisposizione isterica non può venire eliminata del tutto ma attraverso la terapia si può agire sui sintomi, non sulle cause. L’isteria acuta, secondo il Freud di questo periodo, era difficile da curare. Invece per quanto riguarda le forme lievi, affermava che queste era possibile prevenirle, ad esempio, non affaticando il sistema nervoso, facendo esercizio fisico, vivendo all’aria aperta oppure affrontando il sintomo con l’ipnosi; -con il saggio “Studi sull’isteria” del 1892-95 si avvicina alla teoria di Breuer, era d’accordo sul fatto che attraverso l’abreazione delle cariche emotive bloccate nel paziente e liberate attraverso la rievocazione degli avvenimenti traumatici del suo passato avveniva la scomparsa dei sintomi. Al contrario di Breuer, Freud pensava che la causa dell’isteria non fosse legata a un evento traumatico passato ma che fosse tutto riconducibile alla sfera sessuale. Inoltre, sosteneva che non vi era alcun stato ipnoide nelle pazienti ma che semplicemente si attivavano delle difese che mantenevano fuori dalla coscienza un’idea inaccettabile. Freud sottolinea nei suoi studi un limite del metodo catartico è cioè quello di non poter impedire la comparsa di sintomi nuovi in sostituzione di quelli eliminati. Freud non si dimostrò mai troppo bravo con il metodo dell’ipnosi, spesso non riusciva ad ipnotizzare le sue pazienti e così si sentì costretto a modificare la sua tecnica. Ricorse così alla suggestione e alla costrizione, perché sapeva ed era convinto che le pazienti sapevano tutto quello che poteva avere significato nei confronti della patologia in atto. Insisteva perché le pazienti opponevano resistenza all’emergere dei ricordi dolorosi. Da questo cambiamento fece poi ulteriori passi avanti, con il tempo imparò ad essere meno direttivo, a far distendere la persona, farla rilassare e parlare di tutto ciò che le passasse per la mente, anche delle cose più insignificanti. Non mirava più alla causa ma lasciava che questa emergesse con gradualità, questo metodo porterà poi verso lo studio delle libere associazioni e la gradualità sarà poi una caratteristica del metodo psicoanalitico. Secondo Freud i traumi che causano isteria sono di natura sessuale e vanno da traumi veri e proprio come abusi, vista di atti sessuali compiuti dai genitori a fatti di minore importanza come una carezza che però si dilatano nella mente del soggetto fino ad essere vissuti come autentiche violenze. In ogni caso sono traumi reali che normalmente risalgono all’infanzia (difficile raggiungere con la memoria a quel periodo). I traumi sessuali non determinano subito l’insorgenza dell’isteria ma possono causarne la predisposizione. Pur se prima privi di effetti acquisiscono una portata patogena più tardi, durante la pubertà, quando si riaffacciano come ricordi inconsci. Freud è d’accordo nell’affermare che l’isteria è da condurre a un conflitto psichico causata da una difesa da parte dell’Io attraverso la RIMOZIONE, cioè collocando quel contenuto nella parte inconscia della mente. L’evento è un evento esterno ma diventa patologico e dà origine all’isteria nel momento in cui viene introiettato, perché diventa un contenuto mentale inaccettabile che si pone in una relazione conflittuale con altri contenuti psichici. Ci fu poi un mutamento fondamentale nella teoria di Freud, l’esperienza traumatica della seduzione che credeva reale si dimostrò, nel corso di diverse terapie a diversi pazienti, una fantasia. Le pazienti non erano veramente state vittime di abusi ma credevano di esserlo state, e tale convinzione era talmente forte e radicata da essere dotata di una potenzialità patologica identica a quella che sarebbe derivata da una seduzione vera. La credenza era dovuta a un “banale errore d’interpretazione” e nel soggetto, ci dice Freud, si possono ricreare fantasie allucinatorie, falsi ricordi dotati di un’intensità identica a quella dei ricordi di fatti reali. Il referente, quindi, dei sintomi isterici è una fantasia allucinatoria e non ricordi di fatti reali. Da qui l’ipotesi che la revisione freudiana potesse essere motivata da ragioni di prudenza: data dalla necessità di adottare un atteggiamento politically correct. CAPITOLO 4: LA METAPSICOLOGIA Per conoscere al meglio la teoria di Freud bisogna conoscere la sua metapsicologia ossia le sue teorie relative alla struttura e al funzionamento della mente umana, ricordando però che la sua teoria è in continua evoluzione, è dinamica e non si assesta mai secondo parametri definiti e immodificabili. 4.1 IL PROGETTO DI UNA PSICOLOGIA (1895) “Progetto di una psicologia”, saggio del 1895, è un’opera che nasce dal desiderio di comprendere l’attività psichica umana e di fornire una rappresentazione complessiva del funzionamento della mente. Il progetto rimarrà inconcluso ma si ritrovano alcuni aspetti che Freud conserverà e si riveleranno importanti per lo sviluppo del suo pensiero, mentre altri li modificherà. La psicologia viene collocata dall’autore nell’ambito delle scienze naturali. I processi psichici sono considerati da Freud come stati quantitativamente determinati di particelle materiali. Vengono sovrapposti i concetti di mente e di cervello, tanto da ritenere che il pensiero, le emozioni e tutto ciò che appartiene alla dimensione mentale possano essere spiegati deterministicamente in termini quantitativi e fisiologici. Sono due i presupposti dei primi studi di Freud: 1) La nozione di QUANTITA’ intesa come energia che distingue l’attività dalla quiete; 2) La funzione dei NEURONI considerati come particelle soggette a variazioni quantitative che vengono eccitate da QUANTITA’ o detta anche energia in movimento; Da questa idea si sviluppa un concetto che permarrà poi in Freud ovvero il PRINCIPIO DI INERZIA, in base al quale i neuroni tendono a liberarsi della quantità di energia di cui sono investiti per raggiungere uno stato di quiete. Questo principio prenderà inizialmente il nome di POSTULATO BIOLOGICO e successivamente di PRINCIPIO DI COSTANZA, inteso come la tendenza a mantenere costante la quantità di eccitazione. In entrambi i casi, uno stimolo produce una determinata quantità di energia che determina un’eccitazione neuronale, questa viene scaricata tramite un’azione muscolare attivata dai neuroni motori. componente più variabile della pulsione, nel senso che una stessa pulsione può essere indirizzata ad oggetti diversi contemporaneamente o successivamente. Inoltre, l’oggetto di una medesima pulsione può variare da un individuo ad un altro;  La pressione coincide con l’intensità della pulsione, cioè con la quantità di energia che può produrre. 4.2.2 TIPOLOGIE DI PULSIONI In una prima fase del pensiero freudiano le pulsioni sono suddivise in due categorie; -Pulsioni di autoconservazione o pulsioni dell’Io: corrispondo alle necessità fondamentali dell’individuo, hanno origine dal bisogno e si soddisfano attraverso un oggetto reale. Fanno riferimento al PRINCIPIO DI REALTA’; -Pulsioni sessuali: sono bisogni individuali poiché hanno come obbiettivo la conservazione della specie, hanno origine dal desiderio e si possono soddisfare anche in modo fantasmatico. Fanno riferimento al PRINCIPIO DI PIACERE, LA LIBIDO è l’energia che sta a monte della pulsione sessuale; PULSIONI DELL’IO PULSIONI SESSUALI Necessità dell’individuo Bisogni dell’individuo Hanno origine dal bisogno Hanno origine dal desiderio La loro soddisfazione avviene attraverso un oggetto reale La loro soddisfazione avviene anche attraverso la fantasia Si basano sul PRINCIPIO DI REALTA’ Si basano sul PRINCIPIO DEL PIACERE LIBIDO: energia a monte della pulsione Queste due pulsioni sono definite da Freud PULSIONI PRIMARIE e all’inizio della vita dell’individuo le pulsioni sessuali e quelle di autoconservazione sono collegate poi si distaccano, ad esempio: la suzione del capezzolo da parte del bambino produce un piacere sessuale che si appoggia alla necessità della nutrizione. In una seconda fase del pensiero freudiano le pulsioni vengono suddivise in altre due categorie, accorgendosi che la classificazione precedente non bastava: -Pulsioni di vita: che comprendono le pulsioni sessuali e quelle di autoconservazione, fanno riferimento all’Eros; -Pulsioni di morte: la cui meta è la distruzione dell’oggetto, fanno riferimento a Thanatos che punta alla disgregazione inorganica della materia e quindi alla riduzione completa e all’annullamento della tensione pulsionale. La meta della riduzione della tensione (principio di inerzia) normalmente produce piacere, ma nel momento in cui raggiunge il suo obbiettivo in maniera completa conduce paradossalmente alla morte. Una delle modalità con cui si manifesta la pulsione di morte è la COAZIONE A RIPETERE esperienze dolorose, ad esempio nella nevrosi di guerra: le immagini drammatiche dei bombardamenti e delle sofferenze vissute dai militari, invece che estinguersi o attenuarsi, si ripropongono in maniera ossessiva nei pensieri e nei sogni dei reduci. Le pulsioni di morte possono essere dirette verso l’esterno, portando alla distruzione dell’oggetto, o verso l’interno e quindi portando all’autodistruzione. Nelle ultime opere di Freud le pulsioni portano con sé pulsioni di vita e di morte contemporaneamente. In alcuni testi di Freud si parla anche di pulsione parziale che si può riferire alla fonte ad esempio: pulsione orale, anale (l’oggetto verso cui si dirige la pulsione è parziale) oppure alla meta, ad esempio, pulsione di guardare o di appropriazione. Dal punto di vista genetico, le pulsioni parziali funzionano prima indipendentemente l’una dall’altra, poi tendono ad unirsi. 4.2.3 PLASTICITA’ DELLE PULSIONI Le pulsioni, secondo Freud, non sono immodificabili anzi sono in continua trasformazione ed è per questo che si parla di plasticità delle pulsioni e si modificano attraverso: a) La conversione nell’opposto: si può manifestare in due modi o attraverso la trasformazione da attivo in passivo, per esempio, nel passaggio dal sadismo al masochismo o attraverso il cambiamento del contenuto della pulsione, come nella trasformazione dell’amore in odio o viceversa; b) Sostituzione dell’oggetto: in questo caso l’oggetto della pulsione viene sostituito con un altro; c) La sublimazione: consiste nell’indirizzare una pulsione verso una meta non sessuale e verso oggetti valorizzati socialmente, per esempio, la curiosità sessuale porta a una curiosità intellettuale. 4.2.4 AFFETTO E RAPPRESENTAZIONE Secondo Freud, una pulsione è costituita dall’affetto e dalla rappresentazione: -L’AFFETTO: è la componente pulsionale che viene percepita dal soggetto a livello emotivo: stati affettivi piacevoli o dolorosi, vaghi o definiti. Un esempio di affetto potrebbe essere la paura. Freud pensava che il sintomo dell’isteria fosse causato da un evento traumatico che non aveva avuto la giusta scarica emotiva e quindi l’affetto connesso a quell’esperienza è rimasto bloccato. L’efficacia terapeutica coincide con la riattivazione dell’affetto, che in passato era stato bloccato, grazie rievocazione dell’evento traumatico; -LA RAPPRESENTAZIONE: è ciò che viene trasferito dell’oggetto nella mente dell’individuo. In particolare, Freud distingue: a) Rappresentazione di cosa: visiva, che si colloca nell’inconscio; b) Rappresentazione di parola: non visiva ma acustica e verbale, che si colloca nel preconscio e nell’inconscio. 4.3 LA PRIMA TOPICA La struttura della mente è rappresentata da Freud in due modelli che vengono definiti: prima topica e seconda topica. LA PRIMA TOPICA corrisponde a un modello topografico, nel senso che la mente viene concepita come divisa in parti definite: Inconscio, Preconscio e Conscio, indicate con la maiuscola perché usate come sostantivi e non come aggettivi perché riferite a luoghi della mente. Paragonando la mente ad un iceberg: la porzione visibile cioè la punta, corrisponde al Conscio, quella sommersa all’Inconscio (che è di gran lunga più grande). Mentre, quella parte che sta tra la parte emersa e quella sommersa è il Preconscio, che collega le altre due. 4.3.1 L’INCONSCIO L’inconscio è la parte primaria, più importante e più estesa della psiche umana, corrisponde alla parte sommersa dell’iceberg. I contenuti INCONSCIO PRECONSCIO CONSCIO Parte sommersa dell’iceberg, la più ampia. Tra la parte sommersa ed emersa dell’iceberg. La parte emersa dell’iceberg. Energia scorre liberamente. Energia non è libera ma legata ad una rappresentazione. Energia non è libera ma legata. Rappresentazione di cosa. Rappresentazione di parola. Funziona secondo il processo Primario. Funziona secondo il processo Secondario. Funziona secondo il processo Secondario. Funziona secondo il principio di piacere. Funziona secondo il principio di realtà. Censura tra Preconscio e Inconscio deformante. Censura tra Preconscio e Conscio selettiva. 4.4 PROCESSO PRIMARIO E PROCESSO SECONDARIO Con il termine “processo” Freud intende il modo di funzionare dell’apparato psichico. Si distinguono due processi: -IL PROCESSO PRIMARIO: caratterizza il sistema inconscio. Il suo funzionamento è basato sull’uso di energia psichica libera che fluisce senza incontrare ostacoli passando da una rappresentazione inconscia ad un’altra, senza legarsi a nessuna di esse. Funziona secondo il PRINCIPIO DI PIACERE e il soddisfacimento di una pulsione deve essere immediato perché va ricordato che nell’Inconscio non esiste la dimensione del tempo; quindi, non è possibile una dilazione del soddisfacimento. L’obbiettivo del processo primario è quello di stabilire attraverso le vie più brevi una IDENTITA’ DI PERCEZIONE. Questa consiste nella riproduzione allucinatoria delle rappresentazioni alle quali l’esperienza di soddisfacimento originaria ha conferito un valore privilegiato. Ad esempio: il lattante prova sensazioni spiacevoli collegate a tensioni interne determinate dalla fame, attraverso l’intervento della madre, questa tensione interna viene eliminata mediante l’alimentazione e quindi si ha un’esperienza di soddisfacimento. L’oggetto che procura soddisfacimento, in questo caso il seno materno, diventa un oggetto privilegiato, che trova una rappresentazione mentale inconscia nel soggetto. Se in un’occasione successiva l’oggetto reale, in questo caso sempre il seno, non è presente quando la fame si manifesta nel bambino, egli lo concepirà presente anche se affettivamente non c’è attraverso una logica allucinatoria. Si parla in questo caso di soddisfacimento allucinatorio del bisogno o del desiderio, perché l’oggetto reale non è di fatto disponibile, e quindi viene ricreato nella mente del bambino come se invece lo fosse. Questa esperienza viene definita allucinazione primaria che costituirà un modello su cui si plasmerà ogni successiva operazione psichica di ricreazione allucinatoria dell’oggetto assente. Il soddisfacimento attraverso un oggetto allucinatorio non è stabile né definitivo e non ostacola la ricerca successiva dell’oggetto reale di soddisfacimento da parte del soggetto. IL PROCESSO PRIMARIO FUNZIONA SUL MODELLO DELL’ALLUCINAZIONE PRIMARIA E NON RICHIEDE L’ATTIVAZIONE DEL PENSIERO. PROCESSO SECONDARIO: caratterizza il Preconscio e il Conscio. Funziona con energia legata che quindi non scorre in maniera incontrollata come nell’Inconscio, ma si lega in modo stabile alle rappresentazioni. In questo modo si spiega la capacità del pensiero di soffermarsi sui concetti, di elaborarli e di modificarli. Il processo secondario comprende le categorie di spazio e di tempo che rendono possibile il rinvio del soddisfacimento (mentre nel processo primario no) e la tolleranza delle frustrazioni. L’energia legata consente l’esecuzione di operazioni mentali che permettono di scegliere le strategie migliori, più efficaci e meno dannose. Il processo secondario appare dopo il processo primario. Fanno riferimento al processo secondario: il pensiero vigile, l’attenzione, il giudizio e il ragionamento. Il processo secondario non riguarda più esclusivamente la sfera mentale dall’individuo, ma anche la realtà esterna. IL PRINCIPIO DI REALTA’ emerge dal contatto con gli oggetti esterni e quindi reali, e si affianca al principio di piacere, che non viene cancellato, ma deve fare i conti con la realtà e quindi con l’inevitabile frustrazione. Mentre il processo primario è basato sull’identità di percezione, il processo secondario si centra sull’identità di pensiero. Nel processo primario si cerca di trovare la via più breve per scaricare la tensione attraverso il soddisfacimento allucinatorio (identità di percezione), il funzionamento è automatico e immediato. Il processo secondario, invece, si misura con la realtà e ricerca il soddisfacimento del bisogno o del desiderio attraverso strategie attivate dal pensiero che possono risultare utili e produttive. La meta rimane la scarica della tensione, ma questa può aver luogo in maniera più elaborata, facendo i conti con la frustrazione e ricorrendo al pensiero. Con l’identità di percezione del processo primario si fa ricorso a una rappresentazione di cosa in presenza di esperienze analoghe, ad esempio, la rappresentazione del seno in successive situazioni di fame. Mentre, nell’identità di pensiero del Preconscio e del Conscio si ricorre a modalità simili di pensiero, di strategie, che sono risultate valide, in situazioni analoghe, per poter così affrontare e risolvere situazioni ed esperienze simili (utilizzo di schemi di pensiero già utilizzati in precedenza, senza dover ripartire da zero). PROCESSO PRIMARIO PROCESSO SECONDARIO Caratterizza il sistema Inconscio. Caratterizza il sistema Preconscio e Conscio. Funzionamento basato su energia psichica libera che passa da una rappresentazione inconscia ad un’altra, senza legarsi a nessuna di esse. Funziona con energia legata, si lega alle rappresentazioni in maniera stabile. Non comprende le categorie di spazio e di tempo. Comprende le categorie di spazio e di tempo. Principio di piacere. Principio di realtà. Identità di percezione. Identità di pensiero. Allucinazione primitiva. Strategie, schemi di pensiero già utilizzate. Non richiede l’attivazione del pensiero. Richiede l’attivazione del pensiero. Meta uguale: scarica della tensione. Meta uguale: scarica della tensione. 4.5 PRINCIPIO DI PIACERE E PRINCIPIO DI REALTA’ Il funzionamento mentale dell’individuo è regolato, secondo Freud, da due principi: il principio di piacere e il principio di realtà. L’attività psichica ha come obbiettivo principale quello di evitare il dispiacere e di ricercare il piacere. Il dispiacere fa aumentare l’eccitazione, il piacere è una scarica e prevede una riduzione della tensione. C’è una continua oscillazione tra l’estremità del piacere e l’altra del dispiacere, la tensione può quindi aumentare o diminuire tra queste due estremità. Il piacere è un limite di fatto irraggiungibile, perché porterebbe a una riduzione completa della tensione che coinciderebbe con la morte dell’individuo. IL PRINCIPIO DI PIACERE, nel processo primario, si centra sulla scarica e sul soddisfacimento delle pulsioni ottenuto con la via più breve ed immediata. È alla base del funzionamento primario e caratterizza la prima fase della vita dell’individuo in cui, secondo Freud, è assente qualsiasi confronto con il mondo esterno. In seguito, l’individuo deve fare i conti con i limiti e gli ostacoli modifiche da generazione in generazione. Nel Super-io le pulsioni di morte prevalgono rispetto alle pulsioni di vita. Il conflitto tra Io e Super-io determina il senso di colpa. Spesso questo senso di colpa non segue ma precede un atto immorale o criminoso, non ne è la conseguenza ma la causa. Freud nota che l’individuo a volte è tormentato da un senso di colpa inconscio, connesso ad un conflitto tra pulsioni che l’Io non riesce a tenere a freno. In questa prospettiva il reato appare come un evento che riesce a giustificare a posteriori il senso di colpa preesistente, che fino ad allora era stato privo di una motivazione. Il reato in questo modo non solo fornisce una giustificazione al senso di colpa, ma lo allevia. 4.6.4 IDEALE DELL’IO E IO IDEALE Vanno distinti in relazione ai loro ruoli nei processi individuali di idealizzazione. -L’io ideale: sarebbe l’incarnazione dell’ideale di perfezione, questo ideale viene preso dall’individuo come riferimento per valutare la qualità delle sue azioni, delle sue conoscenze e delle sue conquiste. È un modello di perfezione che viene utilizzato come riferimento privilegiato e termine di confronto; -L’ideale dell’Io: rappresenta il modello di perfezione rappresentato dai genitori o da uno dei due. Mentre i divieti e le minacce costituiscono il Super- io (di solito comparabile con la figura paterna), l’Ideale dell’Io è invece l’altra faccia della funzione genitoriale, quella più amichevole e positiva al quale si possono ricondurre suggerimenti e consigli (di solito quella materna). Al Super-io si riconduce il senso di colpa, all’Ideale dell’Io si fa risalire la vergogna. CAPITOLO 5: IL SOGNO 5.1 LO STUDIO DEL SOGNO PRIMA DI FREUD Freud pubblica “L’Interpretazione dei sogni” nel 1900, in cui studia il significato dei sogni, da sempre preso in considerazione ma come perturbazione del sonno e non come se avesse un significato proprio. 5.2 IL SOGNO COME APPAGAMENTO DI DESIDERIO Con Freud il sogno acquista la dignità di un atto psichico dotato di un autentico significato. Il significato del sogno non è però percepibile immediatamente: nel sogno è presente un contenuto onirico manifesto che è ciò che il sognatore ricorda e un contenuto onirico latente che costituisce invece il lato nascosto, a cui è possibile accedere solo attraverso un’analisi approfondita. Il sogno comporta un distacco dal mondo esterno favorendo la regressione e allentando la forza della censura nei confronti dei contenuti inconsci rimossi. In questo modo, i contenuti non sono più celati e irraggiungibili: quelli che riescono a passare attraverso le maglie della censura danno origine al sogno, considerato da Freud, la via regia all’Inconscio. Freud ricorre all’uso delle libere associazioni lasciando il paziente libero di recuperare materiale posto al di sotto della coscienza, per ottenere questo scopo dispone il paziente in uno stato simile a quello del dormiveglia. Durante la terapia il sogno viene annotato per non dimenticarne delle parti e poi viene suddiviso in sequenze, a ciascuna di esse vengono associati ricordi e impressioni che emergono dalla mente del paziente. L’attribuzione di significato ad una sequenza non è mai definitiva ma può venire arricchita, annullata o confermata da ciò che emerge in altri parti del sogno. Freud studiò e riportò gli studi fatti suoi sogni e su quelli dei suoi pazienti. I contenuti dei sogni rappresentano o possono rappresentare uno stato di cose desiderato dal sognatore, tutti i dettagli e i personaggi hanno un significato profondo che travalica quello di superficie, e rimandano ad aspetti nascosti che gradualmente emergono e danno un senso nuovo e per alcuni aspetti imprevedibile, rispetto alla narrazione. Dunque, il sogno non è privo di significato ma è un fenomeno psichico valido, frutto di un’attività mentale che può venire indagata. Il sogno è l’appagamento di un desiderio, o meglio, l’appagamento mascherato di un desiderio rimosso o represso. Nel sogno entrano in gioco due tendenze psichiche: la prima plasma il desiderio espresso dal sogno e la seconda esercita una censura sui contenuti latenti del sogno stesso, imponendo una serie di deformazioni che rende il tutto difficilmente comprensibile. Nel materiale del sogno sono presenti: a) Fatti accaduti recentemente o addirittura il giorno precedente (residui diurni); b) Ricordi su eventi passati, di cui alcuni aspetti vengono messi in primo piano altri meno; c) Contenuti riferiti all’infanzia che intervengono anche se il contenuto del sogno non evidenzia alcuna attinenza con quella fase di vita del soggetto così arcaica; 5.3 IL LAVORO ONIRICO I contenuti del sogno sono per gran parte inconsci. Tra l’Inconscio e il Preconscio si trova una censura che impedisce il passaggio di contenuti rimossi, questa censura però si attenua durante il sonno e in questa particolare situazione alcuni contenuti passano attraverso la censura e danno origine al sogno, opportunamente deformati però dalla censura. Tali operazioni di deformazione fanno parte del LAVORO ONIRICO. È il lavoro onirico a far in modo che il sogno si manifesti con delle stranezze o assurdità, perché trasforma i contenuti onirici latenti in contenuti manifesti del sogno. Il lavoro dell’analista va in direzione opposta rispetto a quella del lavoro onirico perché partendo dalla dimensione manifesta del sogno ripercorre i processi di deformazione operati dal lavoro onirico, per giungere a cogliere i contenuti latenti inconsci. In tal modo, l’assurdità del sogno scompare non appena si approfondisce il significato. Il lavoro onirico comprende quattro modalità di modificazione del materiale latente: 1) CONDENSAZIONE: il sogno manifesto è molto più sintetico rispetto alla ricchezza dei contenuti latenti. Ogni contenuto manifesto può rimandare a più contenuti latenti che vengono condensati nelle immagini del sogno. Gli elementi del contenuto onirico manifesto possono essere dunque sovradeterminati. La SOVRADETERMINAZIONE O DETERMINAZIONE MULTIPLA: è un fenomeno in base al quale un singolo aspetto del sogno rinvia a una pluralità di fattori. Detto ciò, ci si rende conto che l’analista non può essere veramente mai certo di aver interpretato fino in fondo un sogno; 2) SPOSTAMENTO: nel momento in cui il sogno viene narrato, la narrazione può non corrispondere a quello che caratterizza i contenuti profondi. I particolari secondari dell’esperienza reale possono essere messi in primo piano nel sogno oppure gli elementi che, risultano invece importanti per ricercare il significato profondo, tendono ad essere trattati come dettagli di poco conto. Il sogno manifesto è quindi centrato in modo diverso dai pensieri onirici latenti. Il lavoro onirico spoglia della loro intensità i contenuti profondi dotati di elevata importanza e assegna nuovi valori a una falsa importanza, ad aspetti del sogno che hanno una funzione secondaria, sviando l’attenzione dai contenuti più significativi. Si produce, nella formazione del sogno, uno spostamento delle intensità psichiche dei vari elementi onirici, tanto che ciò che appare a prima vista secondario nel sogno manifesto può dell’analista di interpretare il suo sogno, la resistenza cosa fa a questo punto? Pone al riparo i punti deboli del travestimento ed è proprio a quei punti che l’analista deve fare attenzione. Bisogna fare anche molta attenzione alle omissioni. 