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Bisanzio di Mario Gallina, Sintesi del corso di Storia

riassunto completo e dettagliato.

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

In vendita dal 04/07/2016

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Scarica Bisanzio di Mario Gallina e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! Bisanzio Storia di un impero di Mario Gallina Cap 1. EREDITA' E MUTAMENTI:GLI ECHI DELL'ANTICO, I SEGNI DEL NUOVO Nel secolo IV sulle rive del Bosforo nasceva una città destinata a contendere a Roma il titolo di capitale imperiale: Costantinopoli. In seguito a tale fondazione, e attraverso la graduale ma integrale trasformazione dell'impero romano-pagano in romano-cristiano, il regno di Costantino può essere considerato come il punto di inizio della storia bizantina, con l'avvertenza che essa definì i suoi connotati solo nei secoli seguenti e che quella società non ebbe la percezione della sua peculiarità per molto tempo. Essa continuò ad affermare la continuità di quelle istituzioni da noi chiamate “bizantine”, ma che ai suoi occhi apparivano “romane”. Gli abitanti dell'impero di Costantino continuarono infatti persino nel XV secolo a chiamare se stessi Romaioi-o meglio Romei- secondo la pronuncia del greco medievale. E come terra dei Romei, Costantinopoli fu riconosciuta; anche presso gli altri popoli, Rum per i turchi selgiuchidi, Romania per i latini. Di fatto, malgrado il persistere di tali formule ideologiche, fedeltà alla tradizione e capacità di adattamento alle mutevoli realtà sociali e politiche diedero origine, attraverso un processo di appropriazione della cultura greca e del modello imperiale condizionato dal cristianesimo, a un nuovo ordinamento statale. Questo non fu solo capace di superare positivamente la crisi che coinvolse il mondo mediterraneo nell'età tardoantica, ma fu anche in grado di, una volta consolidate le strutture interne, di far sentire il peso della propria tradizione politico-amministrativa e culturale ben oltre la sua esistenza, dando vita ad una sorta di “Bisanzio dopo Bisanzio” che ne perpetuò la civiltà anche dopo la sua scomparsa. La memoria della grecità medievale non fu soltanto decisiva nella costruzione dell'identità nazionale greca, ma si estese lungo i confini tradizionali dell'impero stesso. E invero ai popoli della penisola balcanica e alla Rus' di Kiev l'impero fondato da Costantino non lasciò unicamente la fede ortodossa, ma suggerì anche un'idea statuale di stampo monarchico e un nuovo diritto, un'educazione intellettuale e infine consuetudini sociali destinate a sopravvivere a lungo. Buona parte della storia del passato, a anche del presente, relativa all'Europa orientale sarebbe incomprensibile senza la conoscenza del mondo bizantino. Ciò spiega l'interesse degli intellettuali slavi e soprattutto russi per un impero che, giudicato dai più periferico, si rivela invece alle radici della loro identità. PRESEPPOSTI IDEOLOGICI E FONDAMENTI GIURIDICI DELL'IMPERO BIZANTINO La storia di Bisanzio di iscrive ai suoi primordi nel solco della continuità con il mondo classico. Bisanzio divenne automaticamente e compiutamente medievale senza sovversioni brusche, ma non per questo si mostrò incapace di reinterpretare gli elementi della tradizione così da adattarli alle mutate forze che in essa si muovevano. Al contrario fu caratterizzata da un originale processo dialettico fra conservatorismo e rinnovamento, anche se quest'ultimo non si configurò mai come una frattura netta. Senza dubbio l'idea di monarchia preesisteva a Bisanzio e affondava le sue radici nell'idea dell'ellenismo stoicizzante dell'uomo divino vale a dire nell'uomo che reca azione etica e politica insieme. Spettò al cristianesimo, sulla base di queste antiche fondamenta, il culto del monarca, la venerazione della Tyche imperiale, ovvero della fortuna signora del destino, sublimare l'idea dell'impero come autentica città di Dio e dell'imperatore come eletto dalla Provvidenza. Decisivo per tale processo fu l'apporto di Augusto, che accentrò tutti poteri su di sé. Augusto si presentava ora come il princeps, l'uomo al quale era affidata la suprema custodia della res publica e delle sue funzioni a cui idealmente restava subordinato. Ma affinchè potesse adempiere alle funzioni di rector e moderator occorreva che gli fosse riconosciuta una speciale preminenza. Questa gli derivò dal conferimento dell'autoritas. Il principato tende ad avere sempre più i connotati di un autocrazia. Il principe cessa di configurarsi come un primus inter pares, garante dell'equilibrio tra esercito e senato. Egli acquista il carattere di dominus, depositario di un potere assoluto, si fonda il su una volontà divina più che sull'investitura mondana. Prende corpo l'idea di un assolutismo monarchico di un uomo regale che accentra su di sé il potere autocratico. Soprattutto a partire dal regno di Diocleziano si assiste alla definizione della potestà imperiale. Ciò avviene attraverso il recupero di motivi tratti dall'ellenismo. C'è una ritualità complessa che occorre rispettare per potere accedere alla presenza del sovrano, a partire dalla sostituzione della salutatio romana con la proskynesis ovvero con l'atto di prosternarsi davanti a lui. Ne consegue una sorta di liturgia imperiale. L'intento è quello di creare e di unificare il consenso tramite l'elaborazione del linguaggio simbolico dello stato e attraverso la glorificazione della sovranità trionfale. Da dominus si passa a termine come divus o sacer. LA TEORIA DEL POTERE IMPERIALE IN EUSEBIO DI CESAREA All'autocrazia imperiale si unì la creazione di una teologia imperiale, questa istituendo una correlazione tra sfera politica e sfera religiosa conferiva prestigio e autorità all'imperatore facendone al contempo il garante della nascente ortodossia contro ogni forma di dissidenza. Di fatto se per un verso il sovrano di serviva del cristianesimo per esaltare la maestà del proprio potere politico, dall'altro canto il cristianesimo si apprestava a trovare nel sovrano medesimo un devoto difensore della religione. Il compito assunto dagli imperatori di convocare e di sancire fin da Nicea, quei concili ecumenici che nei secoli IV e V posero le basi dogmatiche e canoniche della chiesa, costituisce forse l'esempio più importante di come il cristianesimo e la concezione del potere universale sacro siano divenuti i poli fondamentali della coscienza sociale bizantina. Con Costantino il Grande si sente anche l'esigenza di una legittimazione dottrinaria oltre che politica. Sarà Eusebio di Cesarea a dare una formulazione teorica, traducendo le nozioni cristiane gli elementi della precedente tradizione politica. Consapevole di come il monoteismo cristiano si prestasse efficacemente a un parallelismo tra autorità monarchica e autorità divina, egli non fece che adattare alla nuova fede il vocabolario e le referenze della speculazione stoica. A fondamento della nozione eusebiana di legittima autorità e potenza imperiale vi è il concetto di mimesis, ossia di organica corrispondenza e di una perfetta armonizzazione tra sfera terrena e mondo trascendente ; così come l'unica monarchica terrena è il riflesso dell'unico impero celeste, del pari l'imperatore è il vicario di Cristo su questa terra. L'ordine della terra ripete l'ordine del cosmo e perciò inscrive l'impero romano cristiano nell'”economia” della salvezza. Non si tratta di concetti originali. Abbiamo dei testi neopitagorici che dicono che “Dio è il primo sovrano e capo della natura e per essenza; il re lo è per divenire e imitazione. L'uno regno sul mondo intero, l'altro sulla terra”. È vero però che in Eusebio tali concetti concorrono a definire una realtà precisa, non più in astratto. I successori di Eusebio continuarono a sviluppare la dottrina della mimesis divina , smussandone le parti più radicali. L'imperatore tende ad imitare la divinità di cui reca l'impronta. Il particolare rapporto che unisce il sovrano celeste al principe e in specie l'idea eusebiana che la legittimità del potere imperiale derivi unicamente da Dio, conferisce a quest'ultimo una sorta di ambigua e problematica autorità. Il vicario dell'Onnipotente rappresenta non solo il vertice dell'apparato biblico , ma anche il primo membro della società, a fianco e talora sopra il patriarca. Ha la responsabilità di salvaguardare l'ordine del mondo e di garantire il trionfo dell'ortodossia. Due sono le conseguenze:  la tradizionale concezione dell'impero universale acquisisce un significato nuovo, rinvigorito  giustifica il rendersi inaccessibili degli imperatori, complicarsi dei cerimoniali di corte. Vedi poi la porfirogenesia. L'ortodossia assurgeva a normativa politica cosicché i veri romani saranno ormai soltanto i cristiani. I LIMITI DELL'AUTOCRAZIA L'autorità di cui gode il sovrano bizantino è temperata dal persistere del diritto romano in cui chiara è la distinzione tra imperatore e res publica. Il sistema giuridico permane rigoroso, l'imperatore è chiamato a governare una comunità, ma non in maniera dispotica, il suo potere ha dei limiti. Egli non è sottoposto alle leggi da lui stesso emanate poiché nessuno può dare delle leggi a sé medesimo. Ma ciò non esclude che il distribuzione del grano. Inoltre come il senato così anche il popolo di Costantinopoli riceve l'eredità di Roma; partecipa al rituale del palazzo e ha un proprio spazio politico, l'ippodromo, in cui dialoga con l'imperatore e dove concorre , tramite la pratica dell'acclamazione o della deprecazione alla formazione di quel consensus omnium cui poggia la legittimità del principe. SVILUPPI DOTTRINALI DELLL'ORTODOSSIA E ORIGINE DEL PATRIARCATO DI COSTAANTINOPOLI Divenuta residenza stabile dell'imperatore, sede di un senato con autorità pubbliche e un numero di abitanti più elevato di Roma, Costantinopoli disponeva ormai di tutti i requisiti politico-istituzionali necessari ad aspirare a un dignità superiore di altre città dell'impero. Perchè tale processo potesse dirsi concluso mancava un elemento: 4) la consacrazione dell'importanza di Costantinopoli all'interno dell'organizzazione episcopale cristiana. Allorchè alla metà del secolo V il grado assunto fu formalmente sancito dal concilio di Calcedonia non si sovrapposero più ostacoli a tale riconoscimento. Quando il goto Odoacre inviò le insegne imperiali al sovrano di Costantinopoli sembrò che a Roma, dove non era rimasto che il senato, venisse meno la dignità imperiale. La città simbolo per eccellenza era declinata, bisognava edificarne un'altra nella storia e nelle coscienze. Prima di esaminare i modi in cui si compì l'ascesa della chiesa di Costantinopoli occorre ricordare che a partire dalla seconda metà del secolo II e poi nel III e agli inizi del IV l'ordinamento ecclesiastico, incentrato sulla figura del vescovo , capo della comunità dei fedeli, si era formato sullo stampo di quello pubblico prendendone a modello l'organizzazione politico- amministrativa. Il sistema episcopale riproduceva così gli schemi propri della vita civile. Quando poi in seguito alla riforma di Diocleziano, la province furono raggruppate in dodici unità, ulteriore fu il prestigio acquistato dai seggi episcopali metropolitani . Le diocesi più potenti erano quelle d'Italia, d'Egitto e d'Oriente. Eccelsero le sedi metropolitane di Roma , Alessandria e Antiochia. Bisanzio non ancora divenuta Costantinopoli aveva un vescovo e non un metropolita, sul piano religioso la città principale era infatti Eraclea dove risiedeva il governatore della Tracia. Costantinopoli emerge dal concilio del 381 e poi da quello di Calcedonia come “nuova Roma” avendo riconoscimento giuridico della sua importanza. EBRAISMO,ELLENISMO E CRISTIANESIMO 1965 Eric R.Dodds “Pagani e Cristiani in un'epoca di angoscia” studio che rischia di mettere un po' in ombra l'ebraismo, che invece aveva svolto un ruolo determinante nel rivolgimenti della tarda antichità, al punto che Guy Stroumsa disse “è con armi ebraiche che il cristianesimo conquistò l'impero romano”. A suo dire, infatti, la trasformazione dell'identità religiosa del mondo tardoantico, dalla quale i cristiani uscirono vincitori incontrastati, fu innanzitutto determinata da una “rivoluzione” antropologica ed etica in parte giù attuata dal popolo ebraico, al cui interno si era da tempo sviluppato, unitariamente all'abbandono del sacrificio cruento, un rapporto nuovo con il Libro sacro basato su una distinzione assoluta tra vera fede e false credenze. Quale esito di una prepotente aspirazione alla salvezza ultramondana, si era inoltre affermata nell'ebraismo una religione la cui identità era andata essenzialmente dalla fede d'appartenenza e non più dalla comunità etnica o politica. Una religione “comunitaria” destinata a opporsi a quella “civica” propria del mondo classico, ove ogni confessione era lecita purchè non si opponesse alla liturgia promossa dallo stato ai fini di celebrare la prosperità pubblica. Ne era derivato un “uomo religioso” nuovo, affascinato e ossessionato dalla verità, così come nuova si presentava anche la concezione antropocentrica giudaico-cristiana in netta antitesi con quella cosmocentrica di derivazione ellenica. Tuttavia senza l'azione del cristianesimo, che dagli ebrei aveva ereditato quel modello di religione, e senza l'intervento di Costantino e dei suoi immediati successori che conferirono alla nuova fede uno statuto privilegiato, la via ebraica alla verità religiosa sarebbe rimasta confinata in Palestina, in un lembo di terra ai margini del deserto. Visione che però rischia di non dare anche la giusta importanza all'apporto dato al cristianesimo dato dall'incontro con il pensiero pagano tardo antico e con l'intellettualismo greco. Vero è infatti che il movimento cristiano, nato nell'entroterra rurale della Palestina sullo sfondo del giudaismo intertestamentario, riuscì a superare il particolarismo ebraico perchè trovo nelle città ellenizzate dell'area mediterranea un privilegiato terreno di diffusione. Ma ciò fu reso possibile sia dalla sua capacità di conformarsi al quadro istituzionale e ideologico dell'impero romano sia dall'acquisizione di un linguaggio universalmente valido e sofisticato. Il periodo compreso tra il II e il III secolo venne considerato “epoca d'angoscia” e di disagio della civiltà poiché si preparava l'avvento del cristianesimo. La nuova fede trovò nel pensiero classico i presupposti per delimitare e meglio formulare una propria identità dottrinale, la cui conservazione sarebbe diventata una delle principali preoccupazione dei suoi vescovi. Ciò avvenne, come si vedrà a costo di dolorose lacerazioni interne poiché i padri della chiesa, il cui pensiero era all'origine della riflessione teologica cristiana, non avevano potuto sottrarsi all'influenza degli stimoli intellettuali offerti da differenti contesti culturali- Alessandria, Antiochia, Roma, l'Africa- in cui essi agivano. Sicchè pur essendo unico e sostanzialmente omogeneo il messaggio della fede, quasi inevitabilmente ne risultò diversa la sistemazione concettuale e terminologica. Il cristianesimo delle origini, fondato su un nucleo teologico di estrema semplicità, più che al contenuto dogmatico di una certa credenza (doxa) appariva interessato all'affermazione di una fede (pistis) il cui valore risiedeva non nella definizione concettuale dei suoi contenuti, ma nella realtà salvifica che questi esprimevano. In tale comunità d'amore fraterno- espressa nell'eucarestia e nell'attesa dell'avvento del Signore- il bisogno di redenzione trovava una sufficiente e adeguata risposta, non importa se giustificata o meno da un punto di vista logico-filosofico. I più antichi cristiani altro non erano se non i credenti nella persona divina di Gesù e nella sua divina missione volta a redimere gli uomini dal peccato nell'aspettativa del regno celeste. Nel corso del tempo tuttavia la necessità di legittimarsi nei confronti dei ceti colti dell'Oriente pagano educati alla speculazione filosofica classica e alla retorica e l'urgenza di definire il proprio corpo dottrinale rispetto all'ebraismo e alle diverse forme di religiosità pagana, spinsero i cristiani a indagare e a riflettere razionalmente sui contenuti della propria fede. Principalmente, sembrava in grado di distruggere le fondamenta del credo cristiano la concorrenza dello gnosticismo che appellandosi alla ragione, quale scintilla della luce divina dispersa nella desolazione del creato e prigioniera nelle tenebre del corpo, condannava senza scampo l'intera realtà mondana. Gli gnostici rileggevano i testi sacri del cristianesimo, canonici e apocrifi, reinterpretandoli radicalmente alla luce di una concezione dualistica e poneva per la prima volta il problema del male, che permetteva di superare il paradosso del Dio buono e del suo mondo imperfetto. Per non soccombere di fronte a ciò il cristianesimo fu costretto ad un duplice sforzo:  insistere su un canone fissato di testi sacri e sulla dottrina della successione apostolica visibile e pubblica in contrasto con le esoteriche e orali dottrine degli gnostici  precisare con chiarezza l'unicità di un creatore esistente ad aeterno. Fu cioè costretto a fornire alla rivelazione evangelica una solida base teoretica che, traducendo sotto forma di affermazione dogmatica un certo numero di certezza fondamentali, fosse in grado di competere con le altre correnti spirituali e filosofiche e, per ciò stesso, apparisse anche in grado di attrarre a sé, saldando speculazione greca e pensiero cristiano, quelle elite cittadine che per patrimonio fondiario ,prestigio sociale, decoro intellettuale costituivano l'aristocrazia dell'impero. Ne conseguiva una sempre più intima convergenza fra tradizione aristocratica e la pratica di assumere compiti e funzioni pastorali propri della nuova fede. Figure straordinarie di laici, non ancora battezzati né pienamente convertiti, venivano eletti vescovi in virtù della loro tradizione familiare e del prestigio intellettuale. Lo dimostra il caso di Sinesio, gran signore e uomo di cultura, nato a Cirene nel 370 da una famiglia di origine curiale, eletto vescovo di Tolemaide per l'abilità mostrata contro le popolazioni nomadi in Africa. Inizialmente sorta nelle forme più modeste di “assemblea” di fedeli per l'esercizio del culto- tale è il senso della parola greca ecclesia- la chiesa cristiana con un progressivo sviluppo, si era inserita nel meccanismo