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Big Data di Antonio Nicita e MARCO DELMASTRO, Sintesi del corso di Sistemi Digitali

riassunto del libro breve ma efficace

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022
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Scarica Big Data di Antonio Nicita e MARCO DELMASTRO e più Sintesi del corso in PDF di Sistemi Digitali solo su Docsity! BIG DATA. COME STANNO CAMBIANDO IL NOSTRO MONDO di Marco Delmastro e Antonio Nicita Siamo circondati da dati, ci rapportiamo con un flusso continuo e ininterrotto di informazioni sia vere che false. Dal 2018 è applicata in tutti gli stati UE la General Protection Regulation (Gdpr), per la protezione delle persone fisiche nel rispetto al trattamento e alla libertà di circolazione dei dati. Oggi accanto alla tutela della privacy si affiancano altre 2 tematiche: da una parte l’analisi del vantaggio competitivo dell’uso esclusivo dei dati a fini di profilazione commerciale; dall’altro la crescente preoccupazione circa l'impatto del rilascio e dell'uso di dati a fini di marketing politico indiretto. Nei prossimi anni il traffico dei dati da mobile aumenterà fino a cinque volte; i social network sono diventati parte della dieta informativa quotidiana dei cittadini in Italia e nel mondo. Le piattaforme online sono diventate così i nuovi leader mondiali nel settore delle pubblicità, sottraendo risorse ai media tradizionali. Non esiste una definizione univoca dei big data, secondo l’UE i “megadati” sono grandi quantità di dati di diversi tipi prodotti da varie fonti, fra cui persone, macchine, sensori. Il termine “big” fa riferimento ad alcune caratteristiche di questi dati: varietà, volume, velocità e valore. | big data servono a migliorare l'algoritmo e, a sua volta, l’uso dell'algoritmo da parte di ciascuno di noi genera nuovi dati. Ogni utente navigando in rete lascia una grande quantità di informazioni, una vera e propria impronta digitale (digital footprint), questi dati grezzi prendono il nome di “data exhaust”. | dati sono sia un input, cioè uno strumento di indagine utile per soddisfare preferenze e domanda di prodotti e servizi, ma anche un prodotto perché è capace di generare valore autonomo, per esempio con la pubblicità personalizzata. L'efficienza della rivoluzione digitale è il risultato di un patto implicito, perché avere servizi gratuiti (tipo le app) noi dobbiamo rivelare le nostre informazioni personali (nome, mail, password ecc) questo insieme di dati vengono analizzati attraverso le tecnologie dell’intelligenza artificiale. Questo avviene attraverso i nuovi modelli di business basati sul paradigma “free”, ma lo scambio dei nostri dati con il libero accesso in realtà regge la transizione commerciale. Si genera un mercato implicito, ovvero i dati. Quindi quanto valgono davvero i nostri dati? Tre caratteristiche generano il loro valore: 1. Volume rappresenta la caratteristica che si accosta più facilmente ai big data, la sua unità di misura è il zettabyte, di cui un’unità corrisponde a una capacità di archiviazione pari a 36mila anni di video in HD; 2. Varietà che si riferisce alle diverse fonti da cui provengono i dat, ai formati con cui vengono acquisite le informazioni, la rappresentazione e l’analisi dei dati. | dati possono avere 3 forme: strutturati (quelli organizzati secondo una precisa struttura), semi strutturati (che rappresentano circa l’80% delle informazioni, a cui si associa un alto potenziale informativo e semantico ma non sono ancora lavorati), semi-strutturati (tipo le email); 3. Velocità che riguarda non solo il flusso di dati ma anche la necessità di processarli in maniera rapida. | dati acquistano sia un valore privato dal punto di vista delle imprese, ma hanno anche un valore pubblico se impiegati nella creazione di un disegno politico che può migliorare il benessere complessivo della società. Se vogliamo individuare una “catena del valore del dato” potremmo rappresentare diversi scalini: acquisizione, analisi (modellazione, esplorazione, trasformazione) e