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Biennio Rosso e Fascismo: Il Dopoguerra in Italia, Sintesi del corso di Storia

Sintesi efficacie per un'immediata comprensione di storia sul periodo successivo alla Prima Guerra Mondiale. Biennio Rosso e Fascismo. Preso spunto da "Lo spazio del tempo"

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 25/03/2021

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matteorotundo_ 🇮🇹

4.4

(21)

146 documenti

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Scarica Biennio Rosso e Fascismo: Il Dopoguerra in Italia e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! L’ITALIA: DOPOGUERRA E FASCISMO 1. LE TENSIONI DEL DOPOGUERRA L’Italia, uscita vincitrice, si trovò ad affrontare gli stessi problemi degli altri stati, problemi politici e tensioni sociali, ma in modo più acuto perché: le strutture economiche erano meno avanzate, vi erano più ampie sacche di arretratezza, le istituzioni politiche erano meno radicate. Vi era stato un rapido avvicinamento delle masse allo stato. Vi era un’assuefazione alla violenza che portava alla tendenza a risolvere le questioni con atti di forza. L’Italia usciva dalla guerra unita da una generale ansia di rinnovamento che voleva saltare le mediazioni politiche e spostare il centro delle lotte dal Parlamento alle piazze. Le tensioni sociali erano legate all’aumento dei prezzi. Fra giugno e luglio 1919, vi furono tumulti contro il caro-viveri, nelle industrie ci fu un’ondata di scioperi per ottenere aumenti salariali. Anche nel settore dei servizi pubblici vi fu una lunga serie di astensioni dal lavoro. Molto intense furono anche le lotte dei lavoratori agricoli: le leghe rosse puntavano alla socializzazione della terra, le leghe bianche allo sviluppo della piccola proprietà contadina. Nelle campagne del Centro-sud si assisté all’occupazione di terre incolte da parte di contadini poveri, spesso ex-combattenti. Una cattiva gestione della trattativa di pace agitò la scena italiana. Nonostante avesse ottenuto le terre irredente, raggiunto i confini naturali, visto sparire il nemico storico (Impero asburgico), la nascita del nuovo stato jugoslavo causò dei problemi in quanto, secondo il patto di Londra (1915), l’Italia avrebbe dovuto ottenere la Dalmazia, striscia di terra a prevalenza slava. Alla conferenza di Versailles, Orlando e Sonnino, chiesero l’annessione di Fiume sulla base del principio di nazionalità ma incontrarono l’opposizione degli alleati. Questo insuccesso segnò la fine del governo Orlando. Il nuovo ministero fu presieduto da Francesco Saverio Nitti si trovò ad affrontare una situazione già deteriorata. Ovviamente questo causò sentimenti di ostilità nei confronti degli ex alleati e nella popolazione italiana che si sentiva defraudata dei frutti della guerra. 2. LA CRISI POLITICA E IL “BIENNIO ROSSO” Le prime elezioni (1919), mostrarono la gravità delle fratture politiche e sociali. Furono le prime elezioni col metodo di rappresentanza proporzionale: il confronto sarebbe stato tra liste di partito e non tra singoli candidati. L’esito fu: - i gruppi liberal-democratici persero la maggioranza assoluta; - i socialisti ottennero un successo clamoroso triplicando i seggi ottenuti in precedenza; - il Partito popolare italiano, fu la principale novità politica del dopoguerra. Il Partito popolare italiano (Ppi) fu fondato da don Luigi Sturzo. Riuniva le forze di ispirazione cattolica, non era espressione diretta degli interessi e delle istanze della chiesa, adottava un programma democratico, era appoggiato dalla chiesa che temeva la minaccia socialista. I due vincitori non potevano coalizzarsi tra loro quindi l’unica maggioranza possibile era quella basata sull’accordo fra popolari e liberal-democratici. Nel giugno 1920 il nuovo governo fu costituito da Giovanni Giolitti. Ottenne buoni risultati in politica estera: nel novembre 1920, con il trattato di Rapallo, con la Jugoslavia l’Italia conservò Trieste e tutta l’Istria, la Jugoslavia ebbe la Dalmazia. Fiume fu dichiarata città liberà (nel 24 verrà dichiarata italiana). Giolitti incontrò maggiori difficoltà nella politica interna. Il periodo tra l’estate e l’autunno del 1920 conobbe l’agitazione dei metalmeccanici che portò all’occupazione delle fabbriche. La vertenza vide contrapposti industriali e metalmeccanici guidati da dal più forte dei sindacati aderenti alla confederazione generale del lavoro (CGdL), la Federazione