Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

BIOLOGIA CELLULARE - APPUNTI COMPLETI, Appunti di Biologia Cellulare

Appunti completi scritti con registrazioni di tutte le lezioni, sbobinature e approfondimenti.

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 29/07/2020

Appunti_Biotecnologie
Appunti_Biotecnologie 🇮🇹

5

(2)

7 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica BIOLOGIA CELLULARE - APPUNTI COMPLETI e più Appunti in PDF di Biologia Cellulare solo su Docsity! BIOLOGIA CELLULARE BIOTECNOLOGIE – UNISALENTO PROF. Bucci LEZIONE 1 Cellula eucariotica: Ha un’organizzazione altamente compartimentalizzata grazie alle proteine che hanno un ruolo centrale nella divisione in compartimenti della cellula. - I compartimenti cellulari e le differenti modalità di trasporto tra gli stessi: Nucleo: (A) La cellula procariotica non è caratterizzata dalla presenza di un nucleo, ma i DNA si presenta attaccato alla membrana. Queste strutture derivano da un’invaginazione della membrana che inizia a inglobare il DNA. Il citoplasma e il nucleoplasma sono entrambi equivalenti all’interno della cellula. Tra la membrana esterna e interna del nucleo, si crea uno spazio intermembrana. Da ciò si può vedere che al nucleo arriva materiale fino a una certa dimensione, grazie ai pori nucleari. Mitocondrio: (B) Il citoplasma e il nucleoplasma rappresentano l’interno della cellula, mentre il RE, il Golgi, i lisosomi, equivalgono all’esterno della cellula. Tra il RE, il Golgi e la plasma-membrana esiste un trasporto vescicolare; l’involucro nucleare si continua con il RE e tra questi esistono delle interconnessioni. Tipi di trasporto 1. Pori nucleari: lasciano passare molecole fino a 50kDa; 2. Transmembrana: dal citosol al RE, ai mitocondri, ai perossisomi. 3. Vescicolare: lega tutti i compartimenti della via endocitica, esocitica o secretoria. Le proteine vengono sintetizzate sui ribosomi, caratterizzate da sequenza segnale di smistamento o segnali di indirizzamento. Questi segnali vengono riconosciuti da specifici recettori, che li portano nella posizione corretta, e si dividono in due tipi: - sequenze segnale: è una sequenza di AA contigui che determina l’indirizzo della proteina. - zone segnale: segnale sparso sulla proteina nella sua conformazione lineare. Quando la proteina si ripiega queste sequenze vengono a trovarsi vicine e quindi formano, appunto, una zona segnale. I segnali, dopo essere stati utilizzati, possono essere tagliati da un enzima oppure rimanere nella proteina. Tutte le proteine iniziano la loro sintesi su ribosomi liberi nel citosol. Possono accadere due eventi: 1. la sintesi continua sui ribosomi liberi nel citosol; o ci restano o vanno al nucleo, perossisomi e mitocondri. 2. Le proteine invece sono sintetizzate su ribosomi adesi sul RE vengono trasportate nel RE, Golgi, lisosomi; oppure possono andare nella membrana plasmatica o essere secrete. Le proteine, appena sintetizzate, hanno la sequenza amminoacidica completa ma non sono ancora pronte, devono assumere la loro corretta struttura tridimensionale e quindi devono ripiegarsi correttamente. Non solo: per l’attività di una proteina è fondamentale la sua localizzazione. Esempio: Malattia delle cellule I Se una proteina non va nella giusta localizzazione è come se non funzionasse. Si ha una mutazione su un gene che provoca danni a enzimi che non andranno a svolgere il proprio compito perché manca il loro recettore. Le informazioni per il ripiegamento delle proteine sono contenute nelle proteine stesse. Troviamo proteine che aiutano le altre proteine nel ripiegarsi correttamente: CHAPERON MOLECOLARI. Suddivisi in famiglie la prima ad essere stata studiata è quella degli chaperon Hsp70 (→ Heat shock protein, dette così perché se sottoposte ad alte temperature vengono prodotte ad alte quantità). Gli Hsp70 si legano alla proteina durante il processo di traduzione e servono a mantenere la proteina nella forma svolta, non ripiegata, finché non viene completamente tradotta. Dopo la traduzione, la proteina viene mantenuta nella forma svolta per entrare nel mitocondrio. Man mano che la proteina entra nel mitocondrio, si staccano gli chaperon citosolici e si attaccano quelli mitocondriali. Rimangono attaccati fino a che la proteina non entra completamente nel mitocondrio. Chaperon molecolari Hsp70: Si legano a segmenti 7-8 aminoacidi impedendo aggregazione e ripiegamenti. •Hsp60: Facilitano il ripiegamento. Hanno una struttura a doppia ciambella con una cavità centrale in cui si posiziona la proteina. La loro azione richiede ATP. LEZIONE 2 Quando la proteina va ad assumere una conformazione non prevista nelle tappe convenzionali, intervengono gli chaperon Hsp60 che recuperano la proteina. Se l’errore, invece, non viene recuperato la proteina deve essere degradata. L’accumulo di proteine mal ripiegate, infatti, è un danno cellulare e può causare una serie di patologie. Legami disolfuro: fondamentale per il ripiegamento delle proteine, in quanto stabilizzano la conformazione delle proteine che devono essere secrete (si formano nel reticolo). Altre proteine importanti per il ripiegamento 1. PDI: Proteina disolfuro isomerasi → Rompe e riassembla i legami disolfuro e corregge i difetti di una proteina. L’attività di PDI è correlata all’attività secretoria. 2. Peptidil prolil isomerasi è in grado di catalizzare l’isomerizzazione di legami peptidici (da cis a trans e viceversa), agevolando il ripiegamento. - Le modificazioni possono alterare l’attività, la vita media e la localizzazione intracellulare delle proteine. Le alterazioni che le proteine subiscono possono essere distinte in due categorie: 1 Modificazioni chimiche: • Acetilazione (CH3CO al gruppo amminico N-terminale) è la forma più comune di modificazione chimica. Questa modificazione è importante per la stabilità della proteina. • Idrossilazione, Metilazione, Carbossilazione, Glicosilazione, Aggiunta di lipidi. • Fosforilazione modificazione reversibile che attiva o disattiva la proteina. Esempio: proteina HA (emoagglutinina proteina trimera di un virus influenzale) sintetizzata sui ribosomi adesi al RE. Quando le proteine che sono sintetizzate sui ribosomi adesi al RE entrano man mano nel RE, durante la traduzione, ed è proprio per questo motivo che questa modificazione viene definita co-traduzionale. Nel RE esistono 2 proteine specifiche: o calnexina, proteina transmembrana del RE: Quando la proteina HA sta per uscire dal RE la calnexina va a legarsi ai primi carboidrati e, mantiene l’estremità N-terminale della proteina HA vicino alla membrana mentre il resto della proteina continua a essere tradotto. Tale processo serve a dare, quindi, una forma corretta alla proteina. o calreticulina, proteina del lume del RE: La calreticulina è nel lume e si lega ai carboidrati, favorendo la formazione dei corretti ponti disolfuro: se HA non fosse legata alla calreticulina, infatti, si potrebbero creare dei ponti disolfuro errati. 2 Modificazioni lipidiche Nel citosol  N-miristilazione: aggiunta di acido miristico (14C) ad una glicina N-terminale. una proteina N- meristilata ha due modificazioni: la rimozione della metionina e la miristilazione della glicina.  Prenilazione: Aggiunta di un gruppo prenile: farnesile (15C) o geranil-geranile (20C) ad una cisteina C-terminale. → viene aggiunto un gruppo farnesile alla cisteina, vengono staccati gli ultimi 3 aa e successivamente la cisteina viene anche metilata.  Farnesilazione: Proteina Ras: è una proteina G per la proliferazione ed è un oncogene perché si trova mutata in tumori umani. Le proteine G sono proteine che legano e idrolizzano GTP e regolano vari processi cellulari. Queste vanno incontro a un ciclo unidirezionale, quindi passano da una forma attiva legata al GTP a una forma inattiva legata al GDP. Ras è mutata in numerosi tumori perché in essi è sempre attiva, cioè blocca l’attività GTPasica e la proteina resta sempre attiva e spinge sempre verso la proliferazione. Tale proteina è una tra quelle farnesilate. Se si va a mutare il sito di farnesilazione (cisteina) usando gli inibitori della farnesil-transferasi la proteina non sarà più sulla membrana e quindi non sarà più funzionante per la proliferazione cellulare. Dato che Ras non è l’unica proteina farnesilata non si Immuonoproteasoma: Le proteine sono idrolizzate parzialmente. In questo modo si generano peptidi più grandi che vengono utilizzati come antigeni MHC. La parte che cambia è la subunità catalitica che risulta formata da diverse proteine. Proteina p21 → Inibitore del ciclo cellulare. Viene riconosciuta direttamente, anche se non ubiquitinata, da un proteasoma leggermente modificato ha un cappuccio diverso che riesce a riconoscere le proteine non ubiquitinate. Ornitina decarbossilasi → Riconosciuta dal proteasoma senza essere ubiquitinata. All’estremità carbossiterminale tale enzima ha una struttura simile all’Ub e per questo motivo viene riconosciuta e degradata dal proteasoma. Il sistema UBIQUITINA PROTEASOMA (UPS) funziona: Nella degradazione mediata dal proteasoma, regolazione del fattore di trascrizione NFkB, sistema di degradazione ERAD, monoubiquitinazione, riparazione del DNA. NFkB → Fattore di trascrizione importante che nel citosol è inattivo ed è complessato con un inibitore detto IkB che copre il segnale di localizzazione nucleare. fa rimanere NFkB nel citosol. IkB viene fosforilato e ubiquitinato e successivamente degradato dal proteasoma. NFkB è libero e avrà il segnale esposto, il quale indirizza NFkB al nucleo. L’ubiquitina sembra essere importante anche nel sistema di degradazione ERAD (Endoplasmic Reticulum Associated Degradation). Il RE effettua un controllo di qualità delle proteine. Se il difetto non può essere corretto, il RE invia la proteina al citosol, dove viene immediatamente degradata. Proteine simili all’ubiquitina Dette UBL → Ubiquitine-like e comprendono: 1. SUMO (Small Ubiquitine related modifier): controllo ciclo cellulare, trascrizione, struttura della cromatina. 2. ATG8 e ATG12: coinvolte nell’autofagia. Ubiquitina •Ogni ubiquitina ha 7 lisine. sono state trovate ubiquitinate la lisina 29, 48 e 63. •Ubiquitina Poli(K63): ogni monomero è legato alla lisina 63 del monomero precedente. •Ubiquitina poli(K48): ogni monomero è legato alla lisina 48 del monomero precedente, ecc. •Il diverso legame cambia la funzione! SUMO: Varie funzioni - Fissione o fusione dei mitocondri . - Canali ionici del K+ : se vengono sumoilati, non funzionano. - Recettore per il glutammato : se sumoilato viene internalizzato negli endosomi e non possono più funzionare. - RE : Se viene sumoilata una determinata fosfatasi di membrana, si inattiva. - Nucleo : I fattori di trascrizione presenti nel nucleo, dopo sumoilazione, vengono inattivati. - Citosol: RanGap1 proteina che stimola le proteine a idrolizzare GTP. Se RanGap1 viene sumoilata, entra nel nucleo e quindi cambia localizzazione. LEZIONE 4 L’amminoacido N-terminale influenza la stabilità della proteina Esistono evidenze che la vita media delle proteine dipenda dall’identità del residuo N-terminale. Vita breve = Arg, Lys, Leu, Trp; Vita lunga = Cys, Ala Ser, Thr, Gly, Val, Met. Quasi tutte le proteine iniziano con Metionina, ma possono successivamente venire modificate (taglio proteolitico). I residui destabilizzanti sono spesso presenti all’N terminale di proteine. Per questo serve degradare le proteine che sono state erroneamente compartimentalizzate. Come fa il primo aa a determinare la stabilità della proteina? Le proteine che hanno i 4 aa Arg, Lys, Leu, Trp come primo aa, provengano dal RE. Il sistema ERAD riconosce queste proteine come elementi da degradare, proprio perché sono quelle che hanno vita breve. Quindi l’informazione risiede proprio nel primo aa, che indica quelle proteine che vengono erroneamente internalizzate nella cellula (che dovrebbero invece essere degradate). Degradazione lisosomale Lisosomi: In essi sono contenuti degli enzimi detti idrolasi acide che sono in grado di idrolizzareuna serie di legami e di scindere quindi molte molecole. funzionano a pH acido, mentre a pH neutro o basico sono inattive. Il materiale arriva al lisosoma mediante 3 processi: - Endocitosi : porta materiale nella cellula tramite vescicole. - Fagocitosi: entra in cellula materiale particolato (pezzi di cellule o cellule intere). - Autofagia: la cellula elimina parti di se stessa (materiale che non serve, organelli difettosi) Questo pH acido è dato dalla ATPasi vacuolare che è un complesso proteico che consumando ATP, favorisce H+ all’interno del lume e contribuisce ad abbassare il pH. L’ATPasi vacuolare si riscontra a livello della membrana degli endosomi e dei lisosomi. E a livello della membrana plasmatica di osteoclasti che rimuovono la matrice del tessuto osseo mandando le idrolasi acide all’esterno. Cellule tumorali→ Riescono a diventare cellule metastatiche invasive proprio perchè usano le idrolasi acide, portandole fuori dalla cellula. In questo modo digeriscono la matrice, migrano e vanno in circolo. Autofagia: Formazione autofagosoma Vi sono 3 tipi di autofagia: 1 MACROAUTOFAGIA - Si forma una membrana, detta membrana di isolamento, che va a racchiudere una porzione di citoplasma in cui sono presenti degli organelli. - La membrana poi si chiude e si va a formare un autofagosoma, che avrà due membrane. - L’autofagosoma appena formato si fonde prima con gli endosomi precoci (forma anfisoma che acquisisce le idrolasi), poi con quelli tardivi e infine con i lisosomi = autolisosoma. Quindi avviene tutta una serie di fusioni che portano l’autofagosoma alla maturazione. In questo modo acquisisce tutte le caratteristiche e gli enzimi che servono per degradare il materiale che sta al suo interno. 2 MICROAUTOFAGIA : In questo caso gli stessi organelli entrano direttamente nel lisosoma, il quale li internalizza per poi degradarli. mitofagia specifica per i mitocondri. 