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Bianco e nero. Storia dell'identità razziale degli italiani di Gaia Giuliani, Cristina Lombardi-Diop, Appunti di Antropologia

Il volume ricostruisce la storia culturale e politica dell'identità razziale degli italiani dal periodo unitario al boom economico, passando per il fascismo e il dopoguerra. Esso unisce la ricerca e le competenze di due studiose italiane di formazione diversa e complementare: muovendo entrambe dagli studi culturali, dagli studi critici su razza e bianchezza e dagli studi di genere.

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 20/08/2018

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veronica-grazioli-1 🇮🇹

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Scarica Bianco e nero. Storia dell'identità razziale degli italiani di Gaia Giuliani, Cristina Lombardi-Diop e più Appunti in PDF di Antropologia solo su Docsity! Bianco e nero, storia dell’identità razziale degli italiani, Giuliani e Lombardi-Diop Introduzione Il colore non ha un valore neutro. Il bianco esiste nella definizione dell’altro. Colore/razza=costruzioni storiche che dipendono da genere, sesso, etnia, dislocazione territoriale. Bianchezza=costruzione social e culturale che il gruppo dominante pone in essere mediante un processo in cui esso ‘razzilizza’ se stesso o si impone come neutro nei confronti di altri soggetti che esso definisce neri. Capitolo 1: analisi delle teorie politiche sul razzismo, la letteratura scientifica e la legislazione in materia di emigrazione con lo scopo di tracciare i diversi processi di autorazzializzazione nel discorso pubblico. Whitness studies= in rapporto ai black studies, critical race theory, ethnic studies, gender studies… Fanon: lo studio della bianchezza diviene dirimente nell’analisi delle forme del privilegio e del dominio culturale e razziale. Opera di Fanon=disarticolazione non solo degli stereotipi associati al corpo nero, ma anche dell’assunzione acritica e naturalizzata di quegli stereotipi. Nel nodo della relazionalità tra rappresentazioni razziali, Fanon ha riconosciuto una sorta di dialettica sospesa per cui al riconoscimento del servo (nero) nei confronti del signore (bianco) non corrisponde il riconoscimento del del signore verso il servo; laddove nerezza è visibile, bianchezza si rende visibile, assente come polo dispensatore di riconoscimento. Esigua presenza continentale di studi che includano la bianchezza come fattore rilevante nella costruzione dell’identità nazionale dipende generalmente dalla riluttanza all’uso della categoria ‘razza’ come costrutto euristico in grado di svelare i processi e le forme dell’articolazione dell’identità nazionale, locale, comunitaria nel corso dell’ultimo secolo. Guillaumin: razzializzazione autoreferente=rivolta verso il sé e tipica dei sistemi di razzializzazione legati all’aristocrazia, al potere, all’ereditarietà del sangue. Razzializzazione eteroreferente=tramite la razzializzazione dell’Altro, effettua un’occultazione dell’identità razziale del Sé. Tipica delle società borghesi ed egualitariste. Pierre-André Taguieff=autorefenzialità legata allo sterminio, basato sulla supremazia dell’identità del Sè e sulla necessità di eliminare l’Altro al fine dell’autopreservazione. Eteroreferenzialità=sfruttamento, tipico del colonialismo, ma presente anche nelle nuove immigrazioni. Rappresentazione razzializzata e classica del Meridione come povero e non-bianco nell’Italia liberale. “Mediterraneità bianca”/“mediterraneità nera” per la costruzione dell’italianità. Questione della razza in Italia: è stata oggetto di diniego per 1. tendenza comune europea del rifiuto del termine ‘razza’, politicamente ed eticamente tarato; 2. ragione che deriva dalla particolare storia dell’Italia nelle colonie liberali e fasciste e durante il varo delle leggi razziali. Occultamento del rapporto tra cultura italiana e consapevolezza delle proprie forme di razzismo: non ha lasciato spazio all’analisi