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Bloch - Apologia della storia, Appunti di Storia

Riassunto dell'opera di Bloch "Apologia della storia o mestiere di storico"

Tipologia: Appunti

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Caricato il 19/01/2022

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filippo-savio 🇮🇹

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Scarica Bloch - Apologia della storia e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! Marc Bloch – Apologia della storia o mestiere di storico Edizione 1993 a cura di Etienne Bloch Prefazione – Jacques Le Goff Marc Bloch, fondatore della Scuola delle Annales (Nouvelle histoire ampliamento dell' orizzonte di osservazione dello storico; spostamento dell'attenzione dallo studio della storia degli "eventi" – histoire événementielle – a favore dello studio delle psicologie collettive , della sensibilità e della mentalità religiosa , degli uomini comuni e della vita quotidiana . Sono così recuperati alcuni soggetti – le donne , i contadini e i poveri – che in passato non erano stati considerati degni di attenzione dalla storiografia tradizionale, perché rimasti, appunto, ai margini della grande Storia: Petit histoire ) nel 1929, ebreo, dopo la disfatta francese è estromesso dalla vita pubblica. Si Rifugia nel 1941 a Montpellier dove scrive, senza finirla, l’Apologie pour l’histoire ou Métier d’historien. Con l’invasione da parte dell’Asse della Zona Libera, inizia il suo impegno nella Resistenza Francese, che finirà nel 1944 con il suo arresto e la sua fucilazione nella Lione di Klaus Barbie. L’opera è pubblicata postuma nel 1949 nei Cahiers des Annales da Lucien Febvre. Nel 1993 Etienne Bloch decide di pubblicare una nuova edizione dell’Apologia in quanto Febvre: - aveva apportato alcune modifiche al manoscritto consegnatoli dalla famiglia Bloch; - non aveva avuto modo di consultare una prima redazione dattiloscritta dell’Apologia posseduta da Etienne Bloch. Scopo apologetico dell’opera: - difendere la Storiografia dalla marginalizzazione da parte del sapere scientifico; - difenderla dagli attacchi del filosofo Paul Valery; - difenderla dall’operato dei cattivi storici ed evidenziare la distanza tra lo storico e gli economisti o i sociologi. Scopo chiarificatore dell’opera: - definire il mestiere dello storico; - dare linee guida per la ricerca storica rigorosa; - dare valore scientifico alla ricerca storica rigorosamente condotta. In sostanza: la questione epistemologica della storiografia ha implicazioni non solo intellettuali e scientifiche, ma persino civiche e morali. Il rigore della storiografia alla Bloch non deve tuttavia spogliare tale scienza della sua componente poetica ed estetica, derivante dal fatto di non poter essere ridotta a leggi e strutture astratte. Premessa – Etienne Bloch Non è un libro per soli storici, è un libro per il grande pubblico. Non è dunque un problema se la nuova edizione, a contrario di quella del 1949, non è curata da uno storico. Quando Etienne Bloch nel 1990 mette mano al dossier con i manoscritti, è impressionato dal disordine. - Il testo era scritto solo su di un verso e, quando doveva essere cancellato, veniva barrato e scritto sul retro. - Ogni foglio recava una cifra romana indicante il capitolo e una araba per la numerazione della pagina, eventualmente seguita da bis o ter. Le tappe della redazione: 1. Fogli di appunti, testo seguito da parole sparse. 2. Fogli manoscritti redatti da cima a fondo con cancellature e aggiunte. 3. Prima copia dattiloscritta corredata da due copie carbone. 4. Riscrittura e correzione degli originali dattiloscritti. 5. Dattiloscritto definitivo corredato da una copia carbone. La nuova edizione si basa interamente e fedelmente ai manoscritti di Marc Bloch ancora esistenti. Apologia della storia o mestiere di storico Dedica a Lucien Febvre Scritta il 10 maggio 1941 presso Fougères, la lettera costituisce la dedica dell’Apoogia a Febvre. Se il manoscritto sarà pubblicato, confessa Bloch, molti dei contenuti saranno merito di Febvre, nonostante non sia l’autore dell’opera. Bloch rievoca la battaglia sua e dell’amico e collega Febvre per una storia “più ampia e più umana”, la rivoluzione della Nouvelle Histoire. Bloch confida nel fatto che tale collaborazione potrà riprendere, pubblica e libera com’era. Nel frattempo, però, tale collaborazione prosegue simbolicamente nelle pagine manoscritte dell’Apologia, dove molte delle idee esposte sono frutto della collaborazione tra Bloch e Febvre. Introduzione Un giovinetto chiedeva al padre, storico, a cosa servisse la storia. La domanda, apparentemente