3 AUTOFAGIA MEDIATA DA CHAPERON MOLECOLARI Autofagia di proteine che tramite gli chaperon molecolari (Hsp70) vengono direttamente indirizzate al lisosoma per la degradazione. Quindi proteine a vita lunga non indispensabili. Importanza del ripiegamento e degradazione in patologie umane •Normalmente l’errato ripiegamento di una proteina comporta perdita delle normali funzioni e può contribuire all’instaurarsi di malattie degenerative. Es: Morbo di Alzheimer → caratterizzato dalla formazione di placche e matasse intracellulari nel cervello che derivano dall’attività proteolitica di proteine naturali presenti in abbondanza, le quali non vengono tagliate in singoli aa ma in polipeptidi che non vengono degradati. Tali polipeptidi si accumulano e danneggiano le cellule nervose. Prioni: I prioni sono proteine infettive di circa 35 kDa. - Sono gli agenti eziologici per un gruppo di disordini neurologici degenerativi e fatali trasmissibili. - La forma infettiva della proteina prionica è chiamata PrPsc. Il gene PrP è un normale componente del genoma. PrPsc è capace di indurre la conversione di PrP per generare più copie di PrPsc. LEZIONE 5 Biologia cellulare delle infezioni virali VIRUS 1890 Iwanosky e Beijerinck → Estratto ottenuto da piante di tabacco affette da malattia “del mosaico” – agente infettivo filtrabile 1935 -1960 Struttura dei virus → Microscopia elettronica CARATTERISTICHE PECULIARI - Entità infettive contenenti acido nucleico (DNA o RNA, mai tutti e due), che ne costituisce il genoma e che si replica all’interno di cellule viventi. Utilizzano l’apparato biosintetico della cellula per dirigere la sintesi di particelle virali (VIRIONI). - I virioni NON crescono di dimensioni e NON si dividono. L’acido nucleico e le proteine virali vengono montati e in questo modo si forma la struttura proteica al cui interno si inserisce il DNA o l’RNA. Proprio per questo processo di montaggio, oggi si parla di viral factories (fabbriche virali) perché nella cellula si creano delle zone deputate nel montaggio dei virus. - I virioni non hanno metabolismo, né sistemi enzimatici per la produzione di energia. - Il genoma non codifica RNA ribosomali: le proteine vengono assimilate tramite la cellula ospite. Come fanno i virus a moltiplicarsi? Riescono a prendere il controllo della cellula che infettano. Quindi la cellula produce proteine e altri fattori necessari per il virus e smette di produrre ciò che le serve per la sua sopravvivenza andando in contro a morte. Struttura dei virioni 1. Acido nucleico (sempre presente) DNA o RNA, a doppio o singolo filamento, Lineare o circolare, Intero o segmentato: ∼ virus dell’influenza → patrimonio genetico costituito da 8 segmenti di RNA a singolo filamento, con dei geni diversi. ∼ Retrovirus → 2 molecole di RNA a singolo filamento. Hanno gli stessi geni, quindi hanno un patrimonio genetico diploide. - Dimensione variabile: i virus hanno un patrimonio genetico ridottissimo. - Geni sovrapposti: Come fanno a prendere il controllo della cellula? quando si ha un gene, se ne conosce il codice a triplette e quindi si ha un sito di inizio della traduzione per avere una proteina. Se ci si sposta di un singolo nucleotide, si ha un’altra proteina e così via. Nei virus ci sono cornici di lettura sovrapposte, le quali permettono l’assemblaggio di proteine di cui necessitano allo stesso modo di un genoma cellulare. Inoltre, esistono geni più piccoli contenuti in geni più grandi: se si ha un genoma di 2000 basi e lo si traduce, si ottiene una proteina strutturale del virus; traducendo, invece, solo una piccola parte centrale si ottiene un enzima. Quindi la stessa sequenza viene sfruttata al massimo grazie alle cornici di lettura sovrapposte e ai geni più piccoli. - Eventuale presenza di basi anomale: fagi T pari, 5-idrossimetilcitosina. 2. Capside È la struttura che racchiude l’acido nucleico, è costituito da capsomeri e viene classificato in 3 modi, in base alla forma: a) Icosaedro (solido regolare a 20 facce triangolari). b) Tubulare (struttura elicoidale). c) Struttura complessa (senza un vero e proprio capside; con capside non icosaedrico o tubulare, capside asimmetrico). Formazione del capside: Monomero (capsomero) che si assembla con altri monomeri, i quali inglobano il DNA o RNA virale andando a formare la struttura peculiare del capside. 3. Involucro membranoso Caratteristico di alcuni virus animali. Proviene dalla membrana plasmatica o da altre membrane della cellula ospite modificate con proteine virali (dette spine). Ciclo di un batteriofago N.B.: Un virus entra in una cellula perché quest’ultima ha dei recettori che vengono riconosciuti come propri dal virus. Per esempio, si può avere che il virus T4 si va a legare a un lipopolisaccaride, presente sulla membrana esterna dei batteri gram negativi, che riconosce come recettore. Quindi in generale i virus possono entrare in cellula e infettarla solo se ci sono date molecole che fungono da recettore e la specificità dell’infezione dipende dal recettore stesso. La maggior parte delle cellule animali hanno due o più domini di membrana plasmatica diversi per composizione, struttura e funzione. Cosa fanno i virus quando incontrano queste cellule polarizzate? Ci sono virus che hanno una polarità di entrata che dipende dal recettore e una polarità di gemmazione che dipende da dove va la proteina virale. Quindi se il recettore per il virus è presente sulla membrana apicale, esso potrà entrare in cellula solo da quel lato. La stessa cosa vale per la gemmazione. Ovviamente dopo una massiva gemmazione la cellula va incontro a lisi, nella stessa maniera della lisi cellulare. Classificazione dei virus I virus sono suddivisi in base alla cellula che infettano: 1. Batterici, 2. Animali, 3. Vegetali. E in base al loro patrimonio genetico e alle strategie adottate per replicarlo. Esistono 6 classi di virus in base al genoma e in base alle modalità di produrre mRNA: 1 classe: DNA a doppio filamento (positivo o negativo) che poi verrà trascritto e tradotto, 2 classe: DNA a singolo filamento (positivo o negativo), se il patrimonio genetico del virus è un DNA a singolo filamento positivo, verrà fatta una copia a singolo filamento negativo complementare che si appaierà e si tornerà, così, alla situazione classica di un DNA a doppio filamento. P.S.: positivo = corrisponde all’mRNA che poi verrà tradotto in proteine. Le altre 4 classi appartengono a virus con patrimonio genetico a RNA: 3 classe: RNA a doppio filamento, dal quale si può produrre direttamente l’RNA a singolo filamento in quanto i due filamenti si separano e quello negativo fa da stampo per l’mRNA e poi il positivo farà da stampo per la ricostituzione del doppio filamento. 4 classe: RNA a singolo filamento positivo, il quale viene usato come stampo per produrre il filamento negativo. Il filamento negativo appena formato funzionerà come stampo per creare moltissime copie del filamento positivo. 5 classe: RNA a singolo filamento negativo, che rappresenta già lo stampo che serve per fare l’RNA a singolo filamento positivo, il quale servirà per la produzione delle proteine e per la produzione del genoma virale. 6 classe: RNA a singolo filamento positivo: questa classe ha lo stesso patrimonio genetico della 4 classe, ma è caratterizzato da frammenti di DNA. Questo perché a tale classe appartengono quelli che vengono definiti retrovirus (es. Virus dell’AIDS). Retrovirus: Tali virus sono in grado di fare la retrotrascrizione, cioè convertono il loro patrimonio genetico a RNA a singolo filamento positivo a DNA. Questo processo è consentito grazie alla transcrittasi inversa, enzima che prende il singolo filamento di RNA positivo e lo copia in un filamento di DNA complementare negativo, che le serve a degradare l’RNA. Si avrà alla fine soltanto il singolo filamento di DNA negativo, che servirà da stampo per il secondo filamento di DNA positivo, e infine il doppio filamento di DNA. Successivamente il DNA a doppio filamento viene integrato nel genoma della cellula, che verrà poi trascritto e tradotto in proteine virali con la successiva formazione di nuovi virus. Questa caratteristica dei retrovirus è negativa perché con esso il genoma della cellula cambia completamente, in quanto viene addizionato con un genoma virale, ed è positiva perché i retrovirus vengono utilizzati come vettori nella terapia genica. Il genoma virale si integra in quello cellulare grazie a un enzima detto integrasi, che taglia il DNA virale e fa in modo che possa essere inserito nel genoma della cellula. Dove va il DNA virale? Questo dipende dai virus, I primi retrovirus che sono stati studiati inserivano il loro patrimonio genetico nella cellula in maniera casuale. Una tipologia di retrovirus ha causato l’insorgere di malattie tumorali. Il retrovirus inseriva il suo genoma non in maniera casuale, ma vicino a geni importanti per la proliferazione. Perciò con la proliferazione di questi oncogeni si è favorita la comparsa di tumori. Proteine virali La maggior parte dei prodotti proteici virali ricade in tre categorie: - enzimi necessari alla replicazione, che fanno parte della fase precoce; - fattori di inibizione che bloccano la sintesi di DNA e RNA e delle proteine strutturali dell’ospite, espresse nella fase precoce; - proteine strutturali utilizzate nella costruzione di nuovi virioni, espresse nella fase tardiva. Genoma HIV (AIDS) genoma formato da 9000 nucleotidi e da 9 geni È un retrovirus con 3 gruppi di geni, sempre presenti anche in tutti gli altri retrovirus: - Geni gag → Sono i geni che codificano per le proteine del capside, - Geni env → Sono i geni che codificano per le proteine dell’envelop, cioè dell’involucro, - Geni pol → Sono i geni che codificano per la transcrittasi inversa e per l’integrasi. LEZIONE 7 Cicli virali I cicli di crescita virale sono classificati come litici o lisogenici.  Ciclo litico → Il virus entra nella cellula e la distrugge, portandola alla lisi.  Ciclo lisogenico → Alcuni virus, come il fago 𝝺, possono integrare il loro genoma nel genoma della cellula e rimanere quiescenti finché il patrimonio genetico virale non si replicherà insieme al genoma cellulare, senza dare inizialmente a un ciclo litico. In questo modo si avrà un profago (genoma caratterizzato in parte da quello cellulare e in parte da quello virale), dal quale si potrà ritornare al ciclo litico. Virus animali Pochi virus possono infettare una cellula senza ucciderla, esistono cellule dette non permissive in cui il virus non riesce a replicarsi in maniera litica. In questo caso il genoma del virus può integrarsi a quello cellulare e, similarmente al ciclo lisogenico dei batteri, si inserisce nel genoma della cellula restando lì come provirus. Effetti morfologici di un’infezione virale Esempio: In cellule Cos7 di scimmia è stata espressa una proteina di poliovirus. - il RE risulta espanso fino a riempire tutta la cellula, - si riconoscono moltissimi vacuoli, - ha una forma più rinsecchita, - il trasporto dal RE al Golgi è completamente bloccato. Questo cambiamento è ciò che succede dopo 24h a causa dell’espressione di una sola proteina! NB: Se cellule su piastra vengono infettate con una serie di virus, diventano tondeggianti perché viene distrutto il citoscheletro. Virus tumorali (od oncogeni) Tumore: consiste in una cellula che va a proliferare in maniera anomala e non più controllata dall’organismo. Da alcuni decenni si sa che alcuni virus contribuiscono al processo di trasformazione tumorale (inserimento di DNA esogeno all’interno delle cellule). Oncogéne: Gene che può causare tumore (come l’oncogene RAS). Oncògeno: Virus in grado di causare un tumore. Virus tumorali a DNA Come causano tumori? - Nel loro genoma hanno uno o più geni che stimolano la cellula a dividersi. Una cellula che è in divisione deve ripartire le proteine tra le due cellule che si formano e quindi ne produce di più. Il virus che entra nella cellula, quindi, ha interesse a spingerla verso la proliferazione per attingere a tutte le componenti che gli servono per la sopravvivenza. - Se però il virus entra in cellule non permissive, il DNA virale entra ma non si replica in maniera litica. il DNA virale rimarrà quiescente. - Nella maggior parte delle cellule tale DNA virale verrà diluito e andrà incontro a degradazione. - Tuttavia, in un piccolo numero di cellule, il DNA virale si integrerà in quello cellulare. In questo modo si formerà un provirus, nel momento in cui la cellula replicherà il suo genoma, replicherà anche quello del virus. Se tra i geni virali ce n’è uno che spinge verso la proliferazione, che viene trascritto e tradotto in proteina, la cellula comincerà a proliferare in maniera incontrollata (controllata dalla proteina del virus), e la cellula virale si duplicherà in maniera controllata. Questo darà luogo a una trasformazione tumorale della cellula ( → trasformazione neoplastica). Sia che la cellula sia permissiva o no, si avrà una cellula contenente i geni virali e quindi modificata geneticamente. Esempi di virus a DNA: Papovavirus (SV40 e Polioma) → producono proteine che stimolano le cellule a proliferare (da G0 a S). Nella fase S sono abbondanti tutti quei reagenti (enzimi di replicazione, nucleotidi, amminoacidi, etc.) necessari al virus per replicarsi. Virus tumorali a RNA L’RNA in cellula, di norma, viene degradato e non è in grado di cambiare il genoma della cellula in maniera permanente. Come portano i virus a RNA ad una alterazione genetica permanente? La risposta è stata possibile quando si sono scoperti i retrovirus. Infatti questi microrganismi hanno un patrimonio genetico a RNA a singolo filamento positivo, che però viene copiato in DNA a doppio filamento dalla trascrittasi inversa e poi integrato nel genoma della cellula. i loro geni in cellula sono in grado di cambiare la cellula in tumorale. Differenze tra virus tumorali a DNA e a RNA - Entrambi trasformano le cellule, in senso tumorale, perché la presenza permanente del DNA o RNA virale causa la sintesi di proteine che alterano il controllo della proliferazione. - I virus a DNA codificano oncogeni (cioè proteine che causano tumore) che sono proteine virali essenziali per la replicazione virale. - I virus a RNA portano oncogeni che non sono altro che geni cellulari modificati. Esempio → RAS: gene cellulare, importante per la proliferazione. Contenuto in tutte le cellule eucariotiche, anche nei virus a RNA. RICORDA: Quando si parla di trasformazione delle cellule ANIMALI, si intende sempre una trasformazione in senso tumorale. Retrovirus tumorali - Tra i retrovirus umani più conosciuti vi è il virus T-linfotropico (HTLV), che causa una forma di leucemia e il virus dell’immunodeficienza umana (HIV) che provoca la sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS). - Entrambi questi virus possono infettare solo tipi cellulari specifici, soprattutto cellule del sistema immunitario e, nel caso dell’HIV: a) uccide cellule T helper che infetta (al contrario degli altri retrovirus) e queste cellule sono fondamentali contro le infezioni. b) Provirus persiste in uno stato latente senza produrre virus finché non è attivato da un evento sconosciuto. Utilità dei virus: utili per capire il funzionamento delle cellule e alcune patologie: trascrizione, traduzione, smistamento delle proteine, trasformazione tumorale, etc. - la capacità che hanno i virioni di introdurre il loro contenuto nel citoplasma e nel nucleo delle cellule infettate è stata sfruttata nel clonaggio del DNA ed offre la possibilità di trattare alcune malattie. -Terapia genica. Interferoni - Piccole molecole proteiche, che sono in grado di inibire la replicazione virale, utili come trattamento antivirale (epatite, herpes, etc.). - Sono prodotte in risposta a vari stimoli quali infezione da virus, RNA a doppio filamento, endotossine, agenti mitogeni, stimoli antigenici. -Gli interferoni sono, in genere, specie specifici ma virus-aspecifici; Classificati come IFN-α, IFN-β (sintetizzati da numerosi tipi cellulari.) IFN-γ: prodotto principalmente dai linfociti. - Le quantità di interferone sintetizzate dalla cellula sono molto piccole per cui è stato difficile purificare e caratterizzare queste proteine. Oggi con l’introduzione delle tecniche del DNA ricombinante, i geni clonati modello di studio del comportamento delle cellule, libere dalle variazioni sistemiche che si verificano negli animali durante la normale omeostasi o durante lo stress di un esperimento. LEZIONE 9 Vantaggi colture cellulari Consente di avere risultati precisi e di poter ottenere cellule che possono essere facilmente riprodotte. Una possibilità è quella di poter osservare l’interazione tra le cellule e il substrato di adesione. La maggior parte delle cellule (animali) cresce adesa al substrato. In vivo tale substrato è la matrice extracellulare. Anche in vitro però si deposita sulla piastra. All’interno della piastra si possono mettere vari substrati: fibronectina, collagene, proteoglicani, ecc. Nelle colture cellulari le cellule sono caratterizzate, i campioni hanno omogeneità, su una piastra si ha un solo tipo di cellule. Le colture cellulari hanno sostituito in gran parte i modelli animali perché non c’è bisogno di un’ingente quantità di cellule e si ha una rapidità di risposta. Oggi esistono banche di cellule, a cui si può accedere, che vendono vari tipi cellulari che possono servire a dati esperimenti. Svantaggi: 1. in vitro cresce solo un tipo cellulare che è ben diverso dallo stare in vivo, all’interno di un tessuto. 2. È richiesta una certa esperienza per poter maneggiare le colture cellulari, in modo tale da non danneggiare le piastre. 