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Bianca - Trustee e figure affini nel diritto italiano, Sintesi del corso di Diritto Civile

il trust in diritto civile saggio

Tipologia: Sintesi del corso

2011/2012

Caricato il 07/02/2012

giugiu1695
giugiu1695 🇮🇹

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Scarica Bianca - Trustee e figure affini nel diritto italiano e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Civile solo su Docsity! TRUSTEE E FIGURE AFFINI NEL DIRITTO ITALIANO Pubblicato in Riv. notariato 2009, 03, pag. 557 e ss. MIRZIA BIANCA 1. Premesse. - 2. L'omogeneità funzionale dei vari strumenti di articolazione del patrimonio: la destinazione patrimoniale. - 3. La diversità strutturale. - 4. La diversità rimediale. - 5. Riflessioni conclusive: il giudizio di competitività e la necessità della circolazione dei modelli. 1. Premesse. Se l'angolo prospettico di una comparazione muove dalla figura del trustee, che è l'attore principale dell'istituto, il tentativo di delineare le linee di distinzione tra il trust/trustee e le figure affini nel diritto italiano deve necessariamente partire da alcune premesse metodologiche. La prima premessa concerne la distinzione tra il modello anglosassone del trust e il modello di trust risultante dalla Convenzione dell'Aja, Convenzione che disciplina i soli trusts volontari, con esclusione delle altre tipologie di trusts previste dalla disciplina di common Law. È infatti solo con riferimento al trust della Convenzione che si è radicato un acceso dibattito in ordine all'esistenza nell'ordinamento giuridico italiano di tale istituto, dibattito che appunto è sorto solo a seguito della ratifica da parte dell'Italia della Convenzione dell'Aja sul riconoscimento dei trusts. Prescindendo per il momento dal prendere posizione in merito alle due opposte tesi che sono state formulate al riguardo 1 , appare necessario analizzare le regole che governano quel trust al fine di operare un tentativo di raffronto con le altre figure italiane. Ai sensi dell'art. 2 della Convenzione dell'Aja, il trust presenta le seguenti caratteristiche: a) i beni del trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del trustee; b) i beni del trust sono intestati a nome del trustee o di un'altra persona per conto del trustee; c) il trustee è investito del potere e onerato dell'obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre beni secondo i termini del trust e le norme particolari impostegli dalla legge. L'insieme di queste regole contenute nella Convenzione dell'Aja può essere sintetizzato evidenziando la collocazione di questo modello di trust tra gli strumenti di articolazione del patrimonio, definizione con la quale si è soliti indicare tutti gli strumenti attraverso i quali la destinazione ad uno scopo di parte del patrimonio importa totale o parziale deviazione dalle regole generali relative alla responsabilità patrimoniale illimitata e alla libera circolazione dei beni 2 . 1 Al riguardo e per ragioni di sintesi può ridursi il dibattito in due principali linee di pensiero: 1) la prima, che riconosce nella Convenzione dell'Aja una Convenzione di natura internazionalprivatistica, la cui esclusiva funzione è quella di consentire il riconoscimento di trusts stranieri; 2) la seconda, che invece attribuisce alla Convenzione anche una natura sostanziale, tale da consentire l'introduzione nel nostro ordinamento di una figura domestica di trust, indicata come «trust interno». V. al riguardo AA.VV., I trust interni e le loro clausole, a cura di E.Q. Bassi-F. Tassinari, pubblicazione del Consiglio Nazionale del Notariato, Roma, 2007. Tra le opere più recenti in materia di trusts, si seganala quella di D. ZANCHI, Diritto e pratica dei trusts. Profili civilistici, Torino, 2008; N. LUPOI, Istituzioni del diritto dei trust e degli affidamenti fiduciari, Padova, 2008; A. MORACE PINELLI, Atti di destinazione, trust e responsabilità del debitore, Milano, 2007. 2 Agli strumenti di articolazione del patrimonio è stato di recente dedicato un Convegno interdisciplinare che si è svolto il 18 giugno 2008 presso la Facoltà di Economia dell'Università di Roma «La Sapienza». Tale modello amorfo 3 di trust consente la separazione patrimoniale dei beni oggetto di trust dal patrimonio del trustee, al quale viene «intestata» la proprietà del trust. Il trasferimento della proprietà al soggetto trustee appare confermata dal riferimento alla «intestazione», anche se lo stesso art. 2 della Convenzione a proposito dei beni oggetto del trust usa l'ambigua formula del «controllo» da parte del trustee. Appare inoltre evidente dalla lettura della Convenzione dell'Aja, anche in mancanza di un espresso riferimento, che il trust, così come disciplinato, rappresenta un'ipotesi di destinazione patrimoniale, perché sempre ai sensi dell'art. 2 della citata Convenzione, la costituzione del trust avviene «nell'interesse di un beneficiario o di un fine specifico». È quindi la destinazione ad uno scopo, individuata in senso soggettivo con riferimento al beneficiario, o in senso oggettivo, con riferimento agli interessi, che determina un regime peculiare di responsabilità patrimoniale e di gestione e amministrazione dei beni e quindi un'articolazione del patrimonio oggetto di trust. Appare altresì evidente che il principale elemento di distinzione rispetto all'atto negoziale di destinazione (figura regolata oggi in termini generali dall'art. 2645-ter del codice civile) è la scomparsa del soggetto destinante o conferente e l'accentramento di tutta la disciplina sulla figura del trustee, al quale vengono intestati i beni con conseguente obbligo di gestione 4 . Ciò fa del trust una figura di destinazione che di regola risulta attributiva, salvo le ipotesi ammesse di trust autodichiarato 5 . Gli atti di tale Convegno stanno per essere pubblicati in un volume autonomo a cura di M. Bianca e G. Capaldo, edito dalla casa editrice Giuffrè. 