italiana operai metallurgici (Fiom). Fu la Fiom a dare il via alla vertenza con richieste economiche e normative. Ordinò, in risposta alla chiusura di alcuni stabilimenti, l’occupazione delle fabbriche a cui parteciparono molti operai. Tuttavia il movimento non sarebbe stato in grado di uscire dalle fabbriche. Prevalse quindi la linea dei dirigenti della CGdL: si ottennero miglioramenti salariali, aperture in tema di controllo sindacale. Tale esito fu favorito dall’iniziativa mediatrice di Giolitti che si mantenne in posizione neutrale. Sul piano sindacale fu una vittoria per gli operai, sul piano politico si sentì un forte sentimento di delusione. Al congresso del Psi (Partito Socialista Italiano) del gennaio 1921 a Livorno, la parte di estrema sinistra si stacco e diede vita al Partito comunista italiano sulle indicazioni dell’Internazionale comunista. L’occupazione delle fabbriche e la scissione del Psi porsero fine al “biennio rosso”. In questo quadro si inserì lo sviluppo improvviso del movimento fascista. 3. LO SQUADRISMO FASCISTA Il 23 marzo 1919 l’ex socialista rivoluzionario Benito Mussolini fondò i Fasci di combattimento. Il nuovo movimento si schierava a sinistra, chiedeva audaci riforme sociali e si dichiarava favorevole alla repubblica, ma nel contempo ostentava un acceso nazionalismo e una feroce avversione verso il Partito socialista. Svolse un ruolo marginare nella politica fino a che, tra il 1920 e il 1921, subì una rapida mutazione che lo portò ad abbandonare le iniziali iniziative radical-democratiche e a organizzare formazioni paramilitari (squadre d’azione) e a condurre una lotta contro il movimento socialista. Lo squadrismo fascista si sviluppò in primis nelle campagne, in modo che Mussolini potesse cavalcare l’onda di riflusso antisocialista seguita al biennio rosso. Il 21 novembre 1920 a Bologna queste squadre d’azione si mobilitarono per bloccare la cerimonia d’insediamento della nuova amministrazione comunale socialista. Per errore, i socialisti gettarono bombe a mano sui loro sostenitori; i fascisti colsero l’occasione per scatenare ritorsioni contro i nemici. Il movimento fascista vide affluire nelle sue file numerose nuove reclute provenienti dai proprietari terrieri, che scoprirono nei Fasci lo strumento capace di abbattere il potere delle leghe. In pochi mesi, lo squadrismo dilagò. 4. MUSSOLINI ALLA CONQUISTA DEL POTERE Giolitti cercò di sfruttare il movimento fascista per ridimensionare i socialisti e per assorbirlo nella maggioranza liberale. Nelle elezioni del maggio 1921 i fascisti, inseriti con conservatori, liberali e democratici nelle liste di coalizione, conquistarono 35 seggi alla Camera (guidati da Mussolini). Giolitti si dimise, lasciando il posto all’ex socialista Ivanoe Bonomi, che tentò di far uscire il paese dalla guerra civile proponendo un patto di pacificazione tra socialisti e fascisti. Questo rientrava nella strategia di Mussolini, che mirava a inserirsi nel gioco politico e temeva una reazione allo squadrismo. La scelta non era condivisa dai fascisti intransigenti, i ras. Essi sabotarono il patto e misero in discussione l’autorità di Mussolini. La ricomposizione si ebbe al congresso dei Fasci a Roma, in cui Mussolini sconfessò il patto, perchè non poteva rinunciare ai ras. Nasceva qui il Partito nazionale fascista. Il ministero Bonomi cadde nel 1922, mentre il governo di Luigi Facta non mise freno alla violenza fascista. In agosto, in risposta alla decisione dei sindacati degli operai di proclamare uno sciopero generale legalitario in difesa delle libertà costituzionali, i fascisti lanciarono una nuova offensiva contro il movimento operaio. Sconfitto il movimento operaio, si poneva il problema della conquista dello stato. Mussolini da un lato intrecciò trattative con gli esponenti liberali in vista della partecipazione fascista a un nuovo governo, rassicurò la monarchia sconfessando le simpatie repubblicane e si guadagnò il favore degli industriali con l’intenzione di dare spazio all’iniziativa privata; dall’altro lasciò che l’apparato militare fascista si preparasse ad un colpo di Stato. Prese corpo il progetto di una Marcia su Roma, con obiettivo la conquista del potere centrale. Il piano non avrebbe avuto successo se avesse incontrato una reazione da parte delle autorità. Mussolini contò sulla debolezza del governo e sulla neutralità della monarchia. Il 30 ottobre, dopo la Marcia su Roma, Mussolini venne formalmente ricevuto dal re, che si era rifiutato di firmare lo stato d’assedio per fermare l’avanzata delle truppe. La sera stessa il nuovo governo presieduto da Mussolini era pronto. 