5.6 I SOGNI D’ANGOSCIA Se è vero che ogni sogno è l’appagamento di un desiderio, risulta difficile applicare questo principio ai sogni d’angoscia. In realtà l’angoscia e il desiderio, secondo Freud, non sono inconciliabili; infatti, anche un sogno angoscioso può essere l’appagamento di un desiderio latente. Un esempio emblematico viene riportato nell’Interpretazione dei sogni: una paziente racconta di essere rimasta orfana e di vivere con la sorella che ha due figli Karl e Otto. Nella casa della sorella si receva un uomo di cui la paziente si era innamorata ma la sorella si era opposto al loro amore e così il letterato aveva smesso di frequentare la casa. La paziente amava ancora quell’uomo, alla morte del figlio Otto, l’uomo si presentò al funerale e lei ebbe l’occasione di rivederlo. Poco dopo, sognò la morte di Karl che procurò nella paziente una forte angoscia ma nonostante questa componente d’angoscia, Freud rilevò nel sogno un desiderio: il desiderio di rivedere l’uomo amato. Questo desiderio si sarebbe realizzato se Karl fosse morto, perché in quell’occasione l’uomo sarebbe ritornato. Si tratta di un desiderio inconscio rimosso. Un’altra osservazione fatta da Freud riguarda l’angoscia che si manifesta nei sogni di contro desiderio. Questi hanno come contenuto qualcosa di indesiderabile che provoca angoscia e nella maggior parte dei casi questi sogni rappresentano la soddisfazione di desideri, però di natura masochista. La logica che li sottende è “si tratta di una cosa che mi fa star male, ma in fondo me lo sono meritato, mi sta bene”. La punizione appare giusta e inevitabile, ed è quindi desiderata, almeno inconsciamente. Tra i sogni d’angoscia Freud individua quelli centrati sulla morte di persone care. Freud, in riferimento a questi, afferma che può trattarsi di un desiderio lontano nel tempo legato a dinamiche familiari (per esempio l’odio verso un fratello) o edipiche (il desiderio di morte di uno dei due genitori). Il pensiero onirico latente in questo caso si sottrae a qualsiasi forma di censura e deformazione e passa inalterato nel sogno manifesto, ciò può accadere perché non esiste desiderio dal quale ci si crede più lontani, e per questo la censura è impreparata e disarmata. Altro sogno tipico è quello di angoscia o imbarazzo per la propria nudità, i desideri proibiti in questo caso sono quelli esibizionistici dell’infanzia che vengono rimossi dalla morale e dall’educazione. Successivamente Freud riprenderà a studiare i sogni d’angoscia e affermerà che spesso il lavoro onirico (che trasforma i pensieri onirici latenti nei contenuti manifesti del sogno) può non essere riuscito completamente, e così una parte dell’angoscia è rimasta nel sogno: quantità di affetto comunque inferiore rispetto a quella che si trova nei pensieri latenti. Questa parte dell’angoscia rimane nel sogno manifesto perché per il lavoro onirico è più facile modificare i contenuti del sogno piuttosto che gli affetti. Infine, Freud prende in considerazione i sogni dei pazienti affetti da nevrosi di guerra, nei quali ricorrono con regolarità esperienze traumatiche vissute durante il primo conflitto mondiale. In questi sogni non è riscontrabile alcun appagamento di desiderio rimosso. Freud afferma che sono esempi di sogni in cui la funzione vera e propria del sogno è venuta a meno e quindi si tratterebbe di eccezioni. CAPITOLO 6: LO SVILUPPO INDIVIDUALE 6.1 LA SESSUALITA’ INFANTILE Freud critica la credenza diffusa secondo la quale le pulsioni sessuali si svilupperebbero a partire dalla pubertà. Secondo lo psicoanalista le pulsioni sessuali si manifestano fin dalla nascita, ma la loro esistenza non viene riconosciuta. L’educazione poi contribuisce a controllarle e a domarle, perché costituiscono un fattore destabilizzante che, se non regolato adeguatamente, minaccerebbe l’esistenza della civiltà e delle sue regole. Le manifestazioni sessuali infantili hanno tre caratteristiche comuni:  I primi impulsi della sessualità infantile si appoggiano ad altre funzioni fisiologiche, come la nutrizione: per esempio, la suzione del seno materno produce nel bambino un piacere di natura sessuale;  Le pulsioni sessuali sono orientate in direzione autoerotica, nel senso che l’oggetto investito della libido non è percepito dal bambino come esterno a sé stesso;  Sono legate ad una ZONA EROGENA e cioè una parte del corpo che, se stimolata, produce una sensazione di piacere collegabile ad un eccitamento pulsionale; Inoltre, secondo Freud, la vita sessuale del bambino non può che essere perversa, in quanto non ha ancora i tratti della sessualità genitale e dunque non può portare alla riproduzione. Non solo, ma è perversa anche perché è rivolta a oggetti parziali su cui si orientano pulsioni parziali. Lo sviluppo psicosessuale freudiano è concepito secondo un modello epigenetico, cioè ogni nuova fase evolutiva si pone in continuità con quella che la precede e risulta condizionata da quella. Il percorso evolutivo è strutturato secondo una gradualità e un ordine prestabiliti. Ogni nuova tappa dipende dal successo della precedente e pone le premesse per la tappa successiva. Può anche accadere che ci sia un ritorno ad una fase già attraversata, si parla in questo caso di REGRESSIONE rispetto alla normale sequenza evolutiva, che comporta il recupero di aspetti e comportamenti caratteristici di una fase arcaica. Se si tratta di un fenomeno transitorio, la regressione non crea alcun problema ma se si ha, invece, un arresto ad una fase precedente si parla di FISSAZIONE, prodotta nel corso dello sviluppo e condizione seria e potenzialmente patologica. La successione delle fasi dello sviluppo psicosessuale individuate da Freud riflette lo sviluppo e la maturazione biologica dell’individuo: LA FASE ORALE (0-1 anno e mezzo) Caratterizza il primo anno e mezzo di vita del bambino. Il piacere è legato alla zona erogena della bocca inizialmente connesso alla nutrizione. Successivamente, il movimento ritmico delle labbra viene attivato dal bambino anche indipendentemente dall’assunzione di cibo: il piacere si scinde dalla funzione fisiologica dell’alimentazione e il seno materno può essere sostituito da un dito, dalla lingua o dalle labbra stesse. Mentre inizialmente l’oggetto della pulsione è esterno, ovvero il seno, in seguito viene sostituito da una parte del corpo del bambino, per esempio, egli può provare analogo piacere succhiandosi un dito. Nella fase orale la meta è l’incorporazione dell’oggetto, si tratta di un aspetto fondamentale perché costituisce il modello per i successivi meccanismi di identificazione che porteranno alla costruzione della personalità dell’individuo. L’identificazione è l’incorporazione di aspetti dell’altro in sé stessi: l’Io e l’Identità si costruiscono attraverso le identificazioni. il maschio che la femmina conoscono solo un genitale e cioè quello maschile, per questo parla anche di primato del fallo. La fase fallica si riscontra anche nella bambina ma in negativo: lei non ha la consapevolezza di avere un proprio genitale, diverso da quello del maschio, ma crede di non avere il pene. L’identità femminile in questa fase è collegata alla percezione di una mancanza, di un’assenza: da qui l’invidia del pene della bambina collegata a un risentimento verso la madre che non l’ha dotata di un apparato genitale come quello del fratellino o del padre (complesso di evirazione o castrazione). Di conseguenza, la bambina sceglie il padre come oggetto d’amore edipico, poiché egli le può dare il pene o il suo equivalente simbolico il figlio. La dicotomia di concetti elaborata nella fase anale era costituita dalla coppia attivo-passivo ora nella fase fallica si contrappongono i due concetti di fallico-evirato. La fase fallica ha la sua manifestazione più significativa nel complesso di Edipo: mito e tragedia di Sofocle centrati sull’assassinio del proprio padre da parte di Edipo e sulla relazione incestuosa con la propria madre. Il bambino intorno ai 4-6 anni prova un’attrazione (desiderio sessuale) verso il genitore di sesso opposto e una conseguente ostilità nei confronti del genitore dello stesso sesso (desiderio di morte). Solitamente il complesso Edipico a risvolti positivi ma non sempre. Il genitore di sesso opposto viene amato dalla bambina/o ma non può essere conquistato perché l’altro genitore è un avversario forte e invincibile in questa competizione sessuale. Nel momento in cui la bambina si accorge di non avere il fallo, percepisce questa mancanza come il risultato di un’evirazione. Nel maschio la condizione di evirazione della femmina lo distoglie dalla realizzazione dei propri desideri amorosi verso la madre: la paura che il raggiungimento di tale obbiettivo abbia conseguenze negative su di lui e che provochi una minaccia di castrazione da parte del padre. Questa minaccia unita alla delusione amorosa subita dal genitore di sesso opposto, ad orientare il maschio verso il superamento del complesso edipico. Se il soddisfacimento del complesso edipico deve comportare la perdita del pene, entra in gioco un conflitto tra l’interesse del bambino per il proprio genitale e l’investimento libidico sull’oggetto materno. Di fronte a questa alternativa, l’investimento sessuale viene abbandonato e sostituito dall’identificazione con il padre: l’autorità paterna viene introiettata e andrà a costituire il nucleo del Super-io. Le tendenze libidiche edipiche vengono in seguito desessualizzate e sublimate dando origine a una forma di tenerezza nei confronti dei genitori. Nella femmina le dinamiche edipiche evolvono in maniera diversa. La castrazione per lei non è una minaccia ma un dato di fatto (complesso di evirazione). Inoltre, va notato che mentre il maschio mantiene lo stesso oggetto sessuale dell’allattamento (la madre), le femmina cambia oggetto sessuale passando dalla madre al padre. La mancanza del pene produce in lei un senso di inferiorità da cui nasce l’invidia del pene che se non elaborata correttamente, può far sorgere nella donna un complesso di virilità che potrebbe comportare serie difficoltà nello sviluppo sessuale normale. La bambina, dunque, investe il proprio desiderio sessuale nel padre dal quale desidera il dono del pene o un suo sostituto simbolico: un bambino. Nel momento in cui si accorge che ciò è irrealizzabile, anche la bambina rinuncia alla conquista sessuale del genitore di sesso opposto ma mentre il bambino vi rinuncia sotto la minaccia dell’evirazione, questa punizione terribile non può avere luogo nei confronti della bambina. La differenza sta nel fatto che nel maschio il complesso edipico tramonta con la paura della minaccia di evirazione, nella femmina il complesso edipico nasce dal complesso di evirazione. La mancanza della minaccia di evirazione, e quindi la minore angoscia vissuta dalla bambina, spiega, secondo Freud, il motivo per cui il Super-io della femmina è più fragile di quello del maschio: condizione antica della donna secondo cui ha una morale e un senso del dovere inferiore a quello dell’uomo. Freud riconduce questa convinzione a dinamiche di natura psicosessuale. LA FASE DI LATENZA (5-6 anni) Compresa tra i cinque e i sei anni, periodo in cui si risolve il complesso edipico che precede la pubertà. Questa fase coincide con il declino degli impulsi sessuali che caratterizzano le prime tre fasi e precede la ripresa della sessualità che avrà luogo nella fase genitale. Vi è una forte attenuazione delle spinte sessuali: la tenerezza prevale sui desideri sessuali. Emergono sentimenti come il pudore, la ripugnanza, si manifestano le aspirazioni morali (formazione Super-io) ed estetiche (da collegare alla sublimazione nella fase di latenza). La rimozione agisce sulle tendenze sessuali che caratterizzano i primi anni di vita, producendo amnesia nei confronti della sessualità perversa dell’infanzia. Nella fase di latenza è significativa l’educazione che si trasmette al bambino: valori e cultura che vengono trasmessi canalizzano e controllando le dinamiche pulsionali in modo da aiutarlo ad integrarsi nella società adeguatamente. In questa fase, la pulsione sessuale sublimata e inibita viene utilizzata per l’instaurazione delle relazioni sociali con i coetanei e con gli altri individui anche al di fuori della famiglia. LA FASE GENITALE Durante la fase di latenza le pressioni libidiche si attenuano fortemente, la fase genitale coincide con l’inizio della pubertà e quindi con un risveglio delle pulsioni sessuali. La maturazione biologica gioca un ruolo fondamentale e l’organizzazione libidica dell’individuo raggiunge la maturità e la completezza. La persona, in questa fase, ricerca il partner sessuale, tenerezza e sessualità si uniscono e comprendono anche l’aggressività, attivata nella ricerca del partner e nella congiunzione genitale. La dicotomia passivo-attivo e quella fallico-evirato, caratteristiche la prima della fase anale e la seconda della fase fallica, lasciano posto a quella tra maschile e femminile. La fase genitale è il punto di arrivo di uno sviluppo per fasi che si succedono secondo un ordine prestabilito. Questo percorso conduce ad un traguardo: -corretto sviluppo fisico e psichico, l’Io si potenzia in maniera adeguata; -piena integrazione sociale; -equilibrio che favorisce il mantenimento della salute mentale; Nella fase genitale il soggetto acquisisce la possibilità di raggiungere la propria completezza e realizzazione da intendersi come il congiungimento con un partner sessuale in funzione della riproduzione. Tutto ciò che esula dalla genitalità eterosessuale finalizzata alla procreazione rientra nella categoria delle perversioni, considerate come manifestazioni regressive di sessualità orale o anale oppure come deviazioni rispetto all’oggetto sessuale e alla meta sessuale. Va precisato che l’omosessualità come anche l’eterosessualità, secondo Freud, è il risultato di una scelta e di un’esclusione nei confronti della bisessualità che appartiene originariamente ad ogni individuo. 6.7 AUTOEROTISMO, NARCISISMO, RELAZIONE OGGETTUALE Nella concezione freudiana, il bambino nelle primissime fasi di vita, è incapace di instaurare una relazione con l’ambiente esterno, vive isolato dalla realtà. Si parla in questo caso di AUTOEROTISMO: il bambino orienta le proprie pulsioni su di sé cercando il soddisfacimento. È vero che ha un percezione vera dell’oggetto si può far risalire alla fase anale, le feci sono percepite come oggetto da donare o da conservare e il mondo esterno è il destinatario del dono e il regolatore delle funzioni evacuatorie. A partire dalla fase fallica si raggiunge la piena consapevolezza dell’oggetto esterno, che è investito dalle pulsioni sessuali e aggressive edipiche. ALFRED ADLER CAPITOLO 13: Adler fu un sostenitore della psicoanalisi e delle teorie di Freud, la sua psicologia nacque proprio dalle sue idee ma finì poi per distaccarsene completamente tanto da essere espulso dalla Società psicoanalitica nel 1911. Fu il padre della scuola adleriana e della Psicologia Individuale. Venne fortemente criticato da Freud: Adler, che si era rivelato il suo più fedele collaboratore, aveva rovesciato completamente il punto di vista freudiano mettendo in rilievo le componenti consce piuttosto che quelle inconsce (tendenza alla “razionalizzazione”). Molto simile a Freud, anche lui austriaco ed ebreo, passò maggior parte della sua vita a Vienna. Nacque nel 1870 in Austria, ebbe un’infanzia difficile a causa del suo rachitismo (difficoltà a crescere), cosa che influenzerà poi i suoi studi (da cui nasce il complesso di inferiorità). Tra il 1910 e il 1920 rimane a Vienna, si interessa anche di pedagogia perché ritiene che certi problemi psicologici possano risolversi durante l’infanzia. In Europa iniziano a muoversi venti pericolosi per gli ebrei, per questo si trasferisce in America. Muore nel 1937 in Scozia durante un ciclo di conferenze a 67 anni circa. Opera più famosa: Psicologia individuale del1920 dove è racchiusa tutta la sua teoria. 13.1 IL DISTACCO DA FREUD Alla base della Psicologia Individuale si trova una visione generale dell’uomo diversa da quella di Freud. Freud aveva una visione pessimista, era convinto che l’uomo fosse in perenne conflitto con la società, mentre Adler crede esista una sintonia tra l’uomo e la realtà, tanto che considera la nevrosi come la conseguenza di un forte individualismo e di un egoismo sfrenati del soggetto nel perseguimento delle proprie mete personali, che si presentano diverse e spesso opposte rispetto a quelle collettive. Inoltre, Adler, essendo socialista, sosteneva che la psicoterapia doveva essere un servizio garantito a tutti e gratuito per le fasce più deboli, questo scatenò una forte polemica da parte della psicoanalisi classica. Di che cosa tratta la psicologia individuale? 1. La prima differenza tra Adler e Freud è sul tema del trauma , per Freud il trauma ha un peso rilevante nei casi di nevrosi: esempio di Anna O. che subì un trauma da bambina, questo era stato introiettato nella parte inconscia della psiche e continuava ad influenzarla. Secondo Freud bisogna andare a scavare nell’inconscio perché ciò che sembra essere stato dimenticato in realtà ci influenza ancora. Adler dice di no: è sbagliato, perché facendo così ci rivolgiamo sempre al passato e non al futuro e inoltre, basandoci sempre su questo rapporto di causa-effetto tra trauma e comportamento facciamo sembrare che l’uomo non sia libero. Da come la vede Freud, ci dice Adler, una persona segnata da un trauma non potrà mai guarire perché la cosa l’ha segnato del tutto inevitabilmente, l’ha determinato e sarà sempre condizionato da questo trauma. Secondo Adler, le persone sane o malate, nevrotiche o meno, si comportano in vista del futuro, di un fine, non secondo il passato. Adler ragiona sul futuro, in vista degli scopi. Una persona ha una nevrosi non perché le è successo qualcosa nel passato ma perché oggi quel modo che ha di comportarsi è l’unico che conosce per ottenere un certo obbiettivo (poi può anche essere avvenuto un evento traumatico ma non è quello la causa della nevrosi). L’obbiettivo potrebbe essere ad esempio quello di attirare l’attenzione su di sé, richiedere aiuto o altri scopi. Le persone non reagiscono in certi modi a causa di un evento accaduto ma a causa di un certo fine o scopo, o più scopi magari, anche inconsci. Le persone che hanno nevrosi non fingono secondo Adler ma inconsciamente hanno uno scopo che può essere il volere quella persona accanto o il voler scaricare una tensione, reagiscono in vista di un fine non per un trauma avvenuto in passato. Freud ha un’impostazione eziologica (determinismo) che guarda alle cause mentre Adler ha un’impostazione teleologica (teoria che considera la realtà come un sistema organizzato secondo un ordine finalistico) che punta ai fini perché l’uomo è libero di cambiare, modificare la sua vita e se non lo fa è perché ha scelto, anche se inconsapevolmente, di non farlo. Questa teoria porta Adler a considerare i fenomeni psichici come orientati verso uno scopo. Chi soffre di nevrosi è perché si è costruito quell’identità, crede sia più facile avere quei problemi che risolverli. “Sei come sei perché hai cercato strategie inconsapevoli per non dover subire una certa cosa, hai adottato una certa strategia per un determinato scopo. Hai scelto di diventare così perché quello ti faceva stare bene e non guarisci perché quella condizione ti sta bene così com’è”. Ognuno sceglie le sue nevrosi, magari rimpiangendo quella scelta, ma se non sei diverso è perché non vuoi, non è il tuo scopo. Non conta più il trauma, che sicuramente ha un suo significato perché ha fatto partire un certo scopo, ma l’obbiettivo è scoprire il fine (teleologia: obbiettivo che persona inconsciamente si dà). La nevrosi scaturisce da scopi, obbiettivi che non si riescono a realizzare o che si sono ridimensionati con la vita, ad esempio genero nevrosi per avere attenzione perché non ne ho o non ne ho abbastanza. Lo faccio senza volere, l’inconscio lo fa, però agisco perché ho comunque uno scopo. Il compito del medico è quello di cercare questi scopi, non i traumi del passato, puntando a capire cosa vuole ottenere il paziente e fargli capire che quello che vuole ottenere può essere raggiunto anche senza bisogno di adottare quel comportamento nevrotico o ansiogeno. 2. La seconda differenza sta nel valore dato alle relazioni interpersonali per la comprensione delle dinamiche psichiche della persona, che Freud aveva messo in secondo piano, mentre per Adler sono fondamentali. Il rapporto con gli altri è fondamentale per capire la psicologia di Adler, il nostro equilibrio mentale è dato da come noi ci relazioniamo con gli altri, non è mai dato solo da noi stessi. La sua psicologia è vero che la definisce individuale, perché l’individuo va considerato e studiato nella sua unicità e irripetibilità, ma secondo il suo pensiero i problemi psichici sono sempre dati dal rapporto con gli altri. 3. Altra differenza tra i due: Adler pensa che alla base delle azioni e degli orientamenti umani non ci sia la sessualità come pensava Freud, ma una forma specifica di energia, una forza che si realizza nella VOLONTA’ DI POTENZA (concetto ripreso da Nietzsche). 4. Altra critica a Freud, da parte di Adler, è sull’apparato teorico , a suo parere, poco comprensibile a tutti e sulle interpretazioni: poco chiare e spesso traumatiche per il paziente. Lui decise di puntare sulla semplicità e sulla chiarezza. 