sociale fino a divenirne parte cospicua. Mentre infatti prometteva con la morte la salvezza eterna era in grado di offrire nuove possibilità nella vita pubblica con carriere eminenti, tali da appagare l'ambizione dei ceti più alti. Se uomini come Sinesio e Ambrogio di Milano sceglievano la carriera ecclesiastica ciò indica che questa era divenuta, la prima se non la sola , alternativa possibile all'impegno politico all'interno di struttura imperiali in via di decadimento. LA CONTROVERSIA ARIANA E L'INTERVENTO IMPERIALE L'esempio più significativo dell'intervento imperiale è dato dal concilio convocato nel 325 a Nicea da Costantino. Pochi anni erano trascorsi dacchè nel 313 l'imperatore aveva , con l'editto di Milano, concesso ai cristiani libertà di culto che già la chiesa orientale appariva lacerata da profondi contrasti, al punto da rischiare di trasformare il cristianesimo in fonte di discordia fra le popolazioni dell'impero anziché in possibile elemento di aggregazione. Dopo molte esitazioni Costantino, conscio del nuovo ruolo affidatogli dalla fede cristiana , e in particolare dall'obbligo di mantenere coesi i fedeli ed evitare che essi vengano screditati dai culti pagani che ancora erano presenti in maniera forte nell'impero, scelse la sede del concilio, vi assistette di persona e concesse ai partecipanti di viaggiare con la posta imperiale. Di fatto quello di Nicea fu il primo concilio ecumenico pur se minima fu la rappresentanza dell'Occidente latino- appena cinque inviati, più due preti delegati dal vescovo di Roma. Il concilio stesso si autodefinì oltre che “santo” anche “grande” aggettivo usato per la prima volta, che sottolineava ulteriormente l'ecumenicità. Concilio di Nicea 325 Problema cruciale a Nicea fu il dibattito circa la dottrina sostenuta da Ario, membro del clero di Alessandria. Questi per risolvere le difficoltà insite nell'affermazione cristiana di un'unica sostanza divina articolata in tre persone, adottando una teologia razionalista, aveva subordinato il Figlio al Padre tanto da compromettere l'unità stessa della Trinità e da considerare il Figlio come “un dio minore” che non partecipa alla natura di Dio Padre. La riflessione di Ario non era nuova. Come dimostra Manlio Simonetti già dal III secolo faceva parte della speculazione cristiana. Nuova era per conto la radicale accentuazione compiuta da Ario, della subordinazione del Figlio, al punto che la divinità assoluta del Cristo ne risultava gravemente sminuita. Fallito ogni tentativo di mediazione tra sostenitori e avversari di Ario, il concilio di Nicea dopo cinque settimane dichiarava il Figlio consustanziale al Padre, cioè della sua stessa sostanza, condannando Ario; dichiarandolo fautore di una dottrina deviante ed escludendolo dalla partecipazione alla liturgia eucaristica. Il cristianesimo aveva così introdotto il concetto di eresia in un mondo pagano che non lo aveva mai conosciuto. Il concilio di Nicea fu importante anche dal punto di vista amministrativo; si sancì il ruolo centrale dell'imperatore nell'ordinamento della cristianità, così come la sua responsabilità nel funzionamento dell'episcopato; era stato infatti Costantino a convocare il concilio e non un'autorità religiosa e a sanzionare le delibere dei padri dando a queste forza di legge. Il concilio dispose inoltre sull'organizzazione episcopale della chiesa, ritoccata nel tempo fino ad assumere la propria definitiva sistemazione nel secolo VI sotto Giustiniano; e sull'ordinamento metropolitano mantenendo le prerogative di centri come Roma, Alessandria e Antiochia. La chiesa antica aveva gerarchizzato su un principio politico e non apostolico. Concilio di Costantinopoli 381 Convocato dall'imperatore Teodosio allo scopo di ribadire la condanna dell'arianesimo e al contempo di proclamare la piena divinità dello Spirito Santo, ma anche al fine di meglio definire il buon funzionamento delle diocesi orientali. Fu in questo contesto che Costantinopoli vide per la prima volta riconosciuta in modo formale l'importanza della propria sede episcopale. E in effetti mentre il canone 2 , fatti salvi i privilegi accordati ad Alessandria e ad Antiochia, ribadiva il principio secondo cui i vescovi preposti a una diocesi non debbono occuparsi delle chiese che sono fuori dai confini loro assegnati, il canone 3 stabiliva che al vescovo di Costantinopoli toccasse “il primato d'onore dopo il vescovo di Roma, perchè tale città era la Nuova Roma” LE DISPUTE CRISTOLOGICHE TRA ESIGENZE SPIRITUALI E AMBIZIONI POLITICHE contesto normale del monachesimo). Infatti si pensava che il modello cenobitico rispecchiasse più fedelmente l'ideale della comunità primitiva di Gerusalemme (Atti degli Apostoli). I monaci potevano lasciare la vita monastica e ricoprire un seggio episcopale. Le esperienza cenobitiche conobbero, nei secoli IV e V una rapida e vasta diffusione anche nell'Europa Occidentale. Attuatasi qui nella regola di S.Benedetto. Si contrinuì così alla formazione della società medievale in via di formazione. Centri di irradiazione religiosa e culturale. BISANZIO, PARS ORIENTIS DELL'IMPERO: DA COSTANTINO A GIUSTINIANO Mentre Costantinopoli si definisce sempre più come seconda capitale e sia pure gradatamente come rivale di Roma, tre gravi questioni agitano la vita dell'impero tra il secolo IV e V: la fine del paganesimo, le incertezze costituzionali sulla normativa che regola la successione del principe, il problema dei barbari. 1) Pagani e cristiani A cominciare dall'età costantiniana, e con la sola eccezione del regno di Giuliano, la religione e la comunità dei cristiani godettero di un sempre più ampio appoggio da parte dell'autorità imperiale. Tale protezione iniziata con l'editto di Milano culminò tra la fine del secolo IV e l'inizio del V con gli editti violentemente antipagani di Teodosio e non mancò di manifestarsi anche sul piano economico con sovvenzioni concesse dallo stato alle istituzioni cristiane. Così le chiese a episcopali e le istituzioni ecclesiastiche a titolo di organizzazione culturale e assistenziale si erano straordinariamente sviluppate e godevano di un particolare statuto fiscale oltre che di una totale esenzione dagli oneri pubblici, di peculiari competenze giurisdizionali. Come affermato nei canoni 24 e 25 di Calcedonia il patrimonio ecclesiastico era inalienabile finchè fu inserito nella legislazione giustinianea. Insieme al moltiplicarsi dei favori concessi dall'impero alla chiesa, si aggravarono le misure oppressive nei confronti dei non cristiani. I vecchi culti furono proscritti e provvedimenti via via più intransigenti furono adottati verso i sostenitori del politeismo, un politeismo che nella seconda metà del secolo IV subì un estremo tentativo di restaurazione per opera dell'imperatore Giuliano (detto appunto l'apostata). Giuliano era un uomo molto colto e interprete di spicco del neoplatonismo, si convinse che il cristianesimo lungi dall'aver corretto la società avesse anzi minato l' impero e il progresso civile. Segnato dalla tragedia della propria infanzia quando l'imperatore cristiano Costanzo II , suo congiunto, gli aveva ucciso davanti agli occhi il padre e il fratello maggiore, egli, diventato imperatore nel 361 abbandonò il cristianesimo in cui era stato educato per ritornare ad un politeismo neoplatonico, pacificatore e comprensivo. Un politeismo da ripristinare in nuove forme, tramite una gerarchizzazione dei sacerdoti pagani a imitazione del clero cristiano. La restaurazione di Giuliano era impossibile, intrisa comunque di velato passatismo. Giuliano consapevole del tormentato rapporto tra cristiani, ebrei e pagani progettò di ricostruire il tempio di Gerusalemme (parte nel 361), nel tentativo di mettere in crisi la relazione intercorrente tra cristianesimo e giudaismo circa il possesso dei luoghi santi e di conseguenza di vanificare la pretesa del cristianesimo di aver ereditato dal giudaismo. Giuliano sul letto di morte dirà “ non mi affliggo, io esulto perchè so quanto l'anima sia più beata del corpo, perciò bisogna rallegrarsi...” concezione dell'al di là non molto diversa da quella dei cristiani, ma è solo venerazione dell'anima, mentre per i cristiani è corpo e anima insieme. Giuliano entra in polemica con Gregorio di Nazianzio. Giuliano sa che i cristiani hanno più presa sulla società anche per la presenza degli istituti caritatevoli, si impegnano anche per la costruzione di edifici per la comunità, per i pellegrini e gli orfani. Tertulliano dirà che “era più generosa la carità cristiana per le strade che la pietà pagana nei templi”. Gregorio di Nazianzio scredita le iniziative filantropiche dell'imperatore considerandole un maldestro tentativo di imitazione delle usanze cristiane. Dalla controversia tra Giuliano e Gregorio di Nazianzio si impongono due considerazioni: – la prima è che l'edilizia filantropica non sorse in una società caratterizzata da un assoluto vuoto culturale che attendeva di essere colmato – la seconda è che attraverso i suoi molteplici istituti caritativi la chiesa penetrò nel tessuto sociale sino ad assumere il ruolo di “cerniera tra i due mondi” , quello economico e quello sociale, dei quali non è possibile dire se ne accentuasse o ne riducesse le differenze. Se con i successori di Giuliano vi fu ancora margine di tolleranza dei culti pagani, divenuto imperatore Teodosio la pressione si mutò in aperta persecuzione. A differenza dell'impero romano che aveva perseguitato i cristiani in maniera assai dura, mosso da ragioni politiche più che teologiche, l'impero cristiano provvide a codificare in apposite leggi la repressione del paganesimo. Con l'editto di Tessalonica 380 si negò ai non cristiani, definiti malati di mente e pazzi, la possibilità di riunirsi in templi o santuari pubblici; nell'anno successivo si privò chi avrebbe abbandonato il cristianesimo di diritti civili quali la libertà di “testare o di ereditare”. Invano i più autorevoli esponenti del partito pagano invocarono la tolleranza per gli dei patrii affermando attraverso le parole commosse di Simmaco che “diversi sono i culti che gli uomini praticano, ma (...) volti tutti ad adorare un solo e medesimo essere. Gli astri che miriamo sono gli stessi, comune è il cielo, un medesimo universo ci circonda: che importa, allora, se per vie diverse ognuno segue il vero? Non seguendo una sola via potremo mai penetrare nei segreti recessi dell'essere”. Nel 392 Teodosio deciso sostenitore della cristianizzazione della società vieta il culto pubblico e domestico ai pagani, la pena; accusa di lesa maestà, confisca della casa o del fondo in cui si facciano sacrifici. 2)Successione del principe e riordinamenti interni L'assetto statale bizantino aveva mutuato da Roma un sistema di trasmissione del potere che appariva ormai instabile e tale da creare al momento della successione un pericoloso vuoto di potere politico- istituzionale. Lo stesso affermarsi accanto all'antica norma dell'elezione per consenso di popolo, della nuova dottrina teocratica dell'imperatore quale eletto da Dio non facilitava l'instaurarsi di una salda e univoca tradizione. Permanevano è vero le norme stabilite nel III secolo da Diocleziano che prevedevano da parte del principe regnante la designazione di un Caesar scelto tra i suoi collaboratori più capaci. Questi non doveva solo spartire con l'imperatore gli onori di governo ma doveva subentrargli al momento della morte. È il sistema della cosiddetta tetrarchia; due Augusti più anziani nominavano due Cesari scelti che reggevano collegialmente in un impero indiviso. Il sistema sembrò essere stabile, ma ci furono dei momenti bui soprattutto per la sempre più importante posizione del Senato al momento della vacanza imperiale e anche per l'autorità crescente dell'esercito nel conferire l'assenso a questo o a quel candidato. Di fatto nonostante la propensione degli imperatori, a partire da Costantino stesso, all'affermarsi del principio di ereditarietà, nessuna legge organica disciplinò a Bisanzio la trasmissione del potere sicchè la vera e propria regola fu data , per lo più, dal rapporto di forza esistente tra i pretendenti e i gruppi egemonici che li sostenevano. Soltanto con i successori di Basilio I e successivamente con la famiglia dei Comneni, la concezione dinastica dell'impero di consolidò sino al punto di vanificare il principio di elettività alla suprema carica dello stato, a cui Bisanzio era stata sostanzialmente fedele nel corso della sua storia. L'impero uscì indenne dalla confusione e dall'instabilità che turbarono il passaggio da un principato all'altro, una ventina di imperatori si succedettero al governo dell'Oriente e dell'Occidente nel periodo compreso tra la morte di Costantino nel 337 e l'avvento di Giustiniano all'inizio del secolo VI, le ragioni sono per lo più da ricercare nel persistere di un capillare apparato burocratico, sia centrale sia periferico,di tradizione romana articolato in una gerarchia di funzioni militari e civili. Costantino perfezionò quel sistema amministrativo, ereditato da Diocleziano e contraddistinto nella separazione tra incarichi militari e mansioni civili. I limitanei, unità dislocate sui confini, reclutate su base locale e sottoposte al comando dai duchi, furono integrate da un potente esercito mobile, l'exercitus comitatensis di carattere permanente in grado di intervenire con tempestività nei settori minacciati, alle dipendenze del potere centrale tramite un magister militum e un magister equitum, rispettivamente al comando della fanteria e della cavalleria, la cui autorità si estendeva sopra i duces dei confini. L'amministrazione civile fu organizzata sulla base delle provincie, un centinaio circa nel secolo IV, raggruppate in dodici diocesi che vennero riunite in quattro prefetture, dell'Oriente, dell'Illirico, dell'Italia e delle Gallie, ciascuna sotto l'eminente autorità dei prefetti, tra i quali acquistare maggior prestigio e potere il prefetto del pretorio per l'Oriente, che risiedeva a Costantinopoli, e quello per l'Italia. Tali magistrati, rappresentanti al più alto grado d'autorità imperiale erano preposti all'esazione delle imposte, al corretto funzionamento della posta o dei lavori pubblici, esercitavano giurisdizione d'appello e pur privati del comando militare, erano responsabili del vettovagliamento dell'esercito. Ai prefetti del pretorio si affiancavano per importanza, i titolari dei dicasteri di corte: il magister officiorum che controllava l'intero apparato amministrativo dell'impero e provvedeva alla sicurezza personale del sovrano, il comes sacrarum largitionum, e il comes rei privatae responsabili dei ministeri finanziari, il primo preposto alla gestione del denaro appartenente alle case dello stato, il secondo all'amministrazione del patrimonio privato del principe. (si impedisce una totale identificazione impero-imperatore). Tali funzionari esercitavano insieme al quaestor sacrii palatii, responsabile delle questioni legali, i dignitari di grado più elevato e più influenti alle cui dipendenze si prodigava una fitta schiera di pubblici ufficiali, circa trentamila persone, che erano in grado, grazie alla preparazione giuridico-contabile acquisita nelle scuole di diritto (es. Beirut- Berytus) di far funzionare correttamente la cancelleria imperiale. Per assicurare il mantenimento di una così elaborata burocrazia Diocleziano non aveva esitato ad aumentare la pressione fiscale, imposta nelle campagne, fonte prima di ricchezza, con l'introduzione dell'annona. Tale prelievo che combinava un'imposizione di carattere personale (capitatio) con una di carattere fondiario (iugatio) permetteva di far fronte agli accresciuti bisogni finanziari dell'impero. Per consentire un più preciso calcolo della iugatio, computata in base alla superficie, alla fertilità e alla produttività di un dato appezzamento, si era istituito un catasto generale, soggetto a revisioni periodiche. Dal momento che l'ammontare dell'annona era ottenuto sommando l'imposta fondiaria con quella personale, per assicurarne il pagamento si era cercato di vincolare uomini alle terre ,così che ogni iugum corrispondesse ad un caput e dunque una reale unità tassabile. Si formava in tal modo una categoria di persone destinata ad estendersi ulteriormente nel secolo IV, i coloni, di condizione giuridica libera, ma schiavi nei confronti della terra a cui erano uniti. L'obbligo che legava il coltivatore alla terra fu ulteriormente aggravato dall'introduzione dell'adiectio sterilium per cui le terre incolte era “aggiunte” ai fondi produttivi con l'obbligo di coltivarle affinchè anche su di esse si pagasse l'imposta fondiaria. Espressione della nozione di solidarietà fiscale collettiva, rese i membri di una medesima unità contributiva solidalmente garanti per il pagamento delle imposte eventualmente inevase. Nelle città invece negozianti, mercanti e artigiani erano riuniti in collegia e pagavano l'imposta lustralis collatio, pagabile in oro o argento. Mentre nell'Occidente il rapporto tra città e campagna si risolse a detrimento della prima, in Oriente più popolato e produttivo persistette a lungo l'urbanesimo. 