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Alfieri: La Vita - Biografia e Viaggi di Vittorio Alfieri, Appunti di Storia della lingua italiana

Storia della letteratura italianaBiografia e AutobiografiaVittorio Alfieri

Vittorio Alfieri, nato a Asti nel 1749, intraprese un grand tour europeo per completare la sua formazione e tentare una carriera politica per il Piemonte. La sua autobiografia, intitolata 'La Vita', inizia con un'epigrafe che racconta la nullità dell'uomo e si divide in due macro-gruppi: la prima copre la sua giovinezza e il primo viaggio europeo, mentre la seconda tratta degli ultimi anni di vita. Alfieri, che non era un borghese ma un nobile, si distingue da Goldoni per la mancanza di dediche mercenarie e la sua ricerca di vera libertà. in dettaglio i suoi viaggi, le sue opere e le sue idee sulla letteratura e il potere.

Cosa imparerai

  • Perché Alfieri non ha dedicato le sue opere a signori in cambio di retribuzioni?
  • Che cosa ci racconta la prima parte di 'La Vita' di Alfieri?
  • Che cosa Alfieri pensava della democrazia e della tirannia?

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 27/10/2022

KIM-SARANG
KIM-SARANG 🇮🇹

6 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Alfieri: La Vita - Biografia e Viaggi di Vittorio Alfieri e più Appunti in PDF di Storia della lingua italiana solo su Docsity! ALFIERI La prima nota di Alfieri nella letteratura che vediamo è proprio nei Memoir di Goldoni, in particolare nell’ultimo capitolo (il 46 della terza parte). Alla fine del capitolo c’è il ringraziamento per le sotto-iscrizioni. Queste erano delle prenotazioni del libro che i librai cercavano di ottenere, così da essere finanziati per stamparlo. Viene citato proprio Alfieri, che addirittura andò a trovare Goldoni mentre era malato. Ne parla come di un grandioso studente e letterato, compositore di grandi tragedie. In comune fu anche il fatto che entrambi scelsero di adottare lo stesso genere biografico, ovvero l’autobiografia. Alfieri infatti nel 1803 completò la versione della “Vita” (un nome diverso da Memorie, come invece Goldoni aveva scelto). “LA VITA” DI ALFIERI Il primissimo testo che vediamo è una epigrafe. Le epigrafi originariamente erano dei brevi testi incisi sulla pietra, ma in questo contesto è più conosciuta come epigrafia editoriale, ovvero un breve verso che dovrebbe dare la chiave di lettura a tutto il testo. “pianta effimera noi, cos’è il vivente? Cos’è l’estinto? Un sogno d’ombra è l’uomo”. L’obiettivo del verso è di raccontare la nullità dell’uomo, ma ironicamente si trova sotto alla vita di qualcuno. La prima parte inizia con l’introduzione all’opera e poi con la giovinezza. Possiamo subito notare un dettaglio di completa separazione rispetto a Goldoni: manca la dedica mercenaria, cioè la dedica al signore nella speranza che ripagasse questa in qualche modo. L’assenza era un fatto molto forte per l’epoca ed evidenzia come la letteratura non sia più una prerogativa del cortigiano di corte e che non deve essere più necessariamente pagata da un potente. Quello che Alfieri sta cercando di fare è ottenere una vera libertà rispetto a quello che sta scrivendo ed evitare di essere controllato dal contesto (che sia politico o altro) durante la quale scrive. Questa sua scelta causerà la scomparsa delle dediche mercenarie (non scompaiono le dediche, ma saranno più di sincera amicizia che di speranza in una retribuzione). Alfieri riuscì a permettersi ciò perché non era un borghese, ma un nobile di Asti, nato nel 1749. Viene avviato, in quanto cadetto, alla carriera militare a Torino e, nel 1766, inizia il suo grand tour. Questo durerà sino al 1772. Il suo viaggio sarà lungo tutta l’Europa, ma lui è un viaggiatore anomalo nel comportamento rispetto ad altri (dopo capiremo perché). La sua ragione è invece simile, ovvero completare la sua formazione e, successivamente, anche un tentativo di intraprendere una carriera politica per il Piemonte (tentativo purtroppo fallito). per lui il viaggio è una forma di completamento della sua formazione, che si protrae forse troppo. Questo è stato dato anche per un tentativo di intraprendere una carriera diplomatica per il Piemonte. Nel 1775 Alfieri terminò la sua prima tragedia, il Filippo. Questa è una rappresentazione dell’eroe opposto al tiranno. L’eroe si immola per la libertà, opponendosi al tiranno, creando un senso titanico. Questo titanismo è comune a tutta la letteratura di Alfieri. Non pubblica però solo tragedie, ma anche trattati, il qui più importante è il “del principe e delle lettere”. In Questo riflette sul ruolo che il potere dovrebbe avere nei confronti della letteratura, dicendo che, fintanto che il potere si mischierà con la letteratura, questa non potrà mai essere libera. Solo il letterato indipendente potrà davvero essere libero di scrivere ciò che pensa senza paura di rendere qualcuno