13.2 L’INCONSCIO, IL SÉ CREATIVO La concezione dell’Inconscio di Adler è radicalmente diversa da quella di Freud, l’Inconscio per Adler non è altro che il risultato di ciò che la mente occulta perché considerato contenuto indesiderato. Conscio e Inconscio non sono due stati mentali diversi e separati, non si contraddicono, non funzionano secondo logiche contrapposte, ma la mente è una sola, indistinta volontà di potenza sta alla base delle conquiste, dei trionfi e della sopravvivenza del soggetto. Il sentimento di inferiorità deriva da circostanze negative della vita che generano insicurezza, nei suoi confronti gli individui possono attivare o reazioni sane e attive o al contrario patologiche e passive. A volte, questi due sensi di inferiorità e superiorità si sviluppano in complessi cioè sviluppano caratteristiche patologiche. Se io nasco con un forte senso di inferiorità mi sento incapace a fare certe cose e un po’ alla volta mi metto alla prova nelle cose che non mi sento capace di fare e, anche se a volte faccio fatica, miglioro e acquisisco nuove competenze. Insomma, sono soddisfatto, riesco in ciò in cui non credevo di riuscire e, migliorando, il mio senso di inferiorità viene attenuato, anche se non scompare mai (perché nella vita ci sentiremo sempre inferiori rispetto a qualcosa). Nel frattempo, il mio senso di superiorità viene appagato. Ma se per motivi che possono anche non dipendere da noi stessi, falliamo e non riusciamo mai a superare le difficoltà e diventare padroni della nostra vita, o comunque ci riusciamo poco, cosa succede? Nasce la versione patologica del senso di inferiorità. Di per sé il sentimento di inferiorità sarebbe positivo, perché è colui che ci spinge a migliorare, se non ci fosse, non lavoreremmo per progredire (cosa sana). A non essere sano è il complesso di inferiorità che nasce nel momento in non si riesce a superarlo generando continua frustrazione. L’aspirazione alla superiorità e il complesso di inferiorità nascono dal confronto con gli altri. Si parla anche in Adler di conflitti ma non conflitti intrapsichici ma interpersonali: la nevrosi deriva da reazioni inadeguate dell’individuo nei confronti di condizioni relazionali e ambientali frustranti. L’Inconscio, secondo Adler, non è un sostantivo ma un aggettivo: ciò che viene sottratto dalla coscienza è inconscio. 13.4 LINEA DINAMICA E STILE DI VITA Il grado di inserimento di un soggetto nella società prende il nome di LINEA DINAMICA: importante per il terapeuta perché gli permette di comprendere il modo in cui l’individuo rappresenta sé stesso e struttura la propria relazione con gli altri e con la società. La linea dinamica comprende tutto ciò che appartiene in maniera distintiva e specifica alla persona e consente di studiare il carattere del soggetto e di risalire alla sua infanzia in cui si crea quello che Adler chiama STILE DI VITA O PIANO DI VITA. Questo stile di vita corrisponde all’insieme di disposizioni a cui ciascuno resta fedele per tutta la propria esistenza, più o meno consciamente. È un’espressione adleriana molto usata oggi, intesa come il proprio modo di essere, di relazionarsi e vedere il mondo. Lo stile di vita che si sceglie è quello che si rifà maggiormente a noi. Per sceglierlo bisogna rifarsi ad alcuni COMPITI VITALI che sono poi alla fine le responsabilità che noi abbiamo, le cose che dobbiamo fare noi e solo noi. Il nostro stile di vita dobbiamo adattarlo a noi, se vogliamo essere persone sane e equilibrate che si auto accettano. Dobbiamo configurarci secondo questo stile di vita e quindi svolgere con diligenza il nostro lavoro, impegnarci e cercare di farlo bene. Lo stile di vita che scegliamo potrebbe anche crearci un disequilibrio. Concepisce il termine “Stile di vita” come organizzatore dell’immagine di sé, degli altri e della relazione sé-altri. La linea dinamica e lo stile di vita del soggetto vengono osservati e analizzati con cura dal terapeuta, che si costruisce in tal modo un ritratto specifico del soggetto permettendogli di desumere il nesso tra le manifestazioni del suo comportamento e del suo pensiero e la loro organizzazione coerente in vista di uno scopo. Le osservazioni di Adler, infatti, sono orientate in una direzione prospettica, verso il futuro più che verso il passato del paziente: verso gli scopi più che verso le cause. Come sostiene Adler, è impossibile pensare, sentire, volere, agire senza avere uno scopo prefissato. Ogni manifestazione psichica può essere compresa solo in quanto preparazione in vista di uno scopo prefissato, scopo presente in modo conscio o inconscio, ma sempre compreso nel suo significato. Quindi tutte le espressioni, i sentimenti, i pensieri, le scelte, le azioni, i sogni e i fenomeni psicopatologici riflettono in vario modo la linea dinamica e lo stile di vita del soggetto. Lo scopo è però legato spesso a compensazioni, ciò significa che tale scopo è spesso deformato, mascherato e che il terapeuta deve cercare di coglierlo al di là delle apparenze spesso ingannevoli. Il nevrotico mostra una costante tendenza alla sicurezza, mantiene inconscio il proprio piano di vita e mostra una forte tendenza al rimpianto e al rifarsi continuamente al proprio passato: per sganciare la responsabilità del presente e rinviarla a eventi trascorsi per cui non può più fare nulla. 13.5 NEVROSI, ERMAFRODITISMO PSICHICO E PROTESTA VIRILE Adler studia le nevrosi e si pone l’obbiettivo di studiare l’essere umano, dal punto di vista psicologico, in base alla posizione che l’essere umano assume, ricopre in certi contesti sociali. Fa un’analisi psicologica ma la contestualizza, PSICOLOGIA DINAMICA TRA TEORIA E METODO DI GIAN LUCA BARBIERI CAPITOLO 1: RIFERIMENTI EPISTEMOLOGICI Possiamo pensare la psicoanalisi in relazione a due grandi modelli epistemologici che propongono diversi paradigmi scientifici: quello positivistico e quello della complessità. Secondo l’accezione positivistica, la scienza autentica è quella sperimentale che si basa sulla ricerca di leggi invariabili e formule matematiche quantitative ricavate da condizioni controllabili. I risultati di tali ricerche per essere considerati attendibili, e quindi scientifici, devono essere verificabili. È un tipo di scienza che fa riferimento a parametri oggettivi e i risultati sono oggettivi ed escludono la soggettività del ricercatore. Il secondo riferimento epistemologico è il paradigma della complessità che è l’opposto di quello positivistico, propone un’idea di realtà non data una volta per tutte, non esprimibile in leggi universali e impersonali, ma in continuo divenire. Secondo questo paradigma, la convinzione di poter studiare una realtà fissa, bloccata in una condizione di immutabilità è del tutto illusoria. La complessità concepisce la realtà come un sistema in continua evoluzione. Inoltre, sottolinea come sia impossibile che l’osservatore assuma una posizione distaccata ed esterna perché in realtà è un fattore inquinante che può alterare la scientificità e l’oggettività dei risultati di una ricerca. L’osservatore con la sua presenza condiziona, secondo la teoria della complessità, la sua osservazione è filtrata attraverso il suo pensiero, i suoi riferimenti teorici, la sua esperienza pregressa e le sue emozioni. In questo modo il concetto di oggettività risulta poco valido, c’è molta soggettività. Mentre l’ideologia positivistica ricerca la legge universale, la generalità, la complessità oltre alla norma considera anche la singolarità, il particolare che si sottrae ad una legge universale. La prospettiva positivistica è centrata su una visione lineare e causale dei fenomeni, del mondo e degli eventi. Mentre, la complessità critica questa concezione, la considera una semplificazione che non tiene conto della varietà, della complessità, della molteplicità e della contraddittorietà. Il modello positivistico punta all’utilizzo di determinati paradigmi preformati mentre il modello della complessità non li utilizza. 1.2 LA CONOSCENZA PSICOANALITICA La psicoanalisi nasce tra l’800 e il 900, precisamente nel 1899 con “l’Interpretazione dei sogni” di Sigmund Freud, in un contesto culturale intriso di principi positivistici. Ma già con Freud ci si allontana un po’ da questa prospettiva per avvicinarsi in parte a quella che sarà la teoria della complessità, con una modalità di pensiero alternativa alla rigidità paradigmatica della scienza sperimentale. Alcuni aspetti peculiari della psicoanalisi: -Un’idea di uomo il cui comportamento e il cui pensiero sono determinati in maggior misura dall’inconscio. Oltre agli aspetti razionali ci sono anche quelli non razionali che costituiscono la motivazione latente di ogni evento osservabile; -Ogni manifestazione umana rimanda a un discorso latente che ne detiene il significato. Bisogna ricercare i messaggi occulti che si celano dietro la superficie degli eventi, dei discorsi, dei pensieri e del comportamento; -L’analista ha il compito di interpretare i segnali che si ricavano dai fenomeni apparentemente secondari e marginali come lapsus, atti mancati, espressioni verbali, sogni e sintomi; -Il comportamento, i pensieri, le emozioni di un individuo non sono mai casuali ma dipendono sempre da dinamiche inconsce; -Tra corpo (sfera somatica) e mente (sfera psichica) esiste una continuità, sono inscindibili; -Tra nevrosi, psicosi e condizioni non psicopatologiche non esistono linee di demarcazione ma sfumature e variazioni; -Il coinvolgimento dell’analista, che non è semplice osservatore; L’attenzione della psicoanalisi si sposta dal sintomo al soggetto nella sua globalità e complessità. Ricerca nell’inconscio, in ciò che si cela dietro le parole, i comportamenti, tenendo conto della storia unica e specifica del paziente. Nel suo approccio terapeutico, la psicoanalisi non tiene conto della verità storica, dell’oggettività di un evento, quanto piuttosto di come sia stata elaborato dal paziente, come è stato rappresentato nella sua mente (poco importa se reale). La conoscenza avviene attraverso il dialogo, nell’incontro tra due persone con l’obbiettivo di attribuire significato ai fatti psichici, alle 2.3 ASPETTI DELLA PRIMA PSICHIATRIA DINAMICA La psichiatria dinamica andava in parallelo e in contrasto con la medicina ufficiale. Gli aspetti più rilevanti di questo indirizzo terapeutico, che poi verranno ripresi e superati da Freud, sono:  La mente umana o psiche comprende una parte conscia e una inconscia;  L’accesso alla parte inconscia è possibile attraverso l’ipnosi;  Nella mente agisce un’energia che ne determina il funzionamento normale o patologico: la terapia deve agire su questa energia;  Alcune psicopatologie vengono poste al centro dell’attenzione in particolare quelle di “personalità alternate” o “personalità multipla” e a fine Ottocento l’isteria;  È fondamentale per il successo della cura il rapporto e cioè la relazione affettiva tra paziente e terapeuta; 2.4 LE CORDINATE CULTURALI Alcuni orientamenti culturali e filosofici tra il Settecento e l’epoca in cui visse Freud hanno influenzato il suo pensiero. Sono cinque i movimenti che hanno segnato delle vere e proprie svolte culturali: illuminismo, romanticismo, positivismo, marxismo e decadentismo. L’avvento di uno non scalza o sostituisce l’altro ma si influenzano a vicenda.  L’Illuminismo: ha contribuito al superamento del passato e a una laicizzazione, privando la religiosità della centralità di cui aveva da sempre goduto. La scienza ha giovato del pensiero illuminista per rinnovarsi. La psichiatria verso la fine del Settecento faceva risalire le patologie a cause di natura organica (soprattutto a lesioni cerebrali) e dunque non più ricorrendo a pratiche di stregoneria o magiche. Nell’ottica illuminista la psichiatria e la medicina fecero notevoli progressi. In un’epoca basata sul trionfo della borghesia e la caduta della nobiltà, le manifestazioni nevrotiche degli aristocratici lasciavano posto ai disturbi tipici della borghesia e dei ceti popolari, legati ai modi e ai ritmi di vita della società industriale (Illuminismo: Rivoluzione francese e industriale);  Romanticismo: può essere considerato come una reazione all’Illuminismo. In questo periodo storico si è dato valore a tutto ciò che rientrava nella sfera dell’irrazionale. Al centro dell’attenzione apparve il sentimento religioso, l’amore, la follia, la sofferenza, la morte e tutti gli aspetti più nascosti e inquietanti dell’uomo che sono stati considerati con curiosità e interesse. Mentre l’Illuminismo era più distaccato e razionale, con il Romanticismo si fece strada un atteggiamento caratterizzato dal coinvolgimento emotivo e dall’empatia;  Positivismo: ha avuto inizio nell’800 con l’avvento della borghesia e la seconda rivoluzione industriale. Veniva attribuita una straordinaria importanza alla scienza e la conoscenza che, secondo il positivismo, avveniva attraverso dati concreti dell’esperienza e sulla sperimentazione. Il sapere scientifico si basa sull’osservazione concreta dei fenomeni e mira al rilevamento delle loro costanti per ricavare leggi universali. Tutti gli aspetti della vita umana, secondo questa corrente, vanno indagati come fossero fenomeni naturali e lo scopo è quello di ricercare le loro cause fisiche e sociali. Due i personaggi illustri di questo periodo: Auguste Comte e Charles Darwin che con la sua teoria evoluzionistica ha modificato radicalmente l’idea tradizionale di uomo ereditata dalla Bibbia. Il concetto cardine del positivismo è il progresso;  Marxismo: ha rafforzato l’idea di religione come semplice costruzione ideologica elaborata dalle classi dominanti allo scopo di tenere sottomesse le classi subalterne; è quindi un’illusione e una giustificazione delle disparità sociali che potevano essere superate solo con un riscatto dell’uomo che percepiva la sua reale dignità (idea che si ritrova anche in Freud). Altro importante concetto del marxismo, è quello di “alienazione” che caratterizza la condizione del proletario che si trova a produrre manufatti non suo, con macchine non di sua proprietà e all’interno di un sistema economico che non lo utilizza come uomo ma come componente del meccanismo produttivo, quindi come forza-lavoro. Alienazione, quindi, come perdita della personalità di un individuo da parte di un’economia basata sulla produzione e sull’arricchimento della borghesia, a discapito dei valori umani. I ritmi di lavoro della seconda rivoluzione industriale hanno portato l’uomo a perdere la sua umanità e a ridursi come semplice ingranaggio di un meccanismo. L’uomo si è alienato diventando estraneo a sé stesso, ha perso la parte più intima e preziosa (concetto accolto anche dalla psichiatria);  Decadentismo: periodo irrazionalistico. Dal punto di vista artistico si oppone al realismo tuffandosi nell’anticonformismo e irrazionalismo più estremo. La vita, secondo questa corrente, deve essere vissuta come un’opera d’arte. Torna l’interesse per il sonnambulismo, la follia, l’ipnosi e lo sdoppiamento di personalità. Si parla di erotismo e si afferma l’idea di una sessualità infantile, argomento trascurato dai medici. Vige il pensiero che ogni uomo sia vittima di alienazione e il mistero, la follia, l’angoscia, la parte oscura e nascosta della mente diventano i principali oggetti di interesse degli intellettuali del decadentismo. Spicca in questo periodo la figura di Nietzsche che studia l’inconscio, secondo il filosofo l’uomo è guidato da forze incontrollabili e da pulsioni: il bisogno di piacere, di lotta, la pulsione sessuale, quella verso la conoscenza e la volontà di potenza. Nella società si può sopravvivere solo se queste pulsioni vengono inibite, rinunciando alla loro gratificazione. (Freud riprenderà questi concetti). 2.5 JANET Pierre Janet fu un grande innovatore nell’ambito psicologico e psichiatrico anche se ignorato perché sovrastato dalla fama di Sigmund Freud (molto simili). Ha lavorato presso un ospedale, ha studiato la psichiatria da autodidatta, si è laureato in medicina e ha collaborato con Charcot. Portò forti innovazioni nella conduzione della terapia: l’indagine approfondita condotta sulla vita del paziente e sulla storia familiare, la scelta di annotare durante i colloqui ciò che il paziente diceva o faceva e il rapporto tra medico e paziente concepito come una relazione basata su fiducia e intimità che favorisce l’attivazione di condizioni terapeutiche facilitanti e positive. La psiche secondo Janet è strutturata in livelli: la superficie, il livello intermedio e quello profondo. L’analisi era finalizzata a penetrare negli strati più profondi della mente per cogliere le cause delle patologie. Il percorso veniva facilitato dall’ipnosi, scrittura automatica, sogni e distrazioni: tutte modalità che rendevano possibile l’emergere del subconscio. Molto spesso le cause di una patologia Janet le ricollegava al periodo dell’infanzia perché come affermò poi anche Freud “nulla va perduto nella mente dell’uomo”. Un avvenimento traumatico solitamente precoce, secondo Janet, si sottrae alla coscienza e dà origine ai sintomi. La terapia non consiste solo nel riportare alla luce queste cause ma la guarigione si ottiene con la distruzione delle idee fisse del paziente (tutto si ritrova anche nel pensiero di Sigmund Fredu). coinvolgimento che venne ripreso nelle teorie di Freud come essenziale per il transfert e il controtransfert. 3.4 VERSO LA PSICOANALISI Gli scritti di Freud riguardanti l’isteria fanno presente il cambiamento di pensiero che ha avuto riguardo l’isteria: -nei primi scritti, tra cui il saggio intitolato “L’Isteria” del 1888, emerge la sua adesione alle idee di Charcot precisando che l’isteria è ereditaria. La predisposizione isterica non può venire eliminata del tutto ma attraverso la terapia si può agire sui sintomi, non sulle cause. L’isteria acuta, secondo il Freud di questo periodo, era difficile da curare. Invece per quanto riguarda le forme lievi, affermava che queste era possibile prevenirle, ad esempio, non affaticando il sistema nervoso, facendo esercizio fisico, vivendo all’aria aperta oppure affrontando il sintomo con l’ipnosi; -con il saggio “Studi sull’isteria” del 1892-95 si avvicina alla teoria di Breuer, era d’accordo sul fatto che attraverso l’abreazione delle cariche emotive bloccate nel paziente e liberate attraverso la rievocazione degli avvenimenti traumatici del suo passato avveniva la scomparsa dei sintomi. Al contrario di Breuer, Freud pensava che la causa dell’isteria non fosse legata a un evento traumatico passato ma che fosse tutto riconducibile alla sfera sessuale. Inoltre, sosteneva che non vi era alcun stato ipnoide nelle pazienti ma che semplicemente si attivavano delle difese che mantenevano fuori dalla coscienza un’idea inaccettabile. Freud sottolinea nei suoi studi un limite del metodo catartico è cioè quello di non poter impedire la comparsa di sintomi nuovi in sostituzione di quelli eliminati. Freud non si dimostrò mai troppo bravo con il metodo dell’ipnosi, spesso non riusciva ad ipnotizzare le sue pazienti e così si sentì costretto a modificare la sua tecnica. Ricorse così alla suggestione e alla costrizione, perché sapeva ed era convinto che le pazienti sapevano tutto quello che poteva avere significato nei confronti della patologia in atto. Insisteva perché le pazienti opponevano resistenza all’emergere dei ricordi dolorosi. Da questo cambiamento fece poi ulteriori passi avanti, con il tempo imparò ad essere meno direttivo, a far distendere la persona, farla rilassare e parlare di tutto ciò che le passasse per la mente, anche delle cose più insignificanti. Non mirava più alla causa ma lasciava che questa emergesse con gradualità, questo metodo porterà poi verso lo studio delle libere associazioni e la gradualità sarà poi una caratteristica del metodo psicoanalitico. Secondo Freud i traumi che causano isteria sono di natura sessuale e vanno da traumi veri e proprio come abusi, vista di atti sessuali compiuti dai genitori a fatti di minore importanza come una carezza che però si dilatano nella mente del soggetto fino ad essere vissuti come autentiche violenze. In ogni caso sono traumi reali che normalmente risalgono all’infanzia (difficile raggiungere con la memoria a quel periodo). I traumi sessuali non determinano subito l’insorgenza dell’isteria ma possono causarne la predisposizione. Pur se prima privi di effetti acquisiscono una portata patogena più tardi, durante la pubertà, quando si riaffacciano come ricordi inconsci. Freud è d’accordo nell’affermare che l’isteria è da condurre a un conflitto psichico causata da una difesa da parte dell’Io attraverso la RIMOZIONE, cioè collocando quel contenuto nella parte inconscia della mente. L’evento è un evento esterno ma diventa patologico e dà origine all’isteria nel momento in cui viene introiettato, perché diventa un contenuto mentale inaccettabile che si pone in una relazione conflittuale con altri contenuti psichici. Ci fu poi un mutamento fondamentale nella teoria di Freud, l’esperienza traumatica della seduzione che credeva reale si dimostrò, nel corso di diverse terapie a diversi pazienti, una fantasia. Le pazienti non erano veramente state vittime di abusi ma credevano di esserlo state, e tale convinzione era talmente forte e radicata da essere dotata di una potenzialità patologica identica a quella che sarebbe derivata da una seduzione vera. La credenza era dovuta a un “banale errore d’interpretazione” e nel soggetto, ci dice Freud, si possono ricreare fantasie allucinatorie, falsi ricordi dotati di un’intensità identica a quella dei ricordi di fatti reali. Il referente, quindi, dei sintomi isterici è una fantasia allucinatoria e non ricordi di fatti reali. Da qui l’ipotesi che la revisione freudiana potesse essere motivata da ragioni di prudenza: data dalla necessità di adottare un atteggiamento politically correct. CAPITOLO 4: LA METAPSICOLOGIA Per conoscere al meglio la teoria di Freud bisogna conoscere la sua metapsicologia ossia le sue teorie relative alla struttura e al funzionamento della mente umana, ricordando però che la sua teoria è in continua evoluzione, è dinamica e non si assesta mai secondo parametri definiti e immodificabili. 4.1 IL PROGETTO DI UNA PSICOLOGIA (1895) “Progetto di una psicologia”, saggio del 1895, è un’opera che nasce dal desiderio di comprendere l’attività psichica umana e di fornire una rappresentazione complessiva del funzionamento della mente. Il progetto rimarrà inconcluso ma si ritrovano alcuni aspetti che Freud conserverà e si riveleranno importanti per lo sviluppo del suo pensiero, mentre altri li modificherà. La psicologia viene collocata dall’autore nell’ambito delle scienze naturali. I processi psichici sono considerati da Freud come stati quantitativamente determinati di particelle materiali. Vengono sovrapposti i concetti di mente e di cervello, tanto da ritenere che il pensiero, le emozioni e tutto ciò che appartiene alla dimensione mentale possano essere spiegati deterministicamente in termini quantitativi e fisiologici. Sono due i presupposti dei primi studi di Freud: 1) La nozione di QUANTITA’ intesa come energia che distingue l’attività dalla quiete; 2) La funzione dei NEURONI considerati come particelle soggette a variazioni quantitative che vengono eccitate da QUANTITA’ o detta anche energia in movimento; Da questa idea si sviluppa un concetto che permarrà poi in Freud ovvero il PRINCIPIO DI INERZIA, in base al quale i neuroni tendono a liberarsi della quantità di energia di cui sono investiti per raggiungere uno stato di quiete. Questo principio prenderà inizialmente il nome di POSTULATO BIOLOGICO e successivamente di PRINCIPIO DI COSTANZA, inteso come la tendenza a mantenere costante la quantità di eccitazione. In entrambi i casi, uno stimolo produce una determinata quantità di energia che determina un’eccitazione neuronale, questa viene scaricata tramite un’azione muscolare attivata dai neuroni motori. componente più variabile della pulsione, nel senso che una stessa pulsione può essere indirizzata ad oggetti diversi contemporaneamente o successivamente. Inoltre, l’oggetto di una medesima pulsione può variare da un individuo ad un altro;  La pressione coincide con l’intensità della pulsione, cioè con la quantità di energia che può produrre. 