3-4. Essendo cellule abituate a vivere in vitro, esse possono andare in contro a una certa instabilità sia fenotipica sia genetica. 6. Bisogna sempre controllare il tipo cellulare col quale si ha a che fare perché c’è una grande possibilità di contaminare le piastre. PRINCIPALI DIFFERENZE TRA IL SISTEMA DI CELLULE IN COLTURA E QUELLO IN VIVO 1. Passaggio da una condizione tridimensionale a una bidimensionale 2. Perdita di interazioni cellulari caratteristiche dell’istologia del tessuto d’origine (cellule HeLa, che derivano dalla cervice uterina, epiteliale, osservandole al microscopio, non hanno né la forma delle cellule epiteliali né sono in grado di formare un epitelio). 3. Aumento della popolazione cellulare: Vengono continuamente diluite in modo che abbiano sempre terreno e spazio su cui proliferare. 4. Perdita dell’eterogeneità cellulare di un tessuto: le colture cellulari sono al 95% costituite da un solo tipo cellulare. 5. Perdita dei normali controlli omeostatici dei tessuti che agiscono in vivo. Le cellule non sono più sotto al controllo di un sistema nervoso. 6. Alterazione del metabolismo energetico (quasi esclusivamente dovuto a glicolisi escludendo il ciclo di Krebs). Tipi di colture cellulari 1. In monostrato o in adesione: La maggior parte delle cellule animali hanno bisogno di un substrato sul quale aderire: è un processo atto alla sopravvivenza. Le cellule vengono fatte crescere in contenitori che si suddividono in piastre normali (Petri), e in piastre che servono specificamente per le colture cellulari. Nelle piastre Petri non si possono mettere a crescere le cellule animali perché moriranno. 2. In sospensione: le cellule crescono senza aderire al substrato. ADESIONE Le cellule stesse secernono componenti della matrice extracellulare, cioè proteine e proteoglicani che vanno ad attaccarsi a substrati carichi. Successivamente le cellule aderiscono alla matrice e avviene un processo detto spreading, cioè si spargono sulla piastra prendendo la loro forma finale. Solo dopo l’adesione possono andare incontro a proliferazione. La matrice extracellulare aderisce solo se sulla piastra ci sono delle cariche utilizzate appositamente per le cellule animali. In una coltura cellulare si ha: 1. una fase di latenza. 2. fase di crescita esponenziale, le cellule si moltiplicano in maniera continua. 3. fase stazionaria, rallenta il processo di proliferazione fino a bloccare la crescita, per mancanza di spazio e nutrienti. 4 fase di decadimento. Tali fasi sono già state incontrate nella crescita microbica, ma esistono delle differenze. a. Innanzitutto la curva di crescita viene fatta in una piastra, senza cambiare il terreno. b. la fase di latenza dei microrganismi è dovuta all’adattamento al terreno di coltura e quindi può non esserci. Nelle cellule animali in adesione questa fase c’è SEMPRE, anche con lo stesso terreno di coltura, perché questa fase serve a farle aderire al substrato. Le cellule sono soggette a un’instabilità genetica e non si possono tenere in coltura per molto tempo. si attuano pochi passaggi precoci e ne si congela una grande quantità. Poi si scongelano e si attuano altri 20 passaggi, serve a non avere cellule che accumulano troppe mutazioni. Una coltura primaria, per definizione, non è omogenea perché è caratterizzata da vari tipi cellulari che derivano dall’organo dal quale sono state prelevate. Mettendo su piastra una coltura primaria, si osserveranno dei fenomeni di selezione per i quali alcune cellule riusciranno ad aderire mentre altre no. Quindi si avrà una coltura omogenea delle cellule che hanno preso il sopravvento su tutte le altre. Linee cellulari a vita finita: Le cellule dopo un N° di subcolture muoiono, hanno un normale corredo cromosomico (diploide46 cromosomi). Linee cellulari continue: Non vanno incontro a senescenza, se hanno sempre a disposizione nutrienti e spazio. Come mai tali linee cellulari non invecchiano? La prima caratteristica è che tutte le linee cellulari continue sono aneuploidi, cioè hanno numerosi cromosomi in più. Le linee cellulari continue di distinguono in: o Linee immortalizzate: le cellule acquisiscono una vita illimitata ma mantengono la capacità differenziativa. Non sono tumorigeniche. o Linee trasformate: le cellule acquisiscono una vita illimitata ma anche nuove caratteristiche proliferative. Sono tumorigeniche.  Inizio della coltura cellulare: la coltura primaria. Essa può derivare: A) da cellule migrate da un frammento di tessuto. B) dalla disgregazione meccanica o enzimatica di un tessuto. 1° fenomeno di selezione: 1 la coltura sarà formata da A); 2 la coltura sarà formata da B). Si parte ottenendo una coltura primaria. Poi, ogni volta che le cellule sono a confluenza si passano, dando loro nuovo spazio e nuovo terreno. 2° fenomeno di selezione: se la coltura si mantiene per qualche ora, sarà formata da cellule con attività proliferativa che si duplicano, da cellule che sopravvivono e da cellule che muoiono. Le cellule che proliferano andranno ad aumentare e si verifica il Fenomeno dell’inibizione da contatto: raggiunta la densità critica le cellule normali smettono di proliferare al contrario delle trasformate.  Evoluzione della coltura: la linea cellulare. la coltura primaria diventa una linea cellulare, che può essere ulteriormente subcoltivata. 3° fenomeno di selezione: le cellule a più alta capacità proliferativa prevalgono sulle altre, fino a rendere omogenea la linea cellulare. LEZIONE 10-11 REGOLE GENERALI laboratorio colture: 1. La circolazione dell’aria deve essere controllata: non aprire le finestre ma usare il condizionatore. 2. Lo stabulario deve essere facilmente accessibile ma non contiguo. 3. Il personale deve essere educato alle norme igieniche da mantenere 4. Il flusso di personale all’interno deve essere limitato allo stretto necessario comunque sempre proporzionale alla grandezza del locale. 5. Le linee cellule o le colture primarie provenienti dall’esterno o da biopsie devono seguire un periodo di quarantena. 6. Il pavimento e tutte le superfici di lavoro devono essere facilmente lavabili e disinfettabili Principali aree del laboratorio di colture cellulari 1. Area di manipolazione sterile Questa area deve essere utilizzata solo per le colture per minimizzare l’apporto di polvere ecc. Quest’area è costituita dalla cabina in cui l’aria sterilizzata da appositi filtri viene soffiata direttamente sotto forma di flusso laminare sul piano di lavoro. IMPORTANTE: per assicurare la sterilità la velocità del flusso laminare non deve mai scendere sotto 0.4m/sec. La cappa è dotata di filtri HEPA (High Efficiency Particulate Air) che sterilizzano l’aria, sono classificati secondo la capacità di ritenere particelle di 0.3 microns. Normalmente >99.97% di queste particelle sono trattenute dai filtri HEPA. Flusso laminare: Flusso d’aria che va in una determinata direzione e si oppone a un flusso vorticoso. Cappe a flusso laminare: Proteggono la sterilità del prodotto ma non possono essere utilizzate quando ci sono rischi chimici o biologici. Cappe a flusso laminare Biohazard assicurano la sterilità del campione ma danno anche sicurezza per l’operatore. Campioni potenzialmente infettivi devono essere maneggiati esclusivamente in cabine Biohazard. La cappa deve essere accesa almeno 5 minuti prima di cominciare a lavorare in modo da pulire l’aria e rimuovere materiale particolato. Nella cappa Biohazard (Classe II) l’aria emessa nell’ambiente viene filtrata da un ulteriore filtro, detto HEPA. Class I Biological Safety Cabinet: • Cappa ventilata che assicura protezione per operatore ed ambiente. •Il flusso dell’aria è diretto lontano dall’operatore ma non è filtrato con filtrato con filtri HEPA per cui il materiale non è protetto. • usata per materiale radioattivo o tossico Class II Biological Safety Cabinet: • Assicura protezione per il materiale, l’operatore e l’ambiente.•L’aria viene filtrata HEPA anche in uscita.•Ci sono due tipi IIA e IIB (ma anche B1 e B2) che variano. Nella B2 il 100% dell’aria ricircolo. Class III Biological Safety Cabinet: •Assicura la massima protezione per il materiale, l’operatore e l’ambiente. •La cappa ha tutte le caratteristiche di sicurezza della IIB2 ma è anche chiusa ermeticamente e tutte le procedure sono condotte attraverso lunghi guanti di gomma. E’ utilizzata quando si vuole il massimo livello di contenimento (Livello 4). A flusso laminare orizzontale: il flusso dell’aria proviene dal fondo della cappa e va verso l’operatore (non protegge da agenti infettivi). A flusso laminare verticale: Il flusso dell’aria proviene dal soffitto della cappa e arriva perpendicolarmente alla superficie di lavoro. Strumentazione presente sotto cappa: -Becco bunsen (non consigliato) -Pipettatore -Pompa a vuoto. Manutenzione della cappa: -pulizia e ricambio filtri -disinfezione e fumigazione -uso di raggi UV 2. Area di incubazione Deve essere un’area tranquilla. E’ costituita da incubatori termostatati umidificati dove le colture vengono lasciate nelle opportune condizioni di temperatura e pCO2 (usualmente 37°C e 5% CO2). Caratteristiche dell’incubatore: a. Ventilazione forzata b. Controllo fine della temperatura c. Resistenza alla corrosione d. Una camicia d’acqua riscaldata per la distribuzione uniforme della temperatura. 3. Area di preparazione dei reagenti ed osservazione dei campioni Deve essere attrezzata con: a) Centrifuga. le cellule in monostrato e sempre le cellule in sospensione richiedono la centrifugazione al momento della subcoltura. b) Microscopio invertito a contrasto di fase. Controlla le colture continuamente per evidenziare eventuali degenerazioni o infezioni. può essere attrezzato con: 1. Macchina fotografica e/o telecamera. 2. Dispositivo per fluorescenza. 3. Accessori per la selezione di colonie. In alcuni casi l’obiettivo principale è quello di ottenere il differenziamento, cioè la non proliferazione delle cellule. Spesso le condizioni richieste per il differenziamento sono completamente diverse da quelle che favoriscono la proliferazione. Crescita bidimensionale: Le cellule presenti sulla piastra, quando arrivano a confluenza, formano degli strati bidimensionali. Crescita tridimensionale: Si utilizzano per emulare la situazione in vivo, sono detti anche scaffold, sono delle strutture che si sintetizzano a partire da collagene, proteoglicani, ecc., porose. Nei pori si inseriscono le cellule che, secernendo matrice, ricostruiscono un tessuto. Esempio: Mioblasti in coltura. Sono cellule che possono differenziare nella piastra, senza il bisogno di una matrice tridimensionale, e diventare dei miotubi: mioblasti fusi insieme, caratterizzati da vari nuclei. ATTENZIONE! → Le cellule epiteliali possono formare un epitelio, ma NON SEMPRE. In una piastra di plastica, in realtà, le cellule epiteliali non possono formare un vero e proprio epitelio. Se si ricopre la piastra con tali cellule, il terreno di coltura si troverà sopra. A causa del substrato che si ritrova sopra le cellule, non passa alcuna sostanza e quindi il lato basolaterale non avrà accesso al terreno di coltura e di conseguenza ai nutrienti in esso contenuti. Se si vanno a prendere delle vere e proprie cellule epiteliali e si mettono a crescere su piastra, si disporranno in maniera circolare con al centro del vuoto. Quindi si andranno a disporre lateralmente alla piastra. Di conseguenza, le cellule epiteliali su piastra non sono in grado di formare degli epiteli. Come si possono indurre le cellule epiteliali, quindi, a formare un epitelio? Sulla piastra Petri si inserisce un inserto dotato di un filtro. - Si piastrano le cellule su tale filtro. In questo modo si può mettere il terreno di coltura sia sotto sia sopra al filtro. Il filtro ha una porosità tale che consente alla varie sostanze contenute nel terreno di passare, ma non consente alle cellule di passare. - Le cellule si sistemano sul filtro, secernono la matrice, formano la lamina basale e vanno a formare un epitelio vero e proprio. Composizione della fase gassosa: I principali componenti sono O2 e CO2. O2 → Normalmente la quantità di ossigeno presente nell’aria è sufficiente per la crescita delle cellule. Tuttavia se si tratta di colture di organo, che hanno date dimensioni tridimensionali, la quantità di O2 richiesta è molto elevata, in quanto queste cellule necessitano di una pO2 del 95%. Inoltre bisogna fare attenzione a quanto terreno di coltura c’è all’interno della piastra, perché la velocità di diffusione dell’O2 è inversamente proporzionale allo spessore del terreno. Perciò la quantità giusta di terreno per consentire all’O2 di raggiungere le cellule è di 2-5 mm (0,2 - 0,5 ml/㎠ ) nelle colture statiche. CO2 → Negli incubatori è contenuta al 5% e si scioglie nel terreno, nel quale si aggiunge un tampone HCO3- (carbonato) perché si ha la necessità di un pH costante. Nei terreni di coltura si ha un colorante che cambia colore a seconda del pH: - 7,4: rosso (pH f); - 7: arancio; - 5: giallo; - 7,8: porpora. Il tampone HEPES che può controllare il pH nel range fisiologico e si usa quando bisogna trasportare le cellule o nei saggi in vitro, ecc. Proprietà fisiche del terreno di coltura 1. pH: La maggior parte delle cellule cresce ad un pH fisiologico che è intorno a 7,4. Le variazioni di pH del terreno di coltura devono essere monitorate, perché possono essere indice di una contaminazione o dell’assenza di CO2. 2. Proprietà del tampone: HCO3- ha un potere tamponante basso, ma ha bassa tossicità e costo e consente di mantenere il pH fisiologico. 3. Osmolarità: L’optimum per le cellule è di 290 mOsm/Kg (plasma umano. Per mantenere costante questo parametro occorre mantenere costante l’umidità o compensare l’evaporazione. 4. Temperatura:- Effetto diretto sulla crescita - Effetto indiretto sul pH: a temperatura alta aumenta la [CO2] disciolta e diminuisce il pH. 5. Viscosità: Fornita dal siero presente nel terreno di coltura. Composizione chimica del terreno di coltura 1. Soluzioni saline bilanciate (BSS): sono composte da sali inorganici (NaHCO3) e glucosio. Sono usate come diluenti di terreni più complessi, come soluzioni di risciacquo per biopsie e per incubazioni brevi (fino a 4h). 2. Mezzi a composizione definita: variano per complessità e normalmente contengono: a. AA: gli essenziali più cys e tyr. b. vitamine: solo quelle del gruppo B. c. sali: Ca++, Na+, K+ e Cl-, SO42-, PO43-. HCO3-. d. Glucosio. È incluso in molti media come fonte di energia. e. Proteine: transferrina, insulina, albumina. f. Nucleosidi, intermedi del ciclo di Krebs, lipidi. 3. Siero. I sieri più usati sono ancora quelli di origine animale. I componenti sono: a. Proteine, Albumina, globulina e trasferrina, Fibronectina, Fattori di crescita, Ormoni: Insulina, Idrocortisone, Nutrienti, Minerali e Inibitori della proliferazione. Terreno senza siero Vantaggi rispetto all’uso di siero: maggiore stabilità nel tempo. Non si devono fare le prove di fertilità. Non c’è interferenza nelle purificazioni e nelle analisi successive alla coltura. Essendo sintetici, non hanno problemi di contaminazione da virus o micoplasma. Sono nucleasi-free. I costi sono minori. Non contengono fattori inibenti la proliferazione. Svantaggi: Manca azione detox: i componenti devono essere ultra-puri. crescita lenta. Necessità di integrazione con inibitori della tripsina. H20 per colture cellulari a. H2O: deve essere ultra-pura. La depurazione da ioni metallici, sostanze e microorganismi si ottiene con purificazione a varie tappe: 1. Distillazione: sfrutta il principio che quasi tutti i solidi disciolti nell’acqua possono essere separati portando l’acqua allo stato di vapore e condensando poi quest’ultimo. Questo primo step può essere sostituito dall’osmosi inversa: attraverso una membrana semipermeabile che separa due soluzioni acquose a diversa concentrazione. L’acqua viene fatta passare forzatamente vincendo la pressione osmotica attraverso la membrana che trattiene tutti i materiali indisciolti (batteri, virus, etc.) ed il 95% disciolti (Na e Cl difficili da trattenere). 