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BIOLOGIA CELLULARE RIASSUNTO DA LIBRO BIOLOGIA MOLECOLARE DELLA CELLULA, ALBERTS, Dispense di Biologia Cellulare

Riassunto da Alberts integrato con lezioni del professore

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 25/06/2023

fatima.ramli
fatima.ramli 🇮🇹

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Scarica BIOLOGIA CELLULARE RIASSUNTO DA LIBRO BIOLOGIA MOLECOLARE DELLA CELLULA, ALBERTS e più Dispense in PDF di Biologia Cellulare solo su Docsity! CELLULA TEORIA CELLULARE La cellula rappresenta la più piccola unità capace di svolgere tutte le funzioni. Sono in grado di dividersi e di replicarsi. Il fatto che la cellula riesca ad adempiere a tutte le sue funzioni permette di mantenere l’omeostasi. Ciò contribuisce inoltre all’adattamento delle proprie caratteristiche rispetto a quelle che sono le condizioni esterne. DIMENSIONI CELLULARI Escludendo le uova, la cellula più grande di tutte è l’ooocita umano con una dimensione di 100 micrometri. Questo ci da indicazioni sul fatto che le dimensioni cellulari siano al di fuori della portata di risoluzione dell’occhio umano. Di conseguenza, avremo bisogno di microscopi ottici o elettronici per osservare questo tipo di strutture a seconda del grado di risoluzione di cui avremo bisogno. A parte l’ovocita umano, la maggior parte delle dimensioni delle cellule eucariotiche e procariotiche si collocano tra i 10 e i 50 micrometri. I batteri sono ancora più piccoli, sull’ordine di un solo micrometro. Scendendo ancora più giù sorpassiamo l’intervallo di risoluzione del microscopio ottico entrando in quello del microscopio elettronico, con cui possiamo invece osservare i virus, sull’unità di misura dei nanometri. Scendendo ancora, iniziano ad essere osservabili le singole componenti cellule, dell'ordine del nanometro. La maggior parte di tutti gli organelli, che sono dell'ordine del micrometro, sono visibili soltanto tramite il microscopio elettronico. nudo. Perché le cellule non possono avere dimensioni più ampie? Esiste un limite caratterizzato dal rapporto tra il volume della cellula e la sua superficie di scambio. Man mano che il volume viene sempre più diviso in unità più piccole, la superficie va ad aumentare a scapito del rapporto volume e superficie che diminuirà sempre di più. Per cui, cellule più piccole avranno un rapporto superficie su volume estremamente elevato. Questo è importante principalmente per due fattori: ● In questo modo le cellule piccole hanno più superficie per scambiare sostanze nutritive o di rifiuto. ● I movimenti a livello intracellulare sono molto più brevi. Per queste ragioni, le capacità di reazione di una cellula agli stimoli ambientali saranno molto più rapide sia per una superficie esterna molto estesa sia per le capacità di movimento. MICROSCOPIO OTTICO Il microscopio ottico ha un limite di risoluzione di 200 micrometri circa. Questo limite è dato dalla lunghezza d’onda utilizzata, la quale si colloca sull’ordine di un centinaio di nanometri. Fanno eccezioni delle particolari microscopie che combinano diverse tipologie di informazioni permettendo di ottenere una risoluzione parzialmente maggiore. Il microscopio ottico è costituito da una fonte luminosa che viene mandata su uno specchio che proietta un fascio di luce attraverso un condensatore, il quale catalizza la radiazione luminosa su un campione che si trova su un vetrino. Quindi la luce passa attraverso il campione, viene ricevuta da un obiettivo, il quale effettua un primo ingrandimento. Il secondo ingrandimento viene dall’oculare. In questo modo l’ingrandimento totale che avremo sarà il prodotto di queste due primi ingrandimenti. Il microscopio ottico permette di osservare delle cellule eucariotiche in piastra. Non ci permette di individuare strutture estremamente piccole come quelle proteiche oppure piccoli organelli. Attraverso il microscopio ottico, possiamo avere uno sguardo d’insieme della cellula e sulla morfologia di alcune delle sue componenti. COLORANTI Le cellule al microscopio appaiono colorate ma in realtà sono traslucide. Abbiamo necessità di colorarle per identificare le diverse strutture. Alcune delle colorazioni più utilizzate sono l’ematossilina e l’eosina. ● L’ematossilina (violetto) permette di colorare le componenti cariche negativamente come il DNA ● L’eosina (rosa) marca le componenti cariche positivamente, andando a rilevare tutte le proteine citoplasmatiche cariche positivamente, il citoplasma stesso e i mitocondri. Un’altra tipologia di colorazione per individuare le diverse strutture cellulari prevede l’utilizzo di sonde fluorescenti. In questo caso si utilizzano delle molecole in grado di assorbire un fotone e di passare quindi da uno stato basale ad uno eccitato. Nella transizione successiva da stato eccitato a strato basale, queste molecole emetteranno un ulteriore fotone con una lunghezza d’onda superiore. Attraverso l’utilizzo di sonde fluorescenti, siamo in grado di identificare più strutture intracellulari contemporaneamente. GFP Essa è una molecola fluorescente naturale che, se fusa insieme ad una proteina d’interesse, permette di determinare la localizzazione dei diversi distretti intracellulari e distinguere le determinate funzioni sulla base della loro posizione. Per fare tutto ciò, si crea un plasmide di fusione tra la proteina d’interesse e la molecola di GFP. La cellula, a questo punto, esprimerà la proteina di interesse con il GFP, utilizzeremo il microscopio a fluorescenza e saremo in grado di determinare la posizione della proteina e la GFP nella cellula. IMMUNOCITOCHIMICA INDIRETTA Essa è un’altra tecnica per visualizzare al meglio le diverse locazioni cellulari. In questo caso, non viene utilizzata una molecola fluorescente ma degli anticorpi che ci permettono di rilevare la localizzazione della proteina d’interesse nella cellula. Prevede la fissazione della cellula su una piastra o un vetrino e l’utilizzo di un anticorpo primario. L’anticorpo in questione si legherà all’antigene immobilizzato sulle cellule fissate e successivamente verrà a sua volta riconosciuto da degli anticorpi secondari, i quali essendo coniugati a proteine fluorescenti o a degli enzimi, individuerà il distretto cellulare la molecola d’interesse. Oppure la tecnica può essere combinata al microscopio elettronico. In questo caso gli anticorpi secondari vengono coniugati a delle particelle di oro colloidale il quale apparirà elettron denso al microscopio elettronico. L’immagine visualizzata sarà una sorta di pallino nero. Tramite questa tecnica è possibile visualizzare più componenti cellulari contemporaneamente. MICROSCOPIA A FLUORESCENZA Il suo funzionamento è simile al microscopio ottico ma vede la presenza di due filtri in più. Un primo filtro è quello ad eccitazione, il quale percepisce tutto lo spettro luminoso e seleziona una lunghezza d’onda specifica colpendo quindi il campione di riferimento. Esso assorbirà la radiazione luminosa e emetterà una radiazione di lunghezza d’onda superiore. Questa emissione passerà attraverso uno specchio elettronico e verrà nuovamente filtrata da un secondo filtro, che serve a pulire eventuali interferenze date da emissioni di molecole differenti da quelle che si vogliono analizzare. In questo modo è possibile distinguere, tramite dei fasci laser precisi e lunghezze d’onda diverse, fluorofori differenti facenti parte del campione d’interesse. È possibile distinguere i batteri sulla base della loro morfologia, ne esistono tre tipologie principali: ● cocchi, cioè sferici (ad esempio l’enterococco) ● bacilli, cioè a forma di bastoncello (ad esempio l’e.coli) ● spirilli, forma elicoidale Alcune cellule procariotiche svolgono funzioni particolari: ● capacità fotosintetiche ● fissazione dell’azoto ● processi metabolici: - trasformazione dello zucchero ad alcool (fermentazione alcoolica: vino, birra, liquori) - trasformazione dell’alcool ad acido (fermentazione acida: aceto, yogurt) - decomposizione di molecole organiche (e. coli dell’intestino è utilizzato nel trattamento delle acque di scarico) - produzione di sostanze utili all’organismo (vitamine: batteri endosimbionti intestinali) ● digestione della cellulosa CELLULA EUCARIOTICA: animale/vegetale La prima caratteristica che li distingue dalle cellule eucariotiche è la compartimentazione interna. Altra differenza tra procarioti ed eucarioti è che quest’ultimi NON hanno il materiale genetico libero nel citoplasma, ma è contenuto all’interno del nucleo. Infine gli eucarioti presentano un citoscheletro, cioè una struttura formata da microfilamenti, filamenti intermedi e varie strutture proteiche che dà forma, movimento e garantisce l’organizzazione interna delle strutture e la localizzazione di queste. Nella cellula vegetale sono presenti alcune piccole differenze, ad esempio è presente il vacuolo (nelle cellule animali è presente esclusivamente negli epatociti), i cloroplasti (adibiti alla fotosintesi) e la parete cellulare. Questi due ultimi elementi sono assenti nelle cellule animali. Quindi la differenza più sostanziale tra procarioti ed eucarioti è la compartimentazione delle membrane e il sistema intermembranoso che ne deriva, i principali compartimenti che troveremo saranno: ● Nucleo ● Reticolo endoplasmatico liscio e rugoso ● Complesso del Golgi ● Lisosomi ● Vescicole ● Vacuoli Le funzioni di questa compartimentazione sono: ● Localizzare determinate funzioni specifiche ● Favorire reazioni ● Separare reagenti particolarmente reattivi ● Permettere più attività contemporanee ● Membrane= superfici di lavoro cellulare ● Immagazzinare energia Gli stessi organelli svolgono la stessa funzione in cellule diverse, ma le cellule diverse contengono quantità diverse di specifici organelli a seconda della loro funzione. Ad organizzare la posizione di ogni organello nella cellula è il citoscheletro. Come si sono formate le membrane? Come si è passati da cellula procariote a eucariote? Ci sono due teorie a riguardo: ● Per la membrana nucleare, i RE, apparato di golgi, gli endosomi e lisosomi si pensa sia avvenuta un’invaginazione della membrana plasmatica di un’antica cellula procariote dando origine al sistema di membrane interne. L’invaginazione della membrana plasmatica come prima cosa iniziò a circondare il materiale genetico (nucleo) per poi essere tagliata e formare strutture per sintesi proteica come il RER. ● Per mitocondri e cloroplasti invece si pensa che derivino da procarioti che sono stati inglobati dalle cellule eucariote con cui erano in simbiosi. Si pensa che queste cellule procariote siano state inglobate poiché davano un vantaggio di tipo energetico alla cellula eucariotica. Questa ipotesi è supportata da tre elementi: - Presenza di DNA che codifica per proteine esclusive e simili a proteine batteriche - La presenza di doppie membrane, quindi una più esterna dovuta al processo di inglobamento e una più interna appartenente alla cellula originale - L’esclusione dal traffico vescicolare, che caratterizza le componenti di membrana delle cellule tranne, appunto, mitocondri e cloroplasti. NUCLEO ● Dimensione di circa 5µm. ● Circondato da due membrane: la prima si ripiega, passa sul lato interno del nucleo e forma i pori nucleari; questi pori sono poi rivestiti da delle proteine interne che fanno da filtro di ciò che può entrare o uscire dal nucleo (non tutte le molecole possono entrare e non tutte possono uscire). ● Contiene il materiale genetico della cellula, e le molecole di DNA sono organizzate in complessi DNA-proteine detti cromatina. ● Sede della duplicazione del DNA. ● Controllo genetico sulle attività cellulari, quindi regola i processi di espressione genica. Nucleolo: ● Struttura più densa all’interno del nucleo, per via della grande quantità di RNA ribosomiale e subunità proteiche che vi sono all’interno. ● Sede della sintesi dell’RNA ribosomiale e dell’assemblamento dei ribosomi, formati da proteine ed RNA ribosomiale. ● Continuità con reticolo endoplasmatico rugoso, dove troveremo molti ribosomi. Il nucleo ha due strutture importanti che sono: ● pori nucleari ● lamina nucleare che associandosi alla matrice nucleare fa da sostegno e impalcatura mantenendo quella che è la forma sferica del nucleo, regolando anche la forma di quest’ultimo in funzione dei movimenti delle cellule. Dona quindi elasticità e integrità al nucleo. RETICOLO ENDOPLASMATICO Reticolato di membrane connesse tra loro organizzate a formare strutture tubulari e cisterne appiattite, si divide in RUGOSO e LISCIO Reticolo endoplasmatico rugoso: ● Struttura a cisterne appiattite. ● Contiene i ribosomi rivolti sul lato citosolico della membrana che sintetizzano proteine specifiche direttamente nel lume del reticolo endoplasmatico. I ribosomi sono formati da proteine ed RNA ribosomiale, hanno una struttura tra i 12 e 25 nm e si assemblano con un’unità maggiore e una minore. Possono esistere associati al RER, oppure possono esistere anche liberi all’interno del citoplasma. Reticolo endoplasmatico liscio: ● Struttura tubulare. ● NON contiene ribosomi. ● Adibito a: ○ sintesi di lipidi (per formare membrana cellula, ormoni steroidei) ○ regolazione processi di detossificazione (farmaci) ○ regola le concentrazioni di calcio a livello cellulare APPARATO DEL GOLGI È formato da una serie di cisterne membranose appiattite organizzate in pile; le pile sono collegate da connessioni tubulari. Riceve vescicole derivanti dal REL o RER sulla faccia cis (verso il RE): su questo lato le vescicole si fondono e liberano il loro contenuto all’interno del lume del golgi ed usciranno sottoforma di vescicola escretoria dalla faccia trans. Topologicamente si va a collocare dopo il reticolo endoplasmatico. La faccia cis si trova rivolta verso il reticolo endoplasmatico: quindi più vicina al nucleo e riceve le vescicole derivanti dal RE che si fondono con essa per poi liberare il proprio contenuto e poi attraversare