che interrogasse le forme di autorappresentazione degli italiani e allo studio delle genealogie, continuità e discontinuità. Non vi è stato spazio nemmeno l’indagine del rapporto tra costruzione razziale del Sé e costruzione di genere. Intreccio norma sessuale razziale che ha che fare con la creazione del concetto di bianchezza e il fenomeno di nazionalizzazione delle donne italiane e della loro immissione all’interno del corpo simbolico e politico della nazione in difesa della purezza razziale. Il razzismo italiano dipende dalla relazione tra modernità, pratiche di esclusione e dominio fondati sulla razza. Razzismo italiano: teoria delle due razze (nord e sud); pur frantumando l’ideale di un’Italia unita, servirà porre il sud nel nuovo sistema economico e politico relegandolo in una condizione di subordinazione coloniale che ha effetti significativi ancora oggi. Tutt’altro che immune a quella peculiare modalità di nazionalizzazione per contrasto, consistente nell’etnicizzazione dell’alterità di popolazioni subalterne, il processo di formazione dello Stato nazionale italiano si era fondato su di essa. Mito degli “italiani brava gente”=descrive l’esperienza coloniale italiana come mite, più simile ad un’impresa umanitaria che ad un’azione di conquista, e pertanto “non razzista”. Mito che poggia sulla contrapposizione critistianesimo-paganesimo anticristiano/disumanizzante. Recente storiografia della razza: ha colto una continuità/discontinuità del discorso razziale tra periodo liberale e Regime, tra diversi campi discorsivi e disciplinari, come l’antropologia, il discorso giuridico… Barbara Sòrgoni mostre le attribuzioni al ruolo della sessualità delle donne italiane in colonia, considerate vessilli di prestigio e funzionali alla protezione della purezza della razza, al contrario delle donne colonizzate, donne viste come oggetti sessuali. Rapporto interiorizzazione razziale/sessuale=costruzione della mascolonità. Il libro esamina l’eredità di quello che è stato definito ‘razzismo italiano’, ossia l’intreccio tortuoso e complicato, storicamente contestualizzato e originale in sé, di stereotipi, discorsi, teorie, immaginari che ha preso vita in Italia dando corpo ad una serie di pratiche e discorsi sia a livello popolare che istituzionale. Le tesi arianiste rimangono minoritarie al panorama del razzismo italiano, soprattutto se confrontate col razzismo mediterraneista fatto dal Fascismo e prevalente nonostante approcci più arianisti sino al ’36. Teorie arianiste=screditate sul piano scientifico, furono quelle che subirono più di ogni altra dottrina l’aberrazione pubblica. Unico riferimento al concetto di razza all’interno della nostra Costituzione è l’articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione…”. Nelle rappresentazioni razziste sono spariti i termini stirpe e razza: il primo usato dai mediterraneisti alle cui teorie male si adattava la solidità de termine razza; il secondo, a cui si rifà l’idea di purezza, era usato per fondare l’intera distinzione tra razza superiore ed inferiore. Entrambi estromessi per ragioni diverse: razza è bandito dal discorso pubblico sulle differenze tra i gruppi, in linea con la sensibilità dell’EU; il secondo è troppo fascisteggiante. In Italia, il Sud è considerato l’Altro dal Nord progressista e moderno. Rinascita del razzismo nella sua forma culturista=nuovo modo di concepire il rapporto tra natura, cultura e società. Capitolo 1: l’italiano negro. La bianchezza degli italiani dall’Unità al Fascismo Introduzione Prima sezione che si sofferma sulle divergenze tra età liberale e Fascismo, al fine di cogliere la peculiare costrizione storica dell’italianità intesa come bianchezza. Anni dall’unificazione alla legislazione coloniale del ’36-’37. Costruzione della bianchezza che prende vita nella fase storica che si chiude nel ’36-’37 come inespressa per posizione secondaria che l’aggettivo bianco ha occupato nella caratterizzazione dell’italianità: Mussolini ne faceva uso in modo