2. Filtrazione su carbone: rimuove il materiale organico ed inorganico. 3. Deionizzazione ad alto grado: rimuove gli ioni residui mediante cartucce con resina a scambio ionico. 4. Filtrazione su filtri con porosità 0.22 μ: rimuove i residui microbici. È usato il sistema Millipore, nel quale l’H2O viene convogliata dall’ultimo stadio di filtrazione senza storaggio. Tra la 3 e la 4 può essere inserito un sistema di ultrafiltrazione per rimozione dei pirogeni. Sterilizzazione dei reagenti b. Soluzioni saline bilanciate. Si usano già pronte in commercio; se si preparano, usare acqua ultrapura e sterilizzare in autoclave. c. Mezzi: Si usano per lo più quelli in commercio, maggiore garanzia di composizione e sterilità. I mezzi in polvere vanno diluiti con acqua ultrapura e filtrati su filtri di policarbonato o esteri di cellulosa con porosità 0.22 μ. Lo stoccaggio deve essere fatto a +4°C (6- 9 mesi). Il terreno completo con siero e antibiotico però è stabile solo per 3-4 settimane. d. Siero: costoso. Lo stoccaggio viene fatto a -20°C. Il siero si può dializzare per eliminare i costituenti a basso peso molecolare (AA, glu). LEZIONE 13 Controlli da effettuare sul mezzo e sul siero: a. Test di sterilità: si diluisce il mezzo o il siero in terreno molto ricco per batteri e si lascia incubare per 10 giorni sia a 37°C che a 20°C: se si evidenzia torbidità si semina su agar-sangue o su altre piastre per determinare l’identità dei contaminanti. b. Test di fertilità o di coltura: si valutano i parametri dell’efficienza di clonaggio, curva di crescita ed espressione di funzioni specializzate. Allestimento di una coltura cellulare Se in una banca cellulare potrebbe non esserci un tipo cellulare che si vuole studiare, si va ad allestire una coltura cellulare. l’allestimento a partire da un organo o da un tessuto, è utile per studiare una patologia: si deve avere un frammento di organo o tessuto da cui ricavare le cellule, se il paziente ha dato il consenso e quindi può essere utilizzato, per l’allestimento di una coltura: - dissezione: si toglie, per esempio, il tessuto grasso o il tessuto necrotico, ecc; - isolamento, - disaggregazione (enzimatica o meccanica) per produrre una sospensione cellulare a cellule singole. Oppure- tramite espianto primario: il tessuto non viene disaggregato, ma si raccolgono le cellule che migrano fuori dal tessuto. In questi modi si ottiene una coltura primaria. Isolamento di un tessuto Fatto in maniera asettica. Il tessuto che deve essere trasportato da un laboratorio all’altro, viene immerso in una soluzione salina o in terreno di coltura, deve essere processato immediatamente o conservato in PBS e possibilmente refrigerato per non recare danni. Isolamento di tessuto da embrioni di topo Per le cellule singole: Si prelevano gli embrioni al 13° giorno di gestazione, in quanto l’embrione ha delle dimensioni e contiene un grande numero di cellule staminali (necessario per arrivare ad una linea cellulare continua). Per gli abbozzi di organi: Bisogna aspettare il 18° giorno. Per prelevare gli embrioni è necessario uccide la madre, per dislocazione cervicale. Si disinfetta con etanolo il ventre della madre, incidendo l’utero e successivamente si prelevano. I campioni di tessuto, poi, vengono posizionati su piastra Petri e si iniziano a sezionare. Per gli embrioni, si separa l’organo di interesse da tutto il resto usando il bisturi. Isolamento di tessuto da embrioni di pollo L’embrione viene preso dalle uova. Si disinfetta, lo si rompe e poi si preleva l’embrione. Lasciare incubare le uova a 39°C in atmosfera umidificata girandole di 180° ogni giorno, fondamentale per non avere dei difetti nello sviluppo embrionale. Per le cellule singole: si preleva l’embrione all’8° giorno, Per gli abbozzi di organo: si preleva l’embrione tra il 10° e il 13° giorno. Una volta che si rompe l’uovo e tolta la sacca d’aria, si può prelevare l’embrione che si deve prendere dal collo per non rovinarlo. Si trasferisce l’embrione su piastra Petri in PBS per sezionarlo. Nei tessuti adulti si hanno meno cellule staminali e quindi è difficile avere una linea cellulare continua. Sia il topo sia il pollo hanno uno sviluppo che si completa in 21 giorni, ma gli stati embrionali sono diversi. Isolamento di tessuto da biopsie umane Serve se si vogliono cellule come modello per una particolare patologia. ottenere e manipolare biopsie umane comporta dei problemi: - etici: bisogna ottenere dei consensi sia dal Comitato Etico, che deve approvare la ricerca,- relativi ai medici e chirurgi che devono operare, - relativi al paziente stesso e i suoi parenti. Il prelievo deve essere fatto sterilmente in sala operatoria, trasportato velocemente nel laboratorio delle colture in SSB e processato il più rapidamente possibile (eventualmente refrigerare). Le precauzioni da adottare sono: 1. Lavorare sotto cappa Biohazard (Class II o III) 2. Attenzione a non tagliarsi o pungersi 3. Eliminare i rifiuti nei rifiuti speciali ospedalieri 4. Disinfettare bene gli strumenti usati per sezionare. 1. Tecnica dell’espianto primario Un frammento di tessuto immerso in plasma sanguigno, mescolato con estratti embrionali e siero, viene posto su un vetrino porta-o coprioggetto o all’interno di una fiasca o capsula petri. A questo punto: Il norma sono attive. Ciò significa che da una parte i nucletidi non possono sintetizzare con la via de novo e dall’altra non possono farlo nemmeno con le vie di salvataggio. Di conseguenza le cellule muoiono, perché non riescono a sintetizzare i nucleotidi. - Una volta ottenuti questi due tipi cellulari, si fanno crescere e fondere insieme grazie all’aiuto del PEG (sostanza che stimola la fusione delle cellule) e messe in terreno Hat. - Ciò che si ottiene sono: a. cellule di mieloma mutanti, che muoiono in terreno Hat, b. cellule della milza, che se non si sono fuse muoiono, c. cellule che si sono fuse (mieloma+mieloma = muoiono, milza+milza = muoiono, milza+mieloma = ibridomi). - Gli ibridomi sono 1) in grado di sopravvivere nel mezzo Hat perché i geni per gli enzimi delle vie di salvataggio vengono dal genoma delle cellule della milza, 2) in grado di moltiplicarsi senza fine perché le cellule di mieloma sono linee continue. Ognuna di queste cellule produrrà, inoltre, diversi tipi di anticorpi. Quindi si avranno: 1. ibridomi che producono anticorpi contro altre molecole, 2. ibridomi che producono anticorpi contro la proteina x. A questo punto gli ibridomi si prelevano uno ad uno e si mettono in singoli pozzetti (4-5 piastre da 96 pozzetti), si prelevano 300-400 cloni diversi. Dopo di che le cellule crescono nei pozzetti e l’anticorpo che producono viene secreto nel terreno. Si prende il terreno di coltura e si saggia se l’anticorpo riconosce la proteina x: si selezionano tutti i cloni di cellule che producono anticorpi specifici per la proteina x. MANTENIMENTO DELLA COLTURA: LE LINEE CELLULARI Quando si mettono le cellule in coltura direttamente dal tessuto o dall’organo si ha una coltura primaria. Se si tolgono le cellule dal contenitore in cui si trovano e le si fanno passare su un altro, con un nuovo terreno, si ha una subcoltura (alto potenziale replicativo). Nome della linea cellulare: è un codice che esprime il tessuto di provenienza, il nome del paziente se tumorale, il n° del clone etc. Ci sono vari modi per indicare il nome della linea cellulare: derivazione animale: la sigla indica la specie e il tessuto. pazienti: il nome deriva dal nome e dal cognome. Quelli che hanno come sigla una lettera e un numero: riguardano soprattutto i cloni (es anticorpi monoclonali). Ricambio del terreno a. Ricambio del terreno di coltura in base ai seguenti criteri: 1. Diminuzione del pH: la maggior parte delle cellule smettono di proliferare a pH 6.5 e pH 6 cominciano a morire (rosso fenolo). 2. Concentrazione cellulare: Cellule seminate ad alte concentrazioni necessitano prima del ricambio del terreno. 3. Morfologia cellulare: Bisogna osservare con tempestività i granulosità perinucleare, arrotondamento e distacco. b. Volume, spessore del terreno e superficie di crescita. Rapporto ideale tra Volume del terreno/superficie di crescita: 0.2-0.5 ml/cm2: questa limitazione è dovuta allo scarso apporto di O2 alle cellule quando lo spessore del terreno è troppo alto. c. Cellule aderenti: si rimuove il terreno, si dissociano le cellule per tripsinizzazione e le si diluiscono in terreno fresco. Cellule in sospensione: si centrifuga la coltura e si diluiscono le cellule in terreno fresco. non valgono i rapporti tra spessore e superficie. Subcoltura di cellule aderenti: Tripsinizzazione Degradazione dell’adesione cellulare e delle molecole della matrice: chelazione del Ca e digestione con tripsina. Procedura: a. Aspirare e buttare il terreno vecchio. b. Lavare con terreno senza siero o con PBS c. Aggiungere la soluzione di tripsina stratificandola sul monostrato cell. d. Incubare a 25°C-37°C finchè le cellule non si staccano (2’-60’) e. Aggiungere terreno con siero per inattivare la tripsina. f. Contare le cellule. g. Seminare le cellule terreno fresco a conc. minima tale che la coltura raggiunga il top della fase esponenziale. - quando si coltivano le cellule è importante che gli intervalli tra una sottocultura e l’altra siano regolari per monitorare la loro crescita. non effettuare un passaggio immediatamente dopo un altro. Quando si passano le cellule, si diluisce troppo si rischia di far morire le cellule. Conta cellulare con emocitometro: determinata al microscopio ottico ponendo le cellule in una camera da conta. Normalmente le cellule animali vengono colorate con Trypan Blue, che è un colorante che entra nelle cellule morte grazie al quale la conta cellulare è più veloce (le cellule in blu non vengono contate). Per la conta cellulare vengono usate le camere di Burker e anche quelle di Neubauer che hanno una zona di conta costituite da quadrati con un V di 0,1 mm3 (10−4ml). L’instabilità genetica in vitro: Tutte le linee cellulari continue sono geneticamente instabili in coltura. Questa caratteristica, meglio evidente nelle linee cellulari trasformate, deriva essenzialmente da due fattori: 1. La percentuale di mutazioni spontanee è più alta in vitro, probabilmente a causa dell’elevata attività proliferativa. 2. Le cellule mutanti non vengono eliminate, a meno che la mutazione non comprometta la loro capacità replicativa. L’instabilità genetica deve essere periodicamente monitorata attraverso l’analisi del cariotipo. quando si lavora con le linee cellulari continue, bisognerebbe fare numerosi congelamenti e dopo di che scongelare le cellule, usarle per 20-25 passaggi e poi tornare indietro all’aliquota congelata, senza fare passaggi in più, cosa che comporta l’accumulo di mutazioni. Caratterizzazione morfologica 1. Lo studio al microscopio a contrasto di fase permette di controllare “a fresco” variazioni della morfologia cellulare causate da vari fattori, tra cui tossici o agenti infettivi. IMPORTANTE: ogni valutazione comparativa deve essere fatta nella stessa fase di crescita, alla stessa densità e con lo stesso terreno di coltura (stesso lotto di siero). la morfologia della maggior parte delle cellule viene distinta in: a) Fibroblastoide: cellula con spiccata attività migratoria e di forma affusolata. b) Epitelioide: cellula di forma poligonale che cresce espandendosi regolarmente. 2. Lo studio al microscopio dopo colorazione permette una caratterizzazione morfologica molto più accurata. La colorazione delle cellule in monostrato può essere fatta direttamente nel recipiente da coltura, mentre le cellule in sospensione devono essere apposte su vetrino mediante striscio o citocentrifugazione. La colorazione, in generale, è sempre preceduta dalla fissazione. Tecniche di identificazione-Analisi del cariotipo 1. Analisi cromosomica: è un metodo diretto di conferma della specie, ed inoltre identifica eventuali aberrazioni cromosomiche, molto frequenti nelle cellule trasformate. La tecnica più usata è il bandeggio G, nella quale la preparazione cromosomica ottenuta da cellule bloccate in metafase viene digerita con tripsina e colorata con Giemsa: il pattern di bande è caratteristico di ogni coppia cromosomica. 2. Elettroforesi degli Isoenzimi: Ogni specie è caratterizzata in modo univoco da un determinato gruppo di isoenzimi (enzimi che hanno identica specificità per il substrato, ma diversa struttura molecolare). Gli isoenzimi possono essere identificati e separati agevolmente. I più usati sono l’LDH e la G-6-P-DH. 3. DNA fingerprinting. permette di definire l’impronta digitale del DNA mediante amplificazione con PCR di siti polimorfici (STR) 4. Marcatori intracellulari o di superficie. antigeni di superficie, proteine filamentose (citocheratina..), prodotti specializzati (emoglobina..). LEZIONE 15 IL NUCLEO: circondato da una doppia membrana e al suo interno si trova il DNA ed è in continuità con il reticolo endoplasmico e di conseguenza con il suo lume. L’involucro nucleare è interrotto dai pori nucleari, i quali servono per il passaggio delle molecole dal citoplasma al nucleo e viceversa. Sotto la membrana interna nucleare è presente la lamina nucleare, che è una struttura citoscheletrica formata da proteine dette lamìne. Nucleoscheletro: Il citoscheletro di actina è connesso al nucleoscheletro tramite: Actina→ Si collega a delle proteine della membrana nucleare esterna. Proteine ponte→ Formano collegamenti tra proteine della membrana nucleare esterna e interna e con le lamìne. Pori nucleari sono formate, cioè, da tante proteine tanto che si parla spesso di complesso del poro. Il numero di pori è regolato e aumenta quando la cellula è in fase di proliferazione. Apertura del poro: Intorno ai 9nm, anche se si può allargare fino ai 26nm per fare entrare molecole più grandi. ha una struttura a canestro. Importazione nucleare: I primi esperimenti sono stati fatti su una proteina detta nucleoplasmina (NLS) che ha una struttura fatta da teste e code. Gli esperimenti sono stati fatti con ovociti di Xenopus (rospo), cellule grandi e consentono di effettuare facilmente microiniezioni. Quindi sono state prese le uova di Xenopus e microiniettato la nucleoplasmina radioattiva nel citoplasma e, dopo incubazione, si è andati a seguirne il destino per vedere se arrivasse al nucleo. Successivamente si è scoperto che la nucleoplasmina era andata ad inserirsi effettivamente nel nucleo. Di conseguenza esiste nella cellula un trasporto al nucleo che riconosce e trasporta le proteine destinate al nucleo. Per cercare di capire come funzionava questo trasporto, i ricercatori hanno diviso la NLS in teste e code marcandole radioattivamente, in modo da capire quale porzione della proteina fosse importante per arrivare al nucleo. I risultati mostrarono che: - se si microiniettavano solo le teste, queste rimanevano nel citoplasma, - se si microiniettavano solo le code, queste arrivavano nel nucleo. Quindi erano le code a portare la NLS nel nucleo grazie ad un segnale specifico. Per dimostrare l’esistenza di questo segnale, i ricercatori hanno utilizzato delle microbiglie di oro colloidale e le hanno ricoperte di code di NLS → Si è osservato che anche tali biglie arrivavano nel nucleo. Conclusioni si possono trasportare molecole nel nucleo in presenza di un segnale. Il passaggio avviene ai pori nucleari. Segnale NLS: consiste in brevi sequenze di aa, i quali sono carichi positivamente, e caratterizzato anche da prolina. può essere: - monopartito → formato da aa contigui, - bipartito → Quando gli aa sono separati da aa che non fanno parte della sequenza segnale. Più segnali ci sono più velocemente la proteina arriverà al nucleo. Il segnale viene detto necessario e sufficiente per il trasporto al nucleo. Esperimenti di immunofluorescenza: Immunofluorescenza: va a riconoscere proteine specifiche grazie all’ausilio di anticorpi fluorescenti. 