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Biologia Molecolare e Cellulare, Sbobinature di Biologia Molecolare

Sbobinature di biologia molecolare,, prese a lezione complete di approfondimenti dal libro e immagini illustrative utili a superare l'esame.

Tipologia: Sbobinature

2018/2019

In vendita dal 19/07/2019

Biolbi
Biolbi 🇮🇹

4.6

(27)

57 documenti

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Scarica Biologia Molecolare e Cellulare e più Sbobinature in PDF di Biologia Molecolare solo su Docsity! BIOLOGIA MOLECOLARE Prima lezione, 09/02/2015 GENOTIPO, FENOTIPO E EPIGENOTIPO Il genotipo è l’insieme dei geni (blocchi di informazione che codificano una proteina) presenti all’interno di un genoma che compone il DNA di un organismo o di una popolazione. Modalità alternative di definire il genotipo sono anche: corredo genetico, assetto genetico, identità genetica, costituzione genetica e costituzione allelica (dove per allele in molti casi si intende un sinonimo di gene). Il genotipo rappresenta un’informazione potenziale, che si estrinseca attraverso il flusso di informazione genica in proteine che condizionano la funzione cellulare, determinando, pertanto, la manifestazione morfologica del genotipo, che è il fenotipo. Il fenotipo è l’insieme dei caratteri osservabili di un organismo e definisce come siamo dal punto di vista fisiologico-molecolare. Per molti anni si è ritenuto che il genotipo fosse necessario e sufficiente per determinare il fenotipo, in realtà si è scoperto che il genotipo da solo non è in grado di definire il fenotipo in maniera causale, ma che lo determina interagendo con l’ambiente. È stata quindi introdotta una nuova definizione: quella di epigenotipo, che include quell’aspetto dell’ambiente che interagisce con il genotipo per dare il fenotipo (es: due gemelli monozigotici fatti vivere in posti diversi o sottoposti ad attività fisica differente presentano aspetti fenotipici diversi). L’epigenotipo è quella quota di informazione che è essa stessa ereditaria (come il genotipo), ma non determina una modificazione dell’assetto genetico. Ne è un esempio la cellula uovo fecondata, in quanto il suo genoma deriva per metà dalla madre e per metà dal padre; una volta diventata zigote può dividersi e le cellule che ne derivano possono iniziare processi differenziativi di tipo diverso. Tutte le cellule del nostro organismo, pur avendo lo stesso genotipo, presentano fenotipi diversi; quindi anche nel processo di differenziamento, che porta una cellula totipotente (qual è la cellula embrionale) a produrre cellule con fenotipo differenziato, ci deve essere nella definizione del fenotipo un contributo ulteriore rispetto al solo genotipo e dunque ci deve essere una regolazione di tipo epigenetico. In sostanza il fenotipo è la risultante della relazione tra geni ed ambiente. Pertanto la variazione di fenotipi totale è data dalla somma delle variazioni genetiche fra due individui, più la somma delle variazioni ambientali (lo si può notare nel caso dei gemelli omozigoti, in cui la variazione di tipo genetico è pari a zero e, dunque, la risultante varianza nel fenotipo è data esclusivamente dal fattore ambientale). VT = VG + VA Si ritiene che, nella determinazione di un fenotipo, il 30% dipende dall’assetto genetico, il 30% dall’ambiente e il 30% dal caso. La regolazione epigenetica entra anche nel merito dello sviluppo embrionale: l’uomo è composto da circa 100 mila miliardi di cellule eucarioti che derivano tutte da uno stesso zigote, condividendo lo stesso genotipo, ma presentano circa 200 fenotipi diversi. È anche presente un pool di cellule che rimangono totipotenti (gameti) o pluripotenti (cellule staminali). Per comprendere al meglio il processo di differenziamento e la regolazione epigenetica con cui questo avviene bisogna pensare ad una cellula, derivata dall’embrione precoce per dare origine ad una cellula differenziata, che scorre in una sorta di “profilo ambientale” chiamato epigenetic landscape, in cui compie delle scelte, in molti casi irreversibili. I meccanismi epigenetici portano a determinare la scelta da parte di una cellula di esprimere certi geni e di silenziarne altri. Gli aspetti principali che consentono la regolazione epigenetica dell’espressione genica sono dovuti a meccanismi molecolari che non modificano le sequenze di DNA contenute nel genoma, ma modificano la struttura della cromatina in modo da renderla accessibile o meno ai sistemi deputati alla trascrizione dei geni. Anche il fenotipo patologico è influenzato dall’epigenetica e quindi da fattori come l’alimentazione, le condizioni ambientali, l’attività fisica e le interazioni sociali. Per il fatto che si possono esprimere diversi fenotipi in funzione delle condizioni ambientali a partire dallo stesso genotipo, si parla di plasticità fenotipica. Il tessuto muscolare e quello nervoso ne sono i migliori esempi, in quanto vi è un’integrazione per una funzione biologica fra informazione potenziale del genotipo e informazione derivata dall’ambiente. Un problema che le cellule di tutti gli organismi hanno è quello di mantenere la stabilità genomica, l’integrità delle sequenze potenziali presenti nel DNA. Sono 7 i modi in cui si può preservare la stabilità genomica in maniera tale da abbassare il numero di eventuali mutazioni che possono instaurarsi a causa di eventi che fanno parte del metabolismo quotidiano delle cellule (per esempio durante la fosforilazione ossidativa alcuni elettroni riducono in modo non completo l’ossigeno e vengono a formarsi specie ROS altamente reattive che modificano le basi azotate del DNA). Alcune alterazioni di questi meccanismi che favoriscono il mantenimento della stabilità genomica possono essere associate a patologie. Si prenda in esempio la sindrome di Werner (o sindrome da invecchiamento precoce) per cui gli enzimi che prevengono l’accorciamento delle estremità dei cromosomi (telomerasi) non funzionano correttamente e si ha un invecchiamento precoce nelle cellule (in particolare nei fibroblasti) del nostro organismo, nonché l’insorgenza di eventuali tumori. Vi sono poi vie di riparazione del DNA difettose che rendono il soggetto più suscettibile all’effetto dannoso di agenti in grado di modificare chimicamente il DNA, come per quanto riguarda l’esposizione a radiazione ultravioletta che, in casi di malfunzionamento di alcuni meccanismi di regolazione, causa lo xeroderma pigmentoso. Mentre nella maggior parte delle cellule del nostro organismo vale il requisito del mantenimento della stabilità genomica, vi sono certi tipi cellulari in cui questo non avviene, anzi viene tutelato l’effetto contrario accentuando il livello di variabilità genomica. Ciò avviene nelle cellule del sistema immunitario (in particolare nei linfociti B) e serve per garantire la capacità da parte di queste cellule di produrre proteine (in questo caso anticorpi) che riconoscano la più vasta gamma possibile di antigeni diversi. Queste cellule (dotate di un genotipo composto da circa 19 mila geni) producono 108 varianti proteiche diverse e questa possibilità è dovuta a una serie di processi fra cui lo splicing alternativo, ma soprattutto al fatto che in determinati distretti del nostro sistema immunitario, in particolare nei linfonodi, vi sono delle strutture fisiche, i centri germinativi, dove i linfociti B in fase di maturazione incontrano l’antigene e i processi di mantenimento della stabilità genomica hanno un punto di debolezza. In tal modo il livello di mutazione risulta enormemente aumentato grazie ad alcuni sistemi enzimatici che introducono variabilità genomica in queste cellule per garantire che da un numero limitato di geni possano risultare dei prodotti proteici molto diversi tra loro e numericamente molto elevati. COMPLESSITA’ CELLULARE Nell’uomo sono presenti circa 1014 cellule e 200 tipi cellulari differenti, il che rivela la sua complessità cellulare. Molto importante è la compartimentazione subcellulare (per cui la cellula non risulta essere un blob, ma è strutturata e organizzata in suborganelli) da cui deriva anche una compartimentazione del flusso dell’informazione genica (in quanto il DNA è presente sia all’interno del nucleo della cellula che nei mitocondri). Perciò, per veicolare al resto della cellula l’informazione genica contenuta nel nucleo, essa deve uscire: il DNA deve essere trascritto a RNA e quest’ultimo tradotto nel citoplasma in proteine che seguono il loro destino attraverso il cosiddetto “traffico subcellulare”. Dunque, la cellula risulta nel complesso un sistema integrato con alcuni geni più importanti di altri: uno di essi è il P53 (gene soppressore tumorale per eccellenza; il più mutato nei tumori umani) che è così importante perché si trova nei punti centrali e nevralgici di questi network di interazione molecolare in una cellula. Il nostro organismo possiede, inoltre, poco più di un chilo di batteri simbionti che a volte possono diventare patogeni e la loro informazione genetica pare che possa scambiarsi con quella delle cellule eucariotiche. Questo insieme di batteri costituisce il microbiota o microbioma. CELLULE EUCARIOTICHE BATTERI Dimensioni DNA 2 m 1 mm (chiamati varianti di splicing). Quindi anche mutazioni degli introni possono avere gravi ripercussioni, in quanto possono causare un’alterazione dello splicing corretto. L’insieme dei geni di un organismo va sotto il nome di genotipo e nell’uomo esso è costituito da circa 20 mila geni; da ogni gene si possono produrre circa 10 proteine diverse e, quindi, ogni cellula del nostro organismo può produrre circa 100 mila specie proteiche diverse. Ogni tipo cellulare differenziato esprime una sotto-popolazione dei geni di cui è dotato: a fronte di circa 20 mila geni, le cellule del nostro organismo esprimono (in termini di RNA) circa 5-10 mila geni e il tessuto nervoso è il tipo cellulare che esprime di più in termini di geni diversi. Il trascrittoma è il complemento di RNA totale di un genoma e comprende tutti i possibili trascritti, sia quelli di geni attivi codificanti sia quelli non codificanti, a partire da un genoma. Il complemento proteico totale di un genoma si chiama proteoma. La funzione delle proteine è la risultante dell’interazione con tutte le altre proteine: mediamente si pensa che ogni proteina umana interagisca con altre 5-10 proteine diverse per svolgere una determinata funzione. Seconda lezione, 10.02.2015 Seconda lezione, 10.02.2015 COMPATTAZIONE CROMATINICA Il meccanismo principale con cui il DNA viene compattato all’interno del nucleo consiste nella formazione della struttura cromatinica. Per quanto riguarda le cellule eucariotiche essa è una struttura composta da proteine e DNA e presenta delle caratteristiche di colorazione particolari (è visibile all’interno delle cellule). Essa consente la compattazione del genoma all’interno del nucleo attraverso dei gradi di super-avvolgimento del DNA attorno alle proteine, ossia attorno ai nucleosomi costituiti da istoni. Per molti anni si è pensato che il ruolo della cromatina fosse di tipo inerte mentre in realtà è di tipo funzionale: funge da barriera di protezione del genoma ed è il primo contributore al mantenimento della stabilità genomica. Le basi azotate infatti sono molecole estremamente reattive quindi possono facilmente reagire con ioni, atomi e ROS e possono essere modificate comportando così un cambiamento delle loro caratteristiche chimico-fisiche e quindi delle loro proprietà biologiche. Dunque il DNA avvolto attorno ai ribosomi nella struttura cromatinica protegge il genoma da modificazioni chimiche che le basi azotate possono facilmente subire. Nel genoma possiamo distinguere l’eterocromatina e l’eucromatina. La prima è la quota cromatinica più compatta e consiste nella regione che viene trascritta, la seconda è la quota meno compatta e non viene trascritta (per esempio i telomeri, ovvero i terminali dei cromosomi). Nei processi che riguardano la trascrizione di un genoma la cromatina deve essere decompattata perché gli enzimi che trascrivono il DNA, come l’RNA polimerasi, devono poter accedere alla sequenza di DNA e trascriverla in RNA. Quando un gene viene decompattato è più facile che quella zona di DNA venga chimicamente modificata, quindi in un genoma vi sono zone più esposte a modificazioni chimiche (rottura del DNA, formazione basi modificate), ovvero le regioni trascritte. Questo ha un significato filogenetico perché una mutazione può consistere nella perdita di funzione del gene ma potrebbe anche determinare acquisizione di un migliore funzionamento. La cromatina inoltre è anche la principale sede della regolazione epigenetica, ossia l’ereditarietà epigenetica passa attraverso modificazioni dello status cromatinico di un gene. Questo tipo di ereditarietà si basa sulla struttura dinamica della cromatina e può essere ereditato durante la proliferazione cellulare o da padre a figlio. Nei cromosomi in metafase non avviene la trascrizione perché la cromatina è compattata. Questa capacità di compattarsi e decompattarsi serve a garantire un’equa ripartizione del genoma durante le divisioni cellulari. Ciò è importante in quanto la maggior parte delle aberrazioni cromosomiche (ad esempio un cromosoma che presenta un pezzo di un altro cromosoma) derivano da errori in questa fase in seguito ad una scorretta compattazione dei cromosomi. ! ! CONCETTI PIU’ SPECIFICI Le principali modificazioni epigenetiche che stabiliscono quale parte del gene trascrivere e quale no sono prevalentemente tre: metilazione delle citosine del DNA, modificazioni post traduzionali delle code istoniche dei nucleosomi (gli amminoacidi possono essere modificati per modulare la distanza tra due nucleosomi compattando e decompattando una regione cromatidica) e RNA non codificanti. Quindi parlando di regolazione epigenetica dell’espressione di un gene si considera la dinamica di compattazione e decompattazione della cromatina regolata da eventi che non modificano le sequenze di base, bensì le code istoniche con fosforilazione o acetilazione (variando così la distanza tra i nucleosomi) oppure le citosine attraverso metilazione. Quando i nucleosomi sono vicini l’uno all’altro, anche se nel DNA è presente il gene, esso non viene espresso perché la struttura cromatinica non consente l’accesso agli enzimi della trascrizione. Affinché il gene venga trascritto la cromatina deve transire da questo stato eterocromatinico a quello eucromatinico: questa modifica avviene attraverso l’acetilazione delle code ammino-terminali degli istoni. Questo è il meccanismo principale attraverso cui si estrinseca la relazione gene-ambiente per consentire l’espressione di un determinato fenotipo in risposta agli stimoli ambientali: sulle modificazioni epigenetiche (modificazioni istoniche e metilazione citosine) agiscono una serie di stimoli ambientali che riguardano per esempio lo sviluppo embrionale o aspetti legati al metabolismo quotidiano, come i farmaci e la dieta. Le code istoniche determinano la spaziatura tra un nucleosoma e l’altro, quindi la forma compatta o rilassata della cromatina; la citosina metilata determina una struttura eterocromatinica in quella regione di DNA; l’acetilazione e la fosforilazione degli istoni sono invece associate alla decompattazione della struttura cromatinica. L’elevato grado di metilazione del DNA (eterocromatina) è un segnale che viene associato a dei processi enzimatici che consentono la compattazione di questa struttura cromatinica locale, e ciò blocca la trascrizione. Questo stato epigenetico si tramanda nella cellula figlia permettendo il mantenimento dello stato differenziato durante lo sviluppo embrionale. base pirimidinica dove i gruppi sono fra loro complementari (per esempio la citosina ha 2 gruppi accettori e 1 donatore, la guanina ha 2 gruppi donatori e 1 accettore). Da ciò dipendoni gli appaiamenti canonici, cioè tra basi azotate complementari. Nella doppia elica del DNA ci sono due legami H nella coppia T-A e 3 in C-G. Quest’ultima coppia non è termodinamicamente più stabile dell’altra perché ha un legame H in più ma perché presenta un legame di stacking e per altri fattori. Attraverso la complementarietà delle basi e grazie ala disposizione antiparallela dei due filamenti di DNA esso si trova in struttura secondaria a doppia elica di tipo destrorso. Altro aspetto importante è legato al fatto che sia le base azotate sia il gruppo fosfato possono essere protonati. Quindi la struttura secondaria del DNA ordinata nella forma a doppio filamento è stabile in un intervallo di pH compreso tra 4 e 10. A pH più basso di 4 e più alto di 10 si può avere la protonazione o deprotonazione dei gruppi donatori-accetori di legami H, modificandone lo schema di appaiamento. Basi pirimidiniche Derivano da un composto eterociclico aromatico che si chiama pirimidina. Sono rispettivamente citosina (in DNA e RNA), uracile (in RNA) e timina (in DNA). Inoltre vi sono delle modifiche chimiche che possono essere presenti nei genomi e che comportano la metilazione o l’idrossi- metilazione delle basi: la citosina per esempio può essere metilata in posizione 5 ottenendo la 5- metil-citosina. Una caratteristica importante delle basi azotate che hanno valenza biologica è il concetto di tautomeria cheto-enolica e ammino-immino. Nella tautomeriia cheto-enolica (in uracile per esempio) il gruppo carbonile diventa un gruppo carbossile per l’acquisto di un protone, prevalentemente comunque la base si trova in forma chetonica. In citosina abbiamo tautomeria ammino-immino. Ciò che cambia in questi processi di isomerizzazione sono le caratteristiche dei gruppi donatori-accetori di legami a H e ciò ha una valenza nel contesto delle mutazioni. Basi puriniche Sono costituite da un anello pirimidinico che ha una numerazione diversa rispetto all’anello delle basi pirimidiniche. Il legame N-glicosidico infatti avviene tra N9 e C11 dello zucchero e non tra N1 e C11. Guanina e adenina sono presenti sia nel DNA sia nel RNA. Sono presenti anche delle basi puriniche diverse come la xantina, la livoxantina, l’acido urico e le basi azotate che troviamo nel tRNA ma che sono anche prodotti di degradazione del metabolismo delle basi azotate. Anche loro presentano tautomeria cheto-enolica e ammino-immino. Dal punto di vista biologico la tautomeria è importante nella guanina: per esempio in forma chetonica si hanno 2 donatori e 1 accettore mentre nella forma enolica si hanno 1 donatore e 2 accettori, quindi cambia la base a cui viene accoppiata (si accoppia con la timina invece che con la citosina). Tutto ciò avviene in condizioni fisiologiche anche se il rapporto cheto-enolico è pari a 10000 quindi questo differente accoppiamento complementare non è molto frequente. Questa sostituzione determina quindi una mutazione. Le tautomerie cheto- enoliche sono il principale meccanismo con cui si fissano le mutazioni per via spontanea durante l’evento replicativo. Anche il pH varia lo schema di donatori-accettori di legami H quindi anche in funzione del pH possiamo cambiare gli accoppiamenti e destabilizzare una doppia elica del DNA. In questo caso si parla di equilibri di ionizzazione. % Basi azotate insolite Le molecole di tRNA sono ricche di basi azotate insolite. Un esempio è la vibrutosina che svolge un ruolo fondamentale di tipo regolativo nelle molecole di tRNA. Hanno importanza dal punto di vita strutturale infatti non hanno solo donatori-accettori di legami H ma anche elettroni π o imidazoli in più. Questi gruppi servono a cambiare gli schemi di donatori-accettori e in determinati