immagazzinamento. Le fasi della catena del valore permettono di modellare il sistema dei big data e di conseguenza individuare il passaggio in cui si genera più valore e conoscenza. Il prezzo dei dati però dipende da molti fattori, come: varietà del numero di azioni e di individui che lo hanno generato o impiego effettivo che se ne può fare. Big data, algoritmi e intelligenza artificiale stanno trasformando moltissimi ambiti della nostra vita: nel settore delle comunicazioni anche grazie alla rivoluzione del 5G è possibile scambiare dati un breve tempo e l’erogazione di informazione da “uno-molti” diventa “molti-molti”. Nel settore sanitario è cambiato il modo in cui trattiamo e preveniamo le malattie, le disabilità e gli infortuni, migliorando la vita di molte persone a un prezzo poco costoso, per esempio presso il McMaster Children's Hospital in Canada le tecniche basate sui big data hanno permesso di monitorare le pulsazioni e il respiro dei neonati e tramite appositi algoritmi prevedere l’insorgere di infezioni fino a 24h prime. Nel settore bancario e finanziario i big data aiutano a individuare transazioni fraudolente o a sviluppare analisi sulle tendenze commerciali delle imprese. La vera rivoluzione si chiama FinTech e si riferisce sia a vecchi servizi e prodotti finanziari erogati con modalità digitali innovative, sia a nuovi prodotti finanziari, quali ad esempio le criptovalute. Un altro paradigma tecnologico è la blockchain, una sorta di libro contabile digitale generato da un database organizzato in blocchi collegati in nodi e condiviso tra molti partecipanti, che permette di identificare, controllare e approvare ogni transazione senza passare da un intermediario. Nel settore delle assicurazioni molte applicazioni utilizzano i dati per aiutare gli assicuratori a fissare premi in maniera accurata o migliorare le proprie strategie di marketing. Diverse aziende offrono sconti agli assicurati che si prestano a un monitoraggio della guida attraverso apposite app. nel settore della grande distribuzione esistono telecamere digitali che permettono di identificare i consumatori, raccogliendo dati su tempi di permanenza, prodotti visti, potere di acquisto, per profilare il consumatore così da fornirgli offerte personalizzate. Nel settore energetico per contrastare l'aumento dei prezzi di estrazione di petrolio e gas naturale l'elaborazione di dati permette una programmazione più efficiente. Per esempio il caso della Royal Duch Shell in cui si è creato un giacimento di petrolio basato sui dati per cercare di ridurre i costi della perforazione nella ricerca del petrolio. Oggi però anche l’energia elettrica è un bene, anche se non stoccabile, ma affinché tutti la possano usare occorre un sistema complesso che ne assicuri la ridondanza. La tecnologia, infatti, entra anche nelle nostre case, si pensi agli assistenti vocali offerti da Amazon o Google che raccolgono informazioni su di noi e per noi. Nel settore del trasporto, della logistica e della consegna postale le aziende raccolgono e analizzano i dati per migliorare i comportamenti dei conducenti, ottimizzare i percorsi o la sicurezza della vettura. Nel settore agricolo gli agricoltori oggi possono accedere ai dati raccolti dalle loro macchine agricole. In Toscana è stata avviata la sperimentazione di un agrirobot, che gira tra i filari e grazie ad una serie di sensori analizza lo stato delle uve ed eventuali attacchi di parassiti e insetti. Tutti questi settori hanno in comune 4 elementi: raccolta dati di imprese e utenti, il trattamento attraverso appositi algoritmi, l'elaborazione di modelli predittivi e la valorizzazione economica. Ma nel passaggio storico che stiamo vivendo la vera preoccupazione è che pochi giganti digitali (Big Tech) abbiano in mano tutti i nostri dati, questo ha generato un dibattito mondiale che interseca la cyber security e la politica, oltre che la domanda sulle leggi anti-trusth e sulla regolamentazione per cui ci si chiede se garantiscono il giusto equilibrio tra libertà d'impresa e tutela della concorrenza. Il problema è