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Botanica generale e sistematica, Appunti di Botanica Generale

Appunti che comprendono tutti gli argomenti relativi a questa materia; partendo dalla descrizione di tutti i tessuti e le componenti delle piante (compresa la descrizione della cellula vegetale) fino ad arrivare alla descrizione nei particolari di ogni divisione e classe di piante.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 17/01/2023

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arianna-lore 🇮🇹

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Scarica Botanica generale e sistematica e più Appunti in PDF di Botanica Generale solo su Docsity! de BOTANICA GENERALE + SISTEMATICA a BOTANICA GENERALE Di che cosa si nutrono i vegetali? Gli organismi vegetali sono capaci di trasformare composti inorganici in sostanza organica (glucosio) usando l’energia luminosa. Per catturare l’energia luminosa usano molecole organiche complesse come i pigmenti. Tra questi il più noto è la clorofilla, che conferisce il caratteristico colore verde ad alcune parti della pianta. Le parti verdi delle piante funzionano come pannelli solari. Le piante fanno fotosintesi ossigenica! Piante = organismi autotrofi, cioè capaci di produrre molecole di glucosio a partire da molecole inorganiche (CO2 e H2O) ed energia luminosa, liberando ossigeno (fotosintesi ossigenica). Perché è importante il glucosio e in che modo è correlato con l’energia? Animali e piante degradano molecole di glucosio per produrre energia (ATP), con un processo noto come respirazione. La respirazione è un processo aerobio, cioè richiede la presenza di ossigeno. Liberazione di ossigeno, come conseguenza della fotosintesi, e respirazione sono quindi processi interdipendenti. Le piante, organismi autotrofi, producono ATP (respirazione) degradando molecole di glucosio che esse stesse hanno prodotto grazie alla fotosintesi ossigenica. I vegetali producono una parete cellulare e sono inesorabilmente condannati all’immobilità. Questo influenza: - Strategie riproduttive - Vita di relazione ed in particolare i meccanismi di difesa - Crescita e sviluppo Non è così corretto dire che le piante siano immobili. Sono infatti capaci di orientare la crescita della porzione epigea, spostandosi verso delle sorgenti di luce (fototropismo). Se la pianta non può muoversi, dopo un po’ di tempo indirizzerà le proprie foglie ed i nuovi rami verso la fonte luminosa. Quindi la pianta farà dei movimenti pur essendo ancorata al substrato. Questo meccanismo si è evoluto per poter intercettare il massimo delle radiazioni luminose per migliorare l’efficienza della fotosintesi, mantenendo le radici ancorate al substrato. Pur essendo i movimenti dovuti al fototropismo evidenti, questo fenomeno non è identico in tutte le specie, questo perché ogni specie ha un diverso fabbisogno di luce solare. La fotosintesi è una reazione fotochimica che tende a saturarsi quando l’intensità luminosa è eccessiva. Ogni pianta presenta punti di saturazione caratteristici. Vi sono piante che si saturano a 200, 300, 400, 500… microEinstein per m2 al secondo… Ciò significa che le piante che si saturano presto non hanno bisogno di molta luce per svolgere la fotosintesi. Quindi alcune piante si accontentano di poche ore di luce diretta al giorno e anzi, un’eccessiva esposizione al sole è dannosa (piante sciafile). In natura, le piante sciafile (maggior parte delle felci) prosperano nei boschi, in luoghi ombrosi, generalmente ai piedi di altre piante di dimensioni maggiori. Altre piante, invece, sono particolarmente Eliofile (amanti del sole) e cercheranno di stare quante più ore possibili esposte ai raggi solari diretti. Ma quali sono le basi cellulari del fototropismo? Come fanno le piante a “sentire” la luce e ad attuare una risposta? Perché i rami e le foglie si “muovono” verso la sorgente luminosa? Il fototropismo delle piante fu studiato già dal 1800. Il botanico svizzero Augustin Pyrame de Candolle ipotizzò che la causa di questa asimmetria fosse attribuibile ad una diversa velocità di crescita delle cellule poste sul lato esposto all’ombra, rispetto alle altre. Tuttavia, non riuscì a comprendere come questo avvenisse e come la radiazione solare potesse influenzare la velocità di crescita. Una settantina di anni dopo, Charles Darwin e suo figlio Francis investigarono ulteriormente il fenomeno. Provarono a crescere dei germogli ed osservarono che, sin dai primi istanti di vita, i germogli si piegavano tutti verso la fonte luminosa. Ripetettero l’esperimento con cinque germogli: macromolecole. Nelle cellule attuali tra le macromolecole troviamo: acidi nucleici (RNAs e DNA) e proteine. Tuttavia, la caratteristica fondamentale che le macromolecole devono avere per giocare un ruolo nell’evoluzione è la capacità di replicarsi. Solo le macromolecole capaci di dirigere la sintesi di nuove copie di sé stesse hanno avuto un ruolo nel processo evolutivo. Delle due maggiori classi di macromolecole presenti nelle cellule attuali (acidi nucleici e proteine), solo gli acidi nucleici sono capaci di dirigere la loro replicazione. Essi funzionano infatti come stampi grazie al concetto di complementarità tra le basi. Un passaggio critico nella comprensione dell’evoluzione molecolare fu raggiunto negli anni ’80, quando fu scoperto che le molecole di RNA sono capaci di catalizzare un gran numero di reazioni chimiche. Le molecole di RNA, al contrario del DNA, sono polimeri di nucleotidi a catena singola. La forma funzionale di molecole a singolo filamento di RNA, come le proteine, richiede spesso una struttura terziaria specifica. L’impalcatura di questa struttura è fornita da elementi strutturali secondari che sono legami a idrogeno all’interno della molecola. Le molecole di RNA sono così capaci di funzionare sia come stampi che come molecole che possono catalizzare la loro replicazione grazie al criterio di complementarietà delle basi. Di conseguenza, si è ipotizzato che il sistema generico delle cellule primordiali sia stato rappresentato da molecole self replicanti di DNA, un periodo della storia evolutiva noto come RNA world. Successivamente, interazioni tra RNA ed aminoacidi avrebbero portato all’attuale meccanismo di codice genetico e di sintesi delle proteine, mentre il DNA, una molecola a doppio filamento, molto più stabile dell’RNA, avrebbe rimpiazzato l’RNA come depositaria dell’informazione genetica. La prima cellula si presume che si sia originata dalla chiusura spontanea di un doppio strato di fosfolipidi intorno a molecole di RNA. Il doppio strato di fosfolipidi è il modello di organizzazione di tutte le membrane cellulari sia procariotiche che eucariotiche. Tutti gli organismi viventi sono fatti da cellule. Piccoli compartimenti rivestiti da membrane contenenti soluzioni acquose con elevate concentrazioni di reagenti chimici. Le cellule più semplici sono procarioti unicellulari che si riproducono per scissione binaria. Le cellule eucariotiche presentano un’organizzazione complessa: 1. Il DNA è contenuto all’interno di un compartimento, il nucleo delimitato da una doppia membrana 2. Presenza di un sistema di endomembrane oltre ad organuli non rivestiti da membrane A partire dalla cellula progenitrice a RNA, si sarebbero prima originati i procarioti: - Cellule con un’organizzazione semplice - Si riproducono per fissione binaria - Hanno un’estrema velocità riproduttiva - Quindi elevata capacità evolutiva per mutazione spontanea e selezione naturale In origine, quando la vita iniziata sulla terra, le cellule primordiali erano dotate di una chimica relativamente semplice à c’era scarsa necessità di reazioni metaboliche elaborate. Si ritiene che tali cellule sopravvivessero sfruttando le molecole presenti nell’ambiente circostante da cui derivava: - L’energia chimica per i loro processi metabolici - Gli atomi per la sintesi delle molecole necessarie In questo caso cellule molto semplici crescono sfruttando le molecole organiche presenti nell’ambiente. Con il procedere del processo evolutivo si è verificata una competizione per lo sfruttamento delle risorse naturali à vantaggio evolutivo per le cellule che avevano sviluppato vie enzimatiche per sintetizzare molecole organiche, svincolandosi in tal modo dalle risorse naturali. Maggiore indipendenza dalle molecole già presenti nell’ambiente. Da non dimenticare: il metabolismo cellulare necessita di energia! L’energia per far avvenire le reazioni è contenuta in una molecola chiave à ATP Per quanto riguarda il metabolismo energetico abbiamo già visto che possiamo incontrare individui eterotrofi (animali) ed individui autotrofi (piante). Anche per quanto riguarda i procarioti possiamo fare questo tipo di distinzione. I batteri eterotrofi possono degradare molti tipi di molecole organiche (aminoacidi, lipidi, idrocarburi, polipeptidi, zuccheri semplici, polisaccaridi) disponibili nell’ambiente per produrre energia (ATP), attraverso complesse vie metaboliche. Dalla demolizione dei legami chimici di queste molecole si ottiene l’energia necessaria per sintetizzare molecole di ATP. La competizione per il materiale disponibile nell’ambiente per il metabolismo energetico ha segnato un vantaggio evolutivo per quegli organismi capaci di utilizzare molecole inorganiche abbondanti nell’atmosfera per costruire molecole organiche. Altri tipi di batteri (batteri fotosintetizzanti) sono in grado di sintetizzare essi stessi le molecole organiche che vengono poi degradate per produrre l’ATP, invece di prenderle dall’ambiente circostante. Alcuni procarioti sono autotrofi. I primi procarioti autotrofi si ritiene che compissero un processo di fotosintesi non ossigenica, in cui il donatore di elettroni non era l’acqua, ma molecole di acido solfidrico. Questo tipo di fotosintesi non produceva ossigeno come prodotto di scarto. Successivamente si sarebbero evoluti i cianobatteri o alghe azzurre la cui modalità per fare fotosintesi è esattamente sovrapponibile a quella delle piante (fotosintesi ossigenica). Tramite la fotosintesi i cianobatteri sintetizzano molecole di glucosio che rappresenta il punto di partenza per il metabolismo ossidativo che porta alla sintesi di ATP. Attraverso i cianobatteri la maggior parte delle molecole di anidride carbonica vengono convertite in macromolecole organiche ed entrano nella biosfera. La fotosintesi ossigenica, evoluta dai cianobatteri ha determinato un cambiamento della composizione gassosa dell’atmosfera. Ossigeno al 21%. L’ossigeno è una molecola estremamente reattiva, tossica per la maggior parte degli organismi anaerobi che si erano sviluppati. L’aumento della concentrazione di ossigeno dell’atmosfera è stato un fattore ambientale determinante nel processo di selezione naturale, soprattutto per quanto riguarda il metabolismo energetico. Conseguenze: - Organismi anaerobi rifugiati in nicchie ecologiche povere di ossigeno (es. Archeobatteri) - Altri procarioti hanno imparato ad utilizzare ossigeno in modo da trarne vantaggio per il metabolismo energetico Vista l’importanza dell’ATP, le reazioni più antiche, quelle più vicine al centro dell’albero metabolico sono quelle che riguardano il metabolismo energetico. Il processo al centro del metabolismo energetico è la glicolisi anaerobia, cioè la degradazione del glucosio in assenza di ossigeno (via anaerobia). Le più antiche vie metaboliche sarebbero state