casi queste basi azotate sono in grado di formare strutture secondarie. Composizione in basi del genoma La composizione in basi azotate del genoma è stata determinata da Chargaff prima ancora della determinazione della struttura del DNA di Watson e Crick, che in parte deriva addirittura da essa. Analizzando l’organizzazione di basi di genomi di organismi diversi formulò 3 relazioni di equivalenza: • somma delle basi puriniche=somma delle basi pirimidiniche • frazione molare dell’adenina=frazione molare della timina frazione molare della guanina=frazione molare della citosina • frazione molare delle basi amminiche (A e C) = frazione molare delle basi ossoniche (T e G) Queste relazioni valgono solo per il DNA a doppio filamento quindi non per i genomi mitocondriali dove ci sono eventi di metilazione della citosina che vanno incontro a processi di deamminazione attraverso i quali la citosina metilata si trasforma in timina. In funzione delle condizioni ambientali varia il contenuto di coppie di basi C-G: maggiore è la temperatura cui l’organismo sopravvive maggiore sarà la concentrazione di queste coppie di base. Nell’uomo circa il 41% è costituito da basi G-C mentre negli organismi termofili questa concentrazione sale al 75% perché il genoma viene così stabilizzato. Dimensioni dei genomi Nel genoma dell’Escherichia Coli ci sono 106 paia di basi e 4000 geni mentre nell’uomo ci sono circa 3 miliardi di copie di basi e 20000 geni per cromosoma. Questa differenza fa capire che più un organismo è complesso più DNA possiede. L’assenza di una correlazione tra aumento della dimensione in termini di coppie di basi e proporzionale aumento del numero di geni in relazione alla filogenesi si chiama paradosso del valore c ed è legato al fatto che da un organismo semplice a uno sviluppato i geni aumentano di dimensione e si frammentano, nei batteri infatti non abbiamo introni ed esoni. Nell’uomo meno del 2% del genoma viene tradotto in proteina mentre nei batteri viene tradotta tutta l’informazione, nel primo c’è quindi una diluizione dell’informazione genetica duplicante. Caratteristiche dello zucchero dei nucleotidi Lo zucchero nei nucleotidi è un pentoso e può essere ribosio o desossiribosio. La differenza sostanziale tra i due zuccheri è la presenza dell’ossidrile in posizione C21 e per questo motivo, data la somiglianza, si pensa che l’RNA fosse stata la prima macromolecola biologica con significato informativo perché oltre che a codificare una sequenza informativa è in grado di avere un’attività enzimatica su se stessa. Questo gruppo OH in più può, in particolari condizioni, deprotonarsi, generare un ossianione e, se generato, questo può svolgere un’attività di attacco nucleofilo sul gruppo fosforico prossimale. Nello specifico: • a pH fisiologico il gruppo ossidrilico è nella forma protonata; • in condizioni alcaline (aggiunta base) la base deprotona il gruppo ossidrilico e si trasfroma in ossianione che è estremamente reattivo. Esso è più elettronegativo dell’atomo di fosforo ed è in grado di effettuare un attacco nucleofilo. Il legame fosfo-diestereo tra i 2 nucleotidi viene idrolizzato dall’ossianione generatosi e quindi l’RNA si degrada. Il DNA non avendo questo OH non subisce questo processo, può solo denaturare in seguito all’apertura della doppia elica. Quindi se ho delle cellule posso ottenere DNA estraendo acidi nucleici e trattandoli con una base cosi l’RNA si degrada e il DNA resta integro. Questo può avvenire anche in condizioni fisiologiche. I ribozimi infatti effettuano questo processo di idrolisi del legame fosfo-diestereo su se stesse o su molecole di RNA bersaglio a pH fisiologico (si chiamano così perche mimano un’azione enzimatica). Anche per questo si ritiene che all’inizio della vita sulla terra vi fosse un genoma a RNA in grado di contenere e utilizzare informazione per riprodurla o renderla funzionale dal punto di vista biologico. Questi zuccheri assumono solitamente una conformazione a barca dove la posizione assunta da C21 rispetto alla base è diversa nelle molecole di DNA rispetto alle molecole di RNA. In particolare nel DNA la configurazione dello zucchero è nella forma C21-endo perché questo carbonio si trova dalla stessa parte della base azotata, nell’Rna essendoci l’OH (gruppo chimico ingombrante) in C21 questo atomo di carbonio tende a disporsi nella posizione opposta rispetto alla base azota infatti dalla stessa parte della base si trova C31. La sua struttura è quindi C31-endo (in forma A e forma Z), questa configurazione si trova comunque solo nella forma B dell’RNA che presenta una distanza fissa tra coppie di basi, 10 coppie di basi per giro d’elica, dimensioni definite del solco maggiore e di quello minore, etc. La configurazione dello zucchero ha effetto sulla struttura secondaria. Tutti i legami che compongono gli anelli aromatici e lo zucchero sono legami mobili, possono cioè essere orientati differentemente e ciò ha impatto sulla struttura degli acidi nucleici che infatti esistono in varie forma (A,B,Z…). Le basi azotate legate agli zuccheri formano i nucleosidi: adenosina, guanosina, citidina, timidina. Se si condensano con desossiribosio assumono il prefisso di desossi. Nucleotidi Sono esteri fosforici dei nucleosidi. Dai ribonucleosidi derivano i ribonuclotidi mentre quelli che derivano dai desossiribonucleosidi si chiamano desossiribonucleotidi. Gli esteri fosforici si possono formare rispettivamente su 3 dei 5 atomi di carbonio dello zucchero. Si possono rappresentare e nominare nei seguenti modi: “C31nucleotidemonofosfato” o indicando il gruppo fosforico e la posizione del nucleoside adiacente. grazie alle cariche del gruppo fosfato, costituito da legami fosfoesterei tra zucchero e gruppo fosfato e un nucleo interno caratterizzato da interazioni di tipo idrofobico, essenzialmente interazioni di stacking e da legami ad idrogeno. Ciò fa in modo che l’acqua venga esclusa dal nucleo idrofobico dando stabilità strutturale alla molecola di DNA. La struttura del DNA può essere modificata variando una di queste caratteristiche. Per una struttura secondaria regolare di due catene antiparallele, è determinante la complementarietà dei gruppi donatori-accettori, ovvero l’appaiamento tra purine e pirimidine. L'angolo fra il legame glicosidico della coppia i basi complementari e l’asse che unisce i due carboni C1 degli zuccheri deve essere di 51° mentre i legami glicosidici di una coppia di basi sono sempre distanti tra loro 10,8°A. Questa caratteristica fondamentale che ha valenza informativa è alla base del successo della molecola di DNA a doppio filamento come elemento in grado di perpetuare l’informazione genetica (basta che conosca uno dei due filamenti per poter ricavare l’informazione, in quanto sono complementari). Esistono però anche delle varianti di acidi nucleici a singolo filamento (RNA) che tendono ad auto strutturarsi grazie al fatto che i nuclei idrofobici respingono l’acqua e i gruppi donatori-accettori si legano fra di loro in maniera complementare. CISPLATINO % Poiché le basi azotate e i legami H sono altamente reattivi e interagiscono con altre specie chimiche, si sfrutta questa caratteristica in terapia. Il cisplatino è una molecola inorganica formata da uno ione platino legato a due ammine. È un agente cross-linkante (induce modificazioni interfilamento) e chemioterapico utilizzato contro i tumori del polmone, stomaco, esofago, ovaio e della vescica. La sua efficacia è dovuta al fatto che è in grado di reagire con gli azoti degli anelli pirimidinici dei residui di guanina formando degli addotti covalenti. Le guanine che si trovano su filamenti complementari vengono legate covalentemente fra di loro. Ciò induce delle distorsioni locali dannose sul DNA che non riesce a denaturarsi: il legame fosfodiestereo si rompe e il DNA deve essere riparato. Tuttavia in molti casi questa riparazione non avviene in maniera efficace poiché il paziente non è in grado di esprimere i geni delle molecole che riparano la lesione. Il DNA non può più replicarsi e la cellula entra in apoptosi. Permane però il problema della specificità della terapia; ciononostante viene utilizzato in quanto la molecola ha effetti sulla replicazione, attività che la cellula tumorale compie maggiormente rispetto alle cellule sane. INTERAZIONE DNA - LUCE UV Se le cellule vengono esposte alla luce ultravioletta, gli elettroni Л di due pirimidine conseguenti possono formare dimeri di pirimidine (o dimeri di Timina quando è coinvolta), ovvero degli addotti covalenti che portano ad una alterazione locale del DNA. La formazione del dimero è un agente lesivo poiché, come precedentemente, quando la DNA-polimerasi passa sul filamento si arresta, interrompendo la replicazione e provocando la frammentazione del DNA. La patologia è nota come xenoderma pigmentoso. % DNA-B Riassumendo, gli aspetti fondamentali del DNA-B sono: • Il passo dell’elica, ossia il numero di coppie di basi in un giro di elica (10, in vivo 10,5) • L’angolo di rotazione tra due coppie adiacenti (36°, in vivo 34°) • Il diametro dell’elica (circa 2 nm) Inoltre nella struttura secondaria del DNA si definiscono il solco maggiore ed il solco minore. Questi sono molto importanti biologicamente perché la dimensione del solco determina la modalità con cui una proteina riconosce una sequenza di DNA. Perché si formano i due solchi? I due solchi si formano poiché i due legami N-glicosidici delle coppie di basi complementari non sono perfettamente simmetrici rispetto l’asse di rotazione, bensì risultano leggermente ruotati l’uno rispetto all’altro. Nella molecola di DNA-B le proteine riconoscono sequenze specifiche sul DNA interagendo specificatamente a livello principalmente del solco maggiore, perché lo schema di donatore-accettori presenti in esso è più informativo rispetto a quello del solco minore (asimmetria informativa). La replicazione comincia in determinati punti chiamati origine di replicazione. Nel DNA in vivo cambiano le dimensioni del passo dell’elica ma la struttura è quella della forma B: il passo è maggiore perché l'elica è topologicamente vincolata. Il solco maggiore nella forma B del DNA è largo e di media profondità, quindi facilmente accessibile alle proteine, che possono interagire attraverso legami ad idrogeno che si formano tra i loro residui amminoacidici e i gruppi donatori ed accettori di legami ad idrogeno presenti nelle coppie di basi. Il solco minore invece, essendo stretto e poco accessibile viene poco utilizzato dalle proteine perché non riescono ad entrarvi. In vivo però, oltre che in vitro, sono presenti anche la conformazione A e la conformazione Z. DNA-A La conformazione A è una doppia elica destrorsa, come nel caso del DNA-B. La differenza tra le due conformazioni consiste nell’interazione delle coppie di basi con l’asse di rotazione: nella conformazione A le basi sono inclinate (le coppie di basi ruotano attorno all’asse creando un buco nel mezzo), mentre nella conformazione B le basi sono pressoché piatte (le coppie di basi sono centrali all’asse di rotazione). Questa configurazione particolare dipende dalle distanze tra i gruppi fosfato, dalla modificazione dello zucchero da C2’endo a C3’endo o dalla presenza o meno dell’ossidrile. Inoltre tra queste due conformazioni varia sensibilmente anche la dimensione dei solchi: nella conformazione A il solco maggiore è molto stretto e profondo, mentre il solco minore è molto largo e poco profondo. Questo effetto ha biologicamente un impatto sulla modalità con cui le proteine riconoscono determinate sequenze di basi. Come fa una proteina a interagire con il DNA riconoscendone la sequenza di basi? La proteina accede al solco maggiore e, partendo dai punti di origine di replicazione, legge in sequenza gli schemi donatori-accettori. Il solco maggiore contiene più informazione biologica non equivoca perciò viene letto più frequentemente dalla proteina rispetto al solco minore. % SIGNIFICATO INFORMATIVO DEL SOLCO MAGGIORE E DEL SOLCO MINORE Nella figura sono riportate la coppia G-C e la coppia A-T su due filamenti di DNA, disposte in modo speculare. Negli schemi riportati in figura sono inoltre identificabili solco maggiore e solco minore e gli schemi dei gruppi accettori e donatori di legami ad idrogeno che possiamo trovare nella doppia elica del DNA. Più precisamente: • A: gruppi accettori di legami ad idrogeno • D: donatori di legami ad idrogeno • H: idrogeno non polare • M: gruppi metilici. Per la coppia G-C nel solco maggiore lo schema è A, A, D, H, mentre quello del solco minore è A, D, A. Per la coppia C-G, lo schema è speculare: troviamo lo schema H, D, A, A nel solco maggiore e lo schema A, D, A nel solco minore. L’osservazione che si può fare è la seguente: lo schema presente nel solco minore delle due coppie di basi prese in considerazione (G-C e C-G) è simmetrico e palindromico, mentre lo schema presente nel solco maggiore è sempre simmetrico ma in questo caso non è palindromico. Questo significa che una proteina che lega questa sequenza a livello del solco maggiore è in grado di discriminare la coppia G-C dalla coppia C-G; viceversa se si legasse a questa sequenza nel solco minore, dove lo schema dei gruppi accettori e donatori è il medesimo (A, D, A), non sarebbe in grado di discriminare le due coppie. Questo fenomeno avviene sia per le basi complementari G-C sia per quelle A-T. Tutto questo a livello biologico significa che le proteine che legano il DNA hanno una maggiore specificità perché legano la sequenza nel solco maggiore. Viceversa le proteine che si legano all’RNA lo fanno a livello del solco minore, poiché questo è maggiormente accessibile. Esse non riescono a discriminare la sequenza bersaglio perché non sono in grado di distinguere una coppia G-C da una coppia C-G (o la T-A dalla A-T): la specificità di riconoscimento delle proteine nell’RNA è molto più bassa di quelle del DNA. ENZIMI DI RESTRIZIONE Questi enzimi sono esempi di proteine che riconoscono determinate sequenze nel DNA. Ogni proteine, favorendone così il trasporto attraverso le membrane dei mitocondri o dei plastidi; 4. stabilizzano le proteine danneggiate formatesi a seguito di stress chimici o fisici (aumento della temperatura) facilitandone la rinaturazione e/o la degradazione. Molte malattie neuro-degenerative sono legate a queste proteine: se l’RNA si autostruttura da solo, può dare origine a delle alterazioni a livello della sequenza nucleotidica. Grazie alla presenza dell’ossidrile in posizione 2’ che condiziona la stabilità dell’RNA, questo può avere funzione enzimatica. Il primo ad essere studiato è il ribozima Hammerhead: è l’RNA circolare di un virus che infetta alcuni vegetali che viene replicato sotto forma di oligomeri. L’RNA degrada la sua catena per dare origine a questi oligomeri. La strategia di poter utilizzare l’RNA come enzima è utilizzata in terapia per degradare alcuni RNA di virus, come quella dell’HIV. La G-terapy utilizza i ribozimi per individuare l’RNA del virus e lo degrada bloccando così l’infezione. Quarta lezione, 16.02.2015 LE SUPERSTRUTTURE DEL DNA Il DNA è composto da una doppia elica antiparallela i cui filamenti si avvolgono su se stessi attorno a un asse di rotazione. È stato sperimentato che risulta più facile piegare una molecola di DNA attorno al proprio asse di rotazione piuttosto che torcerla, cioè prendere i due filamenti antiparalleli ed eseguire un’azione di svitamento. In altre parole è più facile modificare le distanze dei gruppi fosfato piuttosto che modificare il grado di “stacking” e di ponti idrogeno che si formano tra le coppie di basi: su queste due semplici considerazioni si basa il superavvolgimento del DNA. Il DNA in natura non si trova nella forma “classica” (quella proposta nel 1953 dagli scienziati Waston e Crick), ma si compatta a formare le cosiddette superstrutture del DNA, in cui l’asse di rotazione è in grado di supravvolgersi su se stesso, a testimonianza del buon grado di elasticità della molecola. Il DNA in vivo è topologicamente vincolato, cioè non può muoversi liberamente, e questo vale sia per i DNA circolari a doppio filamento covalentemente chiusi (cccDNA, procariotici), come per esempio il DNA plasmidico, batterico e mitocondriale, sia per il DNA dei cromosomi nucleari (eucariotico) che è toplogicamente vincolato e non covalentemente chiuso. ! ! Per capire il comportamento della struttura del DNA durante i vari processi (replicazione, trascrizione e riparazione) è utile pensare al gioco del “going”: l’ogiva del gioco opera come gli enzimi che denaturano la molecola di DNA. La differenza rispetto al gioco però è che nel DNA i due filamenti antiparalleli si avvolgo attorno al proprio asse. L’ogiva del DNA corrisponde alla DNA- polimerasi, che durante il processo di replicazione procede verso il senso replicativo e, con l’aiuto di particolari enzimi detti elicasi che consumano ATP, divide i due filamenti operando un superavvolgimento positivo in quel sito (cioè lo “svita”). Dato che questi sono avvolti su se stessi, man mano che vengono svolti (svitati) dal complesso enzimatico da un parte, si avvolgono in maniera marcata (si superavvolgono negativamente) dall’altra: praticamente l’energia che viene utilizzata per denaturare l’elica viene trasmessa lungo la molecola ed utilizzata per il superavvolgimento sinostrorso (o negativo). Tutto ciò non accadrebbe se il DNA fosse una molecola lineare non vincolata alle estremità, perché se non ci fosse un vincolo i due filamenti tenderebbero a svolgersi e a voltarsi mantenendo tutta la struttura a doppia elica in forma lineare. Il DNA in vivo è per la maggior parte delle volte vincolato: il cccDNA lo è per definizione, e il DNA cromosomico è bloccato da proteine che lo possono ancorare sulla parte interna della membrana nucleare oppure che possono essere avvolte dal DNA stesso (come nel caso degli istoni). Quindi durante tutti i processi di denaturazione locale si produce l’effetto del superavvolgimento, positivo da una parte e negativo dall’altra, che blocca in un determinato momento il proseguo dell’attività enzimatica. Le molecole di DNA differiscono tra loro per il grado di superavvolgimento, e perciò vengono chiamate topoisomeri. Generalmente esistono due tipi di topoisomeri, a forma rilassata e a forma superavvolta, e dalla prima si passa alla seconda introducendo una rottura a livello del legame fosfodiestereo (idrolisi) in uno dei due filamenti della doppia elica: questa rottura viene chiamata “nick”. Un modo molto semplice per capire il passaggio dalla forma rilassata a quella superavvolta è pensare il DNA come un cavo telefonico (e quindi la cornetta come il vincolo della molecola) ed immaginare il nick come le mani di una persona che cerca di dividere il filo. Nonostante il vincolo, i due filamenti di DNA devono essere rapidamente denaturati per consentire i processi di replicazione, di trascrizione e di riparazione, ma la denaturazione non deve essere così spinta da renderlo troppo vulnerabile alle modifiche chimiche. In vivo il DNA presenta circa 10,5 paia di basi per giro d’elica. Affinchè avvenga un ottimale processo di denaturazione, il DNA delle cellule umane è avvolto attorno ai nucleosomi e questo consente un accumulo di energia libera utile ai processi. Nei batteri non ci sono né nucleosomi nè istoni e per garantire questo processo vi sono degli enzimi che introducono superavvolgimenti negativi. I PARAMETRI TOPOLOGICI DEL DNA I parametri topologici permettono di descrivere la struttura tridimensionale di una molecola di DNA e consentono