3)Le grandi migrazioni barbariche All'inizio del secolo IV il mondo romano pareva ancora in grado di resistere all'urto delle popolazioni germaniche stanziate a nord del Reno e del Danubio, anche se già durante il regno di Costanzo II , figlio di Costantino ci si rendeva conto che il furore dei popoli confinanti era già molto acceso e minacciava i confini dell'impero. Se con ogni mezzo, politico o militare , si cerca di frenare le distruttive irruzioni di queste genti e di tenerle al di là del confine danubiano, non si rinuncia però ad accoglierle nell'impero con la speranza di utilizzarne la potenziale aggressività per rendere più combattivo l'esercito romano nelle quali schiere esse vengono incorporate in qualità di alleate (foederati). Tale atteggiamento male si accetta nelle campagne dove i proprietari fondiari vedono con favore la possibilità di ripopolare a buon mercato le terre abbandonate per scarsezza di braccia, fu questo il caso di trecentomila sarmati stanziati in Tracia, Macedonia e Italia settentrionale durante il regno di Costanzo II. Ne consegue una duplice reazione: a un'opinione pubblica rappresentata dal senatore Temistio, pronta ad attrarre soddisfazione e vanto dall'essere i barbari al servizio dell'impero in nome dell'ecumenismo dell'impero e della sua missione civilizzatrice e pacificatrice, si contrappone il sentimento di ostilità etnica e culturale di chi ne teme la permeazione, lenta ma progressiva , nel territorio, nell'esercito, nella società. (Sinesio vescovo di Cirene deve prendere decisioni veloci perchè sente la pressione dei barbari sui confini, Temistio invece scrive da Costantinopoli è lontano dai confini). A tale diversità di giudizio, giova ricordare che a seguito di grandiose migrazioni nell'area nordeuropea e sotto la spinta degli unni, popolazione mingola proveniente dalle steppe asiatiche, i visigoti avessero passato in massa il Danubio ottenendo dapprima di stanziarsi in Tracia, ma giunsero poi allo scontro aperto anzi la massima espansione territoriale. Dotato , a differenza dello zio Giustino, di una solida cultura classica e memore forse delle proprie origini fu guidato per quarant'anni del suo regno da due complementari: tradizione romana e universalismo ortodosso. La sua politica estera , sostenuta dall'idea dell'unità imperiale, mirò alla riconquista dei territori un tempo appartenuti a Roma. Parimenti all'interno cercò di limitare ogni forma di regionalismo giudicandolo incompatibile con l'autocrazia del potere centrale. Quanto ai problemi religiosi convinto che prosperità dello stato e rettitudine della fede fossero indissolubili governò la chiesa con intransigenza. Legato a Roma e a Papa Virgilio. L'UNIFICAZIONE RELIGIOSA Al tempo di Giustiniano la discordia teologica era ancora viva e attuale: a nulla era servito un intervento pacificatore dell'imperatore Zenone, il cui “Decreto di unione” (enotikon) non aveva ottenuto il consenso di Roma, e anzi il dissidio si era accentuato durante il regno di Giustino. Fu l'asprezza della contesta a indurre Giustiniano, che pure in gioventù era diofisita intransigente, a ricercare una nuova soluzione di compromesso in grado di comporre il dissidio tra calcedonesi e monofisiti proponendo una sorta di diofisismo attenuato. In tal senso l'imperatore emanò un editto nel 534 nel quale condannava alcuni testi teologici , I tre capitoli, i cui autori Teodoro di Mopsuestia, Teodoreto di Ciro e Iba di Edessa sospettati un tempo di nestorianesimo, erano stati poi riabilitati dal concilio di Calcedonia 451. La decisione imperiale considerata insoddisfacente dai monofisiti che essa voleva riconciliare, non meno che dai calcedonesi a cui pareva irrispettosa delle decisioni prese, si scontrò inoltre con la ferma opposizione dell'Occidente,risoluto nella difesa del dogma calcedonese. Giustiniano insistette tuttavia nel suo atteggiamento e nel 553 non esitò a indire a Costantinopoli il V concilio ecumenico, ottenendo in qualche modo l'adesione del vescovo di Roma convocato nella capitale bizantina, turbando ancor di più gli equilibri con la chiesa occidentale. In primo luogo papa Virgilio venne scomunicato per essersi mostrato troppo accondiscendente nei confronti dell'imperatore ( dalla chiesa d'Africa latina, diofisita). Ad acuire i contrasti si aggiunse il definitivo ordinamento dato da Giustiniano alla pentarchia patriarcale. In un quadro mediterraneo non ancora lacerato delle invasioni arabe, tale sistema, recepito nella stessa codificazione giustinianea assicurava alle cinque sedi vescovili più importanti- Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme- una comune partecipazione al governo della chiesa, ma si scontrava con la nascente vocazione monarchica del papato romano che contestò senza tregua il titolo di “patriarca ecumenico” conferito al vescovo di Costantinopoli. L'UNIFICAZIONE DEL DIRITTO Giustiniano era ostile verso la filosofia ellenica giudicata contraria al cristianesimo e responsabile delle eresie che erano nate. Procopio di Cesarea il grande e controverso storico, attribuisce al sovrano il declino dell'alto insegnamento profano ma nonostante ciò la grammatica, la retorica e la dialettica rimasero alla base della cultura. Così come rimase in vigore l'insegnamento giuridico soprattutto a Beirut, centro importante e a Costantinopoli le cattedre di diritto aumentarono. I professori erano salariati dallo stato e ad esso legati. Giustiniano sentì l'esigenza di enucleare il diritto vigente nell'impero, sia sopprimendo le norme cadute in desuetudine sia fondendo dove necessario i testi esistenti, così da mettere in ordine l'attività legislativa e al contempo l'amministrazione della giustizia. – Codex raccolta criticamente elaborata dalle principali costituzioni imperiali promulgate da Adriano (195 d.C.) sino al 529, sino all'anno cioè di tale compilazione opera di una commissione composta da sette funzionari con a capo Triboniano, un eminente giurista elevato al rengo di qaestor sacri palatii – Digesta o Pandette 50 libri ordinati in base al contenuto desunti dall'attività dei giureconsulti, esperienza giuridica romana – Institutiones, 4 libri compilati durante la stesura dei Digesta, si proponevano di esseri testi destinati all'apprendimento universitario, ma avevano anche la loro funzione normativa – Novellae, singole costituzioni promulgate dall'imperatore dopo il 534 per rispondere ai problemi del suo tempo e redatte per lo più in greco, a differenza delle altri parti del Corpus Iuris Civilis, così da poter essere comprese dalle province orientali a cui erano in gran parte destinate L'UNIFICAZIONE POLITICA Il disegno giustinianeo di perseguire l'unità in campo giuridico e religioso si completò con naturalezza nell'impegno di ricostruire l'unità politica dell'orbis Romanus attraverso il ricupero delle posizioni perdute in Occidente. La riconquista dell'Occidente cominciò dal regno fondato dai vandali nelle terre dell'Africa tra Tunisi e Cartagine. I vandali non furono in grado di opporsi alle forze dell'impero d'Oriente che sotto la guida di Belisario posero rapidamente fine tra il 533 e il 534 al regno fondato da Genserico. Più lunga e difficile fu la campagna condotta in Italia contro il regno ostrogoto la cui incerta relazione costituzionale con l'impero d'Oriente , ricorda Procopio all'inizio della Guerra gotica, unitariamente alla crisi dinastica apertasi nella famiglia reale , fornì a Giustiniano il pretesto per intervenire nella penisola. I rapporti tra goti e romani si erano deteriorati negli ultimi anni, Teoderico divenuto sospettoso delle gerarchie cattoliche ne condannò alcuni membri. La resistenza gota durò vent'anni, dal 535 al 554. i goti dettero prova oltre che di capacità militare, di duttilità politico-diplomatica avendo anche l'audacia di offrire a Belisario il titolo di imperatore d'Occidente, o da concepire secondo l'intento del loro re Totila, l'instaurarsi di nuovi rapporti sociali con le popolazioni romano-italiche invitandole a versare al regno quei tributi che in precedenza dovevano essere versati all'erario e ai grandi possessori. Vent'anni di guerre impoverirono la penisola di uomini e alterano i rapporti economici causando l'estinzione del ceto senatorio. Belisario fu richiamato a Costantinopoli e subito inviato sul fronte persiano. Nella Pragmatica Sanctio emanata da Giustiniano nel 554 su richiesta del papa Virgilio vi erano tutte le disposizioni per il riordinamento amministrativo dell'Italia. L'imperatore si preoccupava , dopo aver abrogato tutti gli atti di Totila di reintegrare il ceto dei possessori nelle sue antiche proprietà fondiarie dove la documentazione fosse andata distrutta durante la guerra gotica. Restaurata l'autorità imperiale in Africa e in Italia, le mire di Giustiniano si volsero alla penisola iberica dove una crisi dinastica all'interno del regno visigoto fornì al sovrano il pretesto per un intervento armato che si concluse nel 554 con la riconquista della Spagna sudorientale, dal golfo di Valencia fino a Cadice. Occupazione di Septem , l'odierna Ceuta restituiva all'impero il possesso dello stretto di Gibilterra. Alla metà del secolo VI il sogno della renovatio imperii sembrava tangibile. Con i franchi in Gallia si preferì ricercare un'alleanza. Georg Ostrogorsky dice di Giustiniano “l'ultimo imperatore romano sul trono di Bisanzio”. Ora il concetto di imperium coincideva con quello di ecumene cristiana, la pax christiana si sovrappone alla pax romana. C'è anche la volontà di celebrare, a Ravenna infatti nell'abside di S.Vitale l'iconografia del cosmo cristiano contemplava accanto all'immagine del Cristo e di Maria e degli apostoli anche l'immagine di Giustiniano. A Costantinopoli nella chiesa di S. Sofia si celebrava un nuovo cerimoniale liturgico dove l'imperatore si manifestava accanto al patriarca, come sacra maestà di autocrate del mondo cristiano e ortodosso. I LIMITI DELL'UNIVERSALISMO GIUSTINIANEO Pur essendo l'apogeo dell'idea imperiale romana, l'impero di Giustiniano conteneva al contempo i germi che lo avrebbero minato. Fatta eccezione per il settore del diritto, i successi ottenuti furono provvisori ed effimeri. Occorre riconoscere che concentrando unilateralmente verso l'Occidente tutti i proprio sforzi, Giustiniano commise un grave errore di prospettiva sottovalutando sia il pericolo sassanide sul fronte orientale sia la minaccia arrecata con sempre maggior consistenza delle forze slavo-bulgare nei territori balcanici. Nel corso del secolo VI l'impero persiano governato già da duecento anni dalla dinastia sassanide (rinnovo tradizioni antiche Achemenidi) conosceva un periodo di rinnovata prosperità culturale e politica. Cosroe I aveva rinsaldato le fondamenta dello stato oltre che della potente chiesa sassanide la cui dottrina ufficiale, di impianto dualista, era incentrata sul conflitto tra Ahura Mazdah, il creatore universale, e Arimane, il principe del male. A Ctesifonte, capitale dell'impero, una corte fastosa ed aperta la pensiero ellenico ed indiano favoriva lo sviluppo di scritti di carattere sapienziale. I sassanidi aveva anche conservata gli Avesta. L'apparato amministrativo e parimenti quello fiscale centralizzati nella capitale intorno alla figura del re,svolgevano le loro funzioni in maniera eccellente, permettendo a Cosroe I di presentarsi come l'antagonista dell'impero d'Oriente e di attuare nei confronti di Costantinopoli una politica di permanente aggressione tale da costringere Giustiniano ad assicurarsi la pace tramite il pagamento di tributi pesanti per l'economia e umilianti per il prestigio dell'autocrazia bizantina. Più gravi ancora furono le scelte imperiali nei Balcani. Qui malgrado gli sforzi tecnici- costruzioni per rinforzare il limen difensivo- e diplomatici- volti a mettere le une contro le altre popolazioni stanziate a nord del Danubio- la riduzione dei militari per le campagne in Occidente rese la frontiera danubiana vulnerabile alle irruzioni slave, unne e bulgare. La stessa riconquista dell'Occidente ruppe, in seguito alla distruzione del regno goto, equilibri consolidati facendo cadere l'ultimo baluardo che si frapponeva all'avanzata longobarda in Pannonia sino al sud dell'Italia con conseguenze decisive forse più ancora per lo sviluppo storico dell'Occidente mediterraneo che di Bisanzio. 2. LA CRISI DEL SECOLO VII E L'EQUILIBRIO SPEZZATO NEL MEDITERRANEO Nella storia di Bisanzio il secolo VII rappresenta uno dei periodi di più intenso travaglio e di più profondo rinnovamento. La tarda antichità si conclude e il lungo regno di Eraclio sembra costituirne il limite temporale. Gli echi del passato certo non si risolvono con Eraclio, ma la dinamica delle trasformazioni insite nelle prime forme di vita medievale predomina. Bisanzio uscì rimodellata per assumere tratti diversi, modificata risultò la geografia dell'impero, con la cristianità orientale e quella occidentale pronte a spartirsi la riva settentrionale e con l'islam strettamente insediato sulla sponda meridionale grazie alla conquista dell'Egitto, dei paesi del Maghreb e della Spagna del sud. Peraltro sia il cristianesimo sia l'islam, dopo un lungo affrontarsi, stabilizzatasi la situazione in ambito mediterraneo, ne trassero profitto per rilanciare la propria espansione verso territori cui Roma aveva rinunciato a inoltrarsi. La cristianità si diffuse in tutta Europa a est del Reno e a nord del Danubio e del Mar Nero e poi in direzione della Siberia; l'islam invece verso le oasi dell'Asia centrale già toccate da Alessandro Magno e da lì in direzione del mondo cinese, quindi verso l'India e l'Asia del sud est e , attraverso il Sahara alla volta dell'Africa nera. Certo per Bisanzio si trattò di un tempo di crisi, ma non di assoluto ripiegamento, l'impero si modificò in una forma prettamente bizantina. Concentrò le sue forze verso oriente, per allontanare i pericoli che minacciavano il fronte persiano. Cadute in mano araba le grandi metropoli orientali concorrenti di Costantinopoli, quali Antiochia e Alessandria e ridotto il proprio dominio in Occidente a una modesta porzione del Mezzogiorno italiano, Bisanzio da impero romano divenne di fatto un impero greco, collocato tra Oriente islamico e l'Occidente latino-germanico, non più contraddistinto da quel carattere multinazionale che lo aveva costituito. Con la perdita dell'Occidente di perde anche il latino e la lingua dell'impero diventa il greco. PRIMI SINTOMI DELLA CRISI: SPINTE CENTRIFUGHE E CREAZIONE DEGLI ESARCATI Un grande regno si era concluso nel 565 con la morte di Giustiniano, un altro non meno importante ebbe inizio nel 610 con l'elezione imperiale di Eraclio. I motivi del fallimento giustinianeo nel corso degli anni erano molteplici, gravi se considerati balcanica e arricchi l'impero di un rilevante numero di coltivatori liberi e intraprendenti nella campagne. LA FALLITA RICERCA DELL'UNITA' RELIGIOSA Mentre l'avanzata slava si dispiegava sul fronte balcanico, in Asia la grande offensiva persiana condotta da Cosroe II col pretesto di vendicare l'assassinio di Maurizio perpetrato da Foca si era spinta, dopo che nel 613 era stati occupati la Siria, Palestina e l'Egitto sin nel cuore dell'Armenia e dell'Asia minore, il profondo turbamento religioso suscitato nel 614 dalla conquista di Gerusalemme a cui era seguita la cattura del patriarca e delle reliquie della vera croce, avevano permesso ad Eraclio di raccogliere attorno a sé le energie vitali del paese. Ottenuto che la chiesa mettesse a disposizione i propri tesori, l'imperatore poteva così iniziare nel 622 una guerra che nel corso di sette anni avrebbe condotto alla conquista di Ctesifonte e al crollo dell'impero sassanide. Al volgere del primo trentennio del secolo VII riconquistati tutti i territori invasi, Eraclio si trovava al culmine del successo: era il primo imperatore dai tempi di Teodosio ad aver direttamente guidato una campagna militare, era il primo sovrano ad aver visitato Gerusalemme dove nel corso di una cerimonia aveva restituito le reliquie alla cristianità. Eraclio appariva ai contemporanei come un “nuovo Davide”. La restituzione della vera croce aumentava il legame fra chiesa e imperatore e appariva come una garanzia di vittoria sui nemici. Ma dopo questo grande successo ci furono due fattori che interagendo tra loro vanificarono le gesta di Eraclio: – il permanere delle controversie religiose – la nascita dell'islam e la politicizzazione della gente araba intorno alla nuova fede all'indomani della vittoria sui persiani, ricongiunti Siria, Palestina ed Egitto, Eraclio di trova nuovamente a fronteggiare un forte monofisismo. In quei paesi c'era una forte ostilità verso il patriarca ortodosso che spesso veniva imposto con la forza da Costantinopoli e la popolazione era monofisita. Eraclio cerca di risolvere la situazione con un nuovo compromesso teologico, egli cercava un accordo concettuale. Interprete di tale iniziativa fu il patriarca Sergio, spostando la discussione delle due nature di Cristo alla Sua forza agente (energeia) sulla cui unicità riteneva non potessero esserci divergenze. La chiesa di Roma parve d'accordo con la sola avvertenza di sostituire il termine “energeia” con quello di “volontà” (thelema), fu fatta propria da Eraclio che nel 638 emanò un esposto di fede in cui pubblicamente imponeva ai sudditi la dottrina del monotelismo. La formula calcedonese veniva integrata in questo modo. Il monotelismo invece non fece che accendere gli animi scontentando i calcedonesi che lo interpretano come un cedimento ai monofisiti senza tuttavia avere il consenso di questi ultimi. Anzi il monotelismo contribuì ad aprire il divario tra la chiesa d'Oriente e quella d'Occidente permettendo inoltre una facilitata conquista araba nei territori monofisiti. Il conflitto tra i due mondi scoppiò con il nipote di Eraclio, Costante II nominato imperatore nel 641. Il contrasto con Roma si inasprì anche in seguito all'elezione al soglio pontificio di Martino I consacrato nel 649 senza il beneplacito imperiale non esitò a connotare in senza antibizantino la propria elezione, condannando il monotelismo. Si scontrava così con Costante che essendo conscio che non si sarebbe trovata una soluzione vietò drasticamente il monotelismo (imponendo il typos : silenzio sulla questione del montelismo). Massimo Il Confessore si rivelava una figura eminente all'interno dell'episcopato africano presente a Roma, dove molti monaci si rifugiavano per sfuggire alle pressioni di uno o dell'altro vescovo. Egli rivendicava l'indipendenza della chiesa dalla sfera politica e difendeva sul piano dottrinale la presenza in Cristo di due volontà, divina e umana in contrasto tra loro al momento dell'agonia perchè se quest'ultima non avesse sperimentato l'orrore per la morte confermando in tal modo la piena umanità del figlio non si sarebbe potuta operare la redenzione dell'uomo. Il fatto che l'imperatore non dovesse occuparsi di questioni religiose sembrava impossibile alla corte di Costantinopoli dove si riteneva che l'imperatore fosse in ogni campo l'autocrate di un mondo tutto cristiano e ortodosso. Sul suolo italico la controversia monotelita si complicava di risvolti politici in una situazione già complicata per la presenza longobarda. Scomoda posizione dell'esarcato di Ravenna che doveva cercare di emanciparsi da tutte le pressioni interne. L'esarca di Ravenna Olimpio fu inviato a Roma per arrestare Papa Martino colpevole di essersi pronunciato contro il monotelismo malgrado l'imposizione del silenzio con il Typos di Costante. Olimpio rivelò il segreto scopo della missione al pontefice invece di incarcerarlo, si ribellò a Bisanzio sognando di ridurre l'Italia sotto il proprio dominio. Era