che i dati sono un bene economico, ma sono caratterizzati da ambiguità o incompletezza circa la loro natura di diritti proprietari. Il diritto di proprietà è quello che attribuisce al proprietario dei dati la titolarità di un insieme di usi (entitlements) i quali possono essere oggetto di una precisa transazione economica. Quindi il dubbio che sorge è se quando diamo il consenso dell’utilizzo dei nostri dati assistiamo o meno a un passaggio di proprietà, alla luce di questa domanda troviamo 2 orientamenti: per alcuni studiosi il consenso è una forma di delega, secondo altri il consenso per l’accesso al dato rivelerebbe la natura proprietaria de facto e, entro concorrenti come Snapchat e Twitter. Questa caratteristica permette di profilare meglio e più velocemente ii gruppi di utenti, la cui suddivisione non dipende da ciò che gli utenti rivelano di sé ma dalla sintesi dei comportamenti tenuti online calcolati dagli algoritmi, sia sulla piattaforma che fuori. Mentre su Google l'impulso alla navigazione è generato da una ricerca, sui social media è generato dalle nostre interazioni con gli altri e dagli altri in generale, un engagement che cresce al crescere del coinvolgimento negativo o positivo che sia. Infatti sono anche le espressioni d’odio che stimolano la partecipazione e in generale una società divisa e polarizzata favorisce l’engagement e rende più semplice ed efficace la profilazione a fini commerciali. L’acquisto di servizi pubblicitari online è un processo complesso i cui meccanismi variano in funzione della tipologia di pubblicità (search, social, display,email), del canale di vendita e delle modalità di contrattazione. Nel modello di compravendita di pubblicità online, detto programmatic advertising, gli inserzionisti di pubblicità online procedono all’acquisto di spazi pubblicitari all’interno dei siti che in base alle informazioni raccolte consentono di veicolare il messaggio esattamente al profilo socio-demografico desiderato. Il prezzo dello spazio pubblicitario può essere funzione delle visualizzazioni, del numero di azioni svolte o del tempo spesso nella navigazione. Dal lato dell'offerta di spazi promozionali si trovano i fornitori di contenuti e servizi web di tipo orizzontale (motori di ricerca, social network,) e di tipo verticale (siti di informazione e di intrattenimento). Questi operatori detti editori o publisher disegnano il proprio sito con appositi spazi destinati ad accogliere un formato pubblicitario o una combinazione di formati cui sono associati codici (Ad tag) che consentono l'inserimento della pubblicità da parte dell’Ad server. Dal punto di vista della vendita gli editori/publisher possono disporre di proprie concessionarie di pubblicità o rivolgersi a terzi e mettere a disposizione il proprio inventario. La dimensione degli utenti di una piattaforma resta il fattore cruciale che permette di sfruttare big data analytics per profilare meglio i clienti target della raccolta pubblicitaria. Nel recente libro Matchmarkers, due economisti, Evans e Schmalensee, mostrano che le piattaforme digitali sono “matchmarkers”, permettono cioè a gruppi diversi di incontrarsi e traggono profitto dal valore economico generato da questo incontro, sia esso associato a uno scambio di servizi o alla valorizzazione dell’attenzione. | due economisti avvertono del non considerare i machmakers come imprese tradizionali nel campo dell’antitrust o della regolazione. Ad esempio l’offerta di servizi gratuiti non è una modalità ingannevole per acquisire il dato dell’utente, ma un necessario incentivo economico per realizzare una transazione economica di vantaggio per tutti gli utenti coinvolti risalente ad un preciso modello di business. Un esempio storico: inizio anni ’90 i giornali Guardian, Times e Daily Telegraph costavano circa 45p. Nel ’93 il Times abbassò il prezzo a 30p. Si credeva che questo abbassamento di prezzo sarebbe equivalso ad una perdita di profitti per la testata giornalistica, invece l'abbassamento del prezzo aumentò notevolmente le vendite e di conseguenza anche il prezzo