di capire che cosa succede all’asse di rotazione di quella molecola quando viene denaturata. Questi parametri sono: • Linking number (Lk) = Numero di legame (Lg) • Twisting number (Tw) = Numero di avvolgimento (At) • Writhe number (Wr)= Numero di contorcimento (Co) • Lk: il linking number definisce il numero di volte che un filamento di DNA incrocia l’altro attraverso un avvolgimento o un superavvolgimento; in altre parole indica quante volte un filamento passa attaverso l’altro per separare completamente i due filamenti. I topoisomeri differiscono tra loro per il valore Lk. Lk = Tw + Wr • Tw: il twisting number definisce il numero di volte che un filamento si avvolge sull’altro e si calcola dividendo il numero totale di paia di basi dell’intera molecola di DNA per il numero di coppie di basi per giro d’elica. Tw = n° bp totali/n° bp per giro d’elica = Lk - Wr Se una doppia elica di DNA è completamente denaturata, allora Tw=0. Se invece una molecola di DNA è composta in tutto da 360 coppie di basi e ogni giro d’elica ne presenta 10, Tw=36, cioè il rapporto 360/10. Sperimentalmente, per definire i parametri topologici, si parte dalla definizione di Tw perchè è l’unico valore numericamente calcolabile. • Wr: il writhe number indica quante volte l’asse di rotazione si superavvolge su se stesso, cioè indica il grado di contorcimento dell’intera molecola. Nel caso di un cccDNA in forma rilassata (cioè planare) Wr=0 perché l’asse di rotazione non si avvolge su se stesso. Wr = Lk - Tw Lk per un DNA topologicamente vincolato è costante, quindi è possibile calcolare come variano i valori di Wr e Tw: affermare che è più facile piegare una molecola di DNA piuttosto che torcerla è come dire che è più facile modificare Tw piuttosto che Wr. Dato che ΔLk = Lk - Lk°, con Lk = numero di legame attuale e Lk°= numero di legame della forma rilassata, se: • ΔLk<0 allora Lk<Lk°, quindi il DNA è superavvolto negativamente; La topoisomerasi I agisce attraverso la formazione di un intermedio covalente fra la proteina e il DNA: nel suo sito catalitico presenta un residuo di tirosina in grado di idrolizzare il legame fosfodiestereo e produrre un intermedio detto “intermedio fosfotirosinico”, costituito dal residuo di tirosina legato covalentemente con il 5’ fosfato del DNA a livello del nick. La topoisomerasi II, invece, taglia etrambi i filamenti (consumando ATP) ed è coinvolta nella replicazione dei cromosomi. Una volta eseguito il taglio, fa passare (in un senso o nell’altro) il resto del DNA attraverso il taglio stesso, per poi richiudere l’intera molecola (quindi dalla parte opposta rispetto al taglio): la loro azione aumenta o diminuisce di 2 il valore di Lk, lasciando invariato Wr. Nelle cellule eucariote i superavvolgimenti negativi vengono introdotti dall’assemblamento dei nucleosomi: questi fungono da vite, cioè sono in grado di piegare il DNA mentre si assembla ed introdurre un superavvolgimento negativo. Il superavvolgimento attorno ai nucleosomi non è casuale, come non è casuale il fatto che sia negativo (o sinistrorso), perché durante i processi di denaturazione locale il DNA si superavvolge positivamente. È ovvio che il grado di superavvolgimento non deve essere né blando né eccessivo, ma calibrato in base all’attività biologica di quel DNA. Nelle cellule procariotiche, sprovviste di nucleosomi, il superavvolgimento negativo viene invece garantito dalla girasi. La girasi è una speciale topoisomerasi II che, invece di rimuovere, introduce i superavvolgimenti negativi. L’azione enzimatica della girasi facilita lo svolgimento (denaturazione) della doppia elica del DNA, necessario per l'attuazione di varie reazioni, come l'apertura della doppia elica ad opera dell'elicasi, l'inizio della replicazione del DNA stesso e la trascrizione. CENNI DI RICERCA ONCOLOGICA Potendo rimuovere superavvolgimenti positivi è possibile avere il controllo sulla replicazione cellulare: nasce così un’importante categoria di farmaci antitumorali inibitori delle topoisomerasi che, causando delle rotture nella doppia elica (Double Strand Breaks, DSB), innescano il processo di apoptosi cellulare, in maniera più marcata e veloce nelle cellule a forte attività riproduttiva, come lo sono le cellule tumorali. I principi attivi più utilizzati attualmente in terapia oncologica sono la Camptotecina e l’Etoposide (e derivati). Bloccando l’azione delle topoisomerasi, le cellule tumorali non hanno la possibilità di rimuovere i superavvolgimenti positivi, quindi la loro DNA-polimersi non riesce a procedere e causa la rottura della doppia elica di DNA. Lo stesso effetto è generato dalle radiazioni ionizzanti tipiche delle radioterapie oppure da agenti cross-linkanti come il cis-platino. Queste lesioni possono essere riparate attraverso due vie: ricombinazione omologa e ricombinazione non omologa. Si è visto che è sempre presente un certo livello di danno in ogni cella, ma viene costantemente riparato: se eccessivo, la cellula non è in grado di ripararlo e va in contro ad apoptosi. Il danno prodotto può essere misurato sperimentalmente perché è possibile misurare la via di segnalazione che porta alla riparazione del danno stesso. Esiste una chinasi chiamata ATM, importante perché presenta un alto livello di mutazione nei vari tumori, che è in grado di riconoscere il DSB e di dare inizio ad una serie di eventi (Down Stream) atti a riparare la molecola di DNA. Opera l’inibizione temporanea del ciclo cellulare, così da bloccare il progredire del danno, per poi decompattare la cromatina e creare le condizioni ottimali alle reazioni di riparazione. Chimicamente ATM è in grado di fosforilare una variante istonica chiamata H2AX a livello del suo residuo di serina, facondola diventare γH2AX; in generale gli istoni costituisco il nucleosoma in forma ottamerica, e in natura ne esistono di diversi tipi, tra cui la variante istonica appena citata: la presenza di γH2AX indica l’attività di ATM perché significa che ha riconosciuto il danno. Misurando il livello di fosforilazione di questo istone nelle cellule si effettua indirettamente la misura del danno; esistono poi degli anticorpi che riconoscono la forma fosforilata di questo istone e quindi lo loro massiccia presenza indica attività enzimatica di ATM. La figura a lato mostra il nucleo di una cellula tumorale trattata con Etoposide e colorata con Ioduro di tropidio (un intercalante): i puntini verdi rappresentano i cosiddetti foci di danno Double Strand Breaks, cioè le regioni di DNA in cui è stata rilevata la presenza della variante istonica fosforilata. ALCUNE PROPRIETA’ FISICHE DEI TOPOISOMERI L’elettroforesi è una tecnica separativa che sfrutta due proprietà delle particelle da separare, ovvero le dimensioni e la carica. Le sostanze più comunemente separate sono le proteine e gli acidi nucleici (DNA e RNA). Per le proteine la tecnica più comune è l’SDS-PAGE (Sodium Dodecyl Sulphate - PolyAcrylamide Gel Electrophoresis), ossia l’elettroforesi (verticale) su gel di poliacrilammide in presenza di sodio dodecil solfato: circa a pH=8 l’SDS denatura parzialmente le proteine presenti nella miscela da separare e standardizza la loro carica netta negativamente, mentre il gel di poliacrilammide è il setaccio molecolare premette la separazione fisica delle proteine durante la loro “corsa” sul campo elettrico verso l’anodo. Per il sequenziamento del DNA (o dell’RNA) si esegue un procedimento poco diverso da quello appena descritto, con il vantaggio però che a pH=8 il DNA è già carico negativamente, quindi non è necessario l’utilizzo di un detergente anionico come l’SDS per le miscele proteiche. Se una molecola di DNA viene fatta migrare in un campo elettrico attraverso una matrice si otterranno i diversi topoisomeri. Questi differiscono tra loro non tanto per il peso molecolare, quanto per il volume idrodinamico occupato, cioè il volume tridimensionale della molecala di DNA associato al suo stato di idratazione: più superavvolta (alto valore di Lk) è la molecola di DNA e minore sarà il suo volume idrodinamico, perchè risulta più compatta. Sul tracciato elettroforetico finale la forma topologica superavvolta risulterà quella più vicina all’anodo. Leggendo il tracciato verso l’anodo si troveranno poi 3 tipi di topoisomeri: quelli con grado di superavvolgimento via via minore, quelli in forma linearizzata e quelli in forma rilassata, a maggior ingombro sterico. Per il sequenziamento del DNA si utilizzano solitamente apparati elettroforetici orizzontali e la matrice che viene utilizzata per la separazione è l’agarosio, un polimero estratto dalle alghe in grado di gelificare. Per visualizzare il tracciato elettroforetico finale si utilizzano delle sostanze dette intercalanti (come l’etidiobromuro) capaci appunto di intercalarsi tra le basi azotate e di emettere fluorescenza se esposti a radiazione ultravioletta: perciò la lettura si compie con l’aiuto di un transilluminatore in grado di emettere raggi UV. Gli intercalanti però sono carcinogeni, cioè introducono indirettamente mutazioni (inserzioni e delezioni) nel DNA. L’etidiobromuro ad esempio si intercala tra le basi azotate ogni 2,5 paia di basi e abbassa Tw perché aumenta il numero di coppie di basi per giro d’elica: in questo modo l’elica si allunga, e per un DNA topologicamente vincolato ne deriva un aumenta del superavvolgimento. Vi sono poi altre sostanze intercalanti che si trovano nei coloranti e risultano essere meno tossiche dell’etidiobromuro: ne sono un esempio l’arancio di acridina o la proflavina. Queste possono anche causare errori di scivolamento della DNA-polimerasi a livello di regioni codificanti o meno, portando alla formazione delle cosiddette espansioni di ripetizioni nucleotidiche, tipiche delle patologie di origine genetica come la malattia di Huntington. delle regioni che separino gli uni dagli altri. Questo aspetto rende ragione della enorme dimensione .che hanno geni umani rispetto quelli presenti in un gene batterico Compiendo l’allineamento di un gene ortologo nei vari organismi, si può notare che le porzioni codificati di un gene umano sono distribuite sporadicamente in regioni di DNA molto grandi, mentre nei batteri (es. E. coli) sono tutte condensate in regioni adiacenti. Un contributo all’aumento del genoma umano, non in termini codificanti, è la presenza di DNA ripetuto. Circa il 46% genoma umano è costituito da DNA ripetuto, presente sotto varie forme, (brevi sequenze di DNA e sequenze esameriche ricche in AT ripetute migliaia volte, regioni di DNA costituite da sequenze più grandi ripetute in tandem centinaia di migliaia di volte). Tutto il DNA non codificante si chiama DNA satellite. Il DNA satellite è uno dei principali contribuenti all’espansione del genoma eucariotico. E' ricco di basi A e T (meno dense della coppia C-G) per cui la sua densità e il grado di sedimentazione sono minori che nel DNA genomico, risultando perciò fisicamente separabile per centrifugazione.e Nell'ultracentrifugazione, il DNA plasmidico lineare, meno denso, si ferma più in alto, invece il DNA più denso si sedimenterà maggiormente. Il genoma umano si separa su due bande, una principale maggiore e una secondaria. Questa di minore densità è il DNA satellite che centrifugandolo .mediante gradiente con uricesio, migra con una banda distinta I centromeri sono ricchi di sequenze satellite. La presenza di quest'ultime è indice che i geni umani .sono discontinui, spiegando così il paradosso del valore C Il 90% del genoma procariotico è codificante e la dimensione media di un polipeptide batterico è 220 aa. L’uomo invece ha meno del 2% di genoma codificante in termini di proteina e la dimensione media di una proteina è di 440 aa, leggermente più grande del batterio, ma non tanto da spiegare l’aumento dimensionale del valore C. Quindi oltre al meno del 2% che è codificante, circa tutta la restante parte comprende per il 25% sequenze introniche ed il resto sequenze ripetute. Per molti anni ciò che non era codificato era definito DNA spazzatura. Tranne le zone ripetute, più del 50% del genoma è trascritto e serve per la regolazione dell’espressione del .genoma stesso. Ci sono altre due categorie con funzione regolativa: trasposoni e pseudogeni I trasposoni appartengono al genoma non tradotto, pare siano trascritti. Essi solo legati alla variabilità genetica. Sono unità di DNA in grado di trasferirsi nel genoma. Codificano per enzimi in grado di trascrivere e retrotrascrivere una porzione di DNA e trasferirlo in un’altra parte del genoma. I trasposoni umani più studiati sono i retrotrasposoni che si spostano mediante un intermedio a RNA. Sono detti DNA egoista perché vengono trascritti in RNA, tradotti in proteina (un enzima) con funzione di retrotrascrivere l’RNA da cui è stato tradotto, con la capacità di trasferirsi poi in un altro punto del DNA. Ha un effetto anche patologico, non solo evolutivo, perché se si inserisce in un gene funzionale questo può non essere tradotti correttamente. Possono trasportare con sè anche sequenze regolative. Ci son vari tipi di trasposoni e si traspongono in modo abbastanza causale. Essi sono legati a malattie neuro-degenerative, ad esempio il morbo di .Parkinson, che fanno perdere la capacità di retrotrasporre il genoma Gli pseudogeni derivano da geni funzionali attraverso processi di retrotrascrizione e di trasposizone, ossia viene trascritto il gene funzionale, retrotrascritto e reinserito di nuovo. Sono detti così perché hanno la stessa sequenza del gene, ma non sono funzionali, perché hanno perso le unità regolative del gene originario e quindi non possono essere trascritti, a meno che non usino l’enhancer di un altro gene. Un gene a cui son state rimosse le sequenze introniche e regolative, non viene trascritto perché non ha le sequenze promotrici necessarie per la trascrizione, a meno che non venga inserito in una regione e trascritto passivamente. Supponiamo che un gene funzionale subisca un danno: per ripararlo viene utilizzato il cromatide fratello o una regione omologa a questa. Si utilizza quindi quello integro per copiarlo e ripararlo. Se quello integro non fosse un gene funzionale, ma uno pseudogene, usandolo come stampo per la riparazione, viene .introdotta una sequenza non funzionale e viene quindi inattivato VARIAZIONI INTERINDIVIDUALI DEL GENOMA UMANO Il fenotipo degli individui è variabile e dipende dal genoma e dall’epigenoma. Variazioni genomiche che contribuiscono alla variabilità fenotipica interindividuale sono dette polimorfismo. La diversità genetica fra individui è quantitativamente bassa. Per il 99.9% siamo uguali, mentre lo 0,1% del genoma varia tra un individuo e un altro, rendendolo unico (non parliamo dei gemelli omozigotici). Queste variazioni possono essere non dannose (dando solo un cambiamento al fenotipo), dannose (legate a malattie genetiche) o latenti, quando queste variazioni sono presenti in regioni codificanti regolatorie, non danno variazione alla sequenza codificante o non sono dannose di per sé, ma per il fatto che danno suscettibilità allo sviluppo di una patologia, come il cancro al .polmone, a seguito di uno stimolo ambientale Polimorfismo genetico: variazione genetica sia delle regioni codificanti sia non codificanti del . DNA che ha una prevalenza nella popolazione maggiore dell’1% .Prevalenza: rapporto tra i casi d'interesse e i casi totali in un dato momento .Incidenza: numero di casi nuovi in un lasso di tempo .Mutazione: variante genotipica presente in meno dell'1% della popolazione Loci polimorfici: geni o sequenze di DNA per i quali almeno il 2% della popolazione è eterozigote. Un allele è normale (98% popolazione), l’altro è in variante polimorfica. Possono essere silenti (fenotipo non variato) o non silenti (effetto nel fenotipo). Sono attivamente e costantemente mantenuti nelle popolazioni con la selezione naturale attraverso meccanismi che perpetrano questa modificazione nelle generazioni successive. Dunque biologicamente non sono variazioni letali e possono anche essere non migliorabili. Ci sono diversi tipi di polimorfismi genetici nell’uomo, alcuno legati al DNA ripetuto e questi son detti macrosatelliti, microsatelliti e minisatelliti in base alla lunghezza della sequenza nucleotidica ripetuta. Tutti fanno parte del polimorfismo .umano legato al DNA ripetuto I macrosatelliti sono costituiti da DNA ripetuto in tandem migliaia di volte. Si trovano prevalentemente a livello dei centromeri e dei telomeri. È un polimorfismo della sequenza codificante, dunque la pressione selettiva è molto bassa. Il fenotipo non si estrinseca nella popolazione, non è controselezionato ma è mantenuto nelle generazioni successive. Cambia il numero di volte in cui questa sequenza è ripetuta. Questi sono utilizzati da RIS per le analisi dei colpevoli: si misura la dimensione della sequenza dei macrostelliti e si confronta il campione biologico con quello dei presunti colpevoli. Il colpevole ha i macrosatelliti corrispondenti a quelli .prelevati dal campione I minisatelliti, noti anche come VNTR (variable number tandem repeat), sono delle brevi sequenze nucleotidiche ripetute in tandem. Il numero di unità ripetute varia da individuo a individuo In generale le singole unità ripetute hanno una lunghezza variabile tra le 10 e 100 bp I microsatelliti sono piccole sequenze di 2-4 nucleotidi ripetuti un numero variabile di volte. Ne sono un esempio le triplette ripetute che possono essere espanse SNP (Single Nucleotide Polymorphism): è una variazione di un unico nucleotide. È molto usato in diagnostica e negli studi delle popolazioni. Si parla di SNP se l’allele compare almeno nell’1% della popolazione, altrimenti si parla di mutazione. Si possono trovare sia in regioni codificanti che non, ma si trovano principalmente nelle seconde per il semplice motivo che se così non fosse .potrebbero avere delle conseguenza nel fenotipo e quindi subire una minore pressione selettiva Gli SNP costituiscono il 90% delle variazioni genetiche umane. Troviamo uno SNP ogni circa 300-500 bp: ognuno di noi nel genoma ha parecchi milioni di SNP. Essi hanno un basso tasso di mutazione e quindi sono perpetrati nelle generazioni successive. Sono inoltre facili da studiare e analizzare. Sono considerati marcatori genetici di patologia di nuova generazione (cfr. genetica medica). Possono essere usati come marcatori di un gene e in relazione a un certo fenotipo per gli .studi di tipo epidemiologico. Si parla quindi di genotipizzazione degli SNP Usi degli SNP: Per studi di farmaco-genomica: per predire la predisposizione di un individuo o di una popolazione ad una determinata terapia Possono essere utilizzati come marcatori di un gene. Potendosi trovare nelle sequenze regolative e in regioni introniche, molti SNP hanno un impatto sul fenotipo perché modificano lo splicing di quel gene, sebbene non cadano nella parte codificante. Per lo studio delle popolazioni e del cluster filogenetico, in quanto vengono ereditati di generazione in generazione. Un set di SNP strettamente connessi presente sul cromosoma che tende a essere ereditato insieme è definito aplotipo. Si prendano in considerazione, ad esempio, tre fenotipi diversi: occhi neri, occhi marroni e occhi blu. Di questi, si identificano tre diversi aplotipi per quella regione di DNA. Dall’associazione di ciascun aplotipo a un fenotipo si avrà la correlazione biunivoca di un assetto genetico quando ho il fenotipo visibile. Se invece si tratta di un feto (fenotipo non visibile) si genotipizza il feto e si può predire, prima ancora di saperlo, se il feto, avendo uno