3 Tale aggettivo per il trust della Convenzione dell'Aja è stato coniato da Maurizio Lupoi, autore, il quale si è lungamente soffermato sull'analisi di tale modello di trust nelle sue numerose opere dedicate al trust. 4 La centralità della figura del trustee nel trust è stata sottolineata da vari autori. V. in particolare M. LUPOI, Gli «atti di destinazione» nel nuovo art. 2645-ter c.c. quale frammento di trust, in questa Rivista, 2006, 467, il quale, nel confrontare l'istituto del trust e l'atto di destinazione dell'art. 2645-ter c.c., rileva la mancanza nel secondo dell'obbligazione fiduciaria, propria invece del trust. In giurisprudenza, sul fatto che nel trust la figura del settlor o disponente quasi scompare, v. Trib. Napoli, 1° ottobre 2003, il cui testo è rinvenibile in La giurisprudenza italiana sui trusts. Dal 1899 al 2006, a cura di M. Lupoi, Milano, 2006, 206. 5 Sull'ammissibilità del trust autodichiarato ai sensi della disciplina della Convenzione dell'Aja, v . con diverse argomentazioni, D. ZANCHI, Diritto e pratica dei trusts. Profili civilistici, cit., 93 e ss.; M. LUPOI, Trusts, Milano, 2001, 503; ID., I trusts nel diritto civile, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, vol. II, Torino, 2004; ID., Il trust nel diritto civile, in Vita not., 2003, 605 e ss.; SICLARI, Il trust interno tra vecchie questioni e nuove prospettive: il trust statico, in Vita not., 2002, 743 e ss.; S. BARTOLI, Il trust, Milano, 2001, 513; ID., Il trust autodichiarato nella Convenzione dell'Aja sui trusts, in Trusts e Attività fiduciarie, 2005, 355. Rileva una certa difficoltà e delicatezza del tema D. MURITANO, Trust e diritto italiano: uno sguardo d'insieme (tra teoria e prassi), in AA.VV., I trusts interni e le loro clausole, a cura di E. Quintino Bassi e F. Tassinari, pubblicazione del Consiglio Nazionale del Notariato, cit., 11 e ss. Per la soluzione negativa, v. V. SALVATORE, Il trust profili di diritto internazionale e comparato, Padova, 1996, 61, il quale rileva la necessità che emerge dalla Convenzione dell'Aja della dualità del rapporto di trust. Analoghe riflessioni sono emerse da parte della giurisprudenzadenza, (Trib. Napoli, 1° ottobre 2003, cit.; altre decisioni si sono manifestate contrarie all'ammissibilità del trust autodichiarato, v. in particolare App. Napoli, 27 maggio 2004), la quale ha affermato l'impossibilità di configurare nella disciplina della Convenzione dell'Aja il trust autodichiarato, data la necessaria dualità che emerge dalla lettura dell'art. 2: «Ed invero la legge 364/89 di ratifica ed esecuzione della Convenzione dell'Aja del primo luglio 1985 prevede espressamente come debbano sussistere quantomeno due soggetti per la costituzione del rapporto giuridico di trust; da un lato il costituente e dall'altro il trustee, con un limitatissimo potere di ingerenza del primo». Oltre a queste argomentazioni, la stessa giurisprudenza rileva l'impossibilità di ammettere tale figura di trust, per il contrasto con l'art. 2740 c.c. «determinando solo la possibilità per il disponente di creare un proprio patrimonio separato di cui è titolare ed amministratore, accanto al patrimonio originario così sottraendo ad eventuali creditori la garanzia di cui civile, sono numerose le figure di destinazione patrimoniale con effetto separativo che trovano un'apposita disciplina nella legislazione speciale, soprattutto nella materia finanziaria 18 . Per tutti questi strumenti la destinazione patrimoniale, causa del regime di articolazione del patrimonio, non è implicita come nel trust, nel negozio fiduciario o nel contratto di mandato, ma risulta addirittura esplicitata nelle regole applicative. Nel fondo patrimoniale è proprio l'art. 167 c.c. che opera un espresso rinvio alla «destinazione di beni per far fronte ai bisogni della famiglia». Per i fondi speciali di assistenza e previdenza, l'art. 2117 c.c. prevede testualmente la destinazione con effetto di separazione patrimoniale, stabilendo che tali fondi «non possono essere distratti dal fine cui sono destinati e non possono formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori dell'imprenditore o del prestatore di lavoro». Per i patrimoni societari destinati ad uno specifico affare, è testuale la scelta del legislatore di evidenziare la destinazione quale fattore che dà causa al regime di separazione patrimoniale, separazione che nel modello endosocietario (art. 2447-bis, lett. a)) è riferita a parte del patrimonio della s.p.a., mentre nel modello finanziario (art 2447-bis, lett. b)) riguarda i proventi che derivano dall'affare. Nella disciplina dell'art. 2645-ter, è altresì evidente la scelta del legislatore italiano di privilegiare il modello tradizionale e tutto italiano della destinazione dei beni ad uno scopo 19 quale strumento di articolazione del patrimonio che utilizza lo schema dell'atto puro di destinazione, da intendersi quale vincolo di destinazione che scaturisce da un atto di autonomia privata 20 . La diversità tra questi strumenti attiene proprio alle diverse modalità con le quali viene concepita la destinazione. Nel fondo patrimoniale, nei fondi speciali di assistenza e previdenza e nei patrimoni societari la destinazione viene tipizzata dal legislatore. Nel fondo patrimoniale e nei fondi speciali di assistenza e previdenza la tipizzazione risulta oggettiva e coincide, nella prima figura, con la tutela della famiglia legittima e, nei secondi, nella tutela del lavoro e della previdenza. Nei patrimoni societari la tipizzazione risulta soggettiva, in quanto si ritiene 21 che solo il modello societario della raccoglie gli atti della Tavola Rotonda da me organizzata presso la Facoltà di Scienze Statistiche dell'Università di Roma «La Sapienza»: M. BIANCA, (a cura di), La trascrizione dell'atto negoziale di destinazione. L'art. 2645-ter, Milano, 2007; l'opera collettanea dedicata all'atto notarile di destinazione: M. BIANCA-M. D'ERRICO-A. DE