dei suoi spazi pubblicitari, ottenendo un netto profitto positivo. Così oggi le piattaforme online agiscono allo stesso modo, definendo il giusto mix tra i prezzi nei vari versamenti di mercato. Generalmente si parla di effetti di rete diretti quando il valore di un bene o servizio per un individuo aumenta direttamente all'aumentare delle persone che posseggono il medesimo bene o aderiscono al medesimo servizio. Gli effetti di rete assumono comunque diverse forme, per esempio, i social network devono superare una certa percentuale di penetrazione sulla propria popolazione di riferimento (il target) per riuscire ad affermarsi. L'insieme delle caratteristiche della rete portarono Einsenman a coniare l’espressione “the winner takes all”, (Wta) ovvero chi vince prende tutti, ma in realtà anche se una situazione del genere si verifica non è detto sia per sempre. Infatti l'applicazione di questo concetto alle caratteristiche sei servizi in rete venne criticata da altri studiosi, in ragione dei prezzi bassi o nulli dei costi che devono sostenere gli utenti per il cambiamento di piattaforma (switching costs) a cui si aggiunge anche la possibilità di usare più servizi dello stesso genere contemporaneamente (multihoming) che comporterebbe la possibilità di fare esperienza di servizi diversi in concorrenza tra loro, un po' come lo zapping in tv. Una caratteristica straordinaria dell'economia digitale è proprio quella di ridurre i costi di transazione e acquisizione dell’informazione rilevante per i consumatori. Questa dinamica somiglia all'immagine idel-tipica di Adam Smith di mercato liberale come istituzione efficiente, in cui i mercati privi di inutili restrizioni permettono a tutti i partecipanti dello scambio, grazie al laissez faire, di conseguire una situazione migliore di quella di partenza. Adam Smith ricorse alla metafora della mano invisibile che sposta persone, merci e risorse in modo che alla fine dello scambio tutti ne escono soddisfatti. L’opera della mano invisibile viene spiegata da due illustri economisti: Léon Walras che sostituisce la metafora della mano invisibile con quella del “banditore”, un misterioso signore che legge in segreto tutte le proposte riservate su prezzi di vendita e acquisto che si manifestano sul mercato e poi “batte” i prezzi di equilibrio, cioè di scambio efficiente; Friedrich von Hayek spiega che le metafore della mano invisibile e del banditore rappresentano semplicemente la capacità del meccanismo concorrenziale di mercato di rivelare, a costi bassi o nulli, informazioni private altrimenti disperse. Cercare i prezzi migliori ai quali acquistare beni o servizi richiede un processo costoso di tempo, spostamenti, investimenti pubblicitari, indagini di mercato ecc. La libera concorrenza tra le imprese e la libera scelta dei consumatori sono i fattori che permettono alle informazioni di muoversi e viaggiare. | mercati digitali somigliano ai mercati privi di costi di transazione e di ricerca delle informazioni, ma in realtà le piattaforme digitali consentono di eliminare i vecchi intermediari informativi da cui prendeva, in epoca analogica, la libertà di scelta dei consumatori. Il capitalismo digitale non avrebbe, quindi, ridotto la concorrenza ma l'avrebbe semplicemente trasformata. L’esercizio di un potere di mercato richiede di individuare un mercato di riferimento, due prodotti sono concorrenti nello stesso mercato rilevante se mutamenti marginali nei reciproci prezzi spostano significativamente la domanda da un prodotto all’altro, in caso contrario appartengo a due mercati differenti. Quando parliamo di un’impresa con potere dominante all’interno di un mercato parliamo di una nozione simile a quella di monopolio, solo che la posizione dominante si verifica anche in un mercato in cui operino un certo numero di imprese che non riescono a scalzarne un’altra dalla posizione di leadership. Quando si verifica una posizione di dominanza in un qualsiasi tipo di mercato rilevante si determina una situazione di inefficienza in cui il potere è dal lato dell’offerta, anche