questa per l'imperatore l'occasione per compromette il pontefice che catturato nel 653 dal nuovo esarca Teodoro Calliopa fu tradotto in catene a Costantinopoli con l'accusa di non aver contrastato il tentativo di sovversione di Olimpio. Concilio ecumenico di Costantinopoli 680-1 il monotelismo sarà definitivamente condannato e sarà riaffermata solennemente l'ortodossia calcedonese. A Oriente si considerava la chiesa come un chiesa “d'impero” mentre a Occidente la si concepiva come un chiesa “del papato”. L'avanzata islamica infrangeva definitivamente il sogno di un'unica ecumene cristiana. IL TRIONFO DELL'ISLAM Alla fine del primo trentennio del secolo VIII era appena scomparsa la minaccia persiana in Oriente. Le tribù arabe fino ad allora avvezze a semplici razzie trovano la forza di uscire dai propri confini tradizionali e di affrontare a campo aperto i propri vicini. LA NASCITA DI UN NUOVO MONOTEISMO Sino al secolo VII l'Arabia altro non era che un esteso territorio geografico le cui popolazioni non avevano ancora raggiunto una matura organizzazione politica. Alle tribù dislocate sul territorio si opponevano due centri più evoluti: – l'oasi di Yathrib (la futura Medina) – La Mecca era punto di approvvigionamento di acqua e per i commerci grazie all'impulso delle tribù dei Quraishiti essa era divenuta malgrado la sterilità della regione circostante , il più importante centro del mondo arabo. Ad accrescere ancora di più il prestigio de La Mecca vi era il culto pagano della Ka'ba, una pietra nera meteoritica che elevata al rango di santuario era meta di pellegrinaggio sacro. Sebbene seguaci di un politeismo arcaico le popolazioni arabe erano venute a contatto con cristianesimo ed ebraismo, poiché gruppi di mercanti ebrei erano affluiti in quel territorio e alcuni (ebrei) si erano insediati stabilmente presso popolazioni sedentarie dello Yemen. Il cristianesimo invece aveva trovato accesso nelle tribù beduine delle regioni di frontiera nella sua forma monofisita. Il cristianesimo che per l'assenza di gerarchia sul suolo arabo non era riuscito a inserirsi aveva però contribuito all'affermarsi di una più completa coscienza religiosa. Situazione di fermento spirituale (c'erano anche gli hanife “cercatori di Dio” né ebrei né cristiani ma musulmani ante litteram che delusi dal politeismo aspiravano ad una fede più pura). Tra il 569 e il 571 nella città della Mecca da un ramo della tribù Quraishita naque Muhammad il futuro profeta. Verso i quarant'anni intorno al 612 dopo un lungo periodo trascorso in solitudine nel deserto e nella preghiera, ebbe in una grotta del monte Hira, la prima rivelazione divina e con essa la convinzione di essere un predestinato e inviato da Dio. Una figura celeste poi identificata con l'arcangelo Gabriele gli ordinò di recitare a voce alta le parole di Dio, di qui il Corano. Al pari di ebrei e cristiani anche i musulmani ebbero un loro libro che però non solo è ispirato da Dio ma è esso stesso verbo di Dio (Dio stesso). Dove nel cristianesimo c'è il Logos divenuto uomo, nell'islam c'è il verbo di Dio divenuto libro. Il corano è intraducibile, infallibile e assolutamente affidabile. Muhammad adempì all'ordine ricevuto. Dapprima memorizzato e annunciato oralmente , il corano fu in seguito raccolto e scritto. La trascrisse il califfo Utman in 6.666 versi fu sistemato in 14 Sure o capitoli ordinate secondo la lunghezza decrescente non ordine cronologico (come era invece disposta la Bibbia). All'inizio Muhammad si limitò a diffondere il Corano all'interno della sua famiglia in un atteggiamento di completa “sottomissione” all'unico Dio sovrano. Poi la predicazione di Muhammad venne in contrasto con gli interessi dei ricchi mercanti Quraishiti che cercavano intorno alla Ka'ba di organizzare una sorta di unità politica ed economica. Escluso dai diritti tribali e dalla vita sociale Muhammad fu costretto a lasciare la città nel 622 per trasferirsi a Yathrib che assumerà il nome di Medina, vale a dire di città del profeta. Fu l'Egira (o migrazione) tale evento da cui si data l'inizio del calendario islamico. La sua predicazione cessava di essere essenzialmente religiosa per acquisire contorni politici e sociali. Muhammad divenne guida e capo spirituale di una comunità destinata a estendersi. A partire dall'egira infatti l'islam sviluppò un nuovo genere di comunità, la Umma (comunità con comune fede religiosa). L'islam sviluppò una peculiare struttura statale a carattere rigidamente teocratico e inseparabile dalla religione, causa diretta e determinante della sua formazione e ligittimità. All'inizio l'ebraismo e cristianesimo erano ritenuti da Muhammad in sostanziale accordo con la propria predicazione presentata come l'ultima rivelazione profetica di cui Abramo e Cristo non sarebbero stati che precursori. Disilluso dalle speranze di alleanza con la comunità ebraica di Medina poco disposta a riconoscere la sua rivelazione e insoddisfatto del cristianesimo il cui monoteismo gli sembra imperfetto a causa della dottrina della Trinità, Muhammad sancì allora che le genti del Libro sarebbero state libere di praticare la propria fede purchè paghino una tassa pro capite. Quindi l'immagine dell'islam intollerante verso i miscredenti non è vera. Muhammad pensava che anche se con un credo distorto cristiani ed ebrei partecipassero alla religione unica ed eterna. Apportatore di una nuova fede e di una rinnovata concezione dei rapporti sociali in base al quale il singolo individuo traeva diritti e doveri delle sua qualità di credente, l'islam mostrava la sua istanza guerriera per la prima volta. Fondendo entusiasmo religioso con la razzia Muhammad seppe conquistarsi l'appoggio delle tribù beduine così nel 630 rientrò trionfalmente a La Mecca. I quraishiti nel timore di perdere la propria egemonia politica lo appoggiarono. La Ka'ba fu purificata dai culti politeisti ma il rito del pellegrinaggio, profondamente radicato nella religione pre-islamica venne mantenuto e inserito nei 5 pilastri dell'islam. – professione di fede, non esiste altro Dio all'infuori di Allah e Maometto è il suo profeta – elemosina ai poveri due poteri con una generale preminenza dell'autorità militare su quella civile, secondo il modello sperimentato negli esarcati fino a trovare la sua realizzazione più compiuta nei themata. LA MILITARIZZAZIONE DELLA SOCIETA' I themata sono già attestati in un documento di Giustiniano II risalente al 687, per comprendere l'origine del nuovo sistema amministrativo occorre riferirsi alla cronaca di Teofane, scritta all'inizio del secolo IX e al trattato a essi dedicato dall'imperatore Costantino Porfirogenito. Ne è conseguito un importante dibattito storiografico che non cessa di opporre storici di diverse scuole. La teoria classica, ma anche la più datata rimane quella di Georg Ostrogorsky secondo cui l'unificazione di una data provincia sotto il suo comandante militare sarebbe l'esito di una sistematica riforma istituzionale elaborata da Eraclio allo scopo di sostituire alle province civili di impronta costantiniana e giustinianea un diverso ordinamento mirante a combinare in una sola persona, uno stratega di nomina imperiale, poteri civili e militari. A tal fine Eraclio avrebbe collegato questa riforma alla questione del reclutamento delle milizie locali risolto tramite la concessione di terre a particolare statuto fiscale, i beni militari, inalienabili, ereditarie e offerte in cambio del servizio militare prestato, pena la loro riassegnazione in caso di inadempienza. Secondo l'interpretazione di Ostrogorsky, simile sistema fu la risposta di Bisanzio alle minacce arabe e rappresentò la più efficace difesa della cristianità contro la permanente ostilità islamica. Divenute la struttura portante della geografia politico-amministrativa dell'impero, le nuove circoscrizioni e con esse il rinnovato esercito composto per lo più da stratioti, soldati e contadini , permisero a Bisanzio di uscire rigenerata da una della più gravi crisi della sua storia. L'impossibilità dell'estensione di tale sistema alle province orientali spiegherebbe la sconfitta bizantina sul fronte persiano. L'ipotesi di Ostrogorsky pare superata a favore di argomenti meno inclini a individuare nei themata un progetto di riassetto statale pensato e attuato in maniera consapevole. Senza dubbio le iniziative di Eraclio dovettero contribuire alla formazione dei primi themata, ma la costituzione di un vero e proprio sistema tematico fu il risultato di una lenta evoluzione che solo nel tempo acquistò il suo aspetto definitivo. Tale sistema si sviluppò sulla base delle esigenze militari, senza un disegno preordinato. Allorché dopo la sconfitta di Yarmuk nel 636 l'esercito bizantino stanziato sul fronte orientale si ritirò verso ovest per salvarsi dall'annientamento, quanto ancora restava dei corpi d'armata ricevette da Eraclio l'ordine di riassestarsi stabilmente sulle proprie posizioni senza rischiare nessuna controffensiva in campo aperto. La confluenza in Asia Minore di quattro unità militari – l'esercito anatolico al comando del magister militum per Orientem e quello di stanza in Armenia sotto la guida del magister militum per Armeniam, a cui si era aggiunte le forze del magister militum per Thraciam rapidamente trasferite dalla parte orientale della penisola balcanica e le truppe dell'Obsequium (Opsikion) il cui comando supremo competeva all'imperatore, ma di fatto guidate da tre magistri militum praesentales- permise all'impero di sopravvivere all'attacco degli arabi ma l'entità dell'impegno comportò che ogni comandante di corpo d'armata concentrasse nelle proprie mani anche i poteri amministrativi del distretto in cui il proprio esercito risiedeva. Inevitabilmente le tradizionali articolazioni civili furono soppiantate e il termine thema, che originariamente indicava un corpo d'armata , perso il proprio senso puramente militare ne acquisì uno istituzionale, finì per designare il distretto territoriale occupato da quella medesima unità. Nacquero così, per precise esigenze militari e senza una necessaria corrispondenza fra nome geografico e designazione amministrativa, i themata degli anatolici per fronteggiare le invasioni provenienti dal nord della Siria, degli armeniaci a difesa dei confini verso l'Armenia e la Mesopotamia , dei tracesi e dell'Opsikion a presidio dell'Asia Minore occidentale e nord occidentale. Fu questo- unitamente al thema marittimo dei carabisiani in cui erano incluse le isole dell'Egeo e Cipro, il primo nucleo della nuova organizzazione provinciale che segnò in senso marcatamente militare lo sviluppo istituzionale dell'impero bizantino. Ma anche nelle quattro circoscrizioni originarie il trasferimento delle competenze civili ai comandanti militari avvenne gradualmente come comprovano i sigilli dei kommerkiaroi, funzionari incaricati della supervisione del commercio locale. Solo a partire dalla metà del secolo VIII, quando i themata furono ridotti a unità distrettuali più modeste e dunque tali da poter essere realmente governate dallo stratega e dai suoi subalterni, si procedette in modo più spedito ad un allargamento dei poteri militari a spese dell'amministrazione civile sino a incorporarla del tutto nella gerarchia tematica. Un processo che tuttavia non si completò prima della seconda metà del secolo IX. Al pari dell'ordinamento tematico, la concessione, in cambio del servizio nell'esercito, di terre fiscalmente privilegiate in quanto esentate dalle prestazioni straordinarie- le proprietà stratiotiche o stratiotai ktesis, fu l'esito di un processo graduale e spontaneo. A partire dalla fine del regno di Eraclio i soldati delle armate provinciali furono reclutate prevalentemente su base locale. Il servizio militare era legato al possesso della terra e dalla terra il soldato traeva il necessario per equipaggiarsi e armarsi personalmente. In modo graduale e sicuro si venne a formare un esercito indigeno e reclutato su base locale, che l'autorità militare di ciascun thema era in grado di mobilitare rapidamente in caso di invasioni o di razzie impreviste, il cui mantenimento gravava in misura assai ridotta sulle finanze pubbliche e che era composto da un ceto sociale ben preciso: gli “stratioti”, piccoli e medi contadini in grado di supplire al modesto soldo ricevuto per l'esercizio delle armi con i profitti di beni patrimoniali, a statuto speciale, da trasmettere in eredità ai figli unitamente all'obbligo della prestazione militare. LA CRISI DELL'ORDINAMENTO URBANO A causa del perdurante stato di mobilitazione si assistette infatti a un riordinamento interno caratterizzato dalla crescita, a scapito della burocrazia civile, delle alte e medie gerarchie militari sempre più potenti grazie anche al loro radicamento fondiario, effetto e causa del drastico indebolimento dell'aristocrazia urbana e senatoria (sec VII-VIII).Le città, per lo più di origine classica, che sino a quest'epoca avevano conservato un ruolo decisivo nella vita dell'impero mantenendo sostanzialmente inalterata la propria funzione politica e culturale, così come il loro ruolo di intermediazione tra la provincia e il centro dell'impero, scomparvero nella quasi totalità, travolta dalla catastrofe che investì Bisanzio nel secolo VII e che raggiunse il suo apice circa alla metà del secolo seguente. Venne meno l'antico sistema di legami sociali e le città superstiti abbandonati gli spazi aperti peculiari dei centri civici antichi, assunsero la nuova configurazione medievale.I dati archeologici mostrano l'alterarsi del modello urbanistico greco-romano. L'impero non fu più una costellazione di città bensì un aggregato di kastra, ossia di fortezze strutturate soprattutto per divenire rifugio provvisorio in caso di invasione nemica per gli abitanti del contado ma del tutto inadatte come sede di vita urbana e questo proprio mentre nel mondo islamico aveva inizio il moltiplicarsi dei grandi centri cittadini.Aumento delle cappelle private, abbandono della casa a peristilio. Emerge l'importante figura del vescovo. La cultura si orienta sempre più intorno all'ortodossia, crescere della produzione agiografica e teologica a discapito di quella secolare. Emblematica appare il tal senso la sostituzione del Salterio a Omero come libro base dell'apprendimento della lettura.È certo che dopo la metà del secolo VII si perde a Bisanzio ogni traccia di insegnamento superiore di carattere universitario. Si chiudeva così così la fase romana dell'impero a favore di quella più propriamente bizantina. Il greco-mutato nella pronuncia e nella struttura rispetto al modello classico- s'imponeva nello stato e nella diplomazia, mettendo fine al bilinguismo con il latino che fino all'ora era stato l'idioma ufficiale dell'amministrazione e dell'esercito. Si trattò di una progressiva sostituzione del greco. Così, già a partire da Eraclio, gli stessi titoli imperiali romani, imperator, caesar, augustus, furono sostituiti nella cancelleria di corte dal greco basileus che diverrà sino alla fine dell'impero il titolo ufficiale dei sovrani bizantini. IL PREDOMINIO DELLE CAMPAGNE Per comprendere appieno l'entità delle trasformazioni avvenute a Bisanzio nel secolo di Eraclio occorre infine considerare un ulteriore elemento, parallelo e complementare alla decadenza della città: la ruralizzazione dell'impero, iniziata nel secolo precedente e destinata a completarsi nel successivo. Si tradusse nel moltiplicarsi della piccola impresa agricola a conduzione familiare. Grazie a questo l'impero superò la crisi cerealicola conseguente dalla perdita dell'Egitto i cui effetti si mostrarono paradossalmente benefici per l'economia bizantina. La necessità infatti di compensare il mancato arrivo dei grani egiziani favorì a tal punto l'espansione agricola di regioni quali l'Asia Minore e la Tracia che il patriarca Niceforo non esitò a ricordare la fertilità della terra e il basso prezzo delle merci del secolo VIII. Due fattori soprattutto contribuiscono a spiegare le cause e strutture di un rinnovamento rurale che fu di lunga e notevole portata: – lo sconvolgimento demografico causato dai poderosi movimenti etnici, in effetti l'arrivo degli slavi, più usi all'agricoltura che alla pastorizia, rese possibile sin dal tempo di Costante II un ripopolamento delle campagne. Successivamente, durante il regno di Giustiniano II, oltre trentamila slavi e bulgari vennero trasferiti in Bitinia mentre in Tracia, Cilicia e Panfilia furono stanziati gruppi di mardaiti – Ne conseguì lo svilupparsi nelle campagne bizantine di un numeroso ceto di piccoli e medi contadini indipendenti, debitori nei confronti del fisco sia dell'imposta personale sia di quella fondiaria di base non più vincolate l'una all'altra – tale trasformazione si accelerò ulteriormente per il moltiplicarsi dei contratti d'enfiteusi fino a rappresentare secondo Michel Kaplam il fatto dominante del secolo VII in concomitanza anche con l'affermarsi del chorion o comunità di villaggio in cui il ceto si strutturava dal punto di vista fiscale ed economico. Del tutto differente dal contratto di locazione, l'enfiteusi di norma estesa a tre generazioni, ma spesso concessa in perpetuo da possidenti soprattutto preoccupati di assicurarsi una rendita fissa, anche se modesta- si caratterizza per la quasi totale indipendenza dal coltivatore. Purchè infatti versi il proprio canone e paghi le imposte sulla terra, l'enfiteuta non solo è libero di decidere come gestire il fondo ma diviene proprietario delle migliorie apportate. Simile situazione mentre favorisce il formarsi di un gruppo sempre più numeroso di piccoli proprietari indipendenti, contribuisce ad aumentare le entrate fiscali dell'impero. I contadini sono infatti i contribuenti migliori e più sicuri e questo permette allo stato di abbassare il tasso dell'imposta senza che il gettito tributario complessivo abbia a soffrirne, ne consegue una Cap. 3 LA RICERCA DI DIFFERENTI EQUILIBRI NEI RAPPORTI TRA AUTOCRAZIA E CHIESA: LA CONTROVERSIA ICONOCLASTA(711-843) L'impero ha abbandonato ormai ogni ambizione universalistica e divenuto propriamente “bizantino” ha spostato il suo centro nell'Anatolia. Un impero che concentra le proprie forze militari nella difesa della frontiera orientale sempre più minacciata dal mondo islamico, considerando l'Europa occidentale come territorio di fatto estraneo, con la sola eccezione delle zone bizantine della Sicilia e dell'Italia meridionale, dove