DONATO-C. PRIORE, L'atto notarile di destinazione. L'art. 2645-ter del codice civile, Milano, 2006. Per i profili dell'atto testamentario di destinazione, si v. la recente opera di M. IEVA, I fenomeni a rilevanza successoria, Napoli, 2008, spec. 218 e ss. Tra i vari saggi dedicati alla nuova norma, v. G. DORIAIl patrimonio «finalizzato», in Riv. dir. civ., 2007, I, 508; G. GABRIELLI, Vincoli di destinazione importanti separazione patrimoniale e pubblicità nei registri immobiliari, in Riv. dir. civ., 2007, I, 321 e ss.; M. LUPOI, Gli «atti di destinazione» nel nuovo art. 2645-ter c.c. quale frammento di trust, cit.; E. RUSSO, Il negozio di destinazione di beni immobili o di mobili registrati (art. 2645-ter c.c.), in Vita not., 2006, 1242; R. LENZI, Le destinazioni atipiche e l'art. 2645-ter, in Contratto e impresa, 2007, 229 e ss.; R. QUADRI, L'art. 2645-ter e la nuova disciplina degli atti di destinazione, in Contratto e impresa, 2006, 1756; G. PETRELLI, La trascrizione degli atti di destinazione, in Riv. dir. civ., 2006, II, 175 ss. 18 Tra queste v. il fenomeno della cartolarizzazione dei crediti che integra un'ipotesi di destinazione con effetto separativo che ricalca lo schema del modello finanziario dei patrimoni societari destinati ad uno specifico affare (v. L. n. 130 del 1999). 19 Sulle radici pandettistiche della teoria dei patrimoni di destinazione (c.d. Zweckvermögenstheorie) sia consentito un rinvio a M. BIANCA, Patrimoni separati e vincoli di destinazione, Padova, 1996, spec. cap. II. Per una sintesi v. sempre ID., Atto negoziale di destinazione e separazione, cit. 20 Si rinvia al riguardo alla nostra già citata voce dell'Enciclopedia Treccani Vincoli di destinazione del patrimonio. 21 Ci si riferisce alla maggioranza della dottrina civilistica e commercialistica. s.p.a. possa utilizzare questo strumento di articolazione del patrimonio 22 . Al contrario, nell'atto di destinazione disciplinato dall'art. 2645-ter, la destinazione risulta non tipizzata ma esemplificata in alcune categorie di beneficiari che la norma individua nelle persone affette da disabilità 23 , nella P.A. e nell'omnicomprensiva ma ambigua formula degli «interessi meritevoli di tutela» 24 . Altri strumenti di articolazione del patrimonio esistenti nel nostro ordinamento sono il negozio fiduciario di tradizione romanistica, modello che nasce nel pensiero della dottrina 25 e oggi si caratterizza solo quale modello giurisprudenziale 26 , essendo fallito il tentativo di farne un modello normativo 27 e il contratto di mandato (artt. 1703 e ss. c.c.). In entrambi i modelli la destinazione patrimoniale è presente, anche se non esplicita come nelle figure codicistiche prima analizzate. In entrambi i modelli la destinazione patrimoniale risulta rivestita dallo schema contrattuale dell'agire nell'interesse altrui 28 o per uno scopo fiduciario. Sia nel negozio fiduciario che nel mandato, la destinazione patrimoniale sembra seguire, almeno nell'assetto strutturale, il modello del trust, in quanto emerge la centralità della figura del soggetto fiduciario o del soggetto mandatario, ai quali è demandata la responsabilità, nascente da contratto, del buon fine 22 In generale, per una distinzione nell'ambito delle destinazioni tipiche, tra una tipizzazione oggettiva e una tipizzazione soggettiva, si rinvia a M. BIANCA, L'atto di destinazione: problemi applicativi, in questa Rivista, 2006, I, 1177 e ss. 23 V. L. MILONE, Gli strumenti di tutela della persona debole, in Vita not., 2008, 108, il quale rileva l'utilità di uno strumento di destinazione a protezione dei soggetti deboli, siano essi minori, siano essi persone dell'età di mezzo o dell'età matura. 24 Per una sintesi delle varie teorie elaborate dalla dottrina sul concetto di meritevolezza dell'art. 2645-ter, si rinvia a C. SCOGNAMIGLIO, L'articolo 2645-ter c.c. e le mobili frontiere dell'interesse meritevole di tutela, Relazione al Convegno di Lucera, 30-31 marzo 2007, Le sistemazioni patrimoniali «dedicate» tra negozi di destinazione e organizzazione dell'impresa, i cui atti stanno per essere pubblicati a cura di L. Bozzi e M. Maugeri. 25 In questa sede sarebbe eccessivo riportare i diversi contributi dottrinali relativi al negozio fiduciario. Si segnalano pertanto i contributi più significativi: dagli scritti di MESSINA, (Scritti giuridici. I, I negozi fiduciari, Milano, 1948), ai saggi di PUGLIATTI (Fiducia e rappresentanza indiretta, in Diritto civile. Metodo - Teoria - Pratica. Saggi, Milano, 1951), fino ad arrivare all'opera monografica di N. LIPARI (Il negozio fiduciario, Milano, 1964). 26 Il negozio fiduciario, infatti, pur se non disciplinato come figura tipica, riceve costante attenzione da parte della giurisprudenza di legittimità. Tra le più recenti decisioni, v. Cass. 25 giugno 2008, n. 17334, pubblicata in Le società, 2008, 1476, con nota di commento di F. DI MAIO. V. inoltre Cass. civile, 16 aprile 2008, n. 9970, la cui massima si riporta qui di seguito: «Non sono soggetti a revoca ai sensi dell'art. 2901 c.c. gli atti compiuti in adempimento di un'obbligazione (cosiddetti atti dovuti) e, quindi, anche i contratti conclusi in esecuzione di un contratto preliminare o di un negozio fiduciario, salvo che sia provato il carattere fraudolento del negozio con cui il debitore abbia assunto l'obbligo poi adempiuto, essendo la stipulazione del negozio definitivo l'esecuzione doverosa di un "pactum de contraendo" validamente posto in essere ("sine fraude") cui il promissario non potrebbe unilateralmente sottrarsi. (Nella specie la S.C., in applicazione del riportato principio, ha confermato la sentenza impugnata di rigetto della domanda ex art. 2901 c.c. proposta in relazione ad un contratto di vendita di un immobile stipulato in esecuzione di un precedente contratto preliminare, evidenziando che la verifica della sussistenza dell'"eventus damni" va compiuta con riferimento alla stipulazione definitiva mentre il presupposto soggettivo del "consilium fraudis" va valutato con riferimento al contratto preliminare)». 