se la posizione dominante non è determinata necessariamente dagli alti prezzi, dall’inefficienza di allocazione di beni e servizi o da comportamenti anticoncorrenziali. Molte imprese assumono una posizione dominante grazie all'innovazione o alle forti barriere di entrata in un mercato. Le normative antitrust non colpiscono la dominanza ma gli abusi di posizione, ovvero quei comportamenti messi in atto da quelle imprese che consapevolmente cercano di sfruttare la propria posizione di forza verso i consumatori o verso le imprese concorrenti. Le grandi imprese online sono descritte come dominanti, tuttavia resta difficile individuare quali siano i mercati rilevanti di riferimento, vista la loro natura di intermediari tra più mercati o più versanti. Nel giugno del 2017, per esempio, Google è stata multata di 2,4 miliardi di euro per aver favorito il suo servizio tra i risultati di ricerca, retrocedendo quello dei concorrenti per operare un maggiore controllo sugli utenti. Il nostro tempo di attenzione registra un flusso di informazioni sul quale opera un doppio filtro: da un lato le piattaforme digitali rilevano informazioni dettagliate su ciò che preferiamo, dall'altro queste informazioni permettono al consumatore di risparmiare tempo di attenzione. Domanda e offerta d'informazione online si specializzano attraverso algoritmi capaci di imparare dai dati, in un meccanismo dinamico di “causazione circolare cumulativa” che permette di veicolare l’offerta di informazioni migliori in ogni istante in risposta alla domanda di informazioni e viceversa. Le grandi piattaforme online possono contare su straordinari strumenti di massimizzazione del valore potendo constare sia su una grande audience che su importanti contratti con gli inserzionisti, l'una rafforza gli altri e viceversa. Ma l’attività delle piattaforme è caratterizzata anche dalla presenza di significative economie di varietà, quelle che in gergo rientrano nel concetto di platform envelopment, ovvero l’offerta di un pacchetto (bundle) di prodotti che include le funzioni della piattaforma e i nuovi servizi. Ad esempio i principali servizi online offerti da Google operano in questo modo, offrono servizi di mail, mappe, video, servizi finanziari ed è per questo che si riduce la possibilità e l'incentivo di usare un servizio concorrente a prescindere la multihoming o switching. Quindi la principale accusa che viene mossa alle piattaforme globali è che esse, invece che essere il risultato di dinamiche replicabili che si manifestano in liberi mercati concorrenziali, sono diventate nuovi contesti istituzionali che si sostituiscono al mercato e lo governano, isolandolo dalla concorrenza. La teoria dell’economista Schumpeter sostiene che la concorrenza favorisce l'innovazione e segmenta la domanda, quindi la concorrenza nel mercato e per il mercato si inseguono reciprocamente in via dinamica attraverso processi di innovazione e imitazione: la concorrenza spinge verso il monopolio e il monopolio stimola la concorrenza. In questa visione anche i giganti digitali avrebbero vita effimera, in quanto anche se in alcuni momenti ci sembra abbiano vinto sulla concorrenza in realtà non è per sempre, ma è solo perché la sfida innovativa in quel settore non si è ancora manifestata. Così com'è avvenuto per Nokia che è stato soppiantato dai giganti Apple e Samsung e poi anche Huawei. L’accumulo dei big data da parti delle grandi piattaforme costituisce una risorsa essenziale, che però non dovrebbe essere considerata una barriera insormontabile all’entrata sul mercato, perché esiste una soglia critica di profilazione di ciascuno di noi, oltre la quale si manifesterebbero rendimenti decrescenti. L'utilizzo esclusivo dei dati acquisiti dalla piattaforma potrebbe essere improntato a finalità di efficienza, come quella di ridurre i costi di coordinamento attraverso la capacità di esclusione dall’accesso alla piattaforma da parte di terzi, minimizzando comportamenti opportunistici. La concorrenza nel campo delle piattaforme digitali è a portata di click e le piattaforme