di questi aplotipi, avrà gli occhi neri, marroni o blu. Solo con esami successivi si può accertare la reale corrispondenza tra aplotipo e .relativo fenotipo Con l'utilizzo di tecniche diagnostiche basate su enzimi di restrizione, come l'RFLP (polimorfismo di lunghezza dei frammenti di restrizione) e microarrays, si possono individuare gli SNP in un .campione biologico RFLP: si provvede per prima cosa all'estrazione e alla purificazione del DNA da un campione individuale. Il DNA viene quindi sezionato in frammenti di restrizione mediante enzimi di restrizione detti endonucleasi, che attuano il taglio unicamente in corrispondenza di particolari sequenze nucleotidiche, specifiche alleliche, dove si ha un’unica forma più rapida c’è la forma wild type in omozigosi, e dove la .migrazione ha forma più lenta, la mutazione è in omozigosi Sesta lezione, 23.02.2015 ISOLE CpG Isole CpG: regioni di DNA con guanina - gruppo fosfato - citosina ripetute piu’ volte. Queste sequenze si trovano normalmente al 5’ dei geni house-keeping, geni essenziali per la funzione di una cellula. La presenza di queste sequenze è legata al fatto che i suddetti geni sono sempre trascrizionalmente attivi e sono presenti in una configurazione in cui la citosina è non metilata. Le sequenze CpG in cui la citosina è metilata rappresentano un segnale di silenziamento dell’espressione di quel gene con il suo spegnimento trascrizionale: quando la citosina è metilata infatti tende a dare deamminazione e a trasformarsi in timina. Circa il 40% dei geni tessuto-specifici contiene isole CpG e vi sono circa 45.000 isole CpG in tutto il genoma umano. La presenza di queste e la loro potenziale metilazione all’interno delle regioni regolative di un gene provocano la mancata espressione di quel gene. Meno del 10% del genoma si trova sotto selezione negativa (c’è una forte pressione selettiva per modifiche di sequenze di queste regioni di DNA). EVOLUZIONE DEI GENI Durante l’evoluzione si sono aggiunti geni con nuove funzioni che hanno permesso lo sviluppo e la filogenesi dei vari organismi. I geni che hanno determinato le transizioni evolutive sono quelli legati all’acquisizione di nuove funzioni. Nel proteoma le proteine condivise comuni a tutti gli organismi sono circa 1000 (proteine housekeeping). Nelle proteine umane vengono utilizzati degli esoni codificanti di altre proteine che vengono fusi insieme, queste nuove proteine utilizzano dei domini extracellulari, dei domini transmembrana che servono per far svolgere a proteine vecchie nuove funzioni. Nella filogenesi quindi non abbiamo tanto l’acquisizione di nuovi geni, ma più il riutilizzo di geni preesistenti in una variabile diversa che quindi codificano per proteine diverse. Questa caratteristica che sta alla base dell’acquisizione di nuove funzioni dipende dal fatto che le proteine svolgono la propria funzione all’interno della cellula non da sole, ma coinvolte in un network, cioè in interazione con altre proteine, nel cosiddetto interattoma. Si sa oggi che l’interattoma umano si è evoluto per addizione di interazioni successive tra proteine appartenenti alla stessa classe evolutiva, cioè è stato ampliato il network di interazione delle proteine. Mediamente ogni proteina umana interagisce con circa altre 5 proteine. IL GENOMA DEGLI ORGANELLI Nel caso dell’uomo gli organelli che presentano un genoma sono i mitocondri. Il genoma mitocondriale, anche chiamato extranucleare, segue un’ereditarietà di tipo non mendeliano: durante la distribuzione tra le cellule figlie, dopo la replicazione, segrega in maniera casuale e, nel caso dell’uomo, è di derivazione esclusivamente materna. Il genoma mitocondriale umano è formato da circa 17000 paia di basi e codifica per 37 geni (che comprendono 13 proteine coinvolte nella respirazione mitocondriale) e per molecole di Rna funzionale (22 per tRna e 2 per Rna ribosomiale). Questo tipo di eredita’ è definito uniparentale, poiché appunto ereditata da uno solo dei genitori. Il genoma mitocondriale è importante poiché non è soggetto ai processi di ricombinazione, ma varia comunque nel tempo in modo costante a causa di due fenomeni: le specie reattive dell’ossigeno (largamente prodotte a livello mitocondriale) e la deamminazione spontanea della 5-metil-citosina in timina. Conoscendo la relazione tra la frequenza di mutazione in funzione del tempo a causa di questi meccanismi e la divergenza attuale in termine di sequenze genomiche presenti a livello del genoma mitocondriale della popolazione mondiale, è possibile calcolare facilmente il tempo che ci distanzia dall’antenato piu’ comune. Data la frequenza di mutazione fissa, 2-4% ogni milione di anni, e la divergenza attuale dello 0.57%, si puo’ dedurre che il nostro antenato comune si sia sviluppato 200.000 anni fa. COMPATTAZIONE DEL DNA NELLE CELLULE PROCARIOTICHE ED EUCARIOTICHE Il genoma procariotico è costituito principalmente da una struttura chiamata Nucleoide, una massa compatta che si trova prevalentemente al centro del batterio. Si trova in quota variabile anche a livello extracromosomiale e va sotto il nome di DNA plasmidico, costituito da piccole molecole di DNA circolare covalentemente chiuse in grado di essere autoreplicate indipendentemente dal cromosoma batterico, importanti poiché coinvolte nella veicolazione della resistenza agli antibiotici. I plasmidi possono essere presenti quindi in piu’ copie a differenza del cromosoma batterico. Se effettuo una lisi batterica il DNA esce dalla cellula e si presenta in forma raggomitolata perché il genoma batterico è anch’esso superavvolto in associazione a proteine histon-like, che appunto mimano la funzione degli istoni negli eucarioti, in cui il DNA batterico si avvolge in maniera sinistrorso (eccetto nei batteri estremofili). Il genoma batterico è organizzato in anse di decine di chilobasi formate da strutture di DNA che sono vincolate alla base da complessi proteici. Le anse hanno la funzione di compartimentare il DNA, rendendo quindi un’ansa indipendente dall’altra così da impedirne l’interferenza. % % 
 I cromosomi eucariotici sono organizzati attraverso l’avvolgimento attorno al nucleosoma a formare delle superstrutture chiamate superstrutture cromatiniche. Se noi rimuoviamo gli istoni troviamo che il DNA si trova in parte associato a queste strutture elettrondense e in parte si trova in forma di anse raggomitolate chiamate LUX. Queste strutture elettrondense sono delle proteine, dette dello scaffold proteico nucleare. Quando i lux cromatinici si superavvolgono rimangono attaccati a queste impalcature proteiche che nel cromosoma interfasico molto spesso si associano alla matrice nucleare e l’interazione con queste proteine dello scaffold consente l’isolamento di regioni di DNA tra di loro. Le topoisomerasi per esempio sono associate a queste strutture. % Il nucleo di una cellula durante l’interfase è organizzato in eterocromatina e eucromatina, dove l’eterocromatina (porzione piu’ compatta) è legata alla membrana nucleare attraverso le proteine dello scaffold nucleare. L’eterocromatina corrisponde a quelle regioni del genoma che tipicamente non sono trascritte e che sono replicate per ultime durante la fase S del ciclo cellulare. Si identificano due tipi di eterocromatina: la costitutiva, sempre compatta ed elettrondensa, formata da telomeri e centromeri, e la facoltativa, a volte compattata a volte no, per esempio nel cromosoma X, dove puo’ essere silenziata. Questo è alla base del processo di lionizzazione o “formazione del corpo di Bahr” (far esprimere la stessa quantita di gene sia che l’individuo sia maschio che sia femmina) dove uno dei due cromosomi X nell’individuo femminile viene silenziato. Oltre ai cromosomi si possono eterocromatizzare anche regioni di DNA con il processo di silenziamento genico, che indica la repressione dell’attivita’ di uno o piu’ geni. I geni trascrizionalmente attivi si trovano sempre in regioni eucromatiniche e sono ipersensibili alle nucleasi. La cromatina interfasica è costituita dal DNA avvolto ai nucleosomi che vanno a formare la struttura a “collana di perle” o fibra cromatinica di 10 nm, prima forma di organizzazione ultrastrutturale del genoma eucariotico. La seconda forma è l’avvolgimento della fibra di 10 nm intorno al proprio asse per formare la struttura di 30 nm, che avvolgendosi ulteriormente va a costituire la fibra cromatinica interfasica. Durante la fase M la cromatina è presente solamente sottoforma di cromosoma. Il cromosoma è formato da due cromatidi, detti cromatidi fratelli, ed è dovuto ad una ulteriore supercompattazione della fibra di 30 nm in queste strutture spente dal punto di vista dell’espressione genica, infatti nella fase M praticamente non c’è trascrizione del genoma. Nel cromosoma distinguiamo una struttra funzionale che li collega, il centromero, e alle estremità troviamo i telomeri. Dal punto di vista molecolare i cromosomi umani derivano da eventi di riarrangiamento cromosomico delle scimmie e scimpanzè, con cui abbiamo un’omologia di sequenze molto elevata. Oltre al centromero (dove, nella regione del cromosoma vicino allo stesso, troviamo uno restringimento chiamato costrizione primaria dove si associano proteine) e ai telomeri, alcuni cromosomi sono dotati di una costrizione secondaria che contiene le sequenze corrispondenti ai geni per gli RNA ribosomiali. % e nella porzione centrale e carbossi terminale le strutture in alfa elica. La porzione non strutturata, che si chiama appunto coda ammino-terminale, è la sede principale delle modificazioni post-traduzionali che gli istoni subiscono in relazione alla possibilita’ di compattare o decompattare la struttura cromatinica. A livello delle code ammino-terminali si puo’ effettuare il controllo di transizione tra la fibra di 10 nm e la fibra di 30 nm. La porzione centrale si chiama HISTON FOLD e interagisce con il DNA ed è necessaria per la formazione dei complessi intermedi, cioè quelli che si vengono a formare tra gli istoni durante l’assemblaggio del nucleosoma. Nella coda ammino-terminale risiede la maggior parte dei residui basici di ciascun istone. Durante il processo di assemblaggio di un nucleosoma si viene a formare da un lato l’eterotetramero H3-H4 e dall’altro lato i due dimeri H2A e H2B. Il primo evento che porta al superavvolgimento del DNA attorno al nucleosoma è dovuto alla funzione dell’eterotetramero H3-H4. Tipicamente i legami che queste proteine fanno con il DNA non deve essere sequenza-specifico. Le code ammino-terminali istoniche sono responsabili del controllo del grado di superstrutturazione della transizione della fibra di 10 nm in quella di 30 nm. Le code ammino-terminali istoniche permettono interazioni di tipo internuclosomiale. Anche l’istone H1 è in grado di definire la struttura della fibra di 30 nm interagendo con il DNA-linker che separa un nucleosoma dall’altro. Attraverso questa organizzazione dovuta a code istoniche e all’istone H1 la fibra di DNA si superavvolge su se stessa nella forma di solenoide garantendo la transizione tra la fibra di 10 nm e quella di 30 nm. A parte gli istoni appena definiti ci sono delle varianti istoniche con funzione regolativa, tipo H2AZ che deriva dall’istone H2A con alcune modifiche nella porzione carbossi-terminale che viceversa ha funzione regolativa oppure CEMPA, variante dell’istone H3 che ha un braccio particolare che consente di interagire con le fibre del cinetocore. Altra variante dell’istone H2A è H2AX, che è coinvolto nella riparazione del Dna e di ricombinazione di sequenze di Dna. Settima lezione, 24.02.2015 MECCANISMI RESPONSABILI DELLA REGOLAZIONE EPIGENETICA La struttura cromatinica non è fissa nel tempo ma è dinamica, viene modificata in relazione agli stimoli ambientali, in funzione del tempo. Questo è il meccanismo principale con cui il genoma interagisce con l’ambiente per modificare un fenotipo, e per questo motivo è sede della regolazione epigenetica. La regolazione epigenetica si estrinseca attraverso meccanismi che controllano la struttura cromatinica di un gene. Un esempio è l’ereditabilità dei cambiamenti dell’espressione genica durante il differenziamento cellulare e la condivisione (da parte delle cellule somatiche adulte e differenziate) del genoma ma non del fenotipo, il quale è legato all’espressione di determinati geni e alla loro struttura cromatinica. Cellule differenziate diverse hanno lo stesso genotipo ma hanno diversi epigenotipi. L’epigenetica comprende i meccanismi che causano cambiamenti ereditabili dell’espressione genica non dipendenti da modificazioni genetiche ma indotte dall’ambiente attraverso il controllo della struttura cromatinica e sono modulati attraverso: 1. MODIFICAZIONI ISTONICHE (metilazione ed acetilazione) 2. RNA non codificanti (ncRNA) 3. Metilazione del DNA CARATTERISTICHE Essi sono meccanismi ereditabili: quando una cellula indifferenziata embrionale ha prodotto un tipo differenziato di un determinato foglietto embrionale oppure, quando abbiamo una cellula differenziata di un certo tessuto (entrambe quindi differenziate e prolifere), esse devono poter generare delle cellule figlie che mantengano il fenotipo della madre. Quindi la regolazione epigenetica è uno dei meccanismi principali per il mantenimento dell’omeostasi tissutale (mantenimento del numero costante di cellule funzionali in un determinato tessuto) attraverso un processo che mantiene il set di espressione dei geni della cellula madre. Stiamo parlando di stabilita epigenetica durante la proliferazione cellulare delle cellule differenziate. Allo stesso tempo ci deve essere un certo livello di plasticità epigenetica, cioè la capacità dello stato epigenetico di modificarsi o rigenerarsi in relazione agli stimoli ambientali (ad esempio la rigenerazione epatica in cui le cellule differenziate o le cellule staminali epatiche possono rigenerare il tessuto epatico rimosso meccanicamente attraverso un processo di riprogrammazione \plasticità epigenetica). RIMODELLAMENTO CROMATINICO Un ‘altro aspetto importante è il rimodellamento cromatinico. L’espressione dei geni avviene prevalentemente nell’interfase ed i geni attivamente trascritti sono localizzati prevalentemente nella regione centrale del nucleo, mentre le regioni perinucleari sono legate all’eterocromatina (silenziamento). Ciò significa che vi è un processo di rimodellamento della cromatina interfasica che si associa ai processi di espressione genica. Il genoma deve spostarsi al centro del nucleo per poter essere trascritto all’interno di “fabbriche trascrizionali” situate al suo interno. DA COSA E’ DETERMINATA LA POSIZIONE DEI NUCLESOMI NEL GENOMA? SI TROVANO IN POSIZIONI SPECIFICHE? La loro posizione dipende dall’interazione con proteine regolatrici, in grado di condizionare la posizione di un nucleosoma rispetto ad una sequenza di DNA. Ci sono 3 categorie: 1. i complessi di rimodellamento 2. i fattori di modificazione 3. i fattori di trascrizione, I fattori di rimodellamento e modificazione sono responsabili dello spostamento del nucleosoma rispetto ad una sequenza di DNA senza caratteristiche di sequenza-specificità; cioè sono enzimi in grado di modificare gli istoni o di spostare i nucleosomi senza pero poter riconoscere una data sequenza di DNA . I fattori di trascrizione sono coinvolti nell’attivazione della trascrizione in un gene, che a a differenza delle proteine precedentemente descritte, sono sequenza-specifici. Una proteina regolatrice può avere un ruolo di competitore impedendo al nucleosoma di spostarsi in una determinata regione oppure, può favorirne il posizionamento. La posizione dei nucleosomi dipende anche da determinate sequenze di DNA, le quali sono più facilmente ripiegabili verso l’interno dal nucleosoma. In particolare le sequenze ricche in A-T fanno si che vengano esposte all’esterno del nucleosoma le sequenze G-T. Le sequenze ricche di A-T sono quindi più facilmente associabili a strutture eterocromatiniche. Promotori ed enhancer (sequenze di gene che non vengono trascritte, che normalmente si trovano a monte del sito di trascrizione di un gene) hanno caratteristiche particolari per il posizionamento di nucleosomi, cioè sono ipersensibili al trattamento con endonucleasi. Questa sensibilità è dovuta al fatto che in queste regioni vi è un organizzazione ordinata della struttura cromatinica locale: i nuclesomi sono posizionati con una spaziatura regolare tra uno e l’altro in modo tale da rendere accessibile quella regione di cromatina alle endonucleasi. Queste tagliano e rendono il DNA accessibile agli enzimi regolativi, in particolare rendendole attive per la trascrizione. RIMODELLAMENTO DEL NUCLEOSOMA Il rimodellamento del nucleosoma, cioè lo spostamento del nucleosoma in base ad una sequenza di DNA avviene in due modi: 1. con scivolamento del nucleosoma rispetto ad una sequenza di DNA 2. con trasferimento del nucleosoma da una sequenza di DNA ad un'altra. In questo modo le proteine, coinvolte nella trascrizione le sequenze di DNA, accedono ai siti di per la regolazione di quel gene. Queste proteine, in grado di effettuare lo spostamento di un nucleosoma, sono fattori che agiscono sugli amminoacidi attraverso meccanismi post- traduzonali sulle code amino-terminali istoniche. I fattori di rimodellamento sono enzimi complessi che consumano ATP, quindi energià-dipendenti. Quindi si consuma ATP ogni volta che avviene la transizione da struttura a 30nm a 10nm, con l’obiettivo di rendere accessibile una struttura di DNA altrimenti coperta da una struttura cromatinica. MODIFICATORI ISTOGENICI L’altra categoria in grado di modificare la posizione reciproca dei nucleosomi e quindi consentire la decompattazione della struttura cromatinica locale di un gene sono i modificatori istogenici che non consumano ATP. Agiscono effettuando una modifica chimica sulle code ammino-terminali istoniche in modo tale da modularne l’affinità per il DNA o modificando l’affinità tra 2 nucleosomi adiacenti. Questo processo avviene per rimodellamento locale della cromatina e in associazione alla trascrizione di un gene. IMMAGINE (rappresentazione di che cosa succede nella ADP-RIBOSILAZIONE È l’aggiunta di una molecola o più di ADP-Ribosio da parte di una ADP-ribosil-transferasi sui residui di acido glutammico degli istoni. Questa modificazione è coinvolta anche nei casi di riparazione dei danni al DNA, in quanto è uno dei segnali precoci che gli enzimi di riparazione inviano, introducendo la modificazione negli istoni per mutare l’accessibilità alla struttura cromatinica. Uno degli enzimi importanti nel riconoscimento di una lesione al DNA e modificazioni della struttura cromatinica si chiama PART (Poli ADP Ribosil Transferasi). Il PART è uno degli enzimi che sembrano più promettenti per lo sviluppo di farmaci antitumorali, in quanto può agire attraverso la Poli-ADP-ribosilazione degli istoni e la decompattazione cromatinica per consentire la riparazione del danno al DNA. I complessi di rimodellamento, cioè gli enzimi in grado di spostare i nucleosomi con meccanismo ATPdipendente, e gli enzimi di modificazione degli istoni operano in modo coordinato per modificare la struttura della cromatina espandendo l’effetto locale. NB: nei processi che riguardano il rimodellamento della regione di un gene il processo inizia con un fenomeno puntiforme e si espande su tutta la regione che coinvolge quel gene. Inizia con un fattore di rimodellamento che sposta un nucleosoma rendendo accessibile una regione di DNA ad una seconda proteina, ad esempio un fattore di trascrizione, la quale recluta dietro a sè