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Baxandall, Appunti di Arte

Riassunto parziale del testo di Baxandall

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 22/09/2021

alessia-montanaro-1
alessia-montanaro-1 🇮🇹

4.4

(21)

11 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Baxandall e più Appunti in PDF di Arte solo su Docsity! Prefazione: L’ autore nativo inglese, è stato uno dei più importanti storici d’arte degli ultimi trent'anni. Il saggio è il prodotto di lezioni tenute all’Università di Londra, aventi come scopo ultimo di dimostrare che la storia sociale rinascimentale è pienamente rispecchiata nello stile dei quadri del tempo. Nel primo capitolo vengono esaminati contratti, lettere e libri contabili del XV secolo per estrapolarne i dati economici che stanno alla base del culto del talento artistico di chi ha capacità tecnica e abilità pittorica. Il secondo, chiarisce la relazione tra le capacità visive popolari quali predicazione e danza e lo stile del pittore e come esso riesca a farle proprie. Infine il terzo capitolo, suggerisce i principali termini usati dai critici d’arte nell’esaminare i dipinti dell’epoca. Nelle ultime pagine il libro ci lascia sottolineando che la storia sociale e la storia dell’arte sono strettamente connesse poiché si chiarificano a vicenda. Capitolo 1: LE CONDIZIONI DEL MERCATO 1.1 Nel XV secolo la “miglior” pittura, intesa in termini di qualità, era effettuata su commissione ovvero, il cliente ordinava un prodotto, specificandone le caratteristiche ed una volta chiarite veniva stipulato un contratto legale; ciò che veniva maggiormente richiesto erano le pale d’altare e gli affreschi. Le opere già pronte, dipinte da artisti meno richiesti invece, tendevano sempre a raffigurare Madonne e cassoni nuziali. Allora come oggi il cliente pagava per il lavoro, ma i criteri che si adottavano per stabilire i prezzi avevano una profonda incidenza sullo stile dei dipinti; risultando oggi, quindi dei fossili della vita economica del Quattrocento. Per l’epoca, si può definire buon cliente Giovanni Rucellai, uomo facoltoso arricchitosi con l’usura, che credeva di dover abbellire il patrimonio monumentale pubblico per risarcire la società, di meritare di crogiolarsi nel piacere della vista di quei dipinti o di meritare di possederli. L'unica cosa che si evince da tutto questo è che nel XV secolo la pittura era considerata troppo importante per essere lasciata ai pittori, i quali non potevano esprimersi, ma solo sottostare alle scelte dell'acquirente. 1.2 Alcuni dei contratti che venivano formulati all’epoca erano redatti da un vero e proprio notaio, altri erano solo promemoria, “ricordi” da tenere da entrambe le parti. Non ne esistevano di tipici, in quanto non avevano una forma fissa ma dovevano contenere tre temi principali: a) specificare ciò che il pittore doveva eseguire poiché, il soggetto da raffigurare spesse volte non poteva essere ben descritto a parole per questo al contratto si affiancava un disegno del genere di figura desiderata.; b)esplicitare i modi, tempi e termini di pagamento, in quanto la somma concordata non era rigida e se un pittore si trovava in perdita rispetto al contratto poteva cercare di rinegoziarlo; c) insistere sul fatto che il pittore utilizzasse colori di buona qualità, come oro e azzurro ultramarino (ottenuto dalla polvere di lapislazzuli orientali); questa preoccupazione proveniva dal fatto che questi erano colori di difficile impiego e costosi ed esistendo a buon mercato sostituti più economici e meno brillanti come l’azzurro d’ Alemagna (carbonato di rame), i committenti non volevano avere delusioni. Non tutti però lavoravano con contratti di questo tipo, alcuni infatti, percepivano uno stipendio da dei principi come Mantegna per i marchesi Gonzaga di Mantova; egli, però, rispetto ai grandi pittori del Quattrocento, che anche lavoravano per dei principi ma pagati per le singole opere, aveva una posizione insolita, privilegiata disponendo di uno stipendio. Tornando infine ai contratti nel corso del secolo il ruolo in primo piano dei colori preziosi lasca il posto alla richiesta sempre maggiore di abilità pittorica. 1.3 In generale in tutta l’Europa occidentale dell’epoca vi era la tendenza ad una sorta di limitazione selettiva dell’ostentazione; era evidente negli abiti, non più sfarzosi, sgargianti od ostinatamente dorati come nella pittura che aveva sostituito con il largo uso di colori preziosi, l’abilità tecnica del pittore. 1.4 A metà secolo, cambiarono anche i modi ed i termini di pagamento delle opere commissionate ai grandi artisti, infatti, attribuivano, per qualunque tipo di prodotto e all’ interno di ciascuna bottega, un valore notevolmente diverso al tempo del maestro rispetto a quello degli assistenti edi materiali utilizzati venivano forniti a parte. In aggiunta, tanto più l'ampiezza dell’intervento del maestro era grande tanto maggiore sarebbe stato l’onere finale e il lustro per il cliente. Nel 1490, in conclusione l’individualità dell’artista diventava sempre più significativa così come l’atteggiamento del pubblico nel considerarli come tali, rispetto agli inizi del secolo. 