digitali globali sarebbero solo il modo nuovo in cui il mercato si trasforma nell’ecosistema digitale. Le politiche pubbliche e le azioni delle autorità antitrust e di regolamentazione dovrebbero essere ancorate al caso specifico, al singolo problema di fallimento del mercato, però è sempre difficile gestire quale forma di regolamentazione debba essere attuata, in quanto si cerca sempre di prevenire esiti irreversibili generati da posizioni dominanti. L’accurata profilazione degli utenti attraverso le tecniche dei big data permettono di estrapolare quelle informazioni che gli economisti chiamano “disponibilità a pagare” (willingness to pay) di ciascun utente per ciascun bene o servizio. Per questo una piattaforma potrebbe operare un prezzo diverso per ogni cliente in base alla sua possibilità di pagare. Nei mercati tradizionali questa condizione è molto difficile da applicare per due ragioni: sia perché le imprese tradizionali non dispongono di tutti questi dati, sia perché il compratore che compra a meno potrebbe essere incentivato a rivendere ad altri consumatori il bene ad un prezzo di arbitraggio, cioè in diretta concorrenza con il prezzo praticato dall'impresa. Nei mercati in cui operano le piattaforme digitali invece è possibile la discriminazione di prezzi senza rischio di arbitraggio, proprio perché il loro mestiere è quello di assorbire Analytica, una società inglese specializzata nell’estrarre ed elaborare un'enorme quantità di dati sui singoli individui e su categorie di utenti al fine di realizzare profili psicometrici utili a strategie di micro-marketing commerciale e politico. Guardando all'Italia, oggi, nessuna iniziativa o indagine a livello di commissioni parlamentari è stata ancora avviata. L'unico rapporto sulla disinformazione in Italia è disponibile è News vs Fake realizzato dall’Agcom nel 2018, sulla disinformazione stimata nel periodo 2016/2018. Tuttavia la dimensione della disinformazione in Italia risulta crescente in termini assoluti e relativi, i temi più presenti in quest'ambito sono criminalità e immigrazione il cui rischio è una distorsione permanente del dibattito politico online soprattutto nei periodi delle elezioni in cui i cittadini hanno il dovere di informarsi per creare una propria opinione. L’art.21 della Costituzione Italiana sancisce che tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, in questo caso manifestare fa riferimento proprio a “rendere noto al pubblico”. Tuttavia questa libertà viene plasmata dall’algoritmo che farà sì che il messaggio gettato nel web sarà disponibile solo per alcuni e non per altri, questo crea un serio problema per la libertà d’espressione e per il pluralismo. Il problema è che ciò che rende efficace l'algoritmo da un punto di vista pubblicitario è proprio quello mina la libertà e il pluralismo, perché la sua funzione è eliminare ciò che non ci piace o non ci interessa, mentre il pluralismo induce un’irruzione di ciò che è indesiderato o inatteso. Questo pone la necessità di superare alcune condizione di default della selezione algoritmica o almeno di poter scegliere il grado di profilazione a cui poter essere sottoposti; chiedere all’algoritmo di imparare ad essere plurale ma non è semplice. La società digitale permette occasioni inedite nella storia dell'umanità per connettere persone, condividere esperienze e accedere ad informazioni remote, quello che Luciano Floridi definisce una vita “onlife”. Il capitalismo digitalizzato impone però anche l’attenzione alle criticità che riguardano questo “mondo”, passando dall’uso dei dati alle politiche pubbliche o alle forme di regolazione. L'avvento della data society o data economy, che insieme viene definita come algocrazia pone dei rischi nuovi rispetto a quelli già conosciuti; il punto principale diventa capire come superare e difficoltà senza perdere gli indiscussi vantaggi. L’avanzamento della tecnologia pone la creazione di alcune importanti questioni etiche. Già alcuni immaginari dispotici come la puntata “lo non sono qui” di Black Mirror, in cui in base ai like si può