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Borghesia e classe operaia, Sintesi del corso di Storia Contemporanea

Riassunto del decimo capitolo del libro "L'Ottocento" di Sabbatucci e Vidotto

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 07/06/2023

francescagioia02
francescagioia02 🇮🇹

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Scarica Borghesia e classe operaia e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! CAPITOLO 10: BORGHESIA E CLASSE OPERAIA  I caratteri della borghesia Le rivoluzioni del ’48-49 furono un totale fallimento: i vecchi sovrani erano tornati sui loro troni dappertutto, a eccezione della Francia; le istituzioni rappresentative erano state quasi ovunque cancellate o soffocate dal ritorno dei metodi assolutistici. Nonostante ciò, la società conobbe un processo di profondo mutamento che aveva per protagonisti i ceti borghesi ma che coinvolgeva anche le classi proletarie. Tra il 1850 e il 1870 la borghesia europea riuscì a presentarsi come portatrice e depositaria degli elementi di novità e trasformazione – lo sviluppo economico, il progresso scientifico -, a far valere la sua influenza e le sue idee-guida: il merito individuale, la libera iniziativa, la concorrenza, l’innovazione tecnica. Il termine “borghesia” racchiude un’ampia gamma di figure e posizioni sociali:  Al vertice si collocavano i MAGNATI DELL’INDUSTRIA e DELLA FINANZA, che aspiravano ad assumere gli stili di vita tipici dell’aristocrazia  Al di sotto si collocavano i gruppi e le categorie sociali che più propriamente si possono definire borghesi:  CETI EMERGENTI  imprenditori, mercanti e banchieri  BORGHESIA PIÙ TRADIZIONALE  quella che traeva i suoi proventi dalla terra, quella che esercitava le professioni (avvocati, medici, ingegneri) e quella che occupava i gradi medio-alti della burocrazia statale  Infine, troviamo la PICCOLA BORGHESIA  impiegati e insegnanti, piccoli commercianti e piccoli professionisti Nonostante la varietà delle sue componenti, la borghesia europea tendeva a esprimere una propria cultura e un proprio stile di vita. Lo stile di vita borghese doveva essere visibile nei segni esteriori: nell’abbigliamento, che rappresentava il principale segno distintivo di una condizione sociale, e nell’arredamento  le abitazioni borghesi non avevano lo sfarzo dei palazzi aristocratici ma requisiti tipici della casa borghese erano la solidità e la razionalità senza sprechi degli spazi. All’interno, però, l’abbondanza degli addobbi, dei quadri e dei soprammobili e il gusto della decorazione rivelavano l’esigenza di tradurre il successo e la ricchezza in simboli visibili e tangibili. I valori fondamentali dell’etica e della cultura borghese restavano quelli tradizionali. L’austerità, la moderazione, la propensione al risparmio erano le virtù del borghese- tipo, quelle che gli permettevano di legittimare la propria posizione nella società. Questa componente moralistica si rifletteva in particolare nella struttura della famiglia: una struttura patriarcale basata sull’autorità del capofamiglia e sulla subordinazione della donna  la donna era esclusa dalle attività lavorative ma aveva un ruolo decisivo nella sfera privata della tutela della famiglia e della cura dei figli. Quest’intransigenza borghese in materia di morale familiare e sessuale era dovuta al fatto che la borghesia doveva difendere un’immagine di rispettabilità che non derivava, come per gli aristocratici, dall’appartenenza a un ordine privilegiato  la borghesia, quindi, doveva dotarsi di saldi principi morali per giustificare la sua posizione sociale. Ovviamente, non tutti i borghesi praticavano scrupolosamente queste virtù. Ne discendeva la convinzione secondo cui chi occupava i gradini inferiori della scala sociale era colui che di quelle doti era sprovvisto. La povertà era un difetto morale o il frutto di colpe ataviche. I poveri rimanevano poveri perché non conoscevano l’arte del risparmio e non erano in grado di dominare i loro bassi istinti.  