27 Ci si riferisce al progetto di introduzione del contratto di mandato, la cui disciplina avrebbe seguito nella disciplina del codice civile quella del contratto di trasporto, progetto che non è giunto ad approvazione in quanto inserito nella finanziaria (Legge finanziaria per il 2008, L. 31 dicembre 2007, n. 244) e ritenuto contrario alla regola generale di vietare l'inserimento in finanziaria di norme ordinamentali. 28 Su questo tema, v. tra gli altri, M. GRAZIADEI, I diritti nell'interesse altrui, Trento, 1995. dell'operazione di destinazione. Che la destinazione patrimoniale sia presente in questi modelli è confermato dall'esistenza di regole di separazione patrimoniale che rappresentano la giustificazione e la forza dello scopo. Nel contratto di mandato, assunto a modello generale dell'agire nell'interesse altrui 29 , è proprio questa finalità che giustifica la regola contenuta nell'art. 1707 c.c. Infatti, deve ritenersi che «i creditori del mandatario non possono far valere le loro ragioni sui beni che, in esecuzione del mandato, il mandatario ha acquistati in nome proprio» in quanto quei beni, se pure acquistati in nome proprio dal mandatario e quindi entrati nella sua sfera patrimoniale, sono destinati a realizzare l'interesse del mandante. Anche nel negozio fiduciario, la debolezza del rilievo meramente obbligatorio e la tensione verso un rilievo reale del rapporto fiduciario non sono altro che espressione dell'esigenza di rendere opponibile ai terzi un vincolo di destinazione che ha preso le vesti di un rapporto fiduciario, volto alla realizzazione di una specifica finalità. Del resto i modelli tradizionali di negozio fiduciario tramandati dal diritto romano della fiducia cum amico e della fiducia cum creditore sono la conferma del rilievo dello scopo e quindi della presenza della destinazione. La diversità con i prima citati modelli normativi di atti puri di destinazione (fondo patrimoniale, patrimoni societari, fondi assistenza e di previdenza, atto negoziale di destinazione dell'art. 2645-ter) è che in questi ultimi la figura del soggetto gestore e intestatario dei beni destinati può anche mancare, in quanto la centralità della disciplina si esaurisce nella regola di destinazione e negli effetti che essa produce nella sfera patrimoniale. Al contrario nel trust, come nel negozio fiduciario e nel contratto di mandato, la realizzazione della destinazione è assoggettata all'adempimento di specifici obblighi contrattuali di buona gestione che integrano gli effetti di articolazione del patrimonio. Tali distinzioni che attengono principalmente al profilo strutturale non sono tali da eliminare l'omogeneità funzionale di tutte queste figure, omogeneità funzionale che si sostanzia nella destinazione patrimoniale. Deve tuttavia essere sottolineato che tale omogeneità funzionale, se determina significativi corollari relativamente all'applicazione di alcune discipline, certamente non azzera la distinzione tra i vari istituti, distinzione che si coglie sotto altri profili, in particolare sotto il profilo strutturale e rimediale 30 . Tutti questi strumenti, sia pure con strutture e forme diverse, contengono un vincolo di destinazione di beni ad uno scopo ed è proprio l'esistenza di tale vincolo che legittima la creazione di una regola di articolazione del patrimonio. Il diverso modo in cui si atteggia il vincolo di destinazione esprime la forza o la debolezza di un istituto rispetto ad un altro. Per esempio, la mancanza di una regola di opponibilità 29 V. LUMINOSO, Mandato, commissione, spedizione, in Trattato Cicu-Messineo, Vol. XXXII, Milano, 1984, 261. V. M. GRAZIADEI, Mandato, in Dig. Disc. Priv. sez. civ., XI, Torino, 1994, 155 e ivi ampia bibliografia. Di recente in giurisprudenza v. Cass., S.U., 8 ottobre 2008, n. 24772, in cui, tra l'altro, si è affermato che l'art. 1705, comma 2 del codice civile costituisce eccezione alla disciplina generale del mandato ed è di stretta interpretazione. Pertanto l'espressione «diritti di credito» va circoscritta all'esercizio dei diritti sostanziali acquistati dal mandatario, con esclusione delle azioni poste a loro tutela. 30 In questo senso appaiono illuminanti le parole di A. LUMINOSO formulate in tema di divisione: Divisione e sistema dei contratti, in Contratto di divisione e autonomia privata, Fondazione italiana per il Notariato, Roma, 2008: « ... Costituisce insegnamento comunemente accettato che l'identità di un istituto giuridico va desunta non soltanto dai suoi elementi di ordine funzionale ma anche da quelli di ordine strutturale». Tale tesi viene sostenuta dall'A. per confutare l'esistenza di una comune funzione divisoria, quale elemento tale da accomunare fattispecie diverse. Le medesime considerazioni fatte per l'applicazione trasversale del giudizio di meritevolezza devono farsi con riferimento alla recente normativa antiriclaggio 39 . La nuova legge antiriciclaggio menziona più volte lo strumento del trust, il quale viene costantemente assimilato «ad altri enti giuridici analoghi» quale struttura che richiede le necessarie cautele poste dalla legge al fine di sanzionare operazioni di riciclaggio. L'esclusiva menzione del trust non esclude tuttavia che tale nuova normativa debba essere applicata anche ad altre operazioni fiduciarie che realizzano o possono realizzare il medesimo risultato. La ratio sottesa a tale normativa deve infatti essere individuata nell'esigenza di colpire le operazioni di riciclaggio del denaro sporco, indipendentemente dalla struttura giuridica utilizzata. Pertanto l'applicazione della normativa deve necessariamente estendersi a tutte quelle figure che, se pure non ricomprese nel divieto, raggiungono il medesimo risultato. Del resto già da tempo attenta dottrina civilistica, superando il dato meramente strutturale e privilegiando quello