5. VERSO IL REGIME Salito al potere, Mussolini non disponeva una sua maggioranza alla Camera. Riuscì comunque a consolidare il suo potere grazie all’appoggio dei «fiancheggiatori», ovvero gli alleati cattolici e liberali che ancora non avevano compreso come il Partito fascista fosse incompatibile con i principi dello Stato liberale. E’ già alla fine del ‘22 che si ha la creazione di due organi incompatibili con i principi liberali: ● Gran Consiglio del Fascismo: per il raccordo tra direttive di partito e di governo; ● Milizia volontaria: corpo armato di partito; Dal punto di vista economico Mussolini avviò una politica di stampo liberista. Per questo motivo, il fascismo predica il ritorno alla campagna (scoraggiando -senza riuscirvi- l’afflusso dei lavoratori verso i centri urbani). In questo contesto, il fascismo esalta la funzione del matrimonio e della famiglia, che garantiscono stabilità e aumento demografico. Per incoraggiare l’aumento della popolazione, vengono aumentati gli assegni familiari dei lavoratori e vengono istituiti premi per le coppie più fertili. Il fascismo è inoltre contrario al processo di emancipazione femminile, per questo alle donne è ostacolato il lavoro. Sono comunque presenti strutture organizzative, come i Fasci femminili, le Giovani italiane e le Massaie rurali, che esaltano l’immagine della donna come angelo del focolare. Nel 1927 per conquistare il consenso delle classi lavoratrici, viene varata la CARTA DEL LAVORO, che però non riesce nell’intento, perché in questo periodo si registra un calo dei salari reali, che aumenta il malcontento dei lavoratori. Il fascismo ottiene maggior consenso dai ceti medi, più sensibili ai valori esaltati, come la nazione, la gerarchia e l’ordine sociale. PARAGRAFO 4: SCUOLA, CULTURA E INFORMAZIONE Il fascismo dedica particolare attenzione alla scuola, già ristrutturata con la riforma Gentile (1923). Mussolini si preoccupa di fascistizzare l’istruzione con la sorveglianza degli insegnanti, attraverso il controllo dei libri scolastici e l’imposizione di testi unici per le scuole elementari. L’università gode invece di una maggiore autonomia. Il regime fascista esercita un controllo soffocante sull’informazione e sui mezzi di comunicazione di massa. La sorveglianza sulla stampa è affidata ad un ufficio, trasformato poi nel Ministero per la cultura popolare. Ma Mussolini sottopone a controllo serrato anche la radio e il cinema. La radio, inizialmente è mezzo d’ascolto privato, ma poi si afferma come essenziale canale di propaganda. Anche il cinema viene sottoposto a un controllo elastico, dove vengono proiettate soprattutto pellicole con temi di propaganda. I cinegiornali rappresentano uno dei più importanti strumenti di propaganda di massa, perché sono capaci di attirare l’attenzione popolare, illustrando i trionfi del fascismo e del suo capo. PARAGRAFO 5: ECONOMIA E IDEOLOGIA In campo economico, il regime fascista propone un progetto corporativo, che comporta la gestione diretta dell’economia da parte delle categorie produttive, organizzate in corporazioni. Nei primi anni di governo, il fascismo adotta una linea liberista che incoraggia l’iniziativa privata, per poi inaugurare una politica protezionistica che impone l’aumento del dazio sui cereali. Infatti obiettivo del regime è quello di favorire la produzione nazionale di cereali. Il regime, attraverso la battaglia del grano, si propone di raggiungere l’autosufficienza nella produzione dei cereali attraverso l’utilizzo di tecniche e macchine agricole avanzate. Mussolini intraprende anche un’altra battaglia per la rivalutazione della lira, fissando l’obiettivo a quota 90, ossia 90 lire per una sterlina. L’obiettivo è quello di dare al mondo un’immagine di stabilità monetaria otre che politica. L’obiettivo viene raggiunto grazie anche ai prestiti concessi da banche americane, così i prezzi diminuiscono e la lira recupera il suo potere d’acquisto. A partire dal 1925, in Italia cominciano a farsi sentire le conseguenze della crisi economica mondiale. Le industrie e il settore agricolo sono in difficoltà e la disoccupazione aumenta. Il fascismo, a questo punto, per risollevare la produzione favorisce lo sviluppo dei lavori pubblici e poi stabilisce l’intervento diretto dello Stato