ancora si parla greco. L'autocrazia bizantina seppe resistere ai suoi numerosi avversari: slavi, bulgari e arabi e la concorrenza altrettanto pericolosa dell'impero franco di Carlo Magno. PRIMI SVILUPPI ICONOCLASTI antecedenti: l'ultimo ventennio del secolo VII e i primi decenni di quello successivo furono segnati da un'estrema debolezza interna e dai pericoli esterni sempre più minacciosi: 688-9 pressione del giovane stato bulgaro in area balcanica, Giustiniano II è costretto a patteggiare con il Khan dei bulgari che nel 705 è insignito del titolo di Cesare, prima volta per uno straniero, pagano. Nel 711 avviene la caduta di Giustiniano II, vi sono sei anni di forte instabilità; Bisanzio resiste grazie all'efficacia dei nuovi ordinamenti tematici. Allorchè nel 717 Leone III ufficiale di origine sira, elevatosi al rango di stratega riuscì a farsi proclamare imperatore dalle truppe del thema anatolico. Nel frattempo Bisanzio attraversava una crisi pari per gravità soltanto a quella che aveva preceduto il regno di Eraclio. Gli arabi avevano, nel 698 occupato Cartagine così che il controllo bizantino sulle regioni confinanti appariva pericolosamente compromesso. Il califfato si apprestava ora a sferrare contro Bisanzio. Leone III unendo all'abilità militare elevate qualità diplomatiche ottenne l'appoggio dei Cazari, popolazione di origine turca stanziata a nord del Caucaso e riuscì là dove altri sovrani avevano fallito, nel 718 respinse gli arabi salvando la città e con essa l'impero. Successivamente ebbe altri successi, ricordiamo la grande vittoria del 740 ad Akroinos. Gli arabi tuttavia nell'827 presero Creta, piazza commerciale e strategica di primaria importanza, ma le loro incursioni non minacciarono più Bisanzio. La caduta degli omayyadi alla metà del secolo VIII comportò inoltre la definitiva orientalizzazione del califfato con lo spostamento della capitale da Damasco a Baghdad sotto gli Abbasidi, presentandosi così come uno stato erede delle tradizioni sassanidi. Nel 730 Leone III aprì ufficialmente la controversia iconoclasta, un conflitto che lacerò la chiesa e l'impero bizantino per circa un secolo, fino a quando nell'843 il culto delle icone fu infine riconosciuto come patrimonio integrante dell'ortodossia cristiana. ICONOCLASMO: EIKON “immagine” KLAO “rompo, spezzo”. Vi sono una molteplicità di visioni storiografiche riguardo l’iconoclastia:  Una prima visione è quella di Teofane (S.Teofane Martire) che accusa Leone III di “mentalità saracena” , poiché Leone III era originario dell'Armenia, zona che era a contatto con i musulmani. Si pensava che egli avesse assorbito le concezioni aniconiche dell'islamismo. Senza dubbio il mediterraneo orientale fu scosso da un'ondata di rigorismo religioso, ostile all'arte figurativa giudicata inadeguata ad esprimere l'essenza trascendente di Dio, ma tale atteggiamento non fu prerogativa del mondo arabo.Se è vero infatti che nel 721 il califfo Yazid aveva esteso il divieto di rappresentare la divinità anche ai cristiani ordinando la distruzione di tutte le immagini nei santuari e nelle dimore private, è altrettanto certa l'esistenza presso alcune elite ecclesiastiche bizantine di una credenza aniconica.  Altra tesi interpreta invece l'iconoclastia come il tentativo di placare la collera divina contro gli idolatri manifestatasi secondo alcuni attraverso calamità naturali o sconfitte militari precedenti al regno di Leone III.  E neppure si può giudicare l' iconoclasmo come l'estremo compimento delle dispute tra monofisiti e diofisiti. Si deve ammettere che la crisi iconoclastica si attua all'interno di un processo che è testimone di una progressiva perdita di fiducia nella vittoria imperiale e nell'eternità di Roma suscitando per converso una decisa ricerca di intercessori più efficaci. L'obiettivo di Leone III prima e del figlio Costantino V poi, fu senza dubbio quello di superare l'idea di Chiesa in nome dell'idea di Impero. Nel 726 l'imperatore si limitò a rimuovere dalla Chalkè, grande porta bronzea d'accesso al palazzo, l'immagine di Cristo. A Leone III imperatore acclamato e condottiero valoroso, dovette sembrare normale, dopo la morte di Giustiniano II , riaffermare la centralità imperiale. Si ricordi che anche dopo l'accettazione del cristianesimo le immagini imperiali, sebbene non più oggetto di sacrifici sacri, continuavano ad essere portate in processione o acclamate nel cerimoniale pubblico, mantenendo una specifica funzione legale e simbolica sostitutiva della presenza fisica dell'imperatore stesso. In opposizione al culto delle icone e dei santi Leone III si proponeva, pur mantenendo una profonda fede in Cristo, di sostituire la simbologia cristiana con quella imperiale. Idea del rivale nell' “uomo santo”. Agli inizi dunque l'iconoclasmo si presentò come un movimento di restaurazione politica più che un'eresia come i suoi avversari in seguito diranno. I primi iconoclasti non vogliono affrontare una questione dogmatica, ma solo disciplinare condannando l’uso distorto delle immagini. Il bisogno di ripristinare il prestigio e l'autorità del potere politico si manifestò anche nella ripresa dell'attività legislativa, Leone III e suo figlio Costantino V pubblicarono una Ekloghè ton Nomon, cioè una selezione di norme ricavate dal Codex e dal Digesto, eliminata la terminologia latina non è abrogato il diritto giustinianeo ma vi è un'evoluzione di quelle istituzioni modificate dalla consuetudine cristiana soprattutto nell'ambito del diritto di famiglia e del diritto penale (no pena di morte) anche se si mantennero le pene corporali. Papa Gregorio II aveva reagito ai primi provvedimenti iconoclasti di Leone III ricordando che “ i dogmi non dipendono dagli imperatori, ma dai vescovi”. L'imperatore e suo figlio però rivendicavano a sé qualsiasi potere, civile e religioso anche a costo di spezzare l'accordo tra imperium e sacerdotium teorizzato da Giustiniano. All'inizio la lotta per le immagini si evolve rapidamente e si cerca di ridisegnare, ciascuna parte a proprio vantaggio, i rapporti tra autocrazia e chiesa. Critica di Giovanni Damasceno verso Leone III che si definisce come una sorta di vescovo scelto da Dio. COMPLICAZIONI TEOLOGICHE E INTELLETTUALI Fu solo con Costantino V che la questione delle immagini religiose si complicò di contenuti dogmatici assumendo una dimensione teologica più profonda. Lo scontro tra iconoclasti e iconoduli raggiunse il suo apice in quegl'anni. L'imperatore riuscì nel 754 a condannare formalmente il culto delle immagini convocando un concilio a Hieria che però non fu ecumenico. L'opposizione più radicale venne dai monaci, per un monastero infatti possedere un'icona assai venerata per i suoi miracoli equivaleva infatti ad una certa garanzia di prosperità perchè con i pellegrinaggi affluivano lasciti e donazioni. Dal 765 iniziarono delle dure persecuzioni anche non violente, atte a screditare la figura del monaco. L'atteggiamento della chiesa circa le icone dava adito a interpretazioni opposte:  nel cristianesimo orientale, gli antichi padri avevano mostrato opposizione alle rappresentazioni della divinità,  non era mancato chi, come Basilio di Cesarea aveva sottolineato il valore didattico delle icone, vera e propria teologia a colori per gli illetterati. O chi come Gregorio di Nissa per definire l'arte pittorica aveva usato il termine di episteme (sapere,scienza) e non quello usuale di tekne, usato per definire l'artigianato, elevandola così allo stesso livello della filosofia. A chi ricordava le ingiunzioni contro la raffigurazione divina presenti nell'Antico Testamento si opponevano le argomentazioni di coloro che sottolineavano come l'incoronazione del dio fatto uomo, avesse reso non solo possibile ma legittima l'immagine sacra. Non di meno i primi cristiani avevano esitato a dipingere l'immagine del Cristo preferendo rappresentare la divinità in forma simbolica e solo a partire dall'ultimo trentennio del secolo VI il culto delle icone si era generalizzato. Costantino V trasformò la lotta per le immagini in questione dogmatica accusando gli iconoduli di nestorianesimo. L'imperatore poneva infatti il sillogismo: o il pittore presumeva di dipingere simultaneamente la divino-umanità di Cristo e allora la sua pretesa era assurda in quanto volta a circoscrivere l'incircoscrivibile, o pretendeva di rappresentare la sola umanità macchiandosi così di nestorianesimo poiché separava l'unità delle due persone quale era stata definita dall'ortodossia conciliare. Secondo Costantino V chi dipinge l'immagine di Cristo non ha compreso il dogma dell'unione delle due nature inseparabili di Cristo formulato a Nicea e a Calcedonia. A suo dire, la purezza del dogma poteva solo essere contemplata nell'eucarestia, unica icona del Logos incarnato, vera cioè identica per natura e sostanza, corpo e sangue di Cristo. Giovanni Damasceno ribalta il ragionamento di Costantino V accusandolo di monofisismo, in quanto in realtà il concilio di Calcedonia aveva sancito la presenza di due nature consustanziali ma ben distinte. Rappresentando la natura umana si rappresentava anche quella divina. L'eucarestia non è un'immagine per Damesceno il quale afferma infatti che per immagine si intende lo scarto tra raffigurazione e archetipo e che essendo l'eucarestia la verità rappresentava essa il prototipo stesso. L'avvento al trono nel 775 di Leone IV, figlio di Costantino V segnò un primo attenuarsi della pressione religiosa degli iconoclasti. Egli però morì presto e assunse la reggenza la moglie Irene. L'imperatrice di cui erano note le simpatie iconodule, appoggiata dagli ambienti monastici, ma anche da quelli civili distaccatisi dalle esagerazioni di Costantino V, si prodigò nell'intento di ripristinare il culto delle immagini. Occorsero cinque anni per preparare un nuovo concilio ecumenico e dopo un tentativo fallito a Costantinopoli fu infine convocato a Nicea nel 787 con il consenso anche del pontefice romano. Furono ammesse le immagini e fu istituzionalizzata la liceità a baci e prosternazione ma non dell'adorazione vera la quale è riservata solo alla natura divina. Chi si prosterna dinanzi all'immagine si prosterna davanti all'ipostasi di colui che in essa è riprodotto. Il concilio di Nicea II non riuscì a imporre moderazione ai monaci, che si sentivano vincitori e veri depositari dell'ortodossia. Esponente di spicco di tale corrente fu all'inizio dell'VIII secolo Teodoro Igumeno del monastero costantinopolitano di Studios, dove vivevano più di mille monaci, comunità potente che era a favore della vendetta contro coloro che avevano sbagliato nel corso della disputa per le immagini. Si aprì la cosiddetta età “scolastica” della controversia in cui si adattò la logica aristotelica alla refutazione delle dottrine iconoclaste per giungere alla conclusione che “il prototipo non è nell'immagine secondo l'essenza (katà ousian) [come pretendevano gli iconoclasti] altrimenti l'immagine sarebbe anch'essa chiamata prototipo; bensì è nell'immagine secondo la somiglianza dell'ipostasi”. Inconoscibilità dell'archetipo però al contempo necessità di un'indiretta raffigurazione. Il monastero studita si pose come centro di una ben determinata azione politica e disciplinare: in suoi esponenti più intransigenti, gli zeloti non si limitarono a richiedere un ordinamento della disciplina ecclesiastica, ma pretesero una sorta di tutela della chiesa sull'autorità del sovrano. Questione che si prolungò per tutto il IX secolo che si acuì quando ci fu il tentativo di Costantino VI di emanciparsi. Irene riprende il potere, ma fu un successo di breve durata sia per la situazione interna sia per quella sui confini. Le finanze erano dissestate per colpa di una politica fiscale volta tutta al beneficiare dei monaci e all'impoverimento degli stratioti per mancanza di provvedimenti (reclutamento esercito tematico). Sul fronte esterno gli arabi avevano costretto l'impero al versamento di un pesante tributo mentre i bulgari si apprestavano a colpire sul confine settentrionale. Nel frattempo i rapporti con l'Occidente si complicano ancor di più a causa dell'incoronazione di Carlo Magno nella notte di Natale dell'800, si formalizzano così i nuovi orientamenti della politica papale in una specie di alleanza con il regno dei franchi. Una rivolta di palazzo, in seguito alla quale fu deposta ed esiliata Irene, nell'802 insedierà sul trono di Costantinopoli il suo ministro del tesoro Niceforo I. Niceforo, sovrano capace, ma non abbastanza da sanare il conflitto tra il partito patriarcale e gli studiti. Attuò una rigida riforma fiscale basata sulla revisione dei catasti e sull'aumento delle imposte per tutti , ivi comprese le imposizioni relative ai beni della chiesa e principalmente ai patrimoni monastici che in parte furono restituiti all'amministrazione dei domini imperiali. Il califfato abbaside, contraddistinto ora della supremazia nella vita amministrativo-culturale dall'elemento iracheno-iraniano si ritirò verso oriente pronto a rinverdire i fasti della monarchia sassanide e risoluto però ad imporre una rigida ortodossia sunnita. Salirono al potere con l'appoggio di tribù sciite e kharigite, ma con senso e armonia politica. Durante il regno di Al-ma -mun e in seguito al contatto con la cultura bizantina e prima greca, si affermò il movimento Mu'tazila e cioè “il movimento di coloro che si distaccano [da ogni partito politico]”. Si adattò la dialettica aristotelica alla riflessione teologica islamica, i mu'tazili sviluppano le tesi della trascendenza, dell'unità e unicità divina sino a negare al corano il carattere di parola increata perchè nulla è simile a Dio e dovendo necessariamente essere creato da Dio non vi era simile. Il califfo al-ma-mun era un uomo colto e aveva interessi scientifici, aveva dichiarato che in sogno gli era stata confermata l'essenza di ogni conflitto tra Aristotele e la rivelazione islamica. Il suo regno fu l'inizio di un'età aurea che protrattasi fino alla morte di Averroè nel 1198 permise alla civiltà musulmana di assorbire una sintesi di cultura persiana e di cultura classica. Fondò la “casa della scienza” che praticava l'attività di traduzione. Vi fu poi chi come Al-kiudì cercò di conciliare il credo religioso con il credo neoplatonico. L'avvento degli abbasidi portò un ritiro verso Oriente , si profilava così uno sfaldamento politico della campagna califfale il seguito al quale i fatimidi d'Egitto assunsero in competizione con Baghdad il titolo califfale. Il frazionamento politico non fu però accompagnato da quello sacro-culturale anche grazie all'egemonia della lingua araba parlata in dialetti diversi ma scritta allo stesso modo. Le ambizioni nel mediterraneo rimangono ; prendono Africa e Sicilia tra l'827 e il 902 e si spingono anche oltre lo stretto di Gibilterra omayyadi, principe omayyade scappato agli abbasidi va a Cordova nel 756, collabora con i mozarabi, cristiani ed ebrei sottomessi ma sotto un regime di larga tolleranza, fonda l'emirato di Al-andalus. Cordova diventa un importante centro dotato di una grande biblioteca con testi latini, greci e arabi, in un spirito di pieno sincretismo culturale. In grado di rivaleggiare contro Il Cairo fatimide e Baghdad. 4. MAESTA' E GRANDEZZA DELLA BISANZIO MEDIEVALE: LA DINASTIA DEI BASILIDI (843-1025) Bisanzio potè,in una concorde unità di intenti tra autocrazia e patriarcato, maturare ambiziosi progetti di espansione nell'area anatolico-siriaca e balcanica. Questo slancio avvenne sotto il segno di una dinastia nota come “macedone” ma che è più corretto definire Basilide dal nome del suo fondatore Basilio I. I Basilidi,tramite alleanze legarono al proprio progetto quelle famiglie aristocratiche d'Asia Minore che per le cariche detenute e per le relazioni parentali costituivano un indispensabile sostegno e al contempo promossero insieme alla chiesa ortodossa l'attività missionaria presso le popolazioni slavo-bulgare. Formularono una teoria della “famiglia dei popoli e dei principi” che affiancava all'idea di universalità un'idea di formazioni statali collaterali rette da principi con i rispettivi popoli in un sistema di finta parentela e subordinazione con Bisanzio. L'INIZIO DELLA NUOVA ETA' E IL PRIMO PATRIARCATO DI FOZIO Dopo la controversia iconoclasta era ancora vivo il radicalismo monastico. Gli zeloti elessero un loro rappresentante Ignazio. Si inasprisce così lo scontro fra radicali e moderatisti per l'intransigenza del personaggio , sia perchè l'elezione si sospettò irregorale. Nell'855 Michele III riuscì non ancora maggiorenne a emanciparsi dalla reggenza materna affidando allo zio Barda insignito del titolo di Cesare la direzione degli affari. La situazione mutò radicalmente, Barda intenzionato a ricercare un equilibrio nelle questioni politico-religiose non esitò nell'858 a bandire Ignazio e a sostituirlo con Fozio malgrado fosse laico. Di famiglia aristocratica e nipote del patriarca (Tarasio) Fozio prima di ascendere al seggio patriarcale fu un brillante funzionario della cancelleria imperiale, ma soprattutto si distinse come letterato e filosofo avendo raccolto attorno a sé una specie di cenacolo culturale. Egli stesso in una lettera a Papa Nicolò I dopo la deposizione di Ignazio ricordava con gioia gli anni di otium letterario prima del patriarcato. Importante è la “Biblioteca” una raccolta di schede di lettura in cui erano riportati contenuti,giudizi e appunti. Riusciamo a capire così quali testi avessero a disposizione allora. Il partito monastico è contro Fozio poiché è laico, dichiararono così nulla la sua ordinazione. Il Papa Nicolò I lo scomunica (a Fozio). A sua volta Fozio “scomunica” Nicolò I accusandolo di eresia. Sorge la questione del Filioque. Tutti gli atti conciliari erano scritti in greco, poiché l'Oriente era il cuore pulsante , tutto si svolgeva lì. Gli atti poi venivano spediti in Occidente e tradotti in latino. La tradizione niceno-costantinopolitana del credo prevedeva che “lo spirito santo procede dal padre” mentre per la liturgia occidentale recitava “ex patre filioque” Fozio forse non ne aveva inteso il motivo storico in quanto l'interpolazione era stata aggiunta in Spagna come mezzo per rafforzare la posizione antiariana e non esitò a trasformare la questione da liturgica a dottrinale. (mettere solo patre in Spagna poteva passare per arianesimo). Fozio dice a Nicolò I che professa un credo alterato. La questione viene