funzionale, ha elaborato il concetto di «funzione illecita» quale giudizio complessivo volto a colpire il risultato della illiceità al di là della liceità della singola operazione negoziale 40 . A conferma di quanto affermato con riferimento alla legge antiriciclaggio, deve essere menzionata la legge francese sulla fiducie 41 , legge del 2007, che nell'agosto del 2008 è stata in parte modificata 42 . Tale legge, dopo vari tentativi falliti, ha finalmente introdotto economici ma anche assolutamente individuali». Per riflessioni significative di commento a tale decisione, v. M. CINQUE, L'atto di destinazione per i bisogni della famiglia di fatto: ancora sulla meritevolezza degli interessi ex art. 2645-ter cod. civ., in Nuova giur. comm., 2008, I, 692 e ss., la quale in particolare rileva che, se la meritevolezza dell'art. 2645-ter esprime un qualche cosa di più rispetto alla liceità, allora «l'art. 2645-ter svolgerebbe un ruolo di interpretazione autentica, ridimensionando l'ambito di applicazione della Convenzione dell'Aja» ponendo limiti alla validità e trascrivibilità del trust: «la necessaria giustificazione legale del sacrificio imposto ai creditori con la limitazione della responsabilità del debitore e la tipicità degli atti soggetti a trascrizione». La medesima decisione è stata commentata da S. ROSSI, Alcune riflessioni sulla nozione di meritevolezza dell'art. 1322 del codice civile. L'art. 2645-ter, in via di pubblicazione nella Rivista Nuova giur. civ. comm. L'A. nel commentare la decisione, ha colto l'occasione per una sistemazione unitaria del concetto di meritevolezza. 39 V. D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 290 del 14 dicembre 2007- Suppl. Ordinario n. 268/L. V. tra i vari contributi, V. MIRRA, Riflessioni sugli obblighi antiriciclaggio per i professionisti: analisi normativa e concreta applicabilità, in Giur. merito, 2007, 2142. 40 V. per tutti G. PALERMO, Funzione illecita e autonomia privata, Milano, 1970. Al riguardo sono significative le parole di M. NUZZO, con specifico riguardo al giudizio di illiceità: Negozio giuridico: IV) Negozio illecito, in Enc. Giur. Treccani, XX, Roma, 1990: « ... Si comprende così come il giudizio di liceità assuma a proprio oggetto non solo la regola negoziale risultante dalle singole fattispecie che compongono l'operazione economica complessa divisata dalle parti, ma anche il risultato che l'esercizio del potere di autonomia in concreto determina se valutato nella sua interezza. In questo senso può dirsi che norme imperative, ordine pubblico e buon costume sono stregua di valutazione di un risultato, sia che questo sia conseguenza diretta e immediata di una specifica figura negoziale, sia che esso derivi da un insieme di atti, comportamenti e negozi coordinati tra loro in vista della sua realizzazione. [ ...]. Norme imperative, ordine pubblico e buon costume, assumono rilevanza nel giudizio di liceità come regole volte a tutelare gli interessi fondamentali della collettività, i quali godono di tutela assoluta, incondizionata [ ...] quale che sia la struttura formale concretamente utilizzata dalle parti». 41 V. Loi n. 2007-211 du 19 février 2007 instituant la fiducie, pubblicata in Journal Officiel de la République française du 21 février 2007, legge con la quale è stato modificato il code civil. 42 Loi n° 2008-776 du 4 août 2008 de modernisation de l'économie, legge che disciplina vari settori dell'economia, ma che dedica l'art. 18 alla riforma della legge francese sulla fiducie. Sulla riforma della in Francia il contratto fiduciario nei due modelli della fiducia-gestione e della fiducia- garanzia. Nella prima versione del 2007 la legge aveva limitato l'operatività di tale strumento sul piano soggettivo, prevedendo, da un lato che soggetti costituenti potessero essere solo le persone giuridiche soggette all'imposta sulle società 43 , dall'altro che soggetti abilitati al ruolo di fiduciari potessero essere soltanto operatori professionali qualificati, e in partico lare, banche, assicurazioni e società di investimento 44 . Nei lavori preparatori emergeva che in particolare quest'ultima limitazione soggettiva era giustificata dall'esigenza di evitare operazioni di riciclaggio del denaro sporco, la cui individuazione sarebbe stata chiaramente più difficile se il soggetto fiduciario non avesse rivestito tale ruolo istituzionale 45 . Nella versione modificata del 2008 della legge sulla fiducie, il legislatore francese ha abrogato la limitazione soggettiva relativa al costituente, estendendo la possibilità di rivestire la qualifica di costituente anche ai soggetti persone fisiche 46 . Relativamente alla seconda limitazione soggettiva, quella riguardante il soggetto fiduciario, ha invece esteso la qualifica di fiduciario anche alla professione di avvocato 47 . L'esperienza francese e il suo travagliato iter confermano il dato di partenza del discorso finora formulato: l'esigenza di applicare la normativa che trova la sua ratio nella funzione che un istituto è diretto a realizzare, indipendentemente dalla struttura utilizzata. La normativa antiriciclaggio è sicuramente normativa che mira a vietare un risultato e quindi una funzione illecita. In questo senso sembra doversi affermare l'applicabilità di tale divieto a qualsiasi strumento che, senza adeguate cautele, consenta di perseguire tale finalità illecita, indipendentemente dalla struttura utilizzata. 3. La diversità strutturale. Come si è già accennato, la differenza strutturale tra i vari strumenti di articolazione del patrimonio deve imputarsi alla diversa tradizione culturale in cui ciascun istituto ha trovato applicazione. Nel contesto dei paesi di tradizione civilistica si sono contesi il ruolo il negozio fiduciario e l'atto di destinazione. Il primo nasce nella tradizione romanistica e si caratterizza per il trasferimento della proprietà piena dei beni al soggetto fiduciario. Nel modello di fiducia germanistica tale effetto attributivo manca e legge francese sulla fiducie, i ringraziamenti vanno al Prof. François Barriere, il quale con le sue sempre preziose indicazioni, mi ha consentito di avere un primo quadro concreto della riforma. Per una sintesi più dettagliata dei principali aspetti di questa riforma, sia consentito un rinvio a M. BIANCA, Le recenti modifiche alla lagge francese sulla fiducia, in via di pubblicazione in questa Rivista. 