scontento. Altra data fondamentale è quella del 1778, anno in cui rinuncia ai suoi beni terrieri, lasciandogli alla sorella in cambio di un vitalizio. È portato a questa azione dal fatto che, fintanto che avesse avuto dei beni, sarebbe sempre rimasto un suddito dei Savoia. Regalandoli si è liberato dal dover essere uno schiavo del re. Le sue tragedie divennero estremamente popolari, seppur mancando di spettacolarizzazione, per la loro profondissima caratterizzazione dei personaggi. La più grande tra queste è la tragedia di ispirazione biblica “il Saul”, o anche la “Mirra”, il cui spunto fu dalle Metamorfosi di Ovidio. In Mirra, il personaggio principale si innamora del padre e lei lotta contro sé stessa per superare il desiderio. Oltre che alla produzione tragica, Alfieri compone anche delle satire comiche, la cui più famosa, “il Misogallo”, è chiaramente contro i Francesi. Oltre a tutto ciò, tenne anche una sua raccolta di sonetti, “le rime”, basate sul modello di Petrarca, anche se con pulsioni nuove e molto più intense. L’ultima opera è proprio “la vita”, iniziata 1787 e ripresa più tardi, attorno al 1800. Possiamo dividere l’opera in due macro-gruppi, il primo viene successivamente diviso in altri quattro capitoli, mentre il secondo copre gli ultimi anni di vita ed è stato aggiunto attorno al 1803. Nell’intervallo di scrittura tra i due macro-gruppi, Alfieri ebbe l’occasione di vedere la rivoluzione francese, la quale causò il suo astio per la Francia. Vide crollare un sogno, perché si Alfieri odia le tirannie, ma allo stesso tempo la democrazia non è altro che la tirannia di molti. Il vero modello politico perfetto è quello inglese, con la monarchia costituzionale. Lo scopo della sua autobiografia è un desiderio di descriversi che possiamo vedere anche nella sua produzione poetica, dove si descrive. Parla di se sia come fosse un grande autore, sia in un senso comico, soprattutto legato al suo corpo. Si descrive più pallido del re sul trono, cioè del re che ha sempre paura di essere ucciso dai suoi nemici. Lui si auto-descrive come un uomo sempre sul limite: a volte troppo triste, a volte troppo felice. A volte si considera un eroe dell’epica, a volte un personaggio comico. Finisce dicendo che, se vuole davvero giudicarsi, dovrà aspettare fino a quando sarà morto. LA VITA Introduzione, dopo l’epigrafe, fatta attraverso Tacito, tendando di scusarsi per qualcosa di cui necessariamente non l’abbiamo accusato. Il suo desiderio di narrare la vita è perché è fiducioso nei costumi, non tanto per arroganza. Ci dice che cerca la verità e che scrive per amore di sé stesso, dono che tutti gli scrittori hanno naturalmente. Si potrebbe dire che, per certi versi, precede Stendhal con l’egotismo. La sua non è superbia, infatti cercherà di andare a capire i suoi limiti. Secondo la sua visione, l’amor proprio rende la vita migliore, avvicinandolo in un senso alle “confessioni” di Rousseau. Il testo aveva completamente ribaltato le autobiografie, rendendole un testo dove una persona può raccontare le proprie imperfezioni senza vergognarsene. omaggio alle ossa di Petrarca, perché ancora non lo conosceva. A Padova tornerà in futuro per una critica (che sarà molto severa) di Cesarotti sulle sue tragedie. La critica principale è che manca musicalità, c’è troppa rottura e i personaggi sono sempre enormi. C’è una veloce lista di città che ha visitato che termina con Genova. Ci dice che raramente utilizzava le lettere di presentazione verso le famiglie importanti e, anche se l’avesse fatto, non si sarebbe presentato spesso. Lui non gradiva la compagnia delle persone e conoscerne di nuove era sempre un problema. Ci dice che il suo vero desiderio era di avere sempre la stessa compagnia, ma spostandosi tutti assieme. Il suo banchiere a Genova, vedendolo isolato ed ignorante, gli presentò un cavaliere: Carlo Negroni. Assieme discusserò e Negroni gli diede una brutta notizia per Parigi, cioè che sarebbe rimasto deluso. Nonostante ciò, lui evita di ascoltare e decide di andarci comunque. Dopo questo incontrò si ritrovò ad un banchetto per il nuovo Doge di Genova e qui dice che l’amore quasi lo incateno, ma lui riuscì a scappargli. Però non molto tempo dopo lo catturerà davvero. Va ricordato che il Grand Tour era una scoperta per i giovani, compreso anche il mondo erotico. Alfieri infatti in Gran Bretagna avrà una relazione con una donna sposata, ma senza parlarne mai. Fu addirittura scoperto dal marito, con la quale si sfidò a duello. Da Genova parte alla volta di Antibo e quasi gli sembra di stare partendo per le Indie. Il viaggio però si trova costretto a fermarsi a Savona per colpa di una tempesta. Tanto era il desiderio di andarsene che Alfieri non poté far altro che aspettare nella sua camera fantasticando dell’obiettivo. Questo incontro che deluderà (come Parigi farà con Alfieri sarà un elemento presente in