esplicito, la bianchezza non era mai invocata s non associata al carattere mediterraneo. Declinazione di bianchezza=erede dei mediterraneisti. Sia i mediterraneisti che gli ariansti usavano un linguaggio usato sia per descrivere il suddito del nuovo stato italiano, sia l’uomo ‘nuovo’ fascista che non privilegiata la bianchezza come elemento identitario, era solo esplicitata. Non che la questione della razza fosse meno radicata, ma perché essa venne riarticolata a partire da esigenze storiche, culturali, geopolitiche. Identità razziale italiana che emerse come risultato che descriveva il sé per mezzo di contrasto. Italia liberale- Fascismo: in come non hanno tanto in contenuto dell’identità razziale, ma il processo che lo produce: la razzializzazione eteroreferente che sembra prevalere in epoca liberale e fascista opera mediante l’identificazione dell’alterità mediante cui produce per contrasto l’ambito simbolico in cui si dà l’intensificazione discorsiva degli italiani in una razza e nella sua diramazione. Declinazione dell’italianità in termini di appartenenza alla razza bianca prima che l’antisemitismo divenisse dottrina di Stato (’38). Obbiettivo della teorica: analizzare le scelte discorsive e le articolazioni simboliche che nei primi anni ’70 dall’Unità assegnarono un preciso colore a particolari settori e strati sociali presenti in una rea della penisola. Si vedrà come il carattere celebrativo delle mescolazione, da un lato e dall’altro, la costruzione della mediterraneità come contrappunto alle tesi arianiste sviluppare e sostenute da alcuni scienziati e personalità politiche sia italiane che nordeuropee: è ciò che sta alla base di una costruzione dell’identità razziale degli italiani. Discontinuità discorsive esistenti tra fase liberale e fascista, sezione che s concentra sulla rappresentazione della bianchezza italiana nell’età liberale, come il risultato di una elisione simbolica dei meridionali dalla rappresentazione razzializzata della società nazionale e sullo spostamento semantico di stirpi italiche. Concetto di stirpe italica, nello spostare e posizionare la nerezza fuori dai confini nazionali, ebbe la capacità di fissare il significato di italiani-come- mediterraneità così da distinguerla dall’identità razziale dei colonizzati, facendo appello alla Soggetto coloniale-immagine del colonizzatore: quadro in cui il classicismo imperiale, unito al nazionalismo e alla missione civilizzatrice, all’accorata celebrazione nazionale dei morti nella battaglia di Dogali e Adua e delle vittorie sulla resistenza indigena. Forti auspici di fondere in Eritrea, o nelle colonie, tutti i disparati dialetti d’Italia, come in un crogiolo purificatore. Non vi è dubbio sul ruolo giocato dalla tensione imperialista e del collante patriottico da essa prodotto nel favorire una progressiva integrazione degli strati sociali più marginali nello Stato e nella politica. Metafora dell’appartenenza biopolitica del popolo combattente alla madrepatria=consolidata nel Risorgimento durante la prima guerra. Liquidazione delle diversità interne operata dal discorso nazionalista e imperialista, in colonia come in madrepatria permanevano le linee di divisione che identificavano “le molteplici Italie” difficilmente metabolizzabili in un unico corpo omogeneo. L’italianità era quella di chi, particolarmente dopo il trauma della sconfitta di Adua (1896) nell’età giolittiana del consolidamento del nazionalismo, aderiva al modello intellettuale o soldato militante per la patria. Missione di avveramento della civiltà italica assegnata allo stato unitario e coloniale in modo chiaro in un’opera di Oriani: “L’Europa che per tre secoli si è rovesciata sull’America creandola, ora per me sull’Africa e punta sull’Asia per aprirle. La razza bianca disputa il terreno alle razze inferiori chiamandole alla propria civiltà: quelle che non tutte rispondono sono condannate, quelle che resistono saranno distrutte. Auspicio all’ingresso trionfale e riconosciuto dell’Italia