anaerobie poiché non c’era ossigeno nell’atmosfera della terra primitiva e l’aumento della concentrazione di ossigeno rappresentava un problema. La glicolisi è una via metabolica antica. L’energia per produrre molecole di ATP a partire da ADP e Pi deriva dalla scissione di legami chimici esistenti fra gli atomi di carbonio del glucosio. Si passa da molecole a 6 atomi di carbonio a molecole a 3 atomi di carbonio. Guadagno netto di 4 molecole di ATP + 2NADH = 6 ATP. Tutto ciò avviene in condizioni di anaerobiosi cioè in assenza di ossigeno. Abbiamo già sottolineato che in condizioni primordiali l’atmosfera terrestre non conteneva ossigeno e pertanto era presumibilmente colonizzata da organismi anaerobi il cui metabolismo energetico era basato sulla glicolisi anaerobia che portava ad una scarsa produzione di ATP. 6 molecole di ATP per ogni molecola di glucosio (6 atomi di C) che veniva solo parzialmente degradata a piruvato (3 atomi di C). Si ipotizza che alcuni procarioti, rispondendo alla pressione selettiva dovuta all’aumento della concentrazione di ossigeno nell’atmosfera, abbiano sviluppato una via metabolica aggiuntiva rispetto alla glicolisi anaerobia. Questa ulteriore via enzimatica avviene in presenza di ossigeno (procarioti aerobi) e porta alla completa degradazione delle molecole di piruvato (3 atomi di carbonio) a anidride carbonica e acqua, con un notevole incremento della produzione di ATP (30 molecole di ATP), rispetto alla glicolisi (6 molecole di ATP). Le cellule eucariotiche attuali (animali e piante) hanno tutte un metabolismo aerobio. I mitocondri, organuli semiautonomi dotati DNA come sono andati a finire all’interno di una cellula eucariotica? I mitocondri attuali derivano forse da quei batteri aerobi cui abbiamo accennato? Si è ipotizzato che alcuni eucarioti primitivi abbiano stabilito associazioni strette con procarioti aerobi che sarebbero poi stati incorporati in una condizione di simbiosi stabile (teoria endosimbionte). La simbiosi diventa stabile ed i procarioti aerobi diventano organuli cellulari: i mitocondri. Il risultato è una cellula eucariotica capace di compiere la glicolisi anaerobia (nel citoplasma) + ciclo di Krebs (nei mitocondri). Considerevole aumento dell’efficienza energetica. Secondo questa teoria gli eucarioti primitivi avrebbero avuto un notevole vantaggio dal punto di vista del metabolismo energetico nello stabilire una simbiosi permanente con i procarioti capaci di ossidare completamente zuccheri semplici o lipidi à CO2 + H2O + energia + ATP in presenza di ossigeno. La completa degradazione della molecola di piruvato ad anidride carbonica e acqua in presenza di ossigeno è nota come respirazione ed avviene, nelle cellule attuali, nei mitocondri (ciclo di Krebs). Glicolisi anaerobia, in anaerobiosi (citoplasma delle cellule attuali) à 6 ATP Ciclo di Krebs, in aerobiosi (mitocondri) à 30 ATP Le cellule eucariotiche (animali e vegetali) dipendono dai mitocondri per il loro metabolismo ossidativo. Secondo la teoria endosimbionte il mitocondrio attuale deriva da un procariote aerobio. I mitocondri somigliano ai procarioti dotati di vita libera: - Per dimensione e forma - Contengono DNA - Fanno sintesi proteica - Si riproducono per scissione binaria I mitocondri sono responsabili della respirazione cellulare. Senza di essi animali, vegetali e funghi sarebbero anaerobi e dipenderebbero dal primitivo processo di glicolisi anaerobia per produrre energia. Sembra probabile che le attuali cellule eucariotiche siano discendenti di anaerobi primitivi sopravvissuti, in un mondo che era diventato ricco di ossigeno (ad opera della fotosintesi ossigenica operata dai cianobatteri), inglobando batteri aerobi. Trattenendoli in simbiosi per la loro capacità di consumare ossigeno e produrre energia. Alcuni microrganismi attuali forniscono una buona evidenza della possibilità di questa sequenza evoluzionistica. Alcuni eucarioti unicellulari simili ad ipotetici eucarioti ancestrali vivono in condizioni povere di ossigeno (parassiti obbligati nell’intestino di animali) e mancano di mitocondri. Analisi delle sequenze nucleotidiche hanno mostrato che almeno due gruppi di questi organismi (protisti): diplomonadi e microsporidi si sono separati presto dalla linea che ha portato alle altre cellule eucariotiche. L’ameba Pelomyxa palustris (diplomonadi e microsporidi) manca di mitocondri ma è dotata di metabolismo aerobio tenendo batteri aerobi in simbiosi permanente nel citoplasma ossidativo. Rassomigliano ai due stadi proposti nell’evoluzione degli eucarioti. Studi più recenti hanno permesso tuttavia di ipotizzare una seconda possibilità per quanto riguarda l’origine delle cellule eucariotiche ed in particolare l’acquisizione del metabolismo aerobio. Analisi recenti delle sequenze geniche degli eucarioti hanno suggerito che questi potrebbero essersi originati come risultato della fusione di due ceppi diversi di procarioti e sulla base della omologia di sequenza, uno di questi ceppi sarebbe appartenuto ad un sottogruppo di Archea, TACK archea. L’acronimo deriva dal fatto che il superphylum TACK comprende diversi gruppi: Thaumarchaeota, Crenarchaeola and Koracheaeota. L’evento chiave nell’evoluzione dai procarioti agli eucarioti è stata l’acquisizione del nucleo e del sistema di endomembrane (oltre che dei mitocondri). Per spiegare l’origine del sistema di endomembrane sono stati proposti due modelli: - Outside-in model à propone che le membrane cellulari dell’eucariote e dell’archea sarebbero omologhe; quindi, la PM (membrana plasmatica) dell’archea corrisponderebbe alla PM dell’eucariote. Il sistema di endomembrane deriverebbe dall’invaginazione della PM, per dare luogo agli organuli interni e all’involucro nucleare - Inside-in model à suggerisce che la PM dell’archea sia diventata la membrana dell’involucro nucleare e che questa membrana abbia poi formato delle protrusioni che sarebbero andate a costruire la membrana esterna dell’involucro nucleare, il sistema di endomembrane e la PM dell’eucariote Secondo l’inside-out model un Archea con la PM che presentava delle estroflessioni sarebbe il progenitore delle cellule eucariotiche. La porzione non estroflessa della PM si sarebbe chiusa attorno al DNA, andando a costituire la membrana interna dell’involucro nucleare. Le propaggini della PM dell’archea avrebbero catturato e poi si sarebbero chiuse intorno ad un batterio aerobio, andando a costituire il presupposto per l’origine dei mitocondri. Altre propaggini della PM Pili Costituiti da subunità proteiche di pilina. I pili comuni sono più numerosi e sono strutture adesive (fattori di colonizzazione). Talvolta hanno proprietà antifagocitarie. Sono appendici filiformi di natura proteica che conferiscono motilità. Numero e zona di inserzione sulla superficie cellulare molto variabili ed usati come criteri di classificazione. Struttura à tre parti principali: 1. Filamento à subunità tutte uguali di proteina contrattile = flagellina (proteina molto conservata) 2. Uncino 3. Corpo basale Funzioni à conferiscono motilità. Non sono assolutamente necessari per la sopravvivenza, ma conferiscono il vantaggio dei movimenti chemiotattici. Possono anche rispondere a gradienti di concentrazione dell’ossigeno (movimenti aerotattici). Nel caso di batteri fotosintetici flagellati alla presenza di zone diversamente illuminate (movimenti fototattici). Mitosi negli eucarioti e scissione binaria nei procarioti Il fenomeno della suddivisione di una cellula in due cellule figlie si osserva sia negli organismi procarioti che negli eucarioti. Propriamente, si parla di mitosi nelle cellule eucariotiche, nelle quali il processo è caratterizzato da quattro fasi (profase, metafase, anafase e telofase) seguite dalla citodieresi. Nei procarioti non si possono riconoscere le quattro fasi tipiche della mitosi, e la divisione cellulare avviene in modo più semplice perché il patrimonio genetico non è contenuto in un nucleo ma si trova disperso nel citoplasma, in forma di cromosoma circolare. Inoltre, il DNA dei procarioti non è legato alle proteine basiche che si ritrovano, invece, negli avvolgimenti del DNA eucariotico e, di conseguenza, anche la sua duplicazione avviene in modo più rapido e semplice di quanto avvenga negli eucarioti. Nei procarioti, dunque, si preferisce parlare di scissione binaria. Il cromosoma batterico è costituito da una unica molecola circolare di DNA a doppia elica. In esso sono contenuti i geni per produrre le proteine necessarie al metabolismo del batterio. Esterno al cromosoma vi è molto spesso la presenza di una molecola di DNA più piccola, sempre circolare, che prende il nome di plasmide. Prima del processo di scissione binaria il cromosoma prende contatto con un mesosoma. Il cromosoma circolare di una cellula batterica è attaccato a una piccola introflessione della membrana, il mesosoma. Quando ha luogo la duplicazione del DNA, si forma una seconda molecola di acido nucleico circolare che prende contatto con un punto della membrana prossima al mesosoma originario; il progressivo allungamento della cellula e l’allontanamento dei due mesosomi determina l’allontanamento delle due molecole identiche di DNA e la loro ripartizione in due cellule figlie. Nelle cellule batteriche il materiale genetico si duplica e si distribuisce ai due poli della cellula batterica, la quale si allunga e alla fine si divide in due cellule figlie identiche alla cellula madre. Produzione di energia Il metabolismo e la fisiologia dei procarioti cambia nei vari taxa. In relazione all’ossigeno si distinguono: 1. Specie aerobie 2. Specie anaerobie (es. archeobatteri) I cianobatteri (Gram-) sono aerobi; gli enzimi respiratori sono sulla membrana plasmatica, di solito sono separati da quelli della fotosintesi o sulla membrana tilacoidali. La membrana tilacoidale può essere pertanto sia la sede del processo fotosintetico che di quello respiratorio. Nutrizione Specie eterotrofe/specie autotrofe La fotosintesi è la trasformazione dell’energia luminosa in energia chimica sotto forma di energia di legame (ATP) e di energia potenziale (NADPH) che viene poi usata per ridurre ed organicare l’anidride carbonica. L’apparato fotosintetico sia negli eubatteri che negli eucarioti è localizzato all’interno di membrane à invaginazioni del plasmalemma. I ciano batteri si trovano come organismi unicellulari oppure come colonie filamentose o masse tenute insieme da sostanze gelatinose. Hanno avuto un ruolo determinante nel cambiare la composizione dell’atmosfera (aumento della concentrazione di ossigeno). I cianobatteri sono batteri Gram-. Cianobatteri o alghe azzurre Sono gli unici procarioti che fanno fotosintesi ossigenica molto simile a quella che avviene nei cloroplasti delle cellule eucariotiche; il pigmento fotosintetico indispensabile è la clorofilla a (centro di reazione) unitamente a pigmenti accessori come carotenoidi e soprattutto ficobiline. I pigmenti (clorofilla a + carotenoidi + ficobiline) insieme con una serie di proteine, sono riunite a formare i centri di reazione ordinatamente localizzati in un sistema membranoso posto all’interno del citoplasma. I cianobatteri sono procarioti che compiono la fotosintesi ossigenica. Nei procarioti la membrana plasmatica rappresenta l’unica piattaforma per ospitare i complessi enzimatici. Per ampliare la capacità di alloggiamento, la membrana plasmatica si