1. Anticorpo fluorescente contro la piruvato chinasi: è, di norma, un enzima citosolico. In questo caso sono state prese delle cellule e: - alcune sono state trasfettate con un plasmide che contiene il cDNA codificante per la piruvato chinasi citosolica. - altre con un plasmide contenente cDNA codificante per la piruvato chinasi a cui è stato aggiunto un segnale di localizzazione nucleare. Il trasporto al nucleo necessita di ATP e fattori citosolici Per capire nel dettaglio il trasporto, i ricercatori sono andati a effettuare esperimenti su cellule trattate con digitonina, che è un detergente (i detergenti causano danni alle membrane). Quindi si avevano: - cellule a cui era stata somministrata una bassa quantità di digitonina → Si ottenevano cellule permeabilizzate, cioè caratterizzate da una membrana con delle interruzioni. Se venivano messe in un terreno di coltura con molecole, queste entrano liberamente nella cellula. MITOSI La mitosi può essere: - chiusa: processo che si riscontra solo in alcuni organismi eucarioti semplici, come i lieviti, durante il quale il nucleo resta intatto - aperta: processo che si riscontra nella maggior parte degli organismi eucarioti, durante il quale il nucleo si disassembla. Alla base del nucleo, sotto la membrana nucleare interna, si trova la lamina nucleare caratterizzata da filamenti, costituiti da lamìne. I filamenti quando sono fosforilati si disassemblano(profase) in dimeri. La lamina nucleare è formata da lamìne di diverso tipo (A, B, C). Se la lamina nucleare si sfalda, si disgrega anche l’involucro nucleare e si formano tante vescicole. Le lamìne A e C, quando si liberano, sono completamente disperse, mentre le lamine B restano attaccate alle vescicole provenienti dall’involucro nucleare. Ricostituzione della lamina nucleare Le vescicole che hanno ancorata la lamìna B, vanno ad interagire con i singoli cromosomi e li ricoprono(fase precoce della telofase). Poi si fondono tra loro e formano una doppia membrana attorno a ogni singolo cromosoma(fase tardiva della telofase). Poi le doppie membrane, con all’interno un singolo cromosoma, si fondono tra loro e riformano il nucleo e la lamina nucleare, dato che alla fine della mitosi le lamìne vengono defosforilate per riformare i filamenti e la rete citoscheletrica. Ogni volta che c’è un mitosi le proteine nucleari si ritroveranno nel citoplasma e devono ritornare nel nucleo e perciò l’NLS di una proteina viene usato più volte (non una volta sola) perchè tali proteine devono essere trasportate ogni volta nelle nuove cellule figlie. Segnali per andare ai mitocondri Per il trasporto mitocondriale sono stati identificati vari segnali diversi. Il primo trasporto che è stato studiato è il trasporto alla matrice del mitocondrio, quindi il trasporto di proteine sintetizzate da ribosomi liberi nel citosol ma che poi vengono inserite nella matrice del mitocondrio. La sequenza di indirizzamento alla matrice è stata chiamata inizialmente pre-sequenza, caratterizzata una struttura ad α elica dove si alternano residui carichi positivamente e residui non polari che sono sulle due facce opposte dell’elica. Questo fa in modo che la sequenza venga definita anfipatica. Come funziona il trasporto mitocondriale? Esistono nelle membrane mitocondriali una serie di proteine o complessi proteici che funzionano da traslocatori, cioè permettono alle proteine di entrare nel mitocondrio partendo dal citoplasma. denominate TOM e TIM. Si ha una proteina con una pre-sequenza, posizionata all’estremità N-terminale alla quale sono attaccati gli chaperon molecolari (Hsp70), che servono ad accompagnare la proteina durante la traduzione e il trasporto agli organelli e a mantenere la proteina in forma svolta. La pre- sequenza consente alla proteina di interagire con alcuni trasportatori di membrana TOM e successivamente con i trasportatori TIM della membrana interna. In questo modo la proteina raggiunge la matrice del mitocondrio. In questo caso, la pre-sequenza viene tagliata via perché una volta che la proteina entra nel mitocondrio non deve essere più utilizzata, in modo che gli aa possano essere utilizzati per costruire una nuova proteina. Metodi per studiare il trasporto alla matrice Esperimento 1: Questo serviva per studiare in vitro il trasporto delle proteine mitocondriali all’interno dei mitocondri. Le proteine e i mitocondri sono stati messi nella stessa provetta e fatti incubare e si è andati a monitorare se le proteine fossero entrate o meno nei mitocondri. Come? si placca la miscela con tripsina. La tripsina va a degradare le proteine e nell’esperimento viene usata perché: - se la proteina entra nei mitocondri, non sarà in grado di tagliarla, - se la proteina rimane fuori dai mitocondri verrà tagliata. I ricercatori hanno notato che nonostante la maggior parte della proteina si riscontrava nei mitocondri, non si aveva la sequenza completa. La parte mancante corrispondeva alla pre-sequenza, che viene degradata perché non più necessaria. Controllo dell’esperimento: - si mette la proteina da sola e da un’altra parte si mette la proteina con i mitocondri e si tratta con tripsina. Se veniva tagliata sia quella da sola sia quella coi mitocondri vuol dire che La tripsina ha funzionato. Se la proteina con i mitocondri viene tagliata, mentre la proteina da sola non viene tagliata, vuol dire che la tripsina non funziona (non che la proteina è entrata nei mitocondri, perché nei mitocondri viene tagliata la pre sequenza a prescindere). Esperimento 2: Si voleva capire se le proteine che vanno alla matrice attraversassero entrambe le membrane contemporaneamente o in due momenti diversi. Per fare questo è stato condotto un esperimento basato sul protocollo precedente, ma inizialmente si è utilizzata una T intorno a 5°C perché a tale temperatura inizia il trasporto, ma risulta lento e si blocca. In questo caso, la pre-sequenza e la proteina di indirizzamento si fondono e si effettua un’incubazione a 5°C. Se si aggiunge una proteasi, i riercatori hanno osservato che la proteina veniva degradata (quindi si trovava fuori dal mitocondrio), ma la pre-sequenza si trovava all’interno del mitocondrio. Conclusioni: Le due membrane venivano attraversate contemporaneamente, perché mentre la maggior parte della proteina si trovava fuori dal mitocondrio, la pre-sequenza (cioè il sengale di indirzzamento verso la matrice) si trovava all’interno dell’organello. Se poi si arriva ad incubare a 25°C la proteina entra completamente nel mitocondrio. Traslocazione: Esperimenti successivi hanno indicato che l’attraversamento delle 2 membrane mitocondriali avviene in un sito di contatto. Il trasporto alla matrice mitocondriale può essere svolto da vari fattori: 1. La pre-sequenza può essere riconosciuta da un fattore detto MSF che stimola il trasporto mitocondriale. Questo fattore si lega alla sequenza segnale e porta la proteina in corrispondenza delle proteine TOM. L’MSF è uno di quei fattori che porta la proteina alla matrice. 2. La proteina mitocondriale viene legata da chaperon Hsp70, responsabili del trasporto al mitocondrio. Le proteine iniziano ad attraversare la membrana esterna per poi attraversare quella interna. Dopo di che arrivano alla matrice, dove vengono legati da nuovi chaperon molecolari. La sequenza segnale viene poi tagliata e la proteina assume la sua corretta conformazione 3D o da sola o con l’aiuto degli chaperon Hsp70. LEZIONE 17 Come si fa ad andare alla membrana esterna, allo spazio intermembrana o alla membrana interna del mitocondrio? in 2 modi: - modello conservativo → Tipo di trasporto che indirizza le proteine prima alla matrice e poi verso la regione secondaria. - modello semiconservativo o non conservativo → direttamente alla regione di destinazione finale senza passare dalla matrice. a. Trasporto conservativo: La proteina che deve andare nello spazio intermembrana è caratterizzata da due sequenze segnale: - una sequenza di indirizzamento alla matrice del mitocondrio (pre-sequenza), che viene tagliata, - una sequenza secondaria che serve ad andare nello spazio intermemembrana, tagliata anch’essa una volta che non risulta più necessaria. La proteina, quindi, passerà nello spazio intermembrana e raggiungerà la sua destinazione finale, mentre il secondo segnale verrà tagliato. La proteina che resta nello spazio intermembrana, successivamente, si ripiega fino a raggiungere la sua corretta conformazione 3D. b. Ci sono proteine che sono dotate di entrambi i segnali che però li usano in modo diverso. Il primo segnale serve per arrivare alla matrice (pre-sequenza), mentre il secondo segnale (sequenza di indirizzamento allo spazio intermembrana) si ritrova all’interno dei canali di traslocazione. Il secondo segnale fa in modo che i canali di traslocazione si disassemblino per poter uscire da essi. In questo caso la seconda sequenza causa uno stop del trasferimento della proteina, a livello della membrana interna, che si ritrova poi nello spazio intermembrana. Alla fine, si ha la proteina con il secondo segnale dentro alla membrana mitocondriale interna. Successivamente la seconda sequenza segnale verrà tagliata da una peptidasi e la proteina si ripiegherà nella maniera corretta, iniziando a svolgere le sue funzioni. Come fa una proteina che prima si ritrova in un traslocatore a entrare nella membrana? Si ritrova nella membrana perché quando il trasporto si blocca, il traslocatore si apre lateralmente (nella membrana) e, attraverso la cavità centrale, la proteina può fuoriuscire. IMPORTAZIONE NEI PEROSSISOMI: il trasporto è transmembrana. Nei perossisomi entrano proteine che si sono già ripiegate tridimensionalmente: vengono sintetizzate da ribosomi liberi nel citosol e una volta finito il processo di traduzione, si ripiegano correttamente (grazie alla presenza degli chaperon molecolari) e poi vengono importate nei perossisomi. Trasporto della catalasi ai perossisomi: I perossisomi contengono degli enzimi che inattivano molecole dannose per la cellula. Le catalasi, in particolare, inattivano l’acqua ossigenata che danneggia la cellula. Viene sintetizzato da ribosomi liberi nel citosol ed ha una struttura quaternaria che gli consente di interagire con altre proteine. Per il trasporto ai perossisomi (con cellule di lievito) esistono segnali specifici che vengono detti PTS dei quali esistono almeno 2 sequenze: - PTS1 → All’estremità C terminale, - PTS2 → all’estremità N terminale. La sequenza del segnale PTS1 è SKL, che sono i 3 aa che costituiscono la sequenza. Con questi segnali all’estremità C terminale, la proteina va ai perossisomi. Come funziona questo trasporto? Le 4 catalasi vanno a formare il tetramero di catalasi e ognuna di queste ha la sequenza SKL, che è il segnale PTS1. Tale segnale viene riconosciuto dal recettore del trasporto, detto in questo caso PTS1R, che lega la proteina e la porta all’interno del perossisoma. Il segnale PTS2 viene riconosciuto da un altro trasportatore, detto PTS2R o Pex7 (perossina7). Malattie perossisomali: patologie che riguardano il malfunzionamento dei perossisomi e degli enzimi in essi contenuti. Se PTS1 non funziona, tutte le proteine con questo segnale non verranno riconosciute: Sindrome di Zellweger (morte dei bambini entro i 10 anni di vita). BIOGENESI DEI PEROSSISOMI: Non tutto dipende dal DNA: non si possono generare perossisomi se non si hanno organelli di partenza. I perossisomi non vengono generati ex novo e la cellula ha bisogno di informazioni contenute in essi. Nel momento della divisione, la cellula madre distribuisce gli organelli nelle 2 cellule figlie. Man mano che le cellule crescono, gli organelli aumentano le dimensioni e si dividono. Non basta l’informazione genomica contenuta nelle cellule, ma serve anche l’informazione epigenetica contenuta negli organelli. Come si generano i perossisomi? Si parte da un perossisoma che, man mano, diventa più grande e ad un certo punto va in contro alla fissione (si divide in 2 organelli più piccoli). Esiste anche un meccanismo per la formazione di perossisomi con strutture che derivano dal RE. Dal RE si vanno a staccare delle strutture che poi formano dei compartimenti a parte da cui si originano i perossisomi. I perossisomi hanno proteine presenti nella matrice e proteine presenti sulla membrana del perossisoma divise in 2 classi a seconda della tempistica di inserzione nella membrana: PMP1 e PMP2.A livello del RE si creano dei domini detti estensioni lamellari del reticolo, le quali hanno nella membrana le PMP1. Da queste estensioni si staccano poi delle strutture tubulo-sacculari, che vanno a costituire una struttura detta reticolo perossisomale: circondato da una membrana, in cui sono contenute sia le PMP1 sia le PMP2 e dove iniziano ad entrare anche le proteine della matrice del perossisoma. TRASPORTO AL RE E LA VIA SECRETORIA Come funziona la via secretoria? Sono stati condotti esperimenti che prendono il nome di pulse ( impulso che si da) and chase (periodo che viene dopo l’impulso). - Si sono prese delle cellule del pancreas esocrino (ha via secretoria sviluppata), che sintetizzano proteine di tutti i tipi. - Sono stati forniti alle cellule degli aa radioattivi per un tempo di 3 minuti (pulse). - Le cellule, Cosa succede alle proteine mal ripiegate o non assemblate? - sistema erad: sistema di degradazione che viene detto ‘associato al reticolo’: le proteine mal ripiegate o assemblate, vengono bloccate nel RE che cerca di far assumere loro la corretta conformazione con l’aiuto degli chaperon molecolari. Se il RE non riesce, vengono rimandate nel citoplasma e degradate dal sistema proteasomico ubiquitina dipendente. P.S.: Glicoproteine: nel citoplasma si trova una glicanasi che rimuove la glicosilazione mentre la proteina viene ubiquitinata e indirizzata alla degradazione proteasomica. RISPOSTE UPR: UPR: Risposte della cellula alla presenza di proteine non ripiegate. Ci sono tanti tipi: 1. IRE1 → proteina transmembrana che ha un dominio nel nucleoplasma, uno nella membrana interna e uno dominio nell’involucro nucleare. (in continuità col RE). Tale proteina, nella porzione tra le due membrane, riesce a captare la presenza di proteine non ripiegate. All’interno della cellula c’è un RNA, precursore per un fattore di trascrizione detto HAC1, che deve subire ancora lo splicing. Quando IRE1 capta la presenza di proteine non ripiegate, stimola lo splicing dell’RNA, che diventa un mRNA maturo, andrà nel citoplasma e verrà tradotto in proteina che è HAC1: fattore di trascrizione che andrà nel nucleo e andrà ad attivare la trascrizione di geni per chaperon molecolari. 