nell’alveo della razza bianca consta di due tappe: da un lato la costruzione nazionale dopo un periodo di decadenza e di decaduta immagine agli occhi delle altre potenze europee, dall’altro la vittoria sulle popolazioni inferiori e la conquista dell’Africa, ‘storicamente romana’. Bianchezza=europeità-che-esce-da-sé e costruita come superiorità razziale e storica dell’europeo, e dunque del nuovo italiano costituitosi in nazione nei confronti della nerezza. La nerezza deve essere vinta, assoggettata, perché la civiltà bianca occupi la storia Nerezza=quella degli africani che devono comprendere la superiorità dei bianchi. Costruzione dell’identità nazionale mediante un processo eteroreferente che aveva il ruolo non secondario di una riabilitazione della parte sana dell’Italia che relegasse l’estraneità all’Europa ad una sezione ben definibile della società italiana. Tesi arginaste del tempo: concezione legata al positivismo e al razzismo, ma anche alla produzione di immaginari dal 1700. Separazione buoni e cattivi e ricongiungimento dei primi alla cultura borghese dell’EU centrale e settentrionale, permetteva ai teorici e ai politici antimeridionalisti e agli arganisti di spostare la linea del colore che questo discorso tracciava sino ad includere se stessi all’interno dei confini europei. Natura elitaria/europeista del discorso sulla nazione e sulla razza venne messa in discussione dai nazionalisti come Alfredo Rocco, la cui analisi poneva al centro la necessità della costruzione di un’Italia sociale, politica, simbolica, privata dalle troppe fratture regionali e sociali che caratterizzavano tanto la realtà italiana quando il discorso risorgimentale. Tradotta in teoria politica dal partito nazionalista: concezione nazionale della razza (nazione espressione della razza e di una sola). Nel discorso fascista, l’impero non è più espressione di nazione, ma è strumento della razza. Tale fantasia imperiale saldava insieme mito della romanità, unità di popolo, imperialismo popolare, superiorità razziale ed impresa militare-coloniale. E bianchi siano. L’uomo nuovo fascista e l’inclusione del Meridione Prima fase postunitaria l’unificazione culturale e razziale era caratterizzata da una visione piramidale ed elitaria. Ciò era il diritto prodotto di quell’encampment totalitario che considerava il Regime l’espressione più alta della nazione. Il contributo peculiare che il Fascismo diede all’unificazione antropologica degli italiani consistette nella costruzione e nella diffusione di un idealtipo negli ambienti del nazionalismo conversatore e che avevano il proprio perno nelle posizioni ruraliste. L’ideologia aveva come obbiettivo quello di conciliare a livello simbolico le molte Italie che esistevano all’interno dei confini nazionali. Mussolini: “Il fascismo deve volere che dentro i confini non vi siano più veneti, romagnoli, toscani, siciliani, sardi: ma italiani, solo italiani”. Ciò non significa che essa risolse la questione meridionale, come sottolineò Gramsci, ma piuttosto che essa veniva ribaltata a livello simbolico, in modo tale non solo da includere il Meridione una da trasformarlo addirittura nell’elemento costitutivo dell’uomo nuovo. In tal modo il Regime non solo chiudeva pubblicamente la partita della degradazione di un elemento glorioso del Popolo italiano, giungendo in taluni casi addirittura a definire i detrattori degli italiani del Sud come ‘antipatriottici’, ma lo faceva mediante una costruzione discorsiva su un progresso e conservazione che accoglieva la diversità meridionale, la naturalizzava e valorizzava. Equilibrio tra esaltazione del progresso tecnologico e industriale celebrazione del ruralismo si giocava sul filo della rispettiva funzionalità di due discorsi: 1. alla battaglia nazionale e nazionalista per divenire potenza mondiale; 2. alla costruzione del modello italiano, l’antidoto contro la corruzione urbana, come testimoniano le pellicole del regime. Idea di urbanizzazione che aveva corrotto i costumi