1.5 Esistono alcune descrizioni del Quattrocento relative alla qualità dei pittori ma sono relativamente poche per rappresentare un’opinione collettiva, anche se è degno di nota un promemoria inviato al duca di Milano da parte del suo agente a Firenze, relativo a quattro pittori che lì andavano per la maggiore, ovvero Botticelli, Filippino Lippi, Perugino e Ghirlandaio. Da questa nota si evince che il confronto, deludente, tra i quattro artisti è tra concorrenti e che i pittori vengono definiti più che per le loro abilità per la loro diversità di carattere. Capitolo 2: L'OCCHIO DEL QUATTROCENTO L’uomo del quattrocento si impegnava a fondo nel guardare un dipinto. Sapeva che in un buon dipinto ci doveva essere abilità e spesso era convinto che il dare un giudizio fosse compito del fruitore colto, come dice il più famoso trattato del Quattrocento sull’ educazione De ingenuis morbus di Pier Paolo Vergerio 1404. Alcuni degli strumenti mentali con cui un uomo organizza la sua esperienza visiva possono variare, e buona parte di questi strumenti sono relativi al dato culturale, nel senso che sono determinati dall’ ambiente sociale che ha influito sulla sua esperienza. Il fruitore deve utilizzare nella lettura di un dipinto le capacità visive di cui dispone, e dato che di queste sono pochissime di solito quelle specifiche della pittura, egli è incline a usare quelle capacità che sono più apprezzate dalla società in cui vive. La maggior parte dei dipinti del XV secolo sono religiosi, creati con fini istituzionali a cui fornivano il contributo di una specifica attività intellettuale e spirituale. Questi dipinti avevano un triplice scopo: istruire gli incolti, i quali erano a conoscenza solo di certi libri; - mistero dell’incarnazione e dei santi come sono nella nostra memoria e come si presentano ogni giorno ai nostri occhi; - al fine di eccitare il sentimento di devozione, che è eccitato dalla vista più efficacemente di quanto lo sia dall’udito. Trasformare queste tre ragioni i istruzioni rivolte al fruitore, equivale a usare i dipinti come stimoli accessibili che inducono l’uomo a meditare sulla Bibbia e sulle vite dei santi. Se le considerano rivolte al pittore, presuppongono cioè che il dipinto debba raccontare una storia in modo chiaro per la gente semplice, in modo indimenticabile per chi stenta a ricordare ed utilizzando tutte le emozioni che la vista può suscitare. Naturalmente, non poteva essere così semplice, vi erano degli abusi sia nelle reazioni del pubblico di fronte al dipinto, sia nel modo in cui i dipinti stessi venivano fatti. L’idolatria rappresentava una preoccupazione costante per la teologia: la gente semplice poteva facilmente confondere le immagini delle divinità ed adorarle (es. episodio della Vita di sant’ Antonio di Padova di Sicco Polentone, 1476). Per quanto riguarda i dipinti, poi, la Chiesa si rendeva conto che talvolta c'erano degli errori che andavano contro la teologia: soggetti con implicazioni eretiche, frivoli, indecorosi, il Cristo veniva mostrato mentre imparava a leggere etc. Per il pittore la traduzione in immagini di storie sacre era un compito professionale, le visualizzazioni del pittore erano esteriori, quelle del pubblico interiori. La mente del pubblico non era una tabula rasa su cui si poteva imprimere la rappresentazione che il pittore dava dei personaggi o di una storia. L'esperienza quattrocentesca di un dipinto non si limitava soltanto ad esso, ma comprendeva anche il processo di visualizzazione che il fruitore aveva precedentemente operato sull’ argomento raffigurato sul dipinto stesso (è importante sapere che c’è un manuale per giovani fanciulle Zardino de Oration, 1454 che spiega l’esigenza delle rappresentazioni interiori e il ruolo nell’atto della preghiera). Una meditazione che visualizzi così dettagliatamente le storie da arrivare quasi ad ambientarle nella propria città e a utilizzare come personaggi i propri conoscenti. Il pittore non poteva competere con la rappresentazione personale per ciò che riguarda i particolari, in quanto cercava di evitare di caratterizzare personaggi e luoghi. Pittori come Perugino, dipingevano perone comuni, fornendo un base al fruitore devoto (il Tributo di Masaccio o la Trasfigurazione di Bellini). Il Zardino de Oration descrive degli esercizi spirituali individuali intesi a rendere più intensa e acuta l’immaginazione. Il pittore si rivolgeva a persone che venivano istruite pubblicamente sullo stesso argomento. Il sermone è oggi la miglior guida agli esercizi spirituali collettivi di cui disponiamo. Il XV secolo segnò l’ultima occasione per il predicatore popolare di tipo medievale: infatti il V Concilio Laterano del 1512-1517 prese delle misure per sopprimerli. Questo è uno degli elementi che in Italia differenziano il sostrato cultura lede quattrocento da quello de cinquecento. I predicatori popolari addestravano i loro fedeli ad acquisire una serie completa di capacità interpretative (esempio Fra Roberto Caracciolo di Lecce); il susseguirsi delle festività nell’anno liturgico dava occasione al predicatore Fra Roberto di toccare molti dei temi trattati dai pittori, spiegando il significato degli avvenimenti. Pertanto, il predicatore e il pittore erano strettamente legati l’uno all’altro. L'elemento essenziale delle storie era la figura umana ciò che la caratterizzava non era la sua fisionomia ma il suo atteggiamento. C’erano delle eccezioni, soprattutto per il Cristo, esso lasciava meno spazio all’immaginazione personale perché il XV secolo era convinto di possedere una testimonianza oculare del suo aspetto; in quanto si trovava delineata in un rapporto apocrifo che un Lentulo, governatore della Giudea avrebbe inviato al Senato romano. Soli pochi dipinti non rispettavano questo modello. La vergine era raffigurata in modo meno uniforme, lasciando delle controversie sul suo aspetto. Lo stesso dicasi per i santi, che consentivano un margine di intervento al gusto personale del pittore di ogni pittore. Inoltre, vi era una capacità popolare di cogliere il rapporto tra il movimento del corpo e i moti dell’anima e della mente, per cui il gesto e l’espressione fisica del sentimento.
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