le cisterne del Golgi. La faccia trans, invece, è rivolta verso la membrana cellulare e rilascia le vescicole secretorie con all’interno le proteine ultimate. Non riceve vescicole soltanto dal RER, ma anche dal REL. LISOSOMI La via alternativa a quella secretoria è quella lisosomiale, cioè dal golgi possono derivare vescicole che diventano lisosomi: ● contengono al loro interno enzimi in grado di degradare strutture di nutrimento derivanti dall’ambiente esterno, oppure degradare strutture intracellulari danneggiate. ● Hanno pH acido che hanno lo scopo di definire la tipologia di lipidi che costituiranno il versante esterno piuttosto che il versante interno della membrana. ZATTERE LIPIDICHE Le zattere lipidiche sono zone caratterizzate da un’alta concentrazione di lipidi con catene di acidi grassi più lunghe rispetto agli acidi grassi dei fosfolipidi di membrana, di conseguenza in queste zone la membrana è più spessa. In queste regioni, inoltre, si raggruppano anche una serie di proteine le quali possono essere di diversi tipi: ● Proteine transmembrana: attraversano la membrana ed escono dai due lati ● Proteine periferiche: attaccate a dei lipidi di membrana tramite il glicosilfosfatidilinositolo (GPI). Il GPI è un fosfolipide che presenta una catena di zuccheri che lega la proteina di riferimento Nelle zattere lipidiche inoltre non mancano le molecole di colesterolo. Le zattere lipidiche servono a favorire il passaggio di determinate molecole che da sole non riuscirebbero ad attraversare il doppio strato lipidico, ma che grazie a questo meccanismo vengono riconosciute, agganciate e trasportate all’interno della cellula. Un esempio di zattera lipidica sono le caveole. ASIMMETRIA DEL DOPPIO STRATO I 4 fosfolipidi non sono distribuiti casualmente nel doppio strato della membrana ma sono specificatamente localizzati o da un lato o dall’altro. ● versante extracellulare: principalmente sfingomielina e fosfatidilcolina ● sul versante interno: principalmente fosfatidilserina e fosfatidiletanolammina L’asimmetria dei lipidi è funzionalmente importante, specialmente nella conversione di segnali extracellulari in intracellulari. Inoltre, viene sfruttata per distinguere le cellule vive da quelle morte: quando le cellule subiscono apoptosi, la fosfatidilserina, normalmente confinata nel monostrato citosolico, trasloca nel monostrato extracellulare. Così facendo, agisce da segnale che induce le cellule circostanti a fagocitare la cellula morta e a digerirla. La traslocazione della fosfatidilserina avviene tramite l’attivazione della scramblasi, che trasferisce non specificatamente fosfolipidi in entrambe le direzioni tra i 2 monostrati. GLICOLIPIDI Le molecole lipidiche con l'asimmetria più estrema sono quelle che contengono zuccheri, i glicolipidi. Questi si trovano esclusivamente nel monostrato extracellulare del doppio strato. Tendono ad associarsi tra loro e preferibilmente si raggruppano nelle zattere lipidiche. I lipidi, dopo aver ricevuto i carboidrati sul lato rivolto verso il lume del Golgi, vengono traghettati verso la membrana plasmatica mediante una vescicola e come diretta conseguenza della fusione tra la vescicola e la membrana, i glicolipidi si trovano direttamente esposti verso l’esterno. Ricorda: Tutto ciò che viene sintetizzato all’interno del lume del Golgi viene successivamente esposto all’esterno della membrana. Caratterizzano le membrane dei globuli rossi. PROTEINE DI MEMBRANA Le proteine di membrana hanno molte funzioni : 1. ANCORAGGIO CELLULARE: una proteina transmembrana contatta la matrice extracellulare e in questo modo mantiene la cellula ancorata ad essa 2. TRASPORTO: media il trasporto di molecole da dentro a fuori e viceversa dalla cellula. Il trasporto si divide in due metodologie, passivo se è secondo gradiente e attivo se vi è dispendio di energia. 3. ATTIVITÀ ENZIMATICA: molti enzimi legati alla membrana catalizzano reazioni che avvengono all'interno o sulla superficie della membrana plasmatica. 4. TRASDUZIONE del SEGNALE: captare qualcosa nell'ambiente extracellulare e trasmetterlo all'interno mediante una risposta nella cellula bersaglio. 5. Nei batteri può fungere da ANTIGENE infatti dopo essere stata riconosciuti dal nostro sistema immunitario, quest’ultimo darà origine ad una risposta immunitaria specifica a quella componente proteica dell'unità batterica. 6. GIUNZIONE CELLULARE Sono anfipatiche, avendo regioni idrofobiche e regioni idrofiliche. Molte si estendono attraverso il doppio strato e per questo sono dette proteine transmembrana (possono essere a singolo passaggio o a passaggio multiplo, ciò dipende dalla sequenza). Sono le regioni idrofobiche ad attraversare la membrana. Altre proteine sono localizzate interamente nel citosol e sono associate al monostrato citosolico tramite un’alfa-elica anfipatica o una o più catene lipidiche. Altre sono interamente esposte sulla superficie esterna e sono unite al doppio strato tramite un legame covalente a un fosfatidilinositolo. Le proteine associate alla membrana non si estendono nell’interno idrofobico del doppio strato e sono attaccate a una delle facce mediante interazioni non covalenti con altre proteine di membrana. Soltanto le proteine transmembrana possono funzionare su entrambi i lati del doppio strato o trasportare molecole attraverso di esso. Le a-eliche transmembrana spesso interagiscono fra loro formando dei dimeri e ciò può formare dei canali permeabili a determinate sostanze. Nei foglietti-beta arrotolato, avremo la maggior parte degli amminoacidi non-polari concentrati nella superficie esterna del barile, che si trova a contatto con doppio strato fosfolipidico, mentre al suo interno si concentreranno gli amminoacidi polari così da permettere il passaggio dell'acqua e dei soluti idrofilici. Queste proteine formano dei canali transmembrana. La membrana plasmatica segue un modello a mosaico fluido, cioè un modello in cui le proteine sono o inserite all'interno della membrana e sono libere di muoversi (transmembrana), o agganciate alla componente lipidica, che seguono i loro movimenti (periferiche). GRAFICI DI IDROPATIA Tramite questi grafici è possibile studiare la natura di una sequenza amminoacidica e comprendere se è maggiormente affine a un ambiente acquoso, e se così fosse tale parte si disporrà verso il citosol o all'esterno della cellula, oppure più affine al doppio strato fosfolipidico e quindi di natura idrofobica. Le parti sopra allo zero sono caratterizzate da un alto grado di idrofobicità, poiché hanno un grado di idropatia superiore a zero con molta probabilità saranno delle regioni transmembrane, quindi di natura idrofoba. Al contrario invece le parti al di sotto dello zero avranno natura idrofilica, quindi probabilmente si disporranno all'esterno dei due versanti di membrana. INTERAZIONI TRA PROTEINE TRANSMEMBRANA Le alfa-eliche transmembrana spesso interagiscono tra di loro, formando dei dimeri tenuti insieme da interazioni non covalenti. Quando un’alfa-elica transmembrana viene rilasciata nel doppio strato, è circondata da molecole lipidiche. Quando la proteina si ripiega, i contatti tra le eliche spostano una parte delle molecole lipidiche che circondano le eliche. Altre proteine transmembrana possiedono dei segmenti transmembrana disposti come beta-barrel. Molti di questi formano grossi canali transmembrana, permettendo a soluti idrofilici selezionati di attraversare la membrana. GLICOSILAZIONE La maggior parte delle proteine transmembrana sono glicosilate. I residui di zucchero vengono aggiunti nel lume del RE e dell’apparato di Golgi. Per questo le catene di oligosaccaridi sono sempre presenti sul lato extracellulare della membrana. Da questo deriva la presenza di carboidrati sulla superficie di tutte le cellule: questi si trovano sotto forma di catene di oligosaccaridi legate covalentemente alle proteine (glicoproteine) e ai lipidi (glicolipidi). Sono presenti anche come catene polisaccaridiche di molecole integrali di membrana di proteoglicano (si trovano soprattutto come parte della matrice extracellulare). La zona ricca di carboidrati sulla superficie cellulare viene detta glicocalice o rivestimento cellulare. Le glicosilazioni hanno dei ruoli fondamentale per la cellula: ● protezione ● lubrificazione ● riconoscimento ● adesione cellulare Attraverso quasi tutte le membrane plasmatiche c’è una differenza di potenziale elettrico, con l’interno in genere negativo rispetto all’esterno: questo favorisce l’ingresso di ioni carichi positivamente, ma si oppone sia all’ingresso di ioni carichi negativamente che all’uscita di ioni carichi positivamente. Quindi le cellule devono essere in grado di pompare attivamente certi soluti, contro il loro gradiente. Questo processo, noto come trasporto attivo, è mediato da trasportatori la cui attività di pompaggio è strettamente accoppiata a una fonte di energia, come l’idrolisi di ATP o un gradiente ionico. Il movimento transmembrana mediato da trasportatori può essere sia attivo che passivo, mentre quello mediato da canali è sempre passivo. Ricapitolando: ci sono 2 tipi di trasporto. Il trasporto passivo avviene spontaneamente per diffusione, sia semplice attraverso il doppio strato che facilitata attraverso canali e trasportatori passivi. Il trasporto attivo richiede energia ed è sempre mediato da trasportatori che pompano il soluto contro gradiente. TRASPORTO ATTIVO Le cellule svolgono il trasporto attivo principalmente in 3 modi: ● trasportatori accoppiati: imbrigliano l’energia immagazzinata nei gradienti di concentrazione per accoppiare il trasporto di un soluto contro gradiente al trasporto secondo gradiente di un altro ● pompe alimentate da ATP: accoppiano il trasporto contro gradiente all’idrolisi di ATP ● pompe spinte da luce o da un potenziale redox Alcuni trasportatori mediano semplicemente il passaggio di un singolo soluto da un lato della membrana all’altro (uniporti). Altri funzionano come trasportatori accoppiati, in cui il trasferimento di un soluto dipende strettamente dal trasporto di un secondo soluto. Il trasporto accoppiato comporta o il trasferimento simultaneo di un secondo soluto nella stessa direzione (simporti, detti anche cotrasportatori) oppure il trasferimento di un secondo soluto nella direzione opposta (antiporti, detti anche scambiatori). Lo stretto accoppiamento tra il trasporto dei 2 soluti permette a questi trasportatori accoppiati di utilizzare l’energia conservata nel gradiente di un soluto per trasportare l’altro. RICORDA: i trasportatori accoppiati spinti da ioni mediano un trasporto attivo secondario, mentre i trasportatori spinti da ATP mediano un trasporto attivo primario. TRASPORTATORI ACCOPPIATI ● COTRASPORTATORE NA+/GLUCOSIO (SIMPORTO) Il gradiente elettrochimico del Na+ fornisce una grande forza che spinge il trasporto attivo di una seconda molecola, in questo caso il glucosio. Il trasportatore oscilla tra gli stati aperto verso l’interno e aperto verso l’esterno, passando per uno stato intermedio chiuso. Il legame di Na+ e di glucosio è cooperativo: il legame di uno dei 2 ligandi induce un cambiamento conformazionale che aumenta l’affinità della proteina per l’altro ligando. Dato che la concentrazione di Na+ è molto maggiore nello spazio extracellulare che nel citosol, è più probabile che il glucosio leghi il trasportatore nello stato aperto verso l’esterno. La transizione a stato chiuso avviene quando entrambi i ligandi sono legati. Quando si apre verso l’interno, il Na+ si dissocia velocemente, seguito dal glucosio. Il Na+ dentro la cellula verrà riportato fuori da una pompa di Na+ spinta da ATP (antiporto), mentre il glucosio verrà portato fuori tramite trasporto passivo (uniporto). Questo cotrasportatore viene sfruttato dai microvilli intestinali. POMPE SPINTE DA ATP (ATPASI) ● POMPE DI TIPO P: si autofosforilano durante il ciclo di pompaggio e sono responsabili del mantenimento di gradienti di Na+, K+, H+ e Ca2+ ● POMPE DI TIPO V: trasferiscono H+ in organelli come i lisosomi per acidificarne l’interno ● POMPE DI TIPO F (ATP SINTASI): usano il gradiente di H+ per formare ATP a partire da ADP e Pi ● TRASPORTATORI ABC: pompano soprattutto piccole molecole attraverso le membrane cellulari. Contengono 2 domini ATPasici. Negli eucarioti quasi tutti i trasportatori ABC esportano sostanze. POMPA CA2+ (POMPA DI TIPO P) Le cellule eucariotiche mantengono concentrazioni basse di Ca2+ libero nel citosol contro concentrazioni extracellulari di Ca2+ molto più alte. Il gradiente di Ca2+ è mantenuto da un ATPasi del Ca2+. Questa è presente soprattutto nella membrana del reticolo sarcoplasmatico delle cellule del muscolo scheletrico, il quale serve da deposito intracellulare di Ca2+. Quando un potenziale d’azione depolarizza la membrana della cellula muscolare, Ca2+ viene rilasciato dal RS attraverso i canali di rilascio del Ca2+ nel citosol, stimolando il muscolo a contrarsi. La pompa Ca2+ ritrasporta il Ca2+ nel RS. Trasporta 2 molecole di Ca2+ alla volta. POMPA NA+/K+ (POMPA DI TIPO P) La concentrazione di K+ è molto più alta dentro la cellula rispetto all’esterno, mentre per il Na+ è l’opposto. Queste differenze di concentrazione sono mantenute da questa pompa. Dato che spinge 3 ioni carichi positivamente per ogni 2 che ne pompa dentro è elettrogenica: tende a creare un potenziale elettrico con l’interno della cellula negativo rispetto all’esterno. Il suo funzionamento è di tipo ciclico che si alterna in 6 diverse fasi: 1. la pompa è aperta sul versante citosolico, quindi fa entrare all’interno due ioni Na⁺. 2. arriva una molecola di ATP e il trasportatore si autofosforila, perché spezza il legame del gruppo fosfato e attacca il gruppo a sé stesso. 3. a seguito dell’auto-fosforilazione la pompa cambia conformazione rilasciando i tre ioni Na⁺ all’esterno. macromolecole e servono da siti di attracco per le importine e il loro cargo. I complessi recettore-cargo si muovono attraverso il poro legandosi e dissociandosi ripetutamente alle sequenze FG ripetute. Una volta nel nucleo, i recettori di importazione si dissociano dal loro cargo e vengono riportati nel citosol. L’esportazione dal nucleo di proteine avviene attraverso lo stesso sistema. Si basa però su segnali di esportazione nucleare presenti sui cargo da esportare e sui recettori di esportazione nucleare complementari, detti esportine. I sistemi di importazione ed esportazione agiscono in modi simili, ma in direzioni opposte. La GTPasi monomerica Ran conferisce direzionalità al trasporto attraverso i complessi dei pori nucleari. Ran è un interruttore molecolare che può trovarsi in 2 stati a seconda che sia legato a GTP o a GDP. La conversione tra i 2 stati è innescata da 2 proteine regolatrici: GAP, che è citosolica e innesca l’idrolisi di GTP, convertendo Ran-FTP in Ran-GDP e GEF, che è nucleare e promuove lo scambio di GDP con GTP convertendo Ran-GDP in Ran-GTP. RICORDA: GAP si trova nel citosol → Ran-GDP si trova nel citosol GEF si trova nel nucleo → Ran-GTP si trova nel nucleo IMPORTAZIONE 1. il complesso recettore-cargo raggiunge il nucleo 2. Ran-GTP si attacca al complesso recettore-cargo 3. il cargo viene rilasciato 4. il complesso recettore-Ran-GTP torna nel citosol 5. GAP induce Ran-GTP a idrolizzare GTP, convertendolo in Ran-GDP 6. il recettore si dissocia dal Ran-GDP ed è pronto ad una nuova importazione → IMPORTANTE: Il Ran-GTP induce il distacco del cargo dal recettore ESPORTAZIONE 1. Ran-GTP permette la formazione del complesso recettore-cargo 2. il complesso Ran-GTP-recettore-cargo si dirige verso il citosol 3. GAP induce Ran-GTP a idrolizzare GTP, convertendolo in Ran-GDP 4. il recettore rilascia sia il cargo sia Ran-GDP nel citosol 5. il recettore torna nel nucleo → IMPORTANTE: Il Ran-GTP promuove l’attacco del cargo al recettore 2. TRASPORTO TRANSMEMBRANA ● DAL CITOSOL AI MITOCONDRI I mitocondri sono organelli racchiusi da una doppia membrana. Le proteine mitocondriali sono prima sintetizzate come precursori delle proteine mitocondriali nel citosol e quindi traslocate nei mitocondri tramite un meccanismo post-traduzione. Le proteine che entrano nella matrice hanno una sequenza segnale all’N-terminale che viene rimossa da una peptidasi del segnale. Altre (proteine della membrana esterna, della membrana interna e dello spazio intermembrana) hanno una sequenza segnale interna che non viene rimossa. Le sequenze segnale sono alfa eliche anfipatiche. La traslocazione delle proteine attraverso le membrane mitocondriali è mediata da complessi proteici. ● Complesso TOM: trasferisce proteine attraverso la membrana esterna ● Complessi TIM (TIM23 e TIM22): trasferiscono proteine attraverso la membrana interna Questi complessi contengono dei recettori per precursori di proteine mitocondriali e canali di traslocazione. Il complesso TOM è necessario per l’importazione di tutte le proteine codificate nel nucleo; trasporta le loro sequenze segnale nello spazio intermembrana e inserisce le proteine transmembrana nella membrana esterna. Le proteine vengono trasferite nel complesso SAM, che le aiuta a ripiegarsi nella membrana esterna. Il complesso TIM23 trasporta alcune proteine nella matrice e inserisce le proteine transmembrana nella membrana interna. Il complesso TIM22 media l’inserzione di altre proteine nella membrana interna. Un altro traslocatore, il complesso OXA media l’inserzione delle proteine sintetizzate dai mitocondri e le inserisce nella membrana interna. I precursori delle proteine mitocondriali, una volta sintetizzati, non si ripiegano nelle loro strutture native ma restano nel loro stato svolto mediante l’interazione con le chaperon della famiglia Hsp70. Queste impediscono ai precursori di aggregarsi o di ripiegarsi spontaneamente prima di interagire con il complesso TOM. Importante: i complessi TOM e TIM possono anche funzionare indipendentemente L’importazione delle proteine mitocondriali è alimentata da idrolisi di ATP in 2 siti, uno fuori dai mitocondri e uno nella matrice. Un’altra fonte di energia è data dal potenziale di membrana. La prima richiesta di energia avviene nello stadio iniziale della traslocazione, quando il precursore non ripiegato, associato alle chaperon Hsp70, interagisce con i recettori del complesso TOM. Infatti, l’attacco e il rilascio di polipeptidi dalle chaperon richiedono idrolisi di ATP. Una volta che la sequenza segnale passa attraverso TIM e si è legata a uno dei complessi TIM, l’ulteriore traslocazione attraverso TIM richiede il potenziale di membrana. L’Hsp70 mitocondriale si lega alla proteina non appena questa esce dal complesso TIM nella matrice. La Hsp70 rilascia quindi la proteina in un passaggio dipendente da ATP. Molte proteine importate vengono trasferite su un’altra chaperon, Hsp60 mitocondriale, che aiuta a ripiegare la proteina non ripiegata. Lo stesso meccanismo che trasporta le proteine nella matrice, media la traslocazione di molte proteine che sono destinate alla membrana mitocondriale interna o allo spazio intermembrana. Normalmente, solo la sequenza segnale entra effettivamente nella matrice. Se dopo la sequenza segnale vi è una sequenza amminoacidica idrofobica, agisce da sequenza di stop del trasferimento, impedendo ulteriore traslocazione attraverso la membrana interna. Il complesso TOM trascina il resto della proteina attraverso la membrana esterna nello spazio intermembrana; la sequenza segnale viene rimossa da una peptidasi e la sequenza idrofobica resta ancorata alla membrana interna. In altri casi, il complesso TIM23 trasloca l’intera proteina nella matrice. Una peptidasi taglia la sequenza segnale esponendo una sequenza idrofobica. La proteina viene portata al complesso OXA, che inserisce la proteina nella membrana interna. Alcune proteine restano ancorate alla membrana interna tramite la loro sequenza segnale idrofobica. Altre sono rilasciate nello spazio intermembrana da una proteasi che rimuove l’ancora di membrana. ● DAL CITOSOL AL RE Il RE ha un ruolo centrale nella biosintesi dei lipidi e delle proteine e serve anche da deposito di Ca2+ intracellulare. L’importazione di proteine nel RE è un processo cotraduzionale. Nel trasporto cotraduzionale, il ribosoma che sta sintetizzando la proteina è attaccato direttamente alla membrana del RE, permettendo a un’estremità della proteina di essere traslocata nel RE mentre il resto della proteina è in fase di sintesi. I ribosomi attaccati alla membrana del RE costituiscono quello che viene chiamato RE ruvido. Le regioni del RE prive di ribosomi costituiscono il RE liscio. Le proteine che vengono indirizzate al RE sono proteine transmembrana o proteine solubili in acqua. Queste sono dirette al RE da una sequenza segnale del RE, che dà inizio alla loro traslocazione. PROTEINE SOLUBILI IN ACQUA La sequenza segnale del RE è guidata fino alla membrana del RE da una particella di riconoscimento del segnale (SRP) e da un recettore per le SRP. La SRP si avvolge intorno alla subunità maggiore del ribosoma, con un’estremità si lega alla sequenza segnale del RE non appena la proteina emerge dal ribosoma e l’altra estremità blocca la sintesi proteica. Questa pausa dà il tempo al ribosoma di legarsi alla membrana del RE, assicurando che la proteina non venga rilasciata nel citosol, ed evita che la proteina si ripieghi (non vengono usate chaperon). Quando la sequenza segnale si lega, SRP espone un sito di legame per il recettore per le SRP. Questa interazione porta il complesso SRP-ribosoma a un traslocatore libero presente nella membrana. La SRP e il recettore vengono rilasciati e il traslocatore trasferisce la proteina in crescita attraverso la membrana. La membrana plasmatica possiede invece delle flippasi, che riconoscono fosfatidilserina e fosfatidiletanolammina e li trasferiscono dal foglietto extracellulare a quello citosolico (usano idrolisi di ATP) (membrana asimmetrica). La membrana plasmatica possiede anche una scramblasi, che si attiva solo in certe situazioni come nell’apoptosi: grazie all’esposizione della fosfatidilserina sulla superficie delle cellule apoptotiche, le cellule fagogitiche riconoscono la cellula da ingerire. 3. TRASPORTO VESCICOLARE Esistono 3 tipi di vie: ● Via secretoria: porta all’esterno ● Via endocitica: porta all’interno ● Vie di recupero: riportano le membrane al compartimento di origine Ciascuna vescicola di trasporto deve essere selettiva: deve assumere solo le molecole appropriate e deve fondersi solo con la membrana bersaglio appropriata. RIVESTIMENTO DELLE VESCICOLE Le vescicole di trasporto si formano a partire da regioni specializzate e rivestite dalle membrane. Gemmano come vescicole rivestite. Il rivestimento viene perso prima che la vescicola si fonda con la membrana bersaglio. Il rivestimento svolge 2 funzioni principali: ● rivestimento interno: seleziona le molecole appropriate per il trasporto ● rivestimento esterno: deforma la zona della membrana e modella la vescicola Ci sono 3 tipi di vescicole rivestite: 1. vescicole rivestite da clatrina (mediano il trasporto dalla membrana plasmatica e dal Golgi) 2. vescicole rivestite da COPI (mediano il trasporto dalle cisterne del Golgi) 3. vescicole rivestite da COPII (mediano il trasporto dal RE) VESCICOLE RIVESTITE DA CLATRINA La clatrina forma lo strato esterno del rivestimento. Ciascuna subunità di clatrina è costituita da 3 catene polipeptidiche grandi e 3 piccole, che insieme formano una struttura detta trischelio. I trischeli si assemblano in una struttura a canestro costituita da esagoni e pentagoni. Il trischelio di clatrina non è specifico per la proteina cargo che deve essere trasportata. Sono quindi necessarie le proteine adattatrici, che formano lo strato interno. Legano il rivestimento di clatrina alla membrana e intrappolano varie proteine transmembrana, tra cui i recettori del cargo. Ciascun tipo di proteina adattatrice è specifico per una serie diversa di recettori del cargo. Esempi di proteine adattatrici sono AP1 e AP2. Quando si legano a uno specifico fosfoinositide, alterano la loro conformazione, esponendo siti di legame per i recettori del cargo sulla membrana. In seguito al legame, inducono una curvatura della membrana, rendendo più probabile il legame di altre proteine adattatrici. L'assemblaggio dello strato di rivestimento di AP2 è ulteriormente amplificato dal legame con la clatrina. Al crescere della gemma rivestita da clatrina, proteine citoplasmatiche tra cui la dinamina, si assemblano intorno al collo di membrana di ciascuna gemma. La dinamina contiene un dominio che lega il PI(4,5)P2 e un dominio con attività GTPasica. Nel processo di distacco i 2 foglietti non citosolici della membrana sono portati l’uno accanto all’altro e si fondono, saldando la vescicola. Una volta che la vescicola è stata rilasciata dalla membrana, il rivestimento di clatrina viene rapidamente perso. Una fosfatasi elimina il PI(4,5)P2 dalla membrana, il che indebolisce il legame delle proteine adattatrici. Una chaperon Hsp70 agisce da ATPasi che rimuove il rivestimento di clatrina. GTPASI DI RECLUTAMENTO DEL RIVESTIMENTO Le proteine di si assemblano solamente nella posizione e nel momento opportuno. Le GTPasi di reclutamento del rivestimento controllano l’assemblaggio dei rivestimenti. Sono GTPasi monomeriche che fungono da interruttori molecolari, passando da uno stato attivo ad uno stato inattivo. 2 proteine regolatrici permettono il cambiamento di stato (GAP e GEF). Queste GTPasi comprendono le proteine ARf, responsabili dell’assemblaggio dei rivestimenti di clatrina e di COPI sulle membrane del Golgi e la proteina Sar1, responsabile dell’assemblaggio dei rivestimenti di COPII sulla membrana del RE. Si trovano normalmente ad alte concentrazioni nel citosol in uno stato inattivo legato al GDP. Quando, per esempio, una vescicola rivestita da COPII deve gemmare dalla membrana del RE, un GEF specifico per Sar1 immerso nella membrana del RE si lega a Sar1 citosolico, provocando il rilascio di GDP e l’attacco di GTP. Nel suo stato legato a GTP, Sar1 espone un’elica anfipatica, che si inserisce nel doppio strato della membrana del RE. La Sar1 recluta proteine adattatrici di rivestimento (Sec23 e Sec24, rivestimento interno) sulla membrana del RE per iniziare la gemmazione. L’involucro esterno del rivestimento è formato da Sec13 e Sec31. Le GTPasi di reclutamento del rivestimento hanno anche un ruolo nel disassemblaggio del rivestimento. L’idrolisi del GTP legato provoca un cambiamento nella conformazione della GTPasi: la sua coda idrofobica esce dalla membrana, provocando il disassemblaggio del rivestimento. I rivestimenti di COPII accelerano l’idrolisi di GTP da parte di Sar1. Una chinasi fosforila le proteine del rivestimento e ciò completa il disassemblaggio. Le vescicole rivestite di clatrina o di COPI perdono il loro rivestimento subito dopo il loro distacco dalla membrana. Per le vescicole COPI, la curvatura della membrana agisce da innesco per iniziare il disassemblaggio. Una ARF-GAP viene reclutata nel rivestimento di COPI mentre questo si disassembla, interagisce con la membrana e rileva la densità di impacchettamento dei lipidi. Si attiva quando la curvatura è abbastanza elevata e rende inattiva ARF, causando il disassemblaggio del rivestimento. Le vescicole di trasporto devono saper riconoscere la corretta membrana bersaglio con la quale fondersi. La specificità di attracco è assicurata dalla presenza sulla superficie di tutte le vescicole di marcatori che le identificano in base alla loro origine e al tipo di carico e dalla presenza sulle membrane bersaglio di recettori complementari ai marcatori. Abbiamo quindi le proteine Rab, GTPasi monomeriche che dirigono le vescicole verso punti specifici della corretta membrana bersaglio e le proteine SNARE che mediano la fusione del doppio strato lipidico. Le proteine Rab circolano tra una membrana e il citosol. Se sono associate a GDP, sono inattive e legate ad un inibitore della dissociazione Rab-GDP (GDI), che le mantiene solubili nel citosol. Legate a GTP sono attive e si attaccano alla membrana di una vescicola. Una volta associate a GTP e legate alla membrana, le Rab si legano ad altre proteine, gli effettori Rab. Alcuni effettori Rab sono motori proteici che spingono le vescicole lungo i filamenti di actina o lungo i microtubuli, altri sono proteine di attracco che avvicinano 2 membrane. La fusione delle membrane richiede un avvicinamento che porti i doppi strati delle 2 membrane a meno di 1,5 nm in modo da escludere l’acqua. Questo processo viene catalizzato dalle proteine SNARE. Le 1. RE → Golgi → lisosoma (idrolasi acide) 2. fagocitosi: inghiottimento di particelle e microrganismi 3. macropinocitosi: assorbimento di fluidi (sostanze da digerire - endocitosi) 4. autofagia: digestione citosol e organelli obsoleti Consideriamo la via che porta le idrolasi acide dal Golgi ai lisosomi. Le idrolasi lisosomiali vengono riconosciute e selezionate nel Trans-Golgi tramite un marcatore sotto forma di gruppi di mannosio-6-fosfato (M6P), aggiunti nel Cis-Golgi. I gruppi di M6P sono riconosciuti da recettori proteici di M6P transmembrana nel Trans-Golgi. I recettori si legano alle idrolasi e a proteine adattatrici dei rivestimenti di clatrina, aiutando le idrolasi ad essere impacchettate in vescicole. Le vescicole rivestite da clatrina gemmano dal Trans-Golgi e vanno verso gli endosomi precoci. Il recettore viene indotto a rilasciare l’M6P dal pH acido degli endosomi. Il recettore viene riportato al Trans-Golgi tramite vescicole di retromero - rivestimento per il trasporto dagli endosomi al Trans-Golgi. Negli endosomi, inoltre, viene rimosso il fosfato, in modo che le idrolasi non ritornino al Trans-Golgi con il recettore. Consideriamo ora l’endocitosi. Il materiale da ingerire è progressivamente avvolto da una piccola porzione di membrana plasmatica, che andrà a formare una vescicola endocitica. Una volta generate, le vescicole endocitiche si fondono con un endosoma precoce, dove il carico internalizzato viene smistato: alcune molecole tornano alla membrana, altre vengono contrassegnate per la degradazione tramite inclusione in un endosoma tardivo. L’endosoma tardivo matura e invia irreversibilmente il suo contenuto alla degradazione: più endosomi tardivi si fondono tra loro e con i lisosomi per formare gli endolisosomi, che degradano il loro contenuto. Le vescicole pinocitiche possono essere originate in seguito alla formazione di vescicole rivestite da clatrina che si staccano grazie all’azione della dinamina oppure a partire da caveole di membrana. Probabilmente esse si formano a partire da zattere lipidiche sulla membrana plasmatica, ricche di colesterolo, glicosfingolipidi e proteine di membrana ancorate per mezzo del glicosilfosfatidilinositolo (GPI). Nel caso dell’endocitosi mediata da recettore, le macromolecole si attaccano a recettori transmembrana, che si accumulano ed entrano nella cellula come complessi recettore-macromolecola in vescicole rivestite da clatrina. I ligandi sono catturati in modo molto selettivo. Un esempio di questa via è il processo con cui le cellule assumono colesterolo. La maggior parte del colesterolo è trasportata nel sangue sotto forma di lipoproteine a bassa densità (LDL). Quando una cellula ha bisogno di colesterolo per la sintesi di membrana, produce recettori transmembrana per le LDL e li inserisce nella membrana plasmatica. Una volta nella membrana plasmatica, i recettori delle LDL diffondono fino ad associarsi a fosse rivestite di clatrina che si stanno formando. SI lega la proteina adattatrice AP2, AP2 recluta quindi la clatrina e inizia l’endocitosi. Dopo aver perso il rivestimento di clatrina, le vescicole portano il loro contenuto agli endosomi precoci. Una volta che le LDL e i recettori delle LDL incontrano il basso pH degli endosomi, le LDL si staccano dai recettori e vengono portate prima agli endosomi tardivi e poi ai lisosomi. Nei lisosomi le LDL sono idrolizzate a colesterolo libero, che è ora disponibile per la sintesi di nuove membrane. CITOSCHELETRO Sistema di 3 famiglie di filamenti proteici che lavorano di concerto: - microfilamenti di actina: forma della superficie della cellula, locomozione cellula, citodieresi - microtubuli: posizione organelli, trasporto intracellulare, fuso mitotico - filamenti intermedi: forza meccanica FUNZIONI - organizzazione nello spazio - interazione tra cellule e con l’ambiente - forma, robustezza - cambiamento forma delle cellule - riorganizzazione componenti interni Il citoscheletro è anche responsabile della polarità cellulare, rendendo le cellule capaci di distinguere tra sopra e sotto e tra davanti e dietro (+ basale, - apicale per i microtubuli, ad esempio). I filamenti si adattano per formare strutture dinamiche e stabili, come i lamellipodi e filopodi, utilizzati per esplorare il territorio e muoversi, i microvilli, che aumentano l’assorbimento intestinale, il fuso mitotico, che segrega i cromosomi durante la divisione cellulare, le ciglia, che agiscono da fruste mobili o da dispositivi sensoriali sulla superficie della cellula. La riorganizzazione rapida del citoscheletro avviene grazie al fatto che i filamenti sono costituite da numerose subunità (monomeri di actina e tubulina, ad esempio) piccole, che possono diffondere velocemente nel citoplasma. Inoltre, i 3 polimeri sono tenuti insieme da deboli interazioni non covalenti (come interazioni idrofobe). I filamenti non sono però costituiti semplicemente polimerizzando le subunità. Più protofilamenti si associano lateralmente per formare il filamento in sé. Questo perché un protofilamento singolo è instabile, soprattutto termicamente. subunità di actina e tubulina: globulari, asimmetriche, si legano testa-coda, orientate in una direzione (polarità, estremità + e -), sono enzimi che catalizzano idrolisi di ATP e GTP subunità filamenti intermedi: fibrose, simmetriche, no polarità, non catalizzano idrolisi di nucleotidi, usano altri enzimi, come chinasi I filamenti del citoscheletro sono regolati da proteine accessorie. Queste si legano ai filamenti o alle loro subunità per determinare i siti di assemblaggio dei nuovi filamenti, per cambiare la cinetica di assemblaggio e disassemblaggio, per collegare i filamenti ecc. Tra queste proteine abbiamo le proteine motrici, che utilizzano l’idrolisi di ATP per il movimento di organelli e filamenti stessi. Le diverse proteine motrici differiscono nel tipo di filamento a cui si attaccano, nella direzione in cui si muovono lungo il filamento e nel carico che portano. MICROFILAMENTI DI ACTINA subunità di actina = actina globulare G, polipeptide di 375 AA, trasporta ATP/ADP 3 isoforme: alfa actina nelle cellule muscolari, beta actina e gamma nelle cellule non muscolari Le subunità di actina si assemblano testa-coda, generano una stretta elica destrorsa e formano una struttura di 8nm di diametro, detta actina filamentosa F. Le subunità di un filamento puntano nella stessa direzione, perciò i filamenti sono polari e hanno 2 estremità: estremità +, che cresce velocemente ed estremità -, che cresce lentamente. dell’actina alla profilina. Molte formine sono indirettamente collegate alla membrana plasmatica e aiutano la polimerizzazione e l’inserzione del filamento di actina direttamente sotto la superficie della membrana (corteccia cellulare) ● Proteine che alterano le dinamiche del filamento: - tropomiosina: si lega a 6-7 subunità di actina adiacenti (lateralmente al filamento), stabilizzando e irrigidendo il filamento. Inoltre, il legame della tropomiosina può impedire al filamento di actina di interagire con altre proteine - capZ (proteina cappuccio dell’estremità +): stabilizza un filamento di actina all’estremità + rendendola inattiva. In questo modo riduce la velocità di crescita e di depolimerizzazione (all’estremità - il cappuccio è formato dal complesso Arp 2/3) ● Proteine che tagliano i filamenti: - gelsoline: vengono attivate da alti livelli di Ca2+ citosolico. QUando avviene una piccola interruzione tra subunità di actina adiacenti, la gelsolina si insinua nell’interruzione rompendo il filamento. Dopo il taglio incappuccia la nuova estremità + - cofilina: si lega lungo il filamento di actina, costringendo il filamento ad avvolgersi in modo più stretto. Questo stress meccanico rende il filamento fragile e più facile da tagliare. Preferisce legarsi all’actina D I filamenti di actina sono organizzati in diversi tipi di complessi: reti dendritiche, fasci, strutture a rete. Differenti strutture hanno origine in seguito all’azione di distinte proteine di nucleazione: - reti dendritiche: complesso Arp ⅔ - fasci: formati da lunghi filamenti lineari prodotti dalle formine. Creano legami crociati tra filamenti di actina in una disposizione parallela. Abbiamo la fimbrina, che provoca un compattamento molto stretto dei filamenti e pertanto esclude l’attacco della miosina e l’alfa-actinina, che forma legami crociati tra filamenti di actina con polarità opposta e produce fasci meno compatti, che permettono l’attacco della miosina e la formazione di fasci contrattili - strutture a rete: formate grazie alla filamina, che fissa 2 filamenti di actina ad angolo retto. Le reti di actina formate da filamina sono necessarie alla formazione dei lamellipodi MIOSINA E ACTINA MIOSINA II: muscolo scheletrico, responsabile della contrazione muscolare È formata da 2 catene pesanti e 4 catene leggere uguali due a due. Ogni catena pesante ha un dominio di testa globulare all’N-terminale seguito da una struttura a spirale che media la dimerizzazione della catena pesante. Le 2 catene leggere si legano vicino al dominio di testa N-terminale, mentre la coda a spirale forma un fascio con le code di altre miosine (interazioni coda-coda). I filamenti spessi sono quindi bipolari e contengono le teste orientate in direzioni opposte alle 2 estremità. Riassumendo: la miosina II è costituita da 2 teste e una coda. Le teste si trovano all’N-terminale. Le interazioni tra miosine avvengono tra le code. Quindi il filamento è bipolare. Ogni testa lega e idrolizza ATP, usando l’energia ricavata per spostarsi verso l’estremità + di un filamento di actina (fa scorrere l’una verso l’altra coppie di filamenti di actina orientati in modo opposto, permettendo la contrazione). Come avviene lo scorrimento dell’actina e quindi la contrazione? Le teste legano un ATP. Avviene l’idrolisi di ATP in ADP e Pi. La testa si lega debolmente all’actina, viene rilasciato il PI, questo genera il colpo di potenza e viene rilasciato anche l’ADP (“spinta propulsiva”). CONTRAZIONE MUSCOLARE Le cellule muscolari sono altamente specializzate per la contrazione. Nel muscolo scheletrico molte cellule separate si fondono a formare enormi cellule singole (mioblasti), dette fibre muscolari. La grande cellula muscolare mantiene i nuclei delle cellule da cui è formata. Questi nuclei si trovano sotto la membrana plasmatica. Nel citoplasma sono presenti le miofibrille, elementi contrattili di base della cellula muscolare, costituite da una lunga catena ripetuta di minuscole unità contrattili, i sarcomeri. Ciascun sarcomero è formato da filamenti sottili di actina e filamenti spessi di miosina. I filamenti sottili sono attaccati a livello delle loro estremità + a un disco Z a ciascuna estremità del sarcomero. Le estremità - dei filamenti di actina si estendono verso la parte centrale del sarcomero, dove si sovrappongono ai filamenti spessi. MICROTUBULI Polimeri di tubulina, un eterodimero formato da 2 proteine globulari chiamate alfa-tubulina e beta-tubulina. Ciascun monomero alfa o beta ha un sito di legame per una molecola di GTP. L’alfa tubulina lega solo GTP, la beta tubulina può legare anche GDP. Un microtubulo è una struttura cilindrica cava costituita da 13 protofilamenti paralleli, ciascuno composto da eterodimeri di alfa e beta tubulina impilati testa-coda. Le subunità di ciascun protofilamento puntano tutte nella stessa direzione e i protofilamenti stessi sono allineati in parallelo. Perciò il microtubulo possiede una polarità, con le alfa-tubuline esposte all’estremità - e le beta-tubuline esposte all’estremità +. Come per i filamenti di actina avremo le estremità + che crescono e si accorciano più velocemente. FORMAZIONE DI UN MICROTUBULO Le dinamiche dei microtubuli sono fortemente influenzate dal legame e dall’idrolisi di GTP. L’idrolisi di GTP avviene solo nella subunità beta. Per le subunità libere questa idrolisi procede molto lentamente, ma viene accelerata quando le subunità vengono aggiunte al polimero. Possono quindi esistere tubuline T e D. Normalmente la tubulina T tende a polimerizzare e la tubulina D tende a depolimerizzare. Il fatto che le subunità di tubulina all’estremità del filamento siano in forma T o D dipenderà dalla velocità di idrolisi di GTP e di aggiunta di tubulina. Se il filamento sta crescendo rapidamente, è probabile che l’aggiunta di una nuova subunità avvenga prima che la subunità già presente all’estremità sia idrolizzata. In questo caso si genera un cappuccio di GTP. Se la velocità di aggiunta di subunità è lenta, l’idrolisi può verificarsi prima dell’aggiunta della subunità successiva e la punta del filamento sarà nella forma D. Se le subunità di tubulina T si assemblano all’estremità del filamento con una velocità simile alla velocità di idrolisi di GTP, allora l’idrolisi potrà trasformare l’estremità in forma D. Questa trasformazione è improvvisa e casuale e dipende dalla concentrazione di tubuline T libere. L’interconversione tra uno stato di crescita e uno di accorciamento a una concentrazione uniforme di subunità libere è detta INSTABILITÀ DINAMICA. Il passaggio crescita-accorciamento è detto CATASTROFE. Avviene se l’idrolisi del GTP procede più rapidamente dell’aggiunta di subunità, il cappuccio di GTP viene perso e il microtubulo si accorcia. Il passaggio accorciamento-crescita è detto SALVATAGGIO. Questo avviene nel caso in cui abbastanza subunità di tubulina T si aggiungono all’estremità in accorciamento riformando il cappuccio di GTP. L’idrolisi di GTP è associata a un sottile cambio conformazionale nella proteina, che rende i protofilamenti curvi. Su un microtubulo in rapida crescita il cappuccio di GTP limita la curvatura e le estremità appaiono dritte. Quando le subunità alle estremità idrolizzano il GTP i protofilamenti si arricciano e si separano. NUCLEAZIONE DEI MICROTUBULI Visto che la formazione di un microtubulo richiede l'interazione di molti eterodimeri di tubulina, la concentrazione di subunità di tubulina richiesta per la nucleazione spontanea dei microtubuli è molto alta. La nucleazione ha quindi bisogno di altri fattori. I microtubuli sono in genere nucleati dal centro organizzatore dei microtubuli (MTOC), regione ricca di un altro tipo di tubulina, la gamma tubulina. In molti casi la nucleazione dipende dal complesso ad anello di gamma-tubulina (gamma-TuRC). All’interno di questo complesso 2 proteine accessorie si legano alla gamma-tubulina insieme a molte altre proteine accessorie che creano un anello a spirale di molecole di gamma-tubulina. Questo costituisce uno stampo per la formazione di un microtubulo con 13 protofilamenti. Molte cellule animali hanno un singolo MTOC che prende il nome di centrosoma, situato vicino al nucleo e dal quale i microtubuli sono nucleati alle loro estremità - (quindi, le estremità + puntano verso l’esterno). Immersi nel centrosoma si trovano i centrioli, una coppia di cilindri disposti ad L costituiti da microtubuli brevi modificati. I centrioli, insieme a delle proteine accessorie, organizzano il materiale pericentriolare, dove avviene la nucleazione dei microtubuli. Il centrosoma si duplica e si divide in 2 prima della mitosi (ogni centrosoma ha 2 centrioli). I 2 centrosomi si muovono ai lati opposti del nucleo quando inizia la mitosi e formano i 2 poli del fuso mitotico. Ricorda: le estremità - dei microtubuli puntano sempre verso il centro della cellula, le estremità + verso la periferia. Questo sistema di coordinate viene usato per posizionare gli organelli all’interno della cellula, ad esempio. PROTEINE CHE LEGANO I MICROTUBULI (MAP) I microtubuli nelle cellule hanno una velocità di polimerizzazione altissima, una frequenza maggiore di catastrofe e pause più prolungate nella crescita. Questo è dovuto al fatto che la dinamica dei microtubuli nella cellula è regolata da molte proteine che legano i dimeri di tubulina o i microtubuli. Le proteine che si legano ai microtubuli sono chiamate nell’insieme MAP (proteine associate ai microtubuli). Alcune possono stabilizzare i microtubuli evitando il disassemblaggio, altre possono mediare l’interazione dei microtubuli con altri componenti cellulari. Queste MAP hanno almeno un dominio che si lega ai microtubuli e un altro che sporge verso l’esterno. La lunghezza del dominio sporgente determina quanto i microtubuli rivestiti di MAP possano compattarsi insieme. Ad esempio, MAP2 tiene lontani i microtubuli per via del suo dominio sporgente lungo, mentre tau, avendo un dominio sporgente molto corto, compatta i microtubuli. ● Proteine che legano le estremità + dei microtubuli: Possono influenzare la frequenza di catastrofi e la frequenza di salvataggi - chinesina-13 (fattore di catastrofe): si lega alle estremità dei microtubuli e li separa, promuovendo la depolimerizzazione - XMAP215 (fattore di salvataggio): lega i dimeri di tubulina e li porta all’estremità + del microtubulo, aumentando la polimerizzazione Le estremità - vengono stabilizzate dall’associazione con una proteina del cappuccio o con il centrosoma, altrimenti servono da centri di depolimerizzazione. ● Proteine che sequestrano la tubulina: - statmina: si lega a 2 eterodimeri di tubulina impedendo la loro aggiunta alle estremità dei microtubuli. Sfavorisce dunque la polimerizzazione e aumenta la probabilità di catastrofe. È coinvolta nella regolazione sia della proliferazione che della morte cellulare ● Proteine che tagliano i microtubuli: - katanina: è composta da 2 subunità, una idrolizza ATP ed esegue il taglio, l’altra dirige la katanina verso il centrosoma. La katanina stacca i microtubuli da un MTOC (centrosoma) e si pensa contribuisca alla depolimerizzazione dei microtubuli ai poli del fuso durante la mitosi SEGNALAZIONE CELLULARE Ogni cellula controlla il suo ambiente intracellulare ed extracellulare, elabora le informazioni che raccoglie e risponde di conseguenza. La comunicazione cellulare negli organismi pluricellulari è mediata principalmente da molecole di segnalazione extracellulari. La ricezione dei segnali dipende da proteine recettoriali (o recettori) che legano la molecola segnale. Questo legame attiva il recettore, che a sua volta attiva una o più vie di segnalazione intracellulare. Queste vie dipendono da proteine di segnalazione intracellulari, che elaborano il segnale e lo distribuiscono ai bersagli. Questi bersagli vengono detti proteine effettrici (o effettori) e cambiano il comportamento della cellula. A seconda del segnale e della natura e stato della cellula ricevente gli effettori possono regolare la trascrizione, i canali ionici, parti del citoscheletro o componenti di una via metabolica. Alcune molecole segnale mandano segnali solo a cellule limitrofe, altre agiscono su lunghe distanze. ● brevi distanze: - Segnalazione dipendente da contatto, particolarmente importante durante lo sviluppo e nelle risposte immunitarie - Segnalazione paracrina/autoparacrina: le molecole segnale vengono secrete nel fluido extracellulare. La cellula bersaglio può essere vicina alla cellula di segnalazione oppure può essere lei stessa ● lunghe distanze: - Segnalazione sinaptica (neuroni): un neurone viene attivato da stimoli provenienti da altre cellule nervose, invia rapidamente impulsi elettrici lungo il suo assone, quando l’impulso raggiunge la sinapsi provoca la secrezione di un segnale chimico che agisce da neurotrasmettitore - Segnalazione endocrina: le molecole segnale (ormoni) vengono secrete nel torrente circolatorio. Il sangue trasporta le molecole ovunque La maggior parte delle cellule risponde a molti segnali diversi, tra cui quelli che permettono alla cellula di sopravvivere, di crescere, di dividersi e di differenziarsi. In assenza di questi segnali, la cellula attiva un programma di suicidio e si uccide, generalmente per apoptosi (morte cellulare programmata). La maggior parte delle molecole segnale è secreta nello spazio extracellulare per esocitosi. Alcune, tuttavia, sono rilasciate per diffusione attraverso la membrana plasmatica, mentre altre sono esposte sulla superficie esterna e rimangono attaccate ad essa, fornendo un segnale alle altre cellule solo quando esse prendono contatto (proteine transmembrana). RECETTORI Indipendentemente dalla natura del segnale, la cellula bersaglio risponde per mezzo di un recettore. Il sito di legame del recettore è altamente specifico per la molecola segnale, contribuendo a garantire che il recettore risponda solo al segnale appropriato. Il legame molecola segnale-recettore è inoltre ad alta affinità, cioé bastano bassissime concentrazioni di molecola segnale per attivare il recettore. Nella maggior parte dei casi, questi recettori sono proteine transmembrana presenti sulla superficie della cellula bersaglio. In altri casi i recettori sono all’interno della cellula bersaglio e la molecola segnale deve entrare nella cellula per legarsi ad essi: ciò richiede che le molecole segnale siano molto piccole e idrofobiche (per poter diffondere attraverso la membrana plasmatica). RECETTORI DI SUPERFICIE I recettori di superficie trasmettono segnali tramite molecole di segnalazione intracellulari. Alcune di queste molecole sono piccole sostanze chimiche chiamate secondi messaggeri (i primi messaggeri sono i segnali extracellulari). Esse sono generate in gran numero in risposta all’attivazione del recettore e diffondono rapidamente. Molte delle molecole di segnalazione intracellulari sono proteine che aiutano a trasmettere il segnale nella cellula sia generando secondi messaggeri sia attivando altre proteine di segnalazione. Molte di queste proteine si comportano come interruttori molecolari: quando ricevono un segnale passano da uno stato inattivo a uno stato attivo, fino a che un processo non le spegne. La classe più grandi di interruttori molecolari sono quelle delle proteine attivate o inattivate da fosforilazione. Una proteina chinasi aggiunge covalentemente uno o più gruppi fosfati a specifici amminoacidi della proteina di segnalazione, una proteina fosfatasi li rimuove. Le chinasi attaccano il fosfato al gruppo ossidrilico di specifici amminoacidi: abbiamo la serina/treonina chinasi e la tirosina chinasi, principalmente. Un’altra classe importante di interruttori molecolari sono le proteine che legano GTP. Queste proteine passano da uno stato attivo (legate a GTP) a uno stato inattivo (legate a GDP). Spesso passano da uno stato all’altro tramite semplice idrolisi di GTP. Ci sono 2 tipi di proteine che legano GTP: proteine trimeriche che legano GTP (o proteine G), che trasmettono il segnale da recettori (accoppiati a proteine G) che le attivano e GTPasi monomeriche. Proteine regolatrici specifiche controllano le proteine che legano GTP: le GAP (proteine che attivano la GTPasi) aumentano l’idrolisi di GTP spingendo le proteine allo stato inattivo; le GEF (fattori di scambio del GTP), promuovono il rilascio del GDP permettendo a un nuovo GTP di legarsi e quindi attivando le proteine che legano GTP. Alcune proteine di segnalazione dipendono dal legame con altre proteine di segnalazione o con un secondo messaggero (AMP ciclico, Ca2+). Teoricamente una molecola di segnalazione intracellulare attivata dovrebbe interagire solo con gli appropriati bersagli a valle e i bersagli dovrebbero essere attivati solo dall’appropriato segnale a monte. In realtà è inevitabile che occasionalmente una molecola di segnalazione si leghi o modifichi il bersaglio sbagliato. La prima modalità di difesa consiste nell’alta affinità e specificità delle interazioni tra le molecole di segnalazione e il bersaglio corretto. Un’altra modalità è la capacità di molte proteine bersaglio a valle di ignorare questi segnali. Una strategia per aumentare la specificità delle interazioni tra le molecole di segnalazione consiste nel confinarle nella stessa zona cellulare o in grandi complessi proteici. Questi meccanismi spesso coinvolgono proteine impalcatura, che avvicinano le proteine di segnalazione spesso prima che il segnale venga ricevuto. In altri casi i complessi di segnalazione si formano solo in risposta a un segnale. In altri casi ancora l’attivazione del recettore porta ad un aumento della fosforilazione dei fosfoinositidi nella membrana plasmatica adiacente che poi reclutano specifiche proteine di segnalazione intracellulari. Talvolta per attivare le proteine di segnalazione intracellulari è sufficiente portarle le une molto vicine alle altre (prossimità indotta). L’assemblaggio di tali complessi di segnalazione dipende da domini di interazione, che possono essere di diverso tipo. Per esempio i domini di omologia Src2 (SH2) e i domini di legame alla fosfotirosina (PTB) si legano a tirosine fosforilate; il dominio di omologia Src3 (SH3) si lega alla prolina; domini di omologia alla plekstrina (PH) si legano a specifici fosfoinositidi. Alcune proteine di segnalazione consistono esclusivamente di 2 o più domini di interazione e fungono soltanto da adattatori per collegare altre 2 proteine in una via di segnalazione. RECETTORE DELL’INSULINA Alcuni domini di interazione mediano la formazione di un grande complesso di segnalazione attorno al recettore dell’ormone insulina, recettore tirosina-chinasi. Il recettore attivato si autofosforila a livello delle tirosine e una delle tirosine fosforilate recluta poi una proteina di attracco IRS1 mediante il dominio PTB di IRS1. Il dominio PH di IRS1 si lega a specifici fosfoinositidi sulla membrana plasmatica. Poi il recettore attivato fosforila IRS1 a livello delle tirosine e una di queste fosfotirosine lega il dominio SH2 della proteina adattatrice Grb2; quindi Grb2 usa uno dei suoi 2 domini SH3 per legare zone ricche di prolina della proteina SOS, che trasmette il segnale a valle agendo come una GEF per attivare una GTPasi monomerica detta Ras. SOS si lega anche ai fosfoinositidi nella membrana plasmatica mediante il proprio dominio PH. Grb2 usa l’altro dominio SH3 per legarsi a una sequenza ricca di proline presente in una proteina impalcatura. Questa lega diverse altre proteine di segnalazione e le altre tirosine fosforilate su IRS1 reclutano altre proteine di segnalazione che hanno domini SH2. catalitiche. L’attacco di cAMP alle subunità regolatrici ne altera la conformazione, facendole dissociare dal complesso. Le subunità catalitiche libere vengono così attivate e possono fosforilare proteine bersaglio specifiche. Tra le proteine bersaglio che vengono fosforilate e quindi attivate dalla PKA c’è la vicina fosfodiesterasi, che abbassa la concentrazione di cAMP. Le subunità catalitiche rilasciate possono entrare nel nucleo, dove fosforilano la proteina regolatrice della trascrizione CREB. Una volta fosforilata, CREB recluta un coattivatore che stimola la trascrizione genica. Un altro effetto mediato dall’AMP ciclico, e quindi anche dalla PKA, è legato alla demolizione del glicogeno nella muscolatura scheletrica. Per la cascata di segnalazione, in questo caso, avremo sempre il recettore a sette passaggi, che viene attivato dal legame con l’adrenalina. Il recettore attiva di conseguenza la proteina, che lega il GTP e attiva l’adenilato ciclasi. Quest’ultima prende l’ATP e lo converte in AMP ciclico, che va a legarsi sulla subunità regolatoria della PKA e libera la subunità catalitica attiva. Quest’ultima va invece a fosforilare la proteina chiamata fosforilasi-chinasi. La fosforilazione sulla fosforilasi-chinasi la rende attiva, e a sua volta va a fosforilare la glicogeno-fosforilasi, che una volta fosforilata si attiva, e va a demolire il glicogeno. Quindi, la PKA attivata dall’AMP ciclico può mediare funzioni citosoliche, come nel caso della demolizione del glicogeno (via rapida), ma anche funzioni legate alla trascrizione (via lenta). Essendo queste proteine G in grado di regolare determinati processi, come la sintesi dell’AMP ciclico, molte tossine batteriche vanno ad agire sulle proteine G e sulla loro capacità di idrolizzare o meno il GTP, quindi rimanere in uno stato attivo o inattivo. Esempi: tossine del colera (+cAMP), tossine della pertosse (-cAMP). VIA DEL CALCIO (Ca2+) Molti GPCR esercitano i loro effetti tramite proteine G che attivano l’enzima legato alla membrana plasmatica fosfolipasi C-beta (PLCbeta). La fosfolipasi agisce su un fosfoinositide chiamato fosfatidilinositolo 4,5-bifosfato, PI(4,5)P2, scindendolo in 2 prodotti: diacilglicerolo e inositolo 1,4,5-trifosfato (IP3). IP3 è una molecola solubile in acqua che lascia la membrana plasmatica e diffonde rapidamente nel citosol. Quando raggiunge il RE si lega e apre i canali del rilascio del Ca2+ regolati da IP3. Il Ca2+ viene rilasciato facendo aumentare rapidamente la concentrazione di Ca2+ nel citosol. Contemporaneamente, il diacilglicerolo, restando nella membrana plasmatica, attiva parzialmente una proteina chinasi detta proteina chinasi C (PKC). L’aumento del Ca2+ citosolico indotto da IP3 altera la PKC, facendola traslocare sulla membrana plasmatica e rendendola attiva dalla combinazione di Ca2+, diacilglicerolo e fosfatidilserina. Una volta attivata, la PKC fosforila le proteine bersaglio, che variano a seconda del tipo cellulare. Il calcio serve anche ad attivare una serie di altre proteine. La più importante è la calmodulina, con 4 siti di legame per il Ca2+. L’attivazione allosterica della calmodulina da parte del Ca2+ è analoga all’attivazione di PKA da parte del cAMP, se non per il fatto che la Ca2+/calmodulina non ha attività enzimatica ma si lega ad altre proteine attivandole. Fra i bersagli abbiamo enzimi e proteine di trasporto di membrana (es: pompa Ca2+, ogni volta che la concentrazione di Ca2+ nel citosol aumenta la pompa viene attivata per riportare indietro il Ca2+). Altri effetti del Ca2+ sono mediati da fosforilazioni di proteine ad opera delle chinasi dipendenti da Ca2+/calmodulina (CaM-chinasi). Le proteine G non agiscono esclusivamente regolando l’attività di enzimi che alterano la concentrazione di cAMP o di Ca2+. La subunità alfa di una proteina G attiva ad esempio una Gef che attiva a sua volta una GTPasi monomerica della famiglia RHO, che regola il citoscheletro di actina. In altri casi le proteine G attivano o inattivano canali ionici nella membrana plasmatica della cellula bersaglio. DESENSIBILIZZAZIONE DEI RECETTORI GPCR Per i GPCR ci sono 3 modi generali di adattamento: ● sequestro del recettore ● downregolazione del recettore ● inattivazione del recettore In ciascun caso, il processo di desensibilizzazione dei GPCR dipende dalla loro fosforilazione da parte di PKA, PKC o GPCR chinasi (GRK). La GRK fosforila serine e treonine multiple su un GPCR dopo che è stato attivato da un ligando. Una volta che il recettore è stato fosforilato, si lega un’arrestina. L’arrestina impedisce al recettore attivato di interagire con le proteine G e può servire da proteina adattatrice per accoppiare il recettore al macchinario dell’endocitosi. RECETTORI ACCOPPIATI A ENZIMI I recettori accoppiati a enzimi sono proteine transmembrana. Invece di avere un dominio citosolico che si associa a una proteina G trimerica, il loro dominio citosolico ha un’attività enzimatica intrinseca o si associa direttamente a un enzima. Mentre un GPCR è a 7 passaggi transmembrana, ciascuna subunità di un recettore collegato a enzimi ne ha in genere solo uno. I GPCR e i recettori accoppiati a enzimi spesso attivano le stesse vie di segnalazione. 1. RECETTORI TIROSINA CHINASI (RTK) In assenza di segnali extracellulari, la maggior parte degli RTK si trova in forma monomerica con il dominio interno chinasico inattivo. Il legame con il ligando causa la dimerizzazione dei recettori. Nella maggior parte dei casi, la vicinanza dei dimeri porta i due domini chinasi a fosforilarsi a vicenda. Questo ha 2 effetti: la fosforilazione su alcune tirosine promuove la completa attivazione dei domini; la fosforilazione di tirosine in altre regioni genera dei siti di attacco per proteine di segnalazione intracellulari. Ciascuna proteina di segnalazione si lega a uno specifico sito fosforilato sul recettore attivato perché contiene uno specifico dominio di legame alla fosfotirosina. Una volta legata all’RTK attivato, la proteina di segnalazione può diventare essa stessa fosforilata su tirosine ed essere così attivata. In altri casi, viene attivata direttamente dal legame. Quindi la fosforilazione del recettore funziona come un interruttore per innescare l’assemblaggio di un complesso di segnalazione intracellulare. Molte proteine di segnalazione intracellulari può legarsi alle fosfotirosine su RTK attivati. Alcune di queste sono enzimi, come la fosfolipasi C-gamma (PLCgamma), che allo stesso modo della fosfolipasi C-beta, attiva la via di segnalazione del fosfolipide inositolo. Un altro enzima che attracca su questi recettori è la tirosina chinasi Src, che fosforila altre proteine di segnalazione su tirosine. Un altro ancora è la fosfoinositide 3-chinasi (PI3-chinasi o PI3K), che fosforila lipidi e non proteine. Le proteine di segnalazione intracellulari che legano fosfotirosine hanno in comune domini di legame alla fosfotirosina, che possono essere SH2 e PTB. Molte proteine di segnalazione contengono anche altri domini di interazione, che permettono loro di interagire con altre proteine. Questi domini comprendono il dominio SH3, che si lega a regioni ricche di prolina. Alcune proteine di segnalazione sono composte solo da domini SH2 e SH3 e funzionano da adattatori, accoppiando proteine fosforilate su tirosine ad altre proteine che non hanno domini SH2 propri. Un esempio di proteina adattatrice è la Grb2 del complesso di segnalazione dell’insulina. Queste proteine adattatrici aiutano ad accoppiare RTK attivati alla proteina di segnalazione Ras, una GTPasi monomerica che a sua volta può attivare molte vie di segnalazione. VIA DELLA RAS-GTPASI E DELLE PROTEINE CHINASI ATTIVATE DA MITOGENO (MAP CHINASI O MAPK) Come molte altre proteine che legano GTP, Ras funziona come interrutore molecolare, alternando due stati: attivo quando legato a GTP e inattivo quando è legato a GDP. Per le GTPasi monomeriche in generale, GEF stimola la dissociazione di GDP e la successiva assunzione di GTP, attivando la GTPasi; la GAP aumenta la velocità di idrolisi del GTP, inattivando la GTPasi. Fanno parte della superfamiglia Ras le GTPasi Ras, Rho, ARF, Rab e Ran. - molecole segnale - dimerizzazione del recettore - transfosforilazione - tirosine fosforilate reclutano proteina adattatrice Grb2 - Grb2 lega la GEF di Ras, SOS - la Ras si attiva - Ras attiverà delle proteine bersaglio a valle Proteine fosfatasi specifiche per la tirosina invertono rapidamente le fosforilazioni e le GAP inducono Ras ad disattivarsi idrolizzando GTP. Per stimolare le cellule a proliferare o a differenziarsi, i segnali devono essere di durata maggiore. Uno dei meccanismi utilizzato è la via delle MAP chinasi. 2. RECETTORI ASSOCIATI A TIROSINA CHINASI CITOPLASMATICHE Molti recettori di superficie dipendono per la loro attività dalla fosforilazione di tirosine pur essendo privi di domini tirosina chinasi. Questi recettori sono associati a tirosina chinasi citoplasmatiche, che fosforilano una serie di proteine bersaglio, spesso anche i recettori stessi. Come per gli RTK, molti di questi recettori sono sia dimeri preformati che dimeri formati mediante legami crociati in seguito al legame con il ligando. Alcuni di questi recettori dipendono dalle tirosina chinasi Src. Queste proteina chinasi contengono domini SH2 e SH3 e sono poste sul lato citoplasmatico della membrana plasmatica. Un altro tipo di tirosina chinasi citoplasmatica si associa alle integrine, i principali recettori che le cellule usano per legarsi alla matrice. Quando le integrine si raggruppano a livello di siti di contatto con la matrice, aiutano a innescare l’assemblaggio di giunzioni cellula-matrice dette adesioni focali. Fra le molte proteine reclutate in queste giunzioni c’è la tirosina chinasi citoplasmatica detta chinasi dell’adesione focale (FAK). Le molecole raggruppate di FAK si fosforilano a vicenda, creando siti di attracco per la chinasi Src. SRc e FAK poi si fosforilano a vicenda e fosforilano altre proteine che si assemblano nella giunzione. In questo modo le due tirosina chinasi segnalano alla cellula che ha aderito a un substrato adatto dove la cellula può sopravvivere, crescere, dividersi e migrare. La più grande classe di recettori che si basa su tirosina chinasi citoplasmatiche per trasmettere il segnale all’interno della cellula è la classe dei recettori delle citochine. VIA DELLA CHINASI JANUS (JAK)/STAT I recettori delle citochine sono associati alle tirosina chinasi citoplasmatiche chinasi Janus (JAK), le quali fosforilano e attivano regolatori della trascrizione chiamati STAT. Le STAT migrano nel nucleo e attivano la trascrizione genica solo dopo essere state attivate. L’attacco della citochina provoca la dimerizzazione di 2 catene polipeptidiche separate del recettore. Le JAK associate si avvicinano in modo da fosforilarsi a vicenda su tirosine e diventare attive, così da fosforilare i recettori per generare siti di legame per i domini SH2 delle proteine STAT. Le JAK fosforilano poi le STAT, che si dissociano dal recettore per formare dimeri ed entrare nel nucleo per controllare l’espressione genica. Varie proteine adattatrici possono legarsi ai siti di legame per le STAT e collegare i recettori delle citochine alla via di segnalazione Ras-MAPK. PROTEINE TIROSINA FOSFATASI In tutte le vie che usano la fosforilazione della tirosina, le fosforilazioni della tirosina sono eliminate mediante proteina tirosina fosfatasi (ne esistono circa 100 tipi). Come le tirosina chinasi, le tirosina fosfatasi esistono sia in una forma citoplasmatica che in una forma transmembrana. DIversamente dalla serina/treonina fosfatasi, che solitamente hanno un’ampia specificità, la maggior parte delle tirosina fosfatasi rimuovono i gruppi fosfato solo da fosfotirosine fosforilate. 3. RECETTORI SERINA/TREONINA CHINASI Questi recettori fosforilano direttamente regolatori della trascrizione chiamati Smad, che migrano poi nel nucleo per controllare la trascrizione genica. VIA DEL FATTORE TRASFORMANTE DI CRESCITA BETA (TGFBETA) Le proteine segnale della superfamiglia del TGFBETA influenzano vari comportamenti cellulari, tra cui proliferazione, specificazione, differenziamento, produzione della matrice extracellulare e morte cellulare. Negli adulti sono coinvolte nella riparazione dei tessuti e nella regolazione immunitaria e in molti altri processi. Le proteine segnale di questa superfamiglia agiscono tramite recettori accoppiati a enzimi che sono proteine transmembrana a singolo passaggio con un dominio serina/treonina chinasi sul lato citosolico della membrana plasmatica. Ci sono 2 classi di questi recettori serina/treonina chinasi, di tipo I e II che sono omodimeri strutturalmente simili. Una volta attivato il complesso recettoriale, il recettore attivato di tipo I si lega direttamente e fosforila un regolatore della trascrizione della famiglia Smad. Una volta che una delle Smad attivate da recettore (R-Smad) è stata fosforilata, si dissocia dal recettore e si lega a Smad4, detta co-Smad. Il complesso Smad entra quindi nel nucleo, dove si associa ad altri regolatori trascrizionali e regola la trascrizione di determinati geni. MATRICE EXTRACELLULARE Nel nostro organismo abbiamo quattro tipi differenti di tessuti: connettivo, epiteliale, nervoso e muscolare. Questi tessuti non sono composti solamente da cellule ma anche da matrice extracellulare, la quale serve a dare adesione alle cellule del tessuto. La matrice extracellulare è molto abbondante a livello del tessuto connettivo. Risulta invece meno abbondante nei tessuti di tipo nervoso, epiteliale e muscolare. La matrice extracellulare è costituita da delle componenti polisaccaridiche e da proteine di natura fibrotica, come il collagene, l’elastina, la fibronectina e la laminina. Queste proteine fungono da struttura adesiva per le cellule a contatto con la matrice extracellulare. La componente polisaccaridica è formata da catene di glicosamminoglicani, che legati a proteine formano dei proteoglicani. TESSUTO CONNETTIVO COMPONENTE PROTEICA ● COLLAGENE Il collagene è la proteina più abbondante nei mammiferi e si trova in tutti gli animali. Esistono 42 geni differenti che codificano per tipi differenti di collagene in quanto ogni tipo di collagene definisce le caratteristiche che differenziano due tipi di tessuto connettivo distinti. A livello generale però il collagene è organizzato sempre allo stesso modo: una singola catena polipeptidica di collagene si avvolge con altre due catene polipeptidiche a formare una molecola a tre filamenti intrecciati. Questa è l'unità di base che, assemblandosi con altre unità dello stesso tipo, costituisce la fibrilla di collagene. A sua volta queste fibrille di collagene si aggregano in strutture ancora più grandi a dare una struttura estremamente resistente e solida, la fibra di collagene. L’aggregazione di collagene all’interno della cellula è impedita in quanto, essendo un componente della matrice extracellulare, esso deve aggregarsi all’esterno della cellula. Se fosse libero di aggregarsi all'interno della cellula verrebbero a formarsi fibre di collagene intracellulari che andrebbero a interferire con il normale citoscheletro della cellula. Per ovviare a questo problema la cellula secerne il collagene sotto forma di un precursore, il procollagene, immagazzinato all'interno di vescicole intracellulari che successivamente si fondono con la membrana, rilasciando il procollagene all'esterno della cellula. A questo punto intervengono delle proteine con attività proteasica, in grado di tagliare le estremità del procollagene. Dopo aver rimosso queste estremità, il collagene è pronto ad assemblarsi andando a costituire le fibrille di collagene, che verranno assemblate in fibre collagene grazie a delle cellule specializzate. I fibroblasti assumono questo nome se presenti nel tessuto connettivo tendineo e in quello della pelle, mentre nel tessuto osseo si chiamano osteoblasti. Nonostante ciò, si tratta sempre dello stesso tipo di cellula che svolge le medesime funzioni, ovvero secernere il tipo di collagene specifico per il tessuto connettivo in cui si trovano. Esistono delle mutazioni che possono colpire i geni codificanti i vari tipi di collagene, influenzando così la formazione dei vari tessuti connettivi. DEGRADAZIONE DELLA MATRICE Quando una cellula dovrà spostarsi deve essere in grado di degradare tutte queste proteine e componenti polisaccaridiche contenute nella matrice. Quindi ad esempio un fibroblasto, per muoversi all'interno del tessuto connettivo, dovrà secernere delle molecole in grado di distruggere queste componenti della matrice extracellulare, ovvero le proteasi. Ne esistono di due tipi: le metalloproteasi della matrice (MMP), così chiamate perché dipendenti nella loro attività dal calcio e dallo zinco. Esse tagliano le fibre collagene e di altre proteine presenti nella matrice extracellulare, liberando uno spazio per il movimento di una cellula all'interno della matrice stessa. Il secondo tipo di proteasi sono le serina-proteasi che hanno una serina reattiva nel sito catalitico. TESSUTO EPITELIALE Nel tessuto epiteliale la matrice extracellulare non è per niente abbondante ed è chiamata lamina basale. Questa lamina basale è importante per determinare la polarità caratteristica dei foglietti epiteliali. Queste cellule sono caratterizzate da una regione apicale, esposta su una superficie libera. I foglietti epiteliali possono organizzarsi in maniera differente: in uno solo strato di cellule attaccate le une alle altre (epitelio semplice) o in una struttura stratificata. Inoltre le cellule possono avere aspetto di tipo cilindrico, cubico e squamoso. LAMINA BASALE La caratteristica essenziale che accomuna tutti gli epiteli è la presenza della lamina basale che separa il tessuto epiteliale da quello connettivo e rappresenta la matrice extracellulare propria del tessuto epiteliale. È caratterizzata da due componenti essenziali: il collagene di tipo IV e la laminina. GIUNZIONI STRETTE Le giunzioni strette (o occludenti) si trovano nella parte apicale della cellula epiteliale e fanno sì che una sostanza non passi tra una cellula e l'altra, chiudendo in maniera impermeabile il contatto tra due cellule adiacenti. Sono formate da due proteine, occludina e claudina. Inoltre le giunzioni strette definiscono anche la polarità delle proteine. GIUNZIONI ADERENTI Hanno funzione meccanica e sono formate da molecole di actina connesse a proteine di collegamento, a loro volta legate a molecole di caderina. Queste molecole di caderina passano attraverso la membrana plasmatica e si legano a un'altra molecola di caderina posta su una cellula a fianco. Si tratta quindi di un'interazione omofilica tra le due caderine che sono chiamate così perché attivate dal calcio che è presente negli ambienti extracellulari. Queste giunzioni aderenti sono in connessione tra cellule vicine l'una alle altre ed essendo legate a filamenti di actina formano delle fasce di adesione o dei fascetti di filamenti di actina. L’actina ha capacità contrattile, cioè è possibile fare scorrere i filamenti di actina gli uni sugli altri. Facendo scorrere questi filamenti di actina che sono a contatto con le cellule del foglietto epiteliale si ha la formazione di una invaginazione, cioè di un ripiegamento dell'epitelio, il quale può richiudersi completamente formando un tubo epiteliale. Questo è molto importante soprattutto durante lo sviluppo embrionale. DESMOSOMI ED EMIDESMOSOMI I desmosomi si differenziano dalle giunzioni aderenti in quanto sono legati non a filamenti di actina, bensì a filamenti intermedi. I desmosomi mediano la formazione di giunzioni cellula-cellula che danno resistenza alla trazione. Anche in questo caso il contatto tra le due cellule è garantito dalle molecole di caderina. Gli emidesmosomi non contattano una cellula adiacente bensì la lamina basale. Le integrine connettono i filamenti intermedi del citoscheletro alla lamina basale e tengono adeso il foglietto epiteliale alla lamina basale, impedendo che le cellule dell’epitelio si muovano. GIUNZIONI COMUNICANTI Sono formate da unità a più passaggi a livello della membrana che formano dei veri e propri canali, i connessoni. Questi sono allineati in maniera testa a testa tra una cellula e quella a fianco. In questo modo formano dei canali, o meglio, dei pori acquosi che possono essere attraversati dagli ioni inorganici o dalle molecole idrosolubili di piccola dimensione. RIASSUMENDO: a livello epiteliale abbiamo la regione apicale di sopra e la regione basale di sotto a contatto con la lamina basale. Esistono almeno cinque tipi di giunzione: ● Le giunzioni occludenti o strette, che sono quelle che definiscono la regione basale e quella apicale perché impediscono al liquido presente nella regione al di sopra di passare tra le cellule, bloccando il passaggio tra le cellule adiacenti. ● Le giunzioni aderenti, connesse con i filamenti di actina. ● I desmosomi, connessi ai filamenti intermedi. ● Le giunzioni comunicanti, che fanno passare ioni o piccole molecole. ● Gli emidesmosomi che connettono la lamina basale e i filamenti intermedi. CICLO CELLULARE = ciclo di duplicazione e di divisione, meccanismo essenziale mediante il quale tutti gli esseri viventi si riproducono. La serie minima di processi che una cellula deve eseguire è quella che le permette di passare la sua informazione genetica alla generazione successiva di cellule. Per produrre 2 cellule figlie geneticamente identiche, il DNA di ciascun cromosoma deve prima essere replicato completamente e i cromosomi replicati devono poi essere distribuiti accuratamente nelle 2 cellule figlie. Oltre alla replicazione del genoma, è spesso necessario duplicare gli altri organelli e le macromolecole. Per mantenere le loro dimensioni, le cellule che si dividono devono coordinare il loro aumento di massa con la divisione. Il ciclo cellulare ha 2 eventi principali: ● duplicazione dei cromosomi (avviene nella fase S) ● segregazione dei cromosomi e divisione cellulare - divisione del nucleo (mitosi) e divisione della cellula stessa (citochinesi) - (avviene nella fase M) All’inizio della fase S, le molecole di DNA di ogni coppia di cromosomi duplicati sono tenute insieme dal legame con proteine specializzate. All’inizio della fase M, le 2 molecole di DNA vengono districate e condensate a coppie in cromatidi fratelli, che rimangono uniti per coesione. Quando l’involucro nucleare si disassembla in mitosi, le coppie di cromatidi fratelli si attaccano al fuso mitotico. I cromatidi fratelli si attaccano ai poli opposti del fuso e si allineano all’equatore del fuso. Con la perdita della coesione dei cromatidi fratelli si ha la separazione dei cromatidi fratelli, che vengono attratti ai poli opposti del fuso. Il fuso si disassembla e i cromosomi segregati vengono racchiusi in nuclei diversi. La cellula si divide in 2. Per concedere più tempo alla crescita della cellula e per darle più tempo per controllare l’ambiente interno ed esterno per assicurarsi che le condizioni siano favorevoli e che le fasi di preparazione siano completate prima di impegnarsi nelle altre fasi, esistono delle fasi gap (intervallo) extra: una fase G1 tra la fase M e la fase S e una fase G2 tra la fase S e la fase M. Quindi, il ciclo cellulare eucariotico è diviso in 4 fasi sequenziali: ● G1 ● S. INTERFASE ● G2. ● M Se le condizioni sono sfavorevoli, le cellule ritardano il progresso attraverso G1 e possono anche entrare in uno stato di riposo specializzato chiamato G0. Ricorda: la fase M si divide in profase, (prometafase), metafase, anafase e telofase (PMAT)!! protegge i collegamenti che mantengono unite le coppie di cromatidi fratelli nella mitosi precoce (la sua distruzione attiva una proteasi che separa i cromatidi fratelli e avvia l’anafase; le cicline M e S (la loro distruzione inattiva la maggior parte delle Cdk nella cellula. Come risultato, le proteine fosforilate dalle Cdk dalla fase S alla M vengono defosforilate da diverse fosfatasi. Questa defosforilazione è necessaria per il completamento della mitosi. Dopo la sua attivazione a metà mitosi, APC/C rimane attivo in G1, determinando l’inattività di Cdk. Quando le G1/S-CDk vengono attivate, l’APC/C viene spento). Il sistema di controllo del ciclo cellulare utilizza anche un’altra ubiquitina ligasi, la SCF, che va ad ubiquitinare determinate CKI nella fase G1 tardiva. È anche responsabile della distruzione delle cicline G1/S nella fase S precoce. APC/C e SCF sono regolati in modo diverso. L’attività di APC/C si modifica come risultato di cambiamenti nella sua associazione a una subunità attivante: Cdc20. Questa subunità aiuta l’APC/C a riconoscere le sue proteine bersaglio. Ricorda: per poliubiquitinare, l’APC/C si serve di altre 2 proteine dette E1 e E2. Quindi, riassumendo il sistema di controllo: - condizioni adatte per la proliferazione cellulare - attivazione di G1-Cdk - espressione di geni che codificano le cicline G1/S e S - attivazione di G1/S-Cdk - progressione attraverso punto di controllo G1/S - attivazione di S-Cdk - complesso S-Cdk avvia duplicazione cromosomica - attivazione M-Cdk - progressione attraverso punto di controllo G2/M - allineamento dei cromatidi fratelli all’equatore del fuso mitotico - l’APC/C innesca la distruzione della securina e delle cicline nello stadio tra metafase e anafase - segregazione dei cromatidi fratelli - attività di Cdk soppresse Le dimensioni di un organo sono determinate da 3 processi fondamentali: ● crescita cellulare ● divisione cellulare ● sopravvivenza cellulare Ciascuno di essi è finemente regolato. I fattori che promuovono la crescita possono essere divisi in: ● fattori di crescita: stimolano la crescita cellulare ● mitogeni: stimolano la divisione cellulare ● fattori di sopravvivenza: promuovono la sopravvivenza cellulare Oltre a questi, ci sono molecole segnale extracellulare che sopprimono la proliferazione cellulare, la crescita cellulare o entrambe (tra i più conosciuti, i TGFbeta). Esistono infine proteine che attivano l’apoptosi. 1. FASE G1 In assenza di un segnale mitogenico di proliferazione, la progressione in un nuovo ciclo cellulare si arresta. In alcuni casi, il sistema di controllo viene disassemblato e la cellula entra in uno stato di non divisione chiamato G0 (stato che può essere temporaneo e permanente). I mitogeni agiscono in questa fase, andando a promuovere l’attività di Cdk, permettendo l’inizio di un nuovo ciclo cellulare. I mitogeni agiscono con recettori della superficie cellulare per innescare diverse vie di segnalazione. Una di queste agisce attivando la GTPasi monomerica Ras, che attiva la cascata di proteine chinasi attivate da mitogeno (MAPK). Ciò porta all’aumento della produzione di proteine che regolano geni, tra cui Myc. Myc promuove l’ingresso nel ciclo aumentando l’espressione di geni che codificano cicline G1, facendo così aumentare l’attività del complesso G1-Cdk. Il complesso G1-Cdk attiva un gruppo di fattori che regolano geni, le proteine E2F, che si legano a specifiche sequenze di DNA nei promotori di molti geni che codificano proteine necessarie per l’ingresso in S, tra cui cicline G1/S e cicline S, e proteine coinvolte nella sintesi di DNA e nella duplicazione dei cromosomi. In assenza di stimolazione mitogenica, l’espressione dei geni che dipendono da E2F è inibita da un’interazione di E2F con le proteine retinoblastoma (Rb). Quando le cellule sono stimolate dai mitogeni, G1-Cdk attiva si accumula e fosforila le proteine Rb, riducendone il legame con E2F. Le proteine E2f libere attivano quindi l’espressione dei loro geni bersaglio. Ulteriori livelli di controllo promuovono un incremento dell’attività di S-Cdk all’inizio della fase S. L’attivatore di APC/C annulla i livelli di ciclina dopo la mitosi, ma le cicline G1/S e G1 sono resistenti ad APC/C e possono quindi promuovere la fosforilazione della proteina Rb e l’espressione dei geni dipendenti da E2F. La ciclina S invece non resiste e il suo livello è inizialmente contenuto dall’attività di APC/C. Tuttavia G1/S-Cdk fosforila e inattiva APC/C, permettendo così l’accumulo di ciclina S. G1/S-Cdk inattiva anche le proteine CKI che sopprimono l’attività di S-Cdk. L’effetto globale di tutte queste interazioni è l’attivazione dei complessi S-Cdk necessari per l’avvio della fase S. Mutazioni alla GTPasi Ras portano a una stimolazione costante delle vie di segnalazioni dipendenti da Ras, anche in assenza di segnali mitogenici. Allo stesso modo, mutazioni che causano sovraespressione di Myc inducono eccessiva crescita e proliferazione, promuovendo tumorigenesi. Tuttavia, la cellula normale sembra capace di distinguere una stimolazione mitogenica anormale e risponde impedendo l’ulteriore divisione. La stimolazione eccessiva spesso porta alla produzione di una proteina inibitrice del ciclo, Arf, che si lega a Mdm2 inibendola. Viene così aumentato il livello di p53, inducendo l’arresto del ciclo