nei settori in crisi. Vengono realizzate nuove strade, costruiti nuovi edifici e viene avviato un programma di bonifica integrale che porta al recupero delle terre incolte. Il programma di bonifica viene attuato solo parzialmente. L’intervento più incisivo dello Stato si registra nel settore dell’industria e del credito. Il governo istituisce un nuovo istituto di credito, l’ISTITUTO MOBILIARE ITALIANO, con lo scopo di sostituire le banche in difficoltà nel sostegno alle industrie. Successivamente viene creato l’ISTITUTO PER LA RICOSTRUZIONE INDUSTRIALE, che ha il compito di risanare le imprese in crisi. Lo Stato italiano diventa così stato-imprenditore oltre che stato-banchiere. Intorno agli anni 30, l’Italia esce dalla fase più acuta della crisi e il governo invece di approfittare del momento per rilanciare un processo di sviluppo, attua una politica di imprese militari che finisce per sottrarre risorse economiche allo Stato. Inoltre Mussolini intensifica la politica autarchica, che consiste nella ricerca di una maggiore autosufficienza economica, nel campo di prodotti e di materie prime indispensabili in caso di guerra. L’autosufficienza non verrà raggiunta e per l’Italia si apre un periodo di economia di guerra che si prolungherà fino alla 2 guerra mondiale. PARAGRAFO 6: POLITICA ESTERA E IMPERO Fino ai primi anni ‘30 le aspirazioni imperiali, pur connaturate all’ideologia del fascismo, rimasero vaghe. In politica estera Mussolini prepara l’aggressione all’Impero Etiopico, l’unico Stato indipendente del continente africano; lo fa per dare sfogo alla vocazione imperiale del fascismo e per far passare in secondo piano i problemi economici e sociali del paese. Così nel 1935, l’Italia iniziò l’invasione dell’Etiopia. Di contro Francia e Gran Bretagna, chiesero al Consiglio delle Società delle Nazioni, di adottare pesanti sanzioni consistenti nel divieto di esportare in Italia merci necessarie all’industria della guerra. Le sanzioni ebbero efficacia molto limitata e questo finì per creare una frattura tra il regime fascista e le altre democrazie europee. Tutto ciò permise a Mussolini di creare una grande propaganda che mirò a presentare l’Italia, come vittima di una congiura internazionale. Sul piano militare, l’esercito etiopico, male organizzato, ebbe la peggio, di fronte ad una spedizione di circa 400 mila uomini. Nel 1936, le truppe italiane comandate dal maresciallo Badoglio, entrarono in Addis Abeba e 4 giorni dopo offrirono a Vittorio Emanuele III, la corona di Imperatore d’Etiopa. Dopo la guerra in Etiopia, firmò un patto di amicizia con la Germania, chiamato Asse Roma – Berlino, che non rappresentò all’inizio una vera alleanza militare, ma doveva servire a Mussolini per trarre qualche vantaggio in più in campo coloniale. Solo nel 1939, l’alleanza tra Italia e Stato nazista diventa ufficiale con la firma del PATTO D’ACCIAIO. PARAGRAFO 7: LA STRETTA TOTALITARIA E LE LEGGI RAZZIALI (da riassunto) Il consenso ottenuto dal regime comincio a incrinarsi dopo l'impresa etiopica. L'avvicinamento alla Germania suscitò timori e dissensi nella maggioranza della popolazione. Nell'autunno del 1938 furono varate le leggi discriminatorie nei confronti degli ebrei, che ricalcavano quelle naziste, per cui gli ebrei furono esclusi dagli uffici pubblici, limitandone l'esercizio delle professioni e vietando i matrimoni misti. Le leggi razziali furono accolte con perplessità dall'opinione pubblica e aprirono un contrasto con la chiesa. Solo tra i giovani il disegno mussoliniano di trasformare in senso fascista la vita e la mentalità degli italiani ottiene notevoli successi. PARAGRAFO 8: L’OPPOSIZIONE AL FASCISMO (da riassunto) In Italia la maggioranza degli antifascisti rimase in una posizione di silenziosa opposizione. I comunisti invece si impegnarono, benché con scarsi risultati, nell'agitazione clandestina in patria; sulla stessa linea si mosse il gruppo di Giustizia e Libertà, di indirizzo liberalsocialista. Gli altri gruppi antifascisti, in esilio all'estero (socialisti, repubblicani, democratici, federati) svolsero un'opera di elaborazione politica in vista di una sconfitta del regime che l'antifascismo non era in grado di provocare. Nonostante questa debolezza l'importanza dell'antifascismo risiedette nella funzione di testimonianza e di preparazione dei quadri e delle piattaforme politiche della Futura Italia democratica.
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