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Bisanzio e l'Occidente medievale - G. Ravegnani, Appunti di Storia Medievale

Il libro racconta la storia millenaria dell'impero bizantino e i suoi punti di contatto con l'Occidente, ponendo particolare attenzione alla quarta crociata (1204), quando i veneziani e i crociati invasero Costantinopoli. Nel Trecento l’atteggiamento dell’Occidente fu più accondiscendente nei confronti di Bisanzio, considerata un avamposto della cristianità contro la montante marea dei Turchi ottomani. Vennero di conseguenza forniti aiuti militari, ma l'impero cadde nel 1453.

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 26/09/2020

CamillaCasadio
CamillaCasadio 🇮🇹

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Scarica Bisanzio e l'Occidente medievale - G. Ravegnani e più Appunti in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! Bisanzio e l’Occidente medievale – G. Ravegnani I. L’ETÀ DI GIUSTINIANO 1. La fine dell’Occidente romano Della caduta dell’impero romano d’Occidente (476) non sappiamo in realtà molto, perché le fonti per l’epoca sono assenti o reticenti. Di quello che era stato l’impero di Roma era rimasta la sola penisola italiana e da un ventennio i sovrani si succedevano senza di fatto governare quasi più nulla. Morto Valentiniano III nel 455, ultimo esponente della dinastia teodosiana, il trono era stato conteso da avventurieri di varia origine. Divenne così imperatore Petronio Massimo (455), un senatore romano, che riuscì a comprare il favore dei soldati di stanza a Roma. Ma questo durò poco perché i Vandali, provenienti dall’Africa, approfittarono del vuoto di potere per assediare Roma. Di fronte a questo pericolo Petronio Massimo fuggì, ma fu riconosciuto e ucciso dalla folla inferocita, la quale ne fece a pezzi il cadavere gettandolo poi nel Tevere. Roma venne messa a sacco dai barbari (seconda volta dopo la conquista visigota del 410) ed il trono restò vacante per qualche settimana, finché in Gallia fu eletto un generale di nome Flavio Eparchio Avito. La sua designazione fu possibile grazie all’appoggio di Teodorico II, re dei Visigoti. Avito:  Cercò di restaurare, inutilmente, il prestigio di Roma  Commise l’imprudenza di nominare generale dell’impero il barbaro Flavio Recimero, il quale, animato da una grande ambizione, si adoperò subito per spodestare l’imperatore insieme al comes domesticorum Maggioriano. Il risultato fu una guerra civile combattuta in Italia: nel 456 Remisto, filo imperiale, venne sconfitto a Classe e un mese più tardi fu la volta di Avito, sconfitto a Piacenza. Il treno passò indirettamente a Recimero poiché egli non poteva avere il titolo imperiale date le sue origini barbare: si servì quindi di docili prestanome. Ottenne il rango di patrizio mentre Maggioriano fu proclamato imperatore dalle truppe ed eletto dal senato romano dopo 18 mesi (457). Il nuovo imperatore:  Ebbe l’idea di riconquistare l’Africa  Mise insieme un grande esercito e dall’Italia raggiunse la Spagna dove, a Cartagena, doveva attenderlo la flotta. Il re vandalo Genserico però sconfisse Maggioriano, il quale rientrò in Italia ed incontrò Recimero che nel 461 lo catturò e lo fece uccidere. L’effettiva capacità di esercitare il potere, all’interno dell’impero, si era spostata dai Romani ai barbari e, se anche l’esercito di barbari del sovrano sembra essere stato fedele, non altrettanto lo fu il suo generale, intenzionato solo a far valere il proprio dominio. Recimero era così diventato il padrone incontrastato e nel novembre del 461 fece eleggere a Ravenna il senatore Libio Severo, un fantoccio che morì 4 anni dopo. Dopo di lui fu la volta del senatore Antemio, figlio di un grande generale dell’Oriente, che fu proclamato imperatore nel 467. La sua volontà di regnare scatenò una guerra civile, conclusasi l’anno dopo con la sconfitta del sovrano in carica e la sua sostituzione con Olibrio, un altro fantoccio di Recimero. Roma venne nuovamente messa a sacco dalle truppe di Recimero (472) e Antemio fu ucciso dalla folla. Olibrio, prima di morire, nominò patrizio il principe burgundo Gundobad, nipote e successore di Recimero nel controllo dello stato. Gundobad fece innalzare al trono il comes domesticorum Glicerio (473), spodestato l’anno dopo dal magister militium Dalmatiae Giulio Nepote. Ma neanche quest’ultimo sovrano riuscì a consolidare il suo potere perché il suo magister militium Oreste si ribellò nel 475 a Ravenna e costrinse l’imperatore a fuggire in Dalmazia. Oreste, anziché farsi proclamare imperatore, preferì che fosse incoronato il proprio figlio Romolo (Augustolo, assunto una volta sul trono). Oreste aveva il governo 1 effettivo, che si trovò a contendere con il generale barbaro Odoacre, a capo dei mercenari stranieri di stanza in Italia. Questi chiesero per sé 1/3 delle terre italiche e, di fronte al rifiuto di Oreste, si ammutinarono e nel 476 proclamarono Odoacre loro re. Oreste subì 2 sconfitte, a Pavia e a Piacenza, prima di essere ucciso. In seguito Odoacre s’impadronì di Ravenna facendo prigioniero Romolo Augustolo che fu subito deposto: in ragione della sua giovane età venne risparmiato e relegato in un castello a Napoli, dove percepì una pensione dorata per il resto della sua vita. Odoacre era probabilmente uno sciro (germano orientale) e, a differenza dei barbari suoi predecessori, egli rinunciò alla farsa di far eleggere un sovrano fantoccio e rimandò le insegne imperiali a Costantinopoli, chiedendo al titolare del trono di Bisanzio, Zenone, l’autorità di patrizio e l’autorizzazione a governare per suo conto l’Italia. La richiesta non faceva una piega dal punto di vista giuridico: l’impero romano, malgrado la divisione nelle due parti divenuta permanente dal 395, era ritenuto unico e, se mancava un titolare al trono in Occidente, il collega orientale era in teoria l’unico detentore del potere. I Romani d’Oriente non erano stati a guardare durante l’agonia dell’altra metà dell’impero e in alcune occasioni avevano fatto sentire la loro voce:  Nel 409 un esercito di 4000 uomini era stato inviato a Ravenna per aiutare Onorio minacciato dai Visigoti  Nel 425 truppe bizantine erano arrivate in Italia per deporre l’usurpatore Giovanni e portare al potere Valentiniano III, erede della dinastia teodosiana. Tuttavia i Bizantini, durante la serie degli ultimi imperatori, non presero più iniziative così dirette ma non di meno intervennero nella loro designazione, forti del potere di legittimazione che la titolarità del trono dava loro. Costantinopoli non riconobbe formalmente gli imperatori sgraditi o ne ritardò a lungo il riconoscimento. In due casi invece s’intromise con maggiore determinazione: nel 465 fu imposto Antemio Procopio, che Recimero fu costretto a subire soltanto perché gli serviva l’aiuto dei Bizantini contro i Vandali. E ancora nel 474 Leone I da Costantinopoli designò imperatore Giulio Nepote in antagonismo a Glicerio, elevato al trono da Gundobad. Oreste a sua volta non ottenne l’assenso da Costantinopoli e alla fine proclamò Romolo Augusto, che quindi dal punto di vista bizantino era un sovrano illegale. L’autorità di Zenone, che era imperatore a Bisanzio quando l’Occidente crollò, era essa stessa traballante visto che nel 476 aveva da poco recuperato il trono dopo esserne stato rimosso da un usurpatore. Non disponeva di conseguenza delle forze necessarie e si limitò a sollevare questioni di natura diplomatica. Rispose all’ambasciata di Odoacre che la concessione era di competenza di Giulio Nepote, considerato da Costantinopoli quale imperatore legittimo. Odoacre allora riconobbe formalmente l’autorità di Nepote e fece coniare monete in suo nome, guardandosi bene però dal farlo rientrare in Italia. Zenone allora si adeguò e gli donò il titolo di patrizio. La deposizione di Romolo Augustolo è comunemente ritenuta la fina dell’impero d’Occidente, ma a ben guardare significò soltanto l’interruzione della successione imperiale: Odoacre avrebbe potuto nominare un sovrano prestanome ma non lo fece, forse perché riteneva conclusa l’esperienza imperiale. Inoltre, nella mentalità dei contemporanei l’impero continuava a esistere nella persona di Zenone. Gli stessi contemporanei non avvertirono la frattura e il cambio di governo passò sotto silenzio fino al secolo successivo quando, sull’orlo della riconquista giustinianea, gli storici iniziarono a rimarcarla. Odoacre si adoperò per rispettare le 3 principali istituzioni dell’epoca: l’impero bizantino, il senato di Roma e la chiesa cattolica. Finì però per mettersi contro Zenone, appoggiando il ribelle Illo che intendeva rimuoverlo dal trono e così fu l’inizio della sua fine: nel 488 il sovrano bizantino offrì a Teodorico d’Amalo, 2 IV. La conquista di Ravenna non fu la fine della guerra e i Goti rimasti in armi nell’Italia del nord non occupata elessero un nuovo re a Pavia, continuando la lotta. Nel 540 i Bizantini subirono una grave sconfitta a Treviso e l’anno successivo, quando fu eletto re Totila, le fortune dei Goti cambiarono. Totila si mostrò un generale capace e un politico acuto. Mise in campo una flotta in grado di intercettare le navi nemiche e di condurre azioni di pirateria nelle zone costiere dell’impero. Come politico si adoperò per dare un volto più rispettabile ai suoi e per dividere il campo avversario: evitò la brutalità e si sforzo di alleviare i disagi dei civili. Contro gli aristocratici romani, peggiori nemici dei Goti, avviò una politica agraria volta all’esproprio dei latifondi e affrancò molti schiavi per rimpolpare il suo esercito. Egli sconfisse gli imperiali a Faenza nel 542 e poi nella valle del Mugello. Le forze bizantine si sbandarono e i superstiti si rifugiarono nelle città fortificate. Il re goto allora superò l’Appennino e s’impossessò di Benevento poi andò ad assalire Napoli, che si arrese nel 543. Nel frattempo la flotta gotica occupò gran parte dell’Italia meridionale. V. Giustiniano sottovalutò la rivolta dei Goti e si limitò a destinare nuovamente Belisario al comando supremo in Italia (544) ma senza concedergli i mezzi sufficienti per porre fine al conflitto. Nel 545 Totila andò ad assediare Roma. Belisario andò in soccorso dell’Urbe ma non riuscì a liberarla e nel 546 la città cadde per il tradimento di alcuni soldati imperiali. Successivamente Totila si recò in Italia meridionale. L’assenza del re goto diede modo a Belisario di riprendere Roma (547) con un’azione a sorpresa, ma due anni dopo dovette nuovamente abbandonare l’Italia su ordine di Giustiniano. La partenza di Belisario causò il tracollo dell’armata italiana perché nel 550 Roma cadde di nuovo in mano ai Goti e nello stesso anno Totila invase la Sicilia. Giustiniano a questo punto capì il pericolo:  Affidò al cugino Germano il compito di costituire un’armata per farla finita con Totila e questa volta non lesinò sui mezzi  Ma Germano morì e così il comando della spedizione passò in mano a Narsete (eunuco e dignitario di corte privo di esperienza militare), migliore garanzia che il sovrano potesse avere per scongiurare tentativi autonomistici ai vertici dell’esercito. VI. Narsete partì da Salona nel 552 con 30.000 uomini e puntò allo scontro risolutore con l’avversario. Lo scontro ebbe luogo in prossimità di Gualdo Tadino, terminando con la completa disfatta dei Goti. Il re venne ucciso. Ma la vittoria imperiale non comportò la resa dei Goti e i superstiti elessero a Pavia un altro re, Teia, il quale scese a sud per combattere Narsete, che nel frattempo aveva ripreso Roma, ma venne ucciso nello stesso anno presso i monti Lattari (Campania). Con la sua morte ebbe fine il regno ostrogoto. [I FRANCHI E GLI ALAMANNI] Nel 553 un esercito di Franchi e Alamanni calò in Italia, quando arrivarono nel Sannio si divisero in due gruppi: 1. Il primo condotta da un capo di nome Butilin, si spinse fino allo stretto di Messina; 2. L’altro, sotto il comando di Leutharis, raggiunse Otranto e di qui prese di nuovo la via del nord. Il loro passaggio era accompagnato da stragi e da saccheggi. I Bizantini in un primo momento si fecero cogliere alla sprovvista, poi Narsete affrontò Butilin e nel 554 ne distrusse completamente le forze. Leutharis venne sconfitto dalla guarnigione imperiale di Pesaro. Terminavano così le grandi operazioni della campagna italiana anche se Narsete impiegò ancora qualche anno per conquistare le ultime fortezze in mano ai Goti (es. Cuma) e in seguito sloggiò i Franchi al di sopra del Po. Le ultime operazioni ebbero luogo nel 561 con la conquista di Brescia e di Verona e la sottomissione della penisola fino alle Alpi. 5 Nel 554 la guerra era terminata e il 13 agosto di quell’anno Giustiniano emanò la Prammatica Sanzione, con la quale ristabiliva legalmente il dominio imperiale in Italia e cancellava tutti i provvedimenti di Totila:  I proprietari recuperarono i diritti di cui erano stati privati;  Gli schiavi tornarono ai loro padroni;  I servi della gleba tornarono a lavorare la terra;  Le terre della chiesa ariana dei Goti passarono alla chiesa cattolica; Narsete restò in Italia e si occupò della ricostruzione. Continuarono ad esserci un prefetto del pretorio d’Italia, un prefetto e un vicario di Roma. Il territorio italiano fu però ridotto perché ne furono staccate la Sicilia, con un pretore dipendente da Costantinopoli, la Dalmazia, annessa alla prefettura di Illirico, la Sardegna e la Corsica, che passarono sotto l’Africa. Questa restaurazione segnava la fine dell’autonomia politica italiana: il prefetto del pretorio d’ora in poi fu sempre un bizantino e non più un romano. Inoltre la burocrazia statale fu formata da funzionari di provenienza orientale. Per molti anni dopo la riconquista a Roma: dei 14 acquedotti esistenti prima del 537, e interrotti da Vitige durante l’assedio, ora doveva essere in funzione solo l’Aqua Traiana a seguito del restauro fattone da Belisario. Molti senatori mancavano all’appello perché fuggiti in Oriente o caduti vittime e il collasso demografico aveva raggiunto dimensioni massicce. [LA CAMPAGNA NELLA SPAGNA VISIGOTA] Nella Spagna visigota i Bizantini si impossessarono di una ristretta fascia di territorio. Il re visigoto Agila nel 551 aveva suscitato una ribellione dei suoi sudditi e contro di lui si era sollevato anche un pretendente al trono, Atanagildo, che aveva chiesto aiuto all’impero bizantino. Giustiniano non perse occasione l’anno seguente inviò un esercito che occupò senza fatica una parte della Spagna meridionale. La guerra civile terminò nel 555 con l’uccisione di Agila e la vittoria di Atanagildo, che divenne re dei Visigoti, ma i Bizantini non se ne andarono e il nuovo re riuscì a farsi cedere solo una parte del territorio occupato. In questo modo i Bizantini si insediarono a Cartagena, Malaga e Cordova che entrarono a far parte della prefettura africana. Ebbe però un comando militare autonomo anche se la dominazione bizantina in Spagna non fu molto duratura. Nel 624 la controffensiva visigota li espulse del tutto. II. L’ITALIA ESARCALE 1. L’invasione longobarda Giustiniano morì nel 565, lasciando in eredità al suo successore un impero ampliatosi di molte unità (riconquista di più di 1/3 dell’ex impero d’Occidente). Tuttavia la forza militare di Bisanzio, perennemente in crisi, si rivelava insufficiente a coprire un territorio così ampliato. 