e l’ordine sociale tradizionali era assai diffusa tra gli ambienti conservatori e di un certo nazionalismo e connetteva l’urbanizzazione alla confusione dei ruoli di genere e ala perdita di virilità: essa incarnava gli elementi de-mascolizzazioni della modernità che corrispondevano alla regressione effettiva dell’essere umano dal punto di vista dell’evoluzione della specie. Articolazione che segna il fine del Fascismo e il superamento dei suoi sentimenti anti-tradizionali, anti-matrimoniali, futuristi ed anarcoidi per privilegiare sin dal programma del PNF, la continuità con la tradizione virilista del nazionalismo conservatore: la saldatura con quest’ultimo determina la necessità di una traduzione della rivoluzione fascista nelle campagne e la sua assunzione nell’antico modello rurale feudale di moralità. Tale riarticolazione, antimodernista, legata al discorso ‘800esco della virilità dominatrice della natura ed esaltatrice della modernizzazione vs quella cattiva e borghese: politica urbana finita; al via con la battaglia del grano. Essa avviene attraverso la mediazione intellettuale di esponenti del mondo accademico e politico come Corrado Gini, la cui influenza suggella un’idea composita di mascolinità che viene a costituire il fondamento tesso dell’idea di virilità alla base dell’italianità fascista. Virile/orgoglioso della patria, del Regime e della propria storia in quanto popolo, l’uomo nuovo fascista non può in alcun modo autorappresentarsi come ‘miserabile migrante’ supplicante un’occasione di riscatto e al contempo rifiutato alle frontiere delle grandi potenze: è necessaria una risignificazione dell’esperienza dell’emigrazione di massa e la diffusione tra i migranti tra le popolazioni rurali e del Sud, di una più forte identità nazionale, mediante una loro adesione forte al progetto nazionale e imperiale fascista. I migranti devono considerarsi mezzi di irradiazione delle idee e dei prodotti nazionali e l’emigrazione parte integrante della politica estera italiana. Obbiettivo della cosiddetta <<valorizzazione>> dell’emigrazione coerentemente al progetto esplicitato da Mussolini sino al 1921. Al mondo rurale venne assegnato il ruolo di produrre le braccia di cui la nazione abbisognava per rafforzarsi sia in tempo di pace sia in tempo di guerra, per riprodurre la ‘rivoluzione fascista’ e per creare e sostenere l’impero; esso avrebbe poi ispirato i giusti costumi sessuali, famigliari e sociali all’intera popolazione, in linea con quel cattolicesimo conservatore la cui influenza sul Regime sarebbe stata significativa in riferimento alle questioni di genere, riproduttive, sessuali. Dislocazione delle popolazioni verse le zone rurali=strumento dei ricostruzione di colonie interne, fucina umana da cui originare una razza di italiani selezionati e testati per produttività e fertilità. Ciò che creava l’uomo nuovo=stirpe proletaria, maschia, rivoluzionaria e patriottica, dove il colore non è menzionato esplicitamente. In tal senso, la contrapposizione dei modelli maschili fascisti al vile borghese incarnatosi nell’individualismo dell’età liberale, vi è una continuità nell’identificazione razziale di Fascismo e periodo liberale: né le strategie di sbancamento degli italiani poste in essere da quest’ultimo, né quelle fasciste, se non in caso eccezionali. Processo di sbiancamento in riferimento all’età liberale si intende qui come una strategia discorsiva che, evitando il nome del colore del gruppo dominante, dell’élite e delle classi dirigenti del Paese, lo deduce mediante l’etichettamento dell’Altro interno come scuro/nero. Bianchezza inespressa come risultato di neutralizzazione dell’identità razziale del popolo italiano. Nel dibattito del tempo non vi è chiaro riferimento del colore. Come durante il Fascismo la bianchezza non aveva a che fare con il fenotipo, ma traduceva in colore una precisa idea di cittadinanza, un’eredità culturale e/o storica, e precise posizioni di classe, geografiche e di genere. Mussolini: “la razza italiana sarà il popolo italiano nella sua espressione fisica”. Differenza sostanziale risiedette piuttosto nella definizione del soggetto politico che incarnava la bianchezza: nell’Italia liberale, la linea del colore che divide i veri italiani dalle popolazioni meno- bianche separava la piccola borghesia urbanizzata dalle popolazioni rurali e dai colonizzati connotando il processo di sbancamento nei termini dell’esclusione massiccia dei settori della popolazione unificata o della loro inclusione differenziale mediante la sottoposizione unificata o della loro inclusione differenziale mediante la sottoposizione al controllo disciplinassero dello Stato e dell’economia di mercato. Il Fascismo operò una strategia oppositiva nero/bianco, dove il colore nero veniva ad essere collocato al di fuori dei confini nazionali, e più precisamente nelle colonie. Contrapposizione nero/bianco non tanto coi libici, che erano molti studiosi considerati appartenenti, insieme ai berberi, alla razza caucasica, ma soprattuttocon etiopi ed etrei, rispetto ai quali veniva stabilita una più forte tensione tra prossimità e superiorità degli italiani in quanto bianchi. Ciò consentì al Fascismo di sbiancare il nero-interno e includerlo nel soggetto politico razzializzato del popolo fascista, secondo un processo di ‘educazione all’italianità mediante la cittadinanza imperiale’. Il Regime si collocò in linea con la preoccupazione di molti politici, intellettuali e scienziati liberai, i quali sentivano l’urgenza di sistemare la bianchezza dei meridionali emancipandoli dalla loro arretratezza, mediante un modello di Stato accentrato e capillare: per il Fascismo, l’immagine dell’Italia doveva coincidere con quella di un Paese prospero e uno Stato-nazione completo, in grado di sedersi al tavolo delle grandi di potenze mondiali da commensale e da cameriera. Non solo, l’Italia poteva aspirare ad essere per ‘la quinta volta’ nella storia l’avanguardia dell’umanità verso la grandezza e lo splendore imperiali. Sbiancamento necessario del suo ‘nero interno’, attraverso cui cancellare le prove dell’inferiorità razziale dei meridionali, doveva avvenire sia dal punto di vista simbolico/politico. Legittimazione discorsiva di questo processo di inclusione avvenne all’interno dell’articolazione discorsiva di una forte identità razziale, costituita da due componenti dell’italianità e della mediterraneità. 1934, discorso di Mussolini: il Meridione, fieramente mediterraneo e dunque summa della bellezza e ricchezza storica e culturale, spirituale e nazionale, doveva trovare queste sue virtù espresse e rinvigorite dal Fascismo, impegnato nell’opera di avveramento della nazione e del carattere nazionale. Teorie di Pende; si rifanno al darwinismo sociale di Spencer e Galton (antropologia criminale lombrosiana). Modello eugenetico teorizzato da scienziati e medici come Patellani, così come ogni concezione strettamente o esclusivamente genetica del comportamento umano. Le loro teorie privilegiavano la nozione di influenza contestuale, lasciando spazio all’intervento benefico dello stato sulle condizioni e sui fattori alla base della degenerazione sociale. Teoria di Sergi che opponeva la razza italica a quella ariana, la quale aveva invaso, secondo Sergi, esclusivamente Nord Eu e Nord It, la Grecia e la Spagna e che era essenzialmente ‘barbara’. Teorizzazione che avrebbe fondato la razziologia fascista sino all svolta arianista, testimoniando altresì lo stretto rapporto che la legava alle articolazioni razziali positiviste dominanti durante il periodo liberale. “La razza italica è e deve rimanere una razza mediterranea, nonostante gli incroci numerosi nel corso dei millenni con stirpi di altre razze…” Mescolanze; visione dell’italianità che inaugurava la sottile distinzione tra stirpe e razza che avrebbe concesso alla seconda di fungere da termine unificante delle differenze interne e divenire a capo dei localizzi e che avrebbe costruito simbolicamente quell’unità