un fattore di modificazione che modifica le code istoniche di nucleosomi adiacenti e consente la decompattazione su tutta la dimensione del gene. MECCANISMO DI ETEROCROMATIZZAZIONE NELLO SVILUPPO EMBRIONALE Attraverso questi processi quindi l’eterocromatina tende ad espandersi. Questo è particolarmente importante durante le prime fasi dello sviluppo embrionale, in cui devono essere espressi pochi geni e larga parte del genoma deve essere silenziato attraverso un meccanismo di lettura e scrittura del codice istonico che si estende lungo la fibra cromatinica. Esistono dei complessi proteici in grado di rimodellare la struttura cromatinica in maniera eterocromatinizzante. Essi sono le proteine HP1 e proteine POLYCOMB, i principali regolatori epigenetici che propagano la condensazione della struttura cromatinica mantenendo lo status di silenziamento trascrizionale di ampie regioni del genoma umano durante le prime fasi di sviluppo embrionale. Ad esempio HP1 riconosce lo stato di trimetilazione della Lisina 9 dell’istone H3 e lo estende ad una regione di DNA molto grande che coinvolge più geni. Essa non metila, ma legge solo lo stato di metilazione e mantiene la struttura cromatinica compatta attraverso interazioni tra una proteina e l’altra. Ci sono però mutazioni a carico di queste proteine eterocromatinizzanti che possono comportare lo sviluppo di forme tumorali. COSA IMPEDISCE CHE NEL DNA DOMINI ADIACENTI DI CROMATINA “PARLINO” TRA LORO IN MODO CONFLITTUALE CONDIZIONANDO IMPROPRIAMENTE L’ESPRESSIONE GENICA? Come facciamo a bloccare l’espressione della cromatina, se sappiamo che l’eterocromatina tende ad estendersi, e quindi a decidere quali geni debbano essere silenziati e quali no? Grazie ai complessi proteici barriera che, o impediscono la diffusione dello stato eterocromatinico perché fisicamente non permettono il passaggio dalla struttura etero- in quella eucromatinica, oppure salvaguardano l’estensione proteggendo fisicamente i nucleosomi di una regione eucromatinica. Gli elementi di confine (Buondary Elements) vengono riconosciuti dalle proteine barriera e confinano la struttura cromatinica locale fra due regioni di uno stesso cromosoma. EREDITARIETA EPIGENETICA DI UNA CELLULA SOMATICA Si intende l’ereditarietà dei caratteri fenotipici basati sulla struttura della cromatina e non sulla sequenza. È controllata da: - Stato modificazione post-traduzionali istoniche - Stato di metilazione del DNA di un determinato gene Tutto ciò per far si che la cellula figlia esprima gli stessi geni della cellula madre, per garantire omeostasi e per il mantenimento identità cellulare. Questo processo è reversibile, a differenza del meccanismo ereditario di tipo genetico che si basa sulle sequenze di DNA. Lo status cromatinico di un gene può essere revertito dato che non si è modificata la sequenza di basi ma solo la struttura cromatinica. Questo processo avviene prevalentemente nelle cellule germinali. COME VIENE PERPETRATO LO STATO EPIGENETICO DI UNA CELLULA MADRE IN UNA CELLULA FIGLIA? Ci deve essere un meccanismo attraverso cui le modificazioni istoniche per i geni della cellula madre (che condizionano lo stato cromatinico) vengono riprodotte e mantenute nella cellula figlia. Il processo si basa sull’eredità dei nucleosomi dalla cellula madre alla cellula figlia. Durante la fase S del ciclo cellulare abbiamo la replicazione del DNA. Dal DNA parentale vengono generate in maniera semiconservativa 2 molecole di DNA ibride (ogni doppio filamento è costituito da un filamento parentale e uno di neosintesi) ma vi è anche un’attiva sintesi proteica di nuovi istoni fatta in modo tale che essi abbiano le stesse caratteristiche post-traduzionali di quelli della cellula madre. Inoltre, dato che durante la replicazione i nucleosomi devono essere disassemblati perché rappresentano un impedimento sterico al proseguo della DNA-polimerasi, ci deve essere un meccanismo attraverso cui i nucleosomi con le vecchie modificazioni rimangono associati a quella regione di DNA neoreplicata. Questo riguarda prevalentemente gli etero- tetrameri H3 e H4. Gli etero-tetrameri H3 e H4 sono responsabili della ereditarietà di tipo epigenetico durante la proliferazione cellulare. Solamente gli eterotetrameri H3 e H4 rimangono sempre associati casualmente ad uno delle 2 molecole di DNA neo- replicate e insieme all’azione di fattori enzimatici che leggono lo status delle modificazioni post- traduzionali presenti sugli istoni, permettono il riposizionamento corretto dei nucleosomi riproducendo lo stesso status epigenetico del DNA parentale. L’associazione degli istoni per formare i nucleosomi è legata a proteine chaperoniche, una per il posizionamento degli eterotetrameri H3 H4 e una per H2A e H2B. Questo processo è coordinato con la replicazione attraverso la proteina PCNA e ciò permette che i chaperoni molecolari interagiscano con la DNA polimerasi. Il processo di replicazione avviene simultaneamente a quello di assemblamento dei nucleosomi. EFFETTO POSIZIONALE E’ uno dei meccanismi principali attraverso cui viene causato il silenziamento dell’espressione di un gene a seguito di un evento di trasferimento o di traslocazione che porti una regione di DNA eucromatica in prossimità di una regione eterocromatica. Questo fenomeno avviene solamente nelle traslocazioni cromosomiche nelle quali pezzi di un cromosoma vanno a finire in pezzi di altri cromosomi. ! nostro corpo, alcuni hox vengono silenziati, alcuni attivati e da ciò ne deriva il destino della cellule. [Infatti nel caso del topo, se viene attivato uno specifico gene hox le vertebre cervicali e toraciche possono assumere le caratteristiche di quelle lombari e le coste possono sparire.] Nell'uomo i cromosomi X subiscono cambiamenti globali dovuti al fatto che il sesso femminile presenta un cromosoma X in più rispetto al maschio. Se i geni associati all’ X fossero espressi con la stessa efficienza nei due sessi, ogni prodotto sarebbe presente nelle femmine in quantità doppia rispetto ai maschi, perciò per rendere uguale l’espressione del cromosoma X sono utilizzate forme diverse di compensazione di dosaggio. Nel caso dell'inattivazione del cromosoma X o lyonizzazione uno dei due cromosomi X viene inattivato a caso in ogni cellula di una piccola popolazione di precursori cellulari. Lo stato inattivato viene quindi ereditato dalle cellule discendenti. Tuttavia l’inattivazione dell’ X coinvolge l’espressione del gene Xist contenuto nel locus Xic, necessario e sufficiente a garantire che un solo cromosoma X rimanga attivo. Il gene Xist è espresso da entrambi i cromosomi ma si stabilizza solo sul cromosoma che viene inattivato. Xist codifica per un RNA che si trova solo sui cromosomi X inattivi e per rendere X inattivo è necessario stabilizzare l’RNA Xist, che riveste il cromosoma inattivo. Contribiscono all’inattivazione, sul cromosoma silenziato, anche: • Mancanza di acetilazione di H4; • Metilazione di sequenze CpG che avvengono successivamente alla fase di rivestimento. % LA RIPROGRAMMAZIONE EPIGENETICA Le modificazioni epigenetiche del genoma sono generalmente stabili nelle cellule somatiche di organismi pluricellulari. Nelle cellule germinali e negli embrioni ai primi stadi di sviluppo, tuttavia, si verifica una riprogrammazione epigenetica su ampia scala genomica che include meccanismi di demetilazione del DNA, rimodellamento degli istoni e loro modifiche. La riprogrammazione epigenetica ha un ruolo importante nell'imprinting genomico (l’espressione di un determinato gene dell’embrione dipende dal genitore da cui deriva, indipendente dal sesso, ed è in relazione con il suo stato cromatinico: viene silenziata una copia di un gene, paterno o materno, attraverso metilazione), nella naturale e sperimentale acquisizione della totipotenza e pluripotenza e l'ereditarietà epigenetica attraverso le generazioni. La riprogrammazione epigenetica si verifica nello sviluppo dei mammiferi in due distinte fasi: • Nelle cellule germinali primordiali soprattutto una volta che hanno raggiunto le gonadi embrionali e nel pronucleo maschile dello zigote subito dopo la fecondazione. Questa riprogrammazione comporta la cancellazione della metilazione del DNA così come la perdita di modifiche istoniche (così come gli istoni e le varianti istoniche). • La perdita di metilazione del DNA nelle Cellule Germinali Primordiali è globale: solo il 7% delle isole CpG rimangono metilate (rispetto al 70-80% nelle cellule staminali embrionali e nelle cellule somatiche) e la maggior parte dei promotori, sequenze geniche, intergeniche e trasposoni sono ipometilati in questa fase. % LA REPLICAZIONE DEL DNA La replicazione del DNA è un processo molecolare finemente regolato da enzimi e proteine tra cui la DNA polimerasi, l’enzima chiave. Esistono diverse DNA polimerasi, negli eucarioti e nei procarioti, che vengono utilizzate in processi differenti con funzioni diverse. Alcune di esse possono essere utilizzate anche nei processi di riparazione del DNA. L’obiettivo della replicazione è quello di copiare completamente il DNA, in modo fedele senza alcun errore, così da mantenerlo intatto nella duplicazione, e copiarlo una sola volta per ogni divisione cellulare. Purtroppo esistono problemi biologici delle cellule eucariotiche legati alla replicazione del genoma, che le cellule stesse devono superare, come: • accedere al DNA associato ai nucleosomi; • coordinare proliferazione e differenziamento durante lo sviluppo; • determinare quando e dove iniziare a copiare il DNA in modo da replicare nello stesso tempo cromosomi con diversa grandezza (infatti si rammenta che il genoma umano presenta circa 50000 siti di origine della replicazione diversamente dalle cellule procariotiche come l'Escherichia Coli che presenta un unico sito); • replicazione dei terminali di DNA nei cromosomi lineari (telomeri). % ! 
 La replicazione, che avviene durante la fase S, è di tipo semiconservativo, quindi i figli contengono un filamento di origine parentale mentre il complementare è di neoformazione. L’altra caratteristica della replicazione è il fatto che sia bidirezionale: durante la replicazione si viene a generare una bolla replicativa che si estende da entrambe le direzioni a prescindere dalla struttura, ovvero può essere circolare o lineare. Gli ingredienti fondamentali della sintesi del DNA sono: • i nucleotidi trifosfato precursori, dove i gruppi fosfato sono in posizione alfa, beta e gamma rispetto al C5; • i complessi di innesco stampo, chiamati primer-template. % Il filamento del DNA orientato in direzione 3’ – 5’ funge da stampo e viene utilizzato per la lettura della sequenza dei nucleotidi per la sintesi del nuovo filamento, la quale avviene in senso 5’ – 3’. Tale meccanismo inizia sempre da un primer d’innesco che può essere una molecola di DNA o nel caso specifico una molecola di RNA e serve per fornire un’estremità 3’ OH libera che permetta l’estensione polimerica da parte dell’enzima che legge e polimerizza estendendo questo innesco. Il processo di replicazione avviene grazie alla DNA polimerasi che riesce ad introdurre un nucleotide alla volta a partire da un nucleotide trifosfato precursore, leggendo la base complementare disponibile. Così facendo è in grado di estendere il primer di innesco al 3’ e questo è un processo esoergonico: ha un ΔG negativo consistente e il guadagno di energia, che avviene in questo processo di polimerizzazione, è dovuto all’azione della pirofosfatasi. Questo enzima agisce una volta (per nucleotide) e successivamente alla fase di incorporazione del nucleotide complementare da parte della DNA polimerasi. Durante la prima fase viene introdotto il nucleotide trifosfato all’interno dell’enzima che legge la base complementare e catalizza la formazione del legame fosfodiestereo fra 3’ e 5’ fosfato del nucleotide entrante. [NOTA:Gli esperimenti che alla fine degli anni ’50 hanno permesso di scoprire le caratteristiche fondamentali del processo di replicazione del DNA sono stati compiuti attraverso procedure di marcatura e nel 1958 sono state definite le caratteristiche base del processo di replicazione.] Successivamente viene liberata una molecola di pirofosfato e l’idrolisi di essa, da parte della pirofosfatasi, fornisce l’energia enzimatica chimica per rendere irreversibile questo processo biochimico (nel computo complessivo dell’equilibrio chimico della reazione di sintesi del DNA, l’idrolisi del pirofosfato contribuisce in maniera significativa a rendere il processo irreversibile). Il processo è catalizzato da un enzima, strutturalmente conservato tra eucarioti e procarioti, la DNA polimerasi che viene rappresentata con la struttura schematica della cosiddetta “mano destra”. La struttura della DNA polimerasi assomiglia ad una mano destra parzialmente chiusa nella quale si colloca il complesso stampo-innesco. Il “palmo” costituito da un foglietto β contiene gli elementi del sito catalitico e controlla la correttezza dell’appaiamento delle basi (selettività cinetica), attraverso il riconoscimento nel solco minore, piuttosto che la correttezza del nucleotide entrante. Questo enzima, oltre ad avere la capacità di sintetizzare una molecola di DNA, è in grado di rimuovere l’ultimo nucleotide, qualora venissero riprodotti erroneamente degli appaiamenti sbagliati di nucleotidi, ossia appaiamenti scorretti secondo i classici abbinamenti “Watson e Crick” (se l’abbinamento fra il nucleotide appena entrato e il complementare non risulta corretto). Il presente nella DNA polimerasi (detta anche “attività di proofreading”). La rimozione della distorsione provocata dall’appaiamento errato ripristina l’affinità per il dominio catalitico e consente alla replicazione di continuare. L’attività proof reading aumenta la fedeltà della replicazione di circa 100 volte. % Le DNA polimerasi lavorano in maniera processiva. Il grado di processività è definito come il numero medio di nucleotidi che vengono sintetizzati nell’unità di tempo (può variare da pochi nucleotidi a più di 50,000; ca. 1000/sec in E.coli). Il “rate limiting step” è il legame della polimerasi al complesso stampo-innesco (ca 1 sec). Il mantenimento di livelli intracellulari bilanciati dei 4 dNTP garantisce la processività della replicazione. % Questi meccanismi d’azione delle DNA Polimerasi si sono conservati nei vari organismi eucarioti e procarioti. In ambito terapeutico si sfruttano delle peculiartià specifiche di questo processo: per esempio la possibilità di bloccare l'attività polimerasica di cellule altamente proliferanti, come le cellule tumorali, semplicemente usando dei farmaci che mimino i precursori nucleotidici. Fra questi, s’identificano molecole che agiscono come analoghi dei precursori della sintesi nucleotidica, come la 6-mercaptopurina e il 5-fluorouracile. In particolare, il 5-fluorouracile è un farmaco antimetabolita inibitore irreversibile della Timidilato sintasi e blocca la sintesi di Timina rendendo limitanti substrati per la sintesi del DNA. Tale farmaco viene utilizzato per curare il cancro al colon e al retto, allo stomaco, al pancreas e alla mammella. La 6-Mercaptopurina è un antimetabolita, inibitore della sintesi dei nucleotidi purinici utilizzato per la cura della leucemia acuta. Inibitori diretti di particolari DNA Polimerasi come le trascrittasi inverse di HIV o la DNA Polimerasi dell'Herpes Simplex sono AZT e AciclovirAzidotimidina (AZT). L'AZT agisce come inibitore della trascrittasi inversa di HIV e può inibire anche la DNA-polimerasi-γ causando tossicità mitocondriale L'Aciclovir è un inibitore competitivo irreversibile del dGTP per la DNA polimerasi virale. È utilizzato nella terapia delle infezioni da virus Herpes simplex (HSV) e da virus varicella-zoster (VZV). Nona lezione, 03.03.2015 SEMIDISCONTINUITA’ DEL DNA e la FORCA REPLICATIVA La replicazione del DNA è semiconservativa e semidiscontinua. La semiconservatività è dovuta al fatto che i doppi filamenti figli sono costituiti da un singolo filamento sintetizzato e da un filamento stampo di origine parentale; la semidiscontinuità si riferisce al fatto che la sintesi del DNA avviene per un filamento in unica soluzione con delle interruzioni inframmezzate (filamento continuo o leading strand) per l'altro filamento avviene in maniera discontinua ed in direzione opposta rispetto al filamento continuo (filamento discontinuo o filamento ritardato o lagging strand). Tale discontinuità è legata al fatto che l’attività polimerasica dell'enzima avviene solo in senso 5’→3’ mentre i due filamenti stampo sono antiparalleli. Ci deve essere quindi un meccanismo per cui, grazie alla stessa attività polimerasica, i due filamenti stampo antiparalleli possono essere replicati contemporaneamente. Inoltre, per sintetizzare il DNA, è necessario che un’estremità 3’-OH venga estesa. Per l'inizio di questa sintesi sono quindi necessarie delle piccole molecole di RNA che fungono da primer, le quali sono lunghe circa 5-10 nucleotidi e sono sintetizzate sulla molecola stampo da parte di una DNA polimerasi detta primasi (nei batteri DnaG). Questo enzima diversamente dalla DNA polimerasi processiva (quella necessaria per la replicazione del genoma) è a bassa fedeltà e introduce dunque un gran numero di errori ma non ha bisogno di un 3’-OH da estendere; è sufficiente che il DNA sia denaturato e presenti un filamento stampo affinché questo enzima si introduca e sintetizzi piccoli inneschi (nel nostro caso di RNA) che in seguito verranno rimossi (in verde nella figura). Nel filamento continuo normalmente vi è un unico innesco che poi viene utilizzato dalla DNA polimerasi processiva in senso 5’→3’, nel filamento discontinuo invece questi inneschi sono molteplici ed intervallano il DNA neosintetizzato (in rosso nella figura) dando origine ai frammenti di Okazaki. Questi sono lunghi 1000-2000 nucleotidi nei batteri e 100-400 negli eucarioti ma svolgono la stessa funzione e vengono rimossi in maniera analoga. La regione del DNA in cui avviene la sintesi del DNA si chiama forca replicativa per la particolare struttura che assume. Nella forca replicativa non vi sono solamente enzimi deputati alla replicazione, come la DNA polimerasi primasi e processiva, ma anche tutta una serie di enzimi accessori necessari per il processo di replicazione. Esistono per esempio degli enzimi detti elicasi (complesso Mcm nell’uomo, DnaB in E.coli) che hanno la funzione di denaturare il DNA a valle della regione in cui si trova la DNA polimerasi. Vi sono anche delle proteine Single Strand Binding (SSB, o RPA nell’uomo) che stabilizzano il filamento di DNA appena denaturato. Sono presenti inoltre le topoisomerasi la cui funzione è rimuovere i superavvolgimenti a valle del punto in cui si trova la forca replicativa. MECCANISMO DI REPLICAZIONE - Inizio di replicazione La DNA Pol primasi introduce un primer di innesco che poi viene abbandonato dalla primasi per lasciare spazio alle polimerasi processive attraverso il meccanismo di switch delle polimerasi. La DNA primasi (α) sintetizza un frammento di RNA ed in seguito uno di DNA, successivamente questa perde affinità per il substrato e si stacca. Intervengono, quindi, le DNA polimerasi processive δ (nel filamento discontinuo) ed ε (nel filamento guida) per continuare la sintesi del filamento. Le DNA polimerasi processive di per sé tendono a staccarsi dallo stampo di DNA una volta che iniziano a sintetizzare, per ovviare a questo problema interviene una particolare proteina ad anello detta Sliding Clamp (pinza scorrevole) la cui struttura tridimensionale permette di avvolgere il