1) La prima guerra si accese contro i Persiani a causa della politica sconsiderata del successore di Giustiniano, il nipote Giustino II, che nel 572 li attaccò infrangendo la pace faticosamente costruita in precedenza. Il conflitto durò un ventennio; 2) In Spagna la controffensiva visigota mise in difficoltà l’impero, che continuò a perdere terreno finché negli anni Venti del VII secolo dovette abbandonare la regione. 3) L’Africa, spesso agitata da rivolte indigene, andò perduta con l’irruzione degli Arabi e la conquista islamica di Cartagine nel 698. 4) Penisola balcanica: Dal 581 la penisola fu oggetto di devastanti incursioni da parte degli Avari e degli Slavi. I primi erano una popolazione mongolica che si era creata nella seconda metà del VI secolo un impero, retto da un khan, sottomettendo popolazioni bulgare, gepide e slave. La loro spinta 6 aggressiva contro Bisanzio fu intensa per 60 anni, ma si esaurì con la sconfitta subita all’assedio di Costantinopoli nel 626. Gli Slavi erano un popolo con organizzazione tribale venuto a contatto con Bisanzio solo nei primi decenni del VI secolo. In seguito, sotto la spinta degli Avari o in alleanza con questi, avevano iniziato a migrare al’interno dell’impero. La loro espansione, a differenza degli Avari, era tesa ad insediarsi nelle regioni conquistate e a formarvi i propri domini – fenomeno nuovo: insediamento stabile (slavinia) delle popolazioni nemiche in territorio imperiale + slavizzazione della penisola balcanica. Gli Slavi occuparono le regioni settentrionali e centrali dei Balcani, mentre sotto l’autorità bizantina restarono le città costiere dell’Adriatico e del Mar Nero + Tessalonica e la stessa Costantinopoli. 5) Italia: qui, dopo il conflitto con i Goti, Narsete restò a capo dell’amministrazione bizantina fino al 568. Alla sua morte, il governo della penisola passò al prefetto del pretorio Longino, il più alto funzionario civile allora presente in Italia. [I LONGOBARDI ENTRANO IN ITALIA] Di lì a poco il popolo germanico dei Longobardi si mosse dalla Pannonia sotto la guida di re Alboino per dirigersi in Italia, dove entrò dai valichi delle Alpi Giulie nel 568. Questo popolo era già noto nell’antichità ed era entrato nell’ottica del mondo romano dal I sec. dell’era cristiana, come abitanti della Germania settentrionale. Erano gente guerriera, che si distingueva per la natura selvaggia dalle altre stirpi germaniche. L’ingresso dei Longobardi in Italia fu un fatto epocale, su cui purtroppo non sappiamo molto. Tuttavia nel 787 fu redatta la Historia Langobardorum di Paolo Diacono: l’unità territoriale italiana, rimasta tale sotto gli ultimi imperatori e i re barbari, ne fu irreversibilmente infranta, determinando una situazione nuova che si sarebbe poi protratta fino all’epoca moderna. Alboino entrò indisturbato nella Venetia e s’impossessò di Cividale del Friuli, sede di un comando militare bizantino; di qui proseguì verso Aquileia (che cadde senza combattere), quindi di Treviso il cui vescovo fece atto di sottomissione e successivamente a Vicenza, a Verona e a Milano (che cadde nel 569). Quindi, agli inizi del 570 quasi tutta la regione padana compresa fra le Alpi e il Po era stata conquistata, ad eccezione di Pavia, che cadde nel 572. [DISPOSIZIONE DELLE FORZE MILITARI BIZANTINE] Una volta raggiunto il confine alpino, dopo la conclusione delle operazioni militari, i Bizantini hanno costituito almeno 4 ducati di frontiera: i primi due ebbero come centri Forum Iulii e Tridentum (Trento), il terzo fu creato nella regione dei laghi Maggiori e di Como e l’ultimo, a ovest, per proteggere i valichi delle Alpi Graie e Cozie. Per a guardia del confine vennero istituiti reparti di milites limitanei e i soldati furono acquartierati all’interno del territorio, rispettando lo schema bizantino che affiancava all’armata confinaria l’esercito di manovra destinato ad intervenire nei punti minacciati. Qui il comando supremo restò nelle mani del generalissimo Narsete. 1) Nella provincia di Venetia et Histria erano presenti truppe bizantine nel limes che si estendeva a ridosso della pianura friulana. Più all’interno erano in attività almeno 3 reggimenti dell’esercito imperiale, i Persoiustiniani (prigionieri di guerra persiani arruolati nell’esercito bizantino), i Cadisiani (popolazione soggetta ai Persiani) e i Tarvisiani. La presenza di questi ci è nota da:  Epigrafe musiva sul pavimento della chiesa di S.Eufemia (579) che ricorda l’oblazione di un soldato di nome Giovanni  Analoga offerta di un soldato di nome Giovanni e di sua moglie Severina Presenza di soldati bizantini è attestata anche a Padova solo nel 601, ovvero al momento della conquista longobarda operata dal re Agilulfo. Sicura è anche la dislocazione di presidi confinari nella val Beliuna, in particolare nei castelli di Arten e Castelvint. 7  Nel 599 compare per la prima volta un magister militum responsabile dell’Istria.  Nel 592 papa Gregorio I chiese all’esarca di nominare un dux a Napoli.  Un ducato dovette essere poi costituito a Perugia, dove nel 592 era attivo, anche qui, un magister militum.  È da ritenersi che altre circoscrizioni militari siano state istituite in Liguria e in alcune regioni del Meridione. A questi comandi si sarebbero aggiunti nel VII secolo i ducati di Ferrara, Venezia (697 istituzione del primo dux nelle isole della laguna) e Calabria. All’epoca in cui venne istituito l’esarcato comprendeva più o meno 1/3 dell’Italia peninsulare:  Nel Nord-Est della penisola restavano a Bisanzio le zone residue della provincia di Venetia et Histria, con i centri di Trieste e Grado in Istria e, in Veneto, le località della costa assieme ad un modesto entroterra.  Bizantina era anche la Liguria costiera, protetta sui valichi appenninici da una serie di castelli, e tali erano anche una buona parte dei territori che gravitavano sull’attuale Emilia-Romagna.  Il tratto appenninico fra Marche, Umbria e Lazio era contrassegnato dall’itinerario fortificato che in parte seguiva la Flaminia e imboccava la via Amerina per proseguire fino a Perugia e di qui a Orte e a Roma (corridoio bizantino). Questa strada garantiva le comunicazioni tra Roma e l’esarcato.  Possedimenti bizantini di Puglia, Calabria e Basilicata. 3. La contesa per l’Italia Dopo la disastrosa spedizione di Baduario, i Bizantini non affrontarono più i loro nemici in campo aperto e i Longobardi sottrassero all’impero sempre più territori fino a portarlo al collasso nell’VIII secolo. Alle carenze dell’apparato militare suppliva un’attività diplomatica efficace, volta a cercare alleanze esterne o a corrompere i duchi longobardi. L’opinione che si aveva dei Longobardi dal punto di vista militare è chiarita all’interno dello Strategikon (VI-VII sec.), opera di trattatistica militare, del generale Maurizio. Suggestivo l’excursus sui popoli con i quali i Bizantini dovevano confrontarsi, a cui è dedicato il libro XI dell’opera, con una valutazione delle rispettive capacità belliche e una serie di consigli (logoramento con operazioni di guerriglia). 2) L’imperatore Maurizio era molto attento alla situazione italiana e proseguì l’azione diplomatica volta a corrompere i nemici, con risultati positivi, a giudicare dal fatto che alcuni duchi inviarono un’ambasceria a Costantinopoli per chiedere la pace e la protezione dell’impero. Il tentativo più importante comunque fu compiuto per far entrare in guerra i Franchi. [LA BREVE E AMBIGUA ALLEANZA CON I FRANCHI] Nel 583 ambasciatori bizantini raggiunsero in Gallia il merovingio Childeberto II e ne comprarono l’alleanza al prezzo di 50.000 soldi d’oro. L’anno seguente i Franchi scesero in Italia, ma i Longobardi trattarono con loro e si impegnarono a riconoscerne la sovranità e a pagare loro un tributo. Al che i Franchi, accettarono ritirandosi dalla penisola. Scampato il pericolo, i Longobardi decisero di abbandonare l’anarchia e si diedero un nuovo re nella persona di Autari figlio di Clefi (erano soliti eleggere re in caso di guerra). Quest’ultimo cercò di dare al suo potere un aspetto più presentabile agli occhi degli italici vinti, ma non rinunciò comunque alla politica espansionista. L’imperatore bizantino intanto aveva reagito male al voltafaccia del re franco Childeberto II e gli scrisse una lettera in cui lo invitava a rispettare i patti, pretendendo la restituzione del denaro che gli era stato dato. Il re franco non si degnò neppure di rispondere, ma alla fine le forti pressioni imperiali lo convinsero nel 585 a 10 intervenire di nuovo in Italia. Il re però, questa volta, restò in patria e affidò il comando dell’impresa ad alcuni suoi duchi, destinandola così al fallimento: i comandanti franchi altro non fecero che litigare fra di loro. Autari allora riprese l’offensiva contro i Bizantini, sottraendo loro altri territori e così l’esarca fu costretto a firmare una tregua di 3 anni. La guerra riprese alla scadenza per iniziativa dei Franchi: Chidelberto II mise fine ai buoni rapporti che aveva con Autari. Nel 588 un esercito franco arrivò di nuovo in Italia, ma venne sconfitto da Autari e costretto a rientrare in patria. Nel 590, infine, i Bizantini concordarono un’azione congiunta con i Franchi e il re franco inviò un esercito al comando di 20 duchi che si divisero in 3 colonne: nello stesso momento scesero in campo gli imperiali guidati dall’esarca Romano. All’inizio dell’estate i Franchi, arrivati fino a Verona, furono costretti a rientrare a causa della dissenteria. L’esarca ravennate però non condivise questa versione dei fatti e scrisse all’imperatore che il duca franco, accampato in prossimità di Verona, aveva tradito accordandosi con Autari ed era quindi mancato al ricongiungimento con gli imperiali. Chiedeva poi un nuovo intervento prima dell’autunno e di liberare i prigionieri italici che i Franchi, in spregio ai patti, si erano portati via nel loro intervento nella penisola. L’appello rimase inascoltato e i Bizantini rinunciarono definitivamente alla collaborazione militare con i Franchi. [AGILULFO, GREGORIO I, ARIULFO E ARICHIS] Il 590 e il successivo furono anni di svolta per la storia dell’Italia bizantina. Il re Autari, morto nel 590, venne sostituito dal duca di Torino Agilulfo che ne sposò la vedova Teodolinda e ottenne nel maggio 591 l’investitura dai capi longobardi. Venne proclamato anche un nuovo papa: Gregorio I. I grandi ducati longobardi di Spoleto e Benevento passarono in mano a forti personalità: Ariulfo a Spoleto e Arichis a Benevento. L’avvento di papa Gregorio Magno coincise con l’aumento della pressione longobarda sui territori dell’Italia centrale e meridionale. Di fronte all’inerzia delle autorità imperiali, in più occasioni il pontefice si assunse personalmente l’onere di soccorrere le popolazioni vessate dai nemici. A volte si spinse anche più in là, svolgendo funzioni pubbliche (es. disposizione delle forze militari, nomina di comandanti di città, conclusione della pace con i nemici). Tra 590 e 591 i longobardi saccheggiarono Fano, Minturno e Tauriana in Calabria, ma dal punto di vista del pontefice la minaccia minore pesava però su Roma. Perciò Gregorio I diede istruzioni ai generali bizantini che operavano fuori dall’Urbe, ma non poté evitare la catastrofe nel 592 quando Roma venne assediata dal duca di Spoleto. La richiesta di aiuto a Ravenna cadde nel vuoto e il papa trattò direttamente con Ariulfo, al quale venne pagata una somma di denaro attinta dal tesoro papale allo scopo di interrompere l’assedio a Roma. [RAPPORTO TRA PAPATO ED ESARCATO] Il papa si rendeva conto dell’impossibilità di contenere la guerra per bande dei Longobardi e aspirava a concludere una pace duratura. Di tutt’altra opinione era l’esarca Romano, per il quale il papa aveva una decisa antipatia, che ragionava come un militare. verso la fine del 