risolta ai nostri tempi con Papa Giovanni Paolo II e il patriarca ortodosso che a S.Pietro pronunciano entrambi il credo. Il Papa quello ortodosso e il patriarca quello cattolico. LA CRISTIANIZZAZIONE DELLE POPOLAZIONI SLAVO-BULGARE NELLA CONTRAPPOSTA AZIONE DI BISANZIO E ROMA Dopo tentativi carolingi e islamici di conversione nei confronti degli slavo-bulgari, fu Fozio a formulare l'idea che la conversione all'ortodossia avrebbe recato vantaggi alla stabilità dell'impero. Convertire un popolo tramite attività missionaria significava sia conquistarlo alla retta fede sia subordinarlo politicamente. La conversione interessò in primo luogo i vertici politici per poi estendersi in un secondo momento all'intero popolo. La cristianizzazione non implicava soltanto l'accettazione di un nuovo credo religioso esclusivamente monoteista ma significava anche l'introduzione di una complessa gerarchia ecclesiastica. Tale ordinamento agiva cioè da perfetto modello di organizzazione statale,efficace per superare l'elementarità degli ordinamenti tribali. La conversione al cristianesimo appariva altresì utile per legittimare la sovranità del principe. La sua autorità in seguito al battesimo appariva grandemente rinsaldata ; sulla base infatti della dottrina della chiesa che presentava il re come vicario di Cristo la sedizione veniva considerata come il tradimento attuato da Giuda. Ma anche il prestigio esterno dei sovrani veniva accresciuto, si passava dalla condizione di “barbari” a membri dell'ecumene cristiana legati al sovrano di Bisanzio (fratelli in virtù della fede comune). Fu dunque la lucida consapevolezza dei vantaggi che persuase i principi slavo-bulgari a sollecitare l'invio di missionari. Mentre Boris di Bulgaria si era progressivamente avvicinato al regno dei franchi orientali di Ludovico il germanico,stipulando con questi nell'863 un'alleanza militare e promettendo di accettare il cristianesimo dal regno franco, Rotislao, principe della grande Moravia (Polonia meridionale, Boemia,Slovacchia orientale) per sfuggire alle pressioni del clero germanico e difendere la propria indipendenza minata dai franchi si rivolse a Bisanzio, nella speranza che una diocesi autonoma fosse instaurata in Moravia. Fin dall'862 aveva inviato a Costantinopoli un'ambasciata per chiedere di istruire il suo popolo alla fede,ma in lingua slava. La lingua slava veniva parlata ma non scritta. Condizione necessaria per l'alfabetizzazione. Il cristianesimo è una della religioni del libro. Vennero inviati Costantino (chiamato poi Cirillo) e suo fratello Metodio. Originari di Tessalonica , città bilingue figli di un funzionario dell'impero. Cirillo grazie alle sue capacità filologiche inventò un alfabeto con segni presi dal maiuscolo greco e inventandone altri sul suono dello slavo tradusse così i testi sacri dell'ortodossia. L'alfabeto è il glagolitico (russo → glagol=parola,verbo) poi detto cirillico dai suoi discepoli. Metodio invece sulla base del diritto bizantino compilava la prima raccolta di leggi in lingua slava. Poi la liturgia slava dei due venne presto abbandonata in quella regione per l'incalzare della presenza bavaro-franca appoggiata da Roma che temeva che una vasta area dell'Europa centrale cadesse sotto l'influenza del patriarcato orientale. Quindi dopo l'iniziale protezione di Papa Adriano II (che invitò a Roma Cirillo e Metodio) nell'885 la liturgia slava fu totalmente vietata dal suo successore. Mentre la Moravia cominciava a orientarsi verso Occidente, gli slavi d'Europa sudorientale di apprestavano ad entrare nell'orbita bizantina. Il khan Boris nell'865 ricevette il battesimo avendo come padrino lo stesso imperatore Michele III. Boris era stato indotto da convinzioni personali e dal dispiegamento dell'esercito bizantino lungo la frontiera del suo regno. A differenza però della sede di Roma che , con Nicolò I aveva opposto un netto rifiuto alla richiesta avanzata da Boris di poter organizzare una chiesa bulgara con la garanzia di una parziale autonomia , nell'870 mentre era imperatore Basilio I il patriarcato ortodosso con maggiore duttilità riconobbe all'arcivescovo di Bulgaria una qualche indipendenza dalla gerarchia ecclesiastica orientale. La Bulgaria divenne così parte integrante di una comunità sovranazionale costituita da paesi ortodossi che gravitavano nell'orbita di Bisanzio, una comunità che aveva il suo centro a Costantinopoli, definita da Dimitri Obolensky come “commonwealth bizantino”, formula anacronistica ma non inadeguata. In quegli anni ci fu inoltre un conflitto che oppose Roma e Bisanzio per quanto riguarda la cristianizzazione degli altri slavi, nei balcani nordoccidentali (tactica Leone VI) tale processo avrà fine con la conversione dei russi nel X secolo. Alle diverse sfere di influenza delle chiese di Roma e Costantinopoli corrisponderanno infatti le due diverse aree di diffusione degli alfabeti cirillico e latino destinate a segnare il confine pressochè definitivo tra cristianità cattolica e ortodossa. L'IMPERO “RINNOVATO” : BASILIO I E LEONE VI Mentre nell'area balcanica si concretizzava la penetrazione culturale e politica dell'impero, al trono imperiale saliva Basilio I. Di origine contadina era giunto a palazzo come stalliere ed elevato da Michele III a posizioni di prestigio sino ad essere nominato coimperatore dopo aver contribuito all'eliminazione di Barda. Nell'867 Basilio diede inizio a una nuova dinastia intraprendendo un ambizioso programma di renovatio imperii mirante a restituire all'autocrazia quel ruolo di assoluto primato. Restituire alla basileia la sue reintegrata dignità. Le onorificenza “per insegne” in linea di principio venivano accordate a titolo vitalizio ma non ereditario (magister gloriosissimus , proconsole, patrizio spectabilis). Le più elevate tra esse permettevano di accedere direttamente al senato che ,svuotato delle originarie competenze di assemblea deliberante aveva accentrato i propri connotati di ordine sociale aperto a tutti i dignitari di alto rango e ai loro familiari. Le dignità conferite “oralmente” ai capi dei grandi apparati dell'amministrazione statale comportavano per conto l'esercizio di una effettiva funzione pubblica e come tali potevano essere revocate per volontà imperiale, essere trasmesse da una persona all'altra. Filoteo, autore di un taktikon l'intero apparato burocratico risulta diviso in quattro grandi dipartimenti: finanze, posta e affari esteri, cancelleria imperiale, giustizia. A capo delle finanze si trova ora il logoteta (prima c'era la prefettura del pretorio) letteralmente “colui che impartisce gli ordini” , del genikon , preposto al controllo e all'esazione delle imposte e la cui giurisdizione fiscale si estende a tutto l'impero; mentre il reclutamento e il finanziamento dell'esercito sono affidati al logoteta militare che si occupa anche dei registri delle terre militari a statuto speciale. Il tesoro a sua volta dipende dal cartulario del sakellion a cui spetta la responsabilità della riserva aurea e con il quale collaborano il cartulario del vestiarion pubblico incaricato di gestire una sorta di arsenale statale di materiale per la flotta e il preposto all'edikion che provvede all'equipaggiamento dell'esercito e agli emolumenti dei senatori. L'amministrazione infine degli immensi patrimoni imperiali dipende dal “grande curatore” dal “curatore dei Mangani”, una carica creata da Basilio I per dirigere il più esteso dei suoi fondi e dall'ophanotrophus a cui è affidato il buon funzionamento della principale istituzione caritativa di Costantinopoli, l'orfanotrofio di San Paolo. Tutti i dipartimenti finanziari fanno capo al “sacellario” che ereditate le funzioni di comes sacrarum largitione e comes rei privatae agisce come elemento coordinatore, controlla inoltre il protoasecretis e il logoteta della posta. Dal primo dipende la cancelleria imperiale incaricata della redazione definitiva dei documenti- crisobulli e prostagmata- spesso molto elaborate e aventi forma di legge. Nel campo degli affari giudiziari la carica più importante è quella dell'eparco (competenze del praefectus urbi) non solo occupa il primo posto nella gerarchia degli ufficiali civili ma nel taktikon compilato da Filoteo precede gli strateghi dei temata occidentali. Psello definisce tale uffizio una carica imperiale senza porpora. Con l'eparco collaborano il questore, che ora è a capo delle “petizioni” incaricato di vagliare le richieste indirizzate all'imperatore ed eventualmente di acconsentire. Nuova fisionomia del ceto dirigente mentre in precedenza i titolari di dignità palatine erano separati dall'apparato amministrativo statale, ora se ne sono impadroniti. Si contro si assiste ora a una maggiore mobilità del ceto funzionariale, un'autorità pubblica che non si identifica necessariamente con quello dei grandi proprietari terrieri sebbene tenda una volta raggiunte le alte sfere ad utilizzare la potenza sociale per accrescere la propria ricchezza fondiaria. Tale tendenza inutilmente combattuta dai basilidi creerà in seguito alla crisi dell'XI secolo una nuova fase. L'ETA' DELLE CONQUISTE: DA ROMANO LECAPENO E BASILIO II L'ideale di renovatio imperii perseguito dai sovrani basilidi si esprime in primis attraverso un'espressione dello storico greco Cinnamo che per giustificare le pretese di Bisanzio nel mezzogiorno attribuiva il termine “anasozein” (ricuperare). C'è la presenza di un esercito tematico di carattere permanente costituito da soldati che si mantengono l'equipaggiamento con la rendita di proprietà terriere agevolate sul piano fiscale e di una forza aristocratica a vocazione militare, in anatolia e nei balcani. Entrambe le forze interessate ad una politica di espansione tramite la guerra. I soldati tematici con l'intento di rafforzare la posizione tra i proprietari terrieri , l'aristocrazia con l'intento di accrescere nel prestigio, potere politico e fondiario. Senza queste basi non sarebbe stata possibile questa politica che si attua in particolar modo con Romano Lecapeno, Niceforo Foca e Giovanni Zimisce, esponenti consapevoli dell'idea dei vantaggi delle armi. L'OFFENSIVA SUL FRONTE BULGARO A causa anche delle concomitanti guerre arabe che distoglievano Bisanzio da qualsiasi intervento sul fronte balcanico, la pressione bulgara aveva continuato a inasprirsi specie in prossimità di Tessalonica sino a quando nella seconda metà del secolo IX , la conversione di Boris e in conseguente ingresso nella sfera bizantina sembrarono porre fine al pericolo. Boris successivamente lasciò la corono al figlio maggiore Vladimir, in seguito all'apostasia di quest'ultimo e di tutta la sua gente , segno di quanto poco si fosse radicato il cristianesimo sul politeismo, il vecchio sovrano ritornò e pose sul trono l'altro figlio Simeone. Trasferita la capitale da Pliska a Preslav e imposto a tutti i sudditi lo slavo come lingua ufficiale della stato e della chiesa, Boris si ritirò nuovamente a vita religiosa. Fu Simeone a completare l'azione paterna (893-927) volta ad una piena indipendenza nazionale ed ecclesiastica e ad una completa egemonia in area balcanica. Simeone aveva studiato alla Magnauria e lo chiamavano mezzogreco. Non si limitò a condurre il regno di Bulgaria al massimo splendore culturale e politico ma arrivò a contestare l'ecumenismo bizantino. Non volle diventare una vittima della pax bizantina. Una reazione con obiettivi assai ambiziosi. Egli voleva creare un nuovo impero universale capace di assorbire quello bizantino, voleva introdurre un nuovo ordine o taxis che attribuisse ai bulgari il rango finora occupato dai greci di “famiglia dei popoli e dei principi”. Simeone inizialmente di coalizzò con i peceneghi (popolazione turca) provenienti dalle steppe meridionali della Russia contro magiari e ungari e successivamente occupò la parte settentrionale della penisola balcanica per giungere nel 913 a minacciare la stessa Costantinopoli ottenendo in cambio della pace da Nicola II il mistico la promessa di un matrimonio tra sua figlia e il giovane imperatore . Questa era per Simeone la via più breve per la porpora. Questi intenti furono vanificati perchè nel frattempo Romano Lecapeno aveva dato sua figlia in sposa a Costantino VIII. Simeone tuttavia non desistetta dalla sua aspirazione e si autoproclamò “imperatore dei bulgari e dei romani”. Convocò un concilio per conferire alla chiesa bulgara piena autocefalia. Simeone morì nel 927 senza aver realizzato i suoi progetti di unità ma lasciando in eredità una maggiore consapevolezza della propria identità bulgara. Con i successori la Bulgaria conobbe una rapida decadenza. A Simeone succedette il figlio Pietro che nel 927 venne nominato “ imperatore dei bulgari” (imperatore di.. così come era stato riconosciuto a Carlo Magno). Gli fu data in sposa una nipote di Romano Lecapeno, Maria poi detta Irena, pace, per simboleggiare la rinnovata concordia tra stati (no porfigenita). Il fratello di Pietro tenta di destituirlo, e oltre a questo sul fronte interno ci sono tanti problemi; in incursioni dei magiari, i partiti filobizantini e una nuova corrente di origine orientale di impianto dualista, il bogomilismo dal nome di un prete Bogomil. Si sviluppò a partire dal regno di Pietro. Questa corrente opponeva a un Dio superiore (il Dio Padre del Cristo)- una divinità inferiore, il demiurgo dell'Antico Testamento identificato con Satana che cacciato dal cielo, aveva creato la terra e l'uomo come suo nuovo campo d'azione. In seguito a ciò il Dio superiore era intervenuto dapprima dotando Adamo di un'anima e successivamente inviando tra gli uomini il Cristo così da sottrarli alla schiavitù del proprio antagonista. I bogomili non si limitavano a proclamare il disprezzo per il corpo, ma predicavano la sovversione dell'ordine sociale, rifiutando anche quello delle gerarchie ecclesiastiche. Con la scomparsa della forte personalità di Simeone e al contempo, evolutasi per i bizantini la situazione in Oriente, Bisanzio riacquistò una più ampia libertà d'azione sul fronte bulgaro. Riuscì a sottomettere almeno la Bulgaria orientale ristabilendo la frontiera danubiana (assecondati anche dai russi di Kiev). Lo zar Boris II che nel 969 era succeduto a Pietro fu pubblicamente costretto in Santa Sofia a rinunciare all'impero e ad abdicare. E il patriarcato di Bulgaria ritornò ad essere una semplice metropolia. Così dopo quattrocento anni Bisanzio aveva riconquistato le provincie balcaniche e le terre bulgare ripopolate da gruppi armeni. Sopravvisse un piccolo principato autonomo di Bulgaria intorno alla figura di Samuele, ma fu un tentativo effimeto. Nel 1014 Basilio II riportò una vittoria decisiva e dal 1018 lo stato bulgaro cessò di esistere. A Basilio fu dato l'appellativo di “bulgaroctono” (sterminatore di bulgari) egli non esitò nello scagliarsi contro il bogomilismo, fu tollerante con le usanze locali concedendo una sorta di autonomia alla chiesa bulgara per evitare ingerenze di Roma e rivolte interne. BISANZIO E GLI INIZI DELLA STORIA RUSSA La vitalità dell'impero si manifestò in questo periodo anche nel rinnovato interesse per la regione del Mar Nero specie nei centri lungo la costa meridionale della Crimea controllati tramite la città di Cherson metropoli elevata al rango di thema. Vi fu però una nuova ondata di migrazioni di popolazioni, questa volta di vocazione marittima e provenienti dalle terre scandinave. Si trattava dei normanni o vichinghi che piombarono sull'Europa occidentale e dei Vareghi indicati come Rhos dalle fonti greche , rus dagli slavi e ris dagli arabi. Alcune genti vichinghe provenienti da Norvegia e Danimarca raggiunsero Irlanda , Scozia e Inghilterra, oltre la Francia, Germania e Spagna. Anche dando vita a signorie territoriali di breve durata altre organizzazioni saldamente con il consenso dei franchi che attorno a Roven (Norvegia). Più importante per Bisanzio fu l'incontro con i vareghi che dalle terre scandinave erano scesi verso il Mar Nero e il Mar Caspio, attraverso le vie fluviali. Il contributo dei vareghi fu importante per l'unificazione politico-militare di quei territori. Abbiamo un racconto dal titolo “cronaca dei tempi passati”. Si insediarono a Kiev (aveva già una storia antica). Kiev era diventato un centro importante di relazioni diplomatiche e commerciali con i vicini. Secolo IX si sta formando il principato di Kiev originano nucleo di una Russia nascente. Dapprima pacifici i rapporti tra le colonie variago-russe stabilitesi a Kiev e l'impero bizantino peggiorarono in modo inaspettato durante il regno di Michele III. Bisanzio svolse però un ruolo essenziale nel condizionare la vita culturale e religiosa dei russi con l'introduzione del cristianesimo ortodosso tanto che nell'867 in una lettera Fozio ricordava di come tale popolo avesse mutato amichevolmente per relazioni con l'impero il credo pagano a cristiano. Nell'874 fu inviato a Kiev un vescovo greco ma a dir la verità i culti pagani non furono mai del tutto abbandonati. Più in là il cristianesimo si consolidò nel principato kievano anche grazie alla principessa Olga che si convertì nel 957 (come già in Bulgaria) e soprattutto al nipote Vladimir. Quest'ultimo impose nel 988 all'intero popolo di Kiev il battesimo nelle acque del Dnjepr. Nel racconto dei tempi passati si chiariscono anche i motivi che portarono il principe russo verso il cristianesimo ortodosso . Inviarono ambasciatori nelle diverse chiese e scelsero quelle ortodosse. Nel 944 accordo tra Romano Lecapeno e Kiev per i commerci. Dopo la cristianizzazione l'immagine del monaco si rivestì di valori religiosi di protettore della chiesa. Kiev divenne un “glorioso gioiello” capace di rielaborare in modo autonomo i lasciti bizantini sino a dal loro espressione compiuta nel XV secolo allorchè caduta Costantinopoli in mano ai turchi, la Russia si sostituì all'impero greco a difesa della fede ortodossa elevando i proprio sovrani al rango di successori dei basileis bizantini. Eredità sarà la città di Mosca definita di Filoteo di Pskou (allo zar Vasili) la terza Roma che però non cadrà. LA LOTTA CONTRO GLI ARABI IN ORIENTE Impadronendosi di Creta nell'827 gli arabi avevani ulteriormente rafforzato il proprio dominio sul Mediterraneo. Creta era una base di partenza molto importante per molte incursioni. Le prime spedizioni furono rivolte al fine di prendere Creta. Spedizioni di Niceforo Foca e Giovanni Zimisce, i casati sostengono la lotta