biologica di popolo che altresì essenziale all’idea totalitaria di una nazione organica. Essa avrebbe radicato tale coesione in un passato glorioso sui cui valori ancestrali sarebbe stata fondata l’architettura sociale, preservandola così da quell’eccesso di civilizzazione e progresso di cui il Regime aveva timore. Riferimenti all’appartenenza razziale degli italiani erano confusi e mescolavano definizioni eteroreferenti rispetto a razze considerate non italiche su base nazionale o per ceppo bioculturale, ma bianche, o rispetto alle differenze fonetiche e di colore nel caso di ebrei, africani, asiatici. Labirinto teorie razziali che emerse con il Regime che si rifletteva nella molteplicità delle posizioni teoriche espresse nella Penisoa: un prova ne è l’acceso dibattito sulle nozioni di separazione/vicinanza tra le razze/stirpi eu e mediterranee e sulla risultante generativa/ rigenerativa del contatto tra esse. Modello imperialista e razziale inclusivo, contrapposto alle dottrine arianiste e all’eugenetica negativa degli imperi britannico-francese: coerenti con le posizioni del Regime sullo scacchiere internazionale. Rispetto a tale inquadramento dell’unità biologica degli italiani, costruzione pendiana produrre 2 spostamento teorici verso una sistematizzazione dell’identità razziale più coerenti dal punto di vista scientifico e politico. Razza italica=risultato dell’incrocio tra influenze razziali mediterranee mediante i seguenti passaggi: influenze collocate in passato glorioso che le distingueva/identificava come biologicamente e storicamente superiori a quelle che ne erano confini territoriali della madrepatria, ma anche quella irrealizzabile come tale, a causa di una serie di fattori temporali, demografici, territoriali e legati alle forme di resistenza armata organizzata. Esperienza coloniale italiana trasformata in una forma particolare di settler che non poteva strutturasi a partire dall’eliminazione del nativo. Logica dell’eliminazione che consentiva alla potenza colonizzatrice, grazie allo spossamento territoriale del nativo, il trasferimento dalla sovranità sul territorio colonizzato e rivendicare l’’indigenità, l’idea di impero che permaneva ad innervare il colonialismo italiano. Nonostante i massacri al gas nervino, le deportazioni, le stragi che corrispondevano alla strategia fascista di addomesticamento degli indigeni e distruzione della resistenza, l’eliminazione fisica del colonizzato non era l’obbiettivo principale. Era accidentale. Assegnazione di barbarie, caratteristiche animali, inferiorità genetica=non aveva la funzione di stabilire un’opposizione binaria che desse agli italiani come l’unica razza umana nella colonia. Ne è la prova la relazione con gli eritrei e gli abissini. Razzismo sviluppato nella colonia tedesca nel 1911 e durante il Nazionalsocialismo= l’eliminazione di ciò che era non-umano o sub-umano era elemento del superassimo bianco. La logica dell’interiorizzazione che innervava il colonialismo italiano e la corrispondente identità razziale può produrre una quantità di violenza simile o eguale a quella prodotta dalla logica dell’eliminazione, incarnata nelle esperienze di colonialismo settler. Differenza dal prevalere di uno o dell’altro fenomeno razzista che consiste nel modo in cui i concetti razzializzati del Sé e dell’Altro vengono articolati e agiti e come in quale misura la costruzione simbolica dell’Altro influenza il sé. Idea di Sé bianco=prodotto diretto dell’interiorizzazione dell’Altro coloniale. Politica dell’identità fascista radica nell’esigenza di far emergere le stirpi italiche dal mosaico razziale che popola il Mediterraneo. Rivendicazione della bianchezza. Nazione=prodotto del popolo e del Regime, che era espressione della stirpe italica: il Fascismo era titolare della missione storica che voleva il compimento del progetto unitario di continuità razziale degli italiani e coerenza storica della nazione con il passato di Roma, del Rinascimento e del Risorgimento. Il Fascismo