592, senza avvertire il papa, Romano partì da Ravenna con le sue forze, raggiunse via mare Roma dove prelevò dei soldati e andò a sbloccare il corridoio viario interrotto dai Longobardi di Spoleto. Il suo intervento sospese le trattative avviate da Gregorio I e provocò a tal punto i nemici che nel 593 il re Agilulfo in persona si mosse da Pavia per andare ad assediare Roma. Romano non si mosse da Ravenna e ancora una volta l’onere maggiore ricadde sul papa, che convinse il re a ritirarsi al prezzo di 500 libbre d’oro. [IL CONFLITTO PROCEDE] Nel 954 Capua venne presa dai Longobardi meridionali e il clero riparò a Napoli. Era troppo per il papa, che fece di tutto per trovare un accordo con gli invasori. Romano poi venne a più miti consigli chiedendo un armistizio ad Agilulfo. Il successore di Romano, Callinico, riuscì a concludere un armistizio biennale, dovuto soprattutto agli sforzi del papa e della regina Teodolinda, che aveva influito sul marito. I Bizantini nel 11 frattempo avevano avviato la controffensiva nel Piceno longobardo riconquistando una porzione di territorio che si estendeva fino a Osimo. Alla scadenza della tregua, Callinico catturò la figlia di Agilulfo, portandola a Ravenna, ma fu un errore perché Agilulfo portò l’assedio a Padova distruggendola nel 601. Allora Callinico venne rimosso e sostituito da Smaragdo, che nulla poté fare per opporsi all’attacco longobardo: nel 603 caddero Cremona, Mantova e il castello di Vulturina. Smaragdo cedette restituendo i prigionieri reali e concludendo una tregua biennale (603-605), durante la quale il papa morì. S’infrangevano così i suoi sogni di arrivare ad una pace duratura. [TEMPO DI TREGUA?] Nel 605 i Longobardi occuparono Orvieto e Bagnoregio e in novembre Smaragdo concluse una nuova tregua di un anno al prezzo di 12.000 solidi. La tregua fu rinnovata per altri 3 anni e alla fine durò fino al 616. Alla tranquillità esterna fece da contraltare un’instabilità interna dovuta al crescente allentamento dell’autorità bizantina in Italia. Verso il 615 l’esarca Giovanni venne ucciso a Ravenna. Nello stesso periodo un certo Giovanni di Conza s’impadronì di Napoli, di cui si dichiarò signore. L’imperatore allora in carica, Eraclio, reagì inviando come nuovo esarca l’eunuco Eleuterio, che tolse di mezzo Giovanni di Conza. A questo punto Eleuterio pensò stranamente di farsi proclamare imperatore d’Occidente: il disegno però fallì ed Eleuterio venne ucciso dai soldati lealisti mentre si recava a Roma per essere incoronato dal papa. [I LONGOBARDI SI ESPANDONO SU LARGA SCALA] I Longobardi ripresero l’espansione su larga scala con l’avvento al trono del re Rotari nel 636, di fronte al quale si trovò l’esarca Isacio. Come prima mossa Rotari liquidò gli ultimi possedimenti bizantini nella terraferma veneta (639). Poi nel 643 lanciò un attacco all’esarcato al fine di impossessarsi di Ravenna, ma non vi riuscì. Fu poi la volta della Liguria, sottomessa interamente. Caddero così in mano longobarda Genova, Albenga, Varigotti, Savona e Luni, distrutte fino alle fondamenta. Nello stesso periodo i Longobardi di Benevento si impossessarono di Salerno e devastarono Nocera. Seguirono 20 anni di calma finché, nel 663, l’imperatore Costante II sbarcò a sorpresa a Taranto con un grande esercito. Egli aggredì il ducato di Benevento e si recò ad assediare la capitale. Il duca Romualdo resistette e chiese aiuto al padre, il re Grimoaldo. A quel punto Costante II preferì evitare lo scontro e venne a patti con Romualdo riparando poi a Napoli: durante la marcia il suo esercito subì una sconfitta ad opera dei Longobardi di Capua. A questo punto l’imperatore rinunciò ad affrontare di nuovo i nemici. Verso il 680 intervenne un fatto nuovo: un trattato di pace tra Bisanzio e il regno longobardo, con il quale per la prima volta l’impero riconosceva ai Longobardi il possesso del territorio conquistato. Si realizzava così, dopo molti decenni, il sogno di san Gregorio Magno. Da questo momento, a parte una furiosa repressione ordinata a Ravenna da Giustiniano II nel 710, non si ebbero grandi fatti di sangue. Il potere degli esarchi però s’indeboliva di continuo e il controllo dell’Italia imperiale sfuggiva sempre di più dalle loro mani.  Verso il 687 il duca Romualdo attaccò i possedimenti imperiali in Puglia impossessandosi di Taranto e Brindisi. Restavano ai Bizantini soltanto l’estremità della penisola salentina, con Otranto e Gallipoli, e la Calabria meridionale.  Ancora attorno al 702 Gisulfo I duca di Benevento investì il ducato romano prendendo Sora, Arpino e Arce, spingendosi poi fino a poca distanza da Roma. Il papa, terrorizzato, gli inviò sacerdoti con ricchi doni e Roma così fu salva.  Nel 711 il duca di Spoleto Faroaldo II conquistò Classe mettendo così in pericolo Ravenna. L’esarca ravennate a quanto pare non fece nulla; intervenne però il re Liutprando (re dei Longobardi) che ingiunse al duca di restituire la città all’esarcato. 12 il patriarca di Costantinopoli Sergio propose una variazione sul tema, con il monotelismo, che attribuiva al Cristo due nature e un’unica volontà. In questo modo si pensava di accontentare sia i monofisiti sia i duofisiti. L’imperatore avvallò la nuova formulazione ufficializzandola nel 638 con l’editto Ekthesis. Ma quest’ultima venne respinta tanto dagli uni quanto dagli altri, in particolare da Roma. L’idea dell’autonomia religiosa dei papi non rientrava nell’ottica dei sovrani di Bisanzio e Isacio (esarca) ebbe il compito di soffocare l’opposizione senza tuttavia agire troppo apertamente per non rivelare il vero intento della sua missione. L’occasione gli fu offerta dal ritardo della paga della guarnigione romana. Il chartularius Maurizio (governatore di Roma) nel 640 aizzò i soldati contro il nuovo pontefice Severino accusandolo di aver occultato le paghe venute da Costantinopoli e questi, irati, assalirono l’episcopio lateranense. Il clero fece resistenza, ma dopo qualche giorno i Bizantini riuscirono ad entrare. Il chartularius scrisse quindi ad Isacio e l’esarca si recò a Roma, entrando in Laterano ed esportandone ogni ricchezza per almeno 8 giorni. [L’EDITTO DI COSTANTE II] Il peggio per Roma doveva ancora arrivare: nel 648 Costante II emanò il Typos, un editto in materia di fede che aboliva l’Ekthesis e vietava ogni discussione sulla controversa questione religiosa. La sede romana non lo accettò e nel 649 papa Martino I convocò un sinodo in Laterano il cui esito fu la condanna dei due editti religiosi. La reazione di Costantinopoli fu brutale: il nuovo esarca Olimpio venne inviato in Italia con l’ordine di far accettare il Typos al clero italiano. Quando però arrivò in Italia Olimpio trovò un clima ostile e, dopo aver cercato di eseguire l’ordine, si schierò prudentemente con il più forte e si proclamò indipendente da Costantinopoli. Il successore di Olimpio, Teodoro Calliopa, nell’anno successivo portò a termine l’incarico di arrestare il papa, il quale fu portato a Costantinopoli. Qui venne giudicato davanti al senato come reo di aver appoggiato la ribellione di Olimpio, mentre non si fece cenno alla questione religiosa. Martino I venne esiliato a Cherson, in Crimea. L’arresto di Martino I riuscì a stroncare ogni opposizione del papato e i suoi successori mostrarono una sostanziale sottomissione alla volontà imperiale. [NUOVO CONCILIO E E GIUSTINIANO II] Nel 691-692 si tenne a Costantinopoli un nuovo concilio le cui decisioni furono in contrasto con la linea dottrinale seguita da Roma. Papa Sergio I si oppose e l’imperatore Giustiniano II spedì subito a Roma un suo funzionario con il compito di arrestare il papa e tradurlo a Costantinopoli. Quando l’inviato dell’imperatore arrivò a Roma, gli eserciti della regione ravennate, della Pentapoli e di altre circoscrizioni insorsero marciando sulla città. I rivoltosi non se ne andarono dal palazzo finché l’inviato di Giustiniano II non fu allontanato. Si toccava così con mano, per la prima volta, il completo sfaldamento dell’autorità bizantina in Italia, con una caduta ampia della disciplina militare che rendeva ormai impossibile il raggiungimento di obiettivi politici attraverso l’uso della forza. [LE CONTROVERSIE DELL’VIII SECOLO] Nel secolo successivo i papi si opposero ancora di più a Bisanzio e i sovrani misero vanamente in atto. Verso il 724-725 Gregorio II si oppose alla politica fiscale di Leone III, che cercò due volte di farlo uccidere, ma senza riuscirvi. Quando poi sorse la controversia, lo stesso tentativo fu fatto nel 726 dal duca di Campania ed Eutichio ebbe dall’imperatore il medesimo incarico. Da Napoli, dove si era fermato, Eutichio inviò a Roma un suo agente, latore di una lettera con cui si ordinava l’assassinio del pontefice. Il piano non andò a buon fine perché l’inviato dell’esarca fu scoperto e condannato a morte dai Romani, ma fu salvato all’ultimo dall’intervento del papa. 15 Il potere effettivo era ormai passato alla sede romana e, una volta scomparso il dominio bizantino a Ravenna, papa Stefano II con grande spregiudicatezza ricorse all’alleanza con i Franchi contro i Longobardi, che minacciavano i suoi domini. Nel 752 arrivò a Roma un’ambasceria bizantina per intimare al papa e a re Astolfo di restituire l’esarcato. Nel frattempo il papa supplicò Costantino V di liberare Roma e l’Italia, ma di fronte all’inerzia di Costantinopoli maturò un progetto rivoluzionario , prendendo contatto con il re dei Franchi Pipino il Breve e chiedendo il suo aiuto contro i Longobardi che premevano su Roma. All’inizio del 754 il papa ebbe con Pipino l’incontro di Ponthion, in cui riconobbe il regno stabilito da lui in Francia in cambio dell’impegno del re a intervenire in Italia e a consegnare ampi territori alla sede romana. III. BISANZIO NELL’ITALIA MERIDIONALE 1. La dissoluzione dei domini imperiali La fine dell’esarcato ebbe come conseguenza la dissoluzione di gran parte dei domini bizantini in Italia.  Nel Nord l’impero manteneva nominalmente il controllo su Venezia, mentre l’Istria (caduta in mano longobarda) fu recuperata nel 774 per poi essere perduta di nuovo a vantaggio dei Franchi.  Nel centro-sud il ducato di Roma era passato sotto il dominio dei papi, a differenza di quello di Napoli che restò ancora nell’orbita dell’impero. Da quest’ultimo però presero a svincolarsi gradualmente i centri di Amalfi e di Gaeta.  Dopo l’827, quando gli Arabi invasero la Sicilia, la città di emancipò sempre di più adottando anche una propria politica estera. [BIZANTINI, PAPATO, FRANCHI] In questi stessi anni prese corpo lo stato della chiesa, creato territorialmente sulle rovine di ciò che era stato bizantino. L’accordo di Ponthion fra papa Stefano II e il re Pipino aveva segnato di fatto l’inizio della fine del regno longobardo ed ebbe ripercussioni anche sul residuo dominio bizantino: nel 756 Pipino scese una seconda volta in Italia e sconfisse il re dei Longobardi Astolfo, imponendogli la cessiona “a San Pietro e alla chiesa romana” di numerose città già bizantine. Il tutto fu fatto a dispetto dei Bizantini, sicché quando il re franco stava tornando in patria arrivarono a Roma 2 ambasciatori di Costantinopoli: uno dei due promise al re franco un consistente donativo se avesse restituito Ravenna e altri domini. Pipino non si lasciò convincere e la missione diplomatica fallì. L’epilogo si ebbe nel 774 allorché Carlo Magno, rispondendo all’appello di papa Adriano, scese in Italia per combattere i Longobardi, che non rispettavano i patti sottoscritti. I Longobardi furono sconfitti e il re Desiderio fu fatto prigioniero. Finiva così il loro regno che venne aggregato a quello franco. Inoltre, nello stesso anno a Roma, Carlo Magno depose solennemente sulla tomba di san Pietro un diploma di donazione di località italiane, che ampliava quella già fatta da suo padre Pipino. [IL DOMINIO BIZANTINO NELL’ESTREMO SUD] Il dominio imperiale sull’estremo Sud della penisola, in seguito alle conquiste longobarde, si era ridotto :  Verso il 751 alla regione montana del centro e del sud della Calabria e a un residuo territorio in terra d’Otranto ristretto solo a Gallipoli.  Diversa fu la sorte delle isole maggiori: la Sardegna prese ad emanciparsi sempre di più da Bisanzio. L’isola aveva avuto una duplice amministrazione civile e militare, ma l’istituzione dell’esarcato africano aveva portato ad una progressiva affermazione dell’autorità militare e per un certo periodo l’isola fu oggetto delle mire dei Longobardi. Dopo la caduta dell’esarcato d’Africa (698) la Sardegna fu probabilmente aggregata assieme alla Corsica all’amministrazione italiana e negli anni 16 successivi dovette affrontare le incursioni arabe. In seguito al manifestarsi di questo nuovo pericolo, per meglio garantire la difesa fu modificato il sistema di governo con l’adozione di un comando unico rappresentato dallo iudex provinciae, che aveva sede a Cagliari e che rappresentava la più alta autorità isolana. Nel secolo successivo maturò poi un processo di indipendenza dal governo di Costantinopoli che non era in grado di garantire la sicurezza della lontana provincia. Tale processo arrivò a compimento nella seconda metà del IX secolo, quando in Sardegna si costituirono stati locali autonomi, i giudicati, senza più alcun vincolo con l’impero.  