DNA. Questa proteina, PCNA negli eucarioti, è un trimero la cui funzione, insostituibile e necessaria per il funzionamento della DNA polimerasi, è quella di interagire fisicamente con essa dandole velocità di sintesi, quindi di scorrimento, e processività, impedendo quindi il distacco della polimerasi dal filamento stampo. Dal punto di vista medico questa proteina è molto importante in quanto vi sono delle patologie legate a fenomeni autoimmunitari causate dalla produzione di autoanticorpi verso proteine nucleari dello stesso paziente (proteine self). Nelle malattie autoimmunitarie possono essere prodotti autoanticorpi verso diverse proteine (tra cui istoni) ed il DNA ma uno dei bersagli prediletti di questi è la PCNA la quale è coinvolta non solo nella replicazione ma in tutti gli eventi che riguardano il DNA: meccanismi di riparazione e di controllo del ciclo cellulare, apoptosi, strutturazione di regolazione epigenetica, riparazione translesione. La produzione di questi autoanticorpi provoca quindi l'alterazione di numerosi processi cellulari. Il Lupus Eritematoso Sistemico ne è un esempio: si presenta fenotipicamente con l'eritema a farfalla ma coinvolge diversi organi interni e può portare alla morte. Nonostante il senso di processività della DNA polimerasi sia in un'unica direzione (5’→3’) essa è in grado di sintetizzare in maniera discontinua i due filamenti antiparalleli di DNA. Questo avviene grazie all'esistenza del complesso multiproteico del replisoma (inseme di proteine che costituiscono la forca replicativa) ma anche alla struttura che la DNA polimerasi contribuisce a definire. La DNA polimerasi è un oloenzima costituito da: - 2 subunità con funzione catalitica (due “Pol III core” in procarioti, polimerasi δ e ε in eucarioti) orientate in maniera opposta, in cui sono alloggiati i filamenti stampo antiapralleli; - Proteine strutturali (proteine τ e complesso γ) che uniscono le prime mantenendo questo complesso ben definito ed integrato. A queste ultime si unisce provvisoriamente la proteina sliding clamp (subunità β). MECCANISMO DI REPLICAZIONE Sintesi del processo a) Periodicamente la primasi associandosi all’elicasi sintetizza un nuovo primer di innesco sul filamento discontinuo. Questo primer passa nella sliding clamp associata alla subunità catalitica dell’oloenzima per effettuare la sintesi in direzione 5’→3’ (immagine b). b) Nel frammento discontinuo la DNA polimerasi si stacca quando giunge al frammento di Okazaki successivo, dopo aver ultimato la sintesi di quello corrente (immagine c). c) Il complesso γ (complesso posizionatore) carica la sliding clamp del processo oloenzimatico (sub. β) a livello del primer più vicino (immagine d). d) Il complesso γ rilasciare il primer il quale si legherà alla DNA polimerasi per ripetere il processo (immagine e). Nel frattempo il primer di innesco viene rimosso dalla ribonucleasi H e la polimerasi I (FEN1 negli eucarioti) estende e chiude il gap, la DNA ligasi chiuderà poi l’ultimo nick formando l’ultimo legame fosfodiestereo. Il modello che descrive il senso in cui avviene la sintesi del DNA nei procarioti e negli eucarioti si chiama modello del trombone per la forma ed il movimento del filamento stampo di DNA sintetizzato in maniera discontinua in relazione al complesso oloenzimatico. [vedi video su sintesi del DNA] ORIGINI DI REPLICAZIONE (ORI) L'inizio della replicazione non è un evento casuale ma regolato; questo infatti deve avvenire per le cellule eucariotiche una e una sola volta ogni ciclo cellulare. Esistono siti in cui inizia la replicazione del DNA detti origini di replicazione o “ori”. Cdk1 e Ddk non consentono solo l’attivazione di pre-RC ma anche che, nonostante sia presente un'origine di replicazione neoreplicata, questa non venga riutilizzata nuovamente: infatti fintanto che l’attività delle chinasi è alta anche in fase G2 ed M il complesso prereplicativo non si può formare nuovamente. Mentre nei batteri il processo è controllato dalla metilazione, nelle cellule eucariotiche esso è regolato dalle chinasi ciclinodipendenti. Le ori, in fase S, sono però attivate in tempi diversi: prima vengono attivate le origini di replicazione delle regioni eucromatiniche (ori precoci) per ultime le regioni eterocromatiniche (ori tardive). La durata della fase S si presenta dunque di fondamentale importanza per garantire la capacità proliferativa di una cellula eucariotica. REPLICAZIONE DEL GENOMA MITOCONDRIALE Il genoma mitocondriale viene replicato da un altro enzima detto DNA polimerasi γ. Per molti anni si è ritenuto che il genoma mitocondriale venisse replicato secondo il modello dello spostamento del filamento: la replicazione del genoma mitocondriale non era bidirezionale come quella cellulare ma unidirezionale con sintesi di un filamento alla volta senza l'utilizzo dei frammenti di Okazaki. In realtà oggi il modello più accreditato è quello del filamento accoppiato secondo il quale vi è un'unica origine di replicazione che avvia un processo bidirezionale il quale implica l'adozione di un metodo semidiscontinuo con sintesi dei frammenti di Okazaki. Nel mitocondrio non è presente una DNA polimerasi primasi che sintetizza i primer d’innesco ma vengono trascritte molecole di RNA non tradotte accorciate da un’enzima di ribonucleasi mitocondriale, detto MRP, per essere utilizzate come primer per la DNA polimerasi mitocondriale. Delle mutazioni di questo enzima sono associate ad una forma di nanismo chiamato Ipoplasia della cartilagine e dei peli. Decima lezione, 05.03.2015 REPLICAZIONE DELLE ESTREMITA’ DEI CROMOSOMI Per quanto riguarda la replicazione dei genomi circolari covalentemente chiusi, non avendo terminali non presentano problemi legati ai limiti della DNA polimerasi. Limiti che sono legati al fatto che l’enzima è in grado di sintetizzare solo in senso 5’-3’ (da cui i frammenti di Okazaki etc). Per quanto riguarda i cromosomi circolari non avendo terminali non vi è difficoltà nella replicazione del filamento ritardato dopo la rimozione del primer di innesco nè per la ricostituzione di filamenti integri anche nei frammenti di Okazaki; l’unico ostacolo sta nel disgiungere le due molecole che vengono generate ma per questo ci pensano le topoisomerasi. Il problema sussiste invece nel caso dei cromosomi lineari in quanto l’estremità 3’ del cromosoma che viene replicato tende ad accorciarsi: problema della replicazione dei terminali. Il problema si presenta per il filamento ritardato quando il primer di innesco è all’estremità del terminale 3’ del cromosoma. Il gap non può essere richiuso dalla DNA polimerasi per l’assenza di un’ulteriore primer di innesco che la DNA polimerasi può utilizzare per estenderlo. Succede che in assenza di un sistema che mantenga le estremità dei telomeri, le sequenze terminali dei cromosomi umani tendono ad accorciarsi e ciò avviene ad ogni ciclo replicativo alle estremità terminali 3’ dei cromosomi. È stato stimato che l’accorciamento di queste estremità in assenza di un sistema di mantenimento è consistente (da 50 a 150 paia di basi perse per estremità per ogni divisione cellulare). C’è inoltre un altro problema associato ai telomeri e cioè il fatto che le estremità sono costituite da cromosomi lineari e le estremità libere (cioè 3’-OH libere nel DNA di una cellula) sono un segnale per la cellula per gli eventi riparativi. Se infatti la cellula all’interno del nucleo trova dei terminali di DNA con delle estremità 3’-OH, 5’-fosfato libere tende a ridurle indipendentemente da ciò che succede (se le estremità sono complementari per esempio). Deve quindi esserci un sistema attraverso cui le estremità del cromosoma lineare vengano coperte: esistono dei “cappucci” che coprono le estremità per impedire questi fenomeni di fusione che rendono il cromosoma estremamente reattivo, “appiccicoso”. Le estremità libere inoltre rendono il DNA suscettibile alla degradazione da parte di enzimi, le isonucleasi, presenti nel nucleo delle cellule eucariotiche. L’assenza di telomeri di dimensioni corrette quindi dà la possibilità di perdere informazione genetica e può dare luogo ad alterazioni cromosomiche. Questo è un problema importante per le cellule e viene risolto attraverso la particolare struttura che hanno i telomeri e grazie al meccanismo con cui la dimensione dei telomeri viene mantenuta costante nelle cellule attivamente proliferanti. A ulteriore dimostrazione dell’importanza di questo è il fatto che vi sono numerose patologie umane legate all’instabilità dei telomeri e che causano instabilità cromosomica (formazione di cromosomi aberranti). Patologie associate all’alterazione dei sistemi omeostatici che mantengono la stabilità dei telomeri sono: • Discheratosi congenita: patologia che dà origine a un difetto nello sviluppo e differenziamento e mantenimento dell’omeostasi delle cellule dell’epidermide. È associata all’insorgenza di tumori ed è legata all’enzima dKc1, la discherina, cioè un enzima coinvolto nel funzionamento dell’enzima deputato al mantenimento della stabilità dei telomeri, la telomerasi. • Sindrome di Werner (VER). • Atassia cerebellare associata ad un’accelerata perdita dei telomeri. • Sindrome di Bloom (BLM) associata a fenomeni di instabilità dei telomeri. Le estremità libere “non piacciono” alla cellula e per questo vengono riunite indipendentemente che siano congruenti o meno e si viene a formare un ponte intercromatinico tra due cromatidi fratelli. Durante la metafase della mitosi succede che i due cromatidi vengono segregati e un pezzo viene trascinato con uno dei due. L’effetto biologico è che una parte di un cromosoma (essendo i due cromatidi fratelli, sarà già presente nel cromatide originario) viene fuso assieme all’altro cromatide (con questo meccanismo si può dare origine alla duplicazione di un gene o di una porzione di DNA contenente un gene). Il ruolo dei telomeri è quello di stabilizzare le estremità cromosomiche lineari formando un cappuccio protettivo che impedisce la possibilità che avvengano riarrangiamenti intracromosomici e intercromosomici. Vi è una correlazione lineare diretta tra la lunghezza dei telomeri e i riarrangiamenti cromosomici associata all’insorgenza di numerose forme di tumori. La perdita di sequenze telomeriche perciò precede la formazione delle aberrazioni cromosomiche necessarie per il processo di trasformazione. I TELOMERI I telomeri sono caratterizzati da un filamento di DNA di particolare sequenza protrudente all’estremità 3’. Questo filamento protrudente a seguito del tipo di sequenza nucleotidica di cui è composto si chiama filamento protrudente ricco in G (G strand overhang). Questa sequenza protrudente contiene la sequenza esanucleotidica T-T-A-G-G-G in grado di formare il quadruplex. Il telomero quindi è costituito da una regione in cui queste sequenze esameriche sono ripetute (dimensione che varia da 2 a 50 basi). Nella regione sono presenti una porzione a doppio filamento e una porzione a singolo filamento. Il fatto che sia presente in una regione a doppio filamento è importante perché vengono riconosciute le proteine che servono per la stabilità dei telomeri e in questo modo si consente la formazione di una struttura particolare chiamata T-loop. Il T-loop è la struttura che si viene a formare nell’estremità telomerica ed è dovuta al fatto che l’estremità 3’ protrudente, essendo complementare alla sequenza esamerica nella regione duplex, può appaiarsi ad essa. Il T-loop è la struttura che il telomero assume per garantirne la protezione. Senza T-loop il telomero è instabile: il 3’ tende ad essere libero e quindi tende ad essere considerato un substrato per la fusione con altre molecole di DNA presenti nella cellula. Questa regione di appaiamento si chiama struttura d-loop. Se ad ogni ciclo replicativo non viene mantenuta l’estremità 3’ non si riuscirà più a formare un T-loop perché l’estremità diventa troppo corta. C’è un complesso multiproteico che è coinvolto nella dimensione dei telomeri e nella loro stabilizzazione: la shelterina, composta da varie proteine. Le ripetizioni esanucleotidiche che costituiscono i telomeri sono variabili e sono più grandi nel topo che nell’uomo (10 volte più grandi). Questa sequenza è largamente conservata non solo nei vertebrati ma anche negli eucarioti unicellulari (stessa sequenza sempre ricca in residui di guanina). Dal momento che i telomeri ad ogni ciclo replicativo tendono ad essere accorciati deve esserci un sistema che mantenga il 3’ sempre di una certa dimensione tanto da consentire di formare il T- loop. L’enzima deputato a questa attività è la telomerasi che è una DNA polimerasi RNA-dipendente ed è un enzima costituito da due componenti: una proteica e una associata all’RNA. La componente proteica rappresenta la sua attività enzimatica polimerasica ed è chiamata TERT; essendo RNA- dipendente è ascrivibile, come se fosse una trascrittasi inversa, in quanto usa l’RNA come stampo per sintetizzare una sequenza di DNA. Ha poi una componente dell’RNA chiamata TER in cui l’RNA presenta non solo una particolare struttura ma anche una particolare sequenza che è quella utilizzata dalla telomerasi sia per estendere il terminale 3’ sia come stampo per sintetizzare la sequenza esamerica (T-T-A-G-G-G) dall’estremità 3’ del telomero. Ciò è possibile grazie a dei cicli di attacco, sintesi, distacco e riattacco. La sintesi dipende dalla dimensione assunta dall’estremità riattivazione della telomerasi nella medicina rigenerativa. Si è visto per esempio che a seguito di un infarto il danno che il cuore subisce viene rimpiazzato da tessuto fibrotico che è tessuto non funzionale. Se si iniettano cellule staminali che vengono differenziate nell’indice cardiaco in maniera tale da consentire la rigenerazione, si è visto che in soggetti anziani la capacità rigenerativa delle cellule staminali è scarsa e si è visto che ciò è legato alla telomerasi. Perciò l’idea è quella di riesprimere in maniera più attiva la telomerasi in cellule staminali provenienti da un paziente anziano in maniera tale da potenziarne la capacità rigenerativa. La telomerasi è perciò tutt’oggi oggetto di studio di oncologia e medicina rigenerativa. IL SEQUENZIAMENTO DEL DNA % La DNA polimerasi viene utilizzata per il sequenziamento del DNA. Il sequeziamento del DNA è stato originariamente utilizzato per definire la sequenza di un genoma ma ora viene largamente utilizzato in ambito diagnostico e prognostico permettendo di individuare mutazioni associate a patologie o di analizzare particolari polimorfismi. Inoltre è largamente utilizzato nella maggior parte delle tecniche di analisi diagnostica non solo a livello genomico ma anche a livello genetico in quanto viene utilizzata per esempio per la determinazione della metilazione del DNA. La maggior parte delle tecniche di ingegneria genetica che hanno come obiettivo l’analisi degli acidi nucleici sia di DNA che di RNA si basa sul principio di reversibilità del processo di denaturazione e rinaturazione del DNA in presenza di condizioni opportune che consentono la rinaturazione e in presenza di due filamenti di DNA antiparalleli e di sequenza complementare. % Nel caso in cui la rinaturazione porti alla formazione di una molecola eteroduplex, ancorché i filamenti siano complementari, si parla di ibridazione su cui si basa il metodo di sequenziamento del DNA sviluppato negli anni ’80 da Sanger. Questo metodo è chiamato anche metodo del dideossi ed è basato sull’utilizzo della DNA polimerasi e della sintesi enzimatica di molecole di DNA che terminano in corrispondenza di specifici nucleotidi. Questa tecnica fa uso di un sistema di risoluzione di prodotti della sintesi basata su un gel elettroforetico ad altissima risoluzione in grado di separare tra loro sequenze di DNA neosintetizzate che differiscano di un unico nucleotide. L’idea alla base è quella di produrre tutte le possibili molecole di DNA a singolo filamento complementari alla sequenza stampo che si vuole sequenziare e che inizia con una base che si estende alla distanza di una kilobase in direzione 3’. Si ha quindi un evento di sintesi controllata e questo controllo è effettuato con l’utilizzo di un particolare nucleotide trifosfato come substrato, che viene incorporato dalla DNA polimerasi durante la sintesi. Questo nucleotide è una forma modificata del desossinucleotide trifosfato di solito usato dalla DNA polimerasi e presenta in 3’ un gruppo ossidrilico. Questa forma modificata si chiama didesossi nucleotide ed è caratterizzato dal fatto che in 3’ non ha un gruppo ossidrilico ma ha un idrogeno quindi quando viene incorporato in una sequenza di DNA sintetizzata dalla DNA polimerasi causerà l’arresto della sintesi. Questo metodo, causando l’arresto della catena di sintesi, si chiama sequenziamento secondo il metodo di Sanger, metodo dideossi o anche metodo in azione di catena. Se si introduce un particolare nucleotide trifosfato nella forma dideossi la sintesi di quel filamento di DNA viene interrotta perché non può essere estesa. % Se si vuole sequenziare una molecola di DNA per conoscere la sequenza nucleotidica di cui è composta è necessario usare un primer di innesco che serve per l’attività polimerasica dell’enzima. Nel tubo di reazione (in cui c’è già il filamento stampo di DNA e la DNA polimerasi) si aggiungono 4 nuclidi trifosfati nella forma deossi, che quindi possono essere incorporati e causare l’allungamento della catena, più uno nella forma dideossi. Dal momento che è casuale l’entrata del DNA nel sito catalitico della DNA polimerasi, non farà alcuna differenza se il nucleotide è un deossi o un dideossi trifosfato perciò accadrà che la DNA polimerasi produrrà tre molecole diverse ognuna arrestata nel punto in cui il dideossi è stato inserito. Se si prendono le tre molecole sintetizzate e le si analizzano su un gel in grado di discriminare in termini di dimensione ciascun frammento che differisca per un nucleotide, si avranno i tre frammenti ma anche la posizione del dideossi che ha causato la generazione di quel frammento. Ne risulta non solo la lunghezza dei frammenti ma anche la posizione assunta da quel dideossi per generare quel frammento. La sequenza si legge dal frammento più piccolo a quello più grande e ciò definisce la sequenza complementare perché si conosce il complementare dal 5’ al 3’: se si vuole quella sequenza bisogna fare il complementare e ribaltarla. Una volta si usavano gel larghi 0,3 mm oggi invece si usano degli strumenti automatici in cui i vari dideossi sono fluorescenti, ciascuno di un colore diverso, per cui si po' identificare facilmente la posizione del dideossi e attraverso un’analisi capillare si ottengono dei profili chiamati elettroferogrammi ottenuti su sequenziatori automatici. Non si utilizza più un gel ma una separazione in continuo sul microcapillare; c’è poi un laser che analizza il dideossi che passa attraverso la cellula. Un problema è il fatto che le DNA polimerasi usate hanno una processività tutto sommato limitata, non superiore a una kilobase, quindi non si è in grado di sequenziare per ogni reazione più di 1000 paia di basi. Quando si devono sequenziare i genomi quindi si frammentano i cromosomi, si definiscono mappe di questi frammenti attraverso vari metodi (analisi della lunghezza dei polimorfismi per esempio), si frammentano ulteriormente queste mappe in pezzi discreti di DNA lunghi circa una o due kilobasi che poi vengono sequenziati con il metodo di Sanger. Il percorso poi viene fatto a ritroso in modo tale da ricostruire tutta l’informazione del genoma. % Per analizzare questi