ripiega verso l’interno del citoplasma. A formare delle strutture circonvalute che prendono il nome di tilacoidi. I tilacoidi decorrono singolarmente nel citoplasma dei cianobatteri. La superficie dei tilacoidi appare rugosa. I centri di reazione, costituiti dalla clorofilla a e dai pigmenti accessori (soprattutto ficobiline) + proteine, sporgono dalla superficie dei tilacoidi formando delle strutture che prendono il nome di ficobilisomi. La presenza di ficobilisomi sui tilacoidi dei cianobatteri rappresenta un carattere che troveremo anche nei tilacoidi dei plastidi delle alghe rosse. I cianobatteri, conosciuti un tempo come alghe azzurre (o blu-azzurre), sono gli unici organismi procarioti fotoautotrofi ossigenici, in grado cioè di produrre ossigeno che viene liberato nell’atmosfera durante l’attività fotosintetica. Fotosintesi ossigenica… esiste una fotosintesi non ossigenica? I cianobatteri si distinguono dagli altri batteri fotosintetici per possedere come pigmento fotosintetico la clorofilla a al posto della batterioclorofilla e per la liberazione di ossigeno durante la fotosintesi. Batteri anossigenici Non sempre la fotosintesi determina liberazione di ossigeno nell’atmosfera, in alcuni batteri: 1. Solfobatteri purpurei 2. Solfobatteri verdi La molecola che cede elettroni al sistema non è l’acqua ma un altro componente organico o inorganico presente nell’ambiente. In molto solfobatteri è l’acido sulfidrico: 6 CO2 + 12 H2S à C6H12O6 + 12 S + 6 H2O Probabilmente questo processo era presente nelle prime cellule fotosintetiche che vivevano in un’atmosfera prima di ossigeno. In generale, la fotosintesi nei batteri più primitivi: - La clorofilla ha una struttura diversa ed è presente un solo fotosistema - Con la fotosintesi anossigenica viene usata una minore quantità di luce solare rispetto a quella catturata dal complesso apparato dei cianobatteri e degli eucarioti. Le fasi della fotosintesi 6 CO2 + 6 H2O + en radiante à C6H12O6 + 6 O2 Fase luminosa: 1. Richiede la luce che è catturata dalla clorofilla 2. Produce ATP ed NADPH 3. Produce ossigeno Fase oscura: 1. Non richiede luce 2. Sfrutta i prodotti della fase luminosa 3. Produce glucosio Le membrane fotosintetiche dei cianobatteri, i tilacoidi, appaiono come invaginazioni della membrana plasmatica. I due lati dei tilacoidi dei cianobatteri presentano entrambi delle strutture emisferiche, i ficobilisomi, formati in gran parte da tre pigmenti accessori alla fotosintesi: ficoeritrina, ficocianina, alloficocianina. Oltre alla clorofilla a e alle ficobiline tra i pigmenti vi sono anche alcuni carotenoidi. Alcune cianofite sono unicellulari o coloniali non filamentose. I filamenti non ramificati con differenziamento eteropolare hanno gli eterocisti = cellule differenziate prive di fotosistema II in grado di ridurre l’azoto molecolare atmosferico per l’azione dell’enzima nitrogenasi. I cianobatteri più efficienti a fissare l’azoto atmosferico sono quelli eterocistici dei generi Nostoc e Anaebena. La riduzione dell’azoto richiede enzima nitrogenasi la cui sintesi avviene in assenza di composti azotati e funziona in assenza di ossigeno. Gli azotofissatori, quindi, oltre a sintetizzare l’enzima nitrogenasi hanno evoluto una serie di strategie per proteggere l’enzima dall’azione inibitrice dell’ossigeno. Cianobatteri eterocistici: fotosintesi ossigenica = cellule vegetative; azotofissazione = eterocisti che presentano uno spesso involucro per limitare l’entrata di ossigeno. La capacità di molti batteri di fissare l’azoto atmosferico è importantissima dal punto di vista ecologico. Se nell’ambiente è presente ammonio le eterocisti non si formano, ma se l’azoto disponibile scarseggia, le eterocisti si sviluppano, fissano l’azoto e lo trasferiscono alle cellule vegetative vicine. La maggior parte delle specie vive libera, ma alcune formano associazioni simbiontiche con le piante. Anabaena vive in simbiosi con Azolla e le radici di molte cycadine, Nostoc con epatiche, antocerote e alcuni funghi. LA CELLULA EUCARIOTICA La cellula vegetale struttura e funzioni – tutte le piante sono organismi eucarioti. Difficile proporre un singolo tipo di cellula vegetale come esemplificativo di quelli presenti nelle piante. Tutte le cellule della pianta originano da cellule meristematiche presenti all’apice del germoglio e all’apice della radice. Le cellule meristematiche vanno incontro al differenziamento, processo che le renderà diverse tra loro per essere più idonee a svolgere determinate funzioni in tessuti diversi. Organuli cellulari - Sistema endomembranoso à membrana plasmatica, compartimento nucleare, reticolo endoplasmatico (ER), apparato del Golgi, vacuoli - Vescicole à gemmano da alcuni organuli e si fondono con altri, trasportando materiale da un compartimento all’altro - Mitocondri e plastidi à funzionano indipendentemente e non appartengono al sistema endomembranoso Tutti gli organuli menzionati sopra sono delimitati da membrane biologiche strutturate secondo un modello comune. Le membrane cellulari Le membrane cellulari sono costituite principalmente da un doppio strato di fosfolipidi in cui sono immerse proteine che cambiano nei diversi organuli. I fosfolipidi sono molecole costituite da una testa idrofila e due code idrofobe. Nella costituzione della membrana, i fosfolipidi si dispongono in modo tale che le loro estremità idrofile costituiscano le superfici esterna ed interna della membrana mentre le lunghe catene idrofobiche degli acidi grassi si fronteggiano al centro della membrana stessa. Possiamo identificare diverse classi di fosfolipidi al variare del raggruppamento chimico Che tipo di cammino fanno e dove vengono trasportati questi materiali? Nella cellula è necessario un meccanismo di smistamento (sorting) e di direzionamento (targeting) di ogni singola vescicola al compartimento di destinazione. Ogni proteina sintetizzata sui ribosomi presenti sulle membrane del RER presenterà delle sequenze aminoacidiche segnale, che normalmente si trovano all’N-terminale. Queste sequenze segnale permettono alla proteina di interagire con specifici recettori presenti in clusters, in regioni ristrette della membrana che delimita il RER. La membrana del RER si estroflette in quella regione formando una vescicola di trasporto che si stacca dal RER e che contiene al suo interno più copie della proteina da trasportare verso il complesso di Golgi. Proteine Grazie a specifiche proteine di membrana presenti sia sulle vescicole provenienti dall’ER che sulle membrane del Cis- Golgi, la fusione avviene in modo ordinato. Le vescicole del RER una volta rilasciate nel citoplasma perdono il rivestimento proteico esterno. La regione della membrana del RER che ospita il cluster di proteine cargo inizia a deformarsi grazie all’azione di altre proteine che si legano alla membrana, fino a formare una vescicola che gemma dalle membrane del RER e viene rilasciata nel citoplasma. Questo meccanismo permette alle proteine cargo di formare dei clusters in regioni ristrette della membrana che delimita il RER. Le proteine cargo con le loro sequenze segnale trovano nella faccia interna della membrana che delimita il RER il loro recettore. Il trasporto dal RER verso il Golgi è bidirezionale. Ogni complesso di Golgi ha una polarità. Cisterne Cis rivolte verso il RER da cui ricevono tramite vescicole le proteine; dalle cisterne cis le proteine vengono trasportate alle cisterne medial e poi alle cisterne trans. Vescicole che gemmano dai margini delle cisterne trans si fondono con il trans-Golgi-network. Una volta all’interno del complesso di Golgi le proteine vengono modificate, grazie a delle batterie di enzimi presenti in modo specifico, nelle cisterne cis- medial- e trans-Golgi. Il passaggio di materiali tra una cisterna ed un’altra avviene grazie alla gemmazione di vescicole alle estremità delle cisterne di origine. Queste vescicole vanno poi a fondersi con le cisterne target. Dal trans-Golgi si originano vescicole con proteine destinate al vacuolo à enzimi idrolitici e/o proteine di riserva, materiale di parete- matrice. Dal TGN (compartimento di sorting) si originano vescicole con proteine destinate alla membrana plasmatica. Le vescicole che gemmano dal TGN e si fondono con la PM riversano all’esterno il loro contenuto (ad es. matrice amorfa della parete cellulare), mentre la membrana che delimita le vescicole viene incorporata nella PM della cellula. Smistamento delle proteine al vacuolo dal trans-Golgi ai compartimenti idrolitici à anche i segnali di smistamento al vacuolo sono contenuti nelle proteine stesse. Possono essere costituiti da una corta catena peptidica della Pro-peptide all’N-terminale o C-terminale o da una sequenza interna di varie dimensioni. Cellule vegetali in maturazione hanno vari tipi di vacuoli: vacuolo litico e vacuolo di riserva proteica. I pro-peptidi N-terminali smistano le proteine ai vacuoli litici passando attraverso un compartimento pre-vacuolare; i pro-peptidi C-terminali e le sequenze interne smistano le proteine ai vacuoli di riserva. Endocitosi Un meccanismo opposto all’esocitosi, detto endocitosi, permette di internalizzare tratti di PM e con essa di internalizzare materiali esterni alla cellula. A che cosa serve? - Regolare il turnover della membrana, sostituendo, lipidi e proteine che poi vengono portati all’interno del vacuolo per essere degradati dagli enzimi idrolitici. - Per riciclare parte della PM inserita durante la secrezione e reinserirla nelle membrane cellulari - Per mantenere l’omeostasi delle membrane cellulari Diversi meccanismi di endocitosi per finalità diverse: pinocitosi; fagocitosi; endocitosi mediata da recettori. Il traffico di membrane avviene seguendo degli schemi preordinati. Sia gli organelli che le vescicole compiono dei movimenti direzionati (non random) all’interno della cellula. Organelli e vescicole utilizzano dei binari sui quali muoversi, sistemi filamentosi, costituiti da proteine, che attraversano il citoplasma e che nel loro insieme prendono il nome di citoscheletro. Nelle cellule eucariotiche il citoscheletro può comprendere tre componenti: filamenti di actina, filamenti intermedi e microtubuli. Nelle cellule vegetali abbiamo però solo due componenti: microtubuli e microfilamenti. Per quanto riguarda il movimento di organelli e di vescicole nelle cellule animali i movimenti su lunga distanza avvengono lungo i microtubuli, mentre i movimenti fini, brevi, utilizzano come binari i filamenti di actina. Nelle piante avviene il contrario: i filamenti di actina rappresentano i binari per i movimenti su lunga distanza (cytoplasmatic streaming), mentre i microtubuli sono probabilmente coinvolti nei movimenti a breve distanza. I microtubuli e microfilamenti sono associati a proteine con diversi ruoli. I motori molecolari compiono un lavoro idrolizzando ATP. I movimenti fini, di aggiustamento su corta distanza, avvengono sui microtubuli, grazie all’ausilio delle kinesine. I movimenti su lunga distanza (streaming citoplasmatico) dipendono dal sistema acto-miosinico. Una ulteriore differenza tra le cellule animali e le cellule vegetali delle piante superiori riguarda la presenza o meno di due organuli non delimitati da membrana = centrioli. Ogni centriolo ha la forma di un piccolo cilindro, delimitato da nove triplette di microtubuli. Nelle cellule animali i centrioli sono associati ad un cloud di proteine (materiale pericentriolare), andando a costituire il centrosoma. il centrosoma, ed in particolare il materiale pericentriolare, svolge un ruolo chiave nella nucleazione dei microtubuli cellulari sia i microtubuli in interfase, sia i microtubuli del fuso mitotico. Le cellule delle piante superiori (angiosperme) non hanno mai i centrioli nel loro ciclo vitali, e quindi non hanno neanche un centrosoma strutturato come le cellule animali. Ne consegue che anche i siti di nucleazione dei microtubuli nelle cellule vegetali sono distribuiti secondo un criterio completamente diverso rispetto alle cellule animali. I siti di nucleazione dei microtubuli sono stati infatti osservati sulla superficie dell’involucro nucleare, sul cortex (associati con la faccia interna della PM) e sulla superficie di microtubuli preesistenti. Un ciglio o un flagello di una cellula eucariote è delimitato dalla PM e possiede uno scheletro interno = struttura contrattile responsabile del battito ciliare e flagellare à assonema. Oltre ad essere presente nel centrosoma, i centrioli rappresentano una componente del corpo basale di ciglia e flagelli. In sezione trasversale si osserva che l’assonema è costituito da 9 coppie di microtubuli periferici ad una coppia centrale (organizzazione 9+2). L’azione contrattile è dovuta alla presenza di dineine assonemali che costituiscono i bracci interni ed esterni. Nelle alghe e nelle piante terrestri, (fino alle gimnosperme più arcaiche), quando i gameti maschili sono ancora flagellati, abbiamo i centrioli come corpi basali dei flagelli. A partire dalle conifere e poi in tutte le angiosperme, i gameti maschili non sono più flagellati ed i centrioli non sono più presenti. IL CICLO CELLULARE Mitosi Divisione cellulare equazionale in cui le due cellule figlie ereditano lo stesso patrimonio genetico della cellula madre. È caratterizzata dall’alternanza di fasi riconoscibili per il diverso grado di spiralizzazione del DNA, per la presenza o meno dell’involucro nucleare e per l’organizzazione del citoscheletro. In cellule animali la mitosi è caratterizzata da sei fasi. Nelle piante è possibile studiare la mitosi osservando le cellule dei meristemi, le quali compiono il ciclo cellulare completo come descritto. Quando le cellule iniziano il loro processo di differenziamento si fermano in G1 ed è in questa fase che restano per tutto il resto della loro vita. La mitosi delle cellule vegetali prevede un maggior numero di stadi. Preprofase che anticipa la profase e che è caratterizzata dalla riorganizzazione dei MTs dell’interfase nella banda preprofasica di MTS. I MTs del fuso mitotico si organizzano a partire da PCM presente ai due poli del nucleo. In metafase i cromosomi sono disposti nella piastra equatoriale. Per dar luogo ad un array di MTs esclusivo delle piante terrestri: il fragmoplasto = struttura coinvolta nella citodieresi. I due cromatidi fratelli di ogni cromosoma migrano ai poli opposti della cellula (anafase). Nelle cellule delle piante terrestri alla fine dell’anafase i MTs del fuso non depolimerizzano (fuso persistente). Molti MTs vengono nucleati ex novo tra i due nuclei figli durante la telofase. Ordine delle fasi: 1. Preprofase 2. Profase 3. Metafase 4. Telofase e citodieresi 5. Citodieresi 6. Prima interfase 7. Interfase (guarda su internet o sul libro perché non è molto chiaro sulle slide) Ciclo dei microtubuli In quali rapporti spaziali sono questi arrays di MTs? La posizione dei MTs della banda preprofasica predice la posizione in cui si posizionerà il fragmoplasto e quindi il piano della citodieresi. Il fuso mitotico sarà orientato perpendicolarmente rispetto alla banda preprofasica. La posizione del fragmoplasto all’interno della cellula madre corrisponde alla posizione della banda preprofasica. Controllo del piano di divisione cellulare Quando la banda preprofasica si formerà al centro della cellula madre le due cellule figlie saranno di uguali dimensioni e si avrà una divisione simmetrica. La posizione della banda preprofasica predice la posizione in cui si formerà il setto di divisione fra le due cellule figlie. Quando la banda preprofasica non si formerà al centro della cellula madre anche il fuso mitotico ed il fragmoplasto saranno dislocati in una posizione eccentrica le due cellule figlie saranno di dimensioni divere e si avrà una divisione asimmetrica. La citodieresi nelle piante terrestri avviene quindi con un meccanismo completamente diverso, che prevede la formazione del fragmoplasto e l’attività di secrezione dei dittiosomi. Il fragmoplasto deriva dal persistere dei MTs del fuso mitotico al momento dell’anafase; le piante terrestri hanno un fuso persistente. I MTs del fuso all’anafase non depolimerizzano ma si riorganizzano a formare i MTs del fragmoplasto che sono indispensabili per la citodieresi. Il fragmoplasto è costituito da due gruppi di MTs con polarità opposta. Il setto di divisione che separa la cellula madre in due cellule figlie si forma fra i due set di MTs del fragmoplasto. Per fare citodieresi, una cellula vegetale appartenente ad una piastra terrestre deve costruire tra le cellule figlie uno strato di parete à la PM di ciascuna delle due cellule figlie. Il meccanismo alla base di questo processo è la secrezione, cui prendono parte attiva i MTs del fragmoplasto ed i dittiosomi. I dittiosomi producono un grande numero di vescicole contenenti molecole della matrice (pectine). Le vescicole dai due poli opposti si muovono lungo i MTs del fragmoplasto, verso le loro estremità + grazie all’azione di kinesine. Le vescicole provenienti dai poli opposti della cellula madre si fondono nella sezione mediana della cellula madre ancora indivisa. Il contenuto delle vescicole rappresenterà la prima parete deposta tra le due cellule figlie (lamella mediana). La membrana che delimita le vescicole costituirà la PM che separerà le due cellule figlie. La deposizione della lamella mediana non è continua, rimangono dei punti di discontinuità = plasmodesmi che metteranno in comunicazione le due cellule figlie. I due set di MTs con polarità opposta funzionano come binari per il movimento delle Golgi derived vescicles contenenti molecole della matrice cellulare, verso l’estremità + dei MTs. Al centro del fragmoplasto, vescicole provenienti dai poli opposti si fondono tra di loro, dando luogo alla parete cellulare che divide le due cellule figlie (lamella mediana e pectine) e alla PM delle due cellule figlie. Nelle piante terrestri la citodieresi avviene grazie alla formazione di un fragmoplasto. La deposizione di parete e di PM non è uniforme: restano dei pori di comunicazione fra le cellule = plasmodesmi. Meccanismo di distensione Richiede che la concentrazione di soluti all’interno della cellula sia maggiore rispetto a quello dell’ambiente extracellulare. Questo squilibrio provoca l’entrata di acqua nella cellula per osmosi, determinando l’insorgenza di una pressione di turgore che preme verso la PM e la parete cellulare, determinando il cambiamento di forma, secondo uno 1-4 tra le molecole di glucosio per formare i polimeri lineari che poi si associano lateralmente per dar luogo alle microfibrille. Molecole di glucosio si aggiungono man mano dal citoplasma ai polimeri in crescita, determinando la crescita della microfibrilla che sporgerà sempre di più all’esterno della cellula, all’interno della parete cellulare. Il glucosio (prodotto della fotosintesi), oltre ad essere essenziale nel processo di respirazione, ha anche una funzione strutturale, poiché rappresenta il monomero di base per la costruzione della parte fibrillare della parete cellulare. Il prodotto della fotosintesi (glucosio) viene trasportato tramite i tubi cribrosi del floema a tutti i tessuti della pianta, sotto forma di saccarosio = glucosio + fruttosio. Il fruttosio viene poi convertito in glucosio. Come arrivano le rosette di cellulosa sintetasi sulla membrana plasmatica? Tramite il meccanismo di trafficking che abbiamo già mostrato à le subunità di cellulosa sintetasi vengono sintetizzate sui ribosomi posti sulla superficie del reticolo endoplasmatico rugoso, foldate all'interno del lumen ed incorporate come proteine di transmembrana all'interno delle membrane del RER. Successivamente come proteine di membrana che delimitano le vescicole che migrano al Golgi e dal Golgi alla membrana plasmatica. Quando le vescicole di secrezione si fondono con la membrana plasmatica le subunità di cellulosa sintetasi vengono incorporate nella membrana plasmatica. Le pectine sono altamente idrofiliche; esse formano un gel nella parete cellulare. Esse sono caratterizzate da zuccheri acidi (acido galatturonico) e da zuccheri con carica neutra (catene laterali). Le pectine rappresentano la componente più facilmente estraibile della parete. La matrice della parete primaria, oltre alle pectine, prevede anche la presenza di emicellulose. Le emicellulose sono costituite da polimeri di glucosio legame beta 1-4 cui sono legati residui laterali di altri zuccheri come xilosio e galattosio. Le emicellulose e pectine rappresentano una componente molto idrofila della parete cellulare. Come già visto per le pectine, le emicellulose sono prodotte all'interno dei dittiosomi e secrete all'esterno della cellula. Gli xiloglucani stabilizzano le microfibrille à formano con esse dei legami idrogeno. Le emicellulose sono strettamente legate alle altre componenti della parete cellulare; è necessario usare delle soluzioni basiche per solubilizzarle. Quindi, i dittiosomi partecipano in maniera diretta nella sintesi e nella secrezione delle molecole che costituiscono la matrice della parete cellulare: pectine ed emicellulose. Le vescicole provenienti dal Golgi portano sulla membrana che le delimitano le rosette di cellulosa sintetasi già assemblate; una volta che queste si fondono con la membrana plasmatica, il loro contenuto viene riversato all'esterno (materiale di matrice) mentre la membrana che le delimita viene incorporata con la membrana plasmatica nella cellula e con essa anche le rosette di cellulosa sintetasi (ruolo indiretto nella disposizione delle microfibrille). Le microfibrille di cellulosa giocano un ruolo fondamentale nella regolazione della morfogenesi. Durante il differenziamento cellulare la cellula cambia forma. Microfibrille con orientamento casuale = accrescimento in tutte le direzioni. Quando le microfibrille sono orientate in modo parallelo le une alle altre, le cellule possono distendersi secondo un asse ortogonale all'orientamento delle microfibrille. Immaginate una molla: la direzione di allungamento è perpendicolare alla direzione delle spire. L’orientamento delle microfibrille di cellulosa nella parete primaria rappresenta un fattore determinante che permette alla cellula di distendersi secondo una direzione predefinita. Oltre al cambiamento di forma, il differenziamento cellulare prevede anche un aumento del volume e della superficie della cellula. In parallelo con il processo di distensione avviene anche un’intensa secrezione, in modo da aumentare la superficie di PM e di parete estensibile. L’aumento di volume è dovuto alla pressione di turgore esercitata dall’esteso apparato vacuolare che si forma durante il differenziamento. La pressione di turgore, che viene esercitata verso la PM e la parete primaria (ancora flessibile) rende possibile la distensione secondo il piano permesso dall’orientamento