La Sicilia, già sede sotto Giustiniano di un governo autonomo, sotto Giustiniano II fu elevata al rango di tema comandato da uno stratego con sede a Siracusa. Quest’ultimo era nominato dal governo centrale. A questo nuovo sistema si legava poi l’istituzione dei soldati-coloni, tenuti a prestare servizio militare in cambio della concessione di terre da coltivare. Dallo stratega di Sicilia, al momento della caduta di Ravenna dipendevano l’intera isola e residui possedimenti in Puglia e in Calabria. [IL CONFLITTO TRA ARABI E BIZANTINI PER IL DOMINIO DELLA SICILIA] La Sicilia non ebbe problemi fino all’827, quando gli Arabi provenienti dalla Tunisia sbarcarono a Mazara. L’emiro Ziyadat Allàh aveva dato seguito alle richieste di un losco ufficiale bizantino che mirava a costituirsi un dominio personale con l’appoggio degli Arabi. Infatti, un mese più tardi gli invasori si scontrarono con i Bizantini e li misero in fuga. Nonostante questo successo, tuttavia, la loro conquista fu molto lenta e difficile. Conquistarono numerosi centri e andarono ad assediare Palermo che capitolò nell’831 e divenne la loro capitale. Arrivarono, nell’839, a dominare l’intera parte occidentale dell’isola. I Bizantini reagirono inviando a più riprese corpi di spedizione senza però ottenere grandi risultati, così anche Siracusa fu costretta a capitolare nell’878. A questo punto i ¾ dell’isola erano in mano agli Arabi e l’imperatore Basilio I mise in campo una grande flotta affidandone il comando all’ammiraglio Nasar che ottenne un grande successo sui nemici a Milazzo (880). Nel 901 però il comandante arabo Abu Ishàq Ibrahìm II ottenne un vistoso successo impossessandosi di Reggio. Il destino dell’isola era ormai segnato e si consumò con la presa di Taormina nel 902. 2. Bisanzio nel Sud della penisola [IL DUCATO DI BENEVENTO] Una volta liquidato il regno longobardo, le ambizioni di Carlo Magno si estesero sul ducato di Benevento. Il duca Arechi II cercò di destreggiarsi tra i Bizantini, i Franchi e la chiesa: così, quando Carlo Magno gli impose la propria sovranità, si rivolse a Bisanzio in cerca di aiuto. A Costantinopoli regnava allora Costantino VI, ma di fatto il governo reale era nelle mani della madre Irene, che alcuni anni più tardi si sarebbe sbarazzata del figlio facendolo accecare e diventando così la prima imperatrice bizantina. Irene aveva seguito all’inizio una politica di amicizia con i Franchi acconsentendo al fidanzamento di suo figlio con Rotrunde, figlia di Carlo Magno, ma in seguito decise di intervenire a favore di Arechi II e avviò una trattativa che prevedeva di riportare sul trono di Pavia Adelchi (cognato di Arechi) in cambio del riconoscimento della sovranità imperiale – Arechi avrebbe ottenuto la dignità di patrizio e il ducato di Napoli. Quando però nel 787 giunse a Benevento un’ambasceria imperiale, Arechi II era morto e il figlio Grimoaldo III, suo successore, dovette adeguarsi alla politica di Carlo Magno. Le forze imperiali quindi furono affrontate nel 788 da Longobardi e Franchi coalizzati e subirono una grave sconfitta. Sebbene fosse stato costretto al vincolo di vassallaggio, Grimoaldo III si affrancò presto dalla soggezione di Carlo Magno riuscendo a mantenere l’indipendenza del principato. I Bizantini invece non ebbero più la forza di riprendere l’iniziativa. Carlo Magno nell’882 tentò un’impossibile riconciliazione con Bisanzio 17 Nel 968 Ottone I passò all’azione: penetrò in Puglia e assediò Bari, ma dopo poco tempo tolse l’assedio e si diresse verso nord. Venne quindi a più miti consigli e spedì a Costantinopoli come suo ambasciatore il vescovo di Cremona Liutprando con l’incarico di combinare un matrimonio fra il figlio di Ottone e una principessa imperiale. Ma Liutprando non ottenne i risultati sperati e nel frattempo Ottone aveva ripreso le ostilità, nel 970 devastò il territorio napoletano per poi ricongiungersi ai suoi in Puglia e andare ad assediare Bovino. La guerra tra Bizantini e Tedeschi andava avanti senza soluzione di continuità ma senza nessun risultato. Il successore di Niceforo II Foca, Giovanni I Zimisce, si mostrò più disponibile a trattare. Nel 972 ebbe luogo il matrimonio fra Ottone il giovane e la bizantina Teofano. Sul piano politico inoltre si stabilì che Capua e Benevento sarebbero rimaste nell’orbita dell’impero d’Occidente, mentre per parte sua Ottone I rinunciava ad ogni pretesa sul Meridione d’Italia. [OTTONE II, I BIZANTINI, GLI ARABI E LA PRESUNTA DIFESA DELLA CRISTINITÀ] Negli anni che seguirono, il Meridione continuò a subire le incursioni arabe, ma un nuovo e più grande pericolo si stava di nuovo profilando da parte dell’impero germanico, quando nel 982 Ottone II, seguendo l’esempio del padre, attaccò le regioni bizantine con il pretesto di difendere dagli Arabi le terre cristiane. I Bizantini fecero resistenza passiva chiudendosi nelle loro città fortificate e lo lasciarono scendere fino in Calabria, dove nello stesso anno subì una sconfitta a Crotone. Questa disfatta avvantaggiò il governo bizantino nel confronto con gli Arabi. La morte dell’emiro nella stessa battaglia in cui fu sconfitto l’imperatore germanico e il ritiro in Sicilia delle forze arabe concessero qualche anno di respiro ai temi italiani. Fu una tregua breve perché già nel 986 ripresero le incursioni, la più clamorosa delle quali si ebbe nel 1002 con l’assedio di Bari per terra e per mare. Questo assedio durò finché arrivò una flotta veneziana comandata dal doge Pietro III Orseolo che in pochi giorni liberò la città. l’intervento a Bari offrì a Venezia la possibilità di instaurare buoni rapporti con l’impero bizantino: la città lagunare venne ricompensata con un importante matrimonio diplomatico e la dignità imperiale di patrizio per Giovanni Orseolo (figlio del doge in carica). Anche questa vittoria non mise però fine agli attacchi saraceni, oltre alle usuali turbolenze dei sudditi. La più grave di queste ebbe luogo nel 1009, sotto la reggenza del catepano Giovanni Kurkuas, a opera di un nobile barese di nome Melo. [LA RIVOLTA DI MELO E LE SUE CONSEGUENZE: I NORMANNI] La rivolta di Melo introdusse in Italia meridionale i Normanni, come mercenari a suo soldo: costoro sarebbero arrivati in numero sempre maggiore fino a cacciarne i Bizantini. La rivolta fu domata a fatica dagli imperiali e si trascinò fino al 1018. Da questo momento i Normanni si sbandarono e Melo riuscì a fuggire per raggiungere la Germania con l’intenzione di spingere l’imperatore Enrico II a intervenire in Italia meridionale. La cosa non ebbe seguito perché Melo morì poco dopo a Bamberga. La fine della rivolta di Melo portò a un consolidamento dell’autorità imperiale nell’Italia meridionale, a opera soprattutto del catepano Basilio Boioannes, il vincitore dei Normanni. Sulla scia di questo risultato Basilio riuscì inoltre a riportare ancora una volta nell’orbita bizantina i principati longobardi. Per proteggere il territorio imperiale vennero poi costruiti alcuni centri fortificati, di cui il più importante fu la cittadina di Troia. Il successo maggiore ottenuto dal catepano fu però l’estensione della sovranità sul principato di Capua. Il prestigio dell’impero in Italia ne guadagnò notevolmente, ma si ebbe una reazione contraria da parte delle potenze minacciate dall’espansione bizantina: il papato e l’impero germanico. [REAZIONE DI PAPATO ED IMPERO GERMANICO ALL’ESPANSIONE BIZANTINA] 20 Enrico II, sostenuto da papa Benedetto VIII, scese in Italia nel 1021 con un esercito di 60.000 uomini e l’anno successivo attaccò il Sud, ma alla fine dovette ritirarsi a causa del fallimento dell’operazione. Il fatto d’armi più notevole fu l’inutile assedio di Troia (1022) i cui abitanti resistettero. In quegli anni Bisanzio era arrivata con Basilio II al massimo della potenza. Questo sovrano era intenzionato a riprendere la lotta contro gli Arabi in Sicilia, possibilmente con l’aiuto navale veneziano. A tal fine nel 1025 Oreste fu inviato in Italia con un forte esercito per attaccare la Sicilia con il concorso del catepano Boioannes – l’operazione fallì. Alla morte di Basilio II, salì al trono Costantino VIII, il quale non si curò di proseguire l’opera con la stessa energia. Nel 1028 il catepano lasciò il governo e con lui iniziò un’irreversibile decadenza. Il clima era cambiato anche a Costantinopoli e dopo la morte di Basilio II, ebbe inizio la decadenza dell’autorità centrale. Gli Arabi tornarono all’attacco nel 1029, ma nel 1035, dopo un accordo con l’emiro siciliano e l’imperatore Michele IV, le loro incursioni cessarono definitivamente. [ARRIVANO I NORMANNI] Una nuova e più grande tempesta si stava addensando sui domini bizantini, dovuta all’arrivo in forze dei Normanni. Nel 1030 erano riusciti ad ottenere un primo insediamento stabile con la concessione della contea di Aversa da parte del duca di Napoli. Così l’attacco ai possedimenti bizantini divenne inevitabile e l’occasione venne fornita dall’ennesima ribellione scoppiata in Puglia.  Un avventuriero milanese, Arduino, pensò di servirsi del loro aiuto per realizzare un vantaggio personale. Si recò quindi ad Aversa, dove prese contatto con i Normanni, i quali gli fornirono 300 uomini. Nel 1040 entrarono a Melfi prendendone possesso. Gli abitanti delle località vicine chiesero aiuto al catepano Michele Dokeianos che accorse in loro aiuto in Puglia. Il catepano arrivò con un grosso esercito e nel 1041 affrontò i nemici, ma le forze imperiali vennero travolte.  Michele Dokeianos subì una nuova sconfitta presso Montemaggiore sulle rive dell’Ofanto. Così Costantinopoli lo rimosse dall’incarico e il comando venne affidato a un altro Boioannes, il quale fu a sua volta sconfitto e fatto prigioniero. Queste 3 disfatte consecutive segnarono l’inizio della fine per l’Italia bizantina. Inoltre il nuovo sovrano di Costantinopoli, Costantino IX Monomaco, adottò una politica estera rinunciataria. Nel 1071 finiva, dopo cinque secoli e mezzo, la storia del dominio di Costantinopoli nelle penisola italiana. Nel secolo successivo, sotto il regno di Manuele I Comneno, i Bizantini avrebbero fatto un ultimo tentativo per riprendersi l’Italia. Ancora in guerra con i Normanni, nel 1155, gli imperiali attaccarono la Puglia giungendo alle porte di Taranto. La controffensiva normanna li mise però in seria difficoltà e nel 1158 furono costretti a venire a patti e ad evacuare la penisola. 3. Memorie dell’Italia bizantina Leggere da p.92 a p.104 IV. VENEZIA E BISANZIO 1. Le origini di Venezia Venezia è ancora oggi una città molto complicata e tale è la storia delle sue origini. Il motivo è tecnico: le fonti sono poche e gli storici locali scrivono molto tardi rispetto agli avvenimenti.  La più antica fonte narrativa di cui disponiamo, l’Istoria Veneticorum di Giovanni Diacono, risale a poco dopo il Mille.  Mentre la cronaca nota come Origo civitatum Italiae seu Venetiarum si data fra XI e XII secolo. 21  Più tarda ancora è la Chronica extensa del doge Andrea Dandolo, composta nel Trecento, che rappresenta la prima storia ufficiale di Venezia. Le opere storiche di provenienza veneziana presentano inoltre una caratteristica del tutto peculiare che consiste nella mitizzazione dell’origine della città, legandola a eventi leggendari e tacendo sulla dipendenza da Bisanzio, che feriva l’orgoglio civico al tempo in cui vennero scritte. L’unica cosa certa è che Venezia nacque bizantina e tale si mantenne per alcuni secoli. I Veneziani elaborarono già nel X secolo una leggenda secondo cui la loro città sarebbe stata fondata in un luogo deserto al tempo dell’invasione di Attila, quando cioè nel 452 il re unno devastò la terraferma veneta distruggendo Aquileia. Ma la verità era un’altra: le isole in cui si sarebbe formata Venezia erano abitate già in epoca romana – significativa è in proposito una lettera di Flavio Aurelio Cassiodoro, il romano che fu ministro dei re ostrogoti e a cui si deve una descrizione della laguna nel 537-38. La nascita di Venezia fu un processo lento iniziato nella seconda metà del VI secolo e protrattosi fino almeno al IX secolo. Anche se erano abitate, le lagune continuavano a restare un elemento secondario rispetto alle città della terraferma che erano fiorite in epoca romana. Tra queste la principale era Aquileia; venivano poi Oderzo, Concordia, Altino, Padova e Treviso, la cui importanza era cresciuta quale centro militare all’epoca della dominazione ostrogota. Tutti questi centri avevano in comune la presenza di collegamenti fluviali con il mare. [ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA] Le città legate alla nascita di Venezia facevano tutte parte della provincia di Venetia et Histria, costituita come decima regione dell’Italia romana al tempo dell’imperatore Augusto e divenuta provincia quando Diocleziano nel III secolo aveva riformato l’ordinamento amministrativo. La regione era così chiamata dalle due popolazioni preminenti, i Veneti [= “degni di lode” in greco] e gli Histri e si estendeva fino al fiume Adda nell’attuale Lombardia. La storia di Venezia bizantina inizia al tempo della guerra gotica: la provincia verso il 540 fu sottomessa dagli imperiali; poi durante la controffensiva ostrogota degli anni ’40 venne spartita tra questi, i Goti e i Franchi per tornare sotto l’impero nel 556. L’invasione longobarda spezzò l’unità territoriale della regione veneta dove, nella parte orientale, restarono per qualche tempo ai Bizantini soltanto Padova, il castello di Monselice, Oderzo, Altino e Concordia. Le autorità ecclesiastiche temevano inoltre queste genti (longobardi), ancora in maggioranza pagane o di fede ariana: così il primo a dare l’esempio fu il patriarca di Aquileia, Paolino, che con il tesoro della chiesa si spostò in laguna nel vicino castello di Grado. Il nuovo assetto amministrativo conseguente alla creazione dell’esarcato investì anche l’area veneto- istriana. In generale, si tende a ritenere che l’area veneta abbia avuto almeno a partire dal VII secolo un proprio duca con sede a Oderzo, il quale in seguito si sarebbe trasferito in territorio lagunare. La regione veneta, sebbene agitata dallo scisma dei Tre Capitoli che portò a un forte contrasto tra Roma e la sede ecclesiastica di Grado-Aquileia, restò un fronte secondario per molti anni, se si accettua la spedizione la spedizione dell’esarca Romano che nel 590 condusse alla riconquista di Altino. Le cose però precipitarono nel 601 quando il re Agilulfo s’impossessò di Padova e poi di Monselice. La presenza imperiale si riduceva così a Concordia, Altino e Oderzo, ugualmente destinati a cadere rispettivamente nel 616 e nel 639. Buona parte della popolazione prese dunque la via delle lagune e s’insediò in un’ampia fascia costiera che andava dai lidi di Grado fino a quelli di Chioggia. Non abbiamo idee chiare su questi spostamenti, ma possiamo affermare che il più importante riguardò il trasferimento dei quadri amministrativi di Oderzo verso la città di Eraclea, fondata in quegli anni per volontà dell’imperatore Eraclio. Era questo dunque l’esito di un processo storico iniziato con l’invasione longobarda, che si concludeva con la nascita di una nuova realtà lagunare costituita da un’amministrazione bizantina al governo di una specie di federazione di isole destinate a dar vita alla futura città di Venezia. 