accedere ad un certo stile di vita, ci fanno capire dove stiamo o potremmo arrivare. È accettabile che i dati che pubblichiamo sul web vengono utilizzati per valutarci, anche se questi non son realmente fedeli alla realtà? Purtroppo la realtà non aspetta la risoluzione dei problemi etici, una serie di ricerche dimostrano che le informazioni rivelate sui social media vengono utilizzate per selezionare i migliori candidati per i posti di lavoro o per definire la capacità finanziaria. Ovviamente molti non si ritengono d'accordo nel sostituire per esempio un colloquio di lavoro con un videomessaggio, emerge infatti una forte richiesta di regolamentazione e controlli di questi dati. Accanto alle sfide etiche c'è il tema delle regole, per molto tempo si è pensato che la rete fosse uno spazio di totale libertà e che il tentativo di regolamentare questo spazio potesse mettere a rischio quelle libertà. Tuttavia oggi qualcosa è cambiato è il problema non è più scegliere tra un mondo con o senza regole, ma capire se la regolamentazione vada lasciata al mercato, ovvero alle regole private dell’intermediazione centralizzata delle grandi piattaforme online. Le regole servono per risolvere di volta in volta le problematiche legate ai diritti proprietari dei dati. Oggi l’uso del dato equivale ad una transazione economica è quindi un by product del servizio offerto all'utente e l’uso esclusivo delegato del dato non elimina la sua valorizzazione economica da parte di terzi, ma ne permette un utilizzo monopolistico dentro la piattaforma online e così l'informazione diventa un bene privato solo per la piattaforma che la utilizza e non per chi la ha generata, producendo degli effetti anticoncorrenziali sulla base degli algoritmi che le usa. Un modo per risolvere questo problema è il superamento del principio di delega in favore di un diritto proprietario, cioè di controllo sugli usi del dato, in modo che alcuni usi potrebbero restare nella sfera personale e altri nella sfera pubblica. La trasformazione della facoltà di delega esclusiva con la proprietà del titolare originario risolverebbe due paradossi dell’attuale approccio giuridico al dato: da un lato eviterebbe che la proprietà de facto nasca quando esso giunga nella mani di chi ne ha ricevuto la delega all'uso, restituendola al gestore del dato stesso; dall’altro permetterebbe di superare la possibile tensione tra tutela della privacy e della concorrenza, perché eviterebbe che la delega esclusiva generi meccanismi automatici di uso monopolistico del dato, lasciando al titolare la facoltà di scegliere se cedere definitivamente o meno a terzi il dato o di concedergli solo l’uso per un determinato periodo di tempo. Il diritto di portabilità del dato risponde proprio a questa logica, il dato viene affittato dal proprietario per un certo periodo a una certa piattaforma, ma poi può essere richiesto indietro. Questo diritto è riconosciuto in EU dal Regolamento generale per la protezione dei dati personali, il Gdpr: è il diritto a ricevere i dati personali in un formato strutturato di uso comune e leggibile da un dispositivo automatico, questi dati potranno essere trasmessi ad un altro titolare senza impedimenti a condizione che il trattamento si basi sul consenso e si effettui con mezzi automatizzati. Il diritto alla portabilità viene escluso nei casi in cui il trattamento sia necessario per l'esecuzione di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento. Restano fuori tutte quelle forme di accesso ai dati non strutturati che non richiedono consenso. Rimangono però dei dubbi, come: il dato portabile una volta portato via verrà cancellato? Come vigilare su questi processi? Servono nuove forme di regolamentazione? Nel dibattito odierno sono emerse due possibili strategie di regolamentazione: espandere la regolazione dei mercati tradizionali anche a quelli online oppure individuare uno o più mercati rilevanti intermediati da piattaforme digitali ed inserire misure rimediali come imporre l'obbligo di condivisione dei dati con i concorrenti, per evitare lunghe ed