e Mussolini rivendicavano di aver trasformato l’Italia da un insieme di popolazioni arretrate, incapaci in una nazione imperiale per ‘la terza volta’. E l’italiano negro divenne ariano Discorso di Mussolini, 1938, consiglio del PNF: Noi italiani siamo ariani di tipo mediterraneo, puri. Quando un popolo prende coscienza della propria razza, la prende in confronto a tutte le razze. Perché l’impero si conservi bisogna che gli indigeni abbiano nettissimo il concetto della nostra superiorità. Paradigma della mediterraneità in contrapposizione bianco-nero, rifiuto dell’arianismo germanista, mito romano, spauracchio dello stereotipo anti-italiano. Manifesto degli scienziati razzisti: gli italiani sono ariani e puri, probabilmente per il loro isolamento nelle campagne, non sono superiori solo ai neri, ma anche ai semiti; viene rotta la fratellanza razziale tra le due sponde del Mediterraneo. Passaggio=cesura con quella che era la tendenza anti-arganista e avversa dell’antisemitismo tedesco, maggioritaria nel PNF. Costruzione discorsiva della razza italica che cessa di essere per contrasto o eteroreferente e diventa autoreferente, afferma la superiorità a tutte le razze. Identità razziale italiana=definita mediante il paradigma della purezza, dell’omogeneità. La romanità cessa di essere riferimento. La romanità, come la nazione, si assicurano longevità e forza solo nello svelarsi legate all’identità razziale. Legislazione coloniale in materia di relazioni razziali, ’36-’37: preannuncia tale svolta, imprimendo un cambio di direzione sostanziale al modo di concepire prossimità-differenza di cui il discorso razziale si era nutrito sino alla dichiarazione dell’impero. Posto il modanato fuori legge, imposta la segregazione razziale, riformata la materia giuridica dei bimbi mezzosangue, in termini di negazione della loro italianità e cittadinanza, in senso rescritto e ostile nei confronti dei meticci, la volontà che emerge è quella di stabile una distanza simbolica, politica e militare verso i popoli colonizzati. Emblematica la nomina a Graziani come vicerè dell’Africa Orientale. Classico fascista. Seppur il linguaggio della legislazione coloniale non menzioni l’appartenenza degli italiani alla razza ariana, il passaggio da una concezione razziale che definisce gli italiani in modo, eteroreferente ad una concezione autoreferente, evidente dall’esclusivismo e dal rifiuto del meticciato come prova di virilità per il colonizzatore italiano o della sua capacità civilizzatrice e di espletamento della missione demografica. Uomo e donna italiani non sono contaminati da elementi anti-semiti o camiti e l’esistenza di un italiano di pelle nera è inammissibile. Italiano=europeo, occidentale, mediterraneo. Articolazione dell’italianità nordica e arianista. Discorso del ’38: Mussolini si trova a difendere la continuità razziale quando è evidente la cesura soprattutto in riferimento all’antisemitismo del nuovo paradigma. Si pensi al discorso in memoria al patriota ebreo Sarfatti, all’adesione ben vista al Fascismo di importanti figure ebree. Lo stesso Mussolini alluse con alcuni leader sionisti alla possibilità di fungere da mediatore tra Hitler e la comunità ebraica internazionale. Mussolini ci conduce ad una dichiarazione della natura costruita e dell’interpretabilità delle dottrine razziste e dell’identità razziale degli italiani. Razzismo fascista del Manifesto=ripudiato senza un dibattito. Il rifiuto del razzismo come pilastro fondante della nuova Repubblica, coincise con il rifiuto delle dottrine arianiste. Poi la memoria storica venne sospesa. Riflessione sul colonialismo e sul razzismo coloniale che si vestirono della teorica della democratizzazione delle ex colonie senza una critica profonda del portato razzista della stessa idea di civilizzazione coloniale o postcoloniale. Non vi fu disamina delle radici culturali del razzismo mediterraneo che innerva ancora oggi nella nostra cultura.
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