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Bellissima in Regie di Vito Zagarrio, Appunti di Storia E Critica Del Cinema

Riassunto analisi del film Bellissima

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 12/04/2019

CLA.STEFANI
CLA.STEFANI 🇮🇹

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Scarica Bellissima in Regie di Vito Zagarrio e più Appunti in PDF di Storia E Critica Del Cinema solo su Docsity! BELLISSIMA – LUCHINO VISCONTI “Bellissima” (Luchino Visconti, 1951) si può definire un meta-film: il discorso viscontiano coinvolge una pluralità di strumenti della comunicazione e di spazi dello spettacolo, concentrandosi sul cinema come dispositivo capace di svolgere la funzione di detonatore di più ampie dinamiche socio-culturali. Il film inizia negli studi della radio, dove il presentatore Corrado pubblicizza un concorso cinematografico per bambine di sei-otto anni, incorniciato dall’esecuzione di “Elisir d’amore” di Donzinetti, che tornerà lungo il corso del racconto: in particolare il tema del ciarlatano contrassegnerà ironicamente la figura del regista, interpretato dalla più rappresentativa icona autoriale degli anni trenta, Alessandro Blasetti. Le parole dell’opera, “Non fate strepito…”, introducono a folla vociante che si aggira in una Cinecittà assoluta e spettrale. All’interno degli studi il concorso si articola in una serie di numeri comici e patetici allo stesso tempo, dove le bambine offrono lo spettacolo di un’esibizione degradata dalle ambizioni delle proprie madri. La potenza dei media entra negli spazi domestici dell’esistenza popolare: nel cortile del caseggiato dove vive la famiglia protagonista (la madre Maddalena, il padre Spartaco e la figlia Maria, interpretati rispettivamente da Anna Magnani, dal non professionista Gastone Renzelli e dalla piccola Tina Apicella) c’è un palcoscenico su cui si svolgono prove di ballo e spettacoli di teatro, nonché uno schermo che durante la notte estiva rimanda le immagini di “Red River” di Howard Hawks. Davanti alle mandrie e ai fiumi del western, Maddalena ha uno sguardo sognante. Aspirando alla fulgida evasione in uno spazio alternativo, proietta il desiderio di costruire per la figlia un’identità diversa dalla propria, soffocata dal maschilismo del marito, che reagisce alle sue ambizioni con uno sbrigativo: “So’ tutte favole”. Sono le stesse illusioni che alimentano la stampa rosa. Durante la proiezione del film, maddalena tiene in mano un fotoromanzo. La donna è assediata dalle rappresentazioni, che prolungano il suo immaginario. Il tendone di un circo fa da fondale alla sua dolorosa presa di coscienza finale, mentre la voce doppiata di Bart Lancaster commenta il suo rientro sconsolato nella realtà familiare. Per Maddalena la macchina da presa assume i tratti di un dispositivo corruttore e manipolatore dell’identità. Nella sequenza in cui osserva dalla cabina di proiezione i provini della figlia, lo schermo le restituisce l’icona della mostruosità. È così che Visconti critica dall’interno i sistemi di reclutamento degli attori neorealisti, che egli stesso ha usati in “La terra trema” e di cui continua a servirsi parzialmente anche in “Bellissima”, ma con il proposito di denunciarne le conseguenze. Il regista infrange innanzitutto l’utopia di una confluenza tra il cinema e la vita, ristabilendo i confini che separano l’arte dall’esistenza. Con la piccola Maria siamo di fronte a un vero e proprio mete-personaggio, chiamato a registrare la separazione tra illusione e disillusione. Attraverso Maria il regista rappresenta la persona che sta dietro il personaggio, la vita che sta dietro la finzione. Nella scena dei provini cinematografici davanti a Blasetti, Visconti si diverte a parodiare tutti i vezzi e le maniere che stanno della child star americana: un modello artificiale di rappresentazione dell’infanzia che il neorealismo della prima ora aveva cercato di ribaltare. Alla critica del reclutamento dei personaggi popolari si aggiunge l’erosione della statura mitologica dl popolo nei film neorealisti. In “Bellissima” la comunità del caseggiato popolare è dipinta in maniera carnevalesca, privata della costitutiva “cordialità” (cfr. Baldelli) dello sguardo neorealista. Una cordialità che, del resto, Visconti non ha mai condiviso, neppure in “La terra trema”. In “Bellissima” il popolo si trasforma da oggetto empatico in obiettivo parodico. La quotidianità è raffigurata come una recita, un colorito palcoscenico che si anima intorno alla “diva” Magnani. Il personaggio di Maddalena è l’espressione di una femminilità inquieta, che cerca nei sogni cinematografici un superamento della condizione di subalternità a cui la costringe il mondo dei valori popolari, rappresentati dalla figura del marito, custode del conformismo familiare e del potere maschile. Il ritorno finale della donna all’ordine può forse essere letto come un rigurgito populista dell’aristocratico Visconti, che, dopo aver formulato la sua critica all’universo popolare, lo riconferma come sede dei valori positivi. Ad Anna Magnani il regista affida anche il compito di interrogarsi sui misteri della recitazione: recitare significa assumere una sembianza riflessa, come quella che restituisce lo specchio davanti cui la Magnai parla a sé stessa. L’illusione neorealista di trasportare la propria identità sullo schermo viene subito messa da parte: il cinema rimanda l’immagine di una contraffazione dell’identità, che passa attraverso le maschere assunte dall’attore e le mediazioni dello sguardo del regista. In “Bellissima” i tipici procedimenti
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