delle microfibrille nella parete. In quale modo le microfibrille di cellulosa vengono allineate per una corretta distensione cellulare? L’orientamento delle microfibrille di cellulosa nella parete rispecchia quello dei MTs (microtubuli) corticali. Se le microfibrille nella parete cellulare sono disposte in maniera random lo sono anche i MTs corticali. Microtubuli e microfibrille si parlano tramite la PM. I MTs corticali regolano il posizionamento delle rosette nella PM e di conseguenza l’orientamento delle microfibrille nella parete. Come avviene la comunicazione tra MTs corticali e microfibrille? Attraverso il posizionamento delle rosette di cellulosa sintetasi inserite nella PM. Le rosette poste nella PM sono allineate su traiettorie dettate dalla localizzazione dei microtubuli corticali. Dati sperimentali recenti hanno permesso di identificare una proteina (CSI1) come legame fisico tra i MTs corticali e le subunità di cellulosa sintetasi nella PM. Le rosette di cellulosa sintetasi sono posizionate lungo i MTs corticali grazie a dei cross-legami stabiliti da CSI1. In cellule in cui CSI1 non è presente, le rosette di cellulosa sintetasi non sono allineate lungo i MTs corticali. Al termine del processo di differenziamento cellulare, una volta assunta la forma e la dimensione definitiva, le cellule di alcuni tessuti possono deporre il terzo strato della parete cellulare: la parete secondaria. La parete secondaria è lo strato più vicino alla PM. Essa è più spessa della primaria e viene deposta una volta terminata la distensione cellulare e deposta all’interno della parete primaria. È meno idratata, rigida e non estensibile; composta dal 41-45% di cellulosa e dal 30% di emicellulosa. C’è un’assenza quasi totale di sostanze pectiche. La parete secondaria è costituita da più strati di microfibrille con molecole di cellulosa più lunghe di quelle della parete primaria (circa 15000 residui di glucosio) e si trovano immerse in poca matrice. Le microfibrille di uno stesso strato sono tutte parallele tra loro, ma formano un angolo di circa 90° con le microfibrille dello strato sottostante, garantendo una notevole resistenza alla parete da qualsiasi direzione sia sollecitata. Hanno la lamella mediana e la parete primaria: le cellule dei meristemi, le cellule dei parenchimi e le cellule dell’epidermide. A maturità nei tessuti che hanno terminato l’accrescimento si può formare una parete secondaria tra la primaria e la membrana cellulare. In alcuni tessuti la parete delle cellule può subire delle modificazioni che sono responsabili della funzionalità del tessuto stesso. Impregnazione di lignina (riguardano tutti e tre gli strati della parete) È un polimero di natura fenolica molto complesso. Non tutti i passaggi della sintesi sono chiari, è noto però che l’enzima chiave del processo è la fenilalanina-ammoniaca-liasi (PAL). Tre alcoli (basati sullo scheletro carbonioso del fenilpropano) vengono secreti nella parete come monomeri e qui polimerizzano. La lignificazione inizia dalla parete secondaria, prosegue verso la parete primaria, fino alla completa impregnazione della lamella mediana. Il processo avviene lungo le fibrille di cellulosa, nella porzione occupata dalla matrice della parete cellulare, soprattutto dalle pectine; coinvolge tutta la parete e conduce alla morte cellulare. La parete cellulare lignificata è idrofoba, resistente e non plastica. Lo strato di parete cellulare in cui la lignificazione è più abbondante è la lamella mediana, lo strato più ricco in pectine. A seguire la parete primaria e per ultima la parete secondaria che ha la percentuale minore di matrice. Impregnazioni di suberina (riguardano tutti e tre gli strati della parete) Si tratta nuovamente di un poliestere, di acidi grassi, alcoli e ossiacidi, con componenti fenoliche. Impermeabilizza totalmente la parete della cellula. Impregnazione di spopollenina Polimero presente solo nello strato più esterno (esina) dei pollini e nelle spore di alcune crittogame. Composizione chimica complessa, molto resistente ad acidi e basi. Impregnazione di cutina (riguarda parete primaria e lamella mediana) La superficie esterna degli organi epigei delle piante superiori (cellule epidermiche) è impregnata da uno strato di natura lipidica idrofobo (cutina) con diverse funzioni: controllo della temperatura; protezione dalle aggressioni chimiche e dal vento, protezione nei confronti di attacchi da parte di agenti patogeni. La cutina può ricoprire la parete esterna della parete formando una barriera alla diffusione dell’acqua. Nella cuticola la cutina è associata a cere e proteine. Durante l’evoluzione: - Cellulosa à a partire dai procarioti ed in tutte le piante - Cutina e sporopollenina à a partire dalle prime piante terrestri per limitare la perdita di acqua - Lignina à a partire dalle prime piante a cormo per elementi di conduzione e sostegno - Suberina à a partire da gimnosperme e angiosperme per protezione La deposizione della parete cellulare non è continua. Le cellule dello stesso tessuto comunicano tra loro attraverso dei pori = plasmodesmi. Le membrane plasmatiche delle due cellule appaiono in continuità e i citoplasmi di queste si trovano a diretto contatto. Le cellule giovani hanno fino a 2500 plasmodesmi. La presenza del desmotubulo nei plasmodesmi che collegano le cellule rappresenta la condizione necessaria per la definizione di tessuto. Le pareti cellulari presentano campi di punteggiature nei quali si trovano numerosissimi plasmodesmi; essi facilitano il passaggio di sostanze come il glucosio e sono attraversati da un desmotubulo costituito da estensioni del REL che ne regola il diametro. La presenza della punteggiatura è dovuta al fatto che in corrispondenza di essa non viene depositato materiale di parete. Di solito le punteggiature delle cellule che sono tra di loro adiacenti corrispondono. APPARATO VACUOLARE Vacuolo = organelli citoplasmatici rivestiti da un'unica membrana all'interno dei quali avvengono determinate reazioni metaboliche e si trovano accumulati specifici metaboliti. Il vacuolo della cellula vegetale è un organulo circondato da una membrana che prende il nome di tonoplasto, e la sostanza che racchiude, tipicamente acida (mentre il citosol è leggermente basico), è chiamata succo vacuolare. Nella cellula vegetale meristematica ci sono piccoli e numerosi ma vacuoli. Nella cellula vegetale adulta generalmente uno solo di grosse dimensioni che occupa più del 90% del volume totale. Nelle cellule che compiono la fotosintesi il citoplasma con i cloroplasti sono obbligati verso la parete in una posizione favorevole alla captazione della luce e dell'anidride carbonica. Genesi del vacuolo Si hanno diversi ipotesi sulla sua formazione: 1. Il vacuolo sembrerebbe formarsi dal reticolo endoplasmatico che si rigonfia ad un'estremità 2. Si origina da regioni definite GERL che derivano da associazioni tra il reticolo endoplasmatico, il Golgi ed endosomi. Secondo tale teoria dalle zone GERL si originano provacuoli; questi si estendono, si ripiegano ed inglobano parti del citoplasma che viene digerito grazie all'attività degli enzimi litici à si formano così piccoli vacuoli che si fondono poi tra loro a dare vacuoli di maggiori dimensioni. La membrana che delimita i provacuoli diventa il tonoplasto Principali funzioni svolte da vacuoli - Segregazione dei metaboliti inutili o dannosi (prodotti di scarto del metabolismo cellulare) - Accumulo di metaboliti secondari che svolgono un ruolo ecologico di relazione - Funzione litica - Sostegno per mezzo del turgore cellulare - Forza matrice per la distensione cellulare grazie al processo osmotico Tra i vacuoli segatori/accumulatori ci sono i vacuoli che accumulano sostanze di rifiuto superfluo dannose che non possono essere espulse dalla pianta per la mancanza di un sistema escretore e che sono allora segregate nel vacuolo di cellule che saranno eliminate con la caduta di una porzione della pianta. Oppure vacuoli che accumulano molecole che All’interno dei plastidi è presente una fase solubile amorfe, lo stroma, in cui si trovano i ribosomi e il DNA. Come per i mitocondri, ci troviamo di fronte ad un organulo semi autonomo. Tutti e tre i plastidi derivano dai proplastidi, cioè i plastidi non differenziati della cellula meristematica. Sono delimitati da una doppia membrana. All’interno è visibile lo stroma in cui sono immerse poche membrane tilacoidali dovute all’invaginazione della membrana interna. I proplastidi hanno dimensioni usualmente inferiori rispetto ai plastidi differenziati, forma ellissoide ed organizzazione interna molto semplice. Sono quasi sempre in attiva duplicazione. Come si formano i cloroplasti? Derivano dal differenziamento dei proplastidi presenti nelle cellule in attiva divisione (meristematiche) della pianta, in cellule che saranno adibite a compiere la fotosintesi. Durante il differenziamento cellulare se la pianta è esposta alla luce ciò induce la sintesi della clorofilla e lo sviluppo dei tilacoidi e dei grana originati da ripiegamenti della membrana interna. Cloroplasti nelle piante terrestri I cloroplasti li troviamo dalle alghe alle piante a fiore e possono essere in numero e forme diverse. Nelle Charophyta e nelle piante terrestri la membrana interna si invagina in maniera consistente, andando a formare molti tilacoidi organizzati in grana ed in tilacoidi intergranali che collegano tra loro i grana. Funzione fotosintetica = le membrane dei grana ospitano i centri di reazione per la fase luminosa della fotosintesi. I cloroplasti delle piante terrestri sono gli organuli tipici della cellula vegetale. Si trovano in numero variabile all’interno delle cellule e sono di forma discoidale. Sono visibili al microscopio ottico e nelle cellule di alcuni tessuti sono molto numerosi (40-50 per cellula nel mesofillo fogliare). Hanno una doppia membrana à quella esterna con forma lineare e funzione di delimitare il plastidio e quella interna variamente ripiegata a formare i tilacoidi (granali e intergranali). La matrice in cui sono immersi i grana è chiamata stroma. All’interno del cloroplasto la membrana interna si ripiega a formare un complesso di cisterne, delimitate da membrane, e dette tilacoidi. Questo permette di aumentare notevolmente la superficie utile a parità di volume. Essi si associano a formare pile di cisterne, dette grana, oppure possono rimanere liberi (tilacoidi intergranali) e collegare tra loro i tilacoidi dei grana. Sulle membrane dei tilacoidi sono posizionati i pigmenti fotosintetici (principalmente clorofille, ma anche carotenoidi) che catturano l’energia luminosa e la trasformano in energia chimica. Nel centro di reazione dei fotosistemi sono presenti molecole di clorofilla a. Nei fotosistemi delle piante terrestri la clorofilla a è associata ad un pigmento accessorio, la clorofilla b con caratteristiche molto simili alla clorofilla a. Funzione: sono sede della fase luminosa della fotosintesi. Nel corso della fase oscura l’anidride carbonica viene organicata. Questo avviene mediante una serie di reazioni biochimiche cicliche, chiamate ciclo di Calvin-Benson. Il processo richiede energia e potere riducente, che vengono forniti dall’ATP e dal NADPH prodotti nel corso della fase luminosa. Le reazioni della fase oscura avvengono nello stroma del cloroplasto. Il risultato netto della fase oscura è l’organicazione (inserimento in una molecola organica) di sei atomi di carbonio ogni due cicli, con formazione di una molecola di esoso (zuccheri a sei atomi di carbonio). Nella scala evolutiva presentano notevole variabilità di forma a seconda del gruppo sistematico. La maggiore variabilità possiamo osservarla nei vari gruppi di alghe dove rappresenta un carattere tassonomico per distinguere i vari stipiti. L’organizzazione dei tilacoidi ha valore tassonomico. Mentre in tutte le piante terrestri i cloroplasti sono piccoli, lentiformi ed in numero elevato in ogni cellula; nelle alghe possono assumere dimensioni e forme caratteristiche come quella a spirale di Spirogyra in cui è presente un solo cloroplasto per cellula. Anche la forma del cloroplasto può variare: - A coppa - Laminare avvolto a cintura - Nastriforme a spirale - Stellato - Laminare perforato All’interno dei cloroplasti delle alghe è presente un corpuscolo elettrondenso = pirenoide. Esso è caratteristico delle alghe e costituisce un centro specifico di organicazione dell’anidride carbonica. Quando i cloroplasti fotosintetizzano rapidamente, producono una grande quantità di glucosio, superiore alle necessità della cellula e l’eccesso viene temporaneamente polimerizzato a formare granuli di amido (amido primario o amilosio – polimero lineare del glucosio con legami a 1-4) all’interno dei cloroplasti stessi. Le molecole di amilosio possono essere formate da circa 1000 residui di glucosio anche se c’è una certa variabilità nella loro lunghezza. Fotosintesi à glucosio à solo in parte convertito in amido primario nei cloroplasti. L’amido primario, che si forma durante la fotosintesi nei cloroplasti dove è deposto in piccoli granuli, durante la notte quando non si ha fotosintesi viene in parte idrolizzato ed usato per la respirazione ed in parte trasformato in dimeri di saccarosio (glucosio + fruttosio). Il saccarosio viene trasferito nei tessuti di riserva dove il fruttosio viene riconvertito in glucosio per essere convertito in amido secondario costituito da amilosio ed amilopectina. Trasporto del saccarosio: i tubi cribrosi decorrono sempre in concomitanza con i vasi dello xilema. Il saccarosio viene trasportato all’interno dei tubi cribrosi del floema, dai tessuti fotosintetizzanti, fino a tutti i tessuti della pianta. Parte del glucosio viene convertito in saccarosio e trasportato ai tessuti di riserva (parenchima midollare di fusto e radice) dove viene accumulato all’interno di un tipo particolare di leucoplasti à amiloplasti. Leucoplasti (plastidi incolori) Comprendono plastidi che hanno funzione di riserva, che si classificano in base al tipo di riserva che accumulano: amiloplasti = sede di accumulo dell’amido secondario, che è dato dall’insieme di due polimeri à amilosio e amilopectina, entrambi formati da glucosio. L’amilopectina è un polimero del glucosio ramificato: ad alcune molecole di amilosio vengono attaccati al carbonio in posizione 6 altre molecole di glucosio. Da tali molecole la polimerizzazione proseguirà mediante legami a 1-4 costruendo catene laterali costituite da circa 25 residui di glucosio. Le percentuali dei due polimeri variano a seconda dell’organismo vegetale à maggior concentrazione di amilopectina causa la maggiore tendenza a trattenere acqua. Conversione del saccarosio in amido secondario e accumulo negli amiloplasti della cellula del parenchima di riserva L’amido si deposita negli amiloplasti intorno ad un punto centrale detto ilo schiacciando la sostanza plastidiale di cui non resta che un sottile strato che in alcuni casi può scomparire del tutto. Gli amiloplasti in cui non si distingue più la sostanza plastidiale sono detti granuli di amido. L’amido secondario viene deposto all’interno degli amiloplasti a partire da un centro proteico detto ilo attorno al quale l’amido viene depositato in strati concentrici. Hanno una forma diversa a seconda delle varie piante e possono essere semplici o composti. La morfologia dei granuli di amido è un carattere diagnostico. Se il granulo è circondato uniformemente dalla sostanza plastidiale esso cresce ugualmente in tutte le direzioni e assume una forma sferica. Se l’ilo si trova spostato su di un lato dell’amiloplasto il granulo si sviluppa di meno in questa zona e di più nella regione opposta divenendo eccentrico. In alcuni amiloplasti (es. riso) l’amido viene deposto intorno a più ili portando alla formazione di un granulo composto. Altri leucoplasti Se una pianta viene tenuta al buio i proplastidi delle cellule meristematiche si trasformano in ezioplasti (plastidi in standby) nei quali al posto della clorofilla si trova la protoclorofilla, un precursore giallo della clorofilla. Analogamente, una volta al buio, anche i cloroplasti delle cellule del parenchima clorofilliano vengono convertiti in ezioplasti. Se gli ezioplasti sono esposti alla luce la protoclorofilla si trasforma in clorofilla, si sviluppa il sistema tilacoidale e l’ezioplasto diventa cloroplasto. Nella transizione cloroplasto-ezioplasto le membrane tilacoidali si riorganizzano in gran parte a formare il corpo prolamellare. In uno stadio più avanzato non si osserva il sistema di membrane tilacoidali organizzato in grama e tilacoidi intergranali. All’interno dell’ezioplasto si forma una struttura paracristallina detta corpo prolamellare. Esso è costituito da tubuli membranosi interconnessi. Si origina da endomembrane dei proplastidi dette protilacoidi (nel caso di cellule meristematiche) oppure dai tilacoidi dei cloroplasti (nel caso di parenchima clorofilliano). Il corpo prolamellare è formato da membrane con una organizzazione molto ordinata. Si suppone che alla luce, da esso origini il sistema di tilacoidi del cloroplasto: - Si riduce il corpo prolamellare e si formano i tilacoidi - La protoclorofilla si trasforma in clorofilla - Compaiono gli altri componenti dei fotosistemi Cromoplasti Si formano solitamente da cloroplasti invecchiati in cui è degradata la clorofilla e scompare la componente delle membrane tilacoidali. Sono plastidi pigmentati che perdono la clorofilla ma sintetizzano e accumulano carotenoidi. Sono responsabili della colorazione gialla, arancio o rossa dei fiori. I cromoplasti hanno una funzione vessillare. Sono abbondanti in molti fiori, nella buccia e nel parenchima di vari frutti, nelle foglie ingiallite o in alcune radici (carota). Nelle foglie invecchiate i cromoplasti sono indicati anche come gerontoplasti e rappresentano uno stadio degenerativo irreversibile dei cloroplasti. In essi non si ha sintesi ex novo di carotenoidi, ma la degradazione della clorofilla rende manifesti i carotenoidi già presenti nei fotosistemi. RECAP: si formano ex novo da proplastidi, o per degenerazione da cloroplasti verdi (lo si vede nella maturazione della frutta). Hanno una funzione vessillare di richiamo per insetti e animali impollinatori. La struttura interna, a maturità, è degenerata, incostante e mal differenziata. Perde il sistema delle membrane tilacoidali. Pigmenti colorati per la presenza di carotenoidi, ma senza clorofilla. I plastidi mostrano una notevole capacità di conversione: i cloroplasti possono trasformarsi in cromoplasti in particolari condizioni. Se un tubero di patata o una carota sono esposti alla luce diventano versi in quanto gli amiloplasti della patata e i cromoplasti della carota diventano cloroplasti, secondo un processo stimolato dalla luce. TESSUTI MERISTEMATICI Problemi dell’emersione Sulla terra emersa abbiamo una diversa distribuzione dei nutrienti rispetto all’ambiente acquatico. Strutture per la cattura della luce o dell’anidride carbonica sono necessarie per la fotosintesi in ambiente aereo à foglie. Strutture portanti per esporre al meglio gli apparati fotosintetizzanti e contenenti strutture specializzate atte al trasporto dei fluidi à fusti. Strutture per l’assorbimento di acqua e di soluti presenti nel terreno à radici. Ecco, quindi, i tre organi della pianta; radici, fusti e foglie, per rispondere alla necessità di adattamento alla vita sulla terra emersa. Il passaggio dall’ambiente acquatico a quello terrestre pone molti problemi per la vita delle piante: - Necessità di un sostegno meccanico - Necessità di impedite il disseccamento - Conduzione dell’acqua La costruzione degli organi ha seguito un percorso evolutivo graduale e ha richiesto come primo step il differenziamento dei tessuti = insiemi di cellule che condividono la stessa morfologia e la stessa funzione (non è sempre vero nelle piante). Non tutte le piante differenziano tessuti à piante con tessuti = piante a cormo/piante senza tessuti = piante a tallo. Meristemi Le piante mantengono per tutta la vita gruppi di cellule indifferenziate in grado di dividersi per mitosi à cellule meristematiche. Tale caratteristica permetterebbe se non intervenissero fattori patogeni o ambientali una crescita e una vita potenzialmente illimitata dell’organismo. Totipotenza di una cellula vegetale = capacità di una singola cellula vegetale di riprodurre un intero organismo. Tessuti meristematici che derivano dall’embrione e le cui cellule non hanno Tessuti tegumentali Rivestono e proteggono la superficie esterna e alcune superfici interne della pianta. Si possono classificare in base alla loro posizione nella pianta (esterni – epidermide, rizoderma, esoderma, sughero; interni – endoderma) o in base alla loro origine (primari – epidermide, rizoderma, esoderma, endoderma; secondari – sughero). Epidermide È un tessuto primario adulto che riveste la porzione epigea della pianta: fusti giovani, foglie, fiori e frutti. È in genere monostratificata anche se ci sono casi di epidermidi pluristratificate come quelle dell’oleandro (xerofite, piante adattate a vivere in ambiente con clima arido con ridotta disponibilità di acqua). Le cellule dell’epidermide sono vive a maturità e possiedono lamella mediana e parete primaria. Non possiedono plastidi colorati, ma possono accumulare pigmenti antociani nei vacuoli. Presentano grossi vacuoli, che occupano il 90% del volume cellulare, spostando gli organelli ed il nucleo verso la periferia della cellula. Le cellule sono a stretto contatto tra loro senza spazi intercellulari. Gli unici punti di discontinuità sulla superficie dell’epidermide sono rappresentati dagli stomi. Gli stomi nelle angiosperme sono aperture regolabili; la pianta può decidere se aprirli o chiuderli in risposta alle condizioni ambientali. La parete esterna delle cellule epidermiche è in genere rivestita dalla cutina e a volte da cere. Le pareti cellulari cutinizzate e cerificate limitano la perdita di acqua, ma creano anche una barriera agli scambi gassosi. Avendo anche funzione di limitare la traspirazione le pareti esterne delle cellule possono essere cutinizzate o essere provviste di cuticola (cutina + cere + proteine). In alcuni casi si osservano bastoncelli cerosi sulla parte esterna della parete. In sezione ci sono molti spazi intercellulari sono presenti al di sotto dello stoma (camera sottostomatica) e tra le cellule del parenchima per favorire la circolazione dei gas. Non ci sono spazi intercellulari à la parete esterna è impregnata di cutina. L’impregnazione deve impedire l’eccessiva perdita di acqua per traspirazione. Sia le cellule dell’epidermide che le cellule del parenchima hanno bisogno di fare scambi gassosi per la respirazione (epidermide) e per la respirazione e la fotosintesi (cellule del parenchima). La cutinizzazione (impermeabilizzazione) della parete cellulare esterna dell’epidermide è una modificazione che le piante realizzano come adattamento alla vita subaerea. Questa modifica ha certamente il vantaggio di proteggere le piante dalla disidratazione ma, nel caso in cui si estendesse in maniera continua su tutta la superficie della pianta, non consentirebbe gli scambi gassosi. Sull’epidermide sono presenti delle aperture regolabili che consentono di effettuare scambi gassosi, gli stomi. A proposito di stomi, l’apertura è delimitata da due cellule reniformi à le cellule di guardia. Rispetto alle cellule dell’epidermide circostanti, le cellule di guardia sono provviste di cloroplasti. Quando le cellule di guardia sono turgide lo stoma è aperto. Epidermide con cellule lobate à le cellule di guardia sono turgide il vacuolo è pieno di acqua, gli stomi sono aperti. Epidermide con cellule di forma più regolare à le cellule di guardia hanno perduto la condizione di turgidità in seguito alla fuoriuscita di acqua dal vacuolo, collassando una sull’altra e chiudendo gli stomi. Le cellule di guardia degli stomi si originano da cellule meristemoidi (meristemi residui) che rimangono sparse tra le cellule dell’epidermide. Le cellule di guardia secernono enzimi che lisano la lamella mediana determinando così la formazione dell’apertura dello stoma. In genere la parete dello stoma in prossimità della rima stomatica è più spessa di quella adiacente alle cellule epidermiche. Il meccanismo fondamentale grazie al quale si aprono gli stomi è dato da un aumento di turgore delle cellule di guardia in seguito all’entrata di acqua per osmosi dovuta ad un aumento della concentrazione di ioni K+ nelle cellule di guardia, rispetto all’esterno. Le cellule annesse funzionano come riserva di ioni K+. Per bilanciare gli ioni K+ introdotti, la cellula, attraverso la degradazione dell’amido accumulato nelle cellule di guardia, produce ossalacetato e poi malato che ha due cariche negative. Fattori che regolano l’apertura degli stomi: Apertura - Luce - Bassa concentrazione di anidride carbonica nella foglia - Elevata disponibilità di acqua nella pianta Chiusura - Alte temperature - Elevata concentrazione di anidride carbonica - Bassa disponibilità di acqua Peli o tricomi Limitano la perdita di acqua nelle xerofite (di clima arido), quando localizzati sulla pagina inferiore delle foglie (alle quali conferiscono un aspetto biancastro) creano uno strato di aria immobile saturo di vapore acqueo. Limitare la perdita d’acqua: in piante che vivono in ambienti aridi. Sulla superficie inferiore della foglia, dove ci sono gli stomi, creano uno strato di aria immobile che può saturarsi di vapore acqueo. Quando sono presenti sulla pagina superiore delle foglie, i peli servono per rifrangere la luce e ridurre la radiazione luminosa che se troppo intensa può danneggiare la clorofilla. I peli presenti sulle foglie giovani servono anche per difenderle dai predatori. La morfologia dei tricomi varia nelle diverse specie. Altri peli morti associati ai frutti ne favoriscono la disseminazione. I frutti del pioppo sono provvisti di peli morti, unicellulari e notevolmente lunghi che funzionano da organi di volo. Peli vivi Importanti nel favorire l’evaporazione dell’acqua in quanto aumentano la superficie fogliare di piante idrofite (cormofite adattate all’ambiente acquatico) e di piante igrofite (di clima caldo umido). Sono peli vivi anche i peli urticanti (ortica) che liberano sostanze urticanti che servono per difesa da altri animali. Ci sono i peli ghiandolari che producono olii essenziali. Spostiamoci nella zona ipogea della pianta Rizoderma È il tessuto tegumentale, di origine primaria, che riveste la zona assorbente della radice detta anche zona pilifera. Per aumentare l’attività assorbente alcune cellule del rizoderma aumentano la loro superficie formando i peli radicali (peli vivi). Il rizoderma è quindi costituito da cellule vive, disposte in un unico strato, privo di spazi intercellulari, con pareti primaria, pecto-cellulosiche e quindi permeabili, per facilitare l’assorbimento di acqua e Sali minerali. In molte piante il rizoderma è formato da due tipi di cellule: atricoblasti, che non formano peli, e tricoblasti. che formano peli. Facilmente distinguibili fra loro anche prima della formazione dei peli per le maggiori dimensioni degli atricoblasti. In altre piante tutte le cellule del rizoderma hanno dimensioni simili e tutte sono potenzialmente capaci di formare peli. I peli radicali si originano dalle cellule del rizoderma (tricoblasti). Si formano inizialmente come una protuberanza che si allunga sempre più. In essa si insinua il nucleo ed il citoplasma che resta sempre apicale (crescita apicale). Le porzioni più distanti dall’apice del pelo sono vacuolizzate. Le cellule del rizoderma hanno due strati d parete, lamella mediana e parete primaria, entrambe costituite da molecole idrofile e quindi capaci di assorbire acqua. Inoltre, le pareti cellulari sono ricche di mucillagini idrofile, che aumentano la capacità della parete di trattenere acqua. Le cellule del rizoderma sono quindi permeabili all’acqua dal momento che le loro pareti cellulari non presentano impregnazioni di cutine o cere. I peli consentono una notevole estensione della superficie assorbente della radice sebbene siano localizzati solo su una esigua porzione della radice (di solito 1 o pochi cm di lunghezza anche in radici lunghe molti metri). Hanno anche la funzione di raggiungere i piccoli anfratti del terreno. Il rizoderma ha vita breve, man mano che la radice si accresce viene formato nuovo rizoderma, mentre quello vecchio, verso la porzione distale della radice, cade e viene sostituito dallo strato di cellule sottostante che diventa il tessuto tegumentale della zona non assorbente l’esoderma. Esoderma Nella zona di transizione tra regione assorbente e non assorbente, dall’esterno possiamo osservare il rizoderma e lo strato di esoderma sottostante, già formato. Le cellule dell’esoderma impregnano parzialmente la parete di suberina formando un tessuto di rivestimento monostratificato di cellule vive. La suberificazione dell’esoderma non è mai completa. Alcune cellule dette cellule di passaggio non suberificano la loro parete facilitando gli scambi gassosi. Torniamo alla zona assorbente La maggior parte dell’acqua (90%) penetra per via apoplastica (aspecifica) lungo le pareti idrofile delle cellule radicali fino all’endoderma. Le pareti esterne delle cellule del rizoderma sono prive di cuticola consentendo all’acqua di aderire (legami H) alle pareti idrofile di tali cellule. Piccola quantità entra per osmosi attraverso la membrana cellulare dei peli radicali e raggiunge l’interno della radice per via simplastica, attraverso le cellule. Il trasporto apoplastico non selezione i Sali disciolti in acqua durante il cammino lungo le pareti cellulari del parenchima di riserva fino a che l’acqua ed i Sali arrivano ad uno strato di cellule che avvolge il cilindro centrale. Questo strato di cellule prende il nome di endoderma. Endoderma È un tessuto tegumentale interno della radice, situato a ridosso del cilindro centrale, blocca il trasporto apoplastico di acqua e Sali assorbiti a livello del rizoderma. L’acqua che arriva per via apoplastica, una volta raggiunto l’endoderma, è obbligata ad usare la via simplastica, quindi a passare all’interno del citoplasma delle cellule dell’endoderma. L’endoderma è quindi coinvolto nella selezione delle molecole contenute nei liquidi assorbiti, ai tessuti conduttori del cilindro centrale (vasi dello xilema). Osservando le cellule dell’endoderma nella zona di assorbimento della radice notiamo degli ispessimenti tra cellule adiacenti che bloccano la via apoplastica. Nella zona di assorbimento della radice le cellule dell’endoderma possiedono un ispessimento nastriforme, impregnato di suberina che blocca l’apoplasto. Questo ispessimento nastriforme prende il nome di banda di Caspary. L’endoderma circonda la stele della radice (actinostele) caratterizzata da arche xilematiche che si alternano con arche floematiche. Arrivati all’endoderma, i fluidi assorbiti dal suolo (acqua e Sali) trovano gli spazi intercellulari bloccati perché l’impregnazione di suberina della banda del Caspary rende le pareti cellulari impermeabili. L’unica possibilità di raggiungere i vasi dello xilema a questo punto è attraversare il citoplasma delle cellule dell’endoderma. In questo modo le cellule dell’endoderma possono esercitare un controllo sulle molecole che entrano. In sezione, nella zona assorbente gli ispessimenti (banda del Caspary) è visibile fra le cellule adiacenti. In sezione, nella zona non assorbente le cellule dell’endoderma hanno degli ispessimenti rilevanti, che chiudono anche la via simplastica. Sughero È tessuto adulto secondario che deriva dall’attività del cambio subero-fellodermico che si trova nel fusto e nelle radici secondarie. È costituito da strati regolari di cellule la cui parete (lamella mediana + parete primaria + secondaria) è stata impregnata di suberina. Sono cellule morte. Funzioni: - Protezione dalla disidratazione - Impermeabile ai gas - Isolante termico à protegge dal gelo o all’eccessivo calore Per garantire gli scambi gassosi necessari per il metabolismo cellulare degli strati vivi sottostanti, la continuità del sughero è interrotta dalle lenticelle. Sono costituite da cellule con poca suberina nelle pareti cellulari. Sono presenti anche molti spazi intercellulari e nel loro insieme costituiscono sughero lasso o tessuto di riempimento. TESSUTI PARENCHIMATICI Sono costituiti da cellule vive solitamente di forma isodiametrica. La parete cellulare è costituita da lamella mediana e parete primaria. Le cellule presentano grandi vacuoli e sono disposte a formare spazi intercellulari più o meno ampi. Gli spazi intercellulari hanno il compito di favorire gli scambi gassosi. A livello ultrastrutturale ci sono le pareti sottili, il Xilema Xilema primario deriva dai cordoni procambiali del meristema primario. Protoxilema dai cordoni procambiali prima che sia terminata la crescita per distensione dei tessuti circostanti. La distensione dei tessuti circostanti lacera i vasi del protoxilema e si formano successivamente i vasi del metaxilema dai cordoni procambiali in zona di struttura primaria. Nei fasci conduttori del fusto in struttura primaria è presente il metaxilema. Xilema (legno) primario (protoxilema e metaxilema) deriva dal meristema primario (cordoni procambiali) e ha il compito di trasportare a lunga distanza acqua e Sali minerali assorbiti dalle radici. Nelle piante perenni (quelle con struttura II) può assumere anche altre funzioni: 1. Trasporto veloce di sostanze organiche dai tessuti di riserva agli organi di accrescimento (in primavera) 2. Funzione di sostegno (legno vecchio) 3. Accumulo di sostanze nutritive o di metaboliti secondari (parenchima del legno) Lo xilema o legno è costituito da cellule morfologicamente e funzionalmente diverse à tessuto complesso Elementi di conduzione dello xilema Trachee sono i vasi presenti in tutte le angiosperme. Sono costituite da elementi delle trachee, cellule che presentano forma più o meno allungata e diametro molto ampio. Le pareti trasversali che mettono in comunicazione più vasi sovrapposti sono parzialmente o del tutto demolite. Gli elementi delle trachee sono