frammenti bisogna però clonarli nei vettori plasmidici e poi con il metodo di Sanger: attraverso un primer di innesco si sequenzia l’inserto di DNA per poi ricostruire tutta l’informazione a ritroso. Per fare questo i frammenti di DNA derivati dall’analisi devono essere clonati nei plasmidi contenenti il pezzo di DNA da sequenziare. Vengono perciò amplificati utilizzando E. Coli; se infatti si riesce ad inserire un frammento di DNA che si deve sequenziare in un plasmide in maniera stabile c’è il problema di doverlo amplificare per ottenerne una quantità sufficiente al sequenziamento, per questo di solito si inserisce il plasmide all’interno di E. Coli e lo si fa riprodurre. Il processo di inserimento di un plasmide in un batterio si chiama trasformazione. Sono questi plasmidi ingegnerizzati che devono consentire non solo di inserire il frammento di DNA in maniera controllata all’interno del plasmide, ma anche di poter selezionare i batteri che sono stati trasformati con quel palsmide. Perciò i plasmidi devono aver caratteristiche particolari: una di esse è il fatto di avere un sistema di autoreplicazione, hanno cioè un’origine di replicazione autonoma e indipendente dal cromosoma batterico. Il plasmide ricombinante deve consentire inoltre all’operatore di poter selezionare le cellule batteriche che lo hanno incorporato. Una delle cose che si fa è quella di incorporare il gene di selezione, ovvero un gene che codifica normalmente per la resistenza ad un antibiotico. Per esempio il gene AMP conferisce al batterio che lo presenta la resistenza per l’ampicillina e codifica per un gene chiamato β-lattanasi che degrada l’anello β-lattanico dell’ampicillina. Il plasmide ricombinante deve poi avere un elemento che consente il clonaggio cioè l’inserimento di DNA esogeno in quella posizione specifica chiamata sito multiplo di clonaggio o polilincker. Questo sito è costituito da una serie di sequenze uniche all’interno del plasmide che sono sequenze riconosciute da ciascuno degli enzimi di restrizione. L’obiettivo è quello di utilizzare queste sequenze e questi enzimi di restrizione per clonare specificamente in quella regione quella determinata sequenza di DNA. Un frammento di cromosoma viene frammentato attraverso la generazione di mappe fisiche in regioni di DNA sempre più piccole; questi frammenti sono poi clonati all’interno di plasmidi ricombinanti per l’amplificazione. Questo approccio dà origine alle librerie genomiche: si hanno tanti plasmidi diversi ognuno dei quali ha al suo interno un frammento di DNA, questo insieme di plasmidi identifica la libreria genomica che perciò è la collezione di un’insieme di frammenti di DNA di un Undicesima lezione, 06.03.2015 ENZIMOLOGIA DEGLI ACIDI NUCLEICI Grazie alla possibilità che noi abbiamo di tagliare, cucire e modificare il DNA che sono derivate tutte le tecniche che vanno sotto il nome di tecnologie del DNA ricombinante. Queste tecnologie consentono di sequenziare un DNA esogeno introducendolo all'interno di un plasmide in maniera stabile. Dopo aver introdotto il frammento di DNA si può facilmente agire su di esso. Uno dei problemi dei plasmidi è che bisogna introdurre il frammento in posizione controllata nel plasmide. Applicazioni e tecnologie del DNA ricombinante che si basano sulle strategie di clonaggio: • Sequenziamento di un gene • Studio della funzione attraverso la possibilità di modificarne la sequenza. Si può modificare un gene per esempio ottimizzandone la sequenza per produrre una proteina più funzionale o per studiare la funzione della proteina attraverso una mutagenesi selettiva del gene. • Terapia. Attraverso queste tecniche è possibile esprimere una proteina in forma ricombinante, cioè in forma di una proteina funzionalmente attiva, che può essere utilizzata per la terapia su un paziente. Es: L’insulina può essere prodotta dai batteri attraverso le strategie di clonaggio in plasmidi particolari che si chiamano “plasmidi di espressione”. • Ottenere una proteina ricombinante da un gene per poterla studiare dal punto di vista strutturale attraverso metodi come la cristallografia. Per lo studio di una proteina coinvolta in una patologia umana si deve ottenere una grossa quantità della proteina stessa per essere studiata al meglio e per poi produrre il farmaco. Per fa ciò vengono usati i sistemi ingegnerizzati basati sui plasmidi, un sistema efficiente per ottenere le proteine ricombinanti. Per introdurre specificamente il DNA esogeno all’interno del plasmide si ricorre all’enzimologia degli acidi nucleici. Gli enzimi necessari per le modificazioni e il clonaggio sono: • Nucleasi (endonucleasi ed esonucleasi) • Ligasi • Enzimi di Modificazione (chinasi, fosfatasi e Terminal dinucleotidil-Transferasi) • Polimerasi termosensibili (DNA e RNA polimerasi) e termostabili LE NUCLEASI ( Endonucleasi/Esonucleasi) Le nucleasi sono enzimi in grado di idrolizzare il legame fosfodiestereo del DNA. Le esonucleasi sono in grado di rimuoverlo soltanto ai terminali; le endonucleasi idrolizzano il legame all'interno di una catena di DNA a doppio filamento. Esonucleasi Le esonucleasi tipicamente sono sequenza-non specifiche, tagliano le estremità senza possedere una specificità di sequenza. Vi sono diversi tipi di esonucleasi, alcune tagliano sia all’estremità 3’ che all’estremità 5’ e accorciano progressivamente il DNA. Queste possono essere utilizzate per il mappaggio di un dominio funzionale di un gene. Altre tagliano solo all’estremità 3’ (es. Esonucleasi III) rimuovendo solo il nucleotidi al capo 3’ di ciascun filamento. Endonucleasi Le endonucleasi tagliano solo all’interno del filamento di DNA e lo possono fare in maniera sequenza-specifica o in maniera sequenza-non specifica. In maniera sequenza-non specifica tagliano all’int % erno introducendo dei nick, o interruzioni del legame fosfodiestereo, e lo possono fare sia sul doppio sia sul singolo filamento. Poiché questi enzimi tagliano il DNA solamente quando questo è esposto al solvente, sono stati utilizzati per mappare la posizione dei nucleosomi perché hanno la funzione di proteggere il DNA dalla digestione con questi enzimi. Tuttavia le endonucleasi di restrizione sono le più utilizzate e hanno portato molti risultati in campo genetico. Hanno la caratteristica di rompere il legame in concomitanza di specifiche sequenze bersaglio. Queste specifiche sequenze bersaglio hanno la caratteristica di essere palindromiche e quindi presentano un asse di simmetria binario: in conformità a esso la sequenza che si legge nel senso 5’ → 3’ è riportata specularmente sul filamento complementare. La particolarità di questi enzimi di restrizione, tra cui uno è EcoR1, è quella di tagliare il DNA in maniera asimmetrica rispetto all’asse e produrre quindi due estremità a singolo filamento che si chiamano estremità coesive o sticky. La caratteristica fondamentale di questi enzimi è che quando tagliano producono, a livello del taglio, un’estremità 5’-fosfato e un’estremità 3’-OH libero. L’acronimo di tutti gli enzimi di restrizione deriva dal batterio dal quale per la prima volta sono stati isolati. Nel caso di EcoR1 è stato isolato per la prima volta dall’Escherichia coli in quanto costituisce il sistema immunitario dei batteri. Vengono utilizzati per degradare il DNA di un batteriofago riconoscendo sequenze presenti in forma metilata nel genoma batterico (genoma self) e non metilata nel genoma virale (genoma non-self). Il genoma non-self virale viene tagliato dai batteri per difendendersi dall’attacco. Quelli usati in laboratorio sono ingegnerizzati e modificati per aumentarne l’efficienza. Il taglio può generare, in funzione di dove viene effettuato rispetto all’asse di simmetria, diversi prodotti chiamati “prodotti del taglio”. Se il taglio viene effettuato al 5’ rispetto all’asse di simmetria genera estremità sticky, protundenti a singolo filamento, chiamate “estremità di tipo 5’”; se taglia al 3’ genera estremità protundenti di tipo 3’; se taglia invece sull’asse genera estremità denominate estremità “piatte” o estremità “nette”.% % Una caratteristica di questi enzimi di restrizione è che riconoscono sequenze di tipo palindromico diverse ma che danno lo stesso tipo di estremità protundente. La modalità in cui l’enzima riconosce il sito di restrizione è questa: l’enzima funziona come un omodimero dove ogni monomero riconosce un cosiddetto emisito dove induce il taglio ed il rilascio. Caratteristica del 99% degli enzimi di restrizione è che quando essi tagliano il DNA il gruppo fosfato resta all’estremità 5’ e il gruppo ossidrile all’estremità 3’. L’enzima quindi produce sempre un terminale 5’ con il gruppo fosfato libero e un terminale 3’ con gruppo -OH libero. Questo è importante in quanto si tratta del substrato della ligasi. Frequenza di taglio: (1⁄4)n, dove n=numero di nucleotidi che compongono il sito di restrizione. Quanto maggiore è il numero di nucleotidi, tanto minore è la frequenza di taglio; quindi se si prende un genoma molto grande e si usa un enzima di restrizione con frequenza di taglio bassa si avranno frammenti grandi, e viceversa. Per sequenziare un genoma si utilizzano enzimi di restrizione con alta frequenza di taglio in modo da avere frammenti piccoli facilmente manipolabili. La frequenza di taglio sperimentale è sempre minore di quella teorica perché: • Il contenuto in GC è inferiore al 50%; • I nucleotidi non sono disposti in maniera casuale; • I siti di restrizione nei genomi non sono spaziati regolarmente. LE MAPPE DI RESTRIZIONE A che cosa servono gli enzimi di restrizione? Servono a determinare delle mappe di restrizione che identificano per un genoma la posizione dei siti di restrizione di alcuni enzimi. La mappa di restrizione consente di isolare un gene, che potrebbe essere situato fra due siti di restrizione, ma soprattutto può essere utilizzata in diagnostica molecolare nella tecnica Restriction Fragment Lenght Polymorphism (RFLP), o per il clonaggio di un gene. Qui è rappresentata la mappa di restrizione del genoma del Fago λ (lambda), largamente utilizzato in laboratorio: un batteriofago con genoma a doppio filamento con dimensioni (circa 48kb) e seq % uenza definite. Tagliando un genoma con un enzima di restrizione il numero di frammenti che ottengo, se il genoma è lineare, è uguale al numero di siti di restrizione +1. f=n+1 f=numero frammenti, n=numero di siti Uno degli utilizzi di queste mappe di restrizione è per esempio l’ottenimento di frammenti di dimensione nota che possono essere utilizzati come marcatori di peso molecolare. Per il DNA questo è largamente utilizzato: la dimensione di un determinato frammento viene stimata in maniera approssimativa, sapendo che frammenti più piccoli migrano di più rispetto a frammenti più grandi. Utilizzando un genoma noto, quello del Fago Lambda ad esempio, e digerendolo con un enzima di restrizione, si ottengono dei frammenti di dimensione nota. Tali frammenti vengono infatti utilizzati per stabilire una retta di taratura (che ne definisce le dimensioni in base alla distanza di migrazione). I valori dei frammenti del genoma sconosciuto vengono allora messi a confronto con i valori dei frammenti-marcatori di peso molecolare. Gli enzimi di restrizione, come già detto, possono servire ad isolare un gene in maniera semplice. Si possono poi isolare fra loro due geni sfruttando il fatto che la digestione con determinati enzimi consente di ottenere quel fosfato al 5’. Se io defosfato il vettore non permetto alla ligasi di ricircolarizzare il vettore vendono modificato il substrato (defosfatazione del vettore). clonazione ≠ clonaggio Clonaggio: L’inserimento di DNA esogeno all’interno di un plasmide. Clonazione: Trasferimento di un nucleo somatico in un oocita e l’ottenimento di un individuo esattamente uguale a quello che ha ceduto il nucleo somatico. CLONAGGIO E PROTEINE RICOMBINANTI Altra cosa che il clonaggio del DNA consente di fare è quella di poter esprimere il prodotto di un dato gene in forma di proteina ricombinante. Per fare questo vengono utilizzati dei plasmidi ingegnerizzati che consentono la trascrizione in RNA di quel gene e la produzione dello stesso in forma proteica. Per poter esprimere il gene in proteina ricombinante non è solo necessario introdurre la sequenza del gene all’interno del plasmide ma al plasmide bisogna allegare anche una serie di informazioni che attivino l'apparato trascrizionale. Ci sono inoltre dei segnali che devono essere associati al gene clonato per poterlo esprimere come proteina: il promotore, il sito di legame del ribosoma e la sequenza di terminazione: • Il promotore serve per la trascrizione della regione di DNA in RNA; • Il sito di legame del ribosoma è necessario per iniziare la traduzione di quell’RNA in proteina; • La sequenza o regione di terminazione fa arrestare la trascrizione di quella regione di DNA. Questi tre elementi assieme al sito unico di restrizione e al sito multiplo di clonaggio si chiamano “elementi cassetta”. A valle del sito di legame del ribosoma si inserisce il gene esogeno. Per esprimere il gene si clona il cDNA privo di introni. CLONAGGIO E PURIFICAZIONE DELLE PROTEINE Il clonaggio si sfrutta per la purificazione delle proteine, agevolandone il processo. Per facilitare le procedure di purificazione di una proteina ricombinante si sfrutta il fatto che la proteina ricombinante sia espressa in fusione con una TAG/FLAG, attraverso la tecnologia del DNA ricombinante. Una TAG è una sequenza messa in cornice di lettura assieme alla sequenza di cDNA clonata all’interno del plasmide ricombinante di espressione (al fine di farla esprimere); la sua funzione è quella di produrre con la proteina di interesse una sequenza amminoacidica (da 8 a 12 aa circa) che dia origine ad un epitopo (corrisponde alla piccola parte di un antigene che lega l’anticorpo specifico) riconosciuto da un particolare anticorpo. Questa procedura consente di utilizzare per la purificazione di proteine ricombinanti sempre la stessa TAG, evitando di dover produrre un anticorpo specifico per ogni proteina che deve essere purificata. Attraverso tecniche come la cromatografia di affinità (la più efficiente) le proteina vengono separate e quindi purificate. 
 Esempio: la TAG è l’enzima Glutatione-S-transferasi il cui ligando è il Glutatione. Nelle cromatografie di affinità alcune resine contengono il Glutatione. Siccome la TAG è affine al Glutatione, si lega alla resina solamente la proteina che presenta la TAG. In questo modo è possibile selezionare e purificare la proteina chimerica. Domanda: Qual’è il pericolo riutilizzare nell’uomo una proteina ricombinante di origine batterica? Risposta: E’ difficile rimuovere il lipopolisaccaride che è un componente della parete batterica ed è la sostanza principale che arreca shock anafilattico se viene a contatto con il plasma. E’ una sostanza che attiva enormemente il sistema immunitario. Per questo si cerca di utilizzare cellule eucariotiche per svolgere lo stesso processo. Il lipopolisaccaride non si lega, come le proteine, nella cromatografia di affinità perciò questa tecnica viene utilizzata per poter purificare le proteine. Tuttavia potrebbero restare tracce di lipopolisaccaride ed è per questo che vengono svolte più cromatografie consecutive al fine di depurare al meglio la proteina. POLIMERASI SFRUTTATE IN LABORATORIO La particolare attività delle polimerasi viene usata per marcare sonde di DNA che servono, ad esempio, per marcare i cromosomi, per riconoscere date sequenze di DNA o vengono utilizzate nei saggi di Southern Blotting. La reazione di base della DNA polimerasi è quella di estendere un primer di innesco di DNA a singolo filamento posto che sia disponibile un 3’ -OH libero e uno stampo antiparallelo da copiare. Ci sono diversi tipi di DNA polimerasi che vengono utilizzate in laboratorio; alcune di queste vengono utilizzate specificamente per le reazioni di sequenziamento e altre vengono utilizzate per l’amplificazione della PCR oppure nelle tecniche di sequenziamento avanzato. Un'importante DNA polimerasi RNA dipendente è la trascrittasi inversa. La trascrittasi inversa è un enzima che avendo attività 5’-3’ polimerasica è in grado di estendere un primer di DNA, ma è in grado di farlo utilizzando come stampo una molecola di RNA. Questo enzima viene utilizzato in laboratorio per ottenere da molecole di RNA messaggero maturo delle molecole di cDNA che possono servire per clonare quella sequenza di DNA al fine di esprimerla in forma proteica. Si retrotrascrive l’RNA in cDNA perché l’RNA è estremamente instabile e per cui non può essere manipolato facilmente in laboratorio senza degradarlo. % Domanda: Come si separa l'RNA maturo da quello con introni? Risposta: Si sfrutta il fatto che l’RNA maturo ha una coda di poli-A. Questo viene catturato con una cromatografia di affinità in cui la resina contiene sequenze di oligo dT che sono complementari alle code di poli-A. Così per affinità separo l’RNA maturo dall’RNA eterogeneo nucleare e poi lo retrotrascrivo con la trascritasi inversa con un primer di innesco. PCR: Polymerase Chain Reaction 
 La tecnica della PCR fu scoperta da Kary Mullis e gli valse il premio Nobel nel 1993. Questo metodo sfrutta la possibilità di denaturare e rinaturare una miscela di DNA sfruttando una serie di attività della DNA polimerasi che vengono fatte avvenire in maniera ciclica. La funzione principale di questa tecnica è quella di amplificare in maniera estremamente rapida ed ad alta fedeltà una sequenza di DNA anche a partire da un’unica copia. Il suo impiego è stato esteso a moltissime attività, sia di ricerca sia di diagnostica, come l’analisi di paternità (analisi VNTR), isolamento e clonaggio di un gene e per l’analisi forense. Il principio base della PCR è il seguente: una molecola di DNA può essere denaturata e rinaturata anche con una molecola di DNA ibrido purchè complementare. La denaturazione e la rinaturazione vengono fatte in modo che il DNA che deve essere amplificato venga fatto appaiare, dopo un processo di denaturazione, con dei primer di innesco specifici per la regione di DNA che deve essere amplificata. Si supponga quindi di avere un’unica molecola di DNA nel campione e si voglia amplificarla in maniera illimitata. Quello che sfrutta la reazione di PCR è la riproduzione di una serie di cicli successivi, ciascun composto di tre passaggi: 1. Denaturazione: la doppia elica del DNA che deve essere amplificata viene denaturata termicamente. Viene condotta ad una temperatura di 95°C per un minuto; 2. Ibridizzazione: fase in cui i due filamenti di DNA denaturati si appaiono con dei primer specifici complementari alle regioni di DNA che l’operatore vuole amplificare. Viene condotta ad una temperatura di 50-65 °C per un minuto; 3. Reazione di polimerizzazione: fase in cui una delle DNA polimerasi termostabili, la Taq per esempio, è in grado di estendere questi primer utilizzando come substrati i nucleotidi trifosfato e come stampo il singolo filamento del DNA originario. Viene condotta ad una temperatura di 72°C per un tempo variabile che è funzione della dimensione del frammento di DNA che deve essere amplificato. % Al primo ciclo otteniamo da una molecola di DNA duplex due molecole di DNA eteroduplex (dimensione è mista tra quella del DNA originario e quella da cui il primer di innesco ha iniziato l’estensione).
 Il secondo ciclo viene effettuato in maniera analoga e così via per altre 25/30 volte: alla fine del secondo ciclo si parte da due molecole e se ne ottengono quattro, tutte e quattro saranno eteroduplex.
 Al terzo ciclo si ottengono due amplificati, chiamati ampliconi, che hanno la dimensione desiderata dall'operatore, cioè la dimensione delimitata dai due primer d'innesco. In termini algebrici, se si rapporta la quantità di target circoscritto dai primer in funzione del numero di cicli (indicato con n), la quantità è espressa dal valore: Quantità di target = 2n–2n Nella reazione di polimerizzazione sono utilizzati: 1. DNA bersaglio; 2. 2 primers d’innesco di lunghezza compresa tra 20-25 nucleotidi. Essi devono avere necessariamente questa lunghezza per garantire un appaiamento specifico nel caso in cui, per esempio, si voglia amplificare una sequenza di DNA a partire da un genoma. La loro frequenza di appaiamento si determina sulla base del calcolo probabilistico di (1/4)n dove ¼ rappresenta la probabilità di trovare un nucleotide specifico in quel sito e ^n corrisponde al numero di nucleotidi che compongono la dimensione del primer. (1/4)20 dà una frequenza di 1.1 x 1012 tale da garantire che quel primer si appai una volta sola sul genoma. Ricordando che il genoma ha una lunghezza di 3.2 x 109 nucleotidi per genoma aploide, una dimensione di circa 20 nucleotidi è ottimale per garantire un appaiamento singolo e specifico; 3. DNA polimerasi termostabili; 4. dNTPs (si ricordi che i dNTPs sono i deossinucletidi trifosfato utilizzati dalla DNA polimerasi nella formazione del filamento); Nelle reazioni di PCR vengono utilizzate le seguenti DNA polimerasi termostabili: • La Taq, che deriva il proprio nome dalla sua specie di provenienza, la Thermus aquaticus, lavora a 75 & 80°C; • La Pfu, derivante dagli archeobatteri della Pyrococcus furiosus; lavora a 72-78°C. Questa ha un'attività di proofreading (correzione di bozze) che la Taq non ha. In termini di frequenza di errore, l’attività della PFU è migliore. Le molecole a doppio filamento più grandi si accumulano secondo una correlazione di tipo aritmetico, mentre le molecole bersaglio a doppio filamento volute dall’operatore seguono questa proporzionalità; complessivamente entrambe molecole hanno un prodotto di amplificazione che ha un andamento di progressione di tipo geometrico. L'equazione che lega il prodotto di amplificazione, con il numero di cicli, con la quantità di DNA iniziale è la seguente: Yn=A·(1+E)n Yn = DNA prodotto dopo n cicli A = Quantità iniziale di DNA presente E = Efficienza dell'amplificazione (in genere compresa tra 0,7 e 0,8) Analisi genotipica degli SNPs di un gene Per spiegare questo concetto come esempio prendiamo il gene per il recettore della vitamina D (VDR) e l'analisi di una variante polimorfica che cade in un enzima di restrizione per questo gene che si chiama FOK1. % Abbiamo due alleli per ogni gene. Supponiamo che per VDR vi siano diverse varianti alleliche che cadono nel sito di restrizione per l'enzima FOK 1. A causa delle combinazioni alleliche sono possibili 3 genotipi: FF(CC), Ff(CT) e ff(TT). Il sito di riconoscimento di FOK1 è la timina presente nel filamento in direzione 5'...3'. Si può individuare il genotipo (polimorfico e non) di diversi individui tramite PCR, amplificando la regione che ha il polimorfismo che poi viene digerito con l'enzima di restrizione. La presenza della timina indica la presenza di una variante polimorfica, dunque se l'enzima non taglia siamo in presenza di polimorfismo, altrimenti no. Se il genotipo non è mutato, l'amplificato è di 265 paia di basi (il numero di paia di basi ottenute è a discrezione del ricercatore che in questo caso amplifica una regione di 265 paia di basi contenente il polimorfismo). Se è eterozigote mutato otterremo il frammento non mutato di 265 paia di basi più quello mutato di 169 più 69 paia di basi. Nel caso in cui sia omozigote mutato, il risultato del taglio sarà un frammento di 69 paia di basi. Riassumendo i risultati: Genotipo FF: frammento di 265 bp; Genotipo Ff: frammenti di 265 bp e 96 bp; Genotipo ff: frammento di 96 bp. Analisi della mutilazione della citosina La metilazione è associata al silenziamento trascrizionale di un gene. Può essere dunque interessante individuare la presenza di 5metilcitosina. Si introduce bisolfito, che è in grado di sulfonare la citosina solo quando essa non è metilata. La sulfonazione dà deaminazione e attraverso una successiva reazione di desulfonazione la citosina viene convertita in uracile. La 5metilcitosina è invece insensibile al trattamento con bisolfito e non viene convertita in uracile. Utilizzando primer specifici per la sequenza metilata e primer per la sequenza non metilata posso valutare la presenza o meno dell'amplificato metilato e non. ! Clonaggio di un gene specifico di cDNA La PCR può essere utilizzata per il clonaggio di un gene specifico, attraverso la selezione della sequenza di DNA da clonare oppure accoppiandolo alla retro-trascrizione (per esempio quando si vuole clonare una sequenza di cDNA). In quest’ultimo caso, anziché isolare il DNA dalle cellule, viene isolato l’RNA messaggero. In seguito viene eseguita la retro-trascrizione dell’RNA messaggero in cDNA; la molecola di cDNA può poi essere amplificata attraverso l’uso della PCR per averne una certa quantità da utilizzare per il clonaggio. Inoltre attraverso la PCR è possibile introdurre delle sequenze di restrizione opportune, disegnandole sui primer, affinché queste possano servire per il clonaggio di un plasmide. ! MECCANISMI MOLECOLARI ALLA BASE DEL MANTENIMENTO DELLA STABILITA' GENOMICA e LESIONI AL DNA Il meccanismo di mantenimento della stabilità genomica va a correggere le lesioni che giornalmente ogni cellula subisce alla sua molecola di DNA. È stato misurato che in ogni cellula umana, al giorno, avvengano dai 104 ai 106 eventi di danno al DNA e, calcolando il numero di cellule in un organismo umano adulto, ogni giorno in un individuo avvengono 1014 eventi di danno al DNA; sono perciò richiesti dai 1018 ai 1020 eventi riparativi al giorno. L’alterazione di questa omeostasi è alla base di quell’instabilità genetica associata all’insorgenza di patologie. Queste possono essere di origine ereditaria e portare a diversi fenotipi: alcune portano all’insorgenza di tumori, causati dalla degenerazione neuronale. La cellula tumorale ha le seguenti caratteristiche biologiche: 1) resiste ai segnali che inducono alla sua morte; 2) prolifera indipendentemente dai segnali extracellulari che subisce; 3) Bypassa segnali esterni che ne potrebbero arrestare la proliferazione; 4) Attiva processi di metastatizzazione dei tessuti; 5) Esce dallo stato di senescenza replicativa. La cellula tumorale è caratterizzata da un'elevata instabilità genomica. Ci sono tre potenziali fonti di danno al DNA che si verificano in vivo: 1. Lesioni di tipo endogeno, causate dal metabolismo mitocondriale con la produzione di ROS a causa del linkage di elettroni nella catena respiratoria; 2. Lesioni di tipo esogeno, da danno ambientale. Alcuni esempi sono: • Danni indotti dal fumo di sigaretta contenente benzopirene (composto eterociclico aromatico a 5 anelli benzenici che modifica covalentemente il DNA); • Danni indotti da radiazione UV; • Danni indotti da radiazioni ionizzanti; • Danni indotti da raggi X; • Danni indotti da chemioterapici come il cisplatino, la mitomicina C, lo psoralene e il ciclofosfamide. 3. Lesioni dovute ad errori nel processo di replicazione: per esempio errori di mismatch (corretti da MMR, mismatch repair) dovuti ad errori dell’attività di correzione esonucleasica che la DNA Polimerasi compie durante l’editing (“proof reading”). L’importanza di mantenere la stabilità genomica è sottolineata dal consistente costo energetico impiegato in questi meccanismi, sia per il mantenimento e l’espressione delle decine di geni implicati in queste vie, sia per il fatto che numerosi steps di tali processi richiedano ATP. Questo sforzo che la cellula produce è in grado di garantire che meno di una lesione su 1000 diventi una mutazione; ciò è permesso anche dalla presenza di varie vie di riparazione (7 nelle cellule umane) con diversa specificità a seconda della natura della lesione. Tuttavia esiste una certa ridondanza, un cross talk, tra alcune vie per la correzione delle lesioni più frequenti e gravi, come per esempio la creazione di dimeri di pirimidine a causa dell’irraggiamento solare. Dobbiamo inoltre tener presente il fatto che nelle cellule si trova anche l’RNA, in quantità anche maggiori al DNA, e che anch’esso possa andare incontro a fenomeni degenerativi; nonostante ciò, né nel metabolismo dell’RNA (con poche eccezioni) né in quelli dei lipidi o delle proteine sono state trovate vie di riparazione. Tale fenomeno è legato al fatto che mentre proteine, RNA e lipidi possono essere degradati e rimpiazzati facilmente, il DNA deve essere comunque preservato. La mancanza di un processo di correzione dell’RNA è causata anche dal fatto che tutte le vie di correzione del DNA si basano sulla correttezza di uno stampo, il filamento complementare. Le lesioni al DNA si manifestano principalmente con due fenomeni principali: • Lesione citotossica che induce segnali di morte cellulare e provoca l’arresto della replicazione e della trascrizione, dei meccanismi essenziali per la vita della cellula; • Lesione mutagenica che non porta alla morte della cellula che le subisce ma che può creare instabilità genetica. Le lesioni al DNA dipendono dall’estrema reattività delle basi, che quindi risultano essere la principale sede di alterazione: • Deaminazione C e U: perdita del gruppo amminico sul C4 della citosina C e inserimento sullo stesso di un gruppo carbonilico per creare uracile U; • Idrolisi della base: rottura del legame N glicosidico tra zucchero e base azotata con creazione di uno zucchero abasico (sito apurinico o apirimi-dinico a seconda della base persa) che impedisce una corretta trascrizione (la DNA polimerasi non trova uno stampo a cui far fede) e risulta perciò altamente mutagenico. Questo fenomeno può avvenire spontaneamente oppure a causa dello stress ossidativo. • Deaminazione 5mC e T: sostituzione di un gruppo amminico con un gruppo carbonilico sul C4 per formare timina (non fatevi ingannare dall’immagine: è T non U). La tautomeria cheto-enolica e amino-iminica è causa di mutazione spontanea modificando la capacità delle basi di formare i legami idrogeno. L'equilibrio tra le due forme è nettamente spostato verso sinistra (10000:1). A causa della tautomeria G* si accoppia con T invece che con C. C* si accoppia con A invece che con G, e così via. a ammino immino Hu 278 wr N N x H % N N C* appaia con A —> Es. GC-AT xa xa li "l b cheto enolo Transizione Sa H No oT x Hx N è N N Lo N G* appaia conT x H 777 x H Es. GC-AT N N N N N N H H S H-donatore di legame —ÎA Haccettore di legame Tredicesima lezione, 20.03.2015 MANTENIMENTO DELLA STABILITÀ GENOMICA E VIE DI RIPARAZIONE Per la sua profonda reattività il DNA può essere fisicamente e chimicamente modificato; queste modifiche chimico-fisiche sono causa di lesione e alterazione nelle caratteristiche e nelle proprietà del DNA e sono soggette ai processi di riparazione. I meccanismi di riparazione sono responsabili non solo del mantenimento della stabilità genomica ma anche della fissazione delle mutazioni perché una lesione non riparata correttamente viene perpetrata nel genoma e viene stabilizzata e mantenuta nelle generazioni successive. Ci sono diversi tipi di lesioni, causate da agenti endogeni ed esogeni, e ci sono diverse vie di riparazione, ciascuna delle quali è coinvolta nel riconoscimento e nella rimozione di un determinato tipo di lesione: - DR (Reversione Diretta) - BER (Riparazione per Escissione di Basi) - NER (Riparazione per Escissione di Nucleotidi) - HR (riparazione tramite ricombinazione omologa) - NHEJ (riparazione tramite ricombinazione non omologa) - MMR (Mismatch Repair) - TLS (in cui si “bypassa” la Sintesi Translesione) Tra queste sette, cinque vie sono tipicamente error free, cioè rimuovono la lesione e il risultato finale è la ricostituzione della sequenza di DNA corretta. Due però sono intrinsecamente error prone, cioè introducono variabilità genomica: sono NHEJ e TLS. Una lesione del DNA può essere sia mutagenica che citotossica (ossia può indurre la morte della cellula). Il fatto di essere l’una o l’altra ha una rilevanza in termini di sviluppo di patologia: una lesione citotossica tipicamente viene contro- selezionata perché porta alla morte cellulare; una lesione mutagenica invece genera variabilità genomica. Vi è un equilibrio tra la quantità di danno ed i meccanismi di riparazione, necessario per il mantenimento dell’omeostasi cellulare, e quindi ci sono dei meccanismi in cui la cellula viene stimolata a rispondere al danno. Alcuni degli enzimi delle vie di riparazione sono dei bersagli molecolari per la terapia antitumorale. Non solo le vie di riparazione sono specifiche per un determinato tipo di lesione, ma il loro funzionamento dipende dalla fase del ciclo cellulare in cui la cellula si trova. Inoltre, non sempre lo stesso tipo di lesione viene rimosso dalla stessa via di riparazione: ad esempio l’ossidazione della guanina viene rimossa dalla BER, ma non sempre; la BER viene utilizzata prevalentemente in G1 e G2; durante la fase S, l’ossidazione viene rimossa dalla via TLS. Un Double Strand Break (DSB), cioè una rottura del legame fosfodiestereo della doppia elica di DNA, mentre normalmente viene rimossa dalla NHEJ, che è intrinsecamente error prone, durante la fase S viene riparata dalla via di riparazione di ricombinazione omologa (HR). Questo perché è necessaria una molecola di DNA integra che funga da stampo per ricostruire l’informazione genetica attorno al DSB che si è formato; in questo caso la molecola stampo è per esempio il cromatide fratello che è stato appena replicato. Quindi c’è una specificità delle vie di riparazione, c’è una ridondanza nella rimozione di lesioni analoghe e vi è la possibilità di usare vie diverse per la stessa lesione in relazione alla fase del ciclo cellulare in cui la cellula subisce la lesione. TERAPIE ANTITUMORALI APPLICATE ALLE VIE DI RIPARAZIONE Tra le maggiori implementazioni derivate dalle conoscenze di base nei meccanismi di riparazione del DNA ci sono le nuove strategie terapeutiche antitumorali, in cui l’obiettivo è bersagliare le Il meccanismo suicida è particolarmente importante nello sviluppo dei glioblastomi, tumori cerebrali di origine virale (glia = cellule che costituiscono il sistema immunitario del tessuto cerebrale, oltre a svolgere una funzione nutritiva e di sostegno). Il glioblastoma è un tumore maligno molto aggressivo e per la sua terapia si usano dei farmaci che hanno come target il DNA, che causano la formazione di addotti caratterizzati dalla metilazione della guanina. Un effetto collaterale della terapia è che le cellule del glioblastoma tendono a diventare resistenti all’azione di questi farmaci perché sovraesprimono l’enzima che rimuove questo tipo di lesione. Le modifiche chimiche alle singole basi non solo distorcono la doppia elica del DNA, non hanno un effetto conformazionale su di essa. Quindi deve esserci un sistema di riparazione che riconosca quella particolare modifica chimica. Un danno alle basi dovuto alle radiazioni ultraviolette invece, causa una modificazione conformazionale: le radiazioni vengono assorbite dagli elettroni π degli anelli aromatici e causano la formazione di dimeri covalenti intrafilamento (per esempio, dimeri di pirimidine). La formazione di questi dimeri distorce la struttura della doppia elica, e queste modifiche conformazionali vengono corrette dalla via NER, che è alterata nello xeroderma pigmentoso, oppure da meccanismi di sintesi translesione con coinvolgimento delle polimerasi error prone. Altri addotti distortivi sono gli addotti ingombranti, dovuti a legami covalenti tra doppia elica e composti eterociclici aromatici come il benzopirene (prodotto nella carne alla griglia) o composti come il cisplatino. In entrambi i casi questi composti si legano covalentemente alle basi, causando modifiche conformazionali, poiché sono molecole ingombranti. DANNI LEGATI ALLA ROTTURA DELLO SCHELETRO FOSFODIESTEREO Sono tipicamente citotossici, portano alla morte cellulare. Perché una rottura di questo tipo diventi una lesione, si devono formare degli intermedi in cui il gruppo fosfato si trova al 3’ (solitamente è al 5’), infatti in questo modo la DNA polimerasi non può estendere il filamento perché al 3’ non è presente l’OH; oppure può avvenire un’idrolisi parziale dello zucchero, con formazione del 3’- fosfoglicolato o fosfogliceraldeide; anche in questo caso non è possibile l’azione della DNA polimerasi e le lesioni devono essere rimosse. Queste lesioni in particolare costituiscono un “terminale sporco” che deve essere processato dagli enzimi della BER (in caso di SSB) e della ricombinazione omologa e non omologa (in caso di DSB). Specie reattive dell’ossigeno, radiazioni ionizzanti e sostanze radiomimetiche generano SSB e DSB. Queste lesioni posso formarsi anche a seguito dell’azione di agenti crosslinkanti come il cisplatino, che quando forma un addotto interfilamento, causa la rottura della doppia elica e di conseguenza il DSB. MECCANISMI DI RIPARAZIONE Le sette vie di riparazione presenti negli eucarioti le troviamo anche nei procarioti; inoltre in quest'ultimi è presente una via che non c’è negli eucarioti, cioè la fotoriattivazione, che rimuove gli addotti covalenti dovuti a radiazioni UV con un meccanismo di reversione diretta. Eccetto la prima via, tutte sono costituite da una serie di eventi enzimatici in cui sono coinvolti decine di geni. Reversione di tipo diretto (DDR) Questa via è costituita da un unico enzima che agisce per il riconoscimento, rimozione e riparazione del danno e si chiama MGMT, in grado di rimuovere la metilazione sull’ossigeno 6 della guanina, quindi è in grado di rimuovere tipicamente l’effetto dovuto ad agenti alchilanti. Questo enzima funziona con il meccanismo suicida, cioè rimuove la metilazione sull’O6 della guanina trasferendo il gruppo metilico sul suo residuo di cisteina presente nel sito catalitico. Di fatto questo enzima è una metiltransferasi e dato che questo processo causa la modifica chimica della Cys; l’enzima diventa perciò irreversibilmente inattivo e viene subito degradato. Il temozolomide è uno dei più potenti agenti alchilanti usati nella terapia dei glioblastomi. Forma molte O6-metil-guanina. Si è pensato di accoppiare il trattamento con temozolomide con un farmaco che inibisce l’unico enzima responsabile della rimozione dell’effetto chimico del temozolomide, ossia MGMT. Uno dei farmaci usati oggi è l’O6-benzil-guanina, substrato dell’enzima MGMT. L’enzima viene irreversibilmente inattivato e aumenta perciò la sensibilità delle cellule al temozolomide: in questo modo si può ridurre la dose di trattamento. Una strategia terapeutica non può essere l’associazione del cisplatino al temozolomide perché il cisplatino non ha niente a che fare con MGMT; si darebbero al paziente due chemioterapici con due effetti biologici diversi, verso cui il paziente potrebbe sviluppare resistenze indipendenti oppure portando il paziente alla morte. Riparazione per sintesi translesione (TLS) Questa via fa uso delle polimerasi a bassa fedeltà; è tipicamente utilizzata in fase S, quando il DNA viene replicato. Se c’è una lesione la DNA polimerasi va in stallo e ciò causa meccanismi di tolleranza: vengono introdotte mutazioni. Questa via è in grado, in fase S, di rimuovere nelle cellule umane gli addotti covalenti prodotti dalle radiazioni UV (dimeri di pirimidine) quando essi si trovano nel filamento stampo. L’effetto mutagenico della radiazione ultravioletta è legato al coinvolgimento di questa via, intrinsecamente error prone. Sul filamento stampo c’è un dimero di adenine: il complesso replicativo della DNA polimerasi tende a staccarsi e la subunità delta viene sostituita da una DNA polimerasi a bassa fedeltà, la subunità iota. Iota è in gradi di riconoscere il dimero di pirimidine; ci mette di fronte un qualsiasi dinucleotide ed è in grado di portare avanti la forcella replicativa, oltrepassando la lesione. La frequenza di errore di queste polimerasi a bassa fedeltà è molto più elevata delle DNA polimerasi processive: introducono infatti un errore ogni 10-1000 nucleotidi sintetizzati; queste polimerasi a fronte del fatto che introducono intrinsecamente errori e fissano mutazioni, consentono alla forca replicativa di non fermarsi ed evitano un double strand break. Nei batteri i dimeri di timine vengono rimossi con un meccanismo simile a MGMT dall’enzima DNA-fotoliasi, che è in grado di revertire il dimero di pirimidine che è stato indotto, consentendo la riformazione dei due monomeri di timine originali. Via di riparazione per escissione di base (BER) La BER assieme alla NER è la via che è in grado di rimuovere le lesioni al DNA attraverso l’escissione (di un singolo nucleotide → BER; o di tutta la regione oligonucleotidica contenente la specifica lesione → NER). Entrambe usano il meccanismo di escissione. La BER è la principale responsabile della rimozione di singole basi modificate attraverso ossidazioni o alchilazioni. È distinta dalla NER per il fatto che quasi tutti i geni di questa via sono essenziali per lo sviluppo embrionale di un mammifero: se si fa il knock-out di uno di questi geni, non si forma l’embrione, il knock-out è letale. Il knock-out dei geni della NER invece dà un embrione aberrante, ma vitale. Mentre nel primo caso (BER), ad oggi, non ci sono associazioni in patologia umana fra mutazioni che cadono in geni di questa via (esiste una correlazione con i processi di invecchiamento, ma non con patologie), nel caso della NER sono state riscontrate numerose evidenze di correlazione fra mutazioni di questi geni e lo sviluppo di tumori. Quindi, i geni della BER sono essenziali ma non associati a patologia, mentre i geni della NER non sono essenziali, ma sono associati a patologia. Gli enzimi della BER oltre che essere coinvolti nella riparazione sono coinvolti in altre funzioni essenziali, tra cui la trascrizione dei geni, in particolare quelli che hanno a che fare con il metabolismo dell’RNA. Inoltre è importante evidenziare che il danno alle singole basi può essere riparato solo dalla BER. Per regioni di DNA più ampie, soprattutto dove c’è lesione distortiva, c’è ridondanza funzionale tra enzimi della NER ed enzimi di altri meccanismi riparativi. Gli enzimi della BER rimuovono, attraverso una decina di enzimi: - Le base modificate (ossidate o alchilate)
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