22 navi che arrivavano a Costantinopoli. ORA, al contrario furono autorizzati a commerciare in pressoché tutto l’impero senza pagare tasse né essere soggetti a controlli. Il documento venne emesso in originale greco e traduzione latina e affermava che: 1) Il doge otteneva a titolo perpetuo la dignità di protosevasto con il relativo stipendio, mentre ai patriarchi di Grado veniva concesso alle stesse condizioni quello di ypertimos. Creando il primo di questi, Alessio Comneno intendeva alimentare la rivalità tra il patriarca di Grado e papa Gregorio VII, amico dei Normanni. 2) Le elargizioni in denaro comprendevano un versamento annuale di 20 libbre d’oro che i Veneziani potevano distribuire a piacimento nelle loro chiese. 3) Veniva imposto ad ogni amalfitano proprietario di una bottega a Costantinopoli o in altri territori dell’impero di versare annualmente 3 monete d’oro alla chiesa di San Marco a Venezia. 4) Assegnazioni immobiliari: a Costantinopoli i Veneziani ottennero un quartiere lungo il Corno d’oro comprensivo di 3 scali marittimi e un forno con la rendita relativa; a Durazzo la chiesa di Sant’Andrea. 5) Facoltà di vendere o acquistare ogni genere di merce senza pagare alcuna tassa, né essere sottoposti a requisizioni o all’autorità dei funzionari marittimi. Diritto valido per i territori che andavano dalla Siria alle estreme province occidentali (32 località in tutto) – non erano quindi compresi i porti del Mar Nero e le isole di Creta e Cipro. V. L’INVADENZA DELL’OCCIDENTE 1. Due mondi lontani [IL DISSIDIO RELIGIOSO TRA ROMA E BISANZIO] Il secolare contrasto con la chiesa di Roma si avvicinò allo scisma nel IX secolo con l’avvento al trono patriarcale di Costantinopoli dell’erudito Fozio: la sua opera principale, la Biblioteca, una serie di riassunti e commenti di 279 testi greci di vario argomento. Nell’858 egli fu scelto come nuovo patriarca da Teodora, reggente dell’impero per conto del minore Michele III, nonostante fosse un laico. L’ex patriarca Ignazio andò a Roma per lamentare il trattamento subito: papa Nicolò I gli diede ascolto e convocò un sinodo che non riconobbe l’elezione di Fozio dichiarandola illegittima, dato che era stato imposto da Barda (zio dell’imperatore che aveva costretto alla rinuncia il precedente patriarca). Fozio, appoggiato da Barda e l’imperatore, entrò in conflitto con papa Nicolò I e convinse gli ambasciatori a lui inviati da Roma a ritenere legittima la sua elezione. Il papa dichiarò deposto Fozio nell’863, ma Michele III si schierò a favore del patriarca. Fozio a sua volta attaccò la chiesa di Roma sul piano dottrinale: un sinodo riunito a Costantinopoli nell’867 scomunicò il papa, condannò come eretica la dottrina romana e respinse come illegali le intrusioni romane nelle questioni della chiesa bizantina. Si sarebbe probabilmente arrivati allo scisma, ma Michele III fu deposto e il nuovo imperatore Basilio I cambiò politica religiosa. Il sovrano fece rinchiudere Fozio e richiamò Ignazio, riappacificandosi con Roma. In seguito, tuttavia, deluso dalla sua precedente politica ecclesiastica, Basilio I fece tornare a corte Fozio che salì sul trono patriarcale nell’877 e questa volta venne riconosciuto da Roma. [LO SCISMA] La partita era tuttavia solo rimandata perché lo scisma ebbe luogo nel 1054 segnando il punto di arrivo del contrasto tra Roma e Costantinopoli. Sul soglio di Pietro si trovava allora papa Leone IX, esponente del monachesimo riformato di Cluny, sostenuto dal cardinale Umberto, fiero avversario di 25 Bisanzio, mentre a Costantinopoli era patriarca Michele Cerulario e sul trono sedeva il debole Costantino IX Monomaco. Punti di dissidio:  Dottrina della duplice processione dello Spirito santo  Digiuno del sabato  Matrimonio dei preti  Uso di diversi tipi di pane nella comunione Nel 1054 arrivò a Costantinopoli un’ambasceria romana guidata dal cardinale Umberto con la scomunica per Michele Cerulario e i suoi seguaci: questi, però, con l’appoggio del suo sovrano, convocò un sinodo che scomunicò i legati romani. [LA DIPLOMAZIA TRA BISANZIO E L’OCCIDENTE] A parte i contrasti religiosi, l’impero di Bisanzio restava agli occhi dell’Occidente un mondo lontano e misterioso, ma sostanzialmente diverso e ostile nella percezione dei governanti dell’Europa feudale. Quando era all’apice della potenza, all’epoca dei Macedoni, tra IX e XI secolo, nessuna potenza occidentale ebbe l’ardire di assalirlo direttamente e non avrebbe, anche volendo, avuto i mezzi per farlo. Vi era invece un’intensa attività diplomatica tra Oriente e Occidente, di cui troviamo testimonianza nell’opera di Liutprando da Cremona. Egli ci ha lasciato la descrizione di due ambascerie a Costantinopoli: la prima ebbe luogo nel 949 per conto di Berengario II (marchese di Ivrea) e la seconda nel 968 allorché Liutprando si recò da Niceforo II Foca per conto dell’imperatore Ottone I. La descrizione della seconda ambasceria è contenuta nel sesto e ultimo libro dell’Antapodosis, una storia di re e di imperatori del IX e X secolo. L’interesse per Bisanzio nell’opera, scritta fra il 958 e il 962, non è limitato a questo episodio perché l’autore di mostra attento anche alle vicende della corte. Si colgono infatti frequenti accenni al Gran Palazzo - attenzione che aveva solide motivazioni personali: tanto il padre quanto il patrigno dello storico erano stati ambasciatori a Costantinopoli. Il primo vi si recò nel 927 come inviato di Ugo di Provenza presso Romano I Lecapeno. Il secondo vi andò nel 942 per combinare le nozze tra la figlia di re Ugo di Provenza e Romano, figlio di Costantino VII. Liutprando, a sua volta, avvertiva il fascino della cultura greca e quando andò per la prima volta nella capitale aveva 29 anni, era un diacono e prestava la sua opera a Pavia alla corte del re d’Italia Lotario II. Nello stesso tempo a Costantinopoli il potere era detenuto da Costantino VII Porfirogenito. [COSTUMI E USANZE ALLA CORTE BIZANTINA] Liutprando fu testimone di un’altra usanza di corte: la distribuzione di monete d’oro a militari dignitari palatini che ebbe luogo nella settimana precedente la domenica delle Palme (tra 24 e 30 marzo 950). Liutprando poté notare che le monete erano state poste su una tavola in contenitori numerati nelle quantità dovute a ognuno. I beneficiati venivano ammessi in ordine dinanzi all’imperatore e ricevevano un numero di monete e di indumenti (scaramangae) in proporzione alla dignità ricoperta. Lo stesso Liutprando, pur non avendone titolo, ebbe in dono da Costantino VII una libbra di monete d’oro. Inoltre, anche il tema dei banchetti solenni, detti kletoria, è ampiamente documentato, soprattutto attraverso il Kletorologion (899) di Filoteo (funzionario addetto ai banchetti imperiali). Il sovrano manifestava, attraverso di essi, la propria magnanimità nei confronti dei dignitari e in genere di tutti i sudditi che erano variatamente invitati a parteciparvi. Gli atriklinai come Filoteo avevano il compito di organizzarli secondo il protocollo, rispettando rigidamente l’ordine di precedenza, che attribuiva posti differenti in funzione del rango. [LE ANNOTAZIONI DI LIUTPRANDO DI CREMONA] 26 Quando Liutprando tornò a Bisanzio nel 968, vi restò per circa 4 mesi di difficili trattative e, a suo dire, di sgradevole trattamento  si sfogò con Ottone I scrivendo una relazione in cui la corte di Bisanzio veniva dipinta in termini caricaturali: si lamentò del vino, ebbe da ridire sulle precedenze perché l’avevano collocato al quindicesimo posto (troppo lontano dall’imperatore) e si lamentò di una cena. In un successivo banchetto Niceforo Foca in segno di benevolenza gli inviò dalla sua tavola uno dei cibi più raffinati, “un grasso capretto farcito di cipolla, agli e porri e irrorato di salsa di pesci marinati” ma egli lo trovò di pessimo gusto. La salsa era il garum, un condimento già noto a Greci e Romani e che in Oriente ebbe molta fortuna durante il Medioevo e oltre. Era ottenuto dalla fermentazione del pesce (aringhe, alici, sarde, pezzi di sgombri, tonni) unito a erbe aromatiche e sale. Una volta fermentato l’impasto era pressato a filtrato e si usava per insaporire il pesce e la carne. A più riprese infine Liutprando mette l’accento su uno dei principali temi di polemica tra Occidente e Oriente, ossia la pretesa dei sovrani di Bisanzio di essere gli unici ad aver diritto al titolo di imperatore, basileus, e di essere considerati gli unici eredi diretti dei cesari romani. Egli definisce i Bizantini con disprezzo, semplicemente “Greci”. Non si trattava di una novità: nell’812 i Bizantini con la pace di Aquisgrana avevano riconosciuto senza entusiasmo a Carlo Magno il titolo di imperatore, ma non quello di imperatore dei Romani. 2. I Normanni all’attacco Nella seconda metà dell’XI secolo le distanza tra Oriente e Occidente iniziarono ad accorciarsi e quest’ultimo divenne sempre più aggressivo. Entrarono in gioco 2 fattori nuovi: 1) Rinascita dell’Europa occidentale dopo il Mille 2) Progressiva crisi dell’impero di Bisanzio. L’impero iniziava a presentarsi come una meta appetibile per chi era attirato dalle prospettive di guadagno o per gli stati che avevano intenzioni aggressive. I Bizantini stessi, dopo secoli di isolamento, si aprirono di più all’Occidente. Questo fenomeno si fece strada soprattutto sotto la dinastia dei Comneni (1081-1185): Manuele I Comneno adorava le usanze occidentali e le introdusse a corte (es. tornei cavallereschi). Anche nella scelta dell’imperatrice si avvertì il cambiamento: mentre per secoli i sovrani avevano sposato loro suddite, ora iniziarono a preferire le straniere. [L’INDEBOLIMENTO MILITARE DI BISANZIO dal 1028 per più di 50 anni] Tuttavia il progressivo indebolimento di Bisanzio si fece avvertire con la successione dei sovrani di poco spessore e scarsamente attenti a mantenere un apparato militare all’altezza della situazione. Per più di 50 anni dopo il 1028 furono al governo quasi sempre esponenti dell’aristocrazia civile, tradizionalmente avversi al mondo militare: quando salì al potere Alessio I Comneno si assisteva ormai alla sparizione dell’esercito nazionale e al disfacimento della flotta. A ciò si aggiungevano le sconfitta in Italia e in Asia Minore. Roberto il Guiscardo fu il primo ad approfittarne, aggredendo ripetutamente Bisanzio: Il conflitto per Durazzo (Bizantini + Veneziani + Selgiuchidi vs Normanni)  Nel 1081 il Guiscardo assalì la costa orientale dell’Adriatico, con l’intento di conquistare Durazzo e di aprirsi la via per Costantinopoli. Alessio Comneno scrisse al sultano selgiuchide di Asia Minore, con il quale aveva appena sottoscritto un trattato di pace, perché gli inviasse mercenari e contemporaneamente fece richiesta di aiuto navale a Venezia (coincidenza di interessi + colonia veneziana a Durazzo). La flotta veneziana, al comando del doge Domenico Selvo, arrivò a Durazzo e si scontrò con i Normanni. I primi ebbero la meglio, ma la vittoria non fu risolutiva pur consentendo di interrompere il blocco marittimo 27 Verso la fine del 1097 il grosso delle forze crociate abbandonò gli accampamenti per addentrarsi in Asia Minore. Inizialmente tutto andò per il meglio: l’imperatore fornì l’appoggio promesso e ottenne la restituzione di Nicea e altre località minori. Il rapporto di collaborazione cominciò ad incrinarsi con la formazione, nel 1098, della contea di Edessa, che non fu consegnata all’impero e, qualche mese più tardi, ad Antiochia si arrivò alla rottura definitiva. La città, conquistata dopo un lungo assedio, passò a Beomondo di Taranto, che vi costituì un proprio principato rifiutandosi di riconsegnarla all’imperatore. Il campo crociato si divise:  A favore di Alessio I si schierò Raimondo di Tolosa  Gli altri difesero Beomondo di Taranto Alessio Comneno non poté più fare buon viso a cattivo gioco: la presenza di un principato normanno ad Antiochia rappresentava un pericolo gravissimo e passò presto alla guerra con Beomondo che si trascinò fino al 1108, concludendosi in Albania con la sconfitta del normanno. Beomondo dovette dichiararsi vassallo di Alessio I, ma il principato rimase nelle mani di Tancredi, il quale si rifiutò di consegnarlo a Bisanzio. Nonostante questi contrasti la prima crociata andò comunque avanti e ottenne lo scopo prefissato (a differenza delle 3 successive) con la conquista di Gerusalemme. A seguito della spedizione si costituirono tra Palestina e Siria 4 stati crociati: il regno di Gerusalemme, la contea di Edessa (affidata a Baldovino di Fiandra), la contea di Tripoli (sotto Raimondo di Tolosa) e il principato di Antiochia. Per l’Occidente fu un successo ma questo episodio, per gli orientali, aveva approfondito il contrasto secolare tra Oriente e Occidente, creando sospetti e rivalità reciproche. 