2. A livello del RE o delle membrane nucleari ci sono 3 sensori → Sensore 1, 2, 3: captano la presenza di proteine non ripiegate o mal ripiegate e legano chaperon molecolari nella porzione interna del lume del reticolo. SITUAZIONE NORMALE: nel reticolo si avranno: chaperon molecolari liberi (alcuni legano i sensori); chaperon molecolari legati alle proteine. SITUAZIONE DI EMERGENZA: Quando le proteine ripiegate aumentano, tutti gli chaperon molecolari saranno impegnati a farle ripiegare correttamente. Non ci saranno chaperon molecolari liberi che possano legare questi sensori. Di conseguenza i sensori captano la mancanza di chaperon molecolari e in base al tipo di sensore si hanno diverse funzioni, che però portano tutti alla stesso risultato: Sensori 1: Dimerizzano e vanno incontro a transfosforilazione: si fosforilano a vicenda. La fosforilazione crea poi una segnalazione al nucleo che porta un aumento della trascrizione di geni UPR (chaperon molecolari). Sensori 2: Quando non legano chaperon molecolari, sono trasportati al Golgi dove vengono tagliati e la parte tagliata diventa un fattore di trascrizione, che entra nel nucleo e attiva la trascrizione dei geni per gli chaperon molecolari. Sensori 3: dopo dimerizzazione e transfosforilazione, si hanno dei segnali che portano alla produzione di fattori di trascrizione che andranno ad agire sui geni degli chaperon molecolari. LEZIONE 19 Esiste un meccanismo detto meccanismo di ritenzione tramite il quale le proteine che devono rimanere nel reticolo, pur essendo trasportate da un flusso secretorio verso l’esterno, vengono riportate indietro. Per queste proteine c’è un segnale di ritenzione detto KDEL (lettere che identificano 4 aa: Lisina, Asparagina, Glutammina e Leucina): riconosce il segnale, si lega ad esso, e porta la proteina al RE. Quindi le proteine che hanno nella loro sequenza KDEL non hanno segnali per proseguire nella via secretoria. Una volta trasportate indietro nel RE, le proteine vengono staccate dal recettore che ritorna ex al cis Golgi per un nuovo ciclo. Ci sono proteine che, oltre a posizionarsi nel lume del RE, si trovano anche nella membrana del RE ed esse hanno il segnale KKXX: è una sequenza C-terminale (K = Lisina, X = aa qualsiasi) perché altrimenti saranno trasportate in altre regioni diverse da quelle di destinazione. Controllo di qualità del reticolo: il RE effettua un controllo delle proteine, assicurandosi che siano ripiegate correttamente. Un esempio è quello degli anticorpi: molecole con struttura quaternaria con 2 catene pesanti e 2 catene leggere, che entrano singolarmente nel reticolo ma non escono da esso se non sono diventati degli anticorpi veri e propri. Quando la struttura quaternaria è completa, l’anticorpo può procedere nella via di secrezione. Altrimenti esso viene trattenuto nel reticolo. Come funziona tale meccanismo di riconoscimento dell’anticorpo corretto? Bip (Binding protein) è uno chaperon molecolare: è una proteina che serve al raggiungimento della struttura corretta di altre proteine e anticorpi. Bip va a legarsi a una catena pesante dell’anticorpo e copre un segnale di uscita non ancora identificato. Ciò vuol dire che l’anticorpo non completamente formato non ha il segnale per poter essere riconosciuto e andare nel Golgi. Solo quando l’anticorpo ha la struttura completa, esce dal RE e arriva al Golgi. TRASPORTO AI LISOSOMI: Anche qui arrivano proteine che devono andare nel lume, come le idrolasi acide: enzimi digestivi che funzionano a pH acido e proteine della membrana del lisosoma che la cellula sintetizza e porta in questa regione. Proteine che devono arrivare al lume del lisosoma (enzimi lisosomali) Come funziona il trasporto? Il segnale per andare al lume del lisosoma è il mannosio-6-fosfato: non è una sequenza amminoacidica. Marcatura degli enzimi lisosomali L’enzima glucosil N-acetil fosfotransferasi prende l’UDP glucosil N-acetil e attacca parte di questa molecola al mannosio in posizione 6 di una proteina glicosilata che deve andare ai lisosomi. Poi agisce la fosfodiesterasi, che toglie tutto tranne il fosfato. Rimane l’enzima lisosomale, con la glicosilazione e un gruppo fosfato attaccato al mannosio. Alla fine, l’enzima lisosomale avrà un mannosio-6-fosfato. La glucosil N-acetil fosfotransferasi riconosce gli enzimi lisosomali che devono essere marcati col mannosio-6-fosfato grazie alla presenza di zone segnale: insieme di sequenze amminoacidiche. N.B.: Sequenza segnale: Fatta da aa vicini tra loro. Zona segnale: Fatta da più domini separati da aa che non fanno parte della seq segnale. TRASPORTO AI LISOSOMI: parte dal TGN e arriva prima agli endosomi. Come funziona questo trasporto? Le proteine che devono arrivare ai lisosomi devono essere sintetizzate su ribosomi adesi al reticolo. Quindi anche gli enzimi lisosomali hanno una sequenza segnale riconosciuta da SRP e poi vengono traslocati (con trasloconi) nel reticolo. L’enzima lisosomale dal lume passa al cis Golgi dove si trova modificato per azione dei 2 enzimi. A questo punto, l’enzima procede lungo la via secretoria e arriva nel TGN. Qui viene riconosciuto dal recettore del mannosio-6P, presente a livello del TGN e si lega ad esso. Legando il mannosio-6P lega, di conseguenza, gli enzimi lisosomali trasportandoli nella via endocitica tramite vescicole rivestite da clatrina: proteina di rivestimento. Queste vescicole perdono il rivestimento e vanno a fondersi sia con gli endosomi tardivi sia con gli endosomi precoci: hanno un pH leggermente acido che stacca il recettore dal mannosio-6P e la proteina lisosomale viene liberata. A questo livello il fosfato viene rimosso e la proteina lisosomale va ai lisosomi, mentre il recettore torna al TGN. N.B.:il recettore del mannosio-6P si trova nel TGN, nelle vescicole, negli endosomi, sulla membrana plasmatica, non nei lisosomi perché serve a recuperare tutti gli enzimi lisosomali, anche quelli che per sbaglio sono stati secreti all’esterno della cellula per riportarli all’interno. Malattie da deposito lisosomale • Mancanza di uno o più enzimi lisosomiali • Accumulo nei lisosomi di sostanze non degradate. •Malattia delle cellule I (i=inclusion) = manca il gene per glucosil N-acetilfosfotransf per cui gli enzimi lisosomiali non vengono marcati con M6P e vengono accumulati nei lisosomi che diventano dei grandi vacuoli. Si risolve dando enzimi lisosomiali fosforilati alle cellule malate. Maturazione dell’insulina L’insulina è suddivisa in: - pre-pro-insulina, - pro-insulina → dalla quale si stacca il peptide segnale che la porta nel RE; - insulina matura. In un esperimento di microscopia elettronica sono stati usati anticorpi che riconoscono la proinsulina e quelli che riconoscono l’insulina. Se si marca una cellula con un anticorpo che riconosce solo la pro-insulina, essa sarà contenuta in vescicole post-Golgi che stanno gemmando dal TGN e che sono caratterizzate da zone elettron dense; non si avranno puntini scuri perché vuote. Se si osservano gli anticorpi che riconoscono solo l’insulina matura, le vescicole secretorie mature sono piene di puntini che indicano l’anticorpo. Conclusioni: dal Golgi esce la proinsulina, mentre quando si arriva nelle vescicole secretorie mature si riscontra l’insulina. Esistono due tipi di secrezione: - secrezione costitutiva → Avviene sempre. - secrezione regolata (o esocitosi)→ Avviene solo quando arriva il segnale. Un esempio di secrezione regolata è quella che si riscontra a livello delle sinapsi nervose, in cui si accumulano delle vescicole al di sotto della membrana plasmatica e che si fondono con essa, scaricando il materiale all’esterno, solo quando arriva un dato segnale. LEZIONE 20 SECREZIONE DI CELLULE POLARIZZATE: in esse la vescicola deve essere secreta da uno dei due poli. Esistono due tipi di smistamento: - smistamento diretto: ci arrivano direttamente dal TGN. Tali proteine vengono sintetizzate da ribosomi adesi al reticolo, le quali poi passano alle cisterne del Golgi, si ritrovano nel TGN e dopo di che vengono smistate. Quelle che devono andare alla membrana apicale vengono inglobate in vescicole che le portano in tale regione, quelle della membrana basolaterale vengono inglobate in altre vescicole. - smistamento indiretto: negli epatociti; quando le proteine arrivano al TGN vanno tutte alla membrana basolaterale e quelle che devono andare alla membrana apicale vengono prelevate da qui e trasportate tramite gli endosomi. I segnali per il trasporto apicale e basolaterale sono strutture proteiche particolari, tra i quali: àncora di GPI (glicosil-fosfatidil-inositolo): segnale glicolipidico, ma in base al tipo cellulare le trasporta o sul lato apicale o basolaterale. Esperimenti sulla secrezione in cellule polarizzate sono stati fatti utilizzando 2 proteine virali per capire come funziona il trasporto in esse: - HA (Emoagglutinina del virus dell’Influenza) → Che viene posta sulla membrana apicale. - Proteina G (del virus della Stomatite vescicolare) → Posta sulla membrana basolaterale. L’àncora di GPI può essere un segnale, perché nelle membrane ci sono le zattere lipidiche: porzioni della membrana ricche di lipidi, in particolare di colesterolo e sfingolipidi che influenzano lo spessore della membrana in determinate regioni. Hanno la funzione di portare proteine verso un particolare dominio di membrana (tutto quello che viene inglobato in esse, viene trasportato dal TGN alla m. apicale). TRAFFICO VESCICOLARE: La vescicola che si distacca da un compartimento seleziona il contenuto da trasportare, sia in termini di proteine di membrana sia in termini di proteine che si trovano all’interno del lume. La formazione, il movimento e l’indirizzamento di una vescicola è regolato da una serie di proteine. Strategie utilizzate per studiare il traffico intracellulare 3 metodi diversi, insieme, hanno consentito di capire come funzionasse il traffico vescicolare e quali fossero le proteine per la regolazione. 1. Isolamento e studio di mutanti di lievito: si è andati a mutagenizzare i lieviti utilizzando diversi geni, e a isolare tutti quei ceppi di lievito che, dopo il processo, erano difettivi nella secrezione. Successivamente si sono isolati cloni di lievito in cui la secrezione era difettiva. Tali cloni sono stati nominati Sec (secrezione) e indicati con un numero, a seconda del clone che si andava ad osservare. Si sono ottenuti diversi tipi di mutanti suddivisi in 5 categorie diverse, in base a dove le proteine si accumulavano invece di essere secrete. Situazione normale → Le proteine vengono secrete normalmente (RE-Golgi-vescicole post-Golgi- secrezione) 1.Modello del trasporto vescicolare (bidirezionale): Si formano vescicole che poi si fondono col compartimento successivo: avviene in entrambi i sensi (Reticolo → Golgi - direz. anterograda, Golgi → Reticolo - direz. retrograda). 2.Modello della maturazione: una vescicola diventa un endosoma precoce, poi un endosoma tardivo e infine un lisosoma. Quindi non ci sono compartimenti stabili che comunicano tra loro tramite vescicole (come 1), ma ci sono dei compartimenti che maturano man mano. E’ stato scoperto su alghe che secernono all’esterno materiale mucillaginoso molto grande che non può entrare in una singola vescicola. 3.Modello di progressione delle cisterne: non ci sono compartimenti stabili tra cui c’è traffico vescicolare, ma si ha una progressione di cisterna in cisterna. LEZIONE 22 ENDOCITOSI: processo attraverso cui la cellula internalizza materiale tramite vescicole o compartimenti definiti da membrana. E’ divisa in: fagocitosi: processo tramite cui viene internalizzato materiale particolato. pinocitosi: processo tramite cui vengono internalizzate molecole presenti nei fluidi extracellulari. Si suddivide in: - Endocitosi mediata da clatrina o caveolina: Utilizzano la dineina per staccare le vescicole dalla plasmamembrana. - macropinocitosi: “macro” perché il vacuolo di internalizzazione è di grandi dimensioni. Esso si forma tramite protrusioni della membrana che vanno a chiudersi formando i macropinosomi. -Endocitosi indipendente da clatrina/caveolina: non ancora definita. Scoperta tramite l’inibizione della dineina: si è visto che vi sono altri tipi di pinocitosi indipendenti da clatrina e caveolina, in quanto materiale e molecole continuavano ad entrare. -GEEC : Endocitosi che porta agli endosomi, ma che riguarda proteine che hanno l’àncora di GPI. Se si prende in considerazione il tipo di molecola che entra, l’endocitosi è suddivisa in: 1.Endocitosi in fase fluida: entrata di una molecola che non viene legata specificamente da recettori, ma la sua entrata è dipendente dalla concentrazione. Esempio: l’enzima perossidasi. In questo tipo di endocitosi non esiste alcun tipo di controllo. 2.Endocitosi mediata da recettore: In questo caso il recettore ha un’alta affinità per la molecola ed entrerà in maniera efficiente anche se presente in concentrazioni basse. Esistono 3 modelli diversi di questo tipo di endocitosi: a.Recettore per la transferrina: all’esterno della cellula si ha pH 7, il quale consente alla transferrina di legare il ferro. Una volta legata al ferro, la proteina è in grado di legarsi al recettore che ha il segnale di endocitosi che viene riconosciuto dalle proteine adattatrici. Poi, viene incorporata in vescicole rivestite da clatrina. Successivamente, le vescicole perdono il rivestimento e si vanno a fondere con gli endosomi precoci di smistamento. In essi c’è un pH leggermente acido (intorno a 6-6,5) per il quale il ferro si stacca dalla transferrina. Tuttavia, la transferrina non si stacca dal recettore e viene, quindi, indirizzata agli endosomi precoci riciclanti. Questo perché il recettore con la transferrina devono ritornare sulla membrana plasmatica, dove la transferrina si stacca dal recettore, a causa del pH = o > 7, e va a legarsi al ferro. Una volta legata al ferro, può nuovamente legarsi al recettore. b. RECETTORE LDL: LDL = Lipoproteine a bassa densità, generalmente legate al colesterolo. Quando le LDL si legano al recettore, esso viene internalizzato su vescicole rivestite da clatrina, esse perdono il rivestimento e vanno a fondersi con gli endosomi precoci di smistamento dove il pH = 6-6,5. Il ligando LDL si stacca dal recettore delle LDL e prendono vie diverse: - il recettore torna sulla membrana grazie agli endosomi precoci riciclanti, - le LDL vengono inviate agli endosomi tardivi e ai lisosomi per essere degradate e quindi liberare il colesterolo che verrà usato dalla cellula. Scoperta: I ricercatori che hanno condotto gli studi sul recettore delle LDL hanno vinto il premio Nobel, in quanto concentrarono l’attenzione sull’ipercolesterolemia familiare, patologia ereditaria, in cui si ha un eccesso di colesterolo nel sangue: • Misero a confronto cellule di individui sani e cellule di individui malati, incubandole con LDL marcate radioattivamente a 4°C (T a cui l’endocitosi si blocca). • Successivamente sono andati ad osservare quante LDL si legavano alle cellule, riscontrando che quelle di pazienti non affetti legavano le LDL normalmente, fino ad arrivare ad un plateau, mentre le cellule dei pazienti malati non legavano le LDL. • Di conseguenza si scoprì che i pazienti avevano delle mutazioni nel recettore per le LDL nel dominio extracellulare. • Andando ad analizzare altri pazienti, gli studiosi notarono che le cellule legavano normalmente le LDL. • Quindi fecero un ulteriore esperimento in cui le cellule venivano incubate a 37° C (T a cui si attiva l’endocitosi) e misurarono quante LDL entrassero in cellula. Con questo nuovo esperimento gli studiosi capirono che ciò che non funzionava, questa volta, era l’endocitosi delle LDL in quanto i nuovi pazienti avevano il recettore mutato nel dominio citosolico che lega le LDL ma non riesce a portarle in cellula. VIA ENDOCITICA CLASSICA: Vi sono una serie di compartimenti: A. Endosomi: distinti in: endosomi precoci: prima tappa. Poi il materiale passa agli endosomi tardivi tramite cui arriva ai lisosomi. Prima dell’endosoma tardivo esiste il corpo multivescicolare: delimitata da una membrana e all’interno sono contenute vescicole. Gli endosomi precoci, invece, non contengono vescicole e sono suddivisi in: - endosomi precoci di smistamento, - di riciclo o riciclanti: prendono il materiale di smistamento e lo riportano alla membrana plasmatica. B. Lisosomi: Rappresentano il compartimento in cui viene degradato il materiale che viene prevalentemente dall’esterno della cellula. In essi sono contenute le idrolasi acide che funzionano a pH acido= 4,5. CORPI MULTIVESCICOLARI: circondati da una membrana e all’interno sono caratterizzati dalla presenza di molte vescicole. Per capire se queste