La cultura del positivismo Il borghese europeo della seconda metà dell’800 era anche animato da un’illimitata certezza nel progresso generale dell’umanità. Questo diffuso ottimismo poggiava su due pilastri: lo SVILUPPO ECONOMICO e le CONQUISTE DELLA SCIENZA  negli anni 1850-70, la chimica, la fisica e tutte le scienze della natura conobbero importanti progressi teorici e tornarono ad occupare, come nell’età dell’Illuminismo, una posizione di preminenza nell’ambito della cultura europea. Sui progressi della scienza si fondò una nuova corrente intellettuale, il POSITIVISMO  la sua influenza sulla cultura occidentale si allargò a tal punto da diventare una sorta di mentalità diffusa. Il positivismo fu innanzitutto un indirizzo filosofico che considerava la CONOSCENZA SCIENTIFICA – quella basata su dati “positivi”, cioè reali e oggettivi – come l’unica valida e applicava i metodi delle scienze naturali a tutti i campi dell’attività umana: arte, economia, psicologia, politica… Auguste Comte fu il fondatore della nuova filosofia e della moderna SOCIOLOGIA. Dal settore degli studi filosofici, il positivismo venne allargando la sua influenza a tutti gli altri campi del sapere. Infatti, il rappresentante più significativo del nuovo spirito “positivo” fu uno scienziato: il grande naturalista inglese CHARLES DARWIN. Nell’opera L’origine della specie (1859), Darwin formulò, sulla base di lunghe osservazioni scientifiche sul mondo animale, una teoria dell’evoluzione  secondo questa teoria, la natura è soggetta a un incessante processo evolutivo, guidato da un meccanismo di selezione naturale che determina la sopravvivenza degli individui meglio attrezzati per reagire alle sollecitazioni dell’ambiente e la scomparsa degli elementi meno adatti. L’uomo stesso, secondo Darwin, non è che il risultato dell’evoluzione di organismi più elementari. In questo modo, la teoria evoluzionistica contraddiceva le credenze religiose sulla creazione dell’uomo direttamente ad opera della divinità. In questo modo il darwinismo si inseriva nel quadro più generale della cultura “positiva” che tendeva a liberare l’uomo da ogni forma di condizionamento soprannaturale. Tuttavia, il principio della selezione naturale venne utilizzato per consacrare il diritto del più forte nei rapporti fra gli individui, tra le classi e anche fra gli Stati.  Lo sviluppo dell’economia Dalla fine degli anni '40, l'economia europea conobbe una fase di forte sviluppo durata quasi un quarto di secolo. Lo sviluppo interessò anzitutto l'industria, principalmente nei settori siderurgico e meccanico. Si generalizzò in quest'epoca l'impiego delle macchine a vapore e del combustibile minerale. La macchina a vapore, in particolare, fu l’assoluta protagonista di questo sviluppo economico: sia come forza motrice nelle fabbriche, che abbandonarono la ruota idraulica e si convertirono alla meccanizzazione alimentata dal vapore, sia come locomotiva nelle ferrovie e come motore per la navigazione. Congress, che riuniva i delegati di tutti i maggiori sindacati e che rappresentò da allora il nucleo basilare del movimento operaio in Gran Bretagna. FRANCIA  peggiore era la situazione del movimento operaio francese, decimato dalle sconfitte del ’48 e del ’51. I pochi nuclei organizzati su base locale erano influenzati dalle teorie di PROUDHON, fautore di una sorta di cooperativismo a sfondo anarchico. I principi proudhoniani ebbero una certa fortuna anche in ITALIA, dove il proletariato di fabbrica era ancora pressoché inesistente e i pochi nuclei di operai e di artigiani organizzati in società di mutuo soccorso avevano subito l’influenza di Mazzini, fautore della cooperazione e ostile alla lotta di classe e a ogni forma di collettivismo. GERMANIA  qui la situazione era molto diversa perché già prima del ’48 esisteva un movimento socialista. Alla fine degli anni ’50, questo movimento trovò un abile leader in LASSALLE, che basava le sue concezioni socialiste su una teoria dello sfruttamento capitalistico molto simile a quella marxista ma, diversamente da Marx, credeva nella possibilità per i lavoratori di conquistare lo Stato borghese e di trasformarlo dall’interno attraverso il suffragio universale. Lassalle fondò nel 1863 l’ASSOCIAZIONE GENERALE DEI LAVORATORI TEDESCHI, che raccolse vaste adesioni negli Stati della Confederazione germanica e rappresentò il primo importante esempio di partito operaio organizzato su scala nazionale. Nel 1864 venne fondata, a Londra, la prima ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE DEI LAVORATORI, alla quale presero parte rappresentanti delle organizzazioni operaie inglesi e francesi, un emissario di Mazzini e anche KARL MARX. La fondazione dell’Associazione dei lavoratori – o PRIMA INTERNAZIONALE – fu senza dubbio un evento capitale nella storia del movimento operaio, soprattutto per il suo significato simbolico  l’Internazionale costituì un punto di riferimento ideale per i lavoratori di tutta Europa anche se la sua capacità di rappresentare realmente le organizzazioni operaie dei singoli paesi e di guidare la loro attività fu assai scarsa. Inoltre, il suo funzionamento venne gravemente compromesso dalle aspre rivalità che dividevano i suoi capi, principalmente tra MARXISTI e ANARCHICI. Il maggior teorico dell’anarchismo fu il russo MICHAIL BAKUNIN, le cui teorie si distinguevano per alcuni aspetti sostanziali da quelle di Marx. Per Bakunin l’ostacolo principale che impediva all’uomo il conseguimento della piena libertà era costituito non tanto dai rapporti di produzione, quanto dall’esistenza stessa dello STATO  lo Stato era, assieme alla religione, lo strumento di cui si servivano le classi dominanti per mantenere la maggioranza della popolazione in condizioni di inferiorità economica e intellettuale. Abbattuto il potere statale, il sistema di sfruttamento economico basato sulla proprietà privata sarebbe caduto e il comunismo si sarebbe instaurato spontaneamente, senza che allo Stato dovesse sostituirsi un’organizzazione di tipo centralizzato e coercitivo. Marx ne Il Capitale (1867) sosteneva che la realizzazione del socialismo sarebbe derivata dalle leggi stesse dello sviluppo economico. Anche Marx vedeva nella religione e nello Stato gli strumenti al servizio delle classi dominanti, ma collocava l’uno e l’altra nella sfera della “sovrastruttura” = li considerava un prodotto della “struttura” economica basata sullo sfruttamento: solo la distruzione di quella struttura – ossia del sistema capitalistico – avrebbe reso possibile la distruzione dello Stato borghese. Pertanto, anche per Marx, l’avvento del comunismo e della società comunista avrebbe portato con sé l’estinzione dello Stato; tuttavia, questo stadio finale sarebbe stato raggiunto solo dopo una fase transitoria, quella della “dittatura del proletariato”, necessaria per neutralizzare la reazione delle classi dominanti. Per Marx, quindi, il protagonista del processo rivoluzionario non poteva essere che il PROLETARIATO INDUSTRIALE dei paesi avanzati. Per Bakunin, invece, il vero soggetto della rivoluzione erano le MASSE DISEREDATE IN QUANTO TALI. Il contrasto tra marxisti e bakuniniani mise in crisi le strutture dell’Internazionale che fu sciolta nel 1876. Tuttavia, gli anarchici riuscirono a trovare un seguito soprattutto in quei paesi e in quei ceti che non avevano ancora conosciuto la rivoluzione industriale. Questa fu la forza dell’anarchismo bakuniniano ma anche la causa del suo declino di fronte allo sviluppo dell’industria.  La Chiesa cattolica contro la modernità borghese Negli stessi anni, il mondo cattolico assunse un atteggiamento molto critico nei confronti di una civiltà che si basava su presupposti laici e che tendeva a relegare la religione nell’ambito della superstizione e delle credenze popolari. Papa PIO IX, ferito dalle esperienze del ’48-49, abbandonò qualsiasi ipotesi innovatrice e si preoccupò di riaffermare una rigida ortodossia dottrinaria e di incoraggiare le pratiche di devozione. Lo scontro tra CHIESA CATTOLICA e CULTURA LAICO-BORGHESE ebbe il suo culmine nel 1864, quando Pio IX emanò l’enciclica Quanta cura, nella quale condannava il liberalismo, la democrazia, il socialismo e l’intera civiltà moderna. Inoltre, il papa fece pubblicare, assieme all’enciclica, una sorta di elenco – il Sillabo – degli “errori del secolo”  la pubblicazione del Sillabo suscitò scalpore in tutta Europa, anche tra i cattolici e i loro alleati: Napoleone III, ad esempio, ne proibì la diffusione in Francia poiché lo giudicava nocivo per la convivenza fra Chiesa e Stato. La frattura di allargò ulteriormente quando, nel Concilio Vaticano I del 1870, fu proclamato il dogma dell’infallibilità del papa nelle sue pronunce ufficiali in materia di fede e di morale. Questa decisione non faceva altro che rafforzare l’autorità del papa e per questo non piacque ai governi degli Stati cattolici  si accentuò così l’isolamento della Santa Sede. Infatti, quando, nel settembre 1870, le truppe italiane entrarono a Roma per annetterla al Regno d’Italia e completare l’unificazione della penisola, nessuno dei governi europei si mosse per salvare il potere temporale del papa.
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