4. La crisi del XII secolo La prima crociata era stata solo un’anticipazione dell’invadenza occidentale, che nel corso del XII secolo si fece sempre più aggressiva. I primi a creare problemi all’impero furono questa volta i Veneziani. Morto Alessio I (1118), il figlio e successore Giovanni II cambiò idea sulle concessioni fatte alla Repubblica: un’ambasceria veneziana giunse a Costantinopoli nel 1119 per ottenere il rinnovo del precedente trattato, ma si vide opporre un rifiuto dall’imperatore. La cosa può sembrare strana perché teoricamente una crisobolla aveva valore perpetuo; nella pratica, essendo i poteri del sovrano assoluti, essa andava soggetta a ratifica in caso di successione al trono. Giovanni Cinnamo (storico di una generazione posteriore) mette in correlazione questa decisione di Giovanni II con il comportamento dei Veneziani residenti nell’impero: l’immensa ricchezza accumulata in seguito alle concessioni di Alessio I li aveva insuperbiti e trattavano male, a quanto sembra, anche i dignitari di corte. La valutazione di Cinnamo è da ritenersi sostanzialmente esatta, errate sono semmai le conclusioni perché Giovanni Comneno non espulse i Veneziani dall’impero, limitandosi piuttosto a privarli dei privilegi di cui godevano. I Veneziani non rispettavano gli obblighi di alleanza e si rendevano odiosi ai sudditi dell’impero: alcuni anni prima, affamati di reliquie, avevano trafugato il corpo di santo Stefano da una chiesa di Costantinopoli. L’azione fu condotta dal priore della locale chiesa veneziana di San Marco, d’intesa con il greco che custodiva le reliquie. La popolazione però diede visibili segni di ostilità e soltanto in seguito fu possibile inviarle a Venezia. [L’INIZIO DEL CONFLITTO TRA BISANZIO E VENEZIA] Le decisione di Giovanni Comneno fu un colpo durissimo per Venezia, il cui governo, l’anno successivo, si decise per un’azione armata: l’occasione fu offerta dalla richiesta di aiuto proveniente dalla Terra Santa. Baldovino II, re di Gerusalemme, dopo la sconfitta cristiana del 1119 dove le truppe del principato di Antiochia furono sbaragliate dall’atabeg di Aleppo, si era rivolto all’Occidente: i Veneziani ne raccolsero l’appello allestendo una grande flotta. Quest’ultima salpò da Venezia al comando del doge Domenico 30 Michiel, ma anziché dirigersi in zona operativa, si fermò a Corfù, dove venne assediata la cittadella. La guarnigione imperiale non si arrese e l’assedio si protrasse fino al 1123, quando il doge, sollecitato dai cristiani d’Oriente, decise di procedere alla volta della Palestina. La flotta veneziana nel 1124 attaccò nuovamente l’impero: prima Rodi, poi Chio da dove vennero fatte incursioni piratesche contro Samo, Lesbo, Andro e altri centri e la flotta riprese la via di Venezia portando le reliquie di sant’Isidoro trafugate a Chio. Giovanni Comneno, dal canto suo, dopo l’assedio di Corfù aveva ordinato di trattare i Veneziani come nemici. Nel 1126 ripresero le ostilità e una nuova spedizione veneziana attaccò Cefalonia, dove fu sottratto il corpo di san Donato vescovo per portarlo a Venezia. La flotta imperiale non era in grado di far fronte agli attacchi e, nel corso dei 4 anni, i Veneziani ottennero una serie di successi sufficienti a spingere alla capitolazione l’imperatore. Così Giovanni Comneno fece sapere al doge che era pronto a rinnovare il trattato. Nell’agosto si arrivò all’emissione di una nuova crisobolla, completata da una sezione, oggi perduta, relativa agli obblighi di Venezia:  Giovanni perdonava i Veneziani in considerazione dei precedenti meriti e perché di nuovo promettevano di combattere per l’impero.  Aggiungeva poi la modifica chiesta da Venezia, riguardante un’interpretazione autentica del testo alessiano: i funzionari del fisco bizantino ritenevano esentati dal pagamento delle tasse i Veneziani, ma non i sudditi dell’impero che con loro trattavano. [LA SECONDA CROCIATA DOPO IL CONTRASTO CON VENEZIA] Questa iniziò nel 1147, dopo la riconquista musulmana di Edessa, sotto la guida di Corrado III di Germania e di Luigi VII di Francia e terminò due anni dopo in un completo fallimento. Sul trono di Bisanzio c’era ora Manuele I Comneno, uno dei sovrani più brillanti di Bisanzio, che si adoperò per ristabilire ovunque la sovranità bizantina: la sua azione politica segna l’ultimo serio tentativo di dare a Bisanzio una dimensione di potenza egemone, cosa che in parte gli riuscì. Tuttavia, la pretesa egemonica dell’imperatore finì per scontrarsi con l’esuberante potenza veneziana e con i Turchi, che lo sconfissero a Miriocefalo (1176). Così Manuele I fu assalito dalle stesse preoccupazioni del nonno: i delegati bizantini raggiunsero il re tedesco in territorio ungherese e gli chiesero di giurare di non agire contro l’imperatore, cosa alla quale Corrado III si prestò, ottenendo in cambio la promessa di appoggio logistico. Tuttavia, come già avvenne 50 prima la marcia attraverso il territorio imperiale fu tutt’altro che indolore: a Sofia e a Filippopoli ci furono incidenti con le popolazioni e Manuele I inviò truppe per scortare i crociati. Ma la situazione precipitò, così Manuele I ordinò ai Tedeschi di non raggiungere Costantinopoli, ma Corrado III proseguì per la sua strada arrivando nella capitale. I Tedeschi saccheggiarono i dintorni di Costantinopoli e la situazione rischiò di degenerare in scontro aperto. I Francesi arrivarono il mese successivo e la loro marcia causò meno problemi ai Bizantini perché venne condotta con maggiore disciplina. Anche Luigi VII aderì alla richiesta di impegnarsi con il giuramento a restituire i territori ex imperiali. La spedizione prese dunque la via dell’Asia Minore, con l’aiuto dei Bizantini, ma senza alcuna collaborazione tra Tedeschi e Francesi: i primi vennero sconfitti dai Turchi e le operazioni proseguirono in Siria, ma senza alcun risultato concreto. Anche in questo caso il bilancio della crociata fu del tutto negativo per Bisanzio e il danno per l’impero non venne limitato al passaggio degli eserciti occidentali: approfittando dell’allontanamento di forze per controllare i crociati, i Normanni di re Ruggero II si impadronirono di Corfù nel 1147 – di qui la loro flotta attaccò la Grecia continentale, devastandone molte località. Questa escursione condusse alla presa di Tebe e Corinto dove i Normanni razziarono un enorme bottino, dopodiché si ritirarono e la loro flotta riprese la via della Sicilia. 31 Corfù restava però in mano nemica e Manuele I fu costretto a concludere due trattati con Venezia per assicurarsene l’appoggio navale e attaccare l’isola, riconquistandola soltanto nel 1149. Venezia tornava così alla ribalta e, in questa occasione, il vantaggio che ne ricavò fu ancora più grande di prima: nel 1147 Manuele Comneno con un primo trattato riconfermò formalmente i vecchi privilegi, compresa la possibilità di commerciare con Creta e Cipro e l’anno successivo ampliò il quartiere già concesso ai Veneziani da Alessio I a Costantinopoli. Il fallimento delle operazioni in Asia Minore venne propagandisticamente attribuito ai Bizantini: come già al tempo della prima crociata si era parlato di un tradimento bizantino, ora Luigi VII lamentò lo stesso motivo tra le cause della sconfitta. Il cronista ufficiale della spedizione, Oddone di Deuil, rimproverò all’impero l’insufficiente appoggio logistico e, cosa ancora più grave, un’alleanza con i Turchi contro i cristiani. Vere o false che fossero le accuse, contribuirono ad inasprire i rapporti tra Occidente e Oriente. [ALLA RICONQUISTA DELL’ITALIA?] Inoltre Manuele Comneno non aveva concepito la campagna contro Corfù come una semplice operazione difensiva, bensì quale parte di un progetto più ambizioso di riconquista del territorio italiano (per il quale Bisanzio stipulò un’alleanza con il re di Germania). L’inizio delle campagna in Italia fu fissato per il 1152, ma Corrado III morì lo stesso anno e il nuovo sovrano tedesco, Federico Barbarossa, si mostrò molto più tiepido di fronte ad un accordo con i Bizantini, da cui li divideva la sua pretesa all’egemonia, e il progetto di guerra comune sfumò.  Nel 1155 i Bizantini attaccarono la Puglia giungendo in poco tempo alle porte di Taranto  Nel 1156 il nuovo re di Sicilia, Guglielmo I, sconfisse i Bizantini in prossimità di Brindisi, procedendo quindi alla riconquista del territorio che gli era stato sottratto.  Nel 1158, con la mediazione di papa Adriano IV, venne concluso un trattato in forza del quale i Bizantini abbandonarono la penisola. Il timore di una riaffermata presenza bizantina in Italia aveva spinto la repubblica di Venezia a concludere un trattato con Guglielmo I nel 1154, così che al momento delle ostilità Venezia rimase neutrale. Allora Manuele I nel 1155 si rivolse a Genova, gettando le basi di un accordo, ma la diplomazia normanna vanificò la sua opera ottenendo che questa potenza marittima rimanesse neutrale. L’invadenza dell’Occidente suscitò un forte sentimento xenofobo tra i Bizantini, che si manifestò attraverso 2 episodi significativi: 1. I provvedimenti adottati contro i Veneziani nel 1171 2. La strage di Occidentali a Costantinopoli nel 1182. Questa fu la conseguenza della politica nazionalista condotta dall’ultimo Comneno, Andronico che eccitò le folle contro i Latini, spingendole a farne un massacro. Dopo la morte di Manuele I, il trono era passato al giovane Alessio e alla reggente Maria di Antiochia. La debolezza del potere centrale diede però l’avvio ad un tentativo di usurpazione da parte di Andronico, che si pose a capo di una rivolta antigovernativa. I rivoltosi erano animati erano animati soprattutto dall’ostilità nei confronti degli Occidentali, da tempo insediatisi in gran numero nell’impero. Andronico Comneno marciò su Costantinopoli ed ebbe facilmente ragione delle forze governative. Il suo ingresso nella città, nel 1182, fu preceduto da un massacro di Latini da parte della folla aizzata dagli agenti imperiali: si ebbero migliaia di vittime e si sopravvissuti vennero venduti come schiavi ai Turchi (testimonianza di Eustazio metropolita di Tessalonica). 32  Il volume dei loro traffici doveva essere notevolmente aumentato dagli anni ’30 del XII secolo, da quando cioè la crisobolla di Giovanni II aveva esteso i privilegi fiscali anche a chi commerciava con i Veneziani. La loro ricchezza suscitava l’invidia dei Bizantini. Giovanni Cinnamo e Niceta Coniate si mostrano molto critici nei confronti di questi alleati, tant’è che secondo il primo i Veneziani erano gente corrotta e illiberale e lo stesso giudizio ricorre nel secondo storico. L’operazione del 1171 i Veneziani, colti di sorpresa malgrado qualche sospetto, vennero imprigionati e i loro beni confiscati. Il numero di prigionieri era così elevato che le prigioni non furono sufficienti; vennero perciò dirottati nei monasteri. Il governo veneziano in un primo momento reagì con moderazione e pensò di inviare un’ambasceria. L’arrivo dei profughi di Almiro fece però prevalere il partito della guerra e l’idea di negoziare venne abbandonata: in 4 mesi fu messa in piedi una flotta di 100 navi da guerra e 20 da carico agli ordine del doge Michiel. Vennero prese Traù e Ragusa e di qui la flotta raggiunse l’Eubea di cui fu assediata la capitale. L’astuzia bizantina entrò qui in scena: il comandata del presidio imperiale avviò trattative con il doge e promise la restituzione dei beni confiscati se fosse stata inviata un’ambasceria a Costantinopoli, cosa che il Michiel fece. Nel frattempo venne spedita un’ambasceria bizantina per prendere tempo e per capire la quantità di forze dispiegate dai Veneziani. Mentre si svolgeva la seconda legazione però le forze veneziane vennero colpite da un’epidemia e pensarono che i bizantini avessero fatto avvelenare i pozzi e il vino. Poco dopo, l’insofferenza generalizzata spinse il doge a ordinare la ritirata e la sua flotta fece vela per Venezia, inseguita e attaccata dalle navi bizantine. La campagna veneziana si era risolta in un totale fallimento e la flotta messa in campo ne uscì decimata. Lo scontento fu così grande che pochi giorni dopo il doge venne assassinato. La terza ambasceria terminò ugualmente in un fallimento. L’uso della forza questa volta non aveva risolto nulla e il commercio veneziano subì un colpo durissimo. Il nuovo doge Sebastiano Ziani cercò di premere su Bisanzio per altre vie, fomentando la ribellione dei Serbi e fornendo navi al Barbarossa, che nel 1173 assediò Ancona, rimasta fedele all’impero. La via diplomatica non venne tuttavia trascurata anche se i risultati furono nulli. Perciò Venezia decise di dare un segnale più forte e nel 1175 fu concluso un trattato con il re di Sicilia, quindi con uno dei peggiori nemici di Bisanzio: venne stipulata una pace ventennale e in cambio la repubblica ottenne concessioni commerciali. Questa situazione portò Manuele I a liberare i prigionieri veneziani nel 1179, anche se non tutti vennero liberati. Il suo successore, Andronico