vescicole fossero effettivamente tali o fosse materiale internalizzato, si sono condotti studi sul recettore EGF: ENDOCITOSI MEDIATA DAL RECETTORE EGF (Epidermal Grow Factor) Come avviene l’endocitosi di tale recettore? - L’EGF si lega al recettore, il quale viene inglobato in vescicole rivestite da clatrina. – Le vescicole arrivano agli endosomi e poi ai lisosomi, dove il recettore viene degradato insieme al suo ligando. N.B.: I recettori che vengono degradati sono coinvolti nella trasduzione del segnale. Una volta degradati, la segnalazione viene arrestata. I recettori che sono coinvolti nella trasduzione del segnale, come EGF, non vengono degradati se non viene degradata anche la porzione citosolica. Per questo motivo la cellula ha messo in atto dei meccanismi per degradare anche il dominio citosolico di questi recettori. A livello degli endosomi precoci di smistamento, particolari tipi di recettori vengono inglobati in vescicole interne. Tali vescicole si formano per invaginazione della membrana dell’endosoma e vanno a inglobare i recettori. Alla fine si avrà il corpo multivescicolare con al su interno delle vescicole con: - la porzione extracellulare del recettore, dentro l’organello, - la porzione citosolica all’interno delle vescicole. In questo modo la cellula ha preso tutto il recettore e lo ha internalizzato nel corpo multivescicolare. La porzione citosolica, quindi, non si trova più nel citosol e quindi il recettore non può più segnalare. ENDOCITOSI NELLE CELLULE POLARIZZATE: Nelle cellule polarizzate i domini sono nettamente distinti e di conseguenza anche le endocitosi. Infatti si parla sia di endocitosi basolaterale sia di endocitosi apicale: - le vescicole che arrivano dalla membrana basolaterale, vanno agli endosomi precoci basolaterali, - le vescicole che arrivano dalla membrana apicale, vanno agli endosomi precoci apicali. Quindi esistono 2 popolazioni diverse di endosomi precoci di smistamento e riciclanti. È importante affinché possa avvenire il riciclo vari recettori e dei loro ligandi. I 2 pathway, però, si unificano a livello dei lisosomi e degli endosomi tardivi perché il materiale deve essere degradato. VESCICOLE SINAPTICHE: In risposta a particolari stimoli si fondono con la membrana plasmatica, rilasciando neurotrasmettitori a livello delle sinapsi. Tali vescicole si fondono parzialmente, rilasciano parte del loro contenuto, si richiudono e riformano vescicole pronte per un nuovo ciclo. La fusione può essere anche del tipo kiss and run in cui la vescicola, dopo aver rilasciato il suo contenuto, si fonde solo in parte con il compartimento bersaglio e immediatamente dopo si ristacca. Di conseguenza non perde la sua identità e tale interazione viene detta transiente. La stessa vescicola, inoltre, può effettuare varie fusioni nello stesso arco di tempo. ENDOSOMI COME DEPOSITO DI PROTEINE DI MEMBRANA Trasportatori del glucosio: Presenti nella membrana plasmatica, servono a trasportare il glucosio all’interno della cellula. Quando arriva l’insulina, la cellula stimola la produzione di nuovi trasportatori di glucosio -> richiede tempo e per questo la cellula sfrutta il mantenimento dei trasportatori del glucosio in particolari organelli: gli endosomi riciclanti specializzati (si riempiono di trasportatori del glucosio e restano quiescenti fino a che non arriva l’insulina): una volta ricevuto il segnale dall’insulina, dagli endosomi riciclanti specializzati partono vescicole che portano i trasportatori del glucosio sulla membrana in modo che il glucosio possa essere internalizzato dalle cellule. TRANSCITOSI È un processo attraverso cui le cellule trasportano materiale da un dominio all’altro di una cellula polarizzata. A cosa serve? Ci sono una serie di molecole che devono fare transcitosi: immunoglobuline, anticorpi contenuti nel latte materno. Gli anticorpi, normalmente, si trovano nel sangue. Per avere gli anticorpi nel latte, essi devono attraversare l’epitelio mammario tramite transcitosi. • Quindi: gli anticorpi vengono riconosciuti da recettori, internalizzati da vescicole rivestite da clatrina, indirizzati agli endosomi precoci di smistamento (da cui partono vescicole per gli endosomi di riciclo apicali) e saranno portati alla membrana apicale e secreti nel latte. • Nel neonato succede esattamente il contrario: a livello delle cellule intestinali, si trovano i recettori per le immunoglobuline che andranno a legare le Ig presenti nel latte arrivate a livello intestinale. Esse si legano al recettore e vanno negli endosomi precoci di smistamento apicali e poi agli endosomi precoci riciclanti basolaterali e vengono trasportate dall’altra parte della cellula: cioè nel sangue. MACROPINOCITOSI In alcune cellule si formano come degli pseudopoli che vanno a richiudersi sulla membrana, formando degli organelli, detti macropinosomi, di grandi dimensioni. Essi, col passare del tempo, si restringono perché perdono acqua grazie alle acquaporine. Il materiale internalizzato tramite macropinocitosi si trova all’esterno della cellula. Il macropinosoma poi lo manda al citoplasma, dove può essere processato dall’immunoproteasoma oppure viene trasportato in organelli endocitici specializzati, dove viene presentato dai sistemi maggiori di istocompatibilità di tipo II. In alternativa, il contenuto può ritornare all’esterno. LEZIONE 23 CAVEOLE: Strutture nelle cellule endoteliali, in cui sono molto abbondanti al di sotto della membrana. Sono invaginazioni della membrana, rivestite da caveolina. Le caveole sono a forma di fiasca perché si allargano nella parte finale. Si ritrovano nei domini di membrana ricchi di colesterolo e sfingolipidi -> le caveoline sono proteine che legano il colesterolo e formano di conseguenza le caveole a livello dei lipid rafts. - Struttura complessa: Simili ai vacuoli, perché hanno la struttura a fiasca che si può ulteriormente strutturare e risultare, quindi, ramificate. ENDOCITOSI MEDIATA DA CAVEOLE Avviene in maniera lenta rispetto a quella mediata da clatrina: Le caveole rivestite da caveoline si staccano dalla membrana e vanno a formare degli organelli detti caveosomi. Il materiale che entra in questi caveosomi arriva al RE o al Golgi e questo rappresenta una via alternativa all’endocitosi classica (in cui si arriva ai lisosomi). Sembra che ci sia un contatto con gli endosomi, in particolare con quelli precoci. Se un patogeno entra tramite caveole, infatti, ha una via preferenziale per dirigersi verso altri compartimenti che non hanno capacità microbicide. Il caveosoma resta parzialmente rivestito da caveolina al contrario degli endosomi.  Reagenti che bloccano la formazione delle caveole → Un farmaco, la filipina, è in grado di legarsi al colesterolo e di bloccare la formazione di caveole. Se le cellule vengono trattate con filipina e si infettano con il virus, esso non avrà possibilità di entrare nelle cellule in quanto le caveole risultano bloccate dal farmaco. Questo, quindi, indica il fatto che SV40 entra tramite caveole;  Esistono dei mutanti di caveoline non funzionanti, se espressi in cellula essa non è più in grado di fare endocitosi tramite caveole. Se si usano i mutanti e si infettano, quest’ultimo non ha possibilità di entrare perché c’è una mutazione riguardante le caveole.  Se si vanno a purificare le varie membrane della cellula dopo infezione, SV40 si riscontra nelle frazioni insolubili al detergente Triton. (le frazioni insolubili al Triton sono quelle con domini di membrana ricchi di colesterolo e sfingolipidi, dai quali poi partono le caveole).  L’entrata tramite caveole è molto lenta rispetto all’entrata tramite vescicole rivestite da clatrina. Ha una durata di almeno 30 min. L’infezione inizia quando il virus si lega specificamente ai complessi maggiori di istocompatibilità (MHC) di tipo I, che fanno da recettore. Una volta entrato SV40 va direttamente al RE: andando a evitare endosomi e lisosomi, questo crea un problema di difesa immunitaria: I compartimenti endosomali e lisosomali sono importanti anche per la presentazione dell’antigene, il quale viene frammentato e inviato al MHC. Quando il virus, invece, entra tramite caveole scatena una debolissima risposta immunitaria che non è in grado di contrastare l’effetto del patogeno. Questa caratteristica, fondamentale, viene vista in chiave positiva in termini di utilizzo di tale virus come vettore per la terapia genica o per veicolare un farmaco, ecc. Infatti il virus può essere ingegnerizzato, eliminando i geni che causano patologia, utilizzandolo come vettore per geni che possono curare una data malattia. 2. Virus RSV (Respiratory Syncytial virus) Virus a RNA rivestiti da membrana, a filamento negativo, causano infezioni al tratto respiratorio. Si replicano nelle cellule endoteliali perché ricche di caveole . 3. Virus JE (Japanese Encephalitis virus) Virus a RNA a filamento positivo, trasmesso ai vertebrati tramite le zanzare. Entra nelle cellule epiteliali e infetta specificamente i neuroni in via di sviluppo nel cervello dell’animale ospite e causa encefaliti che sono potenzialmente letali. Come arriva al cervello dal sistema circolatorio (superando la barriera ematoencefalica)? Tramite transcitosi entra nelle cellule endoteliali dei capillari via caveole. 4. Virus HIV Molti recenti studi riportano l’interazione del virus HIV con i microdomini lipidici di membrana. Questo non significa necessariamente che il virus entra tramite caveole ma comunque l’interazione con questi domini deve avere un ruolo. La proteina Nef di HIV si associa con questi domini lipidici e funziona iperattivando la produzione di interleukina2 da parte di alcune cellule T. Altri studi presentano evidenze che il virus HIV esce dalla cellula in corrispondenza dei microdomini lipidici. La membrana che lo riveste è ricca in colesterolo, sfingomielina e proteine legate a GPI. Questo rende il virus resistente a lisi dal complemento. BATTERI che entrano tramite caveole 1. Campylobacter jejuni Causa Diarrea. invade tipi cellulari in coltura e cellule intestinali in vivo. Inibito dalla Filipina. 2. Escherichia coli È il maggiore costituente della flora commensale dell’apparato digerente umano ma è anche responsabile di una serie di infezioni dei tratti urinari e digestivi. Può esprimere fimbrie che aiutano a colonizzare le superfici mucose e promuovono il legame a cellule fagocitiche. Esistono molte evidenze che, quando entra all’interno delle cellule, E. coli lo faccia tramite caveole. 3. Chlamydia trachomatis Batterio Gram negativo, parassita intracellulare obbligato. Entra principalmente attraverso caveolae. Se non può usare caveole entra tramite altri meccanismi. Le inclusioni contengono caveolina durante tutto il ciclo di sviluppo. Altri microrganismi Pneumocystis carinii È un fungo, di norma non è patogeno → Se un individuo sano viene a contatto col fungo, il sistema immunitario è in grado di debellarlo. Se invece tale microrganismo viene a contatto con un individuo immunodepresso, è in grado di dare una patologia, causa infezioni polmonari. Tale patogeno è diventato un indice diagnostico per l’AIDS: se il paziente ha un’infezione polmonare che dalle analisi risulta essere stata scatenata da questo microrganismo, all’80% il paziente è affetto da AIDS (o da altre patologie). È un patogeno extracellulare: non entra tramite caveole. La caratteristica principale è che si posiziona sulla membrana delle cellule e sotto al microrganismo si formano una serie di caveole. Tali caveole forniscono al microrganismo i nutrienti necessari per la sopravvivenza. PROTEINE che entrano tramite caveole 1. Prioni I prioni sono proteine infettive. Esse hanno la stessa sequenza amminoacidica delle proteine normali, cambia solo la struttura 3D. Se non vengono degradate, si ha un accumulo il quale causa patologie molto gravi. La proteina prionica ha anche una forma legata al glicosilfosfatidilinositolo (GPI). L’àncora di GPI è una modificazione proteica, e un segnale per il trasporto delle proteine. 2. Tossina colerica Contiene una subunità enzimatica A e altre 5 subunità uguali tra loro dette B. La subunità enzimatica A, una volta arrivata al RE, subisce dei cambiamenti e diventa A1. Tale subunità A1 ha un’attività di ADP-ribosiltransferasi: trasferisce un ADP ribosile alla proteina Gs, facendo in modo che Gs resti attiva costitutivamente. Il trasferimento è indirizzato verso la proteina Gs stimolatoria, che attiva l’adenilato ciclasi il quale produce grosse quantità di AMPc, causano un aumento della secrezione di cloruro, una diminuzione nell’assorbimento di sodio e quindi l’accumulo di fluidi a livello intestinale. ( → diarrea acquosa). La tossina colerica entra tramite caveole: arriva al RE, tramite caveole, dove la subunità A viene attivata. Questo comporta il fatto che se si riuscisse a trovare un farmaco in grado di bloccare tale trasporto, si bloccherebbe la patologia. Il colera è dato dal patogeno Vibrio cholerae, ma in realtà le difese immunitarie contro esso sono funzionanti. Il problema si riscontra nella tossina rilasciata da tale patogeno. Evitare la fagocitosi : Come fanno i patogeni a evitare di essere fagocitati? Per evitare di essere riconosciuti da specifici anticorpi o recettori per la fagocitosi i microrganismi patogeni hanno sviluppato una serie di strategie per evitare la fagocitosi Se si lasciano fagocitare, i microrganismi verranno ovviamente distrutti. Alcuni patogeni riescono a sfuggire dalla degradazione, evitando di essere fagocitati. Un’altra possibilità è quella di entrare per fagocitosi, ma poi riuscire a resistere a essa. Come? O il patogeno diventa resistente al fagosoma oppure il patogeno causa la lisi del fagosoma e raggiunge il citoplasma. Strategie per evitare la fagocitosi 1. Recettore FcγR: La prima tappa della fagocitosi è il riconoscimento tra il materiale da internalizzare e il recettore. Un tipo di fagocitosi avviene tramite recettore delle opsonine FcγR, riconosce la porzione Fc delle Ig. Alcuni microrg, variano gli antigeni: cambiano di continuo le proteine espresse sulla loro superficie e questo impedisce il riconoscimento da parte degli anticorpi ( → VARIAZIONE ANTIGENICA). 2. Interferire con gli anticorpi: Un esempio classico è dato da Staphylococcus aureus, il quale produce la proteina A che si lega al frammento Fc degli anticorpi. In questo modo gli anticorpi non riconoscono il patogeno e la fagocitosi viene inibita. 3. Recettore per il complemento: I microrganismi opsonizzati dal complemento sono riconosciuti dai fagociti attraverso il recettore del complemento e sono fagocitati. Alcuni microrganismi patogeni utilizzano la capsula, che ha una natura polisaccaridica e che si deposita all’esterno della membrana: va a coprire il patogeno e impedisce fisicamente la deposizione del complemento sulla superficie batterica. In questo modo il recettore non è in grado di riconoscere il patogeno e la fagocitosi viene evitata. 4. Streptococcus pyogenes: Si circonda e si lega alle proteine del plasma, nascondendosi dal complemento che non lo riconosce. Una serie di patogeni utilizza strategie molto più complesse, in quanto comportano l’iniezione di una serie di fattori batterici in cellula. Per esempio, Yersinia spp, Pseudomonas aeruginosa, EPEC si legano alla cellula, inseriscono nella membrana cellulare il sistema di secrezione e iniettano dentro la cellula delle proteine batteriche che vanno a bloccare la fagocitosi, bloccando la trasduzione del segnale o bloccando la riorganizzazione del citoscheletro di actina ( → il batterio non può essere fagocitato).  