ingenua, problematizza la legittimità stessa della storia. Bloch intende l’Apologia come risposta a quella domanda. Il problema della legittimità della storia trascende le logiche corporative della professione specifiche: è una questione che riguarda la Civiltà Occidentale tutta. Essa, a differenza di altre culture, ha sempre chiesto molto alla propria memoria, indotta e dal retaggio Classico e da quello Cristiano. Greci (Erodoto, Tucidide) e Latini (Tito Livio, Tacito) erano popoli scrittori di storia, e il Cristianesimo è una religione storica: la sua mitologia – a differenza di altre – è precisamente collocata nel tempo, i libri sacri cristiani sono libri di storia. Ma il Cristianesimo è storico in un modo anche più profondo: il destino dell’Umanità si configura come una lunga – ma non infinita – avventura, posta tra la Caduta e il Giudizio. Il dramma del Peccato e della Redenzione si svolge nella durata, dunque nella storia. Sussistono differenze nella psicologia dei vari gruppi culturali occidentali: i Francesi, eternamente inclini a ricostruire il mondo secondo le linee della ragione, generalmente vivono i loro ricordi collettivi meno intensamente dei Tedeschi [senso di smarrimento del Popolo Francese sconfitto]. L’Alto Comando Francese, all’indomani della disfatta, si chiede se sia stato tradito dalla storia: l’angoscia dell’adulto non è poi così dissimile – amarezza a parte – dalla curiosità del bambino. La storia, anche qualora dovesse rivelarsi priva di un’utilità pratica – e Bloch intende dimostrare il contrario – sarebbe comunque divertente. La storia è stata utile all’uomo anche solo come germe, come pungolo, come occasione per interrogarsi. E, come esercizio intellettuale abilmente condotto, anche la storiografia può essere opera d’arte: il rigore scientifico non la priva della componente estetica. E la rappresentazione delle attività umane, che costituisce il suo oggetto specifico, è più di ogni altra fatta per sedurre l’immaginazione degli uomini; soprattutto quando, a causa della distanza nel tempo e nello spazio, tale rappresentazione si colora delle sottili seduzioni del diverso. Tornando al problema dell’utilità: sia posto che non è solo la capacità di servire all’azione che determina la legittimità o meno di uno sforzo intellettuale. L’esperienza ha insegnato che la speculazione che oggi pare inutile un domani può rivelarsi di importanza capitale. Ma, di nuovo, anche ipotizzando che la storiografia sia estranea alla sfera dell’utilità, sarebbe comunque una ben strana mutilazione privare l’Umanità del diritto di cercare l’appagamento dei suoi appetiti intellettuali. Anche indipendentemente dall’applicazione pratica, la storiografia è legittima solo se consentirà una classificazione razionale dei fenomeni umani, oltre la semplice enumerazione, nell’ottica di una intellegibilità progressivamente sempre maggiore. La storia poi, come ogni scienza, è legittima in quanto aiuta a vivere meglio: è a essa, infatti, che spesso l’uomo si rivolge con fare interrogativo. E infatti in caso di difficoltà c’è chi si chiede se la storia sia stata interrogata correttamente, o se essa stessa abbia tradito [cfr. militare francese]. C’è chi afferma che la storia sia inutile, chi afferma che sia dannosa e pericolosa. Ma l’immagine che tali detrattori hanno della storia non proviene dal lavoro storico, piuttosto dalla retorica e dall’accademia. Ma in questa sede si definirà come e perché uno storico pratica il suo mestiere, partendo dai metodi propri della ricerca stessa. Ma limitarsi a dire come si pratica la storiografia sarebbe riduttivo: è necessario enunciare come essa spera progressivamente di divenire. Ed è difficile fare un ritratto esaustivo della storiografia poiché è una disciplina contemporaneamente giovanissima (come atto di analisi razionale), vecchia (come racconto secolare carico di miti) e vecchissima (nel suo attaccamento al presente). Essa stenta e penetrare al di sotto dei fatti di superfice, e a livello metodologico è ai primi passi. I. La storia, gli uomini e il tempo solamente attraverso il ritratto che loro stessi accettano di farne. L’individuo possiede appena la coscienza immediata dei suoi stati mentali: non coglie altro che un angolino dell’immenso tessuto di avvenimenti che compone il destino di un gruppo umano. E l’osservazione del passato è davvero così indiretta come pare? Gli storici generalmente per conoscenza indiretta intendono quella che giunge alla mente dello storico esclusivamente attraverso un canale di menti umane diverse. Allora la conoscenza data dall’esame di fonti archeologiche è una conoscenza diretta. È evidente quanto sia fallace