I Comneno nel 1183:  rilasciò, in segno di benevolenza, gli ultimi prigionieri  nello stesso anno fu concluso un accordo che contemplava la restituzione del quartiere di Costantinopoli, il risarcimento in rate annuali dei danni subiti nel 1171 e il rinnovo dei privilegi. Isacco II proseguì nella linea favorevole a Venezia, avviando trattative per assicurarsi la sua alleanza e per allontanarla dalle potenze occidentali ostili a Bisanzio. Vennero così emesse 3 crisobolle nel 1187: 1. si rinnovavano i privilegi ottenuti dal tempo di Alessio I 2. i Veneziani riottenevano il loro quartiere a Costantinopoli 3. introduceva un trattato di alleanza militare tra Venezia e Bisanzio (novità) che però non fu mai messo in pratica. Isacco Angelo, ossessionato dai nemici esterni e bisognoso dell’appoggio navale di Venezia. Così nel 1189 emise una quarta crisobolla per definire la questione del risarcimento dei danni e la riconsegna dei beni. inoltre due anni prima aveva istituito una commissione in materia che però non era riuscita nel suo intento e per questo l’imperatore si era risolto nell’ampliare il quartiere dei Veneziani a Costantinopoli, fino a 35 raggiungere una rendita annuale di 50 libbre d’oro, a scapito degli adiacenti quartieri dei Tedeschi e dei Francesi. Tuttavia, dopo l’arrivo della prima rata si ebbero ulteriori pagamenti nel 1191 e nel 1193, ma quando, nel 1195, Isacco II perse il trono il debito non era stato ancora saldato. Questi ritardi nel risarcimento rendevano assai fragile il rapporto tra Bisanzio e Venezia e a ciò si aggiungeva l’instabilità interna all’impero. Una prova evidente si ebbe dopo la deposizione di Isacco II, quando il potere passò al fratello Alessio III Angelo, che mutò la linea politica del predecessore assumendo un atteggiamento ostile nei confronti di Venezia e favorendo invece Genovesi, Pisani e Ragusei. Il doge Enrico Dandolo inviò un’ambasceria allo scopo di ottenere il rinnovo della crisobolla di Isacco II e il risarcimento promesso ma questa non ottenne risultati. Si ebbe un altro fallimento e ricominciò il solito andirivieni di ambasciatori, salvo poi arrivare ad un accordo nel 1198, confermato poi con una lunghissima crisobolla. La questione centrale del disaccordo fra Venezia e Bisanzio, cioè il risarcimento dei danni, non venne ufficialmente definita. In compenso furono determinati altri punti essenziali: il rinnovo dell’accordo di cooperazione militare, la riconferma dei privilegi commerciali sancite dalle crisobolle dei suoi predecessori e a sua volta dichiarò solennemente la completa libertà di commercio per i Veneziani con l’esenzione da tutte le imposte. Su richieste degli ambasciatori venne infine definita la condizione dei Veneziani residenti a Bisanzio, ai quali furono date alcune garanzie giurisdizionali per meglio tutelarli. Fu l’ultimo tentativo di definire su base pacifica un rapporto divenuto sempre più difficile. VI. LA QUARTA CROCIATA E L’IMPERO LATINO 1. La conquista di Costantinopoli La quarta crociata, benché nata con un intento preciso, si trasformò in un atto di pirateria internazionale: i 2 artefici principali di questa anomalia furono il doge di Venezia Enrico Dandolo e il marchese Bonifacio di Monferrato. Disattesi del tutto infatti gli scopi istituzionali per i quali era stata bandita e per i quali il papa l’aveva benedetta, ossia la liberazione della Terra Santa, senza un motivo reale si rovesciò su una città cristiana devastandola. La quarta crociata venne bandita nel 1198 da papa Innocenzo III e il suo invito fu raccolto dapprima dalla feudalità francese e fiamminga, alla quale si unirono in seguito i signori tedeschi e dell’Italia settentrionale. Questa volta non presero parte alla spedizione i sovrani, ma soltanto feudatari di diversa importanza, il cui capo riconosciuto fu Tibaldo di Champagne. I partecipanti elaborarono un piano strategico diverso rispetto alle precedenti crociate, decidendo di raggiungere via mare l’Egitto e di qui attaccare la Terra Santa: un progetto la cui realizzazione richiedeva una flotta adeguata. L’unica che poteva dare garanzie in tal senso era la repubblica di Venezia – infatti nel 1201 venne concluso un trattato in forza del quale Venezia avrebbe preso parte all’impresa offrendo le navi e i viveri necessari per un anno, contro il pagamento di una forte somma di denaro. In più i Veneziani avrebbero offerto una scorta di 50 galere, a condizione di ricevere in cambio metà delle conquiste future. I crociati giunsero nel 1202 ma, quando si contarono, si accorsero di non poter raccogliere tutta la somma necessaria per pagare il trasporto. Il doge allora suggerì loro di conquistare per conto della repubblica la città di Zara e di ottenere così una dilazione del pagamento. L’idea suscitò perplessità: Zara era città cristiana e al momento si era data al re di Ungheria e la sua conquista nulla aveva a che fare con gli scopi della spedizione. I crociati, alle strette, altro non poterono fare che acconsentire e Zara venne conquistata senza fatica dopo pochi giorni di assedio. Tuttavia, molti partecipanti, disgustati da quanto era avvenuto, abbandonarono la spedizione e papa Innocenzo III, quando lo seppe, andò su tutte le furie scomunicando i responsabili. Bonifacio di Monferrato e gli altri capi della crociata nel 1203 inviarono allora una delegazione 36 al pontefice, il quale si rese conto dello stato di necessità in cui avevano operato i cavalieri e li assolse dalla scomunica (ma non i Veneziani). Innocenzo III confermò poi il divieto di attaccare terre cristiane alludendo in particolare a Costantinopoli. [CONFLITTO DINASTICO BIZANTINO ALL’INTERNO DELLA CROCIATA] Qualche tempo prima, infatti, era comparso in cerca di appoggio il principe Alessio Angelo, figlio dell’ex imperatore Isacco II (deposto e fatto accecare nel 1195 dal fratello Alessio III). Alessio il giovane era stato imprigionato insieme al padre ma era riuscito a fuggire nel 1201 recandosi in Germania alla corte del cognato Filippo di Svevia. L’anno seguente l’Angelo si era poi recato da Innocenzo III, al quale aveva fatto una pessima impressione e sulla via del ritorno aveva pensato, dopo aver incontrato alcuni crociati, di poter utilizzare la spedizione cristiana per far recuperare il trono al padre: gli fu risposto che se avesse aiutato a recuperare la Terra Santa, la sua proposta sarebbe stata presa in considerazione. Alessio offriva in cambio:  Ingente somma di denaro  Aiuto militare per la conquista dell’Egitto  Mantenimento di un corpo di 500 cavalieri in Terra Santa  Sottomissione della chiesa bizantina a quella romana Questa proposta venne accolta con particolare favore dal doge e da Bonifacio di Monferrato e presto si raggiunse un’intesa. Alessio Angelo si attendeva un’accoglienza entusiasta da parte dei suoi compatrioti ma le mura della città rimasero chiuse. Ad ogni modo, la situazione militare era, almeno sulla carta, favorevole agli Occidentali. I crociati, alcuni giorni dopo l’arrivo, entrarono con le navi nel Corno d’Oro da dove si lanciarono all’attacco. I veneziani riuscirono ad impadronirsi subito di un tratto della cinta marittima e Alessio III abbandonò la capitale in preda al panico. Nel corso della notte i cortigiani liberarono dal carcere Isacco II riportandolo sul trono. I crociati riconobbero il fatto compiuto e sotto la loro protezione Isacco II e Alessio IV occuparono il trono. Ma Alessio IV si scontrò subito con la difficoltà di mantenere le promesse e fu in grado di pagare soltanto la metà della cifra precedentemente contrattata e chiese una dilazione che prolungò la presenza degli Occidentali in suolo bizantino. I soldati si accamparono a Galata, all’esterno delle mura e non mancarono di esercitare violenze, perseguitando gli ebrei locali e saccheggiando una moschea. Così i rapporti tra Bizantini e Occidentali si fecero sempre più tesi e lo stesso Alessio IV cambiò politica nei loro confronti. Nel 1204 la situazione precipitò e si ebbe un tentativo di incendiare la flotta veneziana andato a vuoto. [I CROCIATI ALLA CONQUISTA DI COSTANTINOPOLI] L’imperatore pressato dai crociati e preso di mira dagli odi nazionalisti che lo vedevano come un traditore, fu deposto da un colpo di stato che portò al potere un esponente della fazione nazionalista: Alessio V Ducas Murzuflo. Alessio V cercò di far partire i crociati, ma visto il fallimento delle trattative, si preparò alla guerra. I crociati invece si risolsero a tentare l’attacco a Costantinopoli – nei loro piani poi il sovrano bizantino sarebbe stato sostituito con un sovrano latino e lo stesso sarebbe avvenuto con il patriarca greco di Costantinopoli. I Veneziani poi avrebbero ottenuto una posizione di rilievo: riconferma dei privilegi, esclusione dei nemici di Venezia dall’impero, esenzione per il doge dal giuramento di fedeltà all’imperatore latino. Alessio V cercò inutilmente di organizzare una resistenza e alla fine si allontanò da Costantinopoli. Molti membri del ceto dirigente fuggirono. Qualche giorno dopo i crociati si misero in ordine di battaglia ma, con loro grande sorpresa, non trovarono nessuno che si opponesse: cadeva così la capitale dell’impero romano d’Oriente, dopo essere rimasta inviolata per secoli. Per 3 giorni Costantinopoli fu preda di ripetuti saccheggi e fu distrutta una gran quantità di opere d’arte. Non si risparmiarono neppure le tombe imperiali, aperte 37 finanziaria: Baldovino II, sul trono dal 1228, fu costretto a vendere possedimenti e a rivolgersi in varie direzioni per far sopravvivere la dominazione latina a Costantinopoli e una dopo l’altra vennero cedute anche le reliquie più preziose. Infine Baldovino II finì per dare in pegno ai mercanti veneziani il figlio Filippo e per vendere il piombo che ricopriva i tetti dei suoi palazzi. Ogni sforzo fu però inutile e l’Occidente abbandonò Costantinopoli latina al suo destino, con la sola eccezione dei Veneziani. Nel 1258, a causa della minorità del sovrano legittimo Giovanni IV Lascaris, il potere reale a Nicea passò ad un generale, Michele Paleologo, che divenne reggente e poco più tardi ottenne la corona di coimperatore per poi sbarazzarsi del Lascaris (1261). La sua ascesa fu favorita dalla difficile situazione in cui si trovava Nicea, contro la quale si formò una coalizione fra Manfredi re di Sicilia, il despota di Epiro Michele II e il principe francese di Acaia Guglielmo di Villehardouin. Gli alleati vennero sconfitti in Macedonia nel 1259. Non esisteva più una potenza in grado di opporsi a Nicea se non la repubblica di Venezia che continuava ad essere il solo ostacolo per la restaurazione dell’impero bizantino. Per far fronte a questo ostacolo Michele Paleologo entrò in trattativa con Genova e nel 1261 venne firmato a Ninfeo un trattato:  I Genovesi si impegnarono a fornire a Nicea fino a 50 navi, ottenendo in cambio una serie di privilegi;  I mercati greci sarebbero stati preclusi ai nemici dei Genovesi e, una volta ripresa Costantinopoli, essi avrebbero recuperato tutti i loro possedimenti in città, aggiungendo alcune proprietà veneziane, se avessero contribuito alla conquista della capitale. I Genovesi inviarono qualche nave in Oriente, ma il loro aiuto non fu necessario perché Costantinopoli cadde in modo imprevisto. La città venne occupata da un generale di Nicea di nome Alessio Strategopulo, che era stato inviato in missione in Tracia con l’ordine di passare vicino alla capitale per spaventare i Latini. Quando egli giunse in prossimità di Costantinopoli venne a sapere che era pressoché priva di difensori (l’intera flotta era partita per attaccare un’isola sul mar Nero appartenente a Nicea) e decise di approfittarne. Con l’aiuto di alcuni residenti i Niceni entrarono, al mattino seguente i Latini cercarono di resistere ma vennero dispersi e Baldovino II si preparò a fuggire. Fuggirono l’imperatore, il podestà veneziano e il patriarca latino Pantaleone Giustiniani. Finì così quella brutta pagina di storia che fu l’impero latino di Costantinopoli e l’impero di Bisanzio venne restaurato. Si affermava la nuova dinastia dei Paleologi, la più duratura di Bisanzio. VII. IL DECLINO DI BISANZIO 1. L’ultimo orgoglio L’epoca dei Paleologi è l’ultima fase della storia di Bisanzio. L’impero, ricostruito nel 1261, riuscì a sopravvivere per circa due secoli anche se riducendosi progressivamente in estensione. L’opera di erosione del territorio residuo venne attuata dai nemici balcanici e orientali, nonché dalle repubbliche marinare (Genova e Venezia). Il colpo definitivo fu assestato dai Turchi ottomani, che iniziarono ad imporsi nel XIV secolo. La crisi di Bisanzio ebbe anche ripercussioni interne: generale impoverimento della popolazione; forte contrazione delle attività economiche e perdita del controllo dei mercati, passato in gran parte in mano alle repubbliche marinare italiane. Tuttavia, la cultura letteraria e la produzione artistica vissero un periodo di rigogliosa fioritura. [LA POLITICA ESPANSIONISTICA DI MICHELE VIII] La presenza di nemici aggressivi e la sostanziale debolezza dello stato non impedirono a Michele VIII di seguire una politica di potenza volta essenzialmente all’obiettivo di restaurare il suo dominio nei territori già appartenuti a Bisanzio. 40  Ebbe qualche successo anche nei confronti degli Occidentali: nel 1261 ottenne dal principe di Acaia Guglielmo di Villehardouin il giuramento di fedeltà e la restituzione delle fortezze di Mistrà, Monemvasia, Maina e Hierakion nel Peloponneso, che consentirono ai Bizantini di costituire una testa di ponte nella Grecia meridionale.  