insidiose indagini antitrust. Ancora più promettente appare l’idea di una nuova regolamentazione apposita per questi mercati che tenga conto dei diritti e doveri della domanda (diritti proprietari) e dell’offerta (assenza di trasparenza), in pratica estendere all'economia dei dati digitali le tradizionali regolamentazione tenendo però conto della privacy. Oggi ci troviamo difronte al problema del nuovo pluralismo, in cui non basta incrementare la concorrenza, ma il fallimento nel mercato delle idee avviene dal lato della domanda perché non riguarda l’accesso alla piattaforma ma il superamento della selezione personalizzata dei contenuti determinata dall’algoritmo. Per superare questo problema di esposizione selettiva servirebbe un algoritmo che risolva i problemi di pluralismo dell'algoritmo in uso, ma è difficile farlo senza ricorrere alla figura dell’editore, che seleziona i contenuti dividendo notizie false e vere, contenuti d’odio, propaganda, disinformazione ecc. In Germania nel 2018 è stata introdotta la legge NetDG che obbliga i gestori dei social a rimuovere i commenti di hatespeech entro 24h dalla segnalazione, pena una multa che può arrivare a 50milioni di euro. In Francia è stata approvata una legge contro le notizie false e calunniose, questa prevede anche una figura intermediaria, quella del giudice, che valuta caso per caso. In Italia non ci sono iniziative analoghe, anche se è stata introdotta l’autoregolazione, il cui rischio è però quello di attribuire alle piattaforme i poteri di collateral censorship, per cuiper esempio bollare come falsa una notizia può portare ad effetti negativi, da un lato si può verificare il cosiddetto backfire effect (una notizia bollata come falsa può rafforzare la nostra convinzione e accusare di complotto la piattaforma), dall’altro le notizie false non ancora bollate come false, perché non ancora verificate, potrebbero essere intese reali. Un altro tema dibattuto è quello che riguarda gli account robotici, falsi o anonimi. | bot inquinano il web e ad oggi alcune piattaforme sono attive per la loro rimozione. La questione degli account anonimi, invece, è più delicata perché in alcuni paesi l'anonimato può garantire libertà d'espressione. In attesa di riforme legislative sui poteri delle attuali autorità di regolazione c’è spazio per una co- regolamentazione, che invece che intervenire direttamente sui commenti, come in Francia e Germania, vigili delle policy annunciate dalle stesse piattaforme e ne possa valutare gli effetti. Il tema però è sempre complesso, perché più spingiamo verso il pluralismo più viene meno l’effetto matching delle piattaforme. In attesa di riforme che chiariscano il quadro delle regole pro- concorrenziali e di pluralismo online, le piattaforme FB, Twitter e Mozilla e Google hanno aderito nel 2018 al piano della Commissione Europea per affrontare le minacce della disinformazione (per esempio impegnarsi nella divulgazione di pubblicità etiche, adottare una politica di rimozione dei bot, offrire strumenti per aiutare le persone a prendere decisioni più consapevoli sul web, ecc), tuttavia la Commissione dichiara di essere preoccupata per l’indisponibilità delle piattaforme di produrre specifici indicatori per misurare i progressi compiuti dalle piattaforme. Occorre che vengano istituiti soggetti terzi e indipendenti che tutelino il pluralismo e l’uso economico del dato. Anche il tema sull’uso pubblico dei dati per produrre politiche pubbliche è fortemente dibattuto, per cui c'è bisogno che i dati pubblici rimangano di dominio pubblico e per questo servono politiche di governance sulla digital literacy non indirizzate solo ai nativi digitali o alle generazioni più giovani, ma anche ai più anziani che ad oggi sono quelli che condividono maggiori notizie false su social tipo FB. Alla fine bisogna ricordare sempre che il web offre delle possibilità e occasioni importanti per il genere umano, quindi è importante capirne le problematiche ma non bisogna farsi scoraggiare nel suo uso.
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