Yersinia spp (spp = specie varia), agente della peste bubbonica: Prende contatto con la membrana della cellula, utilizza un sistema di secrezione e manda nella cellula una serie di proteine Yop (Yersinia outer proteins): - YopH → è una fosfatasi, che defosforila i recettori che si sono fosforilati per iniziare la trasduzione del segnale che va a stimolare la funzione delle proteineG Rho, Rac e Cdc42 che porta alla riorganizzazione del citoscheletro di actina.. - YopE → proteina GAP, cioè induce le proteine G a idrolizzare il GTP. YopE inattiva Rho, Rac e Cdc42-> la fagocitosi viene bloccata. - YopT→ Cisteina proteasi: taglia la sequenza CAAX (in corrispondeza della cisteina), senza la quale le proteine Rho non saranno più farnesilate e quindi non potranno più ancorarsi alla membrana e non saranno in grado di funzionare. Pseudomonas aeruginosa: è un batterio che produce un fattore detto ExoS, proteina che viene iniettata in cellula tramite i sistemi di secrezione. ExoS inattiva Rho, Rac e Cdc42 bloccando tutte le proteine deputate alla riorganizzazione del citoscheletro di actina. Quindi nonostante ExoS sia una proteina diversa da YopE, ha comunque un dominio GAP che è in grado di causare lisi a Rho, Rac e Cdc42..  EPEC (Enteropathogenic Escherichia coli): Inibisce i riarrangiamenti del citoscheletro dipendenti da PI3K tramite degli effettori iniettati in cellula: non bloccano la polimerizzazione del citoscheletro, ma la modificano per costruire un piedistallo per il batterio. Strategie diverse per sfuggire al fagosoma. 1° strategia (Shigella; Listeria) → Uscita dal fagosoma: Il patogeno entra nella cellula per fagocitosi e successivamente distrugge la membrana del fagosoma, in modo tale da ritrovarsi nel citoplasma. Nel citoplasma il patogeno ha la possibilità di sopravvivere e replicarsi. 2° strategia (Salmonella; Mycobacterium) → Modificazione del fagosoma in modo che non possa mai diventare fagolisosoma. I patogeni entrano per fagocitosi e modificano il fagosoma in modo che non possa mai fondersi con i lisosomi, inattivando proteine di maturazione. 3° strategia (Leishmania) → Sopravvivere nel fagolisosoma: dei patogeni che entrano per fagocitosi invece di bloccare la maturazione la rallentano: esprimono proteine che consentono loro di sopravvivere nel fagolisosoma senza essere uccisi o degradati. 4° strategia (Chlamydia) → Il patogeno della clamidia entra per fagocitosi. Ciò che si osserva è che il fagosoma si sposta dalla via endocitica alla via esocitica. Il fagosoma con all’interno Chlamydia riceve materiale dal Golgi e quindi non si ha la normale maturazione. Leishmania È un parassita passato tramite gli insetti, ha 2 forme: pro-mastigote, a-mastigote. si alternano nel ciclo. Come sopravvive Leishmania nel fagosoma? Dopo l’internalizzazione, il parassita fa in modo che sul fagosoma si depositi del lipofosfoglicano che impedisce la fusione del fagosoma con gli altri compartimenti, rallentando la maturazione. In questo lasso di tempo, Leishmania produce le proteine della sopravvivenza. Quando il parassita è maturato, smette di produrre lipofosfoglicano perché ha tutto ciò che gli serve per non essere degradato. Toxoplasma gondii Tale parassita entra in cellula, ma riesce a replicarsi nel fagosoma il quale si riempie di cellule patogene fino alla lisi. Trypanosoma cruzi Il parassita si attacca alle integrine, che porta all’entrata di Calcio -> recluta i lisosomi che si vanno a fondere con la membrana plasmatica, sulla quale è attaccato il parassita, provocando la formazione di un vacuolo di internalizzazione. Successivamente si ha la secrezione di una porina, la quale va a lisare la membrana del vacuolo. Alla fine del processo il parassita si ritroverà nel citoplasma. I microrganismi che riescono a raggiungere il citoplasma (dopo aver lisato il fagosoma) sono in grado di spostarsi tra una cellula e un’altra proprio grazie a tale movimento. Come arriva il batterio nella cellula adiacente? La coda di actina spinge la prima membrana (quella della cellula da cui il batterio proviene) e la seconda membrana (quella della cellula in cui il batterio vuole spostarsi), con la formazione di un vacuolo costituito da due membrane. In questo modo la coda di actina si disassembla e successivamente il batterio si ritroverà nel vacuolo a doppia membrana privo di coda. I batteri che entrano nelle cellule adiacenti tramite questo meccanismo, sono anche in grado di uscire. Mutante di Listeria senza ActA Cosa succede se si toglie ActA a Lysteria? Quando il batterio si divide, si ha una polarizzazione di ActA (in quanto sul setto di divisione non ci sarà, ovviamente, tale proteina). I due nuovi batteri iniziano a muoversi. Lysteria m. mutato, senza gene per ActA:- non ha la possibilità di raggiungere le altre cellule,- viene riconosciuto dal sistema immunitario come patogeno,- viene circondato dalla membrana di isolamento, che andrà ad inglobarlo. Quindi si forma un autofagosoma che distruggerà il microrganismo. Perché Lysteria m. non riesce a degradare la membrana dell’autofagosoma? Perché, le lisine che produce funzionano solo sulla membrana del fagosoma o del vacuolo, una lisina che è in grado di rompere la membrana plasmatica, non è in grado di rompere quella del Golgi, del reticolo, ecc. Per tale motivo i mutanti ActA sono meno virulenti e patogenici. Virus vaccinico Tale virus è in grado di muoversi nella cellula esattamente come Listeria e Shigella, in grado di far polimerizzare l’actina. Anche in questo caso, si è riscontrato il reclutamento di N-Wasp e il complesso Arp2/3. Tale meccanismo non è ristretto soltanto a microrganismi cellulari, ma comprende anche ai virus. Tale meccanismo può funzionare anche con strutture cellulari, gli endosomi tardivi e i corpi multivescicolari formano delle code di actina, servono agli organelli per spostarsi. Un organello che non si associa con le code di actina è il mitocondrio. INDUZIONE DELLA FAGOCITOSI Tali batteri utilizzano i sistemi di secrezione per iniettare nella cellula i loro effettori: il batterio mette in atto una depolimerizzazione delle strutture della cellulla già presenti e una ripolimerizzazione del citoscheletro a proprio favore. Shigella → Ha degli effettori detti IpaA, IpaB e IpaC. IpaB e IpaC fanno parte del sistema di secrezione e sono proteine che si sistemano a livello della membrana. IpaC, è anche in grado di stimolare la polimerizzazione l’actina. IpaA serve per la depolimerizzazione, non solo quella iniziale ma anche quella che avviene nel momento in cui il batterio si fa internalizzare dal fagosoma. Salmonella → Stesso procedimento, effettori diversi. PROTEINE Rho (Rho, Rac, Cdc42). Le proteine Rho, infatti, sono un bersaglio preferito dai microrganismo patogeni, in quanto interagendo con queste vanno a modificare il citoscheletro di actina. Alcuni microrganismi, inoltre, vanno a disattivarle o attivarle, tramite le proprie tossine. In questo modo alcuni batteri riescono ad alterare la trasduzione del segnale e l’organizzazione del citoscheletro. Alcune tra queste tossine: - ExoS (ADP-ribosil-transferasi*) → Ha un’attività Gap su tutte le proteine Rho. *ADP-ribosil-transferasi: Trasferiscono un gruppo ADP-ribosile sulle proteine Rho. Così la proteina Rho non è più in grado di funzionare. - YopE → Ha un’attività Gap (GTPase activating protein): attiva l’attività GTPasica delle Rho, disattivandole. - YopT → Toglie il segnale di farnesilazione. Tali tossine hanno dei domini importanti per l’interazione con le proteine Rho. - CGT = Glucosil-transferasi → Tossina dei clostridi, che trasferisce un gruppo glucosile che inattiva le proteine Rho. Esistono inoltre altre tossine in grado di attivare le proteine Rho: - SopE: è un effettore di Salmonella e di scambio (GEF) per le proteine Rho: stimola la loro attivazione(GDP → GTP). - CNF e DNT : Agendo sulle proteine Rho, le rendono permanentemente attive. LEZIONE 27 CELLULE M: sono cellule epiteliali specializzate delle superfici mucose presenti nei tratti intestinali e polmonari. Partecipano nel generare immunoprotezione trasportando antigeni. Una varietà di virus, batteri e protozoi patogeni le usano per attraversare l’epitelio e stabilire infezioni locali o sistemiche. → Questo perché: • la superficie luminare è priva di muco ed i microvilli sono sparsi, irregolari e senza microfilamenti alla base. • La membrana basolaterale è invaginata e forma tasche entro cui possono migrare linfociti e macrofagi. • Hanno molta attività endocitica (cioè internalizzano materiale dall’esterno tramite strutture delimitate da membrana) ma pochi lisosomi perché, in realtà, tali cellule fanno molta transcitosi • Il trasferimento è molto efficiente (10 min). Le cellule M trasportano materiale che si ritrova nel lume (dal lato apicale) verso il lato basolaterale. Queste cellule servono a presentare alle cellule del sistema immunitario tutto il materiale che arriva da altri distretti, in modo che l’organismo sia prontamente avvisato dalla presenza di patogeni. Le cellule M sono utili per lo studio delle interazioni tra ospite e patogeno. o E. coli EPEC: Forma il piedistallo sulle cellule M perché è molto più facile (dato che la cellula è priva di muco e microvilli). o Vibrio cholerae: Se un individuo viene infettato, il virus entra nella cell. M che fa transcitosi portando il virus a macrofagi e a neutrofili. o Campilobacter jejuni/Yersinia spp: Cercano di entrare nella cellula M, che li trasporta sul lato basolaterale. Qui i patogeni si imbattono nei macrofagi e neutrofili, dai quali non si fanno fagocitare e quindi riescono a invadere il tessuto e sopravvivere. o Shigella: Entra nella cellula M dal lato apicale e viene fagocitato da un fagosoma. Shigella però è in grado di rompere il vacuolo di internalizzazione, ritrovandosi libero nel citoplasma. In questo ambiente il patogeno fa polimerizzare l’actina ad un polo. Quando poi entra a contatto coi macrofagi, inietta in essi degli effettori in grado di mandarli in apoptosi e in questo modo il patogeno è in grado di sopravvivere e di scatenare la risposta infiammatoria. P.S.: In tutti questi casi la cellula M rimane integra! o Salmonella enterica: entra nella cellula M e la distrugge tramite perforazione della barriera epiteliale. Salmonella viene internalizzato dai macrofagi, ma permane in essi senza essere distrutto. In questo modo riesce a replicarsi all’interno dei macrofagi. CHLAMYDIA Ciclo di sviluppo Chlamydia trachomatis, pneumoniae, psittaci, pecorum → Diverse specie ma hanno caratteristiche comuni: Sono batteri patogeni intracellulari obbligati, cioè devono assolutamente entrare nelle cellule, la cellula ospite preferita è la cellula M negli epiteli; Questo ciclo di sviluppo avviene in un vacuolo delimitato da membrana chiamato inclusione e coinvolge due forme distinte: Elementary Body (EB, forma infettiva metabolicamente inattiva) e Reticulate Body (RB forma non infettiva metabolicamente attiva). - Il corpo elementare (EB) entra nella cellula. Ciò innesca una serie di eventi che inducono cambiamenti nel patogeno e nella cellula ospite. EB entra tramite endocitosi in senso lato e il vacuolo di internalizzazione, nel quale è contenuto, si sposta dalla via endocitica per ricevere materiale dalla via esocitica (dal Golgi e in particolare dal TGN). Queste vescicole, dopo un’ora dall’infezione, non presentano più alcun marcatore endocitico: Ciò importante perché altrimenti Clamidia verrebbe trasportato ai lisosomi e degradato. - Avvengono cambiamenti nel citoscheletro di actina e tubulina della cellula ospite fondamentali per la fusione delle strutture con Clamidia. - Le inclusioni si fondono tra loro per formare un’unica e grande inclusione, e intercettano le vescicole dalla via secretoria in modo da espandere la loro membrana. - Dopo 9 ore si possono osservare i corpi reticolati (ER), che nelle inclusioni si vanno a disporre in periferia perché vanno a posizionarsi sotto la membrana e tramite le loro projections mettono in comunicazione i corpi reticolati col citoplasma della cellula, sia per acquisire nutrienti sia per mandare segnali alla cellula. - Dopo 30 ore si iniziano a vedere di nuovo i corpi elementari (forma infettiva), perché i corpi reticolati sono serviti al batterio a replicarsi. La seconda trasformazione da corpi reticolati a corpi elementari avviene in maniera molto veloce. I EB, al contrario di RB, si dispongono al centro del vacuolo perché sono metabolicamente inattivi e quindi non hanno bisogno di nutrienti provenienti dal citoplasma. N.B.: Il nucleo diventa sempre più schiacciato; alla cellula rimane poco spazio e gli organelli sono addossati sulla parete cellulare. Uscita: segnali che regolano e inducono la fine del ciclo e la maturazione delle particelle RB a EB.: diminuzione dei nutrienti nella cellula ospite, e l’attivazione di proteine istoniche. • C’è in alcuni casi una graduale disintegrazione della membrana delle inclusioni con il rilascio di particelle EB che entrano nelle cellule vicine. In altri casi fusione delle inclusioni con la membrana plasmatica. Come fanno ad uscire, quindi, i batteri? Tramite: - lisi completa della cellula: avviene una disintegrazione della membrana delle inclusioni, che comporta un danno della membrana cellulare; - fusione delle inclusioni alla membrana plasmatica: tutti i batteri si ritrovano fuori dalla cellula senza intaccare l’integrità cellulare. SHIGELLA: È un batterio Gram - causa dissenteria, contiene un plasmide di virulenza che presenta una serie di geni fondamentali per invadere le cellule. I geni di Shigella sono per la maggior parte effettori (producono proteine che hanno una funzione importante nell’interazione ospite-patogeno) e ne esistono diversi tipi. Il sistema di secrezione di Shigella è costituito da una serie di proteine, due delle quali dette IpaB e IpaC che si vanno ad inserire nella membrana della cellula ospite, completando il sistema di secrezione. - Shigella si fa internalizzare, perché è uno di quei batteri che è in grado di rompere il vacuolo e di muoversi nel citoplasma con la coda di actina. Quindi nelle cellule è protetto dal sistema immunitario. Come fa a farsi internalizzare? Lo fa inviando alle cellule una serie di effettori che vanno ad agire sul citoscheletro di actina e nello specifico su una chinasi, detta SRC (sarc), che va anche ad agire sulle proteine Rho. Shigella inietta altri due effettori: IpaA e VirA. IpaA è importante per la depolimerizzazione dell’actina, mentre VirA serve a destabilizzare il citoscheletro di tubulina. Le funzioni di questi due effettori sono fondamentali perché per passare da filipòdi a lamellipòdi e da lamellipòdi a strutture che si chiudono sopra al batterio per internalizzarlo, c’è bisogno della depolimerizzazione dell’actina. Se Shigella non avesse la possibilità di esprimere IpaA, le cellule batteriche non potrebbero entrare in maniera efficiente, in quanto si formerebbero comunque i filopòdi e i lamellipòdi ma l’efficienza della trasformazione di queste strutture in strutture che poi dovrebbero chiudersi sopra al batterio sarebbe molto bassa. Si consideri che per l’internalizzazione di Shigella servono varie proteine della famiglia Rho: Rho, Rac e Cdc42. LEZIONE 28 Com’è stato scoperto che IpaC avesse anche un ruolo da effettore e non solo come componente del canale di traslocazione? Nello studiare il sistema di secrezione di Shigella, sono state costruite delle microbiglie di latex con sopra IpaB e IpaC, per vedere se questo bastasse a far internalizzare tali microbiglie. La presenza di IpaB e IpaC confermò tale ipotesi. Si avevano anche riarrangiamenti nel citoscheletro di actina. Per questo motivo si è poi andati a vedere se tale riarrangiamento fosse dovuto a IpaB o a IpaC e si è visto che la responsabile era proprio IpaC. Se si utilizzano cellule semi permeabilizzate (cellule alle quali viene danneggiata in parte la membrana) e si aggiunge IpaC nel terreno di coltura, tale proteina entrerà nelle cellule.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved