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Biologia dalla chimica dei viventi all'ereditarietà e ambiente, Sintesi del corso di Biologia

per il corso di biologia di medicina , integrato con gli appunti presi a lezione

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 10/01/2019

shana-eltiri
shana-eltiri 🇮🇹

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Scarica Biologia dalla chimica dei viventi all'ereditarietà e ambiente e più Sintesi del corso in PDF di Biologia solo su Docsity! Biologia Riassunti Biologia Argomenti trattati La Chimica dei viventi. I bioelementi. L'importanza biologica delle interazioni deboli. Le proprietà dell'acqua. 
 Le molecole organiche presenti negli organismi viventi e rispettive funzioni. Il ruolo degli enzimi. La cellula come base della vita. Teoria cellulare. Dimensioni cellulari. Virus. La cellula procariote ed eucariote. La membrana cellulare e sue funzioni.
 Le strutture cellulari e loro specifiche funzioni. 
 Riproduzione cellulare: mitosi e meiosi. Corredo cromosomico. I tessuti animali. Bioenergetica. La valuta energetica delle cellule: ATP. I trasportatori di energia: NAD, FAD. Reazioni di ossido-riduzione nei viventi. Fotosintesi. Glicolisi. Respirazione aerobica. Fermentazione. Riproduzione ed Ereditarietà. Cicli vitali. Riproduzione sessuata ed asessuata. Genetica Mendeliana. Leggi fondamentali e applicazioni. 
 Genetica classica: teoria cromosomica dell'ereditarietà; cromosomi sessuali; mappe cromosomiche. Genetica molecolare: DNA e geni; codice genetico e sua traduzione; sintesi proteica. Il DNA dei procarioti. Il cromosoma degli eucarioti. Regolazione dell'espressione genica. 
 Genetica umana: trasmissione dei caratteri mono e polifattoriali; malattie ereditarie. 
 Le nuove frontiere della genetica: DNA ricombinante e sue possibili applicazioni biotecnologiche. Ereditarietà e ambiente. Mutazioni. Selezione naturale e artificiale. Le teorie evolutive. Le basi genetiche dell'evoluzione. Biologia L’ACQUA E LE SUE PROPRIETA’ Tra i vari elementi degli organismi viventi, l‟acqua occupa indubbiamente un ruolo importantissimo. L‟acqua ha la formula chimica H2O; un atomo di ossigeno lega due atomi d‟idrogeno covalentemente e due d‟idrogeno di altre due molecole di acqua con un legame idrogeno, più lungo di quello covalente e quindi meno stabile. La rigidità dei legami allo stato solido fa sì che la densità del ghiaccio sia inferiore a quella dell‟acqua allo stato liquido. Alcune proprietà dell‟acqua sono di seguito elencate: 1. Elevata coesione – E‟ dovuta alla tendenza delle molecole di acqua ad unirsi tra loro. 2. Elevata tensione superficiale – Per penetrare in una massa d‟acqua, un oggetto deve rompere i legami idrogeno tra le molecole adiacenti. La superficie dell‟acqua si mostra particolarmente resistente alla penetrazione di oggetti. 3. Elevata capacità termica – L‟acqua assorbe una grande quantità di calore, facendo aumentare di poco la propria temperatura. L‟acqua come solvente L‟acqua ha la proprietà di essere il solvente di tutte le reazioni biologiche. La capacità di solubilizzare le sostanze è dovuta alla rottura dei legami tra le molecole sia nel soluto che nel solvente e al mescolamento di queste molecole tra loro. Se la soluzione è spontanea, significa che l‟energia che si libera per la rottura dei legami tra le molecole, sia del solvente sia del soluto, compensa la richiesta d‟energia per la formazione dei legami tra le molecole del soluto e quelle del solvente. I composti ionici, infatti, pur essendo caratterizzati da legami forti si solubilizzano facilmente in acqua. Gli ioni, essendo dotati di carica, si circondano di molecole di acqua. Ogni ione che è circondato da un alone di molecole di acqua è detto idratato o solvatato. Anche i composti polari sono facilmente solubili in acqua, come ad esempio i carboidrati. I composti apolari non sono solubili in acqua e se mediante agitazione vengono dispersi nel mezzo acquoso, formano un‟emulsione. I composti anfipatici (testa polare e coda apolare) presentano nella loro molecola una porzione polare ed una apolare. Per questa loro natura, da una parte interagiscono con l‟acqua tendendo ad andare in soluzione, dall‟altra tendono ad essere espulsi. Si può avere la formazione di micelle, se le molecole del soluto si aggregano disponendosi con la porzione polare rivolta verso l‟acqua e la zona apolare rivolta verso l‟interno dell‟aggregato. Si ha la formazione di strati monomolecolari, quando le molecole anfipatiche, disposte in monostrato, si dispongono con la zona polare rivolta verso l‟acqua e la zona apolare rivolta verso l‟ambiente circostante, in cui le porzioni apolari sono unite tra loro da legami deboli (forze di van der Waals). In alcune condizioni, le sostane anfipatiche come i lipidi complessi formano una membrana costituita da un doppio strato di molecole. Biologia I gliceridi sono lipidi semplici e sono costituiti da glicerolo legato ad acidi grassi. Dal momento che il glicerolo è un trialcol, esso possiede tre gruppi alcolici che si possono legare con altrettanti acidi grassi. In questo modo si distinguono monogliceridi, digliceridi e trigliceridi. Ilipidi complessi possono essere sia fosfogliceridi(glicerolo che si lega con due acidi grassi e un acido fosforico) che sfingolipidi. La natura anfipatica dei lipidi complessi può essere rappresentata da una testa polare e da una coda apolare. Proteine Le proteine sono dei polimeri di grandi dimensioni che hanno per monomeri gli amminoacidi (se ne conoscono 20). Le proteine sono le molecole maggiormente presenti nelle cellule animali ed hanno un‟importanza biologica fondamentale: costituiscono la maggior parte del materiale strutturale della cellula e agiscono come enzimi. Gli amminoacidi sono uniti fra loro da un legame peptidico. Queste catene polimeriche lineari sono, quindi, costituite dalla sequenza di 20 amminoacidi i quali si combinano in milioni di sequenze differenti. Una proteina può essere formata da una sola o da diverse catene. Tra le proteine si ritrovano gli enzimi, catalizzatori biologici che sono in grado di accelerare la velocità delle reazioni chimiche nelle cellule. Ci sono poi specifiche proteine, dette fattori di trascrizione, necessarie per la regolazione dell‟espressione genica. Queste proteine riconoscono e legano specifiche sequenze di DNA, attivando o inibendo l‟espressione genica. Le proteine strutturali formano il citoscheletro e la maggior parte delle strutture extracellulari di sostegno che garantiscono forma e solidità agli organismi (elastine, cheratine, etc…). Le proteine sono macromolecole costituite dall‟unione di unità elementari, gli amminoacidi, una classe di composti organici presentati in forma ionica contenenti almeno un gruppo acido e uno amminico nella molecola. Nel corso dell‟evoluzione sono stati selezionati venti specifici amminoacidi; questi presentano alcune caratteristiche comuni: x Tutti possiedono almeno un gruppo carbossilico (--COOH) e uno amminico (--NH2) che si trovano legati allo stesso atomo di C (questo viene detto carbonio alfa). x Differiscono tra loro per la natura chimica del gruppo R,radicaleocatena laterale. La catena laterale è specifica per ogni amminoacido. x Tutti gli amminoacidi possiedono quattro sostituenti diversi legati al carbonio alfa: ciò fa sì che ogni amminoacido esista in due isomeri diversi (L e D), l‟uno l‟immagine speculare dell‟altro. Gli amminoacidi presenti nelle proteine appartengono sempre alla serie L. Gli amminoacidi costituenti le proteine vengono solitamente classificati, sulla base delle proprietà chimico-fisiche del loro radicale, in tre gruppi: x Amminoacidi apolari – Presentano il radicale apolare, quindi insolubile in acqua. x Amminoacidi polari – Presentano il radicale polare, e quindi solubile in acqua. x Amminoacidi ionizzabili – Presentano gruppi ionizzabili, acidi o basici, quindi solubili in acqua. Gli amminoacidi sono acidi e basi deboli, infatti, in una soluzione acquosa neutra il gruppo carbossilico perde il protone e assume carica negativa (--COO-), mentre il gruppo amminico acquista un protone caricandosi positivamente (--NH3+), quindi gli amminoacidi sono sostanze anfotere. Il legame peptidico è un legame covalente avviene tra il gruppo carbossilico del primo amminoacido e il gruppo amminico di quello seguente con perdita di una molecola d‟acqua. Organizzazione tridimensionale delle proteine Le proteine non sono molecole filamentose ma si ripiegano assumendo una struttura tridimensionale di tipo globulare che presenta una caratteristica conformazione per ognuna di esse. Biologia Le proteine, inserite in un determinato ambiente, si dispongono in modo da stabilire il maggior numero possibile di interazioni con il mezzo circostante, legami deboli come i legami idrogeno, le interazione elettrostatiche, le forze di van der Waals, sia con atomi appartenenti alla molecola stessa (interazioni intramolecolari), sia tra atomi appartenenti a molecole circostanti (interazioni intermolecolari). Un‟altra possibile classificazione delle proteine è quella che le divide in fibrose e globulari. Per comodità, la struttura tridimensionale delle proteine è stata scomposta in vari livelli di organizzazione descrivendo una struttura primaria, secondaria, terziaria e quaternaria. Il ripiegamento delle proteine non è mai di tipo casuale, esso è scritto nella struttura primaria, cioè nell‟ordine con cui gli amminoacidi sono legati in sequenza. La struttura secondaria interessa tratti più o meno lunghi che assumono un ripiegamento regolare e ripetitivo nello spazio. L‟alfa-elica consiste nel ripiegamento elicoidale dello scheletro polipeptidico che si avvolge a spirale attorno ad un asse longitudinale virtuale, con le catene laterali proiettate verso l‟esterno. Tale ripiegamento viene stabilizzato da ponti di idrogeno che si formano tra gruppi –NH– e –CO– di legami peptidici. La struttura beta consiste in un ripiegamento che vede la catena polipeptidica assumere un aspetto a zig-zag prendendo il nome di filamento beta. Diversi filamenti beta si dispongono parallelamente gli uni agli altri. La struttura è stabilizzata da ponti di idrogeno che si formano tra gruppi –NH– e –CO– di legami peptidici che fanno parte di segmenti di catene diverse; ogni legame peptidico forma due legami idrogeno. L‟insieme di molti segmenti dà origine ai foglietti beta. La struttura terziaria rappresenta la complessiva organizzazione tridimensionale di una proteina, ed indica il modo in cui si dispongono nell‟insieme le diverse strutture secondarie. Queste sono collegate da porzioni chiamate anse. Il ripiegamento della catena polipeptidica non è casuale ed è fortemente condizionato dall‟ambiente nel quale la proteina si trova. La struttura terziaria di una proteine è stabilizzata da legami idrogeno che si stabiliscono tra le catene laterali degli amminoacidi polari e legami ionici che si stabiliscono tra i residui degli amminoacidi dotati di carica elettrica. In alcune proteine, la struttura terziaria può essere ulteriormente stabilizzata dalla formazione di un forte legame covalente, il ponte disolfuro. Il ripiegamento di una determinata proteina non è casuale; esso non è altro che la forma più adatta e conveniente da un punto di vista termodinamico, ecco perché tutte le molecole di un determinato tipo di proteina hanno sempre la stessa forma tridimensionale. La struttura quaternaria si osserva nelle proteine che nel loro complesso sono costituite dall‟aggregazione di più subunità che hanno già assunto la propria struttura terziaria. Ad esempio, l‟emoglobina è una proteina con struttura quaternaria, costituita dall‟aggregazione di 4 subunità uguali a due a due. I legami che stabilizzano la struttura quaternaria sono i legami idrogeno, legami ionici e i ponti disolfuro. Denaturazione e rinaturazione delle proteine Alcuni agenti fisici (calore e radiazioni) e chimici (pH fortemente acido o basico, etc…) producono dei cambiamenti drastici nella struttura di una proteina e possono alterare la sua attività biologica modificando le strutture secondaria, terziaria e quaternaria rompendo i legami che le stabilizzano. Questa trasformazione prende il nome di denaturazione delle proteine e gli agenti che la causano sono detti agenti denaturanti. La denaturazione, quindi, modifica la struttura tridimensionale senza alterare la composizione e la sequenza degli amminoacidi. In genere la denaturazione è un fenomeno irreversibile, tuttavia, in particolari condizioni, molte proteine possono riassumere spontaneamente la conformazione nativa quando l‟agente denaturante viene allontanato. Tale fenomeno prende il nome di rinaturazione. Biologia Regolazione dell‟attività biologica delle proteine Le cellule, in risposta a certi stimoli, incrementano o diminuiscono l‟attività di alcune proteine. Un rigoroso controllo permette alle cellule di evita sia lo sperpero di risorse energetiche, sia di esaurire le scorte di substrati indispensabili. Questo si realizza attraverso la regolazione allosterica.Mediante la regolazione allosterica, alcune proteine possono essere attivate oppure inibite. Molte proteine possono esistere in due o più conformazioni differenti ben definite, interconvertibili l‟una nell‟altra, dotate di attività biologiche differenti: una attiva e l‟altra inattiva. Il passaggio dalla conformazione attiva a quella inattiva viene detto transizione allosterica e si realizza in seguito all‟associazione reversibile della proteina con il segnale che regola l‟attività biologica della proteina bersaglio; questo viene detto effettore allosterico. L‟associazione tra effettore e proteine è altamente specifica, e avviene in un punto della proteina altrettanto specifico, il sito allosterico. Quando un effettore si lega al sito allosterico di una proteina inattiva, ne determina il passaggio alla forma attiva, e viceversa. ACIDI NUCLEICI Proteine e acidi nucleici sono strettamente dipendenti l‟una dall‟altra per la propria esistenza. Entrambe sono macromolecole che sono polimeri lineari di unità elementari legate covalentemente tra loro; inoltre, in entrambe le molecole, ha un‟importanza fondamentale l‟ordine con cui queste unità sono collegate. Per la loro importanza basilare come depositari dell‟informazione genetica, gli acidi nucleici si trovano, salvo rare eccezioni, in tutte le cellule e nei virus. Nelle cellule eucariotiche si trovano distribuiti sia nel nucleo sia nei mitocondri e nel citoplasma, liberi o associati a proteine, e questa diversa distribuzione è l‟espressione di specifiche differenze funzionali. Gli acidi nucleici sono macromolecole risultanti dall‟unione covalente di un grande numero di unità elementari, i nucleotidi. Un nucleotide, a sua volta, è formato dall‟unione di unità più semplici: 1. Una molecola di uno zucchero a 5 atomi di C (ribosio o desossiribosio) in base alla quale i nucleotidi sono distinti in due classi: desossiribonucleotidi e ribonucleotidi. 2. Una base azotata legata allo zucchero con un legame glicosidico. Le basi azotate sono definite come anelli eterociclici: sono infatti molecole costituite da anelli aromatici contenenti atomi di carbonio e azoto. Si dividono in basi puriniche e pirimidiniche. Le prime sono costituite da 2 anelli, mentre le pirimidine da un singolo anello. Adenina e guanina sono le purine, mentre timina e citosina sono le pirimidine; nell‟RNA la timina è sostituita dall‟uracile. 3. Almeno un acido fosforico, legato allo zucchero con un legame estere. In assenza di acido fosforico parliamo di nucleosidi. I nucleotidi vengono generalmente indicati con sigle di tre lettere, di cui: 1. La prima indica il tipo di base azotata presente: 2. La seconda indica il numero di molecole di acido fosforico (M = Mono, una sola molecola; D = Di, due molecole; T= Tri, tre molecole). 3. La terza è sempre P, che sta per “fosfato”. In questo modo, il nucleotide adenosintrifosfato viene abbreviato come ATP. Altri nucleotidi svolgono funzioni di regolazione, per esempio l‟AMP ciclico (coinvolto nei meccanismi di trasduzione del segnale), o il GTP. Dal punto di vista energetico tutti i nucleotidi trifosfato sono equivalenti. Nel caso dei desossiribonucleotidi, le stesse abbreviazioni vengono precedute dalla lettera d. Biologia elica del DNA è stabilizzata da legami idrogeno (deboli), è possibile separare (reversibilmente) i due filamenti. Il completo allontanamento dei due filamenti l‟uno dall‟altro è possibile in seguito a un innalzamento della temperatura fino a un valore sufficiente a vincere tutti i legami a idrogeno. Tale processo, noto come denaturazione del DNA, è reversibile: facendo raffreddare una soluzione contenente DNA denaturato, i filamenti possono riassociarsi (rinaturazione del DNA). Acido ribonucleico: l‟RNA E‟ un polimero lineare di ribonucleotidi. Il monomero è costituito da una molecola di ribosio, una base azotata (A, C, G, U) ed una molecola di acido fosforico. Con l‟eccezione dei virus a RNA, l‟acido ribonucleico non ha la funzione di materiale genetico: non esistono cellule i cui cromosomi contengano RNA. Questo però non significa che l‟RNA abbia minore importanza biologica del DNA, dato che il suo significato è quello di anello di collegamento tra l‟informazione chimica contenuta nel DNA sotto forma di sequenze nucleotidiche e l‟espressione di questa sotto forma di specifiche sequenze amminoacidiche delle proteine. La molecola di RNA è generalmente costituita da una singola elica che può assumere una struttura di ordine superiore formando dei tratti a doppio filamento grazie alla formazione di legami idrogeno intraelica fra le basi complementari (A=U, GΞC). Distinguiamo diversi tipi di RNA: x RNA ribosomale (rRNA)–Costituente dei ribosomi.E‟ sintetizzato usando come stampo il DNA presente nel nucleolo; esso costituisce la maggior parte dell‟RNA cellulare (80%) e della massa dei ribosomi. x RNA messaggero (mRNA) – L‟informazione contenuta nel DNA si trova localizzata nel nucleo cellulare mentre la biosintesi delle proteine ha luogo nel citoplasma, quindi è necessario un sistema che trasporti l‟informazione. Questo ruolo è svolto dalle molecole di mRNA la cui funzione consiste nel fornire al sistema di biosintesi delle proteine una copia del messaggio in codice contenuto nel DNA con le istruzioni per il processo. Le molecole di mRNA sono filamenti poliribonucleotidici la cui sequenza è uguale a quella dei vari tratti di DNA che codificano le diverse proteine cellulari, e complementari a quella presente sul filamento di DNA (filamento stampo) su cui vengono sintetizzate e che rappresentano, in un certo senso, il loro negativo. x RNA transfer (tRNA) – Ha la funzione di tradurre il linguaggio dei nucleotidi dell‟mRNA in quello amminoacidico delle proteine.Nella biosintesi delle proteine i tRNA legano in modo specifico i singoli amminoacidi, trasportandoli al complesso ribosoma-mRNA. La forma tridimensionale di una molecola di tRNA ricorda un trifoglio. Una delle anse, presente costantemente all‟estremità inferiore della molecola, è costituita complessivamente da 7 nucleotidi e contiene una sequenza di 3 basi detta anticodone,che riconosce il corrispondente codone a tre basi dell'mRNA,eche gioca un ruolo centrale nel determinare l‟ordine in cui gli amminoacidi vengono legati nella proteina da sintetizzare.Quindi l‟tRNA media il riconoscimento della sequenza del codone nell'mRNA e permette la sua traduzione nell'amminoacido appropriato. Il sito di legame con l‟aminoacido è all‟estremità 3‟ della molecola. x Piccoli RNA nucleari (snRNA) – Coinvolti nel meccanismo di splicing. x Piccoli RNA nucleolari (snoRNA) – Coinvolti nella maturazione dell‟rRNA. Biologia Strategie di compattamento del DNA: virus, piccoli DNA circolari, batteri, eucarioti Il DNA è costituito da molecole filamentose estremamente allungate. Ciascuna molecola ha una lunghezza circa 5000 volte superiore al diametro medio della cellula in cui è contenuta. Il genoma virale può essere formato da DNA a singola elica o a doppia elica, RNA a singola elica o a doppia elica. Molti virus hanno un genoma lineare, altri invece presentano un genoma circolare come il fago. Per quanto riguarda i genomi a doppia elica questi si compattano avvolgendosi in senso centripeto. Nei procarioti l‟informazione è contenuta in una molecola di DNA circolare posta in una zona del citoplasma chiamata nucleoide. Negli eucarioti l‟organizzazione del DNA nei cromosomi è molto più complessa che nel cromosoma delle cellule procariotiche, sia per la lunghezza molto maggiore della doppia elica, sia perché questa è associata con numerosi tipi di proteine in vari livelli di organizzazione il cui ruolo primario è quello di comprimere la doppia elica. Sono diverse le strategie di compattamento del DNA: 1. Un ruolo fondamentale è svolto dagli istoni, proteine associate al DNA ricche di residui di acido fosforico. L‟associazione tra DNA e istoni produce unità ripetitive dette nucleosomi, che possono essere considerate il primo livello di superavvolgimento del DNA nei cromosomi. Un nucleosoma è una particella costituita da un rocchetto centrale formato da quattro coppie di diversi tipi di istoni (H2A, H2B, H3 e H4) intorno a cui si avvolge il filamento a doppia elica. Un quinto tipo di istone (H1) ha la funzione di stabilizzare il nucleosoma ancorando il DNA al rocchetto. I nucleosomi sono tenuti tra loro dai DNA linker. La compressione della doppia elica nei nucleosomi ne accorcia la lunghezza di circa 10 volte. 2. Il livello di avvolgimento immediatamente superiore al nucleosoma è il solenoide. Grazie a legami di tipo testa-coda, gli istoni H1 di diversi nucleosomi si compattano ulteriormente. Il solenoide, a sua volta, può formare anse e superanse. 3. Le anse e le superanse vanno a compattarsi e ripiegarsi ulteriormente fino a costituire il cromosoma. Si definisce cromosomauna struttura molto compatta e colorabile visibile al microscopio durante la divisione cellulare, in particolare in metafase. In questa fase il cromosoma è costituito da due cromatidi fratelli, identici fra loro perché l‟uno è la copia dell‟altro, uniti al livello del centromero. Le proteine che hanno il compito di tenere uniti i cromatidi fratelli sono le coesine Negli eucarioti, oltre al DNA nucleare, c‟è DNA nei mitocondri e, nelle cellule vegetali, anche nei cloroplasti. Le dimensioni del genoma (per genoma si intende il contenuto di una cellula aploide) sono estremamente variabili, e possono arrivare fino a miliardi di coppie di basi. Molte sequenze sono altamente ripetute e quindi si può dire che è il numero di geni funzionali piuttosto che la dimensioni totale del genoma, a definirne la complessità. Biologia REPLICAZIONE DEL DNA Watson e Crick descrissero per primi la struttura a doppia elica del DNA e capirono chiaramente quale fosse la sua funzione. Il modello teorizzato suggeriva anche le modalità con cui le informazioni del DNA possono essere fedelmente copiate, un processo noto come replicazione del DNA. Il modello suggerisce che, poiché le coppie di nucleotidi si appaiano in modo complementare, ciascun filamento di DNA possa servire da stampo per la sintesi del filamento opposto; in questo modo si avranno due molecole a doppia elica, ciascuna identica alla molecola originaria, costituite da un filamento parentale e da uno complementare di nuova sintesi. Questo sistema è chiamato meccanismo di replicazione semiconservativa. Era necessario escludere le altre possibilità. Per esempio, con un meccanismo di replicazione conservativa, entrambi i filamenti parentali potrebbero rimanere insieme e le due catene neosintetizzate potrebbero formare una seconda molecola a doppia elica completamente nuova. Con una replicazione dispersiva, la nuova molecola di DNA dovrebbe contenere dei tratti di molecola parentale alternati casualmente a tratti neosintetizzati. Meselson eStahl fecero crescere delle cellule del batterio Escherichia coli in un terreno di coltura contentente 15N. Le cellule utilizzavano 15N per sintetizzare le basi azotate, che poi venivano incorporate nel DNA. Alcune cellule batteriche vennero poi trasferiite in un terreno di coltura che stavolta conteneva 14N, e lasciate replicare per alcuni cicli. Le molecole di DNA isolate dalle cellule dopo una sola generazione mostravano tutte una densità intermedia, cioè contenevano metà degli atomi di azoto pesante e l‟altra metà di azoto leggero. Questo risultato era confutò il modello conservativo, secondo il quale dovevano essere ritrovate due classi di molecole a doppio filamento, quelle con due filamenti pesanti e quelle con due filamenti leggeri. Dopo un altro ciclo di replicazione in terreno di coltura con 14N si registrava la presenza di due diverse classi di DNA: una costituita da molecole ibride, e l‟altra costituita interamente dall‟isotopo leggero. Questo risultato confermò il modello di replicazione semiconservativo escludendo il modello dispersivo. La scoperta che il DNA poteva essere replicato con un meccanismo semiconservativo suggerì come la molecola avesse la capacità di mutare. Le mutazioni consistono in sostituzioni di nucleotidi (ad esempio G al posto di A); ciò può avvenire in diversi modi, tra cui un errore di replicazione. In questo modo la nuova sequenza viene tramandata alle molecole figlie. Esistono sistemi enzimtici in grado di riparare gli errori, ma non tutte le mutazioni sono corrette opportunamente. Il macchinario proteico di replicazione del DNA La replicazione del DNA inizia a livello di siti specifici sulla molecola di DNA, detti origini di replicazione. Le DNA elicasi sono enzimi che destabilizzano l‟elica che si legano al DNA in corrispondenza dell‟origine di replicazione e rompono i legami a idrogeno, separando in tal modo i due filamenti; le elicasi utilizzano una molecola di ATP per ogni giro di elica svolto (10 coppie di nucleotidi). Biologia dei ribosomi e presenta funzioni catalitiche essenziali nel corso della sintesi proteica. Nella trascrizione eucariotica, la maggior parte degli RNA è sintetizzata da una delle tre RNA polimerasi, enzimi presenti in tutte le cellule. Le tre RNA polimerasi differiscono per i tipi di RNA che sintetizzano: x La RNA polimerasi I catalizza la sintesi di vari tipi di molecole di rRNA. x La RNA polimerasi II catalizza la produzione degli mRNA che codificano le proteine. x La RNA polimerasi III catalizza la sintesi dei tRNA e di una delle molecole di rRNA. Le RNA polimerasi richiedono il DNA come stampo e presentano molte somiglianze con le DNA polimerasi; come quest‟ultime effettuano la sintesi in direzione 5‟Æ3‟. La sintesi dell‟RNA messaggero include inizio, allungamento e terminazione. Il primo nucleotide all‟estremità 5‟ della molecola di mRNA in corso di sintesi trattiene il gruppo trifosfato, mentre nella fase di allungamento due fosfati vengono rimossi con una reazione esoergonica. L‟ultimo nucleotide incorporato mostra un ossidrile 3‟ libero. L‟allungamento dell‟RNA prosegue fino a che l‟RNA polimerasi riconosce un segnale di terminazione, che consiste in una serie di specifiche sequenze di basi sul DNA stampo. L‟mRNA contiene sequenze nucleotidiche diverse da quelle che codificano gli aminoacidi. Sia nei procarioti che negli eucarioti, l‟RNA polimerasi inizia la trascrizione di un gene a monte della sequenza codificante. Infatti, l‟mRNA possiede, alla sua estremità 5‟, una sequenza leader non codificante. Tale sequenza consente al ribosoma di posizionarsi correttamente per iniziare la traduzione del messaggio. La sequenza leader è seguita dal codone di inizio (AUG), che indica l‟inizio della sequenza codificante che contiene le informazioni del polipeptide. Alla fine di ciascuna sequenza codificante, vi è uno speciale codone di stop(UAA, UGA, UAG). Maturazione mRNA e splicing Gli mRNA batterici sono utilizzati immediatamente dopo la trascrizione senza ulteriori modificazioni. Negli eucarioti, invece, il trascritto originale, detto mRNA precursore o pre-mRNA, deve essere modifcato mentre è ancora nel nucleo. Questa attività di maturazione e modificazione post- trascrizionale è necessaria per produrre un mRNA maturo idoneo ad essere trasportato nel citoplasma e tradotto. I geni eucariotici hanno sequenze codificanti interrotte. In altre parole, troviamo lunghe sequenze di basi all‟interno delle regioni codificanti del gene, che non codificano per aminoacidi della proteina finale. Tali regioni codificanti all‟interno del gene sono chiamate introni, per contrapporle agli esoni che sono parti della sequenza codificante la proteina. Poiché il pre-mRNA diventi un mRNA maturo e funzionale, è necessario non solo che venga munito del cappuccio e della codadipoli-A, ma anche che siano rimossi gli introni e che siano uniti insieme gli esoni (splicing) per formare un messaggio continuo codificante la proteina. Lo splicing può avvenire con modalità diverse, a seconda del tipo di RNA. In molti casi, esso prevede l‟associazione di piccoli complessi di ribonucleoproteine nucleari (snRNP) a formare una grossa particella ribonucleoproteica detta spliceosoma. Piccoli RNA nucleari (snRNA) si legano a proteine specifiche per formare un complesso di piccole ribonucleoproteine nucleari (snRNP), che a sua volta si combin con altre snRNP per formare lo spliceosoma. Lo spliceosoma, le cui dimensioni sono simili a quelle dei ribosomi, catalizza le reazioni che portano alla rimozione degli introni dal pre-mRNA. In altri casi, l‟RNA all‟interno dell‟introne si comporta come un ribozima (RNA catalitico), tagliando se stesso senza l‟intervento di terzi. In seguito alla maturazione del pre-mRNA, l‟mRNA maturo è trasportato attraverso un poro nucleare nel citosol per essere tradotto dai ribosomi. Latraduzione Con la traduzione,l‟informazione trascritta nell‟mRNA nel linguaggio nucleotidico viene tradotta nel linguaggio aminoacidico delle proteine. Una sequenza di tre basi consecutive nell‟mRNA, chiamata codone, specifica per un aminoacido. Visto che ciascun codone richiede tre nucleotidi, si parla di codice a triplette. Come è possibile allineare gli aminoacidi nella corretta sequenza?Francis Crick si accorse del problema e suggerì l‟esistenza di una molecole che fungesse da adattatore nella sintesi proteica e quindi da ponte tra l‟mRNA e la proteina. Gli adattatori di Crick risultarono essere le molecole di Biologia tRNA.Ciascun tipo di tRNA si lega ad uno specifico aminoacido. Particolari enzimi, chiamati aminoacil- tRNA sintetasi, legano, con un legame covalente, gli aminoacidi alle rispettive molecole di tRNA utilizzando ATP. I complessi che ne risultano, chiamati aminoacil-tRNA, sono in grado di legarsi alle sequenze codificanti dell‟RNA messaggero così da allineare gli aminoacidi nel giusto ordine e formare la catena polipeptidica. Gli tRNA sono componenti fondamentali del macchinario decodificante; ciascun tRNA, infatti, può (1) legarsi con un aminoacido specifico e (2) riconoscere sull‟mRNA il codone corrispondente a quel determinato aminoacido. Il riconoscimento del codone è possibile perché ciascun tRNA ha una sequenza di tre basi, chiamata anticodone, che si associa mediante legami a idrogeno al codone corrispondente sull‟mRNA. La traduzione richiede che: (1) gli anticodoni del tRNA siano legati mediante legami a idrogeno al codone complementare presente sull‟mRNA e (2) gli aminoacidi portati dai tRNA siano uniti insieme nell‟ordine specificato dall‟mRNA. A ciò provvedono i ribosomi, contenenti varie proteine ed rRNA. I ribosomi si attaccano all‟estremità 5‟ dell‟mRNA e, scorrendo lungo il messaggero, permettono ai tRNA di legarsi in sequenza ai codoni dell‟mRNA. In tal modo, gli aminoacidi vengono posizionati correttamente e legati tra loro nella giusta sequenza, tramite legami peptidici. Diversamente da mRNA e tRNA, l‟rRNA non trasferisce informazioni specifiche, ma ha funzioni catalitiche. Al contrario, le proteine ribosomali non sembrano mostrare attività catalitica, ma contribuiscono alla strutturazione complessiva del ribosoma. Il ribosoma presenta quattro siti di legame, uno per l‟mRNA e tre per il tRNA. Il processo di sintesi proteica presenta tre fasi distinte: inizio, allungamento e terminazione L‟inizio della traduzione richiede l‟intervento di proteine chiamate fattori di inizio. Il tRNA che porta il primo aminoacido del polipeptide è il tRNA iniziatore, che lega l‟aminoacido metionina; di conseguenza, il primo aminoacido di una nuova catena polipeptidica è sempre la metionina. L‟allungamento consiste nella fase di traduzione in cui gli aminoacidi sono aggiunti al polipeptide in crescita. L‟aminoacil-tRNA specifico riconosce il codone nel sito A e vi si lega tramite uno specifico appaiamento di basi tra il suo anticodone e il codone complementare sull‟mRNA. La fase di legame richiede diverse proteine chiamate fattori di allungamento. Nella fase di allungamento, nota anche come traslocazione, il ribosoma scorre sull‟mRNA avanzando di un singolo codone sempre in direzione 5‟->3‟. Nella terminazione, la sintesi della catena polipeptidica è terminata da un fattore di rilascio, una proteina che riconosce il codone di stop alla fine della sequenza codificante. Proteine specializzate associate ai ribosomi, dette chaperoni molecolari, assistono le catene polipeptidiche appena sintetizzate nel processo di ripiegamento nella loro conformazione tridimensionale attiva (comunque dettata dalla sequenza aminoacidica). Biologia LE MUTAZIONI Le mutazioni sono causate da cambiamenti nella sequenza nucleotidica del DNA. Una volta che la sequenza del DNA è mutata e non corretta, con il processo della replicazione le sequenze alterate vengono copiate come quelle normali, consentendo alla mutazione di fissarsi nelle generazioni successive. Sebbene quasi tutte le mutazioni non corrette siano silenti o dannose, alcune risultano utili, in quanto fondamentali ai fini dell‟evoluzione e fattori di variabilità. La mutazione più semplice è la mutazione per sostituzione di base, perché comporta la modificazione di una singola coppia di nucleotidi. Una simile mutazione può portare ad un mRNA modificato, e quindi ad un aminoacido diverso rispetto alla sequenza normale. Le mutazioni silenti sono sostituzioni nucleotidiche che non portano ad una conseguenza funzionale. Le mutazioni che provocano la sostituzione di un aminoacido con un altro sono definite mutazioni di senso; queste, a seconda della posizione della mutazione, possono alterare l‟attività della proteina, o essere irrilevanti. Le mutazioni non senso sono mutazioni che possono modificare un codone che normalmente codifica un aminoacido trasformandolo in un codone di terminazione. Una mutazione non senso provoca l‟alterazione della funzione del prodotto di quel gene; nel caso di un gene che codifichi una proteina, la porzione del polipeptide a valle (verso avanti) del codone di terminazione viene persa. Nelle mutazioni frameshift, anche dette mutazioni per slittamento, una o due coppie di nucleotidi sono inseriti o eliminati causando un‟alterazione della griglia di lettura. Come risultato di questo scivolamento, i codoni a valle dell‟inserzione o della delezione specificheranno una sequenza di aminoacidi completamente nuova. Lo spostamento della griglia di lettura in un gene che specifica un enzima ha quasi sempre come conseguenza la perdita dell‟attività biologica dell‟enzima stesso. Alcuni tipi di mutazioni sono causate da sequenze di DNA che saltano all‟interno di un gene. Questi elementi mobili di DNA non solo alterano la funzione di alcuni geni, ma in alcune condizioni sono anche in grado di attivare geni altrimenti inattivi. I trasposoni spostano materiale genetico da un sito ad un altro con un meccanismo taglia e incolla. Biologia I VIRUS: CARATTERISTICHE GENERALI. I virus rappresentano una delle forme di aggregazione molecolari più semplici presenti in natura e la loro dimensione può variare da un minimo di 10 nm ad un massimo di 250-300 nm. Essi sono strutture biologiche incapaci di replicazione autonoma, per la quale necessitano della presenza di una cellula ospite. Per questo motivo possono essere definiti come parassiti endocellulari obbligati. In generale la loro struttura virale è formata da un solo acido nucleico, che può essere RNA o DNA, a singolo o a doppio filamento, che rappresenta il materiale genetico virale e da un involucro proteico che è costituito da un solo a da pochi tipi di proteine in copie multiple, che costituisce il capside, tipico dei cosiddetti naked virus, o virus nudi. L‟insieme di materiale genetico e capside forma un nucleocapside o virione o particella virale. Molti virus però presentano anche un involucro esterno che è definito pericapside e che solitamente è costituito da un doppio strato fosfolipidico di origine della cellula ospitante e da molecole glicoproteiche codificate dal genoma virale che prendono il nome di docking proteins e che sono necessarie per l‟interazione del virus con la cellula da infettare, in quanto, durante il legame ad i recettori di membrana delle cellule, le proteine del virus mimano i ligandi fisiologici dei recettori stessi. Spesso i singoli monomeri delle glicoproteine virali si associano a formare delle spikes o spine che hanno il compito di rendere più stabile l‟attaccamento del virus alla cellula ospite e rappresentano i principali antigeni dei virus dotati di secondo rivestimento. Tutti i virus batterici, o batteriofagi o semplicemente fagi hanno una struttura che è caratterizzata da una testa, di forma icosaedrica o filamentosa con dimensione variabile, che racchiude l‟acido nucleico. La maggior parte dei fagi presenta inoltre una coda, di varie dimensioni, costituita da un cilindro proteico cavo, attraverso il quale viene trasferito l‟acido nucleico alla cellula ospite. Alcuni fagi più evoluti, come ad esempio il fago T4, presentano la coda circondata da una guaina contrattile che prende il nome di guaina contrattile, che è separata dalla testa tramite un collo e che presenta all‟estremità una piastra basale, cui sono collegate le proteine spikes e delle fibre con collegate proteine per l‟attacco ai recettori batterici. Tutti i virus possiedono sulla loro superficie proteine dette proteine di attacco, che sono capaci di legare in maniera specifica siti recettoriali appropriati presenti sulla superficie di una cellula ospite.Tale interazione determina la specificità del virus, e la gamma di ospiti di un virus è pertanto correlata dalla distribuzione di recettori cellulari. I virus, una volta entrati all‟interno della cellula, perdono la propria integrità strutturale in quanto perdono il capside e l‟eventuale involucro lipoproteico. All‟interno della cellula vanno a finire l‟acido nucleico virale insieme a proteine capaci di regolare anche l‟attività biosintetica della cellula, con obbiettivo quello di replicare il materiale genetico virale. Alcuni virus sono addirittura capaci di integrare il proprio acido nucleico a quello cellulare ed in questo caso il genoma virale, che prende il nome di provirus, si replica ogni qualvolta si replica la cellula ospite. La classificazione dei virus. Sulla classificazione dei virus, si sono succedute opinioni basate sulle cellule ospiti in cui essi Biologia stessi si riproducono, o sull‟affinità dei virus per un tessuto specifico ecc. Da ciò si è passato a classificazioni che utilizzano come metodo di misura proprietà intrinseche dei virus come il tipo di acido nucleico, la simmetria del capside, la presenza o meno dell‟envelope, le dimensioni e il tipo di ospite. La classificazione più utile probabilmente rimane quella di David Baltimore, pubblicata nel 2005, che considera i virus in base all‟acido nucleico contenuto: a. Gruppo I: dsDNA viruses; 
 b. Gruppo II: ssDNA viruses; 
 c. Gruppo III: dsRNA viruses; 
 d. Gruppo IV: positive-sense ssRNA viruses; 
 e. Gruppo V: negative-sense ssRNA viruses; 
 f. Gruppo VI: RNA reverse transcribing viruses; 
 g. Gruppo VII: DNA reverse transcribing viruses. 
 Ciclo replicativo dei virus. I virus non riescono a sopravvivere per molto tempo al di fuori di una cellula, ed il ciclo replicativo di ognuno di essi è caratterizzato da una serie di eventi, sia nel caso dei batteriofagi che nei virus eucariotici, che sono: 1. Attacco; 
 2. Penetrazione; 
 3. Liberazione dell‟acido nucleico; 
 4. Replicazione e biosintesi; 
 5. Assemblaggio; 
 6. Rilascio. 
 VIRUS EUCARIOTICI. 1) Attacco. Il virus si attacca alla cellula ospite per mezzo di un legame specifico tra le proteine di attacco presenti sulla superficie del suo capside. Tale interazione richiede l‟attività di ioni in grado di ridurre le repulsioni elettrostatiche. 2) Penetrazione. I virus eucariotici possono attraversare le membrane cellulari o per fusione o per endocitosi mediata da recettore. Nel primo caso si ha un processo pH- indipendente, il cui l‟involucro esterno virale si fonde semplicemente con la membrana cellulare. Nel seconod caso si ha un processo pH-dipendente, in cui il virus viene inglobato in una vescicola rivestita Biologia da clatrina che, una volta all‟interno della cellula, perde il rivestimento di clatrina e si fonde con un endosoma. Il pH acido all‟interno di esso induce un cambiamento conformazionale nelle proteine dell‟envelope ed il conseguente rilascio del nucleocapside nel citoplasma. L‟endocitosi mediata da recettore è obbligatoria per i virus nudi ed invece i virus con envelope possono usufruire di essa o del processo di fusione. 3) Liberazione dell‟acido nucleico o uncoating. Le proteine capsidiche o nucleocapsidiche virali vengono degradate ed il genoma virale viene liberato nel citoplasma. 4) Replicazione e biosintesi. Il virus, qualunque sia l‟acido nucleico che contiene, deve inibire i normali processi vitali cellulari, e lo fa grazie ad una molecola di mRNA virale che viene tradotto in proteine strutturali virali e in enzimi deputati, solitamente, alla degradazione dell‟acido nucleico cellulare. I genomi virali devono però anche costituire lo stampo che può essere replicato per produrre una progenie di genomi identici che poi singolarmente vengono impacchettai nei virioni di nuova produzione. 5) Assemblaggio. Una volta che le molecole di acido nucleico e le proteine strutturali virali si accumulano nella cellula, comincia un processo di autoassemblaggio mediata da proteine chiamate chaperonine, che giocano un ruolo fondamentale nel determinare il ripiegamento delle molecole proteiche in maniera corretta. 6) Rilascio. I virioni di nuova produzione vengono liberati o successivamente a lisi della cellula, ed in questo caso saranno liberati come naked virus, o provvisti di envelope, e quindi per gemmazione che avviene in due fasi distinte. Una in cui le glicoproteine virali vengono inserite nella membrana, che interagendo con il capside, determinano l‟avvolgimento della membrana attorno ad esso ed il successivo rilascio. Gli esiti di una infezione virale possono portare a: • Infezione produttiva. In questo caso le cellule sono permissive, e quindi consentono la replicazione virale e solo successivamente vanno incontro a morte in maniera diretta per virus nudi, o indiretta per apoptosi o necrosi. • Infezione abortiva. In questo caso le cellule non sono permissive, e si ha una conseguente mancanza nella produzione di particelle virali. • Infezione restrittiva. Le cellule risultano transitoriamente permissive, anche se vengono prodotti pochi virus. Il genoma del virus risulta essere persistente anche quando la produzione si blocca, ed è questo il caso di Epstein-Barr o da Herpes simplex. Questo tipo di infezioni si possono attivare e diventare produttive a seguito di particolari stimoli quali lo stress. In una piccola percentuale di cellule animali non permissive, l‟infezione con certi virus può portare ad una trasformazione cellulare definita immortalizzazione, che innesca un processo di crescita cellulare incontrollata. Ciò può causare la crescita di formazioni neoplastiche, ed i virus che causano ciò sono definiti oncogeni o tumorali. Essi possono provocare il cancro per i loro effetti su geni soppressori tumorali che entrano in gioco in maniera critica nella regolazione del ciclo cellulare. Questi virus possono essere dividi a seconda dell‟acido nucleico che posseggono: 1. Virus a DNA. I più studiati sono l‟SV40 e il Polioma. L‟HPV, virus del Papilloma, inoltre nell‟uomo può portare a tumori benigni come verruche o maligni al pene o alla vulva e Biologia Gli organismi rappresentano le entita ̀ obbiettivo della biologia, e per essere definibili come tali devono essere viventi, cioe ̀ devono possedere le caratteristiche proprie della vita: 1. Capacita ̀ di riprodursi; 2. Capacita ̀ di reazione; 3. Capacita ̀ di metabolizzare; 4. Capacita ̀ di crescita; 5. Capacita ̀ di cambiare e perpetuare le variazioni; 6. Morte. Gli organismi sono quindi unici perchè posseggono un “programma”, cioe ̀ il materiale genetico, che, se espresso, dà vita al “progetto”. Nelle popolazioni la diversa espressione genica dovuta alle variazioni, alle combinazioni ed al riassortimento genico, produce grande varieta ̀ che fa si che vi sia il presupposto per il mantenimento della specie. La teoria cellulare, costituisce uno dei passaggi chiave della biologia nonche ̀ suo principio generalizzabile ed unificante. Il termine cellula fu proposto da R.Hooke nel XVII secolo che, osservando una sottile fettina di sughero, si accorse di una struttura simile ad un alveare, fatta appunto di “piccole celle”. Successivamente M.Schleiden e T.Schwann, affermarono che sia i vegetali che gli animali sono fatti di piccole unità, che furono battezzate come cellule. Infine R.Virchow affermò che le cellule non sono frutto di generazione spontanea ma ognuna di esse, deriva da una cellula madre. Tutti gli organismi dunque sono costituiti da questa unita ̀ fondamentale. Alcuni ne posseggono soltanto una (organismi unicellulari), altri ne sono costituiti interamente per un numero particolarmente elevato (organismi pluricellulari). Ognuna di esse possiede le proprietà degli esseri viventi e, pur nella diversità, presentano caratteristiche comuni, mentre differiscono in dimensioni, forma, sostanze chimiche utilizzate e funzioni. Tutte le cellule hanno però una membrana plasmatica, o plasmalemma, costituita da un doppio strato di fosfolipidi, con proteine intersparse. Essa permette e regola lo scambio di molecole con l‟esterno ed è la principale responsabile della comunicazione tra cellule.Tutte posseggono il citoplasma, che rappresenta il corpo di una cellula, all‟interno del quale sono immersi nucleo o nucleoide ed eventuali organuli. Ogni cellula infine contiene delle macromolecole che costituisce il materiale ereditario, con la caratteristica di essere un‟unica lunga molecola nei procarioti, non racchiusa dal alcuna membrana e che prende il nome di nucleoide, e di essere invece un insieme di molecole negli eucarioti, racchiuse in una zona chiamata nucleo da una membrana che prende il nome di carioteca, I PROCARIOTI. I procarioti sono i piu ̀ semplici organismi. Sono tutti unicellulari, ma a volte li si può trovare organizzati in piccole colonie. Ne fanno parte i batteri propriamente detti , le alghe blu-verdi e altre forme tutte distinte per avere ampia capacita ̀ di adattamento. Queste cellule sono di dimensioni ridotte (0,25-1,5 x 1,2-4 micron), e presentano un citoplasma circondato da membrana plasmatica, solitamente racchiuso da parete cellulare rigida. L‟intero citoplasma rappresenta l‟unità dove si svolgono tutte le funzioni vitali, ed in genere non vi sono presenti organuli, mentre si nota una zona, chiamata nucleoide, dove si colloca il DNA sotto forma di un singolo cromosoma circolare. La consistenza della cellula deriva esclusivamente dalla parete cellulare, che e ̀ composta da peptidoglicano, una molecola complessa che consiste in una matrice di zuccheri insoliti e legati trasversalmente da corte Biologia unita ̀ polipeptidiche. Grazie alle diverse caratteristiche delle pareti, tutti i batteri possono essere classificati in Gram positivi e Gram negativi, a seconda che questi assumano colorazione grazie alla tecnica appunto Gram. I primi avranno una parete spessa ma costituita da un unico strato, e potranno quindi essere attaccati anche da penicillina ad esempio che renderà piu ̀ fragili le pareti, i secondi invece non prendono colorazione in quanto la parete non assorbe perche ̀ paragonabile ad un sandwich. Le molecole di peptidoglicano sono infatti interposte tra i due strati di fosfolipidi di membrana. Alcuni batteri inoltre presentano uno strato gelatinoso composto da polisaccaridi che e ̀ la capsula. La membrana plasmatica, in queste cellule, svolge un ruolo primario anche durante la duplicazione quando, grazie a delle particolari invaginazioni chiamate mesosomi, riesce a trattenere su due poli opposti le due molecole cloni di DNA per riservarne una per ogni cellula figlia. I batteri inoltre hanno possibilita ̀ di motilita ̀ grazie alla presenza del flagello, che è una struttura che pua ̀ raggiungere i 12 micron di lunghezza e che si comporta come un‟elica durante il movimento. Esso e ̀ formato da un uncino, un filamento e un corpo basale costituito di anelli proteici che fungono da motore sfruttando l‟energia accumulata in un gradiente di protoni attraverso la membrana plasmatica. Infine altre strutture filamentose sono i pili che svolgono un ruolo fondamentale per il passaggio di informazioni tra una cellula ed un‟altra. I procarioti possono essere classificati in due gruppi principali o sottoregni: I bacteria e gli archaea. Questi ultimi sono organismi piuttosto insoliti perche ̀ ve ne sono alcuni che riescono a vivere in condizioni davvero estreme, simili probabilmente a quelle presenti alla nascita della Terra. Un esempio sono i metanogeni, i piu ̀ antichi batteri conosciuti, in grado di sintetizzare metano in assenza di ossigeno (anaerobi). Gruppo principale è invece quello degli eubatteri cui appartengono anche batteri capaci di svolgere la fotosintesi, come i cianobatteri o le alghe cianoficee. Nonostante la loro semplicita ̀, i procarioti sono fondamentali per la vita degli altri organismi, perche ̀ capaci di sintetizzare sostanze organiche, fondamentali per il resto degli organismi, da inorganiche. GLI EUCARIOTI. Le cellule eucariotiche sono più strutturate e complesse delle cellule procariotiche. La caratteristica principale di questi tipi di cellule e ̀ appunto la compartimentalizzazione interna, cioe ̀ la presenza di più comparti ,dove i processi biochimici possono avvenire simultaneamente, che sono riconoscibili sulla base morfologica e biochimica e prendono il nome di organuli citoplasmatici. La compartimentalizzazione fa si che alcuni processi degradativi non rischino di compromettere l‟intera cellula, in quanto avvengono in organuli specializzati, ma perche ̀ la compartimentalizzazione possa essere efficace, deve esistere una connessione tra i vari organuli, perchè questi possano lavorare insieme per il bene della cellula. La membrana cellulare non è rivestita da alcuna parete, tranne nel caso di vegetali, alcuni protozoi e funghi dove la parete e ̀ composta da fibre di cellulosa e chitina immerse in una matrice di polisaccaridi e proteine. La consistenza cellulare dunque è data dalla presenza di un citoscheletro di natura proteica. Biologia Le membrane biologiche. Sono strutture complesse e dinamiche in grado di regolare molteplici attivita ̀ cellulari. La membrana plasmatica è costituita da un doppio strato fosfolipidico, spesso dai 5 agli 8 nanometri, contenente grandi quantita ̀ di proteine, una piccola percentuale di glucidi e numerose molecole di colesterolo. Essa svolge svariate funzioni essenziali per il mantenimento dell‟omeostasi cellulare, come il trasporto di sostanze o il trasferimento di informazioni. La struttura e le funzioni della membrana plasmatica sono comuni agli altri sistemi di membrane intracellulari, che presentano fini differenze strutturali soprattutto in riferimento alla componente proteica. Nel 1972 S.J.Singer e G.L.Nicolson proposero un modello di struttura che ancora oggi e ̀ accettato, in quanto riassume tutte le proprieta ̀ delle membrane biologiche, che e ̀ il modello a mosaico fluido. Già nei primi anni ‟60 grazie alla tecnica della freeze-fracture si erano avute le prime informazioni sull‟effettiva disposizione delle proteine nella membrana che, secondo questo modello, si trovano profondamente immerse nella membrana. Se una miscela di fosfolipidi viene posta in ambiente acquoso, questa tende a disporsi spontaneamente nella struttura di doppio strato, infatti caratteristica di queste molecole e ̀ di essere anfipatiche in quanto possiedono una testa idrofila ed una coda idrofoba che tende ad associarsi con altre code in disposizione coda contro coda a formare una regione interna che escluda l‟acqua. La componente lipidica di membrana è molto eterogenea e varia a seconda del tipo cellulare. Le membrane biologiche di cellule animali e vegetali contengono tre tipi di fosfolipidi: 1. Fosfogliceridi; sono i fosfolipidi di membrana più abbondanti e sono costituiti da glicerolo legato a due catene di acido grasso e ad un gruppo fosfato legato a sua volta ad un composto polare che puo ̀ essere un composto alcolico o un amminoacido. I più comuni sono i fosfatidilcolina (contenente l‟alcol colina), i fosfatidilserina (contenente l‟amminoacido serina), i fosfatidiletanolammina (contentente l‟acol etanolammina) e i fosfatidilinositolo ( contenenti l‟alcol inotisolo ). Ciascun tipo di fosfogliceride di membrana puo ̀ legare in corrispondenza dei carboni 1 e 2 del glicerolo, differenti molecole di acidi grassi. Essi svolgono importanti ruoli funzionali. 2. Sfingolipidi; contengono ,anziche ́ glicerolo, la sfingosina, un amminoalcol che contiene un gruppo amminico ed un ossidrilico. Il gruppo amminico della sfingosina si lega con un legame ammidico al gruppo carbossilico di un acido grasso formando un composto definito ceramide. Il gruppo ossidrilico invece può essere legato ad un ortofosfato esterificato con un alcol che solitamente è la colina dando un composto chiamato sfingomielina. Ceramidi e sfingomielina sono gli unici sfingolipidi di membrana che non contengono carboidrati, infatti solitamente si trovano i glicosfingolipidi che sono costituiti dall‟unione di uno o piu ̀ residui glucidici con una molecole di sfingolipide. Tra questi distinguiamo i cerebrosidi e i gangliosidi, cosi ̀ chiamati perche ̀ in prevalenza nelle zone nervose. 3. Steroidi; il principale componente di natura steroidea della membrana delle cellule animali e ̀ il colesterolo, che presenta un‟estesa regione apolare costituita da 4 anelli idrocarburici più una catena laterale, ed una piccola porzione polare rappresentata da un gruppo ossidrile. Biologia Il nucleo. Per la prima volta fu descritto da Robert Brown nel 1831, e rappresenta l‟organuo piu ̀ ampio e facilmente evidenziabile all‟interno della cellula eucariotica, oltre che la più grande differenza tra cellula eucariotica e cellula procariotica. In casi particolari se ne può osservare piu ̀ di uno. Esso è sede dell‟informazione genetica, e vi risiede il DNA che al suo interno viene anche replicato e trascritto. Per questo motivo puo ̀ essere considerato il coordinatore delle attivita ̀ che si svolgono all‟interno della cellula vivente. All‟interno molecole lunghissime di DNA si associano a proteine nella cromatina che, durante la divisione cellulare, assume una forma compatta e visibile al microscopio, in unita ̀ distinte, i cromosomi. Il nucleo appare limitato da una doppia membrana che prende il nome di involucro nucleare o carioteca, mentre lo spazio tra le due membrane che raggiunge i 30 micron circa, prende il nome di spazio perinucleare. Spesso si possono presentare adesi ad essa dei ribosomi. Le due membrane possono a volte presentare continuita ̀ in alcuni punti denominati pori nucleari, che sono delle fusioni di membrana adibiti non solo ad essere dei semplici canali, in quanto in ciascuno di essi è presente una struttura proteica altamente organizzata, denominata complesso del poro nucleare, mentre per indicare il poro nella sua morfologia si utilizza il termine porosoma. Il complesso del poro mostra un‟organizzazione ottagonale di otto proteine appunto poste in maniera simmetrica attorno al poro stesso. Inoltre sono presenti otto raggi che si dirigono verso il centro del poro e che creano una struttura definita trasportatore, la quale sarebbe responsabile del movimento attraverso il poro delle macromolecole. Inoltre otto fibre si estendono dagli anelli sia verso il citosol, sia verso il nucleoplasma formando una sorta di cesto. La classe più importante di proteine del poro sono rappresentate dalle nucleoporine. Il trasporto delle molecole dal nucleo al citoplasma e dal citoplasma al nucleo avviene attraverso i pori nucleari. L‟attraversamento dei porti da parte dei vari materiali avviene meccanicamente e tuttavia dipende dalle loro dimensioni. Il nucleo e il complesso del poro nucleare mantengono la loro forma, ed una tale conservazione morfologica e strutturale e ̀ dovuta alla presenza di una sottile e densa rete di proteine, altamente insolubili, adesa al versante nucleoplasmatico della membrana interna dell‟involucro nucleare che viene denominata lamina nucleare, generalmente composta da 3 tipi di polipeptidi definiti lamina A, B e C. Le lamina A e C sono omologhe ai filamenti intermedi del citoscheletro e dal punto di vista evolutivo probabilmente sono di origine comune. Hanno un dominio centrale a bastoncino strutturato ad alfa-elica, fiancheggiato da due domini globulari. La lamina beta invece differisce molto ed è strettamente collegata alla parte interna della carioteca. Essa funge anche da sito di attacco per i telomeri durante la meiosi. All‟interno della carioteca, troviamo un‟estesa matrice fibrogranulare insolubile che sembra costituire un nucleoscheletro capace di impedire il collasso del nucleo anche se questo venisse privato della cromatina all‟interno. Questa rete e ̀ definita matrice nucleare e costituisce un‟impalcatura che funge da sistema di ancoraggio per alcuni complessi molecolari coinvolti nella duplicazione e nella trascrizione. Biologia Negli eucarioti il DNA genomico è contenuto nel nucleo ed è rappresentato da piu ̀ molecole di forma bastoncellare, visibili anche al microscopio ottico durante la fase di divisione delle cellule. Durante il resto del tempo essi si presentano in forma normalmente rilassata e distesa che forma la cromatina con aggiunta di proteine e RNA. La cromatina e ̀ visibile come masse mediamente dense che sono distribuite irregolarmente e collegate da ramificazioni. Tale materiale è comunemente distinto in stadi di organizzazione lassa, eucromatina, e stati di organizzazione estremamente compatta, eterocromatina. Il nucleolo è una regione di pochi micron di diametro e rappresenta la componente strutturale meglio caratterizzata all‟interno del nucleo eucariotico. E‟ una struttura specializzata comprendente un gruppo di geni che portano l‟informazione per gli RNAribosomiali. I nucleoli appaiono non circondati da membrana ma comunque presentano due regioni morfologicamente distinte, una fibrillare l‟altra granulare. Sono visibili dei centri fibrillari costituiti da una regione specifica di DNA contenente geni per rRNA in forma di cromatina parzialmente compattata cui si associano l‟enzima RNA polimerasi I, responsabile della trascrizione dell‟rRNA. Questi centri sono circondati da componente fibrillare densa , ovvero geni ribosomiali trascrizionalmente attivi. La regione fibrillare è spesso circondata e correlata dalla componente granulare costituita da particelle ribosomiali a vari stadi di assemblaggio, ed è sede della biogenesi dei ribosomi. Biologia Ribosomi Le proteine non vengono sintetizzate nel nucleo. La sede della sintesi delle proteine è il ribosoma, una struttura che si trova dispersa nel citoplasma, associata alla membrana del RER o a quella esterna dell‟involucro nucleare, e infine nei mitocondri e nei cloroplasti. Questi sono presenti sia nelle cellule procariotiche che in quelle eucariotiche; si tratta di strutture prive di membrana, costituite da complessi fortemente interconnessi di proteine ed RNA (ribosomale). Ciascun ribosoma è costituito da due subunità, una più grande e una più piccola, che possono trovarsi dissociate o associate a seconda del momento funzionale. Le due subunità si associano a formare il ribosoma funzionale dopo che ad esso si lega un RNA messaggero. Nei ribosomi liberi avviene la sintesi di quelle proteine che rimangono nel citoplasma; i ribosomi aderenti alle membrane sono invece responsabili delle proteine che faranno parte della membrana. Il Reticolo Endoplasmatico E‟ un complesso sistema di canali, vescicole e cisterne interconnesse tra loro. I diversi compartimenti sono distinguibili in reticolo endoplasmatico ruvido, reticolo endoplasmatico liscio, e reticolo transizionale. Il RE, comunque, non rappresenta un compartimento isolato; esiste infatti una contiguità funzionale con le altre strutture membranose, un sistema di collegamento rappresentato da vescicole che si formano e migrano verso altri distretti. Il RE svolge diverse funzioni: sintesi, modificazione, distribuzione di proteine, lipidi e carboidrati. Reticolo endoplasmatico ruvido (RER) E‟ ricoperto, sulla superficie citoplasmatica, da ribosomi. La presenza di queste strutture ne caratterizza la principale funzione; i ribosomi sono specializzati nella sintesi delle proteine che sono destinate ad essere esportate in regioni quali il complesso del Golgi, i lisosomi e le vescicole. Dopo la sintesi, le proteine vanno incontro a ripiegamenti specifici e modifiche (glicosilazioni, idrossilazioni, etc…) e quindi alla strutturazione definitiva. I polipeptidi assumono la giusta forma grazie alle proteine chaperone, proteine accompagnatrici che fanno sì che la proteina assuma la giusta forma tridimensionale. E‟ più sviluppato nel fegato (alta produzione di proteine). Reticolo endoplasmatico liscio (SER) Si presenta privo di ribosomi. Nelle sue membrane sono inclusi diversi enzimi che intervengono nella sintesi di lipidi e carboidrati. Il SER è soprattutto coinvolto nella sintesi dei fosfolipidi che faranno parte di tutte le membrane cellulari. Nei tessuti di alcuni particolari organi, le cellule mostrano una rilevante presenza, perché coinvolto nel metabolismo di sostanze estranee; esso, infatti, è deputato anche alla detossificazione dei farmaci. Essendo sito principale della biosintesi di lipidi, il SER è abbondante nelle cellule endocrine che sintetizzano ormoni steroidei e quindi nel testicolo e nella corteccia surrenale. Ancora il SER è coinvolto nel metabolismo dei carboidrati, soprattutto nelle cellule del fegato, organo in cui si accumula glicogeno. Il RE liscio lo de- grada sotto forma di glucosio-6-fosfato, in modo da impedirne il rilascio nel circolo sanguigno (dal momento che le membrane cellulari sono impermeabili ai glucidi fosforilati).Il reticolo di transizione è costituito dal continuo passaggio di vescicole tra RE e Golgi. Biologia I cloroplasti sono strutture a forma di disco e hanno un complesso sistema di membrane ripiegate. Due membrane, separate da un piccolo spazio, isolano il cloroplasto dal citosol. La membrana interna racchiude uno spazio pieno di liquido detto stroma, che contiene gli enzimi necessari per la produzione di carboidrati da anidride carbonica e acqua, utilizzando l‟energia solare. Un sistema di membrane, sospeso nello stroma, consiste di un gruppo di sacche appiattite a forma di disco interconnesse, dette tilacoidi (disposte in pile dette grana). Le membrane tilacoidali sono simili alle membrane interne dei mitocondri, in quanto sono anch‟esse coinvolte nella produzione di ATP. I cloroplasti rappresentano uno dei tanti tipi di plastidi i quali producono ed immagazzinano sostanze di riserva nelle cellule vegetali. Tutti i plastidi si sviluppano a partire da proplastidi, organuli precursori che si trovano in alcune cellule vegetali. A seconda delle necessità, questi organuli potranno maturare e trasformarsi in plastidi specializzati (es: cromoplasti = contengono particolari pigmenti, amiloplasti = funzione di riserva di amido). Citoscheletro La forma delle cellule e la loro capacità di muoversi sono in gran parte determinate dal citoscheletro; questa struttura, oltre a fornire supporto meccanico, serve per il trasporto di materiali all‟interno della cellula e nella divisione cellulare. E‟ costituito essenzialmente da tre tipi di filamenti proteici: x Microtubuli – Sono fibre formate da subunità proteiche globulari, le tubuline. Oltre a svolgere un ruolo strutturale nella formazione del citoscheletro, queste strutture estremamente dinamiche sono coinvolte nel movimento dei cromosomi durante la divisione cellulare. Essi, inoltre, fungono da binari per diversi movimenti intracellulari e costituiscono i principali componenti strutturali delle ciglia e dei flagelli. Per espletare la loro funzione, i microtubuli devono ancorarsi ad altre parti della cellula in una regione detta centro di organizzazione dei microtubuli (MTOC), che, nelle cellule animali, corrisponde al centrosoma, una formazione costituita da due strutture, i centrioli. I due centrioli sono disposti ad angolo retto tra loro e sono costituite da 9 triplette di microtubuli disposte a formare un cilindro cavo. Molte cellule vegetali hanno un MTOC, ma sono prive di centrioli. x Microfilamenti – Ciascun microfilamento è costituito da molecole di actina simili a perle. I filamenti di actina non possono contrarsi, ma possono generare movimento attraverso un rapido assemblaggio e disassemblaggio. x Filamenti intermedi – Sono resistenti e flessibili. Si pensa che queste fibre forniscano un sostegno meccanico, stabilizzando così la forma della cellula. Esempi di filamenti intermedi sono le cheratine. Ciglia e flagelli Dalla superficie di molte cellule si proiettano strutture sottili e mobili per il movimento cellulare. Se una cellula possiede solo una o poche di queste appendici, e se queste sono lunghe, si parla di flagelli. Se ha molte appendici corte, queste vengono dette ciglia. Le ciglia e i flagelli sono costituiti da nove paia di microtubuli disposti lungo la circonferenza e due microtubuli non appaiati al centro. Ciascun ciglio o flagello è ancorato alla cellula mediante un corpo basale, struttura organizzatrice delle ciglia e dei flagelli. Quasi tutte le cellule dei vertebrati sono dotate di un ciglio primario, un unico ciglio posizionato sulla superficie cellulare che funziona come un‟antenna; esso gioca un ruolo primario in molte vie di segnalazione che regolano la crescita e il differenziamento cellulare. Biologia Paretecellulare = Conferisce rigidità e capacità di contenimento della forma, costituita da cellulosa. Plasmodesmi = Mettono in comunicazione cellule vicine attraverso le pareti cellulari Plasmidi = sono piccoli filamenti circolari di DNA superavvolto a doppia elica Biologia MEMBRANE E MECCANISMI DI TRASPORTO. Metaboliti quali zuccheri, grassi ed altre materie prime entrano nelle cellule dallo spazio extracellulare e attraversano il doppio strato fosfolipidico in entrata, mentre prodotti di scarto lo attraversano in senso opposto. Il flusso continuo di ioni e di molecole di acqua, in entrambe le direzioni ed in tutti i compartimenti cellulari, assicura che le concentrazioni di queste sostanze siano mantenute entro i valori compatibili con la vita e con le funzioni cellulari. La maggior parte delle molecole biologiche, non riesce a passare attraverso la membrana a causa della sua composizione chimica. La membrana plasmatica, per la sua composizione, risulta selettivamente permeabile e, per attraversarla, esistono tre principali e differenti modalità di trasporto, che sono: a)diffusione semplice; b)diffusione facilitata; c) trasporto attivo. Nei primi due meccanismi non vi è necessità di apporto di energia, e per questo motivo sono definiti tipi di trasporto passivo, nel terzo invece si richiede apporto di energia, in quanto si lavora contro-gradiente di concentrazione. La diffusione semplice. ! Nella diffusione semplice, il flusso netto delle sostanze si svolge dal compartimento a più alta concentrazione, verso quello a concentrazione più bassa, senza consumo di energia fino a quando non si raggiunge una situazione di equilibrio. Si ritiene che in questo caso, il passaggio delle molecole attraverso il doppio strato fosfolipidico avvenga attraverso gli spazi intermolecolari tra le catene degli acidi grassi dei fosfolipidi. Tipo particolare di diffusione semplice è l’osmosi, che avviene quando due diverse soluzioni acquose, contenenti quantità diverse di soluto, sono separate da una membrana semipermeabile che permette il passaggio del solo solvente. Questo tipo di diffusione non è influenzata dal tipo di sostanza disciolta, ma dalla quantità presente ad entrambi i lati Biologia proteine prendono il nome di pompe ATP-dipendenti o ATPasi, mentre il trasporto mediato da esse prende il nome di trasporto attivo diretto o primario. Oltre questo tipo di trasporto, esiste il trasporto attivo secondario o indiretto, per il quale si utilizza l’energia del gradiente elettrochimico prodotto precedentemente da un trasporto attivo diretto. Il trasporto attivo diretto dipende da quattro tipi di pompe ATPasi, definite: a)ATPasi “P”;b)ATPasi “V”; c)ATPasi “F”;d)ATPasi “ABC”. 
POMPE ATPASI DI TIPO “P”. Sono costituite da una subunità alfa ed una beta. La prima è in grado di legare ATP che viene idrolizzato in presenza di Mg2+, in ADP e fosfato inorganico. Il fosfato viene poi trasferito su uno specifico residuo di acido aspartico che fosforilla. Successivamente alla fosforilazione della subunità alfa, sono indotti piccoli cambiamenti conformazionali, che consentono dapprima il legame ad un versante della cellula e successivamente il rilascio sul fronte opposto. Su questo principio si basa la pompa Na+/K+, la pompa Ca2+ e la pompa H+. La pompa Na+/K+ è costituita anch’essa da due subunità, ed il trasporto mediato da questa pompa prevede che per ogni tre ioni di sodio che vengono portati al di fuori della cellula, due di potassio ne entrano, il tutto per ogni molecola di ATP idrolizzata. In questo modo, questa pompa contribuisce alla diversa distribuzione delle cariche, e per questo motivo viene definita pompa elettrogenica. Durante la fase iniziale, la pompa mostra all’interno della cellula il sito di legame per i tre ioni di sodio. Il legame tra sodio e pompa induce l’ATP a legarsi alla subunità alfa, dove subisce idrolisi mentre la subunità alfa subisce fosforilazione. Ciò determina un cambiamento della conformazione della molecola che presenta adesso l’esposizione extracellulare di siti con bassa affinità per il sodio che a questo punto si stacca per dare spazio al potassio. Il legame con il potassio induce alla defosforilazione e dunque ad un ulteriore cambiamento che porta la proteina allo stato iniziale e quindi al rilascio Biologia del potassio in ambiente intracellulare.Tale pompa ha un’importanza vitale per la cellula in quanto è responsabile del passaggio degli impulsi nervosi, ma è anche importante nel mantenimento dell’omeostasi oltre che per essere fonte di energia per meccanismi di trasporto attivo indiretto. La pompa H+ è responsabile del trasporto controgradiente elettrochimico di ioni H+, e consente di mantenere il pH citoplasmatico intorno ad un valore neutro. Il gradiente elettrochimico che si genera grazie a questa pompa, viene utilizzato per trasporto attivo indiretto. Essa è limitata ad alcuni tipi cellulari, tipo le cellule epiteliali parietali della mucosa gastrica che, grazie a questo meccanismo riescono a far si che avvenga l’acidificazione dell’acido gastrico. Il rapporto di trasporto sta 1:1 con il K+ ed il meccanismo è analogo alla pompa sodio-potassio. La secrezione acida è infine mediata da segnali ormonali che stimolano la produzione di istamina, la quale induce la fusione alla membrana cellulare delle vescicole citoplasmatiche all’interno delle quali si trova la pompa H+. La pompa Ca2+ si trova sia sulla membrana cellulare che sulla membrana del reticolo endoplasmatico, e il suo ruolo è quello di regolare la presenza di calcio intracellulare e di mantenerlo a livelli basi standardizzati, in quanto una presenza eccessiva di calcio intracellulare potrebbe indurre a varie risposte. Il trasporto del Calcio avviene con un meccanismo molto simile a quello della pompa sodio-potassio, con la differenza della presenza della calmodulina alla subunità alfa, che lega il calcio e che fa si che questo sia espulso più velocemente. POMPE ATPASI DI TIPO “V”, “F” E “ABC” E TRASPORTO ATTIVO INDIRETTO. ! Le pompe ATPasi V trasportano ioni H+ dal citoplasma al lume di lisosomi, endosomi e vacuoli delle cellule vegetali, contribuendo a mantenere il pH del citoplasma. Esse sono strutture complesse costituite da due domini. Diversamente dalle pompe di tipo P, queste utilizzano l’energia derivata dall’idrolisi dell’ATP senza passaggi per fosforilazione. Biologia Sono state identificate di queste pompe su osteoclasti, spermatozoi e cellule intercalari del rene. Da un punto di vista strutturale le pompe V e le pompe F dei batteri sono molto simili ma da un punto di vista funzionale, mentre nelle prime si utilizza l’energia dell’ATP per pompare H+, le seconde utilizzano H+ per riportare l’ADP + P ad ATP. Le pompe ATPasi ABC presentano 4 domini e vi appartiene la grande famiglia delle permeasi. La prima pompa di questo tipo su cellula eucariotica è stata denominata multidrug- resistance o P-glicoproteina, ed è stato sperimentato che una presenza di tale pompa svillupata in cellule tumorali, fa si che queste cellule riescano a respingere i farmaci chemioterapici. Il trasporto attivo di zuccheri e amminoacidi come altre molecole organiche contro grradiente, spesso è associato ad un cotrasporto di ioni sodio, per cui questo trasporto prende i nome di trasporto attivo secondario. MECCANISMI DI SEGNALAZIONE CELLULARE. Negli organismi multicellulari le cellule comunicano tra di loro con un processo definito segnalazione cellulare, indispensabile per regolare la formazione di tessuti e la loro struttura tridimensionale. La segnalazione cellulare è un processo complesso che consiste nella produzione e nel rilascio di segnali chimici ed elettrici che vengono veicolati sulle cellule bersaglio, permettendo lo scambio di informazioni. Gli eventi di riconoscimento e contatto tra due cellule dipendono dalla liberazione nell’ambiente di peptidi segnale solubili denominati fattori di accoppiamento. Le principali molecole responsabili dello scambio di informazioni tra le cellule sono fattori solubili, alcuni di natura amminoacidica, altri di natura Biologia L’aggiutna di un gruppo fosfato è una modifica covalente che richiede enrgia fornita da molecole di ATP, e gli enzimi che sono capaci di mediare la fosforilazione sono denominati chinasi, mentre quelli che mediano la defosforilazione sono detti fosfatasi. Oltra alla regolazione funzionale delle proteine tramite fosfo o defosforilazione, esistono altre modalità come ad esempio la variazione di ioni calcio all’interno dell’ambiente cellulare. Molte delle proteine che hanno la capacità di legare il calcio sono denominate calmoduline; esse, non appena legato il calcio, sono in grado di interagire con uno specifico enzima modificandone la funzione. Esempio della funzione regolatoria del calcio può essere il processo di contrazione del muscolo scheletrico. I recettori di membrana si classificano in 1)recettori che attivano le proteine G; 2)recettori con attività enzimatica;3) recettori che attivano i canali ionici. Mentre le prime due classi rappresentano la stragrande maggioranza dei casi, i recettori che attivano canali ionici sono coinvolti sopratturro nella comunicazione tra le cellule nervose dove il segnale scambiato evoca risposte elettriche. Le prime due, inoltre, agiscono direttamente o indirettamente, tramite l’attivazione di proteine G (proteine leganti il nucleotide GTP), sull’attività di chinasi e fosfatasi. La maggior parte agiscono direttamente sul residuo amminoacidico, mentre i recettori accoppiati a proteine G mediano la fosforilazione di serina e treonina. I recettori che attivano le proteine G sono proteine di membrana multipasso a sette domini transmembrana che, per trasdurre il segnale si legano in modo transitorio con le proteine G. Queste ultime sono così chiamate perchè legano il nucleotide GTP, dal quale ricavano energia, e sono formate da una subunità alfa, una beta ed una gamma. Le ultime due ancorano il trimero al versante citoplasmatico della membrana plasmatica, mentre la subunità alfa si presenta sotto due forme: legata al GDP se in forma inattiva o legata al GTP se in forma attiva. La subunità alfa possiede l’importante attività GTPasica che le permette di idrolizzare Biologia la GTP in GDP autoinattivandosi. Per questo motivo le proteine G possono considerarsi come degli interruttori elettrici a tempo, che una volta attivati riescono a disattivarsi da soli. Questa è una proprietà unica delle proteine G. I sistemi recettoriali più conosciuti e più importanti sono quelli che portano all’attivazione delle chinasi PKA e PKC, che sono attivate rispettivamente dal cAMP e dallo ione calcio. 
 
 Il cAMP è prodotto dall’enzima adenilato ciclasi che, utilizzando come substrato un ATP, idrolizza due fosfati in posizione beta e gamma, e ciclizza il fosfato in posizione alfa legato al carbonio 5’ impegnandolo in un secondo legame con il carbonio 3’ dello stesso ribosio, generando una struttura ciclica. Il cAMP si lega con l’enzima PKA che è formato da quattro subunità, delle quali due hanno funzione regolatoria e sono capaci di legare il cAMP e due possiedono attività catalitica chinasica. L’ingresso del cAMP nelle subunità regolative causa un cambiamento di struttura e la dissociazione delle subunità cataliche che sono ora attive ed in grado di fosforilare i substrati proteici. Un aumento di cAMP nella cellula provoca dunque l’attivazione della PKA, ma l’aumento del cAMP richiede l’attivazione dell’adenilato ciclasi da parte del recettore. Tuttavia quest’enzima è attivato tramite l’attivazione di un composto intermedio che è la proteina G, e nel caso specifico la subunità alfa che entra in gioco prende il nome di Gs. Gli eventi che si verificano sono dunque: 1)legame del ligando al recettore; 2)Ciò provoca un cambiamento nella conformazione interna del recettore che provoca l’attivazione della Gs;3) La Gs provoca l’attivazione dell’adenilatociclasi che produce cAMP;4) la cAMP agisce sulla PKA attivandola. Uno dei sistemi di segnalazione più conosciuti che si basa su questo meccanismo è quello del glucagone, prodotto dal pancreas in risposta ad un calo del glucosio. In particolare in questo caso la PKA attivata fosforila due tipi di enzimi: quelli che inducono la glicogenolisi, che vengono attivati, e quelli che sono preposti alla sintesi di glicogeno dal glucosio, che vengono disattivati. Oltre che dal glucagone cAMP e PKA sono attivati da altri ormoni quale LH, ACTH e Biologia TSH. Oltre alla PKA, un’altra chinasi coinvolta nelle risposte di segnalazione recettoriale è la PKC, un’enzima complesso che lega gli ioni calcio e contemporaneamente anche una molecole di diacilglicerolo o DAG. In questo caso il recettore attiva una proteina G, che in questo caso è di tipo Gq, che a sua volta attiva una fosfolipasi Cbeta che ha come substrato il fosfatidilinositolo, il quale può essere fosforilato in due posizioni, 4 e 5, e quindi si definisce fosfatidilinositolo 4,5 bifosfato o PIP2. La fosfalipasi Cbeta taglia il legame tra il fosfato ed il glicerolo del PIP2 liberando due molecole: il DAG e l’ IP3. DAG e IP3 hanno funzioni differenti: mentre il secondo induce la liberazione di ioni calcio dai depositi del reticolo endoplasmatico liscio, il DAG determina l’attivazione di PKC, che è un enzima formato da un dominio regolatorio ed uno catalitico con attività serina-treonina chinasica. Le subunità regolatorie sono delle calmoduline che, come visto in precedenza sono in grado di legare il calcio e cambiare conformazione. Il distacco delle calmoduline permette dunque alle subunità catalitiche del PKC di spostarsi nel citoplasma e di localizzarsi sulla faccia interna della membrana citoplasmatica dove possono essere attivate dall’interazione con il DAG. La produzione o il rilascio delle molecole che attivano PKA o PKC avviene in risposta ad uno stimolo, e loro caratteristica è quella di amplificare il segnale recettoriale tramite diffusione libera nel citoplasma o nel piano della membrana. Per queste proprietà, queste molecole sono state definite secondi messaggeri, e la loro funzione di amplificazione del segnale può essere considerata con un processo a cascata, per cui si determina ad ogni passaggio, un aumento di molecole segnale che attivano un gran numero di enzimi intracellulari e quindi una risposta efficace. L’amplificazione a livello della proteina G però sarà data soltanto dal tempo di adesione delle molecole segnale con il recettore, in quanto le proteine G, come già detto, hanno un tempo preciso in cui rimangono attive e dopodiché vanno incontro ad autodisattivazione. L’adenilatociclasi, invece, una volta idrolizzata la molecola di ATP, riesce a produrre migliaia di molecole di cAMP. Anche le chinasi PKA e PKC Biologia avviene tramite l’endocitosi del recettore, dopo essere stato attivato, da parte di una vescicola di endocitosi che si fonde con i lisosomi. Fatto ciò il recettore sarà riciclato, mentre il ligando sarà digerito dal lisosoma. Ma la desensibilizzazione può avvenire anche grazie all’intervento di una proteina inibitrice che si lega al dominio citoplasmatico del recettore interrompendo il segnale, oppure più a valle può legarsi ad una proteina di segnalazione, o ancora la proteina di segnalazione potrebbe attivare una proteina inibitrice. MECCANISMI E VIE DI SMISTAMENTO DI MOLECOLE. La cellula eucariotica è organizzata in compartimenti delimitati da membrane, che costituiscono gli organuli. Ognuno di essi è dotato di funzioni specializzate conferite da un corredo di proteine e molecole che lo caratterizzano. Questa organizzazione comporta lo smistamento delle proteine sintetizzate dai ribosomi liberi nel citosol alla loro destinazione finale nei singoli organelli. La maggior parte delle proteine cellulari è sintetizzata dai ribosomi presenti nel citosol ad eccezione di una piccola quantità (circa il 30 %) sintetizzata all’interno di mitocondri e cloroplasti. Il meccanismo utilizzato per smistare le proteine nei vari compartimeni di una cellula eucariotica è basato in linea generale sulla presenza di segnali di indirizzamento presenti sulla proteina stessa, che solitamente sono delle sequenze amminoacidiche riconosciute da specifiche strutture molecolari. Ognuna di queste sequenze può varare molto tra le diverse proteine sintetizzate nei ribosomi, e la presenza di una di queste è necessaria e sufficiente per indirizzare la proteina ad un organulo specifico. L’attraversamento della membrana dell’organulo da parte delle proteine è il vero problema, dato dalle dimensioni molecolari e dalla incompatibilità idrofobica della proteina. Questo problema viene risolto differentemente per ognuno degli organuli. Biologia Nel caso di mitocondri, cloroplasti, reticolo endoplasmatico vi sono dei traslocatori proteici, che permettono e controllano il transito della proteina all’interno dell’organulo, richiedendo dispendio di energia. Nel caso del nucleo, i pori nucleari rappresentano dei valichi selettivi dotati di un apparato macromolecolare che opera il trasferimento bidirezionale di proteine ed altre macromolecole dall’esterno all’interno del nucleo e viceversa. Nel caso del Golgi e dei lisosomi esiste un sistema di trasporto vescicolare. L’involucro nucleare consta di una doppia membrana attraverso la quale transitano numerose macromolecole che viaggiano in entrambe le direzioni, grazie alla presenza dei pori nucleari, un complesso multimolecolare costituito da un centinaio di proteine differenti, organizzate in una serie di subunità disposte o lungo la circonferenza o nel lume centrale del poro, ed è proprio questo complesso il responsabile del transito delle macromolecole a livello del nucleo. Alcune molecole di piccole dimensioni passano liberamente, ma molecole di dimensioni superiori vengono riconosciute solo se presentano una sequenza di localizzazione nucleare (NLS), costituita da brevi sequenze amminoacidiche. Una proteina dotata di tale sequenza transita attraverso il poro senza modificare la propria organizzazione strutturale. Le sequenze NLS sono legate da particolari recettori definiti di importazione nucleare capaci di riconoscere allo stesso tempo le nucleoporine e di traslocare fisicamente all’interno del nucleo l’intero complesso proteico. Questo processo è mediato da una particolare proteina G che è la Ran, che oscillando tra uno stato di legame con GDP e GTP, quindi di attività e di inattività, permette il passaggio fuori e dentro il nucleo. Il processo di esportazione nucleare, che interessa ad esempio le proteine che regolano la trascrizione genica, funziona con meccanismi e caratteristiche molto simili a quelle dell’ingresso. Esistono infatti sequenze di esportazione nucleare (NES) riconosciute dai recettori di esportazione appartenenti alla Biologia stessa famiglia genica dei recettori di importazione. Per quanto riguarda i mitocondri, il DNA mitocondriale riesce a codificare per circa il 30 % delle proteine mitocondriali, mentre il restante 70 % è codificato dai geni nucleari. Queste proteine vengono quindi sintetizzate nel citosol sotto forma di precursori delle proteine mature, che presentano una sequenza di indirizzamento ai mitocondri, che verrà rimossa solo all’interno del mitocondrio da un enzima proteolitico che è la peptidasi del segnale. Il trasferimento delle proteine all’interno dei mitocondri dev’essere inoltre mediato dalla presenza di traslocatori proteici, il cui compito è facilitato dalla presenza di alcuni accollamenti della membrana interna ed esterna in alcune regioni del mitocondrio. Questi traslocatori sono noti come complessi TOM e TIM. Inoltre ogni proteina, è indispensabile che mantenga una conformazione più lineare possibile prima di entrare all’interno del mitocondrio e ciò è possibile grazie alla presenza di molecole definite chaperon appartenenti alla famiglia delle Hsp70 citosoliche, che tra l’altro favorisce il legame al complesso TOM. Il reticolo endoplasmatico è il compartimento membranoso più esteso della cellula, ed al suo interno vengono inserite sia le sue proteine transmembrana, sia quelle appartenenti alle membrane del Golgi e dei lisosomi e alla membrana plasmatica. Il RE appare caratterizzato da un aspetto rugoso se vi è la presenza di ribosomi legati alla sua membrana, o liscio in assenza di questi, ma, più che identificare due organuli diversi, la presenza di ribosomi sembra indicare lo stesso organulo in momenti funzionali diversi. I ribosomi, si legano infatti alla membrana nel momento in cui sintetizzano proteine ad esso indirizzate. Le sequenze di indirizzamento al RE sono riconosciute con il complesso definito NAC, che ha il compito di proteggerle da altre possibili interazioni, e da un complesso ribonucleoproteico noto come particella SRP, costituito da una molecola di RNA a basso peso molecolare associata a sei proteine differenti. Essa si lega a sua volta ad un recettore presente sulla Biologia tramite le adattine, che a loro volta legano con la membrana plasmatica ad un recettore capace di selezionare le molecole cargo da includere nella vescicola. La vescicola quindi si stacca dalla membrana grazie alla dinamina, che si organizza a formare un anello al collo della vescicola, e inducendo il distacco. In questo modo si formano le cosiddette vescicole rivestite di clatrina. L’ultima fase consiste nel riconoscimento dell’organulo bersaglio da parte della vescicola e la fusione delle due membrane con il rilascio della proteina nel compartimento di destinazione. Ciò è controllato dalle SNARE e dalle GTPasi Rab. Le prime sono una classe di proteine fibrose ancorate alle membrane e capaci di un processo di riconoscimento reciproco. Le v-SNARE sono presenti sulla membrana delle vescicole, mentre le t-SNARE sono presenti sulle membrane degli organuli bersaglio. Quando una v-SNARE si lega alla sua t-SNARE complementare, le porzioni ad alfa elica delle due proteine interagiscono tra di loro formando una proteina superavvolta, ed il complesso formatosi trattiene la vescicola sulla membrana bersaglio. Esistono dei segnali di indirizzamento specifici per ogni compartimento e, di questi meccanismi, uno dei più conosciuti è quello rappresentato dall’indirizzamento ai lisosomi. Le proteine dei lisosomi raggiungono questo compartimento entrando inizialmente nel RE, successivamente giungono al Golgi, dove vengono etichettate per l’indirizzamento ai lisosomi, con un meccanismo particolare, basato sulla loro glicosilazione con un residuo di mannosio fosforilato in posizione 6, e questa modificazione avviene per riconoscimento delle idrolasi acide del lisosoma, che è permesso a sua volta dalla presenza di una sequenza che serve da indirizzamento. La proteina viene infine riconosciuta da un recettore grazie alla presenza dello zucchero modificato e, lo stesso recettore cattura queste proteine e le concentra nelle vescicole che emergono dal Golgi, e lega anche le adattine che agiscono con la clatrina nella formazione delle vescicole. Il mancato funzionamento degli enzimi che catalizzano il trasferimento del mannosio-6-fosfato sulle idrolasi acide porta alla rara patologia nota come malattia da inclusioni cellulari, Biologia che porta ad un difetto nella digestione che provoca la formazione delle inclusioni cellulari. Il processo di endocitosi. Il processo di endocitosi viene solitamente distinto nella fagocitosi e nella pinocitosi, che si differenziano per la dimensione del materiale introdotto e per i differenti meccanismi molecolari. La fagocitosi consiste nell’introduzione all’interno della cellula di grosse particelle.Tutte le cellule sono in grado di fagocitare anche se ne esistono alcuni tipi che sono specializzati in questa funzione, come macrofagi e granulociti. Le particelle, in contatto con la cellula, vengonp avvolte da protrusioni della membrana plasmatica che si estendono fino ad inglobarle completamente, formando così vescicole endocitotiche che si fondono con i lisosomi. L’interazione della particella con la superficie cellulare è spesso mediata da molecole specifiche, che nel caso del batterio è uno specifico recettore detto del frammento Fc delle immunoglobuline. La pinocitosi è un processo che introduce fluidi e soluti tramite piccole vescicole con diametro di 150 nm o inferiore. Le vescicole di pinocitosi si formano per polimerizzazione a livello della membrana plasmatica del rivestimento di clatrina che porta alla formazione di una vescicola rivestita. L’assunzione di metaboliti tramite pinocitosi è anche conosciuta come endocitosi mediata da recettore, in quanto il metabolita viene riconosciuto da uno specifico recettore sulla membrana cellulare e successivamente fagocitato. Esempio molto studiato è quello del colesterolo, che viene assunto per via alimentare e trasportato nel sangue sottoforma di particelle a bassa densità (LDL) e viene riconosciuto da un recettore concentrato in zone specifiche. All’interno della cellula, la vescicola perde il suo rivestimento e viene fagocitata dagli endosomi, dove l’ambiente Biologia acido induce la dissociazione del complesso LDL. Alterazioni a questo meccanismo determinano aumento dei livelli ematici di colesterolo, che può accumularsi ai lati dei vasi sanguigni e, talvolta, portare all’occlusione del vaso. MECCANISMI DI ADESIONE CELLULARE. Tutte le cellule degli organismi animali si interconnettono strettamente, nella maggioranza dei casi, organizzandosi in tessuti ed in organi specializzati. Inoltre quasi tutte le cellule secernono all’esterno molecole con caratteristiche comuni e consistono in molecole fibrose flessibili immerse in una matrice idratata amorfa di glicoproteine e polisaccaridi ramificati. Questa struttura è definita matrice extracellulare. Le cellule che assumono funzioni specializzate si organizzano in tessuti distinti, e questi in organi. L’integrità degli organismi multicellulari dipende dalla capacità delle cellule di associarsi in strutture specifiche formando tessuti ed organi. Queste interazioni richiedono che le singole cellule siano in grado di riconoscersi ed è stato provato che cellule provenienti dallo stesso tessuto sono capaci di riconoscersi e di stabilire interazioni che permettono la formazione di aggregati. La capacità di riconoscimento ed aggregazione cellulare dipendono dall’interazione tra proteine specifiche, poste sulla membrana, che prendono il nome di recettori adesivi. A seconda delle caratteristiche di questi recettori, possiamo distinguere tre tipi di interazione tra le cellule: a. Interazione omofilica, che consiste nel legame tra un recettore di una cellula con uno identico della cellula adiacente; d. Interazione eterofilica, che consiste nel legame tra recettori di tipo diverso; 
 e. Interazione mediata da una molecola bifunzionale che fa da ponte. 
 Biologia che fa da supporto meccanico agli epiteli. Le principali proteine adesive sono in questo caso le integrine. 
 
 Tutte le giunzioni adesive hanno la proprietà di scaricare anche sulle cellule vicine a dove avviene il contatto con l’esterno ammortizzando così un eventuale urto. Le giunzioni comunicanti sono regioni dove le membrane sono molto vicine e che mettono in contatto due cellule adiacenti permettendo lo scambio di ioni e di piccole molecole. Queste giunzioni sono particolarmente abbondanti in tessuti come il tessuto nervoso o il tessuto muscolare (soprattutto in quello cardiaco). Esse sono costituite da una particolare struttura, il connessone, formata da proteine transmembrana collegate tra di loro a formare una cavità delimitata che mette in contatto le due cellule. Queste proteine sono le connessine, ed ogni connessone è formato da sei subunità di essa. Nella giunzione, due connessoni di due cellule vicine sono accoppiati in modalità testa-testa in modo tale da creare un cilindro cavo continuo. E’ stato considerato che la permeabilità della giunzione comunicante varia in funzione della concentrazione di calcio citoplasmatico, e risulta quindi evidente che le cellule possano controllare il grado di comunicazione. Le giunzioni comunicanti tendono ad essere aperte quando il calcio si mantiene a concentrazioni basse, mentre chiuse nel caso opposto. E’ da specificare che apertura e chiusura non avvengono con la modalità del tutto o niente, ma in modo graduale. La permeabilità di tali giunzioni può inoltre variare al variare del potenziale di membrana o del pH intracellulare. Quando le cellule si organizzanoin tessuti, oltre a riconoscersi e a stabilire connessioni dirette tra loro, ancorano ad un substrato comune che permette un’ulteriore stabilizzazione dell’aggragato tissutale. Esempio più semplice di tale comportamento è dato dagli epiteli monostratificati dell’apparato digerente e respiratorio, il cui strato di cellule poggia su Biologia una lamina basale formata dalla matrice extracellulare. Le macromolecole che formano la matrice sono normalmente prodotte dalle stesse cellule che vi sono immerse, e le principali proteine sono di tipo fibroso, con funzione strutturale come i collageni o l’elastina, funzione adesiva, come la fibronectina. Anche i proteoglicani sono componente fondamentale della matrice. I collegeni sono una grande famiglia di proteine che svolgono una funzione fondamentalmente strutturale. Sono molto abbondanti negli animali ed in particolare nei tessuti di sostegno, e sono organizzati in una triplice elica formata da tre catene polipeptidiche caratterizzate da un elevato contenuto di prolina e glicina, che insieme ad un terzo amminoacido interagiscono tra di loro in modo stabile formando strutture sovramolecolari che sono le fibrille. Il collagene è in gran parte responsabile ed il collagene di tipo I e di tipo II sono due dei più presenti tra i collageni conosciuti. La struttura in filamenti rigidi dei filamenti di collagene non è però adatta alle caratteristiche di elasticità e flessibilità di alcuni tessuti, e l’elasticità viene dunque fornita, nei tessuti in cui è necessaria, da fibre elastiche estendibili che possono allungarsi per poi ritornare alla lunghezza normale quando cessa la tensione. Il costituente principale delle fibre elastiche è l’elastina, ricca anch’essa di prolina e glicina. Le molecole di elastina si associano in un reticolato con legami covalenti crociati, capace di cambiare morfologia in base allo stato fisico cui è posto il tessuto. La sostanza idratata in cui sono immerse le fibre, collagene e di elastina, è costituita prevalentemente da proteoglicani, che sono delle glicoproteine che legano in modo covalente un elevato numero di catene di glicosaminoglicani. I glicosaminoglicani sono lunghi polimeri dotati di carica negativa formati dal concatenamento di migliaia di dimeri saccaridici. La maggior parte di essi si trova legata in modo covalente a proteine specifiche formando i proteoglicani. In aggiunta a collageni e proteoglicani, la matrice extracellulare contiene Biologia un certo numero di proteine adesive che sono in grado di mediare l’interazione tra le cellule. Tra queste le più importanti sono la fibronectina e la laminina. La fibronectina è una proteina fibrosa costituita da due catene polipeptidiche legate ad un ponte disolfuro all’estremità carbossi-terminale. Alcune regioni globulari di questa molecola hanno la proprietà di interagire con altri componenti della matrice extracellulare come diversi tipi di collagene, ma anche eparina e la proteina di coagulazione che è la fibrina. Altre regioni sono invece capaci di legare i recettori sulla membrana cellulare. In pratica questa molecola quindi funge da ponte ancorando le cellule alla matrice extracellulare e, poichè l’organizzazione e l’orientamento del citoscheletro sono fondamentali nel determinare la forma della cellula, si ritiene che la fibronectina sia essenziale per il mantenimento di tale forma. La laminina è una glicoproteina di grandi dimensioni costituita da tre lunghe catene peptidiche che prendono il nome di catene alfa, beta1 e beta2, che sono avvolte in una struttura a croce latina stabilizzata da ponti disolfuro. Anche queste molecole sono capaci di legare diversi elementi della matrice ed un recettore presente sulla membrana cellulare. Queste proprietà fanno si che questa molecola funga da ponte tra cellule e lamina basale. Inoltre queste molecole possono legarsi con la proteina entactina per rinvigorire il legame. Le cellule si ancorano alla matrice extracellulare per mezzo di particolari recettori noti come integrine, che sono dimeri costituiti da una subunità alfa ed una beta, che sono entrambe proteine monopasso di membrana. Attualmente sono conosciute 16 subunità alfa e 8 beta, che in totale possono raggrupparsi in 22 differenti integrine, ognuna delle quali è capace di legare una diversa proteina della matrice. Solitamente le integrine si legano alle laminine, ad eccezione dell’integrina alfa5beta1 che si lega alla sequenza RGD della fibronectina. La porzione delle integrine sul lato citoplasmatico, invece, si connette alle molecole del citoscheletro della cellula ai filamenti contrattili di actina. Nelle cellule coltivate in vitro, le integrine si distribuiscono sulla membrana ventrale Biologia Ciascun cromosoma è costituito dalla cromatina, una forma altamente condensata del materiale genetico, costituita da DNA, RNA e proteine acide e basiche. I cromosomi divengono ben visibili al m.o. nel momento in cui la cellula si appresta a dividersi. In queste condizioni, ciascun cromosoma appare formato da due elementi identici, noti come cromatidi, che contengono esattamente gli stessi geni. I due cromatidi di un cromosoma sono uniti fra loro a livello del centromerograzie all‟azione delle coesine. Quando la cellula si divide, ogni cromosoma viene duplicato trovandosi costituito da due coppie di cromatidi fratelli. Questi sono assegnati separatamente alle due cellule figlie. RIPRODUZIONE E CICLO CELLULARE. Per far si che da una singola cellula (zigote) si sviluppi un organismo completo, ogni singola cellula deve crescere e dividersi per dare origine ad altre cellule, e le cellule che da essa originano devono acquisire proprietà peculiari, trascrivendo geni specifici che le portino a formare i vari tessuti dell’organismo. Questi processi sono noti come ciclo cellulare e differenziamento cellulare. A questi due si è aggiunta la morte cellulare, e insieme determinano complessivamente lo stato proliferativo di una cellula e quindi di un tessuto. Negli organismi unicellulari più semplice la divisione cellulare avviene per scissione, e può essere un processo assai rapido che impiega anche meno di 30 minuti per completarsi. Negli eucarioti esistono invece due tipi di riproduzione, che sono la mitosi e la meiosi.Tutte le cellule della linea somatica e quelle della germinale non differenziate, si dividono per mitosi, mentre la meiosi è un processo che interessa quelle cellule che hanno iniziato un processo differenziativo. La mitosi, negli organismi pluricellulari, è fondamentale per la formazione dei tessuti e per l’omeostasi tissutale, ed il patrimonio genetico viene fedelmente duplicato ed equamente ripartito alle cellule figlie. Nella meiosi invece il patrimonio cromosomico risulta dimezzato e aumenta la variabilità genetica attraverso processi di ricombinazione omologa. Il ciclo cellulare. Le cellule eucariotiche si riproducono grazie ad una serie ordinata di Biologia eventi denominata ciclo cellulare. Durante questo ciclo la cellula svolge molte attività, ma le più importanti sono la replicazione del DNA, la preparazione alla divisione e la divisione vera e propria che prende il nome di citodieresi. Ad un certo momento della sua esistenza la cellula si arrotonda, il nucleo si disgrega, i cromosomi diventano visibili, la cellula si solleva dal substrato di adesione, s’allunga ed infine si divide dando origine a due cellule. Questi cambiamenti sono descritti collettivamente con il nome di mitosi (fase M), ed il lungo periodo che la prepara prende il nome di interfase. Durante quest’ultima la cellula cresce in dimensioni, replica il DNA e monitora l’integrità del genoma, ovvero controlla che il DNA non abbia subito eccessive modificazioni. Moltedelle ttività dell’interfase hanno una sequenza ordinata, e per questo si è deciso di dividere l’interfase in una fase S, di sintesi del DNA, e due fasi G1 e G2, durante le quali la cellula integra le informazioni che provengono dall’interno e dall’esterno, e verifica che tutte le condizioni richieste siano state soddisfatte. Solitamente, nello studio, vengono presi in considerazione i fibroblasti, che hanno un periodo di riproduzione di circa 24 ore, ma la durata delle fasi può variare notevolmente di cellula in cellula. Durante la fase G1 la cellula riceve segnali dall’ambiente e decide se proseguire nella divisione o meno. Quando la cellula permane in fase G1 per un lungo periodo, si dice che è uscita dal ciclo cellulare e si trova in una fase di quiescenza G0. E’ il caso di neuroni e cellule muscolari oppure dei fibroblasti che permangono in questa fase per lunghi periodi anche se possono rientrare nel ciclo. Altri tessuti sono invece sottoposti a continuo rinnovo, come avviene nel sistema ematopoietico, l’epidermide e molti epiteli. Le cellule che si dividono in continuazione sono definite cellule staminali, che sono cellule indifferenziate capaci di dare origine a figlie che Biologia potranno iniziare un percorso differenziativo per un dato tessuto. Caratteristica di queste cellule è la loro asimmetria nella mitosi, che non è ancora stata spiegata al meglio. Nel caso dell’epidermide però si nota che alla mitosi di una cellula staminale dello strato basale, delle due cellule figlie una non prenderà contatto con la lamina basale, mentre l’altra si, e sarà proprio questa a continuare a mostrare i caratteri di staminalità. Regolazione del ciclo cellulare. Alcuni sistemi verificano il passaggio attraverso le diverse fasi che contraddistinguono il ciclo cellulare. E’ richiesto infatti che ogni fase del ciclo sia correttamente terminata prima che la successiva possa essere avviata. Queste verifiche sono denominate checkpoint o punti di controllo del ciclo cellulare, e sono tre: 1. Il checkpoint che controlla l’ingresso alla fase S, che controlla che il DNA si presenti integro e che vi siano gli elementi nutritivi necessari per la crescita cellulare oltre che la presenza degli adeguati fattori di crescita. 2. Il checkpoint che controlla l’ingresso alla fase M, che opera affinchè sia controllato il DNA e impedisce l’ingresso alla fase M alle cellule che non abbiano completato la replicazione del DNA. 3. Il checkpoint che controlla il completamento della fase M, che opera affinchè sia controllata la progressione della mitosi, in particolare il corretto allineamento dei cromosomi in piano equatoriale e la corretta interazione con il fuso mitotico. Il blocco, qualora non siano rispettati i parametri, è assicurato dalla presenza dei fattori molecolari che si organizzano nel checkpoint, ed il meccanismo si basa principalmente su una modificazione post- traduzionale che è la fosfolirazione dei residui di serina e treonina di particolari proteine cellulari. Numerosi dati sperimentali hanno dimostrato che la rimozione dei fattori di crescita dal terreno di coltura determina l’accumulo delle cellule nella fase G0 del ciclo cellulare. Non Biologia delle cellule figlie è infatti diploide anche se i cromosomi sono formati da un singolo cromatidio che sarà duplicato durante la fase S dell‟interfase. La riproduzione asessuata ha il vantaggio di basarsi su meccanismi semplici permettendo un veloce accrescimento della popolazione, ma ha lo svantaggio di generare individui geneticamente identici ai genitori. L‟assenza di variabilità genetica impedirebbe a una popolazione di individui di adattarsi ai cambiamenti dell‟ambiente e quindi di evolversi. La riproduzione asessuata delle cellule batteriche implica un processo di duplicazione nel quale possono verificarsi errori, mutazioni, che danno origine a cellule con caratteristiche diverse dalle precedenti che favoriscono l‟adattamento alle nuove condizioni. Questo meccanismo, sebbene sia il più importante, non è tuttavia l‟unico che permette un aumento della diversità genetica all‟interno di una popolazione batterica. La ricombinazione genetica, che consiste nel mescolamento di materiale genetico proveniente da due individui diversi nel genoma di un solo individuo, avviene nei batteri mediante tre processi diversi: Trasformazione – Consiste nell‟assorbimento di materiale genetico estraneo da parte di una cellula che acquisisce le proprietà legate al nuovo materiale. Trasduzione – E‟ prodotta dall‟infezione da parte di batteriofagi. Attraverso l‟infezione, i batteriofagi trasferiscono materiale genetico batterico da una cellula all‟altra determinando un aumento della variabilità genetica della popolazione. Coniugazione – E‟ il trasferimento diretto di materiale genetico tra due cellule batteriche che si “accoppiano” temporaneamente. La cellula che dona il DNA è dotata di un‟appendice, chiamata pilo sessuale, che entra in contatto l‟altra cellula. La formazione del pilo sessuale è legata alla presenza del fattore F (fertilità), un plasmide. La coniugazione e gli altri meccanismi di ricombinazione genetica permettono ai batteri di scambiarsi materiale genetico di importanza, a volte, vitale. I plasmidi R (resistenza). La rapida diffusione di un plasmide R all‟interno di un ceppo batterico determina quindi l‟insorgenza della resistenza del ceppo verso un dato antibiotico. MEIOSI La coniugazione batterica può essere considerata in modo approssimativo, come una forma di riproduzione sessuata. Negli organismi superiori, la divisione cellulare è il processo alla base dell‟accrescimento dell‟individuo; non è il meccanismo con cui tali individui si riproducono. Negli organismi eucariotici, che si riproducono sessualmente, i gameti devono contenere una sola copia del corredo cromosomico. Ciascun individuo produce cellule germinali, i gameti, che possiedono un corredo cromosomico aploide; nell‟uomo il maschio produce gli spermatozoi e la femmina gli ovociti attraverso un particolare processo di divisione cellulare, la meiosi. Quando uno spermatozoo si unisce a un ovocita avviene la fecondazione da cui origina una cellula diploide, lo zigote. La successiva divisione dello zigote è la tappa iniziale dello sviluppo dell‟individuo. La meiosi è un meccanismo complesso che, da una cellula diploide dell‟apparato riproduttivo di un individuo, generacellule aploidi (i gameti). Il passaggio da un corredo cromosomico diploide a uno aploide è la principale caratteristica che distingue la meiosi dalla mitosi. La divisione meiotica consiste in due divisioni nucleari e citoplasmatiche successive, precedute da una sola duplicazione del corredo genetico. I tempi di divisione sono molto più lunghi di quelli della mitosi: nella specie umana la meiosi dura 24 giorni nel maschio ed addirittura decenni nella femmina; in quest‟ultima, infatti, le cellule destinate a divenire cellule uovo, iniziano la meiosi durante lo sviluppo del feto, e si arrestano precocemente per poi riprende molti anni più tardi con la pubertà. Meiosi I 1 cellula madre con 23 cromosomi (46 in seguito a duplicazione,23 coppie di omologhi), ciascuno formato da 2 cromatidi fratelli 2 cellule figlie (già aploidi) con 23 cromosomi, ciascuno formato da 2 cromatidi fratelli 4 cellule figlie con 23 cromosomi, ciascuno formato da 1 cromatide M I M II Biologia La meiosi I si distingue per una profase I molto prolungata. Inizialmente il materiale genetico si compatta e l‟involucro nucleare si frammenta. Successivamente avviene la sinapsi dei cromosomi omologhi, che in questo modo andranno a formare una struttura denominata tetrade. L'appaiamento dei cromosomi omologhi nella tetrade avviene grazie ad una struttura submicroscopica proteica, il complesso sinaptinemale, un insieme di proteine strutturali ed enzimi. Completato l'appaiamento degli omologhi, avviene il crossing-over(nella sottofase pachitene)(che inizialmente non si nota), fenomeno fondamentale che consiste nello scambio tra tratti omologhi di cromosomi omologhi, in conseguenza del quale si determina una ricombinazione e quindi una variabilità genetica. Per questo motivo, la meiosi genererà gameti sempre diversi. Dopo il crossing-over, i cromosomi omologhi di ogni tetrade cominciano a separarsi, soprattutto a livello del centromero, per la progressiva scomparsa del complesso sinaptinemale. Tuttavia i due cromatidi di ciascuna coppia di omologhi restano in contatto grazie a connessioni chiamate chiasmi, espressione morfologica dei punti in cui si è verificato il crossing-over. Su di una tetrade possono esserci più chiasmi, a sottolineare più eventi di scambia (2-3 in media per ogni tetrade). Nella fase terminale della profase I i cromosomi si compattano ulteriormente, i nucleoli scompaiono e si conclude l‟organizzazione del fuso. Durante le fasi successive della meiosi I, la cellula segue un percorso simile a quello descritto precedentemente per la mitosi. Tuttavia ci sono alcune differenze: x I quattro cromatidi sono uniti attraverso i chiasmi. x Non tutti i centromeri legano i microtubuli delle fibre del cinetocore, ma solo uno per ogni coppia di cromatidi fratelli, al contrario di quanto avviene durante la mitosi, dove tutti i centromeri stabiliscono rapporti con le fibre del cinetocore. x Le coesine, le quali tengono uniti i cromatidi fratelli a livello del centromero, non vengono degradate durante le fasi successive della meiosi I. Alla fine della meiosi I si avranno due cellule che conterranno un singolo set di omologhi, ma ciascuno di essi sarà ancora costituito da due cromatidi fratelli (entrambi di origine paterna o materna). Meiosi II Con la seconda divisione meiotica, a partire dalle due cellule che sono aploidi con cromosomi dicromatidici, si formeranno 4 cellule aploidi con cromosomi monocromatidici. Questa seconda divisione è molto simile alla mitosi. Come nella mitosi, e a differenza della meiosi I, tutti i centromeri entrano in rapporto con le fibre del cinetocore in modo che i due cromatidi fratelli possano essere segregati ai due poli opposti del fuso. La coesina, che non è stata eliminata nel corso della meiosi I ed unisce a livello dei centromeri i cromatidi fratelli, è degradata nell‟anafase della meiosi II. RIPRODUZIONE DEGLI ORGANISMI La riproduzione è un processo necessario per la conservazione e l‟evoluzione della specie (grazie alla variabilità). La riproduzione può essere sessuata, quando c‟è la fusione di due gameti (femminile e maschile), o asessuata, laddove un organismo si riproduce con meccanismi più semplici che però non introducono variabilità. I fenomeni di sessualità, intesa come scambio di informazioni genetiche, originano indipendentemente dalla riproduzione sessuata. Nei batteri la sessualità si esplica secondo tre distinti meccanismi: x La coniugazione è un processo che vede coinvolte due cellule che si scambiano informazioni genetiche. Lo scambio avviene grazie al pilo sessuale, un ponte che connette fisicamente le due cellule. In genere, viene ceduto DNA (o un plasmide) da un donatore a un ricevente. x La trasformazione prevede il trasferimento di materiale genetico tra organismi mediato da frammenti extracellulari di DNA. Quando un batterio assume dall‟esterno dei frammenti di DNA, li integra nel suo cromosoma acquisendo variabilità. Il rimescolamentodelpatrimoniogenetico è quindi garantito da due eventi importanti: ilcrossing-over, e l‟assortimento casuale dei cromosomi omologhi nella I divisione, e dei cromatidi fratelli nella II con formazione di nuove combinazioni. Biologia x La trasduzione è un meccanismo che vede il coinvolgimento dei virus, in particolare dei batteriofagi (o fagi, virus che infettano esclusivamente i batteri), che possono svolgere il ruolo di intermediari nel trasferimento di informazioni da un batterio ad un altro. Questi ultimi, dopo una prima infezione, potranno infettare altri batteri, trasferendo informazione genetica di un batterio ad un altro. Tutti i fenomeni di sessualità descritti sono fenomeni ricombinativi che nulla hanno a che vedere con la riproduzione. La riproduzione asessuata Anche detta agamica, riguarda principalmente i procarioti e i protisti (eucarioti unicellulari). Questa modalità riproduttiva prevede che a partire da un individuo nasca una progenie con identico patrimonio genetico. Possiamo quindi parlare di cloni ed il processo è simile ad una mitosi. Se da un lato gli svantaggi riguardano la mancanza di variabilità, e quindi scarsa adattabilità alle modificazioni ambientali, i vantaggi sono molteplici: non c‟è spreco di tempo né di energia nella ricerca di un partner, gli organismi non devono spostarsi per riprodursi, è difficile che si verifichino problemi di trasmissione, elevata velocità di riproduzione, etc. Tra le varie forme di riproduzione asessuata abbiamo: x La gemmazione si verifica quando da un organismo se ne forma uno nuovo come escrescenza del vecchio; quindi la cellula madre mantiene la sua identità. Tipica dei celenterati. x La frammentazione è una modalità riproduttiva che si verifica quando un organismo spontaneamente si rompe in più parti e da ciascun frammento si può ricostruire l‟intero organismo. x La sporulazione è tipica di funghi e piante, organismi che si servono di spore per riprodursi. Nelle piante superiori si osserva, di norma, un‟alternanza di generazioni: sporofito e gametofito. In breve, la generazione dello sporofito produce spore aploidi, che generano il gametofito, aploide. Il gametofito produce i gameti (maschili e femminili) che, all‟atto della fecondazione, restaurano la diploidia e danno vita allo sporofito (es. le felci). La riproduzione sessuata O gamica, prevede la fusione dei gameti, uno maschile ed uno femminile. I gameti possono essere prodotti da due individui diversi (specie gonoriche) o dallo stesso individuo (specie ermafrodite) ma devono essere necessariamente apolidi (n) in modo che con la fusione dei patrimoni genetici si possa restaurare il numero diploide (2n). Con il termine gametogenesi si intende l‟insieme dei processi che portano alla formazione dei gameti: spermatozoo e cellula uovo. Tre sono i momenti fondamentali della produzione dei gameti: 1. Formazione delle cellule germinali primordiali (PGC); 2. Migrazione delle PGC nell‟abbozzo delle gonadi; 3. Formazione dei gameti e controllo ormonale. Differenziamento delle gonadi Nei maschi, entro l‟ottava settimana, si verificano alcune modificazioni che porteranno alla formazione del testicolo. I cordonisessuali si insinuano profondamente nel mesenchima in posizione centrale o midollare. Si osserva un‟intensa attività proliferativa dei cordoni, che poi si fondono a formare la rete testis, circondata da uno strato di matrice extracellulare, la tonaca albuginea. All‟interno dei cordoni si trovano le cellule germinali che possono proliferare ma non possono cominciare la meiosi. Con la pubertà si formano i tubuli seminiferi e le cellule germinali cominciano a produrre gli spermatozoi che, attraverso la rete testis, raggiungono i dotti efferenti, che confluiscono prima nell‟epididimo e poi nel dotto deferente raggiungendo quindi l‟uretra ed infine l‟esterno del corpo. Contemporaneamente alcune cellule si differenziano in cellule di Leydig, cellule localizzate nello scomparto interstiziale, il tessuto presente fra i tubuli, e producono il testosterone. Le cellule dei cordoni testicolari si differenziano in cellule del Sertoli che, secernendo l‟ormone anti-mulleriano, favoriscono la regressione del dotto di Muller. Infatti, il fenotipo maschile necessita della produzione di ormoni in grado di indurre lo sviluppo del dotto di Wolff. Biologia Nella specie umana l‟ovogenesi è periodica: le donne hanno un‟ovulazione ciclica per cui ogni 28 giorni circa c‟è la maturazione di un ovocita. Gli ormoni dell‟ipotalamo, dell‟ipofisi e dell‟ovario concorrono ad integrare le diverse attività di ciclo ovarico, ciclo uterino e ciclo cervicale. Il ciclo viene diviso in 2 momenti: fase follicolare (1) o proliferativa e fase luteinica(2)o secretiva, ciascuna della durata di circa 14 giorni. Si considera come 1° giorno del ciclo il primo giorno di sanguinamento (mestruo); questo rappresenta l‟eliminazione della mucosa uterina ipertrofica che era pronta ad accogliere un‟eventuale blastocisti. 1) Il GnRH, prodotto dall‟ipotalamo, induce il rilascio delle gonadotropine da parte dell‟ipofisi. Comincia così la fase follicolare. Si osserva un iniziale incremento di FSH; questo induce la produzione di estradiolo ed anche l‟incremento dei recettori per l‟LH. Dopo poco l‟ipofisi, in seguito al picco di estradiolo (un estrogeno), comincia a secernere anche l‟LH, il cui picco induce la ripresa della meiosi I con la formazione del primo globulo polare e l‟inizio della meiosi II fino allo stadio di metafase. Il picco di LH e di estrogeni induce l’ovulazione, momento durante il quale l‟ovocita viene espulso dalle ovaie. Questoavviene intorno al 14° giorno grazie all‟intervento di alcune sostanze: x Collagenasi e l‟attivatore del plasminogeno –Enzimi che inducono la digestione della parete del follicolo con la formazione di un foro attraverso cui l‟ovocita fuoriesce per essere catturato dalle tube di Falloppio. x Prostaglandine – Avrebbero un ruolo nell‟indurre la contrazione della muscolatura liscia. L‟ovocita II è rilasciato nelle tubediFalloppio, fermo alla metafase II, dove è pronto per essere fecondato. Gli estrogeni, la cui secrezione è regolata dall‟LH e dall‟FSH, hanno molteplici funzioni: a livello dell‟utero stimolano la proliferazione della mucosa e la sua vascolarizzazione; a livello del muco cervicale operano provocandone un assottigliamento che favorisce il passaggio degli SPZ. 2) Dopo l‟ovulazione comincia la fase luteinica del ciclo. Per effetto dell‟LH, quello che resta del follicolo all‟interno dell‟ovario si trasforma in corpo luteo, che secerne prevalentemente progesterone. Questo steroide è molto importante perché nell‟utero si crei l‟ambiente adatto all‟impianto della blastocisti; esso agisce stimolando l‟ipertrofia sia della parete che dei vasi sanguigni. Il progesterone ha anche un altro effetto che è quello di bloccare la produzione di FSH e quindi di inibire lo sviluppo di altri follicoli. Se l‟ovocita non viene fecondato, il corpo luteo degenera, si esaurisce la secrezione di progesterone e la mucosa uterina si sfalda. Con il decremento del progesterone, l‟ipofisi riceve lo stimolo a secernere di nuovo FSH ed il ciclo ricomincia. Se l‟ovocita viene fecondato, il trofoblasto comincia a secernere la luteotropina, un ormone che mantiene attivo il corpo luteo e quindi i livelli di progesterone elevati. Differenze fra spermatogenesi ed ovogenesi Mentre la spermatogenesi è un processo continuo che comincia con la pubertà e continua fino a tarda età, l‟ovogenesi comincia durante lo sviluppo embrionale e, dopo un blocco che dura fino alla pubertà, continua dal menarca (la prima mestruazione) fino alla menopausa (40-50 anni) con produzione di un numero molto limitato di gameti maturi (400 circa). Il fatto che la produzione dei gameti femminili cominci già durante la vita intrauterina rappresenta una sorta di handicap, infatti le donne producono gameti sempre più “vecchi” ed è infatti legata all‟età della madre una serie di malattie genetiche dovute a meccanismi di non disgiunzione meiotica, prima fra tutte la sindrome di Down. Da uno SPC I otteniamo 4 spermatozoi, da un ovogonio una sola cellula uovo matura. L‟ovocita è molto più grande, immobile, contiene tutto il necessario per dare inizio allo sviluppo del nuovo individuo (RNA, macchinario sintesi proteica, organuli, etc…). Lo SPZ è piccolo, dotato di un flagello, quindi mobile. Partenogenesi e metagenesi La partenogenesi è una modalità di riproduzione che prevede lo sviluppo dell‟uovo senza l‟intervento dello SPZ. Può essere naturale o sperimentale, se avviene in seguito a manipolazioni effettuate in laboratorio. Biologia Il fenomeno della metagenesi è tipico di alcuni organismi, come il plasmodio della malaria, che presenta alternanza di riproduzione sessuata ed asessuata. GENETICA MENDELIANA La genetica è la scienza dell‟ereditarietà, in altre parole studia la trasmissione delle caratteristiche ereditarie. Questa inizia a svilupparsi agli inizi del „900, avendo come base gli studi del monaco naturalista Mendel L‟espressione genetica mendeliana indica i quadri fondamentali dell‟ereditarietà che fanno riferimento al concetto di unità genetica fondamentale, il gene. Termini utili x Carattere selvatico – La versione che si ritrova comunemente in natura in ogni specie e caratteristica; x Carattere – Una proprietà di un organismo geneticamente determinato; x Fattore – I caratteri sono determinati da unità ereditarie, che Mendel definì fattori, portati dalle cellule germinali: un fattore per ogni gamete. x Tratto – Particolare forma di un carattere; x Carattere ereditario – Caratteristica che viene trasmessa da una generazione all‟altra. In molti casi un carattere presenta una dominanza (carattere dominante) sulle altre versioni dello stesso carattere (caratteri recessivi),la cui comparsa si manifesta in percentuali minori; x Fenotipo – Apparenza fisica di un carattere; x Gene – Unità di eredità; x Allele – Forma alternativa di un singolo gene; x Genotipo – Costituzione allelica o genetica di un organismo; x Omozigote – Un individuo contenente alleli identici per un gene; x Eterozigote – Un individuo contenente alleli diversi per un gene; x Test-cross – Incrocio tra individuo a fenotipo dominante di cui non si conosce il genotipo con l‟omozigote recessivo. Il termine allele si riferisce alle forme alternative di un gene. Ciascuna (esempio) pianta a stelo lungo della generazione F1 ha due alleli differenti che controllano l‟altezza della pianta: un allele dominante per lo stelo lungo (S) e un allele recessivo per lo stelo corto (s), ma dal momento che l‟allele per lo stelo lungo è dominante, queste piante sono a stelo lungo. Il termine locus si riferisce ad un segmento di DNA che possiede l‟informazione necessaria al controllo di qualche aspetto di un organismo. Un locus può determinare il colore del seme, un altro la forma, etc... Gli alleli sono pertanto geni che controllano varianti diverse dello stesso carattere e occupano loci corrispondenti sui cromosomi omologhi. L‟incrocio monoibrido Il caso più semplice della genetica mendeliano è rappresentato dall‟incrocio monoibrido, che è un incrocio fra due individui che portano alleli diversi di un singolo locus. Per condurre efficacemente le sue prove, Mendel incrociò piante di due differenti linee pure con fenotipi diversi (Generazione parentale P). La prima generazione filiale (F1) era costituita da individui tutti uguali che, per un certo carattere, somigliavano sempre e solo ad uno dei due genitori (carattere dominante). La F1 era costituita da individui eterozigoti (Ss) per un determinato carattere preso in osservazione. La seconda generazione filiale (F2), prodotta per incrocio d‟individui della F1, mostrava per ¾ il carattere della F1, ma per ¼ il carattere della generazione P che sembrava essersi perso nella F1. Il genotipo era SS:Ss:ss nel rapporto 1:2:1. La dominanza non è prevedibile, in altre parole la dominanza non è una caratteristica intrinseca dell‟allele, ma una proprietà relativa di un allele rispetto a un altro. Un incrocio diibrido coinvolge individui che possiedono alleli diversi in due loci Biologia Mendel analizzò anche incroci fra individui che differivano per gli alleli di due loci; un incrocio di questo tipo è chiamato incrocio diibrido. Consideriamo il caso in cui abbiamo due coppie di alleli: un paio è situato su un paio di cromosomi omologhi, mentre l‟altro paio di alleli è localizzato su un differente paio di cromosomi omologhi. Ogni coppia di alleli è ereditata indipendentemente; ovvero, durante la meiosi segrega indipendentemente l‟una dall‟altra. Se incrociamo una cavia a pelo nero e corto omozigote (BBSS) con una a pelo nero marrone e lungo (bbss), l‟individuo con genotipo BBSS produce gameti tutti uguali bs, e l‟individuo bbss tutti gameti bs. L‟unione dei gameti BS, e bs produce individui con genotipo BbSs. Pertanto, tutti gli individui della F1 sono eterozigoti sia per il colore che per la lunghezza del pelo e fenotipicamente sono neri a pelo corto. Ogni cavia della generazione F1 produce quattro tipi di gameti con la stessa probabilità: BS, Bs, bS e bs. Si può quindi costruire un quadrato di Punnett costituito da 16 riquadri che rappresentano gli zigoti, alcuni dei quali sono genotipicamente o fenotipicamente del tutto simili. Dunque, nella generazione F2 di un incrocio diibrido il rapporto fenotipico atteso è 9:3:3:1. Le leggi di Mendel 1. Legge della dominanza. Tutti i soggetti di F1, prodotti dall‟incrocio di due individui parentali di linea pura, che differiscono per un carattere e mostrano cioè due fenotipi alternativi, presentano solo uno dei due caratteri (fenotipo) che viene detto dominante (sono tutti geneticamente ibridi). La forma alternativa che rimane latente è detta recessiva. 2. Legge della segregazione (o disgiunzione) dei caratteri. I soggetti della prima generazione (F1), incrociati tra di loro producono una progenie dove compaiono entrambi i fenotipi parentali. Il genotipo segue il rapporto 1:2:1. Inoltre ogni individuo possiede due fattori per ogni coppia di alleli, uno paterno e uno materno. Quando si formano i gameti, i fattori si dividono e ogni gamete possiede uno solo dei fattori. 3. Legge della indipendenza dei caratteri o della segregazione (assortimento) indipendente dei caratteri. Nell‟incrocio di due soggetti che differiscono per due caratteri, ciascuno di essi viene trasmesso ed ereditato indipendentemente l‟uno dall‟altro. Nella progenie, infatti, i caratteri compaiono in tutte le possibili combinazioni in quanto le due coppie di allelli risiedono su due diverse coppie di cromosomi omologhi. GENETICA CLASSICA I geni associati non assortiscono indipendentemente Le ricerche del genetista Morgan, iniziate nei primi anni del „900, portarono ad estendere il concetto della teoria cromosomica dell‟ereditarietà. L‟organismo modello utilizzato da Morgan era il moscerino della frutta (Drosophila melanogaster); 4 coppie di cromosomi delle quali una coppia è sessuale. Morgan dimostrò che i geni sono disposti in maniera lineare su ciascun cromosoma. Morgan mostrò anche che l‟assortimento indipendente non è applicabile se due loci sono vicini tra di loro sulla stessa coppia di cromosomi omologhi. Nel moscerino c‟è un locus che controlla la forma delle ali: l‟allele dominante V per le ali normali e l‟allele recessivo v per le ali vestigiali. Un altro locus controlla il colore del corpo: l‟allele dominante B per il grigio e l‟allele recessivo b per il nero. Se un moscerino BBVV è incrociato con un moscerino bbvv, i moscerini della F1 hanno tutti corpo grigio e ali normali e il loro genotipo è BbVv. Dal momento che questi loci sono localizzati vicini tra loro sulla stessa coppia di cromosomi omologhi, i loro alleli non si combinano indipendentemente ma, al contrario, tendono ad essere ereditati insieme e si dice che sono geni associati. L‟associazione (linkage) è la tendenza di un gruppo di geni localizzati sullo stesso cromosoma ad essere ereditati insieme nelle generazioni successive. L‟associazione si osserva analizzando i risultati di un reincrocio tra moscerini F1 eterozigoti (BbVv) e moscerini omozigoti recessivi (bbvv). E‟ chiamato reincrocio a due punti perché sono coinvolti gli alleli di due loci. Biologia sono controllati da tre alleli di un singolo locus. L‟allele IA codifica per la sintesi di una specifica glicoproteina, l‟antigene A, espressa sulla superficie dei globuli rossi. Gli antigeni sono sostanze in grado di stimolare la risposta immunitaria. L‟allele IB porta alla produzione dell‟antigene B. Gli individui con genotipo IAIA o IAi hanno il gruppo sanguigno A(può donare a A e AB, ricevere da A e O); quelli con genotipo IBIB o IBi il gruppo B(può donare a B e AB, ricevere da B e 0); quelli con genotipo IAIB il gruppo AB(può donare solo ad AB, e ricevere da tutti), e quelli con genotipo ii il gruppo 0 (può ricevere solo da 0 e donare a tutti). Questi risultati dimostrano che gli alleli IA e IB non sono dominanti l‟uno rispetto all‟altro, ma sono codominanti, in quanto nell‟eterozigote sono entrambi espressi, ma entrambi sono dominanti rispetto all‟allele i. Allelia multipla Analizzando lo stesso caso dei gruppi sanguigni AB0, si può notare come, in certi casi, esistono tre o più alleli per un dato locus, allora quel locus ha alleli multipli. Pleiotropia E‟ quel fenomeno in cui lo stesso gene influenza diversi caratteri. La maggior parte dei geni, infatti, può avere più di un effetto fenotipico distinto e tale proprietà è definita pleiotropia. Epistasi L‟epistasi è una forma d‟interazione genica in cui la presenza di determinati alleli in un locus può impedire o mascherare l‟espressione di alleli in un altro locus. Eredità poligenica Il termine eredità poligenica si usa quando più coppie di geni indipendenti hanno effetti simili e additivi sullo stesso carattere, quando alleli di più loci diversi governano l‟espressione di ciascun carattere. GENETICA UMANA La trasmissione dei caratteri nella specie umana L‟individuo umano è caratterizzato da informazioni che vengono trasmesse da generazione in generazione in quanto contenute nei 46 cromosomi. I principi dell‟ereditarietà scoperti da Mendel si applicano a tutti gli organismi a riproduzione sessuata ed in generale anche agli essere umani. Le caratteristiche ereditarie umane possono essere generalmente riportate alle seguenti modalità di trasmissione: x Eredità autosomica – Dominante o recessiva. Caratteri specificati da alleli che risiedono su uno degli autosomi; vengono trasmessi con la stessa frequenza nei due sessi. x Eredità associata al sesso – X-linked dominante, X-linked recessivo e Y linked. Caratteri, specificati da alleli che risiedono sui tratti degli eterocromosomi, che vengono trasmessi con diversa frequenza nei due sessi. x Eredità mitocondriale – Caratteri specificati da alleli presenti nel DNA mitocondriale e per questo di origine materna. E‟ importante introdurre il concetto di penetranza. Questo corrisponde alla frequenza con cui, dato un certo genotipo, si manifesta il fenotipo corrispondente. La penetranza può esserecompleta (100%) o incompleta (<100%). Caratteri autosomici dominanti Un carattere autosomica dominante, specificato da una coppia di alleli presenti in un singolo locus, segregherà secondo le leggi mendeliane. Esso si manifesterà fenotipicamente anche quando sarà presente una sola copia dell‟allele mutato. Tale modalità di trasmissione ha le seguenti particolarità: x Maschi e femmine trasmettono il carattere con la stessa frequenza; x Ogni individuo con il fenotipo considerato ha almeno un genitore con la stessa manifestazione; x In una famiglia, il carattere passa attraverso le generazioni senza salti; Biologia x Ciascun individuo con il fenotipo considerato lo trasmetterà alla metà delle progenie dei figli (avrà il 50% di probabilità di generare figli con lo stesso fenotipo); x Nel caso di unione tra due individui eterozigoti il 25% della progenie potrà non manifestare il fenotipo considerato; Tra gli esempi, normali o patologici: fossetta del mento, malattia di Huntington, brachidattilia, etc… Caratteri autosomici recessivi Questo tipo di caratteri autosomici per potersi esprimere necessita della doppia dose allelica. Tra i caratteri autosomici fisiologici possiamo citare il carattere capelli rossi. Riguardo tale modalità di trasmissione: x Se i genitori non manifestano il carattere recessivo saranno portatori sani (eterozigoti); x Il carattere “salta” le generazioni; x Individui maschi e femmine trasmettono il carattere con la stessa frequenza ai figli; x Due figli che manifestano il carattere (omozigoti recessivi) generano tutti figli con lo stesso fenotipo; x Nel caso di unione tra un soggetto portatore ed uno omozigote recessivo, vi è ½ delle probabilità di generare figli con lo stesso fenotipo. Nel caso di unione tra due individui eterozigoti la probabilità di generare figli con il fenotipo recessivo è pari ad ¼. Esempi: fibrosi cistica, anemia falciforme. Caratteri X-linked recessivi (emofilia, distrofia di Duchenne) x Il carattere si esprime nei due sessi ma con differente frequenza; x Donne con il carattere (omozigoti) generano tutti i figli maschi con il carattere; x Donne, figli di maschi con il carattere, sono portatrici (eterozigoti) in quanto possiedono il relativo singolo allele; x ½ dei figli maschi di madri portatrici presentano il carattere; x Maschi con il carattere (emizigoti) non possono trasmetterlo ai figli maschi; x Donne con il carattere (omozigoti) sono figlie di un padre con il carattere ed una madre che sia almeno portatrice. Caratteri X-linked dominanti x Il carattere fenotipizza nei due sessi ma con una frequenza che spesso è difficile da riconoscere nel confronto con i caratteri autosomici; x Statisticamente questi caratteri fenotipizzano maggiormente nelle femmine; x Donne con il carattere, se omozigoti, generano tutti i figli maschi (emizigoti) e femmine (eterozigoti) con il carattere; x Maschi con il carattere trasmettono a tutte le figlie il carattere, che lo fenotipizzeranno; x Donne con il carattere, se eterozigoti, trasmetteranno il relativo allele ad ½ dei figli, sia maschi che femmine, che avranno lo stesso fenotipo della madre; Caratteri Y-linked Il carattere si esprime soltanto nel sesso maschile, il carattere viene trasmesso “verticalmente” nelle varie generazioni ma avanzando di padre in figlio maschio. Eredità mitocondriale Ciascun mitocondrio ha un proprio genoma costituito da una molecola di DNA circolare a doppio filamento. E‟ stato stimato che il DNA dei mitocondri muta con una frequenza circa 20 volte superiore a quella del genoma nucleare della cellula. Probabilmente questo alto tasso di mutazione è da imputare alla produzione di radicali liberi dell‟ossigeno ed al fatto che il mitocondrio è sprovvisto di sistemi di riparazione dei danni che si vanno accumulando nel tempo e quindi con il naturale invecchiamento delle cellule si ha un accumulo di danni al DNA mitocondriale. L‟ovocita, che possiede molti mitocondri, viene fecondato dallo spermatozoo che contribuisce alla formazione dello zigote fornendo soltanto il proprio nucleo; tutto il citoplasma dello zigote (compresi i mitocondri) è rappresentato esclusivamente da quello dell‟oocita. Pertanto eventuali caratteri dovuti ad alleli che mappano su geni del DNA mitocondriale, sono trasmessi dalla madre a tutti i figli Biologia indipendentemente dal sesso. Le loro manifestazioni fenotipiche sono tuttavia variabili e non sempre equivalenti. Per la specifica funzione dei mitocondri, gli effetti di mutazioni mitocondriali portano a forme di miopatia ed encefalopatia (gli effetti si rilevano sui tessuti ad alto consumo energetico, quali cuore, mm. scheletrici e SNC, perché essi sono maggiormente suscettibili alle carenze di energia). Biologia Non cambia quindi nulla dal punto di vista quantitativo, ma il cambiamento lo si ha nell’associazione tra i geni, e al momento della gametogenesi quando si avrà produzione di gameti sbilanciati. Se consideriamo quindi due cromosomi normali N1 ed N2, e due traslocati T1 e T2, possiamo distinguere tre casi di assor timento: 1. Che N1 ed N2 migrino ad un polo eT1 eT2 ad un altro. In questo caso i gameti contengono una serie completa di geni ciascuno e quindi saranno vitali. 2. Che N1 e T2 migrino ad un polo e N2 e T1 all’altro. In questo caso, che è piuttosto frequente , i gameti che si formano contengono delezioni e duplicazioni, e spesso non sono vitali. 3. Che N1 e T1 migrino ad un polo e N2 e T2 all’altro. In questo caso, che è piuttosto raro, i gameti saranno quasi sicuramente non vitali perchè contengono un alto tasso di delezioni e duplicazioni. Un esempio di traslocazione è rappresentato dal cromosoma Philadelphia che prende il nome dalla città in cui è stato per la prima volta identificato. Si osserva in questo caso una traslocazione reciproca che vede coinvolti il cromosoma 9 e quello 22. In particolare si considera il proto-oncogene abl, che viene trasferito al cromosoma 22 da quello 9. Tale spostamento conduce ad una formazione neoplastica che porta a leucemia mieloide cronica, con crescita incontrollata dei mieloblasti, ovvero le cellule staminali dei globuli bianchi. Tale patologia, sembra sia dovuta al fatto che in seguito allo spostamento, il gene abl sintetizzi per una proteina di fusione che presenta un’elevata attività tirosin -chinasica. Altro esempio di traslocazione reciproca, che interessa però i cromosomi 8 e 14, è il linfoma di Burkitt, tumore, di origine virale, che interessa le cellule B del sistema immunitario. In particolare, in questo caso, è il gene c-myc che viene spostato dal cromosoma 8 a quello 14, con conseguente iperproduzione della proteina Myc che genera formazioni neoplastiche. Alcune traslocazioni non reciproche invece, interessano il trasferimento di una estremità di un cromosoma, sul centromero di un cromosoma acrocentrico. In questo caso si ottiene la cosiddetta fusione centrica o traslocazione robertsoniana, responsabile della Sindrome di Down familiare. In questo caso, la sindrome di Down, è causata da una traslocazione che vede coinvolti il cromosoma 14, o quello 15, con quelo 21. Gli individui affetti, pur presentando un assetto cromosomico di 46 cromosomi, hanno una parziale trisomia del cromosoma 21 in quanto posseggono il cromosoma traslocato che hanno ereditato da uno dei genitori. Di fatto, in seguito alla traslocazione, si forma un singolo cromosoma submetacentrico, costituito dalla fusione dei bracci lunghi dei cromosomi 14 e 21, mentre dalla fusione dei due bracci corti si origina un cromosoma molto piccolo, privo di centromero, che si perde. Un soggetto portatore di questa traslocazione alla conta dei cromosomi appare monosomico, e quindi con 45 cromosomi, ma di fronte ad un’accurata analisi citogenetica si rilevano tutte le quote cromosomiche, e quindi una quasi compiuta diploidia.Tutte le informazioni dei cromosomi 14 e 21 sono infatti presenti nel nuovo cromosoma metacentrico, che deriva dalla fusione centrica, sia negli altri cromosomi 21 e 14 che sono normalmente presenti. Un tale soggetto quindi, è Biologia definito come un falso monosomico, e non presenta alcuna sintomatologia di Down, ma avendo un cromosoma traslocato può generare sia figli affetti che figli normali . La separazione dei cromosomi può infatti portare a gameti con un cromosoma in più o in meno , con il cromosoma traslocato o con un set cromosomico normale. VARIAZIONI DEL NUMERO DEI CROMOSOMI. Il numero cromosomico caratteristico della specie, è rappresentato dal set aploide per quanto riguarda i gameti, mentre risulta diploide per le cellule somatiche. Gli individui di una specie che portano nelle proprie cellule un numero cromosomico differente da quello caratteristico vengono detti eteroploidi, mentre eteroploidia è la variazione numerica . Tali assetti diversi sono riconducibili a due categorie, che sono la euploidia e la aneuploidia. Nel primo caso si parla di una condizione nella quale l’intero set cromosomico risulta variato, nel secondo si intende la variazione del numero di cromosomi con riferimento alla singola coppia o unità cromosomica . Individui, o cellule, sono definiti monoploidi se presentano soltanto un numero n di cromosomi caratteristico della specie, poliploidi se invece presentano una variazione del set cromosomico per multipli interi. Di solito, si origina poliploidia quando, durante la divisione cellulare, alla cariocinesi non segue la citocinesi. Si possono verificare fenomeni di endomitosi, che accade quando durante la divisione cellulare non vi è un regolare coinvolgimento dell’apparato mitotico , per cui l’involucro nucleare non si dissolve ed il processo di separazione dei cromatidi avviene all’interno del nucleo. Ma si può verificare anche il fenomeno della endoreduplicazione, per cui ad ogni divisione cellulare i cromosomi duplicati non si separano generando una condizione di politenia. In questo caso i cromosomi appaio molto ispessiti e possono contenere anche migliaia di filamenti cromatidici, e prendono il nome di cromosomi politenici. La poliploidia non è una condizione molto diffusa nel regno animale . Inoltre se il numero di assetti cromosomici è un multiplo di due , è possibile che i soggetti siano fertili, almeno parzialmente, mentre se il numero di cromosomi è dispari , si ha sempre una condizione di sterilità. Nella specie umana, triploidia e tetraploidia sono condizioni che si verificano con qualche frequenza e non sono compatibili con la vita, quindi portano ad aborti spontanei, mentre nel regno vegetale è una condizione piuttosto frequente . La variazione nel numero di cromosomi per singole unità è definita aneuploidia e se ne può avere di vari tipi. Si può considerare una nullisomia , che corrisponde ad una totale assenza di una intera coppia di omologhi o altre. Di solito una cellula aneuploide si origina durante la I o la II divisione meiotica, per anomalie a carico della distribuzione dei cromosomi o dei cromatidi ai poli del fuso, ma anche a causa di errori nella ripartizione dei cromatidi mitotici possono portare ad analoghe conseguenze . In Biologia particolare una aneuploidia si può verificare in anafase , da fenomeni di non disgiunzione sia dei cromosomi appaiati in tetrade che per una mancata scissione del centromero con mancata separazione dei cromatidi fratelli. Come conseguenza, le cellule prodotte conterranno entrambi i componenti di una coppai di omologhi l’una, mentre l’altra nessuno dei due cromosomi. Esistono numerose condizioni di aneuploidia nella specie umana e tra queste vi sono le note monosomie o trisomie compatibili con la vira. Le condizioni di aneuploidia dipendono più frequentemente da una non disgiunzione meiotica a carico degli autosomi, nel caso delle aneuploidie autosomiche, o dei cromosomi sessuali, nel caso delle aneuploidie sessuali, quasi sempre in relazione all’età materna . Aneuploidie autosomiche. La maggior parte delle trisomie degli autosomi e la totalità delle monosomie sono così gravi da essere incompatibili con la vita.Tali anomalie possono infatti portare ad un mancato impianto dell’embrione già al livello della blastocisti , o alla formazione di embrioni con gravi difetti organogenetici, con presenza di ulteriori cromosomi soprannumerari, che determinano la morte del feto. Alcune trisomie degli autosomi sono compatibili con un completo sviluppo dell’embrione e con la vita, anche se i bambini nati hanno, quasi sempre, un fenotipo con gravi anomalie. Le più note condizioni di trisomia degli autosomi riguardano il cromosoma 21, il cromosoma 18 ed il cromosoma 13. TRISOMIA DEL CROMOSOMA 21. Questa trisomia è forse quella che costituisce la più comune variazione del set cromosomico riscontrabile nella specie umana, e dà origine alla cosiddetta sindrome di Down . Se ne distingue un tipo primario, con cariotipo 47,XX,+21 o 47,XY,+21, ed un tipo secondario frutto di traslocazione robertsoniana. In circa il 2% dei soggetti affetti, possono inoltre essere presenti linee cellulari somatiche a diverso cariotipo, sia normale che trisomico, che costituiscono così un mosaico cromosomico e spesso un fenotipo clinico lieve. Tale condizione inoltre si osserva con una frequenza che varia in funzione dell’età delle madri : maggiore rischio di generare un figlio Down persiste per madri in età avanzata, in quanto avrebbero maggiori possibilità di produrre ovociti anomali per errori di non disgiunzione primaria. Anche cambiamenti ormonali tuttavia possono innalzare il rischio, che si presenta di 1/1700 e 1/1400 rispettivamente per madri al di sotto dei 20 o dei 20-30 anni, mentre si innalza fortemente, fino a quasi 1/15, per madri sopra i 45 anni. La sindrome è caratterizzata da brachicefalia, viso tondeggiante, obliquità della rima palpebrale , facies orientaleggiante, sella nasale appiattita, palato stretto, padiglioni auricolari ripiegati, ipotonia muscolare, mani piccole e dita brevi, frequenti cardiopatie, modesta difesa immunitaria, statura bassa rispetto alla media a causa di un minore sviluppo dell’apparato scheletrico e ritardo mentale più o meno grave. Tutto ciò si accompagna a rilevanti deficit nelle capacità motorie e può portare a ad uno stato di atrofia cerebrale se i soggetti non sono assistiti sotto il Biologia DARWIN E L’EVOLUZIONE Biologia
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