43 V. art. 2014 del code civil introdotto dalla citata Loi n. 2007- 211 du 19 février 2007. 44 V. art. 2015 del code civil introdotto dalla citata Loi n. 2007-211 du 19 février 2007. 45 Per queste riflessioni v. F. BARRIERE, Commentaire de la loi n. 2007-211 du 19 février 2007 instituant la fiducie, in Bulletin Joly Sociétés, avril, 2007. Per considerazioni analoghe nell'ordinamento italiano e con specifico riferimento al progetto poi naufragato di introdurre nel nostro codice civile il contratto di fiducia, v. M. D'ERRICO, Relazione al Convegno «Gli strumenti di articolazione del patrimonio», cit. 46 V. in particolare l'art. 18 della Loi n° 2008-776 du 4 août 2008 de modernisation de l'économie, il cui art. 18, con il quale sono state apportate modifiche alla legge sulla fiducie del 2007, ha abrogato l'art. 2014 del code civil. Tale limitazione era stata oggetto di varie critiche da parte della dottrina, la quale aveva rilevato la necessità di estendere il modello normativo della fiducia anche ad altri soggetti, al fine di non frustrare le potenzialità applicative del contratto fiduciario e di incentivarne la competitività rispetto al modello anglosassone del trust. In particolare si rilevava la necessità di estendere l'utilizzabilità di tale strumento da parte dell'imprenditore individuale o a favore dei soggetti disabili, v. in particolare F.BARRIERE, op. ult. cit. 47 V. in particolare la versione modificata dell'art. 2015 del code civil introdotto dalla legge del 2007. viene sostituito da una speciale forma di autorizzazione del soggetto fiduciario ad agire nell'interesse altrui (c.d. Ermächtigung). L'atto di destinazione è invece un modello che nasce dalle elaborazioni della teoria pandettistica dei patrimoni destinati ad uno specifico affare (c.d. Zwechvermögenstheorie) e in genere prescinde dal fenomeno attributivo, essendo atto di organizzazione funzionale dei beni o di parte del patrimonio. Anzi deve sottolinearsi che di regola, anche quando esiste un fenomeno attributivo, esso è esterno all'atto di destinazione 48 . Ciè è confermato a livello normativo dalla disciplina delle figure che hanno recepito il modello dell'atto puro di destinazione (fondo patrimoniale, fondi speciali di assistenza e previdenza, patrimoni societari, atto negoziale di destinazione dell'art. 2645-ter c.c.) in cui non appare alcun riferimento al trasferimento dei beni oggetto della destinazione. L'ordinamento italiano ha subìto l'influsso di entrambi i modelli culturali. Il negozio fiduciario, modello esistente nella giurisprudenza nello schema della fiducia romanistica, è rimasto formante giurisprudenziale. L'atto di destinazione, come poc'anzi accennato, è invece diventato modello normativo, essendo stato previsto dal legislatore sia con riferimento a destinazioni tipiche che quale modello generale di atto negoziale di destinazione (art. 2645-ter c.c.). La scelta dell'uno o dell'altro modello non deve attribuirsi unicamente alla prevalenza dell'una o dell'altra tradizione culturale, ma all'esistenza del diverso apparato rimediale proprio di ciascun ordinamento. Il modello culturale del negozio fiduciario di tradizione romanistica, con trasferimento della proprietà piena dei beni destinati al soggetto fiduciario, oltre a porre il problema concettuale del riconoscimento di una proprietà fiduciaria e del trasferimento astratto della proprietà, pone il problema concreto di anteporre il rapporto fiduciario alla sicurezza della regola proprietaria, in un sistema come il nostro fondato sull'unicità della proprietà e restìo a riconoscere una duplicità di titoli sullo stesso bene. Il soggetto fiduciario, in quanto agli occhi dei terzi proprietario pieno, può alienare i beni destinati e gli acquisti sono a domino. La posizione di formale proprietario del soggetto fiduciario rende inoltre più arduo il giudizio di abusività della gestione. Questi e altri problemi spiegano l'insuccesso dell'istituto e la non comparabilità con il successo che il trust ha avuto nel mondo anglosassone, dove, diversamente dalla nostra tradizione culturale, non vi sono ostacoli a riconoscere un doppio titolo sul medesimo bene. La scelta del modello dell'atto di destinazione ha consentito di superare alcune di queste problematiche e di incentrare l'attenzione sul profilo della trascrizione del vincolo e quindi della opponibilità ai terzi. Ciò non esclude che anche un atto di destinazione possa avere un effetto attributivo, riproducendo le medesime problematiche del negozio fiduciario. Tuttavia, la trascrivibilità del vincolo di destinazione, oltre agli effetti che le sono propri, serve proprio a rendere opponibile ai terzi il rapporto fiduciario o quanto meno la peculiarità del titolo proprietario, caratterizzato dalla presenza del vincolo di destinazione. Ciò pone interessanti riflessioni in ordine alla possibilità di operare una circolazione degli strumenti giuridici e delle regole operative, consentendo, per esempio, di utilizzare l'art. 2645-ter del codice civile per rendere opponibile ai terzi il rapporto fiduciario 49 . 