considerare l’intermediario umano unico intermediario degno di determinare l’essere indiretta della conoscenza: perché solo umano? Anche le fonti sono un intermediario che trasmette informazioni, ad esempio, circa una cultura remota nel tempo. E sempre le prove archeologiche che lo storico trova e studia, un tratto del linguaggio, una regola di diritto, un rito descritto in un libro di cerimonie , sono tutte realtà che lo storico stesso coglie e che mette a frutto con uno sforzo intellettuale che è strettamente personale, senza il bisogno di ricorrere ad altre menti umane come tramiti. In sostanza, non è vero che lo storico – cioè colui che studia l’uomo nel tempo non corrente – sia necessariamente ridotto a conoscere l’oggetto del suo studio mediante i rapporti con un estraneo. Risulta evidente definire le particolarità dell’osservazione storica ricorrendo a termini meno ambigui e più comprensivi. Sia gli studiosi del presente sia gli studiosi del passato conoscono gli avvenimenti solo tramite le tracce che essi hanno lasciato: vale per le fonti, e vale per i rapporti dei testimoni. Di nuovo, la differenza tra la ricerca sul lontano e l’inchiesta sul vicinissimo è una questione solo di grado, che non tocca la sostanza dei metodi. E se ciò che è avvenuto nel passato è destinato a non essere modificato, la conoscenza stessa del passato è in continua evoluzione. Ma in fondo gli studiosi del passato non sono del tutto liberi: il passato è loro tiranno, che proibisce loro di venire a conoscenza di qualunque cosa su di lui che egli stesso non abbia acconsentito a lasciar loro conoscere. 2. Le testimonianze Anche solo soffermandosi sulle fonti scritte pervenuteci da tempi remoti, è possibile dividere le fonti in volontarie (Ἱστορίαι di Erodoto, libro di storia più antico pervenutoci nel mondo occidentale, Memoires del Maresciallo Joffre, cronaca giornalistica) e involontarie (guide di viaggio nell’aldilà che gli Egizi riponevano nelle loro tombe, bolla d’esenzione pontificia, monete, documenti segreti). Le prime sono spesso più complete, ma – altrettanto spesso – meno affidabili delle seconde, che invece – essendo involontarie – sono, se non esenti da deformazione, quanto meno esenti dalla falsità scritta intenzionalmente affinché venga tramandata ai posteri. Spesso le fonti involontarie sono strumento di verifica delle fonti volontarie, passibili di corruzione da parte dei pregiudizi, delle false credenze e delle miopie delle generazioni studiate. E così le agiografie dei Santi dell’Alto Medioevo difficilmente riportano conoscenza concreta e verificata circa le vite di tali uomini, mentre – se interrogate correttamente – possono fornire informazioni preziose circa la società e le istituzioni del tempo. Interrogare: lo storico deve far parlare le fonti, deve porre loro le domande corrette, non deve esserne fruitore passivo. Mai in nessuna scienza l’osservazione passiva – ammesso che sia possibile – ha prodotto alcunché di fecondo. Il questionario c’è, nondimeno dev’essere duttile, suscettibile di arricchimento man mano che lo studio prosegue. L’esploratore sa già in partenza che non seguirà passo passo l’itinerario, ma se non ne avesse uno rischierebbe di vagare senza meta. Chi è estraneo al mestiere dello storico ignora che gli storici non si limitano allo studio delle fonti volontarie, e che anzi la varietà delle testimonianze storiche è pressoché infinita. È necessario che le tecniche di indagine storica si adattino alla fonte in questione, e ben pochi storici sono ugualmente preparati nell’esercizio di un vasto numero di esse, vasto abbastanza da poter – per esempio – scrivere la storia dell’occupazione dei suoli in modo autonomo prescindendo dal confronto con altri specialisti [pag. 54]: nell’indagine storica, è di fondamentale importanza la collaborazione tra studiosi con specializzazioni differenti, è insomma necessario il lavoro d’equipe. E tuttavia è indispensabile che lo storico possieda perlomeno un’infarinatura di tutte le principali tecniche proprie del suo mestiere. 