4.2.2 TIPOLOGIE DI PULSIONI In una prima fase del pensiero freudiano le pulsioni sono suddivise in due categorie; -Pulsioni di autoconservazione o pulsioni dell’Io: corrispondo alle necessità fondamentali dell’individuo, hanno origine dal bisogno e si soddisfano attraverso un oggetto reale. Fanno riferimento al PRINCIPIO DI REALTA’; -Pulsioni sessuali: sono bisogni individuali poiché hanno come obbiettivo la conservazione della specie, hanno origine dal desiderio e si possono soddisfare anche in modo fantasmatico. Fanno riferimento al PRINCIPIO DI PIACERE, LA LIBIDO è l’energia che sta a monte della pulsione sessuale; PULSIONI DELL’IO PULSIONI SESSUALI Necessità dell’individuo Bisogni dell’individuo Hanno origine dal bisogno Hanno origine dal desiderio La loro soddisfazione avviene attraverso un oggetto reale La loro soddisfazione avviene anche attraverso la fantasia Si basano sul PRINCIPIO DI REALTA’ Si basano sul PRINCIPIO DEL PIACERE LIBIDO: energia a monte della pulsione Queste due pulsioni sono definite da Freud PULSIONI PRIMARIE e all’inizio della vita dell’individuo le pulsioni sessuali e quelle di autoconservazione sono collegate poi si distaccano, ad esempio: la suzione del capezzolo da parte del bambino produce un piacere sessuale che si appoggia alla necessità della nutrizione. In una seconda fase del pensiero freudiano le pulsioni vengono suddivise in altre due categorie, accorgendosi che la classificazione precedente non bastava: -Pulsioni di vita: che comprendono le pulsioni sessuali e quelle di autoconservazione, fanno riferimento all’Eros; -Pulsioni di morte: la cui meta è la distruzione dell’oggetto, fanno riferimento a Thanatos che punta alla disgregazione inorganica della materia e quindi alla riduzione completa e all’annullamento della tensione pulsionale. La meta della riduzione della tensione (principio di inerzia) normalmente produce piacere, ma nel momento in cui raggiunge il suo obbiettivo in maniera completa conduce paradossalmente alla morte. Una delle modalità con cui si manifesta la pulsione di morte è la COAZIONE A RIPETERE esperienze dolorose, ad esempio nella nevrosi di guerra: le immagini drammatiche dei bombardamenti e delle sofferenze vissute dai militari, invece che estinguersi o attenuarsi, si ripropongono in maniera ossessiva nei pensieri e nei sogni dei reduci. Le pulsioni di morte possono essere dirette verso l’esterno, portando alla distruzione dell’oggetto, o verso l’interno e quindi portando all’autodistruzione. Nelle ultime opere di Freud le pulsioni portano con sé pulsioni di vita e di morte contemporaneamente. In alcuni testi di Freud si parla anche di pulsione parziale che si può riferire alla fonte ad esempio: pulsione orale, anale (l’oggetto verso cui si dirige la pulsione è parziale) oppure alla meta, ad esempio, pulsione di guardare o di appropriazione. Dal punto di vista genetico, le pulsioni parziali funzionano prima indipendentemente l’una dall’altra, poi tendono ad unirsi. 4.2.3 PLASTICITA’ DELLE PULSIONI Le pulsioni, secondo Freud, non sono immodificabili anzi sono in continua trasformazione ed è per questo che si parla di plasticità delle pulsioni e si modificano attraverso: a) La conversione nell’opposto: si può manifestare in due modi o attraverso la trasformazione da attivo in passivo, per esempio, nel passaggio dal sadismo al masochismo o attraverso il cambiamento del contenuto della pulsione, come nella trasformazione dell’amore in odio o viceversa; b) Sostituzione dell’oggetto: in questo caso l’oggetto della pulsione viene sostituito con un altro; c) La sublimazione: consiste nell’indirizzare una pulsione verso una meta non sessuale e verso oggetti valorizzati socialmente, per esempio, la curiosità sessuale porta a una curiosità intellettuale. 4.2.4 AFFETTO E RAPPRESENTAZIONE Secondo Freud, una pulsione è costituita dall’affetto e dalla rappresentazione: -L’AFFETTO: è la componente pulsionale che viene percepita dal soggetto a livello emotivo: stati affettivi piacevoli o dolorosi, vaghi o definiti. Un esempio di affetto potrebbe essere la paura. Freud pensava che il sintomo dell’isteria fosse causato da un evento traumatico che non aveva avuto la giusta scarica emotiva e quindi l’affetto connesso a quell’esperienza è rimasto bloccato. L’efficacia terapeutica coincide con la riattivazione dell’affetto, che in passato era stato bloccato, grazie rievocazione dell’evento traumatico; -LA RAPPRESENTAZIONE: è ciò che viene trasferito dell’oggetto nella mente dell’individuo. In particolare, Freud distingue: a) Rappresentazione di cosa: visiva, che si colloca nell’inconscio; b) Rappresentazione di parola: non visiva ma acustica e verbale, che si colloca nel preconscio e nell’inconscio. 4.3 LA PRIMA TOPICA La struttura della mente è rappresentata da Freud in due modelli che vengono definiti: prima topica e seconda topica. LA PRIMA TOPICA corrisponde a un modello topografico, nel senso che la mente viene concepita come divisa in parti definite: Inconscio, Preconscio e Conscio, indicate con la maiuscola perché usate come sostantivi e non come aggettivi perché riferite a luoghi della mente. Paragonando la mente ad un iceberg: la porzione visibile cioè la punta, corrisponde al Conscio, quella sommersa all’Inconscio (che è di gran lunga più grande). Mentre, quella parte che sta tra la parte emersa e quella sommersa è il Preconscio, che collega le altre due. 4.3.1 L’INCONSCIO L’inconscio è la parte primaria, più importante e più estesa della psiche umana, corrisponde alla parte sommersa dell’iceberg. I contenuti INCONSCIO PRECONSCIO CONSCIO Parte sommersa dell’iceberg, la più ampia. Tra la parte sommersa ed emersa dell’iceberg. La parte emersa dell’iceberg. Energia scorre liberamente. Energia non è libera ma legata ad una rappresentazione. Energia non è libera ma legata. Rappresentazione di cosa. Rappresentazione di parola. Funziona secondo il processo Primario. Funziona secondo il processo Secondario. Funziona secondo il processo Secondario. Funziona secondo il principio di piacere. Funziona secondo il principio di realtà. Censura tra Preconscio e Inconscio deformante. Censura tra Preconscio e Conscio selettiva. 4.4 PROCESSO PRIMARIO E PROCESSO SECONDARIO Con il termine “processo” Freud intende il modo di funzionare dell’apparato psichico. Si distinguono due processi: -IL PROCESSO PRIMARIO: caratterizza il sistema inconscio. Il suo funzionamento è basato sull’uso di energia psichica libera che fluisce senza incontrare ostacoli passando da una rappresentazione inconscia ad un’altra, senza legarsi a nessuna di esse. Funziona secondo il PRINCIPIO DI PIACERE e il soddisfacimento di una pulsione deve essere immediato perché va ricordato che nell’Inconscio non esiste la dimensione del tempo; quindi, non è possibile una dilazione del soddisfacimento. L’obbiettivo del processo primario è quello di stabilire attraverso le vie più brevi una IDENTITA’ DI PERCEZIONE. Questa consiste nella riproduzione allucinatoria delle rappresentazioni alle quali l’esperienza di soddisfacimento originaria ha conferito un valore privilegiato. Ad esempio: il lattante prova sensazioni spiacevoli collegate a tensioni interne determinate dalla fame, attraverso l’intervento della madre, questa tensione interna viene eliminata mediante l’alimentazione e quindi si ha un’esperienza di soddisfacimento. L’oggetto che procura soddisfacimento, in questo caso il seno materno, diventa un oggetto privilegiato, che trova una rappresentazione mentale inconscia nel soggetto. Se in un’occasione successiva l’oggetto reale, in questo caso sempre il seno, non è presente quando la fame si manifesta nel bambino, egli lo concepirà presente anche se affettivamente non c’è attraverso una logica allucinatoria. Si parla in questo caso di soddisfacimento allucinatorio del bisogno o del desiderio, perché l’oggetto reale non è di fatto disponibile, e quindi viene ricreato nella mente del bambino come se invece lo fosse. Questa esperienza viene definita allucinazione primaria che costituirà un modello su cui si plasmerà ogni successiva operazione psichica di ricreazione allucinatoria dell’oggetto assente. Il soddisfacimento attraverso un oggetto allucinatorio non è stabile né definitivo e non ostacola la ricerca successiva dell’oggetto reale di soddisfacimento da parte del soggetto. IL PROCESSO PRIMARIO FUNZIONA SUL MODELLO DELL’ALLUCINAZIONE PRIMARIA E NON RICHIEDE L’ATTIVAZIONE DEL PENSIERO. PROCESSO SECONDARIO: caratterizza il Preconscio e il Conscio. Funziona con energia legata che quindi non scorre in maniera incontrollata come nell’Inconscio, ma si lega in modo stabile alle rappresentazioni. In questo modo si spiega la capacità del pensiero di soffermarsi sui concetti, di elaborarli e di modificarli. Il processo secondario comprende le categorie di spazio e di tempo che rendono possibile il rinvio del soddisfacimento (mentre nel processo primario no) e la tolleranza delle frustrazioni. L’energia legata consente l’esecuzione di operazioni mentali che permettono di scegliere le strategie migliori, più efficaci e meno dannose. Il processo secondario appare dopo il processo primario. Fanno riferimento al processo secondario: il pensiero vigile, l’attenzione, il giudizio e il ragionamento. Il processo secondario non riguarda più esclusivamente la sfera mentale dall’individuo, ma anche la realtà esterna. IL PRINCIPIO DI REALTA’ emerge dal contatto con gli oggetti esterni e quindi reali, e si affianca al principio di piacere, che non viene cancellato, ma deve fare i conti con la realtà e quindi con l’inevitabile frustrazione. Mentre il processo primario è basato sull’identità di percezione, il processo secondario si centra sull’identità di pensiero. Nel processo primario si cerca di trovare la via più breve per scaricare la tensione attraverso il soddisfacimento allucinatorio (identità di percezione), il funzionamento è automatico e immediato. Il processo secondario, invece, si misura con la realtà e ricerca il soddisfacimento del bisogno o del desiderio attraverso strategie attivate dal pensiero che possono risultare utili e produttive. La meta rimane la scarica della tensione, ma questa può aver luogo in maniera più elaborata, facendo i conti con la frustrazione e ricorrendo al pensiero. Con l’identità di percezione del processo primario si fa ricorso a una rappresentazione di cosa in presenza di esperienze analoghe, ad esempio, la rappresentazione del seno in successive situazioni di fame. Mentre, nell’identità di pensiero del Preconscio e del Conscio si ricorre a modalità simili di pensiero, di strategie, che sono risultate valide, in situazioni analoghe, per poter così affrontare e risolvere situazioni ed esperienze simili (utilizzo di schemi di pensiero già utilizzati in precedenza, senza dover ripartire da zero). PROCESSO PRIMARIO PROCESSO SECONDARIO Caratterizza il sistema Inconscio. Caratterizza il sistema Preconscio e Conscio. Funzionamento basato su energia psichica libera che passa da una rappresentazione inconscia ad un’altra, senza legarsi a nessuna di esse. Funziona con energia legata, si lega alle rappresentazioni in maniera stabile. Non comprende le categorie di spazio e di tempo. Comprende le categorie di spazio e di tempo. Principio di piacere. Principio di realtà. Identità di percezione. Identità di pensiero. Allucinazione primitiva. Strategie, schemi di pensiero già utilizzate. Non richiede l’attivazione del pensiero. Richiede l’attivazione del pensiero. Meta uguale: scarica della tensione. Meta uguale: scarica della tensione. 4.5 PRINCIPIO DI PIACERE E PRINCIPIO DI REALTA’ Il funzionamento mentale dell’individuo è regolato, secondo Freud, da due principi: il principio di piacere e il principio di realtà. L’attività psichica ha come obbiettivo principale quello di evitare il dispiacere e di ricercare il piacere. Il dispiacere fa aumentare l’eccitazione, il piacere è una scarica e prevede una riduzione della tensione. C’è una continua oscillazione tra l’estremità del piacere e l’altra del dispiacere, la tensione può quindi aumentare o diminuire tra queste due estremità. Il piacere è un limite di fatto irraggiungibile, perché porterebbe a una riduzione completa della tensione che coinciderebbe con la morte dell’individuo. IL PRINCIPIO DI PIACERE, nel processo primario, si centra sulla scarica e sul soddisfacimento delle pulsioni ottenuto con la via più breve ed immediata. È alla base del funzionamento primario e caratterizza la prima fase della vita dell’individuo in cui, secondo Freud, è assente qualsiasi confronto con il mondo esterno. In seguito, l’individuo deve fare i conti con i limiti e gli ostacoli modifiche da generazione in generazione. Nel Super-io le pulsioni di morte prevalgono rispetto alle pulsioni di vita. Il conflitto tra Io e Super-io determina il senso di colpa. Spesso questo senso di colpa non segue ma precede un atto immorale o criminoso, non ne è la conseguenza ma la causa. Freud nota che l’individuo a volte è tormentato da un senso di colpa inconscio, connesso ad un conflitto tra pulsioni che l’Io non riesce a tenere a freno. In questa prospettiva il reato appare come un evento che riesce a giustificare a posteriori il senso di colpa preesistente, che fino ad allora era stato privo di una motivazione. Il reato in questo modo non solo fornisce una giustificazione al senso di colpa, ma lo allevia. 4.6.4 IDEALE DELL’IO E IO IDEALE Vanno distinti in relazione ai loro ruoli nei processi individuali di idealizzazione. -L’io ideale: sarebbe l’incarnazione dell’ideale di perfezione, questo ideale viene preso dall’individuo come riferimento per valutare la qualità delle sue azioni, delle sue conoscenze e delle sue conquiste. È un modello di perfezione che viene utilizzato come riferimento privilegiato e termine di confronto; -L’ideale dell’Io: rappresenta il modello di perfezione rappresentato dai genitori o da uno dei due. Mentre i divieti e le minacce costituiscono il Super- io (di solito comparabile con la figura paterna), l’Ideale dell’Io è invece l’altra faccia della funzione genitoriale, quella più amichevole e positiva al quale si possono ricondurre suggerimenti e consigli (di solito quella materna). Al Super-io si riconduce il senso di colpa, all’Ideale dell’Io si fa risalire la vergogna. CAPITOLO 5: IL SOGNO 5.1 LO STUDIO DEL SOGNO PRIMA DI FREUD Freud pubblica “L’Interpretazione dei sogni” nel 1900, in cui studia il significato dei sogni, da sempre preso in considerazione ma come perturbazione del sonno e non come se avesse un significato proprio. 5.2 IL SOGNO COME APPAGAMENTO DI DESIDERIO Con Freud il sogno acquista la dignità di un atto psichico dotato di un autentico significato. Il significato del sogno non è però percepibile immediatamente: nel sogno è presente un contenuto onirico manifesto che è ciò che il sognatore ricorda e un contenuto onirico latente che costituisce invece il lato nascosto, a cui è possibile accedere solo attraverso un’analisi approfondita. Il sogno comporta un distacco dal mondo esterno favorendo la regressione e allentando la forza della censura nei confronti dei contenuti inconsci rimossi. In questo modo, i contenuti non sono più celati e irraggiungibili: quelli che riescono a passare attraverso le maglie della censura danno origine al sogno, considerato da Freud, la via regia all’Inconscio. Freud ricorre all’uso delle libere associazioni lasciando il paziente libero di recuperare materiale posto al di sotto della coscienza, per ottenere questo scopo dispone il paziente in uno stato simile a quello del dormiveglia. Durante la terapia il sogno viene annotato per non dimenticarne delle parti e poi viene suddiviso in sequenze, a ciascuna di esse vengono associati ricordi e impressioni che emergono dalla mente del paziente. L’attribuzione di significato ad una sequenza non è mai definitiva ma può venire arricchita, annullata o confermata da ciò che emerge in altri parti del sogno. Freud studiò e riportò gli studi fatti suoi sogni e su quelli dei suoi pazienti. I contenuti dei sogni rappresentano o possono rappresentare uno stato di cose desiderato dal sognatore, tutti i dettagli e i personaggi hanno un significato profondo che travalica quello di superficie, e rimandano ad aspetti nascosti che gradualmente emergono e danno un senso nuovo e per alcuni aspetti imprevedibile, rispetto alla narrazione. Dunque, il sogno non è privo di significato ma è un fenomeno psichico valido, frutto di un’attività mentale che può venire indagata. Il sogno è l’appagamento di un desiderio, o meglio, l’appagamento mascherato di un desiderio rimosso o represso. Nel sogno entrano in gioco due tendenze psichiche: la prima plasma il desiderio espresso dal sogno e la seconda esercita una censura sui contenuti latenti del sogno stesso, imponendo una serie di deformazioni che rende il tutto difficilmente comprensibile. Nel materiale del sogno sono presenti: a) Fatti accaduti recentemente o addirittura il giorno precedente (residui diurni); b) Ricordi su eventi passati, di cui alcuni aspetti vengono messi in primo piano altri meno; c) Contenuti riferiti all’infanzia che intervengono anche se il contenuto del sogno non evidenzia alcuna attinenza con quella fase di vita del soggetto così arcaica; 5.3 IL LAVORO ONIRICO I contenuti del sogno sono per gran parte inconsci. Tra l’Inconscio e il Preconscio si trova una censura che impedisce il passaggio di contenuti rimossi, questa censura però si attenua durante il sonno e in questa particolare situazione alcuni contenuti passano attraverso la censura e danno origine al sogno, opportunamente deformati però dalla censura. Tali operazioni di deformazione fanno parte del LAVORO ONIRICO. È il lavoro onirico a far in modo che il sogno si manifesti con delle stranezze o assurdità, perché trasforma i contenuti onirici latenti in contenuti manifesti del sogno. Il lavoro dell’analista va in direzione opposta rispetto a quella del lavoro onirico perché partendo dalla dimensione manifesta del sogno ripercorre i processi di deformazione operati dal lavoro onirico, per giungere a cogliere i contenuti latenti inconsci. In tal modo, l’assurdità del sogno scompare non appena si approfondisce il significato. Il lavoro onirico comprende quattro modalità di modificazione del materiale latente: 1) CONDENSAZIONE: il sogno manifesto è molto più sintetico rispetto alla ricchezza dei contenuti latenti. Ogni contenuto manifesto può rimandare a più contenuti latenti che vengono condensati nelle immagini del sogno. Gli elementi del contenuto onirico manifesto possono essere dunque sovradeterminati. La SOVRADETERMINAZIONE O DETERMINAZIONE MULTIPLA: è un fenomeno in base al quale un singolo aspetto del sogno rinvia a una pluralità di fattori. Detto ciò, ci si rende conto che l’analista non può essere veramente mai certo di aver interpretato fino in fondo un sogno; 2) SPOSTAMENTO: nel momento in cui il sogno viene narrato, la narrazione può non corrispondere a quello che caratterizza i contenuti profondi. I particolari secondari dell’esperienza reale possono essere messi in primo piano nel sogno oppure gli elementi che, risultano invece importanti per ricercare il significato profondo, tendono ad essere trattati come dettagli di poco conto. Il sogno manifesto è quindi centrato in modo diverso dai pensieri onirici latenti. Il lavoro onirico spoglia della loro intensità i contenuti profondi dotati di elevata importanza e assegna nuovi valori a una falsa importanza, ad aspetti del sogno che hanno una funzione secondaria, sviando l’attenzione dai contenuti più significativi. Si produce, nella formazione del sogno, uno spostamento delle intensità psichiche dei vari elementi onirici, tanto che ciò che appare a prima vista secondario nel sogno manifesto può dell’analista di interpretare il suo sogno, la resistenza cosa fa a questo punto? Pone al riparo i punti deboli del travestimento ed è proprio a quei punti che l’analista deve fare attenzione. Bisogna fare anche molta attenzione alle omissioni. 5.6 I SOGNI D’ANGOSCIA Se è vero che ogni sogno è l’appagamento di un desiderio, risulta difficile applicare questo principio ai sogni d’angoscia. In realtà l’angoscia e il desiderio, secondo Freud, non sono inconciliabili; infatti, anche un sogno angoscioso può essere l’appagamento di un desiderio latente. Un esempio emblematico viene riportato nell’Interpretazione dei sogni: una paziente racconta di essere rimasta orfana e di vivere con la sorella che ha due figli Karl e Otto. Nella casa della sorella si receva un uomo di cui la paziente si era innamorata ma la sorella si era opposto al loro amore e così il letterato aveva smesso di frequentare la casa. La paziente amava ancora quell’uomo, alla morte del figlio Otto, l’uomo si presentò al funerale e lei ebbe l’occasione di rivederlo. Poco dopo, sognò la morte di Karl che procurò nella paziente una forte angoscia ma nonostante questa componente d’angoscia, Freud rilevò nel sogno un desiderio: il desiderio di rivedere l’uomo amato. Questo desiderio si sarebbe realizzato se Karl fosse morto, perché in quell’occasione l’uomo sarebbe ritornato. Si tratta di un desiderio inconscio rimosso. Un’altra osservazione fatta da Freud riguarda l’angoscia che si manifesta nei sogni di contro desiderio. Questi hanno come contenuto qualcosa di indesiderabile che provoca angoscia e nella maggior parte dei casi questi sogni rappresentano la soddisfazione di desideri, però di natura masochista. La logica che li sottende è “si tratta di una cosa che mi fa star male, ma in fondo me lo sono meritato, mi sta bene”. La punizione appare giusta e inevitabile, ed è quindi desiderata, almeno inconsciamente. Tra i sogni d’angoscia Freud individua quelli centrati sulla morte di persone care. Freud, in riferimento a questi, afferma che può trattarsi di un desiderio lontano nel tempo legato a dinamiche familiari (per esempio l’odio verso un fratello) o edipiche (il desiderio di morte di uno dei due genitori). Il pensiero onirico latente in questo caso si sottrae a qualsiasi forma di censura e deformazione e passa inalterato nel sogno manifesto, ciò può accadere perché non esiste desiderio dal quale ci si crede più lontani, e per questo la censura è impreparata e disarmata. Altro sogno tipico è quello di angoscia o imbarazzo per la propria nudità, i desideri proibiti in questo caso sono quelli esibizionistici dell’infanzia che vengono rimossi dalla morale e dall’educazione. Successivamente Freud riprenderà a studiare i sogni d’angoscia e affermerà che spesso il lavoro onirico (che trasforma i pensieri onirici latenti nei contenuti manifesti del sogno) può non essere riuscito completamente, e così una parte dell’angoscia è rimasta nel sogno: quantità di affetto comunque inferiore rispetto a quella che si trova nei pensieri latenti. Questa parte dell’angoscia rimane nel sogno manifesto perché per il lavoro onirico è più facile modificare i contenuti del sogno piuttosto che gli affetti. Infine, Freud prende in considerazione i sogni dei pazienti affetti da nevrosi di guerra, nei quali ricorrono con regolarità esperienze traumatiche vissute durante il primo conflitto mondiale. In questi sogni non è riscontrabile alcun appagamento di desiderio rimosso. Freud afferma che sono esempi di sogni in cui la funzione vera e propria del sogno è venuta a meno e quindi si tratterebbe di eccezioni. CAPITOLO 6: LO SVILUPPO INDIVIDUALE 6.1 LA SESSUALITA’ INFANTILE Freud critica la credenza diffusa secondo la quale le pulsioni sessuali si svilupperebbero a partire dalla pubertà. Secondo lo psicoanalista le pulsioni sessuali si manifestano fin dalla nascita, ma la loro esistenza non viene riconosciuta. L’educazione poi contribuisce a controllarle e a domarle, perché costituiscono un fattore destabilizzante che, se non regolato adeguatamente, minaccerebbe l’esistenza della civiltà e delle sue regole. Le manifestazioni sessuali infantili hanno tre caratteristiche comuni:  I primi impulsi della sessualità infantile si appoggiano ad altre funzioni fisiologiche, come la nutrizione: per esempio, la suzione del seno materno produce nel bambino un piacere di natura sessuale;  Le pulsioni sessuali sono orientate in