contro il mondo islamico. Le aristocrazie di Asia Minore e Armenia furono dunque le protagoniste. Fino al regno di Romano Lecapeno l'espansione islamica poteva dirsi bloccata. Anche la città di Edessa era stata riconquistata e con essa la preziosa reliquia del mandylion, un'immagine di Cristo alla quale attribuivano virtù taumaturgiche. Trasferita a Costantinopoli in processione. Successivamente Niceforo Foca e Giovanni Zimisce prima in qualità di generali poi di imperatori completarono l'impresa ristabilendo le antiche frontiere orientali. Alto significato ideologico-religioso secondo alcuni lo stato doveva coincidere con l'ecumene cristiana. Con gli arabi si potevano anche instaurare rapporti di coesistenza, i bizantini riconoscono la loro importanza. Parlare di “crociata” è eccessivo, piuttosto Bisanzio tornò ad essere una potenza politico-militare. Mentre ancora regnava Romano II, Niceforo Foca aveva conquistato nel 961 Creta e poi Cipro sottraendo agli arabi due capisaldi navali di primaria importanza. Bisanzio aveva di nuovo il controllo delle vie marittime. Grazie a queste due isole potè condurre un'offensiva decisa in Siria e Palestina. Qui le truppe bizantine arrivarono sino alle porte di Gerusalemme. Le trattative furono lunghe. Fino al 1038 dove si stabiliva una sorta di protettorato bizantino su Gerusalemme (lo ric. Il califfato fatimide) e il diritto a nominare lì un patriarca. Alla fine del regno di Giovanni Zimisce le regioni orientali avevano così un nuovo equilibrio. RINNOVATI INTERESSI BIZANTINI PER L'ITALIA In Italia c'è una situazione di sgretolamento politico, i carolingi non erano riusciti a cacciare i longobardi e il sono fuori dal perimetro abitativo. Taluni limitati dallo spazio si sono insediati in un fondo più distante e lo hanno migliorato , altri a causa di eredità hanno ricevuto fondi lontano dal villaggio e hanno deciso di spostare là la propria dimora ecc. altri essendo agiati mandano schiavi salariati o altri a lavorare in fondi al limite del chorion ma che rientrano pur sempre all'interno dell'unità fiscale e catastale della comunità di villaggio. Quindi all'interno del chorion troviamo: – padroni del medesimo appezzamento che coltivano – contadini privi di podere, ma fittavoli – schiavi domestici ma utilizzati anche come operai agricoli – stratioti ovvero soldati-coloni poveri o agiati l'impero era interessato al gettito fiscale del chorion più che allo sfruttamento del suolo e voleva mantenerlo stabile. All'inizio del X secolo il chorion era in via di sfaldamento non solo perchè i potenti si appropriavano delle terre dei deboli, ma perchè mutavano i meccanismi di prelievo fiscale. Qualora un fondo fosse stato abbandonato per vari motivi (incursioni barbare, calamità naturali) al fine di evitare che i vicini emigrassero anch'essi (poiché non potevano prendere un fondo sterile) l'impero provvedeva all'invio di un ispettore autorizzato a concedere uno sgravio fiscale di durata trentennale se entro tale periodo i detentori del bene o i loro eredi ritornavano sul fondo per coltivarlo si procedeva allora ad un ripristino dell'imposta, e si trasformava una terra “clasmatica” vale adire fiscalmente staccata dal chorion. Questa parcella diventava terra del fisco statale che ne disponeva liberamente(spesso vendendola ai potenti). Così facendo a lungo termine lo stato ebbe effetti contrari a quelli sperati. Contraddittoria politica dei basilidi che difendevano i deboli, ma che allo stesso tempo favorivano le famiglie aristocratiche e gli ecclesiastici. Monastero di Lavra ci sono archivi delle terre clasmatiche si vede così quanto il basso costo di tali terre potesse favorire l'accrescere del potere fondiario dei monasteri. LOTTE INTORNO ALLA PICCOLA PROPRIETA' l'incapacità o l'impossibilità da parte dell'impero bizantino di interrompere questo meccanismo compromise tutto l'equilibrio tra potenti e deboli a danno della comunità di villaggio. I sovrani del X secolo si trovano di fronte alle seguenti difficoltà – accresciuti bisogni finanziari dello stato impegnato in continue guerre – pretese dell'aristocrazia provinciale irrinunciabile sostegno Romano Lecapeno sa che la distruzione dei deboli comporta la rovina dello stato, fa dei decreti per difenderli. Decise di ridefinire il diritto di prelazione in caso di vendita di una parcella. Ai piccoli proprietari si lasciava il diritto di alienare ma in un determinato ordine, prima ai potenti o a chi fosse a loro associato, vicini confinanti e infine coloro che erano iscritti nel medesimo distretto contributivo. E ancora nel 934 l'imperatore pose fine alla donazione ed eredità, o passaggi per dote che non soggetti a prelazione permettevano ai potenti di acquisire in maniera apparentemente conforme i fondi. Prevedeva se ciò fosse già avvenuto un ritorno del fondo ai proprietario o un indennizzo. Tali misure rallentarono il fenomeno ma non lo bloccarono. Lo provano i provvedimenti ripetutamente adottati. I contadini andavano a lavorare per i potenti per avere maggiori sicurezze economiche. Costantino VII si preoccupò di difendere soprattutto le proprietà degli stratioti. Niceforo Foca abolì il diritto di prelazione e stabilì che i potenti potessero comprare solo da altri potenti e i deboli dai deboli. Basilio II imponeva nell'anno 1000 ai potenti il pagamento delle tasse dei contadini insolventi istituendo l'imposta di solidarietà. Abolita da Romano II per la pressione degli aristocratici e degli ecclesiastici. Il catasto di Tebe testimonia che i chorio alla metà del XI secolo erano per la maggior parte costituiti da fondi di grandi proprietari. Contrariamente a quanto avveniva in occidente , la “terra dispotica” a Bisanzio ebbe scarsa importanza. Non si investe sul fondo. I potenti beneficiavano soltanto in cariche pubbliche ebbero scarsa cura del razionale sfruttamento dei fondi. La terra era considerata più che una fonte di ricchezza , fonte di prestigio sociale all'inizio poi il surplus dei fondi venne affidato al commercio. 5. LA CRISI DEL SECOLO XI : VERSO NUOVI ASSETTI SOCIALI Alla morte di Basilio II i confini imperiali si estendevano lungo l'asse nord-sud del Danubio ad Antiochia e alla Siria settentrionale e in direzione est-ovest dall'Armenia all'Italia peninsulare. Nuovi e formidabili nemici si sostituirono ad arabi e slavi: 1. normanni 2. veneziani, spregiudicati nella concorrenza commerciale 3. peceneghi, popolazione turca che destabilizzava i Balcani 4. selgiuchidi a est subentrati lentamente a Baghdad poi verso l'Armenia 1071 i normanni si impadronivano di Bari e in Oriente l'impero subiva la sconfitta di Mantzikert le cui conseguenze portarono alla perdita dell'Anatolia. La cause di tali sconfitte furono addebitate ai successori di Basilio II alla scarsa attirudine militare e politica e alla sregolatezza dei costumi. I prodromi erano anche nello scontro interno con l'aristocrazia provinciale. LA FORZA DELLA LEGITTIMAZIONE DINASTICA: GLI EPIGONI DEL CASATO BASILIDE Scomparso senza eredi Basilio II nel 1025 il trono passò al fratello Costantino VII (1025-8) ufficialmente coimperatore (prima) e quindi alle figlie di costui: Zoe , che elevò al trono i suoi tre mariti Romano III, Michele IV, Costantino IX monomaco e un figlio adottivo Michele V; poi Teodora (1054-6) con cui la dinastia basilide si estinse definitivamente. Il legittimismo si affermò perciò attraverso il matrimonio con una principessa di sangue reale. Ciò suscitava continui attacchi da parte dell'aristocrazia che aveva ora più che mai un forte ruolo politico. Nel 1042 Michele V dopo aver tentato di detronizzare la madre perse la corona e la capitale proclamò la sovranità di Zoe e Teodora e ancora morto Costantino IX monomaco fu ancora il popolo di Costantinopoli a dare il potere a Teodora. A differenza del X secolo i nuovi sovrani non provenivano da lignaggi dell'Asia Minore bensì da grandi casati Costantinopolitani. Nella capitale infatti si stava consolidando un gruppo di insigni famiglie patrizie i cui interessi non erano sempre in contrasto con le ambizioni dell'aristocrazia provinciale che aveva mandato propri membri a stabilirsi a palazzo che crebbe di ruolo gravitando intorno ad esso affari pubblici e vita politica. Michele Psello afferma che chi ha ottenuto il regno pensa di essere stabile solo con l'appoggio del partito civile ma in realtà la loro salvaguardia si basa su: popolo, senato, esercito. Il potere dunque cercò nuovi equilibri interni e una nuova politica estera capace di rispondere ai cambiamenti sulla frontiere orientali e nel mezzogiorno d'Italia. TRASFORMAZIONI ISTITUZIONALI E MUTAMENTI NELL'ORGANIZZAZIONE MILITARE Politica dei sovrani iconoclasti: difesa dei confini politica dei sovrani basilidi: riconquista dei territori Il regime dei themata aveva reagito efficacemente ad una politica di difesa ma era meno adatto ad uno stato di offensiva a causa della grande mobilità richiesta agli eserciti. Si era provveduto all'istituzionalizzazione di nuovi incarichi come: domestici delle scholae e stratopedarchi d'Oriente e d'Occidente, capi supremi dell'esercito in assenza dell'imperatore. In relazione anche all'accresciuta importanza dei tagmata , corpo regolari permanenti a Costantinopoli e dintorni. Nei themata ebbero sempre più importanza i soldati di professione , assoldati tutto l'anno. A partire dal regno di Niceforo Foca, la strateia cambiò connotati. Si trasformò da servizio di proprietario di un fondo e versamento in denaro da usare per l'equipaggiamento. Sotto Basilio II si assiste ad un accresciuto arruolamento delle milizie tagmatiche. Arruolamento dei vareghi , crescita dei corpi d'armata posti sotto il controllo imperiale. Crescita dei mercenari nell'esercito, indebolirsi delle unità tematiche. Nelle campagne portò i funzionari ad abbandonare i poteri militari e ci fu una certa ristrutturazione amministrativa da cui emerse la persona del krites responsabile dei servizi fiscali della provincia da lui governata, era alle dipendenze di un nuovo dicastero l'epi ton krites appositamente istituito al fine di centralizzare e controllare l'amministrazione provinciale, figura paradinastica, personaggio al di fuori delle gerarchie ufficiali può dirigere l'apparato statale in virtù della fiducia dell'imperatore. IL 1071: ANNUS HORRIBILIS PER BISANZIO Situazione sui confini orientali: Bisanzio non aveva sfruttato la crisi del califfato abbaside. I selgiuchidi nel 1040 si erano assicurati il domino del Khurasan, agevole via d'accesso alla Persia occidentale. Islamizzatisi essi ottennero il titolo di sultani dell'Est e dell'Ovest. I selgiuchidi cercano una linea di continuità dopo gli abbasidi. Dopo 2 secoli di relativa pace Cappadocia e Anatolia bizantina tornano ad essere seriamente minacciate. Vuoto di potere causato dalla politica di Basilio II e poi da Costantino Ducas, le milizie provinciali erano in rapido sfaldamento. Nuova strategia basata sul mantenimento di alcuni punti nevralgici da cui controllare, grazie a soldati di mestiere le zone più delicate della frontiera e le vie di accesso al territorio bizantino. Si necessitava della collaborazione con le popolazioni locali e di un'elevata disponibilità finanziaria indispensabile per assoldare i mercenari. Tali presupposti erano incompatibili. Crisobullo del 1060 menziona i prelievi fiscali necessari per pagare vareghi, saraceni, franchi ecc, Psello dichiara che Isacco Comneno rinuncia ad accrescere l'impero per gravi problemi fiscali: causa decadenza delle strutture delle campagne e esaurirsi delle risorse monetarie. Anche le entrate provenienti dalle dogane e dalle tasse sul commercio incominciavano ad affievolirsi, ne è prova già un crisobullo del 992 di Basilio II che concedeva alcune facilitazioni fiscali alle navi veneziane che con finalità mercantili varcavano i Dardanelli. Di ricorse perciò ad una nuova e inevitabile svalutazione (di crisi) che raggiunge l'apice con Niceforo Botaniata , il titolo d'oro precipitò sotto i nove carati e la moneta argentea non ebbe neanche la metà del metallo fino. 1071 disfatta di Mantzikert contro i selgiuchidi (imperatore Romano IV Diogene). Mosse l'offensiva, era a favore del themata più che a eserciti mercenari. In realtà i selgiuchidi miravano più all'Egitto fatimide quindi non fu una vera e propria disfatta. Due elementi l'hanno fatta diventare tale: un simultaneo crollo del potere bizantino in Italia, guerra civile a Costantinopoli. In Italia Roberto il Guiscardo aveva iniziato nel 1061 la conquista della penisola destinata a concludersi nell'arco di un decennio: Brindisi, Taranto, Otranto furono occupate in rapida successione. Senza che l'impero impegnato con i selgiuchidi potesse intervenire. Nel 1071 infine i normanni impadronitisi di Bari mettevano fine alla dominazione bizantina in Italia. Nel contempo ad opera del fratello Ruggero venivano espulsi dalla Sicilia i saraceni, sicchè con la conquista di Palermo nel 1072 poteva dirsi concluso il processo di espansione normanna in Italia. Diedero vita ad un regno unitario sotto gli Altavilla. A Romano IV che era stato fatto prigioniero dopo Mantzikert ma liberato poi dal sultano turco Alp Anslan si opponevano Ducas e Comneni che lo sconfissero con due campagna militari. Cappadocia e Armenia lasciate al loro destino dovettero organizzare da sole la propria difesa. Le popolazioni turche vi si insediarono poi definitivamente. Era il tracollo dell'ellenismo in Anatolia. 6. LA DINASTIA DEI COMNENI: L'ARISTOCRAZIA DI SANGUE AL POTERE Quando nel 1081 Alessio Comneno con un esercito di mercenari stranieri, soldati nazionali e contingenti turchi entrò in Costantinopoli per essere incoronato imperatore, lo stato bizantino era sull'orlo della catastrofe. Fu in realtà l'inizio di una nuova fase della storia bizantina che permise all'impero di superare la sconfitta di Mantzikert. Se è vero infatti che Bisanzio fu salvata da Alessio I è altrettanto certo che con questa metamorfosi l'impero greco sopravvisse e riaffermò il suo prestigio ancora per un secolo. Con l'ascesa dei Comneni si passò ad una piena concentrazione dei poteri nelle mani dell'imperatore e dei suoi congiunti; il funzionamento delle istituzioni però restò formalmente immutato. Il fattore politico dominante divenne la parentela imperiale con la sua fitta trama di solidarietà locali e dipendenze personali. Le più alte dignità erano appannaggio di una ristretta cerchia di famiglie da cui erano esclusi i lignaggi aristocratici privi di vincoli di sangue o di matrimonio con la dinastia regnante. Dal definitivo affermarsi delle strutture familiari e parentali l'autocrazia bizantina uscì rafforzata e si mostrò ancora in grado di competere con Occidente e il tumultuoso intreccio di forze in esso tanto da ricorrere con sempre maggior frequenza all'aiuto di Venezia,ottenuto a costo di gravose concessioni commerciali. Con Manuele Comneno si può nuovamente pensare a ricostruire in forme nuove l'universalità dell'impero greco. La crisi dinastica si aprì con la morte di Manuele, allorchè indebolitasi la capacità egemonica della famiglia e del principe, le coalizioni si frantumarono in molteplici clan nobiliari. Bisanzio poi fu minacciata dall'emergere di dissidenze religiose regionali. ALESSIO I E L'AFFERMARSI DELLA DINASTIA DEI COMNENI L'imperatore era conscio ed esperto da capire quanto fosse importante ottenere la basileia tramite rapporti di parentela, lui stesso, Alessio, sposò Irene Ducas. Si andava costituendo il casato Comneno. Testimonianza della fitta rete di parentele è la figlia di Alessio, Anna, autrice dell'Alessiade che racconta dei fatti avvenuti tra il 1069 e il 1118. imparentato con la vedova dell'imperatore Michele VIII detronizzato nel 1078 assicurandole di difendere i diritti dell'unico figlio contro i progetti del nuovo marito Niceforo Botaniata III che aveva designato invece come successore Niceforo Sinadeno. Grazie a questa rete di parentele Alessio I riesce là dove aveva fallito Isacco. Non solo andò al trono, ma potè assicurare alla propria famiglia una solida base di consenso. LA NUOVA CLASSE DIRIGENTE Quando Alessio divenne imperatore la fisionomia del nuovo regime appariva definita. Il potere risiedeva ormai nella mani di un ristretto e ben circoscritto gruppo di famiglie di nobiltà relativamente convergenti intorno alla corte di Costantinopoli e coordinate dalla gens comnena, capace di assicurarsene l'incondizionato appoggio grazie ad una sottile architettura matrimoniale e tramite la concessione di cospicui beni fondiari. Come in passato, Bisanzio rimaneva uno stato altamente gerarchizzato, tuttavia mentre un tempo l'ingresso nell'elite detentrice del potere era determinato dal grado o dalla funzione svolta nell'apparato statale ora invece era proprio l'appartenere per nascita , o per matrimonio a questa elite, l'elemento decisivo per determinare l'accesso ai più alti ranghi dell'ordinamento pubblico. Con sempre maggiore nettezza inoltre tale ceto si precisava come un gruppo specifico di un'identità collettiva di cui sino ad allora era stato sprovvisto: esso si connotava per la nobiltà della nascita e per il legame con la corte imperiale. A una gerarchia della funzione si sostituiva così una gerarchia di sangue. La politica di promozione sociale di “uomini nuovi” inaugurata da Costantino IX monomaco fu così totalmente capovolta. Ma a soffrirne non furono solo la borghesia e il ceto burocratico; furono anche colpite quelle famiglie (in primo luogo Scleri e Diogeni) che non avevano nessun sodalizio con i Comneni. Contrariamente a quanto spesso affermato tale politica non indebolì lo stato anzi lo rese più forte e coeso. Non si ebbe dispersione dei poteri ma un loro accentramento, elemento peculiare della società comnena. Esso peraltro non assunse le forme di fedeltà di tipo vassallatico (che furono tratti distinvi del feudalesimo occidentale) un vassallo era un cliente che aveva giurato fedeltà al suo signore a cui doveva servizi e devozione in cambio di protezione e appoggio e la violazione dell'accordo da una parte o dall'altra comportava la fine del contratto. Un tale sistema non si creò a Bisanzio dove malgrado tutto l'impero mantenne sempre un suo esercito permanente e un efficace apparato fiscale e giudiziario sicchè non era il legame in sé a conferire autorità ma la designazione pubblica da parte del sovrano. Senza dubbio il rapporto personale vi fu ma non sostituì