moltissimi viaggi dopo la fine dei grand tour per causa di Napoleone). Arrivano in Francia, prima di tutto a Tolone, che deluse moltissimo Alfieri, tanto che ripartì appena possibile. Dopo arrivò in Marsiglia che gli piacque moltissimo, per la modernità, per il porto e anche per le ragazze, ma aveva solo un difetto: il posto dove riposava aveva una tavola comune, quindi si trovava costretto a dover interagire. Nonostante ciò ascoltava volentieri nonostante la mancanza di argomenti interessanti. Questa chiacchiera tipica francese lo infastidiva. Ci dice anche che lì assistette a degli spettacoli teatrali, ma che mai considerò di scrivere anche lui per il teatro e non ne sentiva nemmeno il bisogno. Degno di nota è il fatto che apprezzasse molto di più le commedie che le tragedie. Lo stile recitativo era mal sopportato da Alfieri, ma il teatro tragico lo aiuta a sopportare lo stile tipicamente declamatorio, cioè che forzava la parlata per assomigliare più ad una scanditura poetica basata sul verso alessandrino. Una cosa che adorava era andare al mare, soprattutto la sera. Aveva trovato un luogo nascosto che gli permetteva di vedere direttamente il mare ed il cielo fino a dove si univano. Questo ci permette anche di notare come l’estetica stia cambiando, passando da quella della bellezza uniforme a quella del sublime. Non possiamo ancora definirlo romantico o preromantico, perché il romanticismo deve ancora avvenire, ma è più vicino al neo-classico. Questo è definito neo perché riconosce la perdita della classicità e soprattutto l’incapacità che questa ha di ritornare. Oltretutto il classicismo è comunque filtrato attraverso gli elementi dell’estetica 1700esca. Accanto a questo concetto, se ne va sviluppando un secondo: il sublime. È il sentimento di sgomento, annichilimento, ma allo stesso tempo di meraviglia che l’individuo vede difronte al manifestarsi della natura nella sua forma più distruttiva. La bellezza è nell’infinito del mare che va ad unirsi al cielo e che poi anche Leopardi assumerà. Tecnicamente, il termine più corretto per il 1700 è Turn De Lumiere, ovvero il girarsi della luce della ragione portando a creare un paesaggio oscuro dominato da ombre. Nonostante ciò però si annoia pure a Marsiglia e parte poco dopo per Parigi e non si ferma per 8 giorni di fila. Fece una pausa a Lione dove si fermò per 2 giorni e, ripartito, arriva dopo 3 giorni a Parigi. La descrizione di Alfieri è molto diversa da quella di Goldoni, infatti il secondo è subito pieno di energie e voglia di visitare, mentre il primo è annoiato e deluso da ciò che vede. CAPITOLO 5 Arriva in un giorno di brutto tempo e la città è così rovinata, infatti è infangata e molto sporca. Subito subì la disillusione e non ripartì subito non tanto per la stanchezza, ma piuttosto per l’orgoglio. La definisce una cloaca fetida. Questo disgusto per la città è comunque partito da alcuni elementi: intanto quella che leggiamo è la versione rivista, dopo che avvenne la rivoluzione francese e finì quella spinta. C’è un elemento di odio politico profondo, in quanto non sono riusciti a rimuovere i tiranni. Poi manca la bellezza dell’architettura, in quanto gli edifici erano costruiti dalla classe borghese e quei pochi edifici non borghesi si atteggiano da palazzi senza esserlo. Non apprezza neanche lo stile gotico delle chiese. Non è in grado di apprezzare neanche le donne, in quanto troppo truccate. Almeno nota degli elementi positivi, anche se non bilanciavano il resto: i giardini sono bellissimi, i passaggi pubblici e persino le carrozze. Tra le cose positive parla anche del Louvre, definendolo sublime. Specifica anche che queste sono espressioni poetiche, non logiche. Dopo si ritrovò a visitare la corte, ma lì mancava l’ambasciatore siciliano e quindi Alfieri rimase isolato. Visitò dunque Parigi da solo o accompagnato da ragazze. Questo durò fino a novembre, quando l’ambasciatore ritornò. Da allora riuscì ad incontrare nuove persone e sviluppa una passione per il gioco. Si ripromette che sarebbe partito in Gennaio per andare a Londra e ci racconta del suo incontro con Luigi 15esimo, dicendo che lo fece non tanto per etichetta quanto per curiosità. Questo forse darebbe troppo credito al giovane Alfieri, reputandolo fin troppo maturo dal punto di vista politico. Una caratteristica particolare di Luigi è la sua superiorità e inamovibilità. Quando Alfieri si presentò, lui non si mosse minimamente. Ci racconta poi un aneddoto: il sindaco di Parigi gli offri un complimento per il capodanno e lui gli rispose con solo un cenno del capo. Uno dei suoi servitori prende in giro il sindaco e tutti ridono, persino il re. Questo viene poi paragonato a come il sindaco di Parigi, dopo la presa di Bastiglia, si prenderà gioco di Luigi 16esimo, cioè il potere superiore prende in giro quello inferiore.
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