48 Per queste riflessioni che conducono ad una distinzione tra atto di destinazione e trust, v. A. MORACE PINELLI, Struttura dell'atto negoziale di destinazione e del trust anche alla luce della legislazione fiscale ed azione revocatoria, cit. 49 Si rinvia al § 5 del testo. strumento di articolazione del patrimonio, giudizio di competitività che poi risulta integrato dal complesso delle disposizioni normative del sistema. In linea generale, deve rilevarsi che la distinzione strutturale tra i vari strumenti di articolazione del patrimonio e la già rilevata distinzione tra vincoli attributivi e non attributivi non è priva di rilevanza in un sistema, come quello italiano, che conserva l'idea dell'unicità della proprietà e a cui risulta ostico lo stesso concetto di proprietà fiduciaria e di sdoppiamento del titolo proprietario 59 . La preferenza per strumenti di destinazione pura del patrimonio, oltre che seguire una tradizione antica del nostro sistema, consente, come già accennato, di superare diverse problematiche che si palesano nel caso di trasferimento della piena proprietà ad un soggetto diverso dal conferente e che si sostanziano nella patologia del negozio fiduciario di tradizione romanistica. Peraltro, nulla vieta di integrare l'atto di destinazione con una gestione non proprietaria, la quale seguirebbe le regole del mandato senza rappresentanza, con un passaggio significativo dalle regole proprietarie alle regole del contratto. 4. La diversità rimediale. Oltre alla vantaggiosità fiscale, la presenza di un idoneo apparato rimediale si profila come uno dei principali tests sulla competitività di un dato strumento. Passando ad analizzare la differenza rimediale tra i vari strumenti di articolazione del patrimonio, si palesa prioritaria l'analisi del complesso dei rimedi del sistema italiano, al fine di valutarne la portata e l'adattabilità ai vari strumenti. Al riguardo si profila la specificità del sistema rimediale italiano e la palese differenza con il complesso dei rimedi di common Law, molti dei quali risultano modellati sull'istituto del trust. Ciò fa emergere la sicura competitività rimediale del modello angloamericano del trust. Se, tuttavia, si passa ad analizzare il modello del trust convenzionale o addirittura il modello di trust interno, occorre fare i conti con l'apparato rimediale del nostro sistema e con la consapevolezza in ordine all'impossibilità di importare i rimedi dell'Equity. Appare allora evidente che il supposto recepimento del trust nel nostro sistema è operazione culturalmente molto brillante ma priva di significato se a livello operativo mancano quei rimedi che danno effettività al trust. Proprio l'analisi rimediale consente allora di affrontare con spirito critico e senso della realtà suggestioni in ordine all'importazione di modelli stranieri. Uno dei nodi problematici del trust interno è stato la sua trascrivibilità. La mancanza di una norma che consente la trascrivibilità del trust pone il problema dell'opponibilità ai terzi del vincolo di destinazione nascente dal trust. L'art. 2645-ter è norma che consente la trascrizione dei soli atti di destinazione e deve ritenersi che abbia valore tassativo come tutte le disposizioni che allargano il novero degli atti soggetti a trascrizione. Potrebbe sostenersi che oggetto della trascrizione non sia l'atto di destinazione ma il vincolo, e che quindi la norma debba essere applicata anche al trust. Anche qualora si volesse accogliere tale soluzione, il trust dovrebbe rispettare i requisiti di forma e di sostanza indicati dall'art. 2645-ter del codice civile 60 . Se a queste 59 Per una critica al concetto di «sdoppiamento della proprietà», sia consentito un rinvio a M. BIANCA, La fiducia attributiva, Torino, 2001. 60 Per queste riflessioni, si rinvia a C.M. BIANCA, Conclusioni, in M. BIANCA (a cura di), La trascrizione dell'atto negoziale di destinazione. L'art. 2645-ter del codice civile, cit., 196: « ... Per raggiungere il traguardo della opponibilità il trust deve sottostare a quelli che sono i requisiti minimi dettati ormai in maniera sicura dalla nostra legge. Ci vorrà intanto l'atto pubblico, ci vorrà anche la meritevolezza dell'interesse perché io credo che la meritevolezza dell'interesse, condizionando la validità dell'atto di riflessioni, si aggiungono quelle relative al giudizio di meritevolezza, appare evidente come sia addirittura antieconomico privilegiare il modello del trust. Deve al riguardo accogliersi la voce critica della dottrina che ha rilevato gli eccessivi costi relativi alla traduzione e alla conoscenza delle leggi straniere riguardanti il trust 61 . Ma la trascrizione non è che uno degli strumenti che consentono di rendere opponibile ai terzi creditori e quindi effettiva la regola di separazione patrimoniale. Rimane il problema dell'effettività della destinazione e la ricerca di rimedi che siano in grado di raggiungere questo obiettivo. Al riguardo deve rilevarsi la mancanza nel nostro sistema, a differenza del sistema di common Law, di rimedi di carattere reale e recuperatorio che consentano di dare rilevanza esterna al rapporto di destinazione e in generale al rapporto fiduciario, rimedi che si rivelano utilissimi nel caso di abuso di gestione. Tale mancanza è enfatizzata negli strumenti di articolazione del patrimonio che determinano un trasferimento della proprietà piena ad un soggetto terzo. In questi casi l'unicità del rimedio contrattuale del risarcimento del danno per violazione del patto fiduciario si mostra strumento insufficiente al fine di assicurare il successo dell'operazione fiduciaria. Inoltre la possibilità di estendere al negozio fiduciario il rimedio dell'esecuzione specifica dell'obbligo di contrarre (art. 2932 c.c.) non copre l'ipotesi dell'abuso della gestione, ovvero l'ipotesi in cui il soggetto fiduciario si sia completamente spogliato della titolarità dei beni destinati. E tale possibilità è insita in un sistema di circolazione che è impostato sul riconoscimento della proprietà piena. Tali riflessioni riducono fortemente la portata attrattiva dell'ingresso del trust nel nostro ordinamento. Al di là della differenza nominale, se i rimedi previsti per il trust interno sono quelli del negozio fiduciario, non si vede quale sia la necessità di dare ingresso a tale strumento. Si riduce altresì la portata attrattiva di altri strumenti di