3. La trasmissione delle testimonianze La raccolta delle fonti è uno dei compiti più lunghi e difficili dello storico, peraltro impossibile da portare a compimento senza l’aiuto di inventari di archivi, cataloghi di musei, repertori bibliografici. Quando le informazioni di un dato periodo sono detenute solo da un’istituzione ancora in vita, spesso non sussiste l’obbligo per tale istituzione di renderle pubbliche. Al contrario, le rivoluzioni, quando non distruggono, portano nelle mani del nuovo regime informazioni preziose [es: 1789 registri ecclesiastici e documenti che i ministri di corte non hanno fatto in tempo a bruciare sono finiti nelle mani del nuovo apparato statale]. Lo storico nella ricerca dei documenti si trova davanti gli ostacoli della negligenza, o poca cura, nei confronti dei documenti e della passione per il segreto ingiustificato nei confronti di essi. La ricerca documentaria prevede una certa percentuale di imprevisto nel suo percorso. III. La critica 1. Abbozzo di una storia del metodo critico La mentalità medioevale è così tradizionalista che, a forza di collocare la propria fede nel passato, si finiva per inventarlo: in Epoca Medioevale i falsi sono di frequente creazione, si pensi alla Donazione di Costantino [Constitutum Constantini: documento apocrifo conservato in copia nei Decretali di Pseudo-Isidoro (IX secolo) e, per interpolazione filologica, nel Decretum Gratiani del giurista Graziano (XII secolo), costituito da un falso editto di Costantino I enunciante concessioni favorevoli al potere della Chiesa di Roma e utilizzato per giustificare la nascita del potere temporale dei pontefici romani]. Ciononostante, lo scetticismo di principio non è più intellettualmente apprezzabile né più fecondo della credulità: tali vizi convivono facilmente. E nemmeno la critica di preteso buon senso porta lontano: tale buonsenso altro non è che una miscela di postulati irragionevoli e di esperienze frettolosamente generalizzate. Nel XVII secolo nasce una generazione cruciale per la storia del metodo critico, che opera nel solco di Cartesio: Mabillon, Simon, Spinoza. La critica dei documenti d’archivio nasce alla fine del XVII Secolo con la fondazione della diplomatica. In piena Età Controriformista i vari dotti appartenenti al clero incominciano a studiare l 'autenticità dei documenti della Storia della Chiesa. All'interno di questi gruppi di studiosi nascono disquisizioni sulle conclusioni di uno o di un altro autore, determinando i cosiddetti bella diplomatica. Nel 1681 è pubblicato il De re diplomatica di Jean Mabillon. Il dubbio ora può essere – se razionalmente guidato – strumento di conoscenza, e non semplice assenza di certezza. Il dubbio deve essere esaminatore costruttivo: deve consentire di discernere la verità dalla menzogna. Il metodo critico si era spinto oltre le velleità e le intuizioni del secolo XVI, e la critica, fino a quel momento semplice giudizio di gusto, diviene vera e propria prova di veridicità. Lo storico è sempre meno simile a un giudice credulone: sa che i suoi testimoni possono mentire, ma si preoccupa innanzitutto di farli parlare, al fine di comprenderli. E la cattiva testimonianza non è stata solo l’incentivo che ha provocato i primi sforzi verso la definizione di una tecnica della verità, ma anche il caso da cui la tecnica stessa deve partire per sviluppare le proprie analisi. 2. A caccia della menzogna e dell’errore Tre tipi di testimonianza viziata I. Impostura L’inganno, l’impostura, è il veleno che più di tutti è capace di viziare una fonte. Può essere di due tipi: il falso nel senso giuridico del termine (Lettere di Maria Antonietta scritte nel XIX sec.), e l’inganno sul contenuto (Commentarii di Cesare). La maggior parte degli scritti posti sotto falso nome ed epoca mentono anche nel contenuto, questo perché la frode non ha come scopo quello di recare la verità (se un diploma di Carlo Magno si rivela fabbricato tre secoli dopo che egli vivette, è ragionevole pensare che le donazioni di cui si attribuisce la benemerenza all’imperatore siano state parimenti inventate). Tutto ciò, tuttavia, non è decretabile a priori: in via eccezionale un falso può dire il vero (alcuni atti sono stati stesi al fine di replicare documenti autentici andati perduti). II. Rimaneggiamento Specularmente, è possibile che fonti la cui provenienza è stata dichiarata con certezza rechino testimonianze false: è nota la frequenza di inesattezze piccole e grandi, volontarie e preterintenzionali, riportate su carta bollata statale o notarile. Ma constatare l’inganno non basta, bisogna chiarirne i motivi; anche una menzogna è, a suo modo, una testimonianza: provare che un determinato documento è falso significa risparmiarsi un errore, ma non acquisire una conoscenza. Scoprire chi è l’impostore e perché ha agito in un determinato modo, questa è conoscenza storica. Si constata che i periodi più legati alla tradizione – Medioevo, Romanticismo – sono stati anche quelli che si presero le maggiori libertà con la sua vera eredità, come se – a forza di venerare il passato – si sia finiti per inventarlo. Il rimaneggiamento sornione, l’abbellimento con dettagli inventati, l’interpolazione di carte autentiche: sono le forme di inganno più