Nei confronti delle 2 repubbliche marinare Michele VIII attuò una politica di equilibrio: fino al 1265 si mantenne alleato di Genova, escludendo Venezia dai mercati del Levante e cercando di riconquistare Creta. Ma poi, deluso dall’atteggiamento genovese ruppe l’alleanza e per poco tentò di riavvicinarsi a Venezia con cui concluse nel 1265 un accordo (non ratificato). L’anno seguente tornò all’alleanza con Genova: in cambio di aiuto militare i Genovesi ottennero la libertà di commercio e la base di Galata sul Corno d’Oro. L’accordo con Genova suscitò le gelosie di Venezia che cercò subito di riavvicinarsi a Bisanzio e fu così che nel 1268 fu concluso un nuovo trattato con cui le parti si obbligavano ad una tregua di 5 anni e Michele VIII concesse privilegi commerciali ma non più i quartieri dell’impero. Si inaugurava così una lunga serie di trattati con Venezia. [IL RITORNO DELLE MIRE OCCIDENTALI SOTTO CARLO D’ANGIO’] L’Occidente, cacciato da Costantinopoli, non stava a guardare. I Veneziani attuarono velleitari tentativi per promuovere una coalizione antibizantina, ma qualche cosa di concreto si ebbe solo quando sulla scena politica si affermò Carlo d’Angiò. Il suo avvento al trono di Sicilia diede un nuovo impulso ai piani espansionistici ai danni di Bisanzio. Intenzionato a conquistare l’impero, Carlo d’Angiò si assicurò l’appoggio papale e rivendicò il diritto alla sovranità su Costantinopoli. Privo delle forze necessarie per contrastarlo, Michele VIII cercò di ritardare l’impresa e di giocare la carte diplomatica dell’unione religiosa con Roma. La sua diplomazia convinse il re di Francia, Luigi IX e l’anno successivo vennero avviati i contatti con Roma, resi possibili dall’elezione del papa Gregorio X, ben disposto nei confronti di Costantinopoli e nello stesso tempo avverso alla politica angioina. Le trattative andarono a buon fine: nel 1274 fu convocato un concilio a Lione, dove il dissidio tra le due chiese venne formalmente ricomposto con la proclamazione dell’unione religiosa e i delegati bizantini giurarono di accettare la fede romana nonché il primato di Roma. I vantaggi politici furono immediati: Carlo d’Angiò dovette rinunciare. L’unione ebbe però dei gravi contraccolpi interni a Bisanzio per l’opposizione compatta del clero, del monachesimo e di buona parte della popolazione. L’unione inoltre non fu duratura e con l’avvento al seggio papale nel 1281 del francese Martino IV (filo angioino) si tornò alla rottura aperta: il papa condannò Michele VIII come scismatico e l’Angiò poté riprendere i suoi piani di conquista, promuovendo una coalizione antibizantina formata da: Filippo di Courtenay (erede al trono latino), Venezia, Tessaglia, Serbia e Bulgaria. Nel 1282 l’Angiò, con l’aiuto navale di Venezia, si apprestò a dare il colpo definitivo al nemico, ma la situazione fu però salvata all’ultimo dalla rivolta dei Vespri siciliani, a seguito della quale la Sicilia si liberò dal dominio francese e il tentativo dell’Angiò di rientrarne in possesso fu ostacolato dalla potenza rivale degli Aragonesi con cui si accese un violento conflitto a seguito del quale naufragò ogni progetto di spedizione in Oriente. L’ingresso di Venezia nella coalizione antibizantina era stato motivato dal timore delle mire espansionistiche di Michele VIII ai danni della repubblica (isole veneziane dell’Egeo). Infatti, verso il 1277 iniziò un’ampia controffensiva del pirata Licario, un italiano al servizio di Bisanzio, che portò alla sottomissione delle isole minori. Licario prese l’isola di Scopelo, Sciro e Sciato e Lemno. L’obiettivo successivo non poteva che essere l’Eubea e in vista di una simile eventualità, il governo veneziano prese i provvedimenti necessari: non fu rinnovata la tregua col Paleologo (scaduta nel 1279) e all’inizio dell’estate un’ambasceria veneziana raggiunse la corte angioina per chiedere aiuto al re. Nel 1280 venne quindi 41 stipulata a Capua una convenzione tra Filippo di Courtenay, titolare del trono latino di Costantinopoli, Carlo d’Angiò e Venezia per un intervento armato a difesa di Negroponte. Licario non si fece però intimorire e in breve tempo attaccò l’Eubea sbaragliando le forze occidentali anche se rinunciò alla conquista della capitale Costantinopoli. Di fronte ad una situazione del genere il governo veneziano perse interesse per quanto stabilito a Capua e pensò ad un accordo di più ampia portata  1281 trattato concluso ad Orvieto. L’alleanza fu presentata come una crociata antiscismatica, ma lo scopo consisteva nell’insediare sul trono di Costantinopoli Filippo di Courtenay e restituire a Venezia tutti i privilegi di cui aveva goduto sotto l’impero latino. Tuttavia i Vespri siciliani sconvolsero tutti i piani: Venezia si defilò abbandonando l’Angiò al proprio destino e riprese le trattative con Bisanzio con cui nel 1285 avrebbe concluso un nuovo trattato. 2. La decadenza Michele VIII Paleologo morì nel 1282 dopo aver cercato, in ogni momento, di ricostruire la potenza del suo impero. La sua politica ambiziosa fu abbandonata dal figlio e successore Andronico II, che:  Ripudiò l’unione religiosa con Roma, cercando di riportare la pace nella chiesa bizantina.  Per ridurre le enormi spese pubbliche avviò un programma di risanamento economico volto alla contrazione delle spese militari: riduzione dell’esercito, smantellamento della marina in sostituzione della quale venne stipulata un’alleanza navale con Genova.  Politica estera meno aggressiva e uso importante della diplomazia. Conseguenze:  La moneta fu soggetta ad una grande svalutazione.  Si diffuse in modo massiccio la proprietà fondiaria .  Sui mercati prevalsero le monete d’oro delle repubbliche italiane, portando come conseguenza un forte rincaro dei prezzi e un generale impoverimento.  Si accentuò la dipendenza di Bisanzio dalle grandi repubbliche marinare, destinata a divenire il cardine della sua politica estera.  L’amicizia con Genova fu alla base della sua azione di governo, ma il sovrano non tralasciò di stabilire rapporti anche con Venezia. [BISANZIO ALL’INTERNO DELLA GUERRA VENETO-GENOVESE] Nel 1283 il governo veneziano decise di avviare i contatti con il nuovo imperatore – venne stipulato un accordo decennale che impegnava ciascuna parte a non allearsi con potenze ostili l’una all’altra. La mancanza di un effettivo potere contrattuale nei confronti sia di Genova che si Venezia fece sì che negli ultimi anni del secolo Andronico II fosse coinvolto suo malgrado nella guerra veneto-genovese, combattuta in Oriente a partire dal 1294. L’imperatore, ancora alleato con i Genovesi, offrì loro riparo dentro le mura della capitale e, per rappresaglia, i Veneziani inviarono una flotta che ne saccheggiò i dintorni. Genova allora si ritirò dalla guerra nel 1299 e nel 1302 l’impero dovette concludere un armistizio oneroso con la città rivale. Diveniva così evidente la dipendenza di Bisanzio dalle città marinare italiane. Anche la tregua raggiunta con Venezia era molto fragile e questa nel 1306 si associò al progetto di crociata contro Bisanzio di Carlo di Valois che aveva ereditato i diritti sul trono latino e godeva dell’appoggio di papa Clemente V, da cui Andronico II era stato scomunicato. La spedizione comunque non ebbe mai luogo e nel 1310 la città lagunare cambiò rotta accordandosi con il sovrano di Costantinopoli. [IL CONFLITTO CON I CATALANI] 42 Genovesi e restituì Gallipoli ai Turchi. Ma Genova non riuscì a impadronirsi di Tenedo e la lotta per il dominio sull’isola finì per suscitare una guerra veneto-genovese che si sarebbe conclusa con la penetrazione genovese fino a Chioggia e con la pace di Torino del 1381. Il governo di Andronico Paleologo non fu duraturo e nel 1379 Giovanni V e il secondogenito Manuele riuscirono a deporlo con l’aiuto dei Veneziani e Turchi. 3. La caduta dell’impero Giovanni V Paleologo lasciò il trono al figlio Manuele II Paleologo nel 1391. Sotto il suo regno l’espansione dei Turchi proseguì e verso la fine del Trecento il territorio di Bisanzio in terraferma si era ridotto alla sola capitale e alla Morea. Nel 1394 gli Ottomani misero il blocco intorno a Costantinopoli e la capitale isolata poté ricevere soltanto sporadici aiuti da Venezia. La loro avanzata allarmò l’Occidente e per la prima volta si ebbe un tentativo di organizzare una crociata di ampie proporzioni, ma le forze cristiane vennero sconfitte nel 1396 a Nicopoli (Bulgaria). La crociata di Nicopoli venne promossa per la difesa dell’Ungheria cattolica e l’iniziativa fu presa da re Sigismondo, il quale fece appello a tutti i sovrani d’Europa: si mossero due papi e venne costituita un’armata di 100.000 uomini. I Genovesi di Lesbo e di Chio e i cavalieri di Rodi si assunsero il compito di presidiare la foce del Danubio e le coste del mar Nero, mentre Venezia inviò una piccola flotta nel Dardanelli. A settembre però le forze cristiane furono sconfitte dal sultano Bayazid. Gli Ottomani, incontrastati, nel 1397 aggredirono la Grecia, occupando Atene e si spinsero fino ad espugnare la veneziana Argo. La situazione per la capitale si fece disperata e Manuele II chiese aiuto in Occidente senza ottenere da Venezia e dagli altri stati italiani altro che vaghe promesse. Il suo ambasciatore fu però ascoltato dal re di Francia Carlo VI, che inviò a Costantinopoli una piccola squadra navale. Di fronte all’inerzia delle potenze europee, Costantinopoli sembrava essere alla fine; avvenne però un fatto imprevisto e nel 1402 l’esercito ottomano fu annientato ad Angora dal capo mongolo Timurlenk. Bayazid fu fatto prigioniero e la sua successione diede origine a lotte violente fra i figli destinate a terminare nel 1413 con l’ascesa al potere di Maometto I, che fino alla sua morte mantenne buoni rapporti con l’impero. Trascorsero così alcuni anni di calma, segnati anche dalla fioritura di Mistrà, capitale del despotato di Morea. Fu comunque una breve tregua perché la potenza ottomana tornò ad essere aggressiva con il sultano Murad II, che revocò i privilegi ottenuti dai Bizantini e nel 1422 assediò per qualche tempo Costantinopoli. [BISANZIO SOTTO GIOVANNI VIII PALEOLOGO] Giovanni VIII Paleologo salì al trono di Costantinopoli nel 1425 e fu il terzo sovrano a recarsi in cerca di aiuto in Occidente. A differenza di Manuele II, mostrandosi piuttosto scettico in merito, decise di giocarsi la carta estrema della riunificazione religiosa che avrebbe tolto ogni pretesto per non soccorrere Bisanzio. Dopo accurati negoziati con il papa Eugenio IV, il sovrano e il suo seguito di dignitari ecclesiastici, guidati dal patriarca di Costantinopoli Giuseppe II, si imbarcarono su galere papali verso la fine del 1437 con destinazione Ferrara, dove era stato indetto il concilio. Quest’ultimo nel 1439 si spostò a Firenze, dove venne solennemente proclamata l’unione religiosa. Ma tutto questo fu un nuovo fallimento perché la riunificazione religiosa trovò forti resistenze nella chiesa e nella popolazione bizantina. Tuttavia, l’esito politico della riconciliazione fu una crociata promossa da Eugenio IV (crociata di Varna). La spedizione, svoltasi tra il 1443 e il 1444 sembrava destinata al successo: l’esercito crociato si addentrò fino alla Bulgaria e di qui in Tracia, ottenendo una serie di vittorie sui nemici. Murad II, impegnato a domare una rivolta in Asia Minore, si trovò in difficoltà anche perché contemporaneamente era insorta l’Albania. 45 Allora il sultano fece proposte di tregua e nel giugno del 1444 si accordò per un armistizio di 10 anni che alla fine venne respinto dai cristiani. Così le forze crociate ripresero la marcia in direzione del mar Nero, ma le operazioni navali e terresti furono mal coordinate. Così nel novembre del 1444 le forze turche affrontarono i cristiani a Varna e questi ultimi furono sbaragliati. Nel 1448 morì Giovanni VIII e il suo posto fu preso dal fratello e despota di Morea, Costantino XI Paleologo. Nel 1446 Murad II irruppe nella regione e si addentrò in Morea devastandola completamente per poi ritirarsi con 60.000 prigionieri. La potenza ottomana era ormai incontenibile. La sorte dell’impero era ormai segnata anche se l’epilogo si ebbe solo nel 1451 con l’avvento di Maometto II. Quest’ultimo prese prima una serie di iniziative volte a intercettare l’arrivo di qualsiasi aiuto esterno alla città, poi fece costruire nel punto più stretto del Bosforo la fortezza di Rumeli Hisari e la fece dotare di un imponente dispiegamento di artiglieria. Quando l’accerchiamento fu completato ebbe inizio l’assedio. Maometto II schierò di fronte a Costantinopoli un’armata di 150.000 uomini, mentre i difensori della capitale erano circa 7.000 uomini composti da Bizantini e Occidentali. L’assedio iniziò il 2 aprile del 1453 e terminò il 29 maggio, quando i nemici irruppero dentro le mura e Costantino XI morì combattendo. Molti Bizantini fuggirono riparando soprattutto in Italia e, fra questi, un buon numero di eruditi contribuirono alla diffusione in Occidente dalla cultura greca. Con la conquista di Costantinopoli finiva la storia di Bisanzio, ma la sua tradizione fu continuata attraverso la cultura greca che nel corso del XV secolo si affermò in quasi tutto l’Occidente. In questo quadro desolante fecero eccezione i Veneziani residenti a Costantinopoli, che contribuirono eroicamente alla difesa della città. Venezia inoltre fece da ponte per molti eruditi greci fuggiti in Occidente e ospitò una folta comunità greca, alla quale nel Cinquecento sarebbe stato dato anche il riconoscimento ufficiale. 46
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