l'apparato politico. Molte delle dignità più antiche e più elevate scomparvero, con la sola eccezione di quella di Cesare, conferita dal sovrano stesso al proprio cognato mentre ne furono create di nuove basate sull'appellativo di sebastos concessa a tutti coloro che per vincoli di parentela o di matrimonio erano legati all'imperatore. Tale dignità rappresentò la linea di demarcazione tra i livelli più alti della gerarchia di corte e i gradi meno importanti. Furono inoltre istituite, ed entrambe attribuite ai fratelli di Alessio, le dignità di protosebastos e di sebastokrator, titolo quest'ultimo creato dall'unione tra sebastos e autokrator a indicare una dignitò superiore a quella dello stesso Cesare, inferiore solo a quella di basileus. In ambito finanziario i molteplici uffici furono tutti assoggettati a due alti funzionari di nuova creazione, ciascuno insignito dell'identico titolo di grande logarista, con sfere d'azione diverse così da salvaguardare la distinzione tra risorse pubbliche e patrimonio privato del sovrano. Un identico criterio fu adottato in campo militare dove al grande domestico e al megaduca furono rispettivamente affidati il supremo comando dell'esercito e della flotta. Le province infine sottoposte a un'autorità militare col titolo di duca vennero territorialmente ridotte così da non costituire più un pericolo per il potere autocratico. ESENZIONI FISCALI E CESSIONI DI REDDITI PUBBLICI A FAVORE DELL'ARISTOCRAZIA DI GOVERNO Il nuovo assetto che l'impero andava assumendo non fu senza conseguenze sul piano economico. L'inserimento nelle strutture politico-amministrative delle famiglie vicine ai Comneni fu infatti accompagnato da importanti concessioni patrimoniali e fiscali destinate a divenire uno dei capisaldi del nuovo sistema e a rinsaldare il gioco dei collegamenti tra aristocrazia e regno. Beni appartenenti al demanio furono in questi decenni trasferiti a privati con regolarità, non soltanto a eminenti rappresentanti dei principali lignaggi bizantini ma anche a esponenti meno insigni, sicchè le dimensioni delle grandi proprietà aumentarono sino a comprendere oltre ai fondi interi villaggi, senza che il ceto dei contadini fosse del tutto estinto. Parimenti di procedette a una redistribuzione delle risorse finanziarie tramite la moltiplicazione delle esenzioni fiscali o exkouseiai e con il conferimento dei cosiddetti logisima. Si tratta di procedure già attestate in precedenza ma che assunsero un nuovo e più ampio significato in quanto attuate in concomitanza con l'espansione del patrimonio fondiario aristocratico. Tramite il logisimon lo stato cedeva a un beneficiario il gettito fiscale di un dato bene. Se questi ne era il titolare si trattava di una semplice rimessa d'imposta sui proprio averi, la cui unica differenza dall'exkouseia consisteva nel fatto che, mentre quest'ultima concerneva solo le tasse supplementari (25% dell'imponibile), il logisimon comprendeva anche l'imposta di base. Più complesso era il caso in cui il logisimon prevedesse la riscossione di imposte su possedimenti altrui, in tal caso una simile concessione non si configurava solo come l'assegnazione di un reddito tributario, ma poteva anche assumere contenuti nuovi sino a generare il sospetto che lo stato cedesse con le entrate fiscali anche una quota di sovranità pubblica. Che questo rischio fosse nel novero delle possibilità lo dimostra la preoccupata reazione dei monaci di Lavra alla notizia che Alessio Comneno aveva attribuito al fratello Adriano i redditi fiscali dovuti al monastero per i propri beni di Cassandra. I monaci infatti temono “di essere iscritti come paroikoi di colui al quale essi versano le imposte” e di “non possedere più in proprio la terra per la quale essi sono divenuti contribuenti di un terzo” da ciò la richiesta di un crisobullo imperiale che li assicuri e confermi che essi manterranno in quella proprietà i poderi siti a Cassandra. In verità né la pratica dei Comneni di assegnare appannaggi a consanguinei tendeva a dissolvere il potere politico né la distinzione tra autorità pubblica , possesso e diritti personali veniva meno, tanto più che tale appannaggi non erano trasmissibili per testamento o alienabili in alcun modo: non solo decadevano alla scomparsa del loro titolare ma potevano essere revocati dal sovrano e riassegnati ad altri in qualsiasi con l'obbligo di prestare giuramento di fedeltà che li impegnasse per tutta la vita, cosi fa ottenere prestazioni soprattutto di tipo militare. Ad accrescere la diffusa ostilità aveva infine contribuito l'oscillante atteggiamento di Manuele Comneno nei confronti della chiesa greca. L'imperatore desideroso di presentarsi come fedele protettore dell'ortodossia, non aveva esitato a perseguire con asprezza le dottrine bogomile e si era impegnato anche a favorire la sorveglianza della chiesa di Costantinopoli sull'istruzione superiore, affinchè non ci fossero più rischi di speculazione filosofica sulla teologia ortodossa. D'altra parte il basileus si era impegnato a ricercare l'accordo e l'unione con la chiesa di Roma, reputato indispensabile per per il conseguimento dei propri obiettivi politici, sicchè si era circondato di consiglieri latini quali Ugo Eteriano da Pisa al quale fu affidato l'incarico di refigere un trattato sulla controversa questione della processione dello Spirito Santo. La sua pozione ambivalente crebbe nei greci la diffidenza nei confronti degli occidentali, la cui invadenza sembrava estendersi al piano economico. La crisi dinastica seguita alla morte di Manuele Comneno si inserì quindi in una situazione di tensione. Dopo un secolo di stabilità interna Bisanzio conobbe nuovamente uno stato di disordine e d'anarchia, reso insuperabile dall'evolversi di una situazione internazionale sempre meno dominabile. Il regno di Andronico Comneno lo prova con chiarezza; questi era giunto al potere eliminando i suoi oppositori, tra cui il figlio di Manuele, tanto da suggerire l'idea che egli perseguisse una politica violentemente antiaristocratica a favore del funzionari civili e delle classi mercantili. In realtà questa ipotesi è stata smentita, infatti Andronico si appoggiò alle stesse famiglie su cui avevano fatto perno e suoi predecessori. La violenza del regime instaurato provocò tuttavia la reazione dei sostenitori del giovane imperatore assassinato, gli esponenti dei casati più antichi si ribellarono ad Andronico sollevandogli contro il popolo. E in effetti dopo aver strumentalizzato nel 1182 le stragi e i saccheggi avvenuti in un clima di accesa xenofobia nei quartieri pisano e genovese della capitale, impadronitisi del potere, Andronico aveva cercato di ristabilire relazioni cordiali con Venezia sia restituendole il quartiere nella capitale sia procedendo al parziale risarcimento dei danni da questa subiti nel 1171. Guglielmo di Sicilia stava organizzando contro l'impero. Successivamente Isacco II Angelo erede della famiglia imperiale per parte di madre e successivamente il fratello Alessio III che lo detronizzò con un colpo di stato, mostrò come il regime dei Comneni si sfaldò sotto l'azione di consorterie nobiliari. Irrequietezza dell'aristocrazia e crisi di tutti i poteri trovano conferma nella sorte di Cipro e nella nascita del secondo impero bulgaro. Nel primo caso il pronipote di Manuele Comneno diede vita ad un'autonoma signoria , sottrattagli poi nella terza crociata da Riccardo Cuor di Leone che la vendetta al re di Gerusalemme, per quanto riguarda i Balcani invece, l'usurpazione di Andronico aveva offerto al re d'Ungheria Bela III l'occasione di invadere l'impero con il pretesto di vendicare la vedova di Manuele: Belgrado, Sofia e altri centri erano stati devastati. Ne aveva tratta vantaggio la Serbia che aveva consolidato i suoi domini a spese della Dalmazia. Non si trattava di un potentato locale ma di un vero impero che si richiamava al glorioso passato degli zar Boris, Simeone , Pietro e a cui non mancò la formale legittimazione di Federico Barbarossa e della chiesa di Roma, a dimostrazione di come l'autocrazia bizantina non fosse più in grado di esercitare alcun potere sovrano su quell'area. Vero è tuttavia che i pericoli maggiori continuavano a provenire dall'Occidente dove era stata bandita una nuova crociata per la riconquista di Gerusalemme, occupata nel 1187 dal sultanto curdo Salah-ad-din, il celebre Saladino delle fonti, che dopo aver soppresso nel 1171 l'indebolito califfato fatimide, aveva unito sotto il proprio dominio Egitto e Siria, ripristinando dopo due secoli di scisma l'ortodossia islamica. La spedizione cristiana guidata da principi europei: -l'imperatore Federico Barbarossa che morì in Cilicia durante il viaggio -i re d'Inghilterra e di Francia, Riccardo Cuori di Leone e Filippo Augusto giunti in terra santa su navi pisane e genovesi assicurò un'ampia fascia da Acri a Giaffa ma non portò alla liberazione di Gerusalemme che il Saladino aveva peraltro ripopolato ammettendovi cristiani di culto ortodosso ed ebrei. Mentre per i greci, accusati di aver intrattenuto buoni rapporti con il Saladino, era sempre più di difficile scindere l'idea di crociata dalla volontà dell'assolutismo imperiale degli svevi, gli Occidentali si convinceranno vieppiù di occupare Costantinopoli. La situazione peggiorò Allorché Enrico VI nel 1194 si pose come legittimo erede dell'universalismo svevo e delle ambizioni normanne (gli era stata riconosciuta la Sicilia) determinato a subordinare la crociata alla conquista di Costantinopoli. A Bisanzio si era cercato di allontanare il pericolo sia versando all'imperatore tedesco un tributo annuale, per il cui pagamento fu imposta una speciale tassa detta “tedesca” sia intensificando i rapporti con il Papa Celestino III. Tuttavia non fu che l'imprevista morte nel 1197 di Enrico VI salvare le sorti dell'impero, privando la spedizione dell'unica guida in grado di conferirle unità e disciplina. LA CROCIATA “DEVIATA” Nell'immediato il pericolo occidentale si era dunque ancora una volta risolto positivamente per l'impero, ma non per questo nell'Europa cattolico-romana si era affievolita l'idea di una conquista armata di Costantinopoli. È da considerarsi anche la difficile situazione dinastica creatasi all'interno dell'impero in seguito alle nozze tra Filippo di Svevia, fratello di Enrico VI , e la figlia del deposto basileus Isacco II. Nel 1198 Alessio III aveva inviato a Innocenzo III una lettera in cui congratulandosi per la sua elezione al soglio pontificio lo pregava di inviare a Costantinopoli i propri ambasciatori. Era l'inizio di una fitta corrispondenza epistolare destinata a migliorare i rapporti tra la curia di Roma e la corte greca, disposta quest'ultima a riconoscere la necessità di superare le divergenze mediante un concilio per sanare la situazione tra le due cristianità. In realtà l'alleanza tra il pontefice e Alessio III , di sfaldò rapidamente per il simultaneo evolversi della situazione in Occidente e Oriente. Niceta Coniata afferma che il Doge di Venezia convinse i nobili principi che stavano partendo per la Palestina a ordire insieme a lui un'intesa contro i Bizantini, così anziché andare in direzione della Terra Santa la spedizione di orientò verso Costantinopoli, al contrario di quanto sia auspicava il pontefice. Non vi è dubbio che gli interessi coloniali e mercantili dei veneziani abbiano avuto un ruolo importante. La Repubblica di San Marco era in primo luogo impegnata a riconquistare nel contesto dell'economia bizantina quella posizione egemonica di cui aveva beneficiato prima dell'espulsione del 1171 e che sembrava compromessa dai privilegi concessi dal medesimo imperatore a Pisa, Ragusa e Genova. Quest'ultima città si era apertamente schierata dalla parte di Alessio III impegnatosi a favorire contro l'invadenza economica di Venezia gli interessi dei mercanti liguri, consolidandone la presenza nell'impero. Nella prospettiva veneziana la crociata si configurò ben presto come l'occasione per definire finalmente la questione orientale mutando a proprio esclusivo vantaggio l'assetto politico del territorio bizantino. Le difficoltà incontrate nel rispettare gli impegni economici assunti con Venezia quale compenso per il passaggio in nave indussero i capi della crociata- baroni francesi e fiamminghi che avevano aderito all'impresa voluta da Innocenzo III con entusiasmo ma senza grandi risorse finanziarie- una prima diversione in direzione di Zara. La città da poco sottrattasi al dominio veneto e sottoposta al re d'Ungheria fu riconquistata dall'esercito crociato così da pagare alla repubblica adriatica quanto dovuto. Deviazione significativa che mostrava con tutta chiarezza come la volontà egemonica veneziana si stesse saldando con la vocazione militare delle aristocrazie impegnate nella crociata, sicchè alla corte greca si guardava alla spedizione con sempre maggiore inquietudine nel timore che essa traducesse in azione il progetto di conquistare la capitale bizantina. Sopraggiunse una nuova complicazione dinastica all'interno della famiglia degli Angeli. Alessio IV, figlio di Isacco II fuggito dall'impero in Germania alla corte del cognato Filippo di Svevia aveva infatti raggiunto i crociati a Zara per convincerli a dirigersi sul Bosforo offrendo loro consistenti compensi economici e promesse di appoggi militari se lo avessero aiutato a recuperare il trono da cui il padre era stato deposto. Fu questa inattesa richiesta di aiuto la principale giustificazione morale e giuridica della presa di Costantinopoli da parte dell'esercito latino. Il pontefice diffidò inizialmente i crociati dal servirsi di tale pretesto per occupare la terra dei greci, non esitando a ribadire con severità che altro era il fine della crociata e cioè “vendicare l'obbrobrio della croce”. Alessio IV si dichiarava pronto ad assoggettare la sua chiesa a quella di Roma , e mentre gli avvenimenti volgevano in direzione auspicata dai capi dell'esercito latino, il tono della condanna papale di faceva sempre più blanda. Caduta Costantinopoli il pontefice si convinse a profittare della situazione riconoscendo che il regno e la chiesa dei greci erano stati ridotti all'obbedienza della sede apostolica per un”giusto giudizio divino”. La deviazione decisiva in direzione del Bosforo avvenne nel 1203, ma la città fu conquistata soltanto l'anno seguente quando fu definitivamente chiaro che Alessio IV , imposto sul trono dai crociati, non era in grado di rispettare gli accordi pattuiti e di pagare l'ingente somma promessa sicchè lo scontro appariva inevitabile. Episodio della frattura ideologica prima ancora che politica tra Oriente e Occidente: nell'inverno del 1203 alcuni crociati francesi entrati a Costantinopoli incendiarono la moschea costruita per i mercanti musulmani di passaggio, in aiuto di quelli accorsero i greci: i bizantini ne acquisirono una nuova conferma riguardo la comunanza degli interessi che malgrado lacerazioni , li univa con gli islamici contro i latini, mentre questi ultimi si convinsero ancor di più nel prendere le armi contro i bizantini considerati falsi cristiani. Fu l'inizio di tumulti che rovesciarono gli Angeli e portarono al trono Alessio V Ducas Murzulfo, intenzionato a ripudiare gli accordi presi dal predecessore. Anche i più incerti tra i crociati ritennero allora giunto il momento di seguire il consiglio del doge di Venezia sull'opportunità di impadronirsi di Bisanzio e di eleggere un proprio imperatore. Il 13 aprile del 1204 Costantinopoli fu infine presa dall'esercito crociato che si abbandonò a tre giorni di violenze e saccheggi suggerendo ancora una volta a Niceta Coniata il confronto tra la barbarie di chi “pur essendo della nostra stessa religione” non mise freno alla propria ferocia ed empietà nemmeno davanti alle icone del Cristo e la moderazione dei musulmani che a Gerusalemme avevano rispettato la chiesa del Santo Sepolcro, le persone e i beni dei vinti. I crociati si appropriarono di uno straordinario e insospettato bottino e spartirono il territorio: Baldovino di Fiandra fu eletto sul trono di Bisanzio; Bonifacio di Monferrato gettò a Tessalonica le basi di un fragile regno; la Tessaglia e la Grecia furono governate da signori appartenenti in prevalenza all'aristocrazia franca. Più in là dei latini, detentori di un bene effimero, i veri beneficiari furono i veneziani, il cui doge, proclamatosi signore di “un quarto e mezzo” dell'impero, seppe assicurare ai suoi cittadini l'egemonia sui mercati d'Oriente, e gli stati slavi dei Balcani che , liberi del dominio di Bisanzio, si apprestavano a raggiungere verso il secolo XIV l'apogeo della propria potenza. Dopo la caduta di Costantinopoli di crearono delle situazioni favorevoli a delle trattative tra vincitori e vinti, l'aristocrazia bizantina, almeno nel Peloponneso pareva disponibile ad un'intesa con la dominazione straniera purchè venissero garantiti i propri privilegi; gli stessi ceti più bassi della popolazione , stanchi di guerre civili e di soprusi fiscali non erano ostili a tali linee di pensiero purchè si rispettasse la loro fede religiosa. Le speranze iniziali andarono presto deluse e le trattative si arenarono su due questioni : – la supremazia papale – elezione di un patriarca ortodosso nella sede di Costantinopoli che ne era priva il netto rifiuto di Innocenzo III alla ricostruzione di un patriarcato bizantino e la sua richiesta al clero ortodosso di un giuramento di fedeltà al patriarca latino di Costantinopoli, quale condizione irrinunciabile per poter rimanere nelle sue sedi, fecero definitivamente fallire ogni possibile accordo. Sopraffatti nella stessa capitale, i greci di trovarono privati anche di quell'autorità imperiale che per secoli ne era stata la guida politica e spirituale. Frantumatasi per la prima volta e in modo irreversibile l'unità dell'impero, la diaspora bizantina si organizzò intorno a tre poli: – nell'area occidentale della penisola balcanica, in Epiro , la resistenza trovò una guida in Michele Angelo Ducas cugino dell'imperatore Isacco II – in Asia Minore, inserita tra i possessi latini si configurò come una robusta compagine statale avente come capitale Nicea – sul litorale del Mar Nero infine la dinastia dei “grandi Comneni” , Alessio e Davide, diede origine all'impero di Trebisonda. Si tratta di stati territoriali bizantini divisi tra loro quanto lo furono i vari principati latini.
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