insidiose. III. Menzogna verso sé stessi Molti testimoni si ingannano in buona fede. Per riconoscere questo tipo di inganno, lo storico agisce osservando il vivente, impiegando quindi quella disciplina definita “psicologia della testimonianza” per rilevare quelli che si possono definire errori di percezione, i quali spesso si trasformano in errori di memoria. Il testimone di un avvenimento storico, avendo vissuto in prima persona tale avvenimento, ha subito un certo turbamento emotivo che lo ha portato a non percepire l’avvenimento stesso nella sua globalità, pertanto il ricordo che ne ha è necessariamente parziale. Eminentemente variabile da individuo a individuo, la capacità di osservazione non è una costante sociale: certe epoche ne sono state più provviste di altre. Specularmente, le deformazioni dell’osservazione possono essere diffuse e radicate in un’epoca o un una civiltà (prevalentemente, quelle a tradizione orale, dove la falsa notizia si diffonde più efficacemente): le nuvole rimangono tali, ma noi in esse non vediamo più né croci né spade miracolose, a differenza dell’uomo del Medioevo. Oltre a questi fattori umani, occorre considerare anche altri limiti impliciti nell’osservatore: spesso e l’osservazione si limita a ciò che l’osservatore si aspettava di percepire, e la familiarità produce quasi necessariamente indifferenza. 3. Saggio di una logica del metodo critico La critica della testimonianza possiede una propria dialettica, poiché si basa sulla pratica metodica di alcune grandi operazioni mentali. L’analisi di una fonte si basa sulla comparazione (con altre fonti) e con la contestualizzazione nella dimensione cronologica: è confrontando i diplomi merovingi tra di loro che Mabillon ha fondato la diplomatica, è dal confronto dei testi evangelici che è nata l’esegesi. L’esito di tale comparazione non è scontato: può svelare ora somiglianze, ora divergenze, le quali possono condurre a conclusioni opposte. Ma la comparazione ha i suoi limiti; la critica si muove tra i due estremi della somiglianza che discredita e di quella che giustifica: la mente umana fa fatica a concepire che nella storia due guerrieri abbiano descritto battaglie differenti ricorrendo agli stessi medesimi disegni – si dirà, uno dei due è un falso. La soluzione è riconoscere la possibilità di coincidenze fortuite, valutando il caso specifico: la ricerca storica incrocia qui la sua rotta con la via della teoria della probabilità. [esempio pag. 93] Si è visto che – affinché una fonte sia riconosciuta autentica – è necessario che essa presenti un certo grado di somiglianza con le fonti a lei vicine. Tuttavia, applicando alla lettere tale principio, la scoperta – che è sorpresa, dissimiglianza – sarebbe impossibile. La pratica di una scienza che si limita a constatare che tutto avviene come ci si aspetta non sarebbe né produttiva né divertente. La critica delle fonti non può attingere alla certezza metafisica: è solo mediante una semplificazione che talvolta lo storico parla di evidenza in luogo di probabilità. In senso stretto, non è impossibile che la Donazione di Costantino sia autentica, non è impossibile che la Germania di Tacito sia un falso. Ma, citando Cournot, “l’evento impossibile è l’evento la cui probabilità è infinitamente piccola.” La storia ha tra i suoi meriti quello di aver donato agli uomini – elaborando la propria tecnica – una nuova via verso la verità (e verso il giusto): il metodo critico. IV. L’analisi storica 1. Giudicare o comprendere? Lo storico è frequentemente invitato a eclissarsi di fronte ai fatti, consigliando la probità, la passività e l’imparzialità. Secondo Ranke, lo storico deve descrivere le cose wie es eigentlich gewesen, tali quali sono avvenute. Citando Erodoto: ta onta legein, raccontare ciò che fu. Come molte massime, probabilmente anche queste devono la loro fortuna alla loro ambiguità. Ma vi sono due modi di essere imparziali, ed entrambi implicano un obbligo di coscienza che non può essere messo in discussione: quello del buono studioso e quello del buon giudice. Entrambi sono onestamente sottomessi alla verità. Lo studioso registra l’esperienza anche se capovolgerà le sue più care teorie. Il giudice interroga i testimoni senz’altra preoccupazione al di fuori di quella di conoscere i fatti. Quando lo studioso ha osservato e spiegato, il suo compito è concluso, mentre il giudice deve ancora emettere una sentenza. Se un giudice, metterà a tacere ogni simpatia personale e si pronuncerà secondo la legge, sarà ritenuto imparziale dagli altri giudici, ma non dagli storici. Il giudice, infatti, aderisce a
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