articolazione del patrimonio, che al pari del trust, importano un fenomeno attributivo, come il negozio fiduciario. Quanto all'atto negoziale di destinazione disciplinato dall'art. 2645-ter del codice civile, esso si porrebbe quale dignitosa alternativa italiana al trust angloamericano, se si evitassero interpretazioni riduttive che ne mortificano in partenza la portata applicativa. La competitività rimediale della trascrivibilità del vincolo di destinazione risulta infatti soffocata da letture della norma che limitano l'oggetto della destinazione ai beni immobili e ai beni mobili registrati. Inoltre una lettura eccessivamente rigorosa del giudizio di meritevolezza, parametrato sul giudizio di pubblica utilità, oltre a paralizzare l'operatività di questo strumento negoziale, risulta controcorrente anche rispetto ai nuovi orientamenti volti ad alleggerire il giudizio sullo scopo che devono perseguire gli enti non lucrativi. Come si è detto la trascrizione del vincolo di destinazione, anche se rimedio forte, non è l'unico. A questo devono accompagnarsi altri rimedi che consentano, da un lato, l'attuazione qualitativa del vincolo, dall'altro la conservazione quantitativa del valore della destinazione 62 . Alcuni rimedi sono previsti per singole figure di destinazione ma destinazione, debba essere presente in tutti i casi in cui si voglia realizzare l'obiettivo di creare un vincolo che sia poi opponibile nei confronti dei terzi». 61 Per queste riflessioni, v. C. CACCAVALE, Il trust nella prospettiva notarile, in Riv. dir. priv., 2008, 213 e ss. 62 Per questa distinzione, si rinvia a M. BIANCA, Atti di destinazione e attuazione del vincolo, in Studi in Onore di Marco Comporti, a cura di S. Pagliantini, E. Quadri e D. Sinesio, cit., 199 e ss. non sono applicabili analogicamente. In questo senso deve ritenersi che la regola di parziale inalienabilità prevista per il fondo patrimoniale, in quanto regola speciale che deroga al principio di libera circolazione dei beni, non sia applicabile ad altre figure destinatorie. Inoltre l'inalienabilità, se valido strumento per le destinazioni statiche, si rivela strumento antieconomico per le destinazioni dinamiche che caratterizzano il settore finanziario. Proprio con riferimento all'art. 2645-ter del codice civile, deve rifiutarsi quella costruzione giurisprudenziale che ritiene che la norma valga a scardinare il disposto dell'art. 1379 del codice civile, soluzione che conduce ad individuare automaticamente in ogni vincolo di destinazione anche un vincolo di inalienabilità 63 . Altri rimedi esprimono invece un principio generale, applicabile ogni qual volta sia presente un vincolo di desti nazione di beni. Portata generale deve attribuirsi al meccanismo della surrogazione reale che consente la conservazione del vincolo anche in caso di alienazione o distruzione dei beni oggetto della destinazione. L'art. 2645-ter contiene uno specifico riferimento alla tutela qualitativa del vincolo di destinazione, là dove stabilisce che «i beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per il fine di destinazione», stabilendo perciò, anche se implicitamente, che utilizzazioni non conformi alla destinazione non sono consentite. Tale regola risulta complementare con quella parte della disposizione che accorda «al conferente e a qualsiasi interessato, anche durante la vita del conferente stesso, azione per la realizzazione degli interessi destinatori». La genericità della formula rinvia alla disciplina codicistica dell'onere, in cui viene stabilito che per l'adempimento dell'onere può agire qualsiasi interessato, anche durante la vita del donante stesso (art. 793, comma 3, c.c.). Analoga regola viene posta con riguardo all'onere testamentario (art. 648, comma 1, c.c.). Nel tentativo di individuare i rimedi attribuibili per la realizzazione della finalità destinatoria, deve tuttavia rilevarsi che la disciplina civilistica dell'onere, oltre a porre il problema della distinzione causale tra le due figure 64 , non é applicabile all'atto di destinazione in quanto la disciplina rimediale dell'onere è limitata alla nullità per impossibilità originaria dell'onere o alla risoluzione per inadempimento 65 . All'azione concessa a tutela della finalità destinatoria dall'art. 2645-ter deve invece attribuirsi una tutela più ampia volta a contrastare atti che comportano una significativa deviazione dalla finalità impressa al patrimonio. Così deve ritenersi che la tutela della destinazione ricomprenda una gamma di strumenti, dal risarcimento del danno, all'esecuzione in forma specifica, all'azione di riduzione in pristino nell'ipotesi in cui sul bene oggetto della destinazione siano state realizzate opere che impediscono l'attuazione della finalità destinatoria 66 , alla restituzione delle somme che sono state devolute per uno scopo particolare. L'estensione degli strumenti a tutela della destinazione importa tuttavia una necessaria circoscrizione dei soggetti legittimati ad agire. Deve ritenersi che la formula «qualsiasi interessato», formula che già ha trovato una delimitazione con riferimento 63 Per questa soluzione, v. Trib. Reggio Emilia 23-26 marzo 2007, con nota critica sul punto di A. MORACE PINELLI, Tipicità dell'atto di destinazione e alcuni aspetti della sua disciplina, in Riv. dir. civ., 2008, II, 451 e ss. 64 V. al riguardo ampiamente LA PORTA, Destinazione di beni allo scopo e causa negoziale, Napoli, 1994, 50 e ss. Sulla insufficienza dello schema della donazione modale a dar conto di ipotesi particolari di promesse per finalità di solidarietà, v. le interessanti riflessioni di MOROZZO DELLA ROCCA, Il contratto gratuito a scopo di beneficenza, in Giust. civ., 2000, 189 e ss. 65 V. R. RASCIO, Destinazioni di beni senza personalità giuridica, Napoli, 1971, spec. nota 43. 66 V. in questo senso M. BIANCA, L'atto di destinazione: problemi applicativi, cit., 1179.
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