o l’apoptosi (vedi p53, paragrafo sotto). P53, IL GUARDIANO DEL GENOMA La progressione nel ciclo cellulare non è controllata solo da mitogeni extracellulari, ma anche da altri meccanismi. Un esempio è il danno al DNA. È importantissimo che la cellula ripari i cromosomi danneggiati prima di duplicarli o di segregarli. Il sistema di controllo del ciclo cellulare può rilevare prontamente un danno al DNA e arrestare il ciclo in G1/S o in G2/M. Il danno al DNA dà inizio a una via di segnalazione attivando o ATM o ATR, 2 chinasi che si associano al sito del danno e fosforilano varie proteine bersaglio, come Chk1 e Chk2. Queste chinasi andranno poi a fosforilare altre proteine chinasi che porteranno all’arresto del ciclo. Un bersaglio importante è p53, che stimola la trascrizione del gene che codifica una CKI, detta p21. Questa si lega ai complessi G1/S-Cdk e S-Cdk e ne inibisce l’attività, bloccando la progressione nel ciclo. Nelle cellule non danneggiate, la p53 è altamente instabile. Questo perché interagisce con Mdm2, che agisce da ubiquitina ligasi e la indirizza al proteasoma (è la fosforilazione che attiva p53). Le Chk1 e Chk2 possono fosforilare anche Cdc25 (fosfatasi), che normalmente andrebbero a attivare M-Cdk. Anche questo promuove l’arresto del ciclo cellulare. La risposta al danno al DNA può essere attivata anche da problemi alla forcella di replicazione. Le mutazioni nel gene p53 portano spesso a tumorigenesi. SENESCENZA Molte cellule si dividono un numero limitato di volte prima di fermarsi e subire un arresto permanente del ciclo cellulare. La cellula entra in uno stato di non divisione irreversibile, chiamato senescenza cellulare replicativa. Questa sembra essere indotta da cambiamenti strutturali dei telomeri. Quando una cellula si divide i telomeri non vengono replicati normalmente, ma vengono sintetizzati dall’enzima telomerasi. La telomerasi promuove anche la formazione di strutture proteiche a cappuccio che proteggono le estremità dei cromosomi. Dato che molte cellule non possiedono telomerasi, i loro telomeri si accorciano ad ogni divisione cellulare. Alla fine le estremità esposte vengono identificate come danno e si attiva l’arresto del ciclo. Le cellule cancerose riacquistano la capacità di produrre telomerasi. 2. FASE S L’evento centrale della duplicazione dei cromosomi è la replicazione del DNA. Questa deve: ● avvenire con estrema accuratezza per ridurre al minimo il rischio di mutazioni nella generazione cellulare successiva; ● ogni nucleotide dev’essere copiato una sola volta per evitare amplificazione genica. APOPTOSI La morte cellulare non è un processo casuale ma avviene secondo una sequenza di eventi programmata nella quale la cellula si autodistrugge sistematicamente dal suo interno e viene poi mangiata da altre cellule. Nella maggioranza dei casi, la morte cellulare programmata avviene tramite un processo detto apoptosi. Le cellule che muoiono per apoptosi subiscono caratteristici cambiamenti morfologici: si riducono e si condensano, il citoscheletro collassa, l’involucro nucleare si dissolve e la cromatina si condensa e si divide in frammenti. La superficie cellulare spesso produce vescicole o frammenti racchiusi da membrana detti corpi apoptotici. Un macrofago fagociterà rapidamente la cellula, prima che ne fuoriesca il contenuto. Le cellule animali che muoiono accidentalmente in risposta a un danno acuto generalmente muoiono tramite necrosi: le cellule necrotiche si gonfiano ed esplodono, riversando il loro contenuto e scatenando una risposta infiammatoria. CASCATA PROTEOLITICA INTRACELLULARE MEDIATA DA CASPASI L’apoptosi viene innescata da proteasi intracellulari specializzate che tagliano sequenze specifiche presenti in molte proteine all’interno della cellula. Queste proteasi hanno delle cisteine nel loro sito attivo e tagliano le proteine bersaglio in corrispondenza di residui di aspartato: per questo vengono dette caspasi. Le cellule vengono sintetizzate nella cellula come precursori inattivi (procaspasi) e vengono attivate solo durante l’apoptosi. Ci sono 2 classi di caspasi: ● caspasi iniziatrici: iniziano il processo apoptotico. Normalmente sono monomeri inattivi. Un segnale apoptotico innesca l’assemblaggio di proteine adattatrici che riuniscono le caspasi. Coppie di caspasi dimerizzano e vengono così attivate. Ogni caspasi del dimero taglia la sua partner e così abbiamo l’intero complesso attivo ● caspasi esecutrici: vengono attivate dalle caspasi iniziatrici. Normalmente sono dimeri inattivi. Quando vengono tagliate dalle caspasi iniziatrici, si attivano e catalizzano diffusi eventi di taglio proteolitico che uccidono la cellula. FRAMMENTAZIONE DEL DNA DURANTE L’APOPTOSI In cellule sane l’endonucleasi CAD si associa al suo inibitore iCAD. L’attivazione di caspasi esecutrici porta al taglio di iCAD, che libera CAD. CAD attivato taglia il DNA cromosomico tra un nucleosoma e l’altro portando alla frammentazione del DNA. VIE DI ATTIVAZIONE DELL’APOPTOSI VIA ESTRINSECA Le proteine segnale extracellulari che si legano ai recettori di morte della superficie cellulare scatena questa via. I recettori di morte contengono un dominio di morte necessario per attivare l’apoptosi. Un esempio del modo in cui i recettori di morte attivano questa via è l’attivazione di Fas sulla superficie della cellula bersaglio da parte del ligando di Fas sulla superficie di un linfocita killer. Una volta attivati dal legame con il ligando di Fas, i domini di morte dei recettori di morte di Fas reclutano proteine adattatrici che a loro volta reclutano procaspasi iniziatrici (caspasi 8) formando un complesso di segnalazione che induce la morte (DISC). VIA INTRINSECA Le cellule possono anche attivare l’apoptosi dall’interno, generalmente in risposta a una lesione o ad altri stress, come in caso di danno al DNA. Questa via dipende dal rilascio nel citosol di proteine mitocondriali generalmente presenti nello spazio intermembrana di questi organelli. Alcune di queste proteine attivano nel citoplasma una cascata proteolitica di caspasi, che porta all’apoptosi. Una di queste proteine è il citocromo c. Quando viene rilasciato nel citosol, si lega a una proteina adattatrice detta Apaf1, portando quest’ultima a oligomerizzare in un eptamero detto apoptosoma. Le proteine Apaf1 dell’apoptosoma reclutano poi procaspasi iniziatrici 9 e si scatena la cascata proteolitica. La via intrinseca è rigidamente regolata. Una classe importante di regolatori è la famiglia delle Bcl2, che si dividono in: ● proapoptotiche: Bax, Bak, Puma, Noxa, Bad ● antiapoptotiche: Bcl2 Il loro equilibrio determina la morte/sopravvivenza della cellula. Quando uno stimolo apoptotico scatena la via intrinseca, le Bcl2 proapoptotiche vengono attivate e si aggregano formando oligodimeri nella membrana mitocondriale esterna, inducendo il rilascio di citocromo c, ad esempio. Le antiapoptotiche inibiscono l’apoptosi soprattutto legandosi a quelle proapoptotiche, inibendole. In risposta a un danno al DNA irriparabile, la p53 si accumula e attiva la trascrizione dei geni che codificano le proteine proapoptotiche, come Puma e Noxa, che innescano la via intrinseca. SIccome l’attivazione della cascata delle caspasi porta a morte certa, le cellule cercano di attivarla solo quando è strettamente necessario e quindi in situazioni opportue. Una linea di difesa è rappresentata dagli inibitori dell’apoptosi (IAP). Alcuni fattori di sopravvivenza bloccano l’apoptosi stimolando la trascrizione di geni che codificano le Bcl2 antiapoptotiche. Altri attivano la via del PI3K/Akt, che va a inattivare la proteina proapoptotica Bad. Raf, ma lo scopo finale sarà sempre quello di aumentare la proliferazione della cellula seppur attraverso vie differenti. CARATTERISTICHE DEI TUMORI Alcuni attivando la via di Ras in maniera ligando-indipendente, non avranno bisogno di fattori di crescita nell’ambiente extracellulare e daranno vita ad una proliferazione incontrollata, attivando un enzima chiamato telomerasi, deputato all’allungamento e mantenimento dei telomeri, che nelle cellule normali dopo ogni divisione si accorciano. Tutte le cellule tumorali possono sopravvivere in presenza di stress interno, ovvero con danni al Dna e vari difetti mitotici. Questo perché nel corso del loro sviluppo hanno perso i controllori del genoma che avrebbero bloccato la proliferazione cellulare, riconoscendo un danno specifico. Tutte le cellule tumorali sono caratterizzate da una capacità invasiva anormale, dovuta all’assenza di caderine che normalmente tengono la cellula ancorata e impediscono che si diffonda liberamente in tessuti diversi. Spesso le caderine sono usate come marker tumorale, perché la loro assenza indica che il tumore si sta sviluppando verso stadi invasivi e starà per metastatizzare. Inoltre potranno sopravvivere in tessuti differenti a causa della capacità di mutare assetto genetico e assumere quello più stabile per vivere in quel determinato tessuto. FATTORI DI CRESCITA Le cellule tumorali acquisiscono la capacità di produrre fattori di crescita e allo stesso tempo la capacità di secernere quest’ultimi in maniera autocrina. Allo stesso tempo la cellula secerne il fattore di crescita ed ha anche lo stesso recettore capace di internalizzarlo all’interno della membrana. Il tumore si automantiene, secernendo queste molecole che stimolano le vie mitogeniche. Le cellule tumorali inoltre hanno un problema di irrorazione, perchè formano delle masse poco compatte e se non riescono a richiamare vasi capillari verso la massa tumorale vanno incontro ad ipossia e quindi potrebbero in tal modo morire. Altri recettori potranno sovraesprimere i recettori tirosin-chinasici, che mediano le vie di proliferazione cellulare e quindi avendo più recettori sulla membrana, manderanno un segnale pro-proliferante molto intenso all’interno della cellula. Altri potranno mutare questi recettori e renderli sempre attivi anche in assenza di fattori di crescita Le cellule tumorali non vanno in contro alla senescenza. ONCOSOPPRESSORI E ONCOGENI Oncogeni: geni che producono proteine che stimolano la crescita della cellula. Oncosoppressori: geni che producono proteine che bloccano la progressione all’interno del ciclo cellulare. Per attivare un oncogene basterà una mutazione su uno dei due alleli codificanti per quella proteina per modificarla. Queste mutazioni causeranno o un guadagno o una perdita di funzioni in queste proteine. Nel caso di Ras basterà fare in modo che non idrolizzi più il GTP per mantenerla costantemente attiva e quindi basterà che uno degli alleli mutati per avere questo effetto fenotipico. Per inattivare un oncosoppressore avremo bisogno di una mutazione su entrambi gli alleli, perchè chiaramente se rimarrà anche solo una copia, questa sarà in grado di compensare la mancanza dell’altro allele e quindi bloccare il ciclo cellulare. Esistono diverse modalità per attivare un oncogene: ● mutazione iperattivante della sequenza codificante, in cui il numero dell’Rna prodotto e della proteina prodotta non cambia, ma questa proteina prodotta è iperattiva (classica mutazione su Ras) ● amplificare il gene, quindi aumentare il numero di Rna e quindi di proteina prodotta (sovrapproduzione) ● riarrangiamento cromosomico, quindi una regione di un altro cromosoma che si pone adiacente o poco lontano dalla sequenza codificante e ne stimola la produzione in quantità maggiore rispetto al normale, andando ad aumentare il numero di Rna. Oppure si può avere la fusione di questa regione di un altro cromosoma, che ha traslocato, con la sequenza codificante e il risultato è la produzione di una proteina di fusione normalmente inesistente e con una struttura morfologica diversa rispetto alla precedente che la rende iperattiva Mentre nel caso degli oncosoppressori dovremmo inattivare entrambi i geni, sia quello di origine paterna che quello di origine materna. Partendo da una situazione in cui uno dei due geni ha subito una mutazione con perdita di funzione di un oncosoppressore, i modi per rende la mutazione fenotipicamente visibile sono: ● perdita totale dell’altro cromosoma su cui è localizzato il gene sano a causa di una alterazione della segregazione mitotica ● delezione del cromosoma sano con perdita della sequenza che codifica per quello specifico oncosoppressore ● possibilità di mutazione dell’altro gene in maniera analoga al suo corrispettivo ● eventi epigenetici, come la metilazione, che impediscono la trascrizione di quel gene TRASLOCAZIONI CROMOSOMICHE Durante i processi di divisione mitotica capita che i cromosomi si rompano e i frammenti che si formano riescono a fondersi tra di loro creando dei cromosomi che normalmente non esisterebbero. L'esempio più classico è il cromosoma Philadelphia, frutto di una traslocazione tra un pezzo del cromosoma 9, contenente il gene abl e un pezzo del cromosoma 22, contenente il gene bcr, creando questo cromosoma nuovo con la proteina di fusione bcr-abl, che sostiene la proliferazione delle cellule nella leucemia mieloide cronica Proprio a causa dell’inesistenza di questa proteina di fusione nelle normali cellule umane, si è potuto traghettare in maniera specifica questa proteina senza avere nessun effetto sulle cellule normali. La creazione di questo inibitore Imatinib ha permesso di aumentare notevolmente le aspettative di vita (come si mostra nel grafico sottostante) Ricapitolando, le cellule tumorali: 1. crescono ed effettuano biosintesi quando non dovrebbero 2. si dividono quando non dovrebbero 3. sfuggono dal loro tessuto di origine (sono invasive) e sopravvivono e proliferano in siti estranei (metastatizzano) 4. rispondono in modo anomalo allo stress e non vanno incontro ad apoptosi 5. sono geneticamente ed epigeneticamente instabili 6. fuggono alla senescenza replicativa producendo telomerasi o acquisendo un altro modo di stabilizzare i loro telomeri
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