direzione autoerotica, nel senso che l’oggetto investito della libido non è percepito dal bambino come esterno a sé stesso;  Sono legate ad una ZONA EROGENA e cioè una parte del corpo che, se stimolata, produce una sensazione di piacere collegabile ad un eccitamento pulsionale; Inoltre, secondo Freud, la vita sessuale del bambino non può che essere perversa, in quanto non ha ancora i tratti della sessualità genitale e dunque non può portare alla riproduzione. Non solo, ma è perversa anche perché è rivolta a oggetti parziali su cui si orientano pulsioni parziali. Lo sviluppo psicosessuale freudiano è concepito secondo un modello epigenetico, cioè ogni nuova fase evolutiva si pone in continuità con quella che la precede e risulta condizionata da quella. Il percorso evolutivo è strutturato secondo una gradualità e un ordine prestabiliti. Ogni nuova tappa dipende dal successo della precedente e pone le premesse per la tappa successiva. Può anche accadere che ci sia un ritorno ad una fase già attraversata, si parla in questo caso di REGRESSIONE rispetto alla normale sequenza evolutiva, che comporta il recupero di aspetti e comportamenti caratteristici di una fase arcaica. Se si tratta di un fenomeno transitorio, la regressione non crea alcun problema ma se si ha, invece, un arresto ad una fase precedente si parla di FISSAZIONE, prodotta nel corso dello sviluppo e condizione seria e potenzialmente patologica. La successione delle fasi dello sviluppo psicosessuale individuate da Freud riflette lo sviluppo e la maturazione biologica dell’individuo: LA FASE ORALE (0-1 anno e mezzo) Caratterizza il primo anno e mezzo di vita del bambino. Il piacere è legato alla zona erogena della bocca inizialmente connesso alla nutrizione. Successivamente, il movimento ritmico delle labbra viene attivato dal bambino anche indipendentemente dall’assunzione di cibo: il piacere si scinde dalla funzione fisiologica dell’alimentazione e il seno materno può essere sostituito da un dito, dalla lingua o dalle labbra stesse. Mentre inizialmente l’oggetto della pulsione è esterno, ovvero il seno, in seguito viene sostituito da una parte del corpo del bambino, per esempio, egli può provare analogo piacere succhiandosi un dito. Nella fase orale la meta è l’incorporazione dell’oggetto, si tratta di un aspetto fondamentale perché costituisce il modello per i successivi meccanismi di identificazione che porteranno alla costruzione della personalità dell’individuo. L’identificazione è l’incorporazione di aspetti dell’altro in sé stessi: l’Io e l’Identità si costruiscono attraverso le identificazioni. il maschio che la femmina conoscono solo un genitale e cioè quello maschile, per questo parla anche di primato del fallo. La fase fallica si riscontra anche nella bambina ma in negativo: lei non ha la consapevolezza di avere un proprio genitale, diverso da quello del maschio, ma crede di non avere il pene. L’identità femminile in questa fase è collegata alla percezione di una mancanza, di un’assenza: da qui l’invidia del pene della bambina collegata a un risentimento verso la madre che non l’ha dotata di un apparato genitale come quello del fratellino o del padre (complesso di evirazione o castrazione). Di conseguenza, la bambina sceglie il padre come oggetto d’amore edipico, poiché egli le può dare il pene o il suo equivalente simbolico il figlio. La dicotomia di concetti elaborata nella fase anale era costituita dalla coppia attivo-passivo ora nella fase fallica si contrappongono i due concetti di fallico-evirato. La fase fallica ha la sua manifestazione più significativa nel complesso di Edipo: mito e tragedia di Sofocle centrati sull’assassinio del proprio padre da parte di Edipo e sulla relazione incestuosa con la propria madre. Il bambino intorno ai 4-6 anni prova un’attrazione (desiderio sessuale) verso il genitore di sesso opposto e una conseguente ostilità nei confronti del genitore dello stesso sesso (desiderio di morte). Solitamente il complesso Edipico a risvolti positivi ma non sempre. Il genitore di sesso opposto viene amato dalla bambina/o ma non può essere conquistato perché l’altro genitore è un avversario forte e invincibile in questa competizione sessuale. Nel momento in cui la bambina si accorge di non avere il fallo, percepisce questa mancanza come il risultato di un’evirazione. Nel maschio la condizione di evirazione della femmina lo distoglie dalla realizzazione dei propri desideri amorosi verso la madre: la paura che il raggiungimento di tale obbiettivo abbia conseguenze negative su di lui e che provochi una minaccia di castrazione da parte del padre. Questa minaccia unita alla delusione amorosa subita dal genitore di sesso opposto, ad orientare il maschio verso il superamento del complesso edipico. Se il soddisfacimento del complesso edipico deve comportare la perdita del pene, entra in gioco un conflitto tra l’interesse del bambino per il proprio genitale e l’investimento libidico sull’oggetto materno. Di fronte a questa alternativa, l’investimento sessuale viene abbandonato e sostituito dall’identificazione con il padre: l’autorità paterna viene introiettata e andrà a costituire il nucleo del Super-io. Le tendenze libidiche edipiche vengono in seguito desessualizzate e sublimate dando origine a una forma di tenerezza nei confronti dei genitori. Nella femmina le dinamiche edipiche evolvono in maniera diversa. La castrazione per lei non è una minaccia ma un dato di fatto (complesso di evirazione). Inoltre, va notato che mentre il maschio mantiene lo stesso oggetto sessuale dell’allattamento (la madre), le femmina cambia oggetto sessuale passando dalla madre al padre. La mancanza del pene produce in lei un senso di inferiorità da cui nasce l’invidia del pene che se non elaborata correttamente, può far sorgere nella donna un complesso di virilità che potrebbe comportare serie difficoltà nello sviluppo sessuale normale. La bambina, dunque, investe il proprio desiderio sessuale nel padre dal quale desidera il dono del pene o un suo sostituto simbolico: un bambino. Nel momento in cui si accorge che ciò è irrealizzabile, anche la bambina rinuncia alla conquista sessuale del genitore di sesso opposto ma mentre il bambino vi rinuncia sotto la minaccia dell’evirazione, questa punizione terribile non può avere luogo nei confronti della bambina. La differenza sta nel fatto che nel maschio il complesso edipico tramonta con la paura della minaccia di evirazione, nella femmina il complesso edipico nasce dal complesso di evirazione. La mancanza della minaccia di evirazione, e quindi la minore angoscia vissuta dalla bambina, spiega, secondo Freud, il motivo per cui il Super-io della femmina è più fragile di quello del maschio: condizione antica della donna secondo cui ha una morale e un senso del dovere inferiore a quello dell’uomo. Freud riconduce questa convinzione a dinamiche di natura psicosessuale. LA FASE DI LATENZA (5-6 anni) Compresa tra i cinque e i sei anni, periodo in cui si risolve il complesso edipico che precede la pubertà. Questa fase coincide con il declino degli impulsi sessuali che caratterizzano le prime tre fasi e precede la ripresa della sessualità che avrà luogo nella fase genitale. Vi è una forte attenuazione delle spinte sessuali: la tenerezza prevale sui desideri sessuali. Emergono sentimenti come il pudore, la ripugnanza, si manifestano le aspirazioni morali (formazione Super-io) ed estetiche (da collegare alla sublimazione nella fase di latenza). La rimozione agisce sulle tendenze sessuali che caratterizzano i primi anni di vita, producendo amnesia nei confronti della sessualità perversa dell’infanzia. Nella fase di latenza è significativa l’educazione che si trasmette al bambino: valori e cultura che vengono trasmessi canalizzano e controllando le dinamiche pulsionali in modo da aiutarlo ad integrarsi nella società adeguatamente. In questa fase, la pulsione sessuale sublimata e inibita viene utilizzata per l’instaurazione delle relazioni sociali con i coetanei e con gli altri individui anche al di fuori della famiglia. LA FASE GENITALE Durante la fase di latenza le pressioni libidiche si attenuano fortemente, la fase genitale coincide con l’inizio della pubertà e quindi con un risveglio delle pulsioni sessuali. La maturazione biologica gioca un ruolo fondamentale e l’organizzazione libidica dell’individuo raggiunge la maturità e la completezza. La persona, in questa fase, ricerca il partner sessuale, tenerezza e sessualità si uniscono e comprendono anche l’aggressività, attivata nella ricerca del partner e nella congiunzione genitale. La dicotomia passivo-attivo e quella fallico-evirato, caratteristiche la prima della fase anale e la seconda della fase fallica, lasciano posto a quella tra maschile e femminile. La fase genitale è il punto di arrivo di uno sviluppo per fasi che si succedono secondo un ordine prestabilito. Questo percorso conduce ad un traguardo: -corretto sviluppo fisico e psichico, l’Io si potenzia in maniera adeguata; -piena integrazione sociale; -equilibrio che favorisce il mantenimento della salute mentale; Nella fase genitale il soggetto acquisisce la possibilità di raggiungere la propria completezza e realizzazione da intendersi come il congiungimento con un partner sessuale in funzione della riproduzione. Tutto ciò che esula dalla genitalità eterosessuale finalizzata alla procreazione rientra nella categoria delle perversioni, considerate come manifestazioni regressive di sessualità orale o anale oppure come deviazioni rispetto all’oggetto sessuale e alla meta sessuale. Va precisato che l’omosessualità come anche l’eterosessualità, secondo Freud, è il risultato di una scelta e di un’esclusione nei confronti della bisessualità che appartiene originariamente ad ogni individuo. 6.7 AUTOEROTISMO, NARCISISMO, RELAZIONE OGGETTUALE Nella concezione freudiana, il bambino nelle primissime fasi di vita, è incapace di instaurare una relazione con l’ambiente esterno, vive isolato dalla realtà. Si parla in questo caso di AUTOEROTISMO: il bambino orienta le proprie pulsioni su di sé cercando il soddisfacimento. È vero che ha un percezione vera dell’oggetto si può far risalire alla fase anale, le feci sono percepite come oggetto da donare o da conservare e il mondo esterno è il destinatario del dono e il regolatore delle funzioni evacuatorie. A partire dalla fase fallica si raggiunge la piena consapevolezza dell’oggetto esterno, che è investito dalle pulsioni sessuali e aggressive edipiche. ALFRED ADLER CAPITOLO 13: Adler fu un sostenitore della psicoanalisi e delle teorie di Freud, la sua psicologia nacque proprio dalle sue idee ma finì poi per distaccarsene completamente tanto da essere espulso dalla Società psicoanalitica nel 1911. Fu il padre della scuola adleriana e della Psicologia Individuale. Venne fortemente criticato da Freud: Adler, che si era rivelato il suo più fedele collaboratore, aveva rovesciato completamente il punto di vista freudiano mettendo in rilievo le componenti consce piuttosto che quelle inconsce (tendenza alla “razionalizzazione”). Molto simile a Freud, anche lui austriaco ed ebreo, passò maggior parte della sua vita a Vienna. Nacque nel 1870 in Austria, ebbe un’infanzia difficile a causa del suo rachitismo (difficoltà a crescere), cosa che influenzerà poi i suoi studi (da cui nasce il complesso di inferiorità). Tra il 1910 e il 1920 rimane a Vienna, si interessa anche di pedagogia perché ritiene che certi problemi psicologici possano risolversi durante l’infanzia. In Europa iniziano a muoversi venti pericolosi per gli ebrei, per questo si trasferisce in America. Muore nel 1937 in Scozia durante un ciclo di conferenze a 67 anni circa. Opera più famosa: Psicologia individuale del1920 dove è racchiusa tutta la sua teoria. 13.1 IL DISTACCO DA FREUD Alla base della Psicologia Individuale si trova una visione generale dell’uomo diversa da quella di Freud. Freud aveva una visione pessimista, era convinto che l’uomo fosse in perenne conflitto con la società, mentre Adler crede esista una sintonia tra l’uomo e la realtà, tanto che considera la nevrosi come la conseguenza di un forte individualismo e di un egoismo sfrenati del soggetto nel perseguimento delle proprie mete personali, che si presentano diverse e spesso opposte rispetto a quelle collettive. Inoltre, Adler, essendo socialista, sosteneva che la psicoterapia doveva essere un servizio garantito a tutti e gratuito per le fasce più deboli, questo scatenò una forte polemica da parte della psicoanalisi classica. Di che cosa tratta la psicologia individuale? 1. La prima differenza tra Adler e Freud è sul tema del trauma , per Freud il trauma ha un peso rilevante nei casi di nevrosi: esempio di Anna O. che subì un trauma da bambina, questo era stato introiettato nella parte inconscia della psiche e continuava ad influenzarla. Secondo Freud bisogna andare a scavare nell’inconscio perché ciò che sembra essere stato dimenticato in realtà ci influenza ancora. Adler dice di no: è sbagliato, perché facendo così ci rivolgiamo sempre al passato e non al futuro e inoltre, basandoci sempre su questo rapporto di causa-effetto tra trauma e comportamento facciamo sembrare che l’uomo non sia libero. Da come la vede Freud, ci dice Adler, una persona segnata da un trauma non potrà mai guarire perché la cosa l’ha segnato del tutto inevitabilmente, l’ha determinato e sarà sempre condizionato da questo trauma. Secondo Adler, le persone sane o malate, nevrotiche o meno, si comportano in vista del futuro, di un fine, non secondo il passato. Adler ragiona sul futuro, in vista degli scopi. Una persona ha una nevrosi non perché le è successo qualcosa nel passato ma perché oggi quel modo che ha di comportarsi è l’unico che conosce per ottenere un certo obbiettivo (poi può anche essere avvenuto un evento traumatico ma non è quello la causa della nevrosi). L’obbiettivo potrebbe essere ad esempio quello di attirare l’attenzione su di sé, richiedere aiuto o altri scopi. Le persone non reagiscono in certi modi a causa di un evento accaduto ma a causa di un certo fine o scopo, o più scopi magari, anche inconsci. Le persone che hanno nevrosi non fingono secondo Adler ma inconsciamente hanno uno scopo che può essere il volere quella persona accanto o il voler scaricare una tensione, reagiscono in vista di un fine non per un trauma avvenuto in passato. Freud ha un’impostazione eziologica (determinismo) che guarda alle cause mentre Adler ha un’impostazione teleologica (teoria che considera la realtà come un sistema organizzato secondo un ordine finalistico) che punta ai fini perché l’uomo è libero di cambiare, modificare la sua vita e se non lo fa è perché ha scelto, anche se inconsapevolmente, di non farlo. Questa teoria porta Adler a considerare i fenomeni psichici come orientati verso uno scopo. Chi soffre di nevrosi è perché si è costruito quell’identità, crede sia più facile avere quei problemi che risolverli. “Sei come sei perché hai cercato strategie inconsapevoli per non dover subire una certa cosa, hai adottato una certa strategia per un determinato scopo. Hai scelto di diventare così perché quello ti faceva stare bene e non guarisci perché quella condizione ti sta bene così com’è”. Ognuno sceglie le sue nevrosi, magari rimpiangendo quella scelta, ma se non sei diverso è perché non vuoi, non è il tuo scopo. Non conta più il trauma, che sicuramente ha un suo significato perché ha fatto partire un certo scopo, ma l’obbiettivo è scoprire il fine (teleologia: obbiettivo che persona inconsciamente si dà). La nevrosi scaturisce da scopi, obbiettivi che non si riescono a realizzare o che si sono ridimensionati con la vita, ad esempio genero nevrosi per avere attenzione perché non ne ho o non ne ho abbastanza. Lo faccio senza volere, l’inconscio lo fa, però agisco perché ho comunque uno scopo. Il compito del medico è quello di cercare questi scopi, non i traumi del passato, puntando a capire cosa vuole ottenere il paziente e fargli capire che quello che vuole ottenere può essere raggiunto anche senza bisogno di adottare quel comportamento nevrotico o ansiogeno. 2. La seconda differenza sta nel valore dato alle relazioni interpersonali per la comprensione delle dinamiche psichiche della persona, che Freud aveva messo in secondo piano, mentre per Adler sono fondamentali. Il rapporto con gli altri è fondamentale per capire la psicologia di Adler, il nostro equilibrio mentale è dato da come noi ci relazioniamo con gli altri, non è mai dato solo da noi stessi. La sua psicologia è vero che la definisce individuale, perché l’individuo va considerato e studiato nella sua unicità e irripetibilità, ma secondo il suo pensiero i problemi psichici sono sempre dati dal rapporto con gli altri. 3. Altra differenza tra i due: Adler pensa che alla base delle azioni e degli orientamenti umani non ci sia la sessualità come pensava Freud, ma una forma specifica di energia, una forza che si realizza nella VOLONTA’ DI POTENZA (concetto ripreso da Nietzsche). 4. Altra critica a Freud, da parte di Adler, è sull’apparato teorico , a suo parere, poco comprensibile a tutti e sulle interpretazioni: poco chiare e spesso traumatiche per il paziente. Lui decise di puntare sulla semplicità e sulla chiarezza. 13.2 L’INCONSCIO, IL SÉ CREATIVO La concezione dell’Inconscio di Adler è radicalmente diversa da quella di Freud, l’Inconscio per Adler non è altro che il risultato di ciò che la mente occulta perché considerato contenuto indesiderato. Conscio e Inconscio non sono due stati mentali diversi e separati, non si contraddicono, non funzionano secondo logiche contrapposte, ma la mente è una sola, indistinta volontà di potenza sta alla base delle conquiste, dei trionfi e della sopravvivenza del soggetto. Il sentimento di inferiorità deriva da circostanze negative della vita che generano insicurezza, nei suoi confronti gli individui possono attivare o reazioni sane e attive o al contrario patologiche e passive. A volte, questi due sensi di inferiorità e superiorità si sviluppano in complessi cioè sviluppano caratteristiche patologiche. Se io nasco con un forte senso di inferiorità mi sento incapace a fare certe cose e un po’ alla volta mi metto alla prova nelle cose che non mi sento capace di fare e, anche se a volte faccio fatica, miglioro e acquisisco nuove competenze. Insomma, sono soddisfatto, riesco in ciò in cui non credevo di riuscire e, migliorando, il mio senso di inferiorità viene attenuato, anche se non scompare mai (perché nella vita ci sentiremo sempre inferiori rispetto a qualcosa). Nel frattempo, il mio senso di superiorità viene appagato. Ma se per motivi che possono anche non dipendere da noi stessi, falliamo e non riusciamo mai a superare le difficoltà e diventare padroni della nostra vita, o comunque ci riusciamo poco, cosa succede? Nasce la versione patologica del senso di inferiorità. Di per sé il sentimento di inferiorità sarebbe positivo, perché è colui che ci spinge a migliorare, se non ci fosse, non lavoreremmo per progredire (cosa sana). A non essere sano è il complesso di inferiorità che nasce nel momento in non si riesce a superarlo generando continua frustrazione. L’aspirazione alla superiorità e il complesso di inferiorità nascono dal confronto con gli altri. Si parla anche in Adler di conflitti ma non conflitti intrapsichici ma interpersonali: la nevrosi deriva da reazioni inadeguate dell’individuo nei confronti di condizioni relazionali e ambientali frustranti. L’Inconscio, secondo Adler, non è un sostantivo ma un aggettivo: ciò che viene sottratto dalla coscienza è inconscio. 13.4 LINEA DINAMICA E STILE DI VITA Il grado di inserimento di un soggetto nella società prende il nome di LINEA DINAMICA: importante per il terapeuta perché gli permette di comprendere il modo in cui l’individuo rappresenta sé stesso e struttura la propria relazione con gli altri e con la società. La linea dinamica comprende tutto ciò che appartiene in maniera distintiva e specifica alla persona e consente di studiare il carattere del soggetto e di risalire alla sua infanzia in cui si crea quello che Adler chiama STILE DI VITA O PIANO DI VITA. Questo stile di vita corrisponde all’insieme di disposizioni a cui ciascuno resta fedele per tutta la propria esistenza, più o meno consciamente. È un’espressione adleriana molto usata oggi, intesa come il proprio modo di essere, di relazionarsi e vedere il mondo. Lo stile di vita che si sceglie è quello che si rifà maggiormente a noi. Per sceglierlo bisogna rifarsi ad alcuni COMPITI VITALI che sono poi alla fine le responsabilità che noi abbiamo, le cose che dobbiamo fare noi e solo noi. Il nostro stile di vita dobbiamo adattarlo a noi, se vogliamo essere persone sane e equilibrate che si auto accettano. Dobbiamo configurarci secondo questo stile di vita e quindi svolgere con diligenza il nostro lavoro, impegnarci e cercare di farlo bene. Lo stile di vita che scegliamo potrebbe anche crearci un disequilibrio. Concepisce il termine “Stile di vita” come organizzatore dell’immagine di sé, degli altri e della relazione sé-altri. La linea dinamica e lo stile di vita del soggetto vengono osservati e analizzati con cura dal terapeuta, che si costruisce in tal modo un ritratto specifico del soggetto permettendogli di desumere il nesso tra le manifestazioni del suo comportamento e del suo pensiero e la loro organizzazione coerente in vista di uno scopo. Le osservazioni di Adler, infatti, sono orientate in una direzione prospettica, verso il futuro più che verso il passato del paziente: verso gli scopi più che verso le cause. Come sostiene Adler, è impossibile pensare, sentire, volere, agire senza avere uno scopo prefissato. Ogni manifestazione psichica può essere compresa solo in quanto preparazione in vista di uno scopo prefissato, scopo presente in modo conscio o inconscio, ma sempre compreso nel suo significato. Quindi tutte le espressioni, i sentimenti, i pensieri, le scelte, le azioni, i sogni e i fenomeni psicopatologici riflettono in vario modo la linea dinamica e lo stile di vita del soggetto. Lo scopo è però legato spesso a compensazioni, ciò significa che tale scopo è spesso deformato, mascherato e che il terapeuta deve cercare di coglierlo al di là delle apparenze spesso ingannevoli. Il nevrotico mostra una costante tendenza alla sicurezza, mantiene inconscio il proprio piano di vita e mostra una forte tendenza al rimpianto e al rifarsi continuamente al proprio passato: per sganciare la responsabilità del presente e rinviarla a eventi trascorsi per cui non può più fare nulla. 13.5 NEVROSI, ERMAFRODITISMO PSICHICO E PROTESTA VIRILE Adler studia le nevrosi e si pone l’obbiettivo di studiare l’essere umano, dal punto di vista psicologico, in base alla posizione che l’essere umano assume, ricopre in certi contesti sociali. Fa un’analisi psicologica ma la contestualizza, lo cala dentro un contesto sociale, cosa molto importante. Psicologia individuale vuol dire fare un profilo psicologico dell’essere umano ma partendo dalle posizioni che assume nel contesto. Caposaldo dell’approccio di Adler è il concetto di intenzionalità: secondo lui l’individuo ruota intorno alle sue intenzionalità, ogni essere umano agisce secondo uno scopo che si è prefissato di fare in quell’ambiente. L’uomo agisce secondo intenzioni che si dà e che diventano sistema di riferimento della vita. Noi produciamo intenzioni e ci muoviamo dentro di esse. L’intenzionalità guida gli uomini. La nevrosi, secondo Adler, è il risultato di un tentativo di liberarsi da un sentimento di inferiorità che però non porta alla soluzione del problema né all’inserimento sociale, anzi, produce isolamento, ipersensibilità, intolleranza e un prevalere dell’immaginazione sul senso di realtà. Attraverso la nevrosi l’individuo cerca di sottrarsi alle costrizioni della società. La nevrosi, osserva Adler, si manifesta con una paralisi dell’attività e delle decisioni e viene sostenuta da sentimenti di angoscia e di dubbio. Questa condizione viene spiegata da Adler facendo ricorso ai concetti di femminile e di maschile. “Debolezza femminea”, la chiama Adler, quella del sentirsi inferiore. La donna veniva educata all’inferiorità, ma questo senso di inferiorità la faceva attivare per rivendicarsi. Noi abbiamo la volontà di potenza, abbiamo voglia di superare i nostri limiti che a volte ci schiacciano: quello che si sente superiore vuole proteggere questo sentimento mentre quello che si sente inferiore può sviluppare un complesso di inferiorità. Le inferiorità possono trasformarsi nel motore del riscatto: se sono stanco di percepirmi o essere percepito come inferiore, metto in moto delle energie psichiche di riscatto rispetto a quella debolezza. Diade sopra-sotto: chi è sotto può essere motivato a riscattarsi. Una volta che mi percepisco come inferiore innesco la protesta del virile (desiderio di riscatto e potenza del virile). Virile e femminile sono linguaggi che si devono storicizzare (caratteristiche tipiche: donna fragile, uomo più sicuro). Sentimento maschile: virile, debolezza: sentimento femminile. Le componenti maschili sono legate all’attività e a un atteggiamento decisionale mentre le componenti femminili sono legate alla passività e a un atteggiamento remissivo. Questi due atteggiamenti sono compresi in tutti gli individui (ERMAFRODITISMO PSICHICO). Solo che nel nevrotico il sentimento della femminilità prevale decisamente e si evidenzia nel bisogno di appoggio, nella sottomissione, nella debolezza e nel senso di inferiorità. Nell’individuo non nevrotico, al contrario, prevale la PROTESTA VIRILE, cioè la tendenza che si manifesta nella ricerca del successo. superamento del senso di inferiorità ma spesso non succede, spesso l’individuo cade nella malattia individuale, sociale. Si crea una “vita di fantasticherie”, si vive una vita associale, non affrontando i propri complessi di inferiorità che hanno causato malessere, nevrosi: abbandono. Tutto questo influenza lo stile di vita. Il complesso di inferiorità o porta alla malattia o può essere dunque uno slancio. I fattori sociali, culturali sono fondamentali, al di là della genetica, la personalità è costruita nell’ambiente di vita, dove si cresce. Dipende molto anche dall’educazione che si riceve fin da piccoli, da quello cambia la nostra personalità. Psicologia e pedagogia devono andare a braccetto per superare le nevrosi. Importante il ruolo della scuola dove bambini possono crescere in maniera sana: è importante che complesso di inferiorità non venga sostenuto. Il modo in cui immaginiamo noi stessi dipende dal modo in cui ci vedono gli altri. Tutto si fonda sul successo: più penso di avere successo più mi sento meglio. Questa tendenza che abbiamo è naturale ma alimentata dal nostro sistema educativo, contro cui Adler si scaglia. Perché? Perché crede che il sistema educativo crei scompensi psicologici, e questo non ci fa stare bene. Parla del sistema educativo della Vienna degli anni 10-20 ma alla fine non è cambiato poi così tanto. È un sistema quello del tempo e quello attuale che si fonda sui voti: ricompense e punizioni. Se studi e fai bravo ti do un bel voto, se non studi e non fai il bravo ti do un brutto voto. L’insegnante ti premia o ti punisce a seconda del tuo comportamento con voti, con elogi o con delle note e questo sistema, secondo Adler, è deleterio perché porta a pensare che la nostra superiorità o inferiorità non dipenda da noi ma dagli altri, cioè sono gli altri a decide se abbiamo superato questo senso di inferiorità. Se ci dicono “bravi” abbiamo ripagato il nostro senso di inferiorità e viceversa se non ce lo dicono non lo abbiamo colmato. Alla fine, è vero che la scuola, a volte, crea un forte senso di inferiorità o troppa autostima se ci elogia troppo e secondo Adler questo sistema basato su elogi e critiche è totalmente da rigettare perché non aiuta l’individuo a crearsi una psicologia equilibrata ma lo porta a pensare che dovrà sempre agire non per sé stesso ma per soddisfare gli altri. Cresciuti tra scuola e casa, abituati a ricevere elogi o critiche a seconda di ciò che facciamo, siamo portati a pensare che tutta la vita sia incentrata alla ricerca di elogi e questo ci spinge a metterci in azione alla ricerca di quell’elogio. Facendo così purtroppo non badiamo a ciò che vogliamo veramente, non cerchiamo di appagare i nostri desideri ma quelli degli altri. Si finisce per vivere una vita finalizzata a piacere agli altri e non a sé stessi, se si piacerà al maestro si avranno dei bei voti e così facendo il senso di superiorità verrà appagato, mentre, se non piacerà si subirà frustrazione e dispiacere. Tutta la vita è così in funzione degli altri e causa di difficoltà e squilibri psicologici. Adler dice che bisognerebbe cambiare tutto, cambiare il modo di educare e cambiare il rapporto tra educatore e allievo perché non dovrebbe esistere un rapporto di superiorità ma un rapporto paritetico, il maestro non deve essere superiore e l’allievo non deve essere sottomesso, non deve essere tutto in base a cosa dice l’insegnante che decide se sei bravo o cattivo. Il maestro, secondo Adler, non deve essere colui che giudica, che dà i voti, che premia o umilia ma colui che INCORAGGIA che sta al fianco e non davanti allo studente, colui che corregge e vede gli sforzi. Il maestro deve essere colui che ti consiglia se quella intrapresa è la strada giusta oppure no, senza imporsi dall’alto. Secondo Adler, la scuola deve essere una “scuola senza voti” che non ti sottomette come invece fa la scuola con i voti. Adler vuole una scuola senza capi ma ricca di maestri esperti, di accompagnatori che sostengono e accompagnano mettendo in atto una “strategia di incoraggiamento”, senza premi e senza punizioni. Solo così si sviluppa un individuo sano. Anche in famiglia il confronto con il fratello che riceve un premio o che non lo riceve crea disfunzione nella famiglia. Secondo Adler, l’educazione va cambiata e deve essere un’educazione diversa (visione molto moderna). Lo scopo ultimo dovrebbe essere quello di sostenere i ragazzi in crescita, ma non solo, anche gli adulti, insomma tutti all’auto accettazione. A volte, secondo Adler, non ci accettiamo perché tutta la nostra vita è improntata a cercare di essere accettati dagli altri e non da noi stessi, cerchiamo di compiacere in qualche modo gli altri. Mentre invece, l’individuo attraverso questo senso di inferiorità e di superiorità deve cercare di esprimersi, superarsi, esprimere volontà di potenza propria, deve aspirare alla superiorità ma deve sentirla lui, dentro di sé, deve essere contento della strada intrapresa e della superiorità raggiunta, deve sentire lui questa superiorità, non gli altri. L’appagamento deve essere un fatto individuale, non legato al riconoscimento altrui. Scopo ultimo: l’auto accettazione non l’essere accettato dagli altri, questo è alla base dell’equilibro, dello stare bene. L’individuo felice è colui che si accetta e che conosce i propri pregi e i propri limiti e lavora per superarli (senso inferiorità ricordiamo rimane ma si può ridurre nel tempo e essere più gestibile: individuo così è sano). Bisogna imparare a conoscersi e non delegare gli altri. Non possiamo vivere cercando di accontentare gli altri ma dobbiamo affrontare gli altri che possono e sono sicuramente un problema, un rischio, ma dobbiamo reagire (reagiamo agli altri con complessi). Dobbiamo sviluppare senso di superiorità e svolgere compiti vitali ma sempre in rapporto agli altri, solo così possiamo farlo (es. divento bravo professore se mi rapporto bene con i miei alunni). Adler non invita a stare chiusi in sé stessi ma ad aprirsi una volta che però prima si trova equilibrio con sé stessi. Solo quando si ha questo equilibrio e ci si accetta, allora ci si può aprire anche agli altri, non cercando elogi o critiche rimanendo indifferenti a questi. Individuo che si auto accetta non ha bisogno di elogi e se riceve critiche fondate cerca di migliorarsi, altrimenti le ignora. MELANIE KLEIN CAPITOLO 15: Melanie Klein (1882-1960) è una delle personalità più importanti della storia della psicoanalisi che ha prodotto un notevole arricchimento di conoscenze. 15.1 LA FANTASIA INCONSCIA La nozione kleiniana di FANTASIA INCONSCIA (o phantasy) affianca la definizione di Freud. Per Freud la fantasia è uno scenario immaginario che rappresenta l’appagamento di un desiderio inconscio in modo deformato dall’attivazione di processi difensivi. Freud distingue tre tipi di fantasia: a) Fantasie consce: o anche chiamati sogni diurni, consistono in storie che la persona si narra nello stato di veglia: il ROMANZO FAMILIARE, ad esempio, è il modo in cui il bambino ricostruisce in fantasia l’immagine dei propri genitori e i suoi legami con loro, idealizzando la madre come una principessa. È una fantasia conscia che ha radici edipiche; b) Fantasie inconsce: ciò che sta dietro ai contenuti manifesti della mente; c) Fantasie primarie: sono strutture fantasmatiche tipiche, universali e precedenti alle esperienze individuali. Potrebbero essere definite come una sorta di “patrimonio inconscio filogenetico” condiviso da tutti, per fare un esempio: fantasie di seduzione, di castrazione. La Klein pone tutta la sua attenzione rispetto alle fantasie inconsce, rispetto a quelle consce che mette in secondo piano. La Klein sosteneva che il tic non era altro che la manifestazione di una fantasia inconscia rivolta in direzione di un oggetto. Da questa affermazione della Klein possiamo dire che:  Nel suo pensiero c’è la convinzione che dietro ogni manifestazione umana agiscano forze poste al di sotto della coscienza che si riferiscono a fantasie inconsce;  La nozione di oggetto come elemento fondamentale e indispensabile; intersoggettivo che può portare l’individuo a uno sviluppo normale o patologico. Alla Klein non interessano le relazioni con gli oggetti e le persone esterne ma il modo in cui tali relazioni vengono introiettate. Ogni sensazione corporea produce un’esperienza mentale vissuta come relazione con l’oggetto che causa quella sensazione: -Sensazione piacevole: l’oggetto è amato, oggetto buono; -Sensazione dolorosa: l’oggetto è odiato, oggetto cattivo. Gli oggetti interni non sono semplici immagini, ma sono costituenti sostanziali dell’individuo (bambino e schizofrenico li percepiscono concreti). Sono oggetti emozionali: legati alle emozioni piacevoli/spiacevoli provate dall’individuo. L’oggetto ha una connotazione affettiva e sensoriale. Gli oggetti interni sono vissuti dal bambino in modo tale da provocare sensazioni di piacere o di dolore a livello corporeo e somatico. Se il bambino ha fame, vive questa sensazione come un oggetto interno che lo fa soffrire e viceversa per gli oggetti buoni. Il bambino è in grado fin dalla nascita di instaurare relazioni oggettuali (primo oggetto e prototipo è il seno materno). L’introiezione non è collegata alla perdita dell’oggetto, ma è uno dei meccanismi fondamentali del funzionamento mentale fin dalla nascita. Introiezione dell’oggetto buono e stabile è una difesa contro gli istinti di morte. 15.3 ISTINTO DI MORTE E ANGOSCIA Freud ha distinto l’angoscia, l’ansia e la paura: -l’angoscia: maggior intensità e non prodotta da un oggetto preciso; -ansia: minor intensità; -paura: prodotta da un oggetto preciso; Nella sua prima fase, Freud considerava l’angoscia come un accumulo dell’eccitamento provocato dalla mancata scarica della tensione libidica. In seguito, la fa combaciare con la risposta a una situazione di pericolo o traumatica. Si possono distingue quattro tipi di angosce in Freud: -angoscia reale: derivante da un pericolo reale collocato nel mondo esterno; -angoscia nevrotica: derivante dall’Es e dalle pulsioni, connessa ad un pericolo ignoto; -angoscia morale: generata dal Super-io; -angoscia segnale: che sarebbe la riproduzione in forma attenuata dell’angoscia collegata ad un evento traumatico, reale o fantasmatico, che si è vissuto: quando si verificano condizioni che richiamano una precedente situazione traumatica, si attiva un segnale di angoscia di moderata intensità che pone il soggetto in una condizione di attesa difensiva. Per Melanie Klein l’angoscia è la reazione alle minacce del mondo esterno e del mondo interno. Nella prima fase del suo pensiero considera l’angoscia secondo la prospettiva di Freud: un sovrappiù di energia crea angoscia. L’Es e il Super-io esercitano pressioni sull’Io e ciò genera angoscia nel soggetto, il quale cerca di controllarla mediante delle strategie: nel bambino attraverso il gioco nell’adulto attraverso la sublimazione. In questa prima fase, Melanie Klein riserva una posizione centrale all’angoscia di evirazione come fonte delle altre manifestazioni di angoscia. Nella seconda fase Melanie Klein centra la sua attenzione nella corrispondenza tra angoscia e pulsione o istinto di morte. Per Freud, la pulsione di morte è una tendenza dell’essere e della materia alla disgregazione e al raggiungimento di un completo annullamento della tensione che coincide con la morte. Per la Klein questa pulsione viene intesa come aggressività, distruttività e sadismo rivolto contro gli oggetti primari. Il lattante è posseduto da un’angoscia che proviene in parte dall’istinto di morte e in parte dalla paura di annientamento derivante dall’impotenza del neonato di far fronte a pericoli esterni e interni. Freud collega l’angoscia ad una fase relativamente avanzata quando si sviluppa l’Io mentre la Klein la collega alla fase orale. L’angoscia del lattante, secondo Melanie Klein, deriva dalla paura di perdere la madre che soddisfa i suoi bisogni primari (madre come oggetto esterno) e dalla paura che la madre sia annientata dai suoi attacchi sadici e distruttivi (madre come oggetto esterno e interno). Il pensiero di venire annientato genera angoscia nel bambino. Quindi da un lato c’è un’angoscia derivante dagli attacchi che il bambino rivolge contro l’oggetto e dall’altro c’è un’angoscia che dipende dal fatto che il bambino può essere vittima di attacchi da parte dell’oggetto (interno o esterno). Nel primo caso si parla di angoscia depressiva mentre nel secondo si parla di angoscia paranoide o persecutoria. 15.4 LA POSIZIONE SCHIZO-PARANOIDE Nella prospettiva di Melanie Klein, l’Io esiste nell’individuo fin dalla nascita, le funzioni dell’Io consistono nel separare il me e il non-me, nel discriminare il buono e il cattivo, nell’elaborare le fantasie di incorporazione e di espulsione. L’Io primitivo del bambino oscilla tra integrazione e disintegrazione e fin dalla nascita sperimenta l’angoscia, usa meccanismi di difesa e instaura rapporti oggettuali nella fantasia e nella realtà. Nei primissimi mesi di vita l’Io del bambino si trova esposto a istinti di vita e istinti di morte: dunque alternanza di fasi piacevoli con sofferenze, minacce e angosce. La realtà esterna, esempio del seno materno, può provocare piacere (quando il seno è presente) o dolore (quando il seno è assente). Il soggetto fin da bambino attiva così una serie di difese nei confronti dell’oggetto e dell’istinto di morte: proiezioni, introiezioni e scissioni che danno occasione al bambino di organizzare la realtà esterna e il suo mondo interno. Attraverso la scissione il seno viene distinto in due oggetti parziali diversi e separati, il seno buono (ideale) e il seno cattivo (persecutorio), non percepiti come le due facce della stessa medaglia, ma come due oggetti parziali diversi e collegati a due stati d’animo antitetici (amore e odio) e due sensazioni opposte (piacere e dolore). La scissione è una difesa contro il caos delle sensazioni e consente di stabilire una linea di demarcazione tra ciò che viene avvertito come dannoso e persecutorio e ciò che risulta piacevole e gratificante. Inoltre, permette al bambino di mettere ordine nel flusso delle esperienze e di dare un’organizzazione alle sue impressioni sensoriali. Attraverso, invece, la proiezione il bambino proietta fuori di sé ciò che gli procura angoscia, quindi l’istinto di morte e gli oggetti cattivi. Espelle fuori di sé le parti cattive. Attraverso l’introiezione introietta gli oggetti buoni, in modo da strutturare la propria realtà in maniera rassicurante, l’interno in questo modo diventa la sede del bene e dell’amore e l’esterno riceve tutte le cose minacciose e persecutorie costituite dal male e dall’odio. Nell’introiezione si accolgono gli oggetti buoni. Le qualità cattive e persecutorie possono essere intrinseche all’oggetto oppure possono essere la conseguenza dell’attività proiettiva del soggetto. In alcuni casi il meccanismo si può capovolgere: si può proiettare l’oggetto buono per preservarlo dagli attacchi del mondo interno vissuto come minaccioso e sadico, oppure si può introiettare l’oggetto cattivo per tenerlo sotto controllo e attenuare le sue potenzialità distruttive. paranoide non viene elaborata adeguatamente dal bambino, si possono formare dei punti di fissazione che possono costituire la premessa di una psicosi. Oltre alla scissione, alla proiezione e all’introiezione, il bambino attiva, all’interno della posizione schizo-paranoide, un quarto meccanismo difensivo: l’identificazione: resa possibile grazie all’introiezione del seno buono per mantenerlo al riparo dagli attacchi dell’istinto di morte e dalle minacce della realtà esterna. Costituisce un riferimento importante (come un magnete attira altri oggetti buoni) attorno a cui il soggetto costituisce la propria identità (risultato di introiezione di oggetti buoni). Questa identificazione è il risultato di una selezione di oggetti buoni introiettati con i quali la persona instaura un rapporto privilegiato. Nello sviluppo normale le esperienze buone vengono introiettate e attenuano la forza delle immagini minacciose che terrorizzano il bambino. Il seno buono installato stabilmente nel proprio mondo interno è la condizione per la costruzione di un Io stabile e per la salute mentale. Come il seno materno viene scisso anche l’Io viene scisso in buono o cattivo, il tutto facendo riferimento alla fantasia del bambino. Tale fantasia determina i sentimenti, i rapporti con l’oggetto e i processi di pensiero. Altre due difese compaiono nella posizione schizo-paranoide e sono: l’idealizzazione e il DINIEGO. L’idealizzazione consiste nell’attribuire valori esageratamente positivi all’oggetto, l’introiezione dell’oggetto buono produce un’immagine esageratamente buona del seno gratificante, non realistica (idealizzazione). Ha funzione difensiva, protegge l’individuo dalla percezione del seno cattivo, negando le sue caratteristiche persecutorie: DINIEGO. Se adeguatamente contenuta, l’idealizzazione ha una funzione importante alla base della credenza della bontà degli oggetti e di sé, condizione essenziale per una buona relazione oggettuale. Nell’età adulta l’idealizzazione persiste. Per riassumere i meccanismi di difesa della posizione schizo-paranoide sono: proiezione, introiezione, scissione, identificazione, idealizzazione e diniego. 15.5 L’IDENTIFICAZIONE PROIETTIVA Un concetto molto importante elaborato da Melanie Klein è quello di IDENTIFICAZIONE PROIETTIVA attraverso cui l’individuo può proiettare parti di sé che avverte pericolose e che sono state oggetto di scissione. Queste parti dell’Io vengono espulse e introdotte negli oggetti esterni (contenitori: la madre). Il soggetto si sente così alleggerito indirizzando l’odio, invece che verso sé stesso, verso l’oggetto esterno che non lo vediamo più come un oggetto separato da sé, ma diventa il sé cattivo perché contiene la parte di sé proiettata, che contempla a distanza e che controlla. L’identificazione proiettiva è dunque una proiezione che riguarda quella parte dell’Io che collocata nell’oggetto esterno permette di identificarsi con l’oggetto stesso. Riconosce le parti cattive solo quando le vede nell’altro. Se queste parti sono elaborate, contenute e bonificate, quindi la madre accoglie i vissuti persecutori del bambino e li priva della loro carica sadica e distruttiva, queste parti di sé possono essere restituite e quindi re introiettate: IDENTIFICAZIONE INTROIETTIVA. Questa volta il bambino le può ricollocare, trasformandole in oggetti buoni, nel proprio mondo interno. Questo processo è opposto all’identificazione proiettiva. L’identificazione proiettiva può riguarda l’espulsione di parti cattive ma anche di parti buone, la relazione con l’oggetto non è aggressiva ma libidica. La proiezione delle parti cattive consente di acquisire controllo sulla fonte di pericolo; la proiezione delle parti buone invece serve ad evitarne la separazione. Inoltre, l’identificazione proiettiva può riguardare non solo parti di sé ma anche l’intero sé. Tutti questi meccanismi di difesa si attivano in qualunque fase della vita, non sono esclusivi dell’infanzia. Inoltre, non sono di per sé patologici ma lo diventano se usati in maniera eccessiva, vanno usati in termini ragionevoli. 15.6 LA POSIZIONE DEPRESSIVA La posizione schizo-depressiva verrà seguita dalla posizione depressiva, entrambe si presentano durante l’intera esistenza del soggetto. LA POSIZIONE DEPRESSIVA arriva intorno ai 5-6 anni e anche questa costituisce un sistema di organizzazione delle relazioni tra l’individuo e l’oggetto e si ripropone come modalità di funzionamento e di strutturazione della mente. Un aspetto fondamentale di questa posizione è l’integrazione dell’oggetto parziale buono e di quello cattivo in un unico oggetto totale, la cui caratteristica nuova è l’ambivalenza. Crescendo, il bambino si rende conto di come in realtà la mamma che lo fa stare bene e quella che lo fa stare male siano la stessa mamma. Questa nuova consapevolezza lo farà entrare nella posizione depressiva. La posizione depressiva, evolutivamente successiva a quella schizoparanoide, si caratterizza per la scoperta e l’accettazione della coesistenza degli aspetti libidici e di quelli aggressivi, e quindi un avvicinamento alla comprensione della realtà. Il bambino scopre che la mamma è sempre lei, e che colei che lo coccola e lo nutre è la stessa che lo sgrida e che a volte si dimentica di proteggerlo dal freddo. Non esistono più un seno buono e uno cattivo ma esiste un’unica madre composta da parti buone e parti cattive, che può venire amata o odiata. Lo stesso oggetto è origine del piacere e del dolore, del soddisfacimento e della frustrazione. Mentre nella posizione schizoparanoide la tendenza è rivolta alla scissione dell’oggetto, nella posizione depressiva la tendenza è rivolta all’integrazione dell’oggetto e di conseguenza anche dell’Io. Se prima l’angoscia era di tipo paranoide (timore di essere aggredito dall’oggetto cattivo) a questo punto l’angoscia si modifica. Quando raggiunge questa posizione, il bambino è invaso dalla paura che l’aggressività e l’odio da lui provati per quella che era la mamma cattiva possano averla disintegrata, distruggendo al contempo l’oggetto del suo amore (perché oramai sa che la mamma odiata è la stessa che ama). Il bambino che attacca con il suo istinto di morte la parte cattiva dell’oggetto rischia di distruggere anche la parte buona dello stesso oggetto, dato che l’oggetto parziale cattivo e quello buono si sono integrati in uno stesso oggetto ambivalente. Ora l’angoscia è depressiva. L’angoscia depressiva è data dal rischio di perdere l’oggetto buono e dal danno che l’Io potrebbe subire: distruggendo la madre, il bambino rimarrebbe solo. Inoltre, l’angoscia depressiva deriva dal rischio di distruggere non solo l’oggetto esterno ma anche quello introiettato e quindi il mondo interno. Nella posizione depressiva c’è un forte aumento dei processi introiettivi: l’oggetto viene introiettato per non essere perduto e per essere conservato e protetto.  Il diniego della realtà psichica: può ignorare la propria realtà mentale in quanto è lì che vengono generati il dolore, il senso di frustrazione, il senso di colpa e altri sentimenti depressivi; Nella posizione depressiva, alla fine, si giunge a comprendere che il male non può essere sconfitto ed eliminato, ma va controllato in modo da non farlo prevalere sul bene. L’Io integrato riesce ad accettare la completezza e la duplicità dell’esistenza e a capire che le parti buone e quelle cattive si fondono in un’unica entità. 15.7 IL SUPER-IO E IL COMPLESSO EDIPICO Melanie Klein condivide la seconda topica freudiana, secondo cui l’apparato psichico è costituito da: Es, Io e Super-io. L’ES continua ad essere la sede e la fonte deli istinti o pulsioni di vita e di morte che caratterizzano la vita mentale dell’individuo fin dalla nascita; Le altre due istanze psichiche vengono modificate e anticipate. L’IO secondo la Klein esiste dalla nascita, il neonato è in grado di attivare subito istintive e inconsapevoli relazioni d’oggetto. L’Io ha la funzione di separare il me dal non-me, discriminare il buono dal cattivo e permettere le fantasie di incorporazione ed espulsione, tutte capacità presenti dalla nascita. Mentre secondo Freud, L’Io si forma quando il bambino inizia ad avere un contatto effettivo con la realtà esterna; Il SUPER-IO: mentre secondo Freud si forma a seguito della risoluzione del complesso edipico, quindi intorno ai cinque anni di età, per la Klein si riscontra a circa due anni (o prima nella sua forma più arcaica). È concepito come un oggetto interno dai tratti persecutori che deriva dall’introiezione delle parti cattive degli oggetti parentali esterni. Spinge il bambino a ricercare una relazione rassicurante con i genitori esterni (che lo proteggono dalla crudeltà del Super-io e quindi dai genitori introiettati). Il Super-io precede e non segue il complesso edipico e ne determina lo sviluppo. L’Edipo freudiano è centrato sulla relazione del bambino con i genitori reali, esterni, per la Klein le dinamiche edipiche sono giocate in una dimensione interiore, con le figure parentali introiettate. Nei bambini esistono fantasie inconsce acquisite filogeneticamente relative alla sessualità, quindi anche a quella dei genitori. Le relazioni tra i genitori sono assimilate in fantasia a scambi di natura libidica e gli organi sessuali maschile e femminile sono distinti precocemente nella mente del bambino: la femmina non è un maschio evirato come in Freud, ma è un essere dotato di un organo genitale specifico e diverso da quello maschile. Il complesso edipico si sviluppa a partire dalla posizione depressiva, quando la madre viene percepita come un oggetto totale (a partire dai 5-6 mesi), si produce un mutamento nella relazione del bambino con lei e nella percezione del mondo. La consapevolezza del fatto che esiste una relazione libidica tra il padre e la madre è uno degli aspetti fondamentali della nascita del complesso di Edipo. Nel bambino prevalgono spinte orali, anali e falliche che coesistono e si sovrappongono reciprocamente, egli immagina che i suoi genitori si scambino quelle gratificazioni orali, anali e uretrali che egli desidererebbe per sé. Queste fantasie producono nel bambino sentimenti di gelosia e di invidia che lo portano ad aggredire sadicamente in fantasia i genitori, proiettando in loro il proprio istinto di morte e trasformandoli in figure minacciose. Figure che, introiettate, costituiscono il Super-io. Contro l’angoscia connessa alla deprivazione e alla gelosia, il bambino attiva delle difese: -la scissione tra la coppia dei genitori buoni (asessuali) e quella dei genitori cattivi (sessuali); -la scissione tra il padre e la madre, uno dei quali viene idealizzato e l’altro viene assunto come oggetto persecutorio; Interessante è il modo in cui il bambino esperisce in fantasia il corpo materno: pieno di contenuti positivi (latte, seno materno, pene paterno, bambini) su cui il bambino attiva fantasie di esplorazione e conoscenza (istinto epistemofilico, base del nostro desiderio di conoscenza), istinti libidici e desideri invidiosi e sadici (vuole appropriarsi di tali contenuti). Questi attacchi producono angosce psicotiche e fantasia di persecuzione subite da parte del corpo materno (principalmente dal pene del padre che vi è contenuto). Quando il bambino percepisce il padre come oggetto totale (e non più come oggetto parziale pene-contenuto nel corpo della madre) e come figura separata, elabora la FANTASIA DEI GENITORI COMBINATI. Si tratta di una figura unica che ingloba entrambi i genitori, uniti nel coito. I genitori come oggetti totali, si uniscono sessualmente nella fantasia del bambino. Su tale figura il bambino proietta la propria aggressività, che è percepita come terrificante e minacciosa (i genitori che si accoppiano appaiono o come in lotta tra loro o come alleati contro il bambino). La frustrazione derivante dall’assenza del seno materno, soprattutto in coincidenza con lo svezzamento, colpisce allo stesso modo il bambino e la bambina, i quali mostrano le stesse fantasie di attacco sadico al seno materno e lo stesso interesse per il pene paterno eletto come oggetto sostitutivo del seno. Le scelte sessuali dell’adulto dipendono da come l’individuo attraversa questa fase: se il corpo della madre attaccato suscita eccessiva angoscia, il bambino può manifestare una fobia per il corpo femminile e la bambina può non identificarsi con la madre per l’assunzione del proprio ruolo sessuale. Sia nel bambino che nella bambina, Melanie Klein, nota contemporaneamente complesso edipico positivo (amore per il genitore di sesso opposto e odio per quello del proprio sesso) e negativo (amore per il genitore del proprio sesso e odio per quello di sesso opposto). Al centro della nascita dell’Edipo si colloca la frustrazione connessa allo svezzamento, come conseguenza la bambina si rivolge al pene paterno, che dovrebbe sostituire simbolicamente il seno perduto. Ma anche il pene paterno delude la bambina, la quale si rivolge di nuovo alla madre identificandosi con lei perché possiede al proprio interno il pene paterno. Tale identificazione si manifesta in fantasia con un’aggressione sadica causata dalla rivalità e dal desiderio di svuotare la madre dei suoi contenuti. A questo punto nella bambina si sviluppa una fase fallica, in cui l’assenza del pene viene negata perché la bambina stessa deve gratificare la madre al posto del padre. Prima la bambina si pone in una relazione di rivalità con la madre per ricevere al suo posto il seno-pene del padre; in seguito, si identifica con la madre per paura della ritorsione della madre stessa e per il desiderio di soddisfarla con il pene. Sia il bambino che la bambina amano e odiano sia la madre che il padre, la forma positiva e negativa del complesso edipico convivono. Il complesso edipico si risolve prima della fase genitale: per Freud a termine con la paura di evirazione e per la Klein termina grazie all’angoscia provata, all’amore per i genitori e alle tendenze alla riparazione evocate dalla posizione depressiva. Il coito dei genitori è visto non più come un gesto negativo ma come un gesto d’amore e di creatività, anche il Super-io diventa meno sadico e si arricchisce di componenti positive. senza associazioni libere e domande di cui si annotano le risposte (libere associazioni per gli adulti: gioco per i bambini). Secondo la pensatrice non si possono di certo fare domande al bambino e sperare di ottenere delle risposte, anche perché il suo linguaggio non è completamente sviluppato, ma si può lavorare sul suo inconscio, attraverso il gioco e le relazioni che instaura con esso: che sono poi relazioni oggettuali. Attraverso il gioco è possibile fare analisi anche con bambini di due-tre anni, perché il bambino nel gioco riproduce simbolicamente fantasie, desideri ed esperienze (il gioco è la via regia all’inconscio dei bambini). Il gioco ha una portata simbolica, dato che riproduce ed esprime attraverso simboli i contenuti del mondo interno. Per interpretare questi simboli, e quindi per attribuire significato al gioco infantile, la Klein ricorre al codice onirico: il gioco usa infatti lo stesso linguaggio del sogno. Interpretare un gioco è come interpretare un sogno: entrambi esprimono e rappresentano una determinata organizzazione di oggetti interni. Nell’analizzare il bambino, la Klein, cerca di far affiorare i conflitti inconsci, li interpreta e rivela al bambino i significati sessuali e aggressivi del suo gioco, del suo disegno, delle sue parole. L’analisi deve essere svolta in un luogo diverso dalla casa e lontano dalla famiglia, ci devono essere: una sedia, un tavolo, una poltrona per l’analista, una scatola di giocattoli con animali e figure umane maschili e femminili di diverse misure per indicare l’adulto e il bambino. Il gioco deve essere il più possibile spontaneo e libero, ci deve essere un lavabo per poter giocare anche con l’acqua. Oltre al gioco anche il disegno è importante nell’analisi di un bambino. Sia Anna Freud che Melanie Klein si dedicano alla psicoanalisi infantile anche se avranno poi molti scontri, la teoria kleiniana divise il mondo psicoanalitico in due:  Scuola di Londra: seguaci di Melanie Klein: i bambini sono analizzabili come gli adulti, perché la riattivazione inconscia delle relazioni con i genitori non riguarda, nemmeno nell’adulto, i rapporti con i genitori reali ma si centra sulle relazioni con i genitori interni, ovvero con gli oggetti parentali introiettati. Il gioco è analogo alle libere interpretazioni degli adulti. Secondo la Klein anche se il bambino non ha scelto di intraprendere un percorso soffre di angosce intense e quindi ha bisogno di un aiuto. Inoltre, crede che nessuna prospettiva educativa debba intralciare l’analisi perché si tratta di due ambiti incompatibili. In più l’analista non deve tendere a rafforzare il Super-io ma ad attenuarne la severità;  Scuola di Vienna: seguaci di Anna Freud: i bambini piccoli non sono analizzabili, L’Io è troppo debole e non sa gestire l’interpretazione del conflitto. Secondo la Freud bisogna considerare che il bambino non ha scelto di intraprendere un percorso e non ha consapevolezza della propria patologia e crede che l’analisi debba essere abbinata ad un’azione educativa per rafforzare l’Io e il Super-io del bambino; 15.10 L’INVIDIA INVIDIA: sentimento distruttivo, originato dalla pulsione di morte che il bambino manifesta in seguito alla consapevolezza di non essere onnipotente e autonomo. Il seno è desiderato con intensità e deve essere sempre disponibile, tanto che il neonato lo vorrebbe sempre dentro di sé e che fosse di sua proprietà esclusiva. L’impossibilità genera invidia e la conseguente reazione distruttiva e mira a guastarlo e a depredarlo dei suoi contenuti buoni attraverso la proiezione violenta di parti cattive e distruttive di sé. L’assenza del seno determina il desiderio di possederlo, ma dato che questo obbiettivo non è realizzabile, si preferisce farlo a pezzi, rendendolo inservibile. L’invidia si distingue dalla gelosia e dall’avidità: Invidia Gelosia Avidità Basata su un rapporto tra due entità: soggetto invidioso e oggetto invidiato Basata su un rapporto tra tre entità: il soggetto che mira al possesso dell’oggetto amato e per questo punta all’eliminazione dell’avversario Attraverso cui si cerca di appropriarsi di tutta la bontà che può essere ricavata dall’oggetto Nasce dall’amore per l’oggetto e si manifesta con l’odio e l’aggressività sadica nei confronti dello stesso oggetto Rivolge l’amore e l’odio su due oggetti diversi Desiderio insaziabile che va al di là dei bisogni del soggetto Si basa sulla proiezione Si basa sull’introiezione Gli effetti dell’invidia possono essere devastanti proprio perché essa attacca la sorgente della bontà, distruggendo l’oggetto buono o trasformandolo in oggetto persecutorio. La conseguenza è che il soggetto non può attivare introiezioni di oggetti buoni, perché questi sono stati distrutti o resi cattivi. Ricordiamo però che nella posizione schizo-paranoide avviene, dopo gli attacchi sadici contro l’oggetto buono, la scissione tra oggetto buono e oggetto cattivo, aspetto fondamentale per la strutturazione di una prima organizzazione della realtà esterna e del proprio mondo interno. Ma se l’invidia è particolarmente intensa questa cosa non accade più, perché la scissione non regge più: l’oggetto buono viene attaccato e distrutto e ciò causa una confusione tra buono e cattivo. Se l’invidia è contenuta, può lasciare spazio alla GRATITUDINE intesa come capacità di godere della bontà. Mentre l’invidia è connessa all’odio, la gratitudine all'amore. Mentre l’invidia nasce dall’intolleranza, la gratitudine nasce dalla tolleranza. La gratitudine favorisce il rafforzamento dell’Io perché consente l’introiezione di un solido oggetto buono. L’invidia, se particolarmente intensa, può portare paradossalmente all’esaurimento di essa: un oggetto guastato non fa più sorgere sentimenti di invidia. Si può affermare che la distruzione è una difesa contro l’invidia e che questa si esaurisce dopo che ha raggiunto il proprio scopo. Gli attacchi invidiosi però non si esauriscono ma si trova un oggetto buono sostitutivo dopo quello guastato. La scissione se controllata è positiva in quanto orienta il soggetto nella realtà esterna e in quella interna in maniera produttiva, mentre se la scissione diventa eccessivamente rigida, l’oggetto cattivo diventa persecutorio al massimo grado e quello buono idealizzato oltre misura (perfezione: bersaglio di un’invidia intensa). La scissione ricordiamo nasce come difesa nei confronti dell’oggetto buono perché l’oggetto cattivo lo potrebbe attaccare e distruggere. Ma se l’oggetto buono viene idealizzato all’ennesima potenza finisce per costituire un magnete verso il quale l’invidia si orienta. Nei confronti dell’invidia si possono attivare alcune difese: a) La confusione tra oggetto buono e oggetto cattivo: in questo modo l’invidia non ha un oggetto preciso; b) Cambio di oggetto: la madre come oggetto buono viene sostituita da altre persone magari meno importanti; c) La svalutazione dell’oggetto: le caratteristiche negative dell’oggetto lo mettono al riparo da attacchi invidiosi; psicoanalitica adeguata, i conflitti interni patogeni tra Es, Io e Super-io non erano eliminabili in nessun caso. 17.1 LE DIFESE ATTIVATE NEL CORSO DELL’ANALISI L’assunto fondamentale su cui si basa l’approccio di Anna Freud è che si può conoscere l’Es solo attraverso i suoi derivati che penetrano nel sistema Preconscio-Conscio. Se l’Es si trova in uno stato di quiete non è possibile conoscerne i contenuti: questi si possono intercettare e indagare solo in presenza di tensioni con l’Io o con la realtà esterna. Anche il funzionamento del Super-io non si può cogliere se esso si trova in armonia con l’Io. In sostanza, ci si può accostare ai contenuti inconsci solo attraverso l’Io. Da questa affermazione si possono notare due dettagli interessanti: -l’importanza dell’Io, essenziale per la conoscenza dei processi della mente; -l’importanza attribuita al conflitto (come suo padre), che è uno dei riferimenti fondamentali delle dinamiche psichiche e che permette di conoscere il mondo interno della persona. Quando una pulsione o un contenuto dell’Es vengono percepiti dall’Io non coincidono fedelmente con la pulsione o il contenuto inconscio originario, perché questi sono stati nel frattempo deformati dai meccanismi di difesa. Le difese sono molto importanti ed è su queste che l’analista, nel corso del trattamento psicoanalitico, deve concentrare la propria attenzione. Il paziente cerca di tenere il proprio Io inattivo, per quanto possibile, allo scopo di lasciare l’Es libero di manifestarsi. Ma tale regola può avvenire applicata in parte perché l’Io non può non attivarsi di fronte alle intrusioni dell’Es mettendo in atto delle difese. L’analista a questo punto si concentra sulle difese e sulle resistenze messe in atto dal paziente; quindi, distoglie la sua attenzione dall’Es focalizzandosi sull’Io. Solo individuando e attenuando le difese e le resistenze l’analista può aiutare il paziente a far emergere il rimosso. Anna Freud distingue due tipi di transfert: 1) Il transfert degli impulsi libidici: si manifesta in sentimenti violenti di amore o odio o gelosia provati dal paziente nei confronti dell’analista. Questi affetti provengono dalle irruzioni dell’Es e da costellazioni affettive del passato del paziente, soprattutto di matrice edipica, riattivate sull’analista. L’interpretazione del transfert degli impulsi libidici aiuta nello studio dell’Es; 2) Il transfert di difesa: consiste nell’attivazione, durante la seduta, di strategie difensive che vengono utilizzate abitualmente in maniera inconscia dal paziente e fanno parte del suo normale modo di relazionarsi con la realtà. L’interpretazione del transfert di difesa è difficile, perché il paziente lo percepisce come un dato da non interpretare e come qualcosa che non gli appartiene, ma come un tratto della sua personalità e un aspetto del proprio carattere. La difesa in questione, se analizzata adeguatamente, può consentire al paziente di risalire al momento del proprio passato in cui essa si è manifestata per la prima volta a seguito di un’irruzione dell’Es. La psicoanalisi deve portare alla coscienza ciò che è inconscio, a qualsiasi istanza psichica appartenga. Il ruolo dell’analista è fondamentale perché ha il compito di facilitare l’emergere di contenuti inconsci e proprio per questo viene percepito dall’Io come colui che turba l’equilibrio. L’attività dell’analista appare all’Io come una minaccia, dato che tende a distruggere la barriera che protegge il materiale rimosso e che lo mantiene lontano dalla coscienza. L’attenzione dell’analista è sulle difese che si attivano durante l’analisi, sia sulle difese contro gli impulsi dell’Es, a cui l’Io reagisce con delle resistenze, sia sulle difese contro gli affetti connessi a queste manifestazioni pulsionali, affetti che l’Io tenta di modificare per renderli meno disturbanti. 17.2 I MECCANISMI DI DIFESA Anna Freud riprende i meccanismi di difesa introdotti dal padre, li approfondisce e ne aggiunge di nuovi. Di seguito quelle che Anna Freud riprende da suo padre e approfondisce: La rimozione: mantiene al di fuori della coscienza desideri, fantasie, sentimenti e contenuti mentali inaccettabili. È il meccanismo di difesa più forte ed efficace ma anche il più dispendioso, in quanto richiede un continuo investimento di energia per mantenere nell’Inconscio il materiale rimosso. La rimozione non agisce sulla pulsione ma sui suoi rappresentanti ideativi ed è inconscia. Opera a livello della censura che separa l’Inconscio dal Preconscio; La repressione: è attivata consciamente a differenza della rimozione. È il risultato di una strategia mentale che porta l’individuo a non pensare più ad un contenuto della mente che deve essere occultato in modo efficace. Opera a livello della censura che separa il Preconscio dal Conscio; La formazione reattiva: attraverso cui l’individuo assume atteggiamenti coscienti che costituiscono il ribaltamento del contenuto inconscio vissuto come intollerabile. Il contenuto può riguardare comportamenti, stati d’animo o tratti di carattere. In questa difesa si trova una forte alleanza tra Io e Super-io; L’isolamento: fa si che un pensiero o un comportamento venga privato delle sue connessioni con altri pensieri e comportamenti. Il contenuto viene isolato e diventa così meno doloroso. Una forma particolare di questa difesa è l’isolamento dell’affetto che si evidenzia quando un contenuto della mente è sganciato da tutti gli affetti connessi e viene affrontato da un punto di vista razionale, senza alcun coinvolgimento emotivo; L’annullamento retroattivo: è una difesa che consiste nell’attivazione di un comportamento opposto a quello precedente, in questo modo si cerca illusoriamente di annullarlo (tipo di riparazione o espiazione). Un’altra forma che caratterizza l’annullamento retroattivo è la ripetizione dello stesso atto ma con significato opposto; La proiezione: il soggetto espelle da sé e colloca nell’altro degli affetti, dei desideri o dei tratti del proprio carattere, generalmente negativi, che egli rifiuta o non riconosce in sé stesso. Ciò che avvertiamo come insopportabile o minaccioso negli altri è ciò che appartiene a noi e di cui ci vogliamo liberare; L’introiezione: il soggetto trasferisce dentro di sé aspetti, considerati positivi, che appartengono al mondo esterno. È alla base dell’identificazione; La conversione nell’opposto: consiste nella trasformazione della meta di una pulsione in modo che essa si manifesti in forma contraria a quella originaria; Il rivolgimento contro sé stessi: è una difesa che anziché agire sulla meta, si manifesta in sostituzione dell’oggetto della pulsione; La sublimazione: è un processo di neutralizzazione delle pulsioni libidiche e aggressive che vengono deviate verso mete e oggetti socialmente accettabili dall’Io e dal Super-io. Ad esempio, la curiosità sessuale può venire sublimata nella curiosità intellettuale; presenza in essi di sintomi nevrotici, in quanto ritenuta un importante strumento di educazione. Anna Freud non la pensava proprio così, si interrogò su quali potessero essere i vantaggi e le necessità riconducibili all’analisi infantile. Secondo la Freud, ci sono degli aspetti di cui tenere conto: innanzitutto il bambino non decide personalmente di sottoporsi all’analisi, come invece fa l’adulto, non è capace di produrre libere associazioni (infatti l’autrice getta la sua attenzione sui disegni, sogni e giochi del giovane paziente), non sviluppa un’alleanza terapeutica soprattutto perché non comprende la propria patologia e non la avverte come tale e infine si schiera dalla parte delle resistenze temendo la guarigione. Perché teme la guarigione? Perché questa lo porterebbe ad un inserimento in una realtà sgradita e lo costringerebbe a rinunciare ai vantaggi secondari della malattia. Anna Freud ritiene fondamentale il coinvolgimento della famiglia: anche i genitori devono sottoporsi all’analisi, in quanto l’intervento sul figlio verrebbe vanificato se il contesto familiare rimanesse immutato e conservasse le sue dinamiche patologiche. La famiglia ha si un ruolo fondamentale ma non esiste comunque la possibilità di educare i bambini in modo tale da proteggerli dalla nevrosi: le tensioni tra Es, Io e Super-io non sono eliminabili, neanche in un contesto familiare ottimo né in presenza della migliore educazione possibile. Anna Freud sottolinea l’importanza di essere cauti durante l’analisi infantile, bisogna stare attenti a come si osserva e si interpreta il materiale analitico, bisogna tenere conto che il gioco e i disegni non sono l’esatto corrispettivo delle libere associazioni e sono dotati di una componente simbolica che non può venire decodificata in maniera diretta e meccanica, ma richiedono grande attenzione. Inoltre, il dubbio deve essere una componente costante per evitare semplificazioni ed errori. Un’altra componente che mette in disaccordo Melanie Klein e Anna Freud è il transfert: la prima è convinta che il transfert sia possibile anche nella relazione bambino-analista, la seconda sostiene che non sia possibile. Perché? Perché il complesso edipico non è ancora stato vissuto dal giovane paziente ed è proprio lui a porre i fondamenti per le successive relazioni oggettuali. Anna Freud considera il transfert come la ripetizione di relazioni oggettuali precoci e non di relazioni edipiche: avviene una sorta di riattivazione di dinamiche psichiche arcaiche e pre-edipiche. Melanie Klein all’opposto considerava il transfert del bambino come la riattivazione della relazione con gli oggetti parentali o genitori interni. Un altro aspetto interessante indagato da Anna Freud è l’esteriorizzazione, vale a dire il modo in cui il bambino riproduce nella relazione con l’analista i propri conflitti interni: l’analista incarna le strutture psichiche che il bambino percepisce come investite da un conflitto, a seconda del modo in cui si comporta. Facciamo un esempio: se l’analista si mostra tollerante nei confronti delle fantasie del bambino, lo lascia libere di agire e di pensare rappresenterà l’Es, se invece, il suo obbiettivo diventa quello di proteggerlo e lo aiuta a verbalizzare l’angoscia allora rappresenterà l’Io, a cui il bambino si aggrappa per ricevere protezione. Infine, l’analista in quanto adulto è il rappresentante del Super-io del bambino. 17.5 LA LINEA EVOLUTIVA FONDAMENTALE La valutazione del bambino durante il trattamento psicoanalitico è molto delicata. Perché? Perché i sintomi che appaiono in una determinata fase di sviluppo, in quella successiva possono scomparire. Proprio per questo motivo, la valutazione del bambino deve fare riferimento a quella che la Freud chiama LINEA EVOLUTIVA FONDAMENTALE: una sequenza di tappe che conducono alla conquista dell’autonomia e dell’indipendenza. Ciascun individuo ha una propria LINEA EVOLUTIVA SPECIFICA che va confrontata con la linea evolutiva fondamentale per determinare le deviazioni e gli scarti e per valutare le potenzialità psicopatologiche delle mancate corrispondenze. Le fasi evolutive indicate da Anna Freud sono: 1. Unità biologica della coppia madre-neonato: caratterizzato dal narcisismo della madre che si estende anche sul bambino, il quale a sua volta, include la madre nel proprio ambiente narcisistico (riconosciuto anche da Freud); 2. Fase del rapporto con l’oggetto parziale o rapporto anaclitico: l’oggetto è investito da esigenze somatiche e pulsionali, viene disinvestito quando si è ottenuto il soddisfacimento; 3. Fase della costanza dell’oggetto: viene raggiunta quando il bambino è in grado di conservare un’immagine interna positiva dell’oggetto indipendentemente dal soddisfacimento o dalla frustrazione dei suoi bisogni; 4. Rapporto ambivalente dello stadio preedipico: caratterizzato da dinamiche di natura sadico-anale, in questa fase si nota una tendenza dell’Io ad attaccarsi agli oggetti d’amore, torturandoli, dominandoli e controllandoli; 5. Fase fallico-edipica: fase caratterizzata da possessività nei confronti del genitore di sesso opposto e dalla gelosia e rivalità nei confronti del genitore dello stesso sesso. In questo periodo si sviluppano la curiosità, le richieste di ammirazione e le manifestazioni esibizionistiche; 6. Periodo di latenza: in questa fase si manifesta un’attenuazione delle pressioni istintuali, lo spostamento della libido dalle figure parentali a oggetti sostitutivi come i coetanei, insegnanti o capi. La libido è rivolta verso la meta e in questa fase si accentua la tendenza alla sublimazione; 7. Preadolescenza: ritorno ad atteggiamenti che caratterizzano le frasi precedenti; 8. L’adolescenza: l’aspetto più evidente in questo periodo è la battaglia che si mette in atto per spezzare il legame con gli oggetti infantili in particolare con le figure genitoriali in nome della necessità di un investimento libidico su persone di sesso opposto. Possiamo dedurre che molte cose della teoria di Anna Freud sono riprese da suo padre ma aggiornate in un’ottica centrata sulle relazioni oggettuali. 17.6 LINEE EVOLUTIVE COMPLEMENTARI Anna Freud, oltre alla linea evolutiva fondamentale, basata sulla transizione dalla dipendenza all’autonomia, fa riferimento anche ad altre linee evolutive. Prendiamo in considerazione le più importanti: a. Dall’egocentrismo alla socievolezza: Nel percorso che porta il bambino dall’egocentrismo alla socievolezza si possono individuare alcune tappe: -nella fase iniziale il bambino ha una visione del mondo prettamente narcisista ed egocentrica, in cui la presenza degli altri o viene negata o è percepita come un fattore di disturbo nel rapporto esclusivo con la madre; -nella seconda fase gli altri bambini vengono considerati come oggetti inanimati, come i giocattoli, dai quali non ci si aspetta nessuna reazione e che si possono usare e poi mettere da parte a seconda delle proprie esigenze; È importante avere sempre la massima cautela, dice Anna Freud, perché non tutti hanno uno sviluppo regolare rispetto alla linea evolutiva, ogni persona può presentare degli scarti rispetto ad una norma fissata in riferimento a un modello ideale che raramente viene rispettato. Si può dunque parlare di patologia se lo scarto dalla linea evolutiva e le discordanze sono molto marcate. La regressione non è necessariamente indice di patologia, di norma tutti hanno momenti di progressione e momenti di regressione. La regressione può riguardare lo sviluppo pulsionale: alcune parti dell’energia pulsionale si trovano in uno stadio più avanzato, altre invece si trovano in una fase precedente, costituendo punti di fissazione. Tale tipo di regressione è transitoria; La regressione nello sviluppo dell’Io: si possono osservare ritorni a comportamenti infantili del tutto normali: la stanchezza, lo stress, la febbre, il dolore possono produrre regressioni dell’Io. Si tratta di ripercorrere a ritroso la linea seguita precedentemente in direzione progressiva. Anche tale tipo di regressione è transitoria; Queste sono tutti tipi di regressioni transitorie mentre esistono anche quelle permanenti che possono: - avere inizio dall’Io o dal Super-io determinando un minor controllo e un indebolimento della censura e delle difese. In un secondo momento coinvolgono anche l’Es producendo comportamenti aggressivi, impulsivi, senza controllo istintuale. Le cause di questi fenomeni regressivi possono consistere in traumi, eventi ansiogeni, lutti o forti disillusioni; -avere inizio dall’Es e in questo caso l’Io e il Super-io possono venire colpiti diversamente: a) Se l’Io e il Super-io regrediscono a loro volta insieme all’Es non si genera alcun conflitto tra le due istanze psichiche, le pulsioni restano in armonia con i bisogni dell’Io. In questo caso la personalità del bambino viene coinvolta per intero nel processo regressivo, il livello di maturità complessivo del soggetto si riduce e si manifestano comportamenti delinquenziali, atipici e borderline; b) Se l’Io e il Super-io sono ben organizzati, sono in grado di opporsi con efficacia alla regressione. In questo caso il bambino non accetta le fantasie e gli impulsi aggressivi e sessuali che emergono alla sua coscienza e così li rifiuta, si attivano difese e particolari sintomi. 17.8 IL PROFILO METAPSICOLOGICO Tutti i dati e le osservazioni che l’analista può ricavare costituiscono quello che Anna Freud definisce PROFILO METAPSICOLOGICO del paziente. In questo profilo è importante descrivere il bambino (comportamenti, atteggiamenti, postura, sguardo, umore), analizzare la sua storia personale, lo sfondo familiare, lo sviluppo pulsionale e lo sviluppo dell’Io e del Super-io. Si effettua inoltre, una valutazione genetica, della tolleranza alle frustrazioni e sulla sua capacità di sublimazione. Vengono valutati anche il suo controllo all’angoscia, le sue tendenze progressive e quelle regressive. L’operazione di lettura del materiale diagnostico in una prospettiva psicoanalitica è un’operazione complessa. In età evolutiva il profilo è in divenire mentre nell’adulto descrive uno stato perché è condizione stabile. La funzione principale del profilo consiste nello stabilire, in primo luogo, se il soggetto ha bisogno di un intervento e in secondo luogo di quale tipo di intervento necessita. La valutazione fa si che si allontani ogni tentazione di effettuare una diagnosi affrettata. La comprensione del funzionamento mentale di un individuo, di qualunque età, è un processo che comprende un’elevata quantità di variabili. CRITICA ALLA TEORIA FREUDIANA A seguito degli studi di Freud, si diffonde una nuova concezione che parte dall’idea che la mente e i suoi contenuti psichici non siano dati a priori ma siano il prodotto delle relazioni. Tutto il contrario di ciò che pensava Freud, per lo psicoanalista i contenuti mentali precedevano l’esperienza dell’individuo e per questo esistevano a priori. Molti autori dopo Freud misero da parte il conflitto che perse del tutto la sua centralità per essere sostituito dai deficit, da intendersi come carenze percepite nelle relazioni del soggetto con persone significative nella propria infanzia, soprattutto con la madre. All’opposto Freud riteneva che i concetti centrali fossero quelli di pulsione e conflitto: elementi fondamentali del funzionamento mentale e del rapporto con la realtà. Il conflitto si sviluppa tra istanze psichiche e tra queste e il mondo esterno, l’intensità e la qualità del conflitto orientano il soggetto verso una condizione di salute mentale o verso la psicopatologia. Si tratta di una vera e propria “rivoluzione copernicana”. ERICH FROMM CAPITOLO 22: ERICH FROMM 22.1 TRA FREUD E MARX Secondo Freud, l’uomo è un essere egoista e antisociale, la società deve addomesticarlo per frenare i suoi impulsi e sublimarli, solo così è possibile la sua esistenza nella civiltà. Erich Fromm sostiene che la concezione di Freud sull’uomo deriva da un’errata generalizzazione: le regole specifiche della società capitalista sono state assunte come leggi universali che hanno caratterizzato la natura umana. L’uomo freudiano, per Fromm, non è altro che l’incarnazione della logica del capitalismo: ciascuno persegue i propri obbiettivi usando gli altri come oggetti che gli consentano di raggiungere il suo scopo e soddisfare i suoi bisogni. Fromm afferma che l’uomo è un animale sociale, vive in gruppo e all’interno di questo si crea il carattere, risultato della socializzazione (entra in relazione) e dell’assimilazione (si appropria di valori e conoscenze). Erich Fromm riprende Marx, evidenziando come le dinamiche psichiche siano condizionate dal contesto storico, economico e culturale. Studiare il funzionamento psichico senza considerare le strutture sociali e i condizionamenti dell’ideologia dominante esercitati sulla persona è scorretto. L’individuo non è pensabile al di fuori dell’ambiente in cui vive. Nonostante questo pensiero, anche Fromm ritiene che esistano aspetti della mente generali e comuni che compaiono in ogni epoca, tra questi: la consapevolezza di sé, la capacità di ricordare il passato, la ragione e l’immaginazione. Tali costanti vanno considerate in rapporto al contesto sociale, culturale, politico, storico in cui l’individuo vive, il contesto incide sui tratti generali e individuali del pensiero e delle emozioni del soggetto. 22.2 DICOTOMIE E BISOGNI DELL’UOMO Nella prospettiva di Fromm il concetto freudiano di conflitto subisce una trasformazione: non più legato alla sfera pulsionale o alle dinamiche intrapsichiche. Il carattere del bambino si sviluppa in relazione a quello dei genitori. Quello dei genitori è determinato dalla struttura sociale come anche i metodi educativi. Il carattere dei genitori, quindi, rappresenta il carattere della società e riproduce i modelli culturali predominanti di questa. Perciò la famiglia influenza sicuramente il carattere del bambino. LA PERSONALITA’: costituisce l’unicità psicologica dell’individuo, muta grazie alle esperienze e si riferisce al modo in cui ci si rapporta con il mondo. IL TEMPERAMENTO: si distingue dalla personalità perché resta costante e si riferisce alle modalità di reazione dell’individuo all’ambiente. Per classificare i principali tipi di temperamento, Fromm riprende quelli di Ippocrate e cioè: collerico, sanguigno, malinconico e flemmatico. CARATTERE SOCIALE: definito da Fromm come il nucleo essenziale della struttura di carattere della maggior parte dei membri di una stessa cultura, si sviluppa per effetto della comune pratica di vita e delle esperienze collettive. Il carattere sociale è funzionale alla conservazione della società ed è orientato a condizionare gli individui in modo che i loro pensieri e comportamenti si adeguino automaticamente ad una norma implicita e condivisa su alcuni assunti ritenuti indiscutibili e naturali. Questo carattere sociale di cui parla Fromm è costituito da regole di vita come per esempio: il senso del dovere, l’ordine, la puntualità, la disciplina che non vengono imposti dall’esterno ma sono percepiti come appartenenti ad un codice interiorizzato. La struttura economica e la sovrastruttura della società (ripresa di Marx) stabiliscono i contenuti del carattere sociale. 22.4 ORIENTAMENTI PRODUTTIVI E NON PRODUTTIVI I singoli tratti di carattere si strutturano in orientamenti caratteriali specifici, questi possono essere produttivi o non produttivi a seconda che la persona trovi o non trovi in sé stessa la forza di procurarsi quei beni affettivi, intellettuali, spirituali e materiali di cui necessita per vivere. GLI ORIENTAMENTI NON PRODUTTIVI COMPRENDONO: 1) L’orientamento ricettivo: si sviluppa nelle persone che sentono esterna l’origine di ogni bene e sono orientati a ricevere passivamente quanto l’ambiente offre loro. Dal punto di vista relazionale gli individui recettivi sono espansivi, amichevoli e ottimisti in modo superficiale solo per conquistare l’altrui benevolenza. In campo sentimentale cercano di essere amati ma non sono portati particolarmente ad amare; 2) L’orientamento appropriativo: ha in comune con l’orientamento ricettivo la credenza che la fonte di ogni bene sia esterna, le persone con questo tipo di orientamento non trovano in sé le energie necessarie per procurarsi ciò di cui hanno bisogno. Dal punto di vista relazionale: l’orientamento appropriativo sottrae con la forza e l’astuzia le cose agli altri. Si pone con ostilità, mostrando invidia e gelosia. In campo sentimentale: le altre persone sono considerate esclusivamente in base alla loro utilità; 3) L’orientamento tesaurizzante: l’individuo che presenta questo orientamento caratteriale percepisce il mondo esterno come un luogo pericoloso da cui è necessario proteggersi. Il suo scopo è quello di costruire una fortezza difensiva in cui accumulare beni materiali, denaro, sentimenti e pensieri contro le minacce del mondo. Dal punto di vista relazionale sono avare, anche negli affetti e nelle idee, che non mostrano a nessuno. Evidenziano una tendenza all’ordine meticoloso e alla puntualità ossessiva; 4) L’orientamento mercantile: è caratteristico dell’epoca moderna ed è tendente al consumo e all’acquisto, mentre l’orientamento tesaurizzante è tipico del primo capitalismo teso all’accumulo. Dal punto di vista relazione: in questo tipo di orientamento la persona si percepisce come fosse una merce, non riconosce le caratteristiche delle sue qualità interiori e manipola il proprio Ego a seconda delle richieste dell’interlocutore, come se fosse qualcosa che si può modificare allo scopo di venderlo. Gli altri vengono percepiti come merci da acquistare o da respingere, puntano alla posizione sociale, al potere e al successo che fanno coincidere con il senso d’identità. L’individuo mercantile è totalmente dipendente dall’immagine che gli altri hanno di lui; 5) L’orientamento necrofilo: chi appartiene a questo orientamento prova una forte attrazione nei confronti di ciò che è morto, ama trasformare ciò che è vivo in qualcosa di morto, distrugge per il semplice piacere di farlo e ha interesse per ciò che è artefatto e meccanico. Il concetto di necrofilia è stato ricavato da Freud studiano i personaggi del passato soprattutto Hitler. L’individuo necrofilo è attratto dal passato, non dal presente né dal futuro, non mostra interesse verso le persone o verso la natura, ma solo verso prodotti artificiali, tecnologici, non vivi. GLI ORIENTAMENTI PRODUTTIVI: si riferiscono ai tipi di carattere in cui lo scopo principale e che li accomuna è quello di sviluppare tutte le potenzialità della persona. La produttività del carattere è connessa alla capacità dell’individuo di realizzare pienamente sé stesso sul piano personale e sociale, di usare i propri poteri e mettere a frutto le proprie potenzialità. L’orientamento produttivo del carattere investe le sfere dell’azione, del sentimento e del pensiero: il potere creativo si manifesta nell’azione e quindi nella produzione di oggetti, a livello sentimentale si manifesta attraverso l’amore e l’unione con altri individui mentre il pensiero si manifesta attraverso la ragione che gli permette di cogliere il significato della realtà che lo circonda. L'AMORE PER FROMM: non dipende dall’istinto ma richiede lucidità e saggezza, non consiste nell’essere amati ma nell’amare e non è centrato sull’oggetto d’amore ma sulla funzione dell’amore. Amare, secondo Fromm, è un’arte che si riassume nell’atto del dare, un dare non nel senso di espropriazione o privazione ma come dono: io dono me stesso, la mia gioia, la speranza e altri miei attributi ad un altro individuo. Nel donare sé stessi non solo ci si arricchisce ma si porta qualcosa di nuovo nella vita di un’altra persona. Secondo Fromm l’amore presuppone: conoscenza dell’oggetto amato, il suo rispetto, la responsabilità e la premura verso di lui. Amare rende possibile un completo sviluppo delle potenzialità della persona a cui si rivolge il proprio affetto. IL PENSIERO PRODUTTIVO: è una forma particolare di pensiero attraverso cui l’individuo non sperimenta l’oggetto come distaccato né come fuso né come indistinto da sé, ma lo percepisce in modo da porre al centro la relazione che si instaura fra lui e l’oggetto stesso. Il pensiero produttivo è obbiettivo e rispettoso dell’oggetto, si focalizza sulla capacità di guardare sé stessi nel momento in cui si valuta un determinato fenomeno. È un’obbiettività diversa dall’oggettività distaccata e dalla soggettività incontrollata. Questo tipo di pensiero prende in considerazione sia la natura dell’oggetto che la natura del soggetto e così coglie la totalità di un fenomeno. La capacità di attivare il pensiero produttivo va oltre l’apparenza delle cose per individuare l’essenza, le relazioni nascoste e i significati profondi. l’individuo che si rifugia in questa forma di fuga dalla libertà ammira l’autorità e vuole sottomettervisi, ma allo stesso tempo vuole essere a una volta un’autorità e sottomettere gli altri. L’autorità non deve necessariamente coincidere con una persona né deve essere per forza visibile: oggi, osserva Fromm, esistono autorità ancora più efficaci perché impercettibili e sono ad esempio il senso comune, la scienza, l’opinione pubblica e altri valori che si danno per scontato ma finiscono per imporre una sottomissione non percepita come tale e quindi più subdola;  La distruttività: secondo strumento di fuga dalla libertà, non mira alla simbiosi attiva o passiva ma all’eliminazione dell’oggetto;  Il conformismo da automi: il terzo, tipico dell’individuo che cessa di esse sé stesso e adotta il tipo di personalità che gli viene offerto dai modelli culturali dominanti. 22.7 LA SALUTE MENTALE La salute mentale nella teoria di Freud dipende dall’adattamento all’ambiente e alla società, però c’è da considerare che la società contemporanea è malata e l’uomo è in una condizione di alienazione. Fromm parla di “patologia della normalità” nel senso che le persone considerate “normali” sono quelle che si sottomettono alla condizione diffusa di alienazione e di non- realizzazione individuale, mentre i nevrotici sono coloro che si oppongono all’omologazione sociale e non accettano di arrendersi di fronte all’alienazione socialmente condivisa. In altre parole, la normalità non è altro che una “deficienza socialmente strutturata”, mentre la nevrosi è il risultato del rifiuto di arrendersi nella battaglia per il proprio Io, che però porta l’individuo a rifugiarsi in un mondo di fantasia in alternativa a quello reale. In questo caso il concetto di salute mentale contribuisce a conservare e a riprodurre la condizione di alienazione della società. La vera salute mentale consiste nella capacità di amare e creare, nel costruire e salvaguardare il proprio Io come agente e soggetto dei propri pensieri, nello sviluppare l’obbiettività e la ragione. Raggiungere la salute mentale significa vivere intensamente e nascere completamente. Dato che la società capitalista con la sua alienazione è un contesto inadeguato al raggiungimento di un autentico benessere mentale, Fromm indica come modello ideale la vera democrazia, in cui vengano abolite la divisione del lavoro e la separazione delle classi sociali: cause storicamente primarie di alienazione. La salute psichica è di fatto impossibile in un’economia capitalista come quella occidentale, che produce ansia, solitudine, mancanza di gioia e depersonalizzazione. 22.8 ALTRI CONCETTI TEORICI E CLINICI Fromm rivisita la teoria delle pulsioni: se per Freud la tensione e la scarica sono attribuite alle dinamiche pulsionali, per Fromm sono alla base della costituzione dell’uomo. Fromm parla di modalità dell’avere e modalità dell’essere, la prima consiste nell’instaurare un rapporto con il mondo basato sulla proprietà e sul possesso: ognuno desidera appropriarsi di ogni cosa. La seconda si contrappone alla prima in quanto si costruisce su un rapporto autentico e vitale con il mondo, su una conoscenza profonda di sé e degli altri, non limitata al semplice desiderio di appropriarsi e basta. L’avere è una modalità esistenziale di tipo consumistico che riflette i principi del capitalismo, in cui tutto è merce di cui appropriarsi e da mostrare agli altri. La modalità esistenziale dell’essere è centrata sul superamento dell’apparenza, della superficie e consiste in una relazione con gli altri non utilitaristica. In relazione all’avere Fromm parla di Ego mentre in relazione all’essere parla di Sé come caratterizzazione del soggetto autentica. Fromm riprende e rivede anche il complesso edipico, l’individuo è per sua natura una contraddizione per evitare le tensioni connesse a questa cerca riparo nell’attaccamento con la madre. La madre è la prima che protegge dall’incertezza, dalla solitudine, dalla paura dell’ignoto. Qui il discorso di Freud si aggancia alla teoria edipica freudiana ritenendo però che il fondatore avesse accentuato troppo l’aspetto sessuale del desiderio incestuoso, Fromm preferisce parlare di attaccamento con la relativa paura di spezzare quel legame. L’attaccamento alla madre non comprende, secondo Erich, l’odio verso il padre. Fromm parla anche di transfert che intende diversamente da Freud e quindi non come una ripetizione di esperienze infantili ma come un’espressione del desiderio di un idolo, inteso come aiutante magico. Il transfert è riscontrabile in molte relazioni interpersonali non solo in quella analitica e deriva dal fatto che la maggior parte degli individui, nell’inconscio, si sentono bambini e dunque desiderano una figura potente a cui affidarsi e sottomettersi. L’inconscio per Fromm non è un luogo ma è una funzione, esiste un filtro sociale che decide quali esperienze sia consentito far affiorare nella coscienza. Questo filtro varia a seconda delle culture e determina la formazione dell’INCONSCIO SOCIALE, che coincide con tutto ciò che la società e la cultura bandiscono in quanto pericoloso, sconveniente, immorale. In particolare, l’inconscio sociale consiste in tutte quelle rimozioni riguardanti pensieri, sentimenti e azioni che porterebbero l’individuo a comportarsi in modo socialmente destabilizzante. La rimozione che crea l’inconscio sociale si articola in tre componenti: -linguaggio: che costruisce attraverso il lessico, la grammatica e la sintassi; il modo in cui la realtà viene percepita, strutturata e pensata; -la logica: che connette le parti della realtà secondo modalità specifiche, dandole forma e pensabilità ed escludendo tutto ciò che non si sottomette alle sue regole; -il tabù: che stabilisce ciò che è lecito e ciò che è proibito, ciò che è naturale e ciò che è innaturale, ciò che è normale e ciò che invece è perverso; Tra l’inconscio sociale e quello individuale c’è affinità: il secondo si adegua al primo. Ciò che risulta inconscio all’individuo è ciò che la società ha bandito. La coscienza formata da tutto ciò che è ritenuto socialmente accettabili dalla cultura condivisa. Durante la terapia, secondo Fromm, l’analista non deve essere un semplice osservatore distaccato (come diceva Freud) ma la comunicazione tra i due deve essere autenticamente dialogica e dunque l’analista deve essere partecipe, introdurre le proprie emozioni. Il paziente è una persona che soffre per un adattamento inadeguato ad una società malata. KAREN HORNEY Ha criticato quasi ogni aspetto della psicologia di Freud. Secondo la Horney, il pensiero di Freud era determinato dalle coordinate culturali della sua epoca. 23.1 IL CARATTERE La libido non occupa nel pensiero della Horney una posizione centrale come in Freud, non viene eliminata ma non si trova alla base di ogni comportamento e di ogni aspetto della mente dell’uomo. Nella teoria di Karen
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