cellule morte a maturità senza il protoplasto. Della cellula originale rimane solo la parete cellulare costituita da tre strati: lamella mediana, parete primaria e parete secondaria. Tutti e tre gli strati di parete sono impregnati di lignina. Differenziamento dei vasi xilematica = differenziamento degli elementi conduttori dello xilema è un esempio di morte cellulare programmata. Ogni trachea è formata da molti elementi delle trachee impilate le une sulle altre a formare dei canali attraverso cui passano acqua e Sali minerali. I vasi conduttori che si formano sono tubi sprovvisti di setti trasversali in cui l’acqua può scorrere senza impedimenti e con maggiore efficienza. Le perforazioni della parete trasversale possono essere semplici, quando non si ha più la parete del setto, o multiple se i setti trasversali non sono del tutto assenti, ma se permangono sono molto perforati. La lignificazione della parete ha la funzione di tenere teso il vaso così da facilitare il passaggio di acqua e soluti e ad impedire il collasso dei vasi. A seconda di come viene deposta la lignina avremo diversi tipi di vasi: - Vasi anulati à caratteristici di organi giovani che stanno ancora distendendosi. Si hanno soprattutto nel protoxilema - Vasi anulo-spiralati à sono caratteristici di organi giovani che stanno ancora distendendosi. Li osserviamo nel protoxilema - Vasi scalariformi o reticolati à la parete è più lignificata e irrobustita in grado di resistere non solo alla compressione ma anche allo stiramento. Li possiamo trovare nel metaxilema della pianta in struttura primaria o nello xilema secondario. Sono i vasi che offrono la massima resistenza I vasi presentano delle punteggiature, aree prive di lignificazione, dove la parete resta sottile (parete primaria e lamella mediana). Le punteggiature: consentono il passaggio di acqua e soluti alle cellule vicine; mettono in comunicazione elementi dei vasi adiacenti e funzionano da valvole impedendo il passaggio di bolle di aria da un vaso all’altro. Legno – xilema secondario Il legno secondario deriva dall’azione del cambio cribro-vascolare. Il legno secondario delle angiosperme è detto eteroxilo perché le due funzioni di trasporto e di sostegno sono attribuite a due elementi distinti: trachee (trasporto) e fibre (sostegno). Evoluzione dello xilema I primi elementi che si formano per il trasporto della linfa grezza non sono le trachee. I primi elementi di conduzione dello xilema comparsi durante l’evoluzione si ritiene che siano le tracheidi, al momento caratteristici delle Pteridofite. Le tracheidi sono cellule allungate e affusolate con pareti trasversali molto oblique. Ogni tracheide comunica con quella sopra o sotto attraverso queste pareti oblique a costituire dei tubi divisi trasversalmente in tanti segmenti. Sulle pareti trasversali sono presenti molte punteggiature che consentono il passaggio di acqua e soluti da un elemento all’altro. Nelle gimnosperme troviamo delle tracheidi modificate = fibrotracheidi. Hanno la parete cellulare più spessa e resistente, rispetto alle tracheidi. Le punteggiature possono essere semplici o areolate. In tal caso attorno al margine delle punteggiature la parete si ispessisce ulteriormente così da rendere più efficiente il passaggio di acqua tra fibrotracheidi adiacenti. Sulle pareti longitudinali delle fibrotracheidi sono presenti delle punteggiature areolate particolari in cui la parete della punteggiatura è ridotta ad una rete di fibrille che sostiene al centro il toro, un ispessimento lenticolare lignificato. Funzionano come delle vere e proprie valvole in grado di bloccare il passaggio dell’aria da un vaso all’altro. Fibrotracheidi Sono tipici delle gimnosperme e hanno la doppia funzione di sostegno e trasporto. Hanno lume più piccolo e pareti più spesse delle trachee. Il legno delle gimnosperme è detto omoxilo perché le funzioni di trasporto e di sostegno sono svolte da un unico elemento à fibrotracheidi. TESSUTI CONDUTTORI – FLOEMA Floema o libro Trasporta a lunga distanza le sostanze organiche prodotte durante la fotosintesi dagli organi fotosintetizzanti al resto della pianta. È un tessuto complesso costituito da cellule morfologicamente e funzionalmente diverse: - Elementi di conduzione (cellule cribrose o tubi cribrosi) - Fibre (funzione di sostegno) - Sclereidi (funzione di sostegno) - Cellule parenchimatiche (funzione di riserva) Il floema primario deriva dai cordoni procambiali del meristema primario (procambio). Il protofloema si differenzia dai cordoni procambiali prima che sia terminata la crescita per distensione dei tessuti adiacenti. La distensione di tessuti in differenziamento provoca la lacerazione del protofloema, che viene sostituito dal metafloema, sempre a partire dai cordoni procambiali in zone di struttura primaria. È costituito da elementi di conduzione (cellule cribrose ed elementi dei tubi cribrosi), fibre, sclereidi e cellule parenchimatiche (specializzate nella funzione di riserva). Le cellule associate alle cellule cribrose sono dette cellule albuminose, quelle associate ai tubi cribrosi sono chiamate cellule compagne. Gli elementi di conduzione sono cellule vive a maturità, di forma allungata, con anche parete secondaria e pochi plastidi (amiloplasti). Mancano di nucleo e di vacuoli. La mancanza di questi organelli rende gli elementi cribrosi poco autonomi e associati a cellule parenchimatiche mediante numerosi plasmodesmi. Gli elementi conduttori del libro sono in genere: - Cellule vive a maturità ma estremamente modificate - Mancano nuclei, vacuolo e Golgi - Hanno pochi plastidi soprattutto amiloplasti - Sono cellule allungate e affusolate - Hanno pareti pecto-cellulosiche non lignificate Le pareti hanno la particolarità di possedere numerosi pori attraverso cui i protoplasti di due cellule adiacenti sono interconnessi. Tali pori si possono riunire a costituire delle strutture funzionali denominate placche cribrose. Ogni poro è rivestito al suo interno da callosio ed ospita un cordono citoplasmatico. Le placche cribrose sono costituite da grossi porocanali. Ogni porocanale della placca è delimitato, nello spessore della parete, da un manicotto di callosio. Nei periodi di inattività delle piante (in inverno) l’intera placca cribrosa appare ricoperta da una massa di callosio, callosio che verrà idrolizzato (fino a riportarlo alla dimensione dei manicotti iniziali) nella primavera successiva, alla ripresa dell’attività vegetativa. I tubi cribrosi sono sempre strettamente associati a cellule compagne, strutturalmente assimilabili a cellule parenchimatiche e provviste quindi, a differenza dei tessuti cribrosi, di tutti gli organuli. Nel caso delle angiosperme le cellule compagne sono vere e proprie cellule sorelle (derivano dalla divisione asimmetrica della stessa cellula madre). La divisione asimmetrica origina due cellule: la più grande darà la cellula del tubo cribroso; la più piccola darà la cellula compagna. Il differenziamento degli elementi conduttori del floema è contemporaneo a quello delle cellule compagne. Tubi cribrosi Sono dati da cellule allungate sovrapposte in file longitudinali con pareti trasversali non oblique. Sulle pareti trasversali sono distribuiti numerosi pori che vanno a costituire le placche cribrose. Le placche cribrose possono essere: - Semplici à la superficie della parete risulta uniformemente perforata - Complesse à con i pori raggruppati in diverse aree ben distinte All’interno delle cellule dei tubi è presente una sostanza gelatinosa di natura proteica detta p-protein. Si osserva a livello dei pori in tessuti danneggiati o in corpiccioli lungo le pareti cellulari. Ha funzione di difesa da danneggiamento meccanico occludendo eventuali danni alle pareti delle cellule impedendo la perdita delle sostanze trasportate. Evoluzione del floema Lo xilema e il floema primari derivano dal procambio e sono costituiti da cellule che iniziano subito a svolgere la loro attività; di conseguenza si differenziano prima che sia terminata la crescita per distensione nei tessuti circostanti. I neoformati protoxilema e protofloema sono formati da cellule conduttrici più piccole di quelle che si formeranno successivamente e hanno vita breve perché danneggiate da stiramenti e lacerazioni provocate dal processo di distensione dei tessuti circostanti. Il protoxilema e il protofloema vengono sostituiti da nuove porzioni che si differenziano dai cordoni procambiali à il metaxilema e il metafloema. FASCI CONDUTTORI E STELI – FUSTO STRUTTURA PRIMARIA Angiosperme dicotiledoni (riconoscimento a livello macroscopico) - Embrione (all’interno del seme) con due cotiledoni (foglie modificate con funzione di nutrire l’embrione durante la germinazione del seme) - Fiori con sepali (calice) e petali (corolla) presenti con un numero multiplo di 4 o 5 - Foglie con nervature disposte a reticolo (retinervie) - Radici a fittone, con radice principale dalla quale si dipartono radici secondarie Angiosperme monocotiledoni (riconoscimento a livello macroscopico) - Embrione con un solo cotiledone - Fiori con tepali presenti con un numero multiplo di 3 - Foglie con nervature disposte in modo parallelo (parallelinervie) Legno eteroxilo È tipico delle angiosperme ed è caratterizzato dall’avere tipi diversi di cellule: - Fibre per il sostegno - Vasi (trachee) per la conduzione - Cellule parenchimatiche I raggi midollari nel legno eteroxilo sono pluriseriati. Distribuzione dei vasi in un singolo anello di crescita: Legno a porosità anulare à nel caso di alcune latifoglie come castagno, querce decidue, olmi e frassini, il legno iniziale possiede una o più file di grandi vasi. Questo tipo di legno viene detto a porosità anulare perché i vasi visti in sezione trasversale disegnano una corona circolare all’interno dell’anello di crescita che può essere anche visibile ad occhio nudo. Legno a porosità diffusa à in altre latifoglie come faggio, pioppo o ciliegio, si riscontra invece una distribuzione più o meno regolare dei vasi. La chiusura dell’anello è sempre contraddistinta da una zona priva di vasi e con cellule appiattite (legno di chiusura). Questa sottolinea il limite fra due successivi anelli di crescita. Le proprietà meccaniche di un legno (resistenza agli sforzi, durezza, elasticità) dipendono dalla sua struttura microscopica: Legno tenero à molti vasi a lume ampio, poche fibre, abbondanti cellule parenchimatiche con pareti sottili Legno duro à molte fibre a parete spessa, vasi a lume piccolo, scarse cellule parenchimatiche Le zone di un tronco: Scorza o ritidoma à strato più esterno Alburno à la regione esterna è più chiara e umida. L’alburno deve il colore chiaro agli elementi tracheali colmi di linfa xilematica e al parenchima amilifero Duramen à nella parte centrale del fusto, il legno è più scuro, secco e fragrante. Il legno del duramen ha perduto funzionalità ed è impregnato di composti fenolici Con il passare degli anni il duramen diviene sempre più ampio mentre l’alburno conserva uno spessore più o meno costante. Legno omoxilo È tipico delle gimnosperme ed è caratterizzato dall’avere un solo tipo di cellule che hanno funzione sia di trasporto che di sostegno = fibrotracheidi. Sono presenti raggi midollari costituiti da un unico strato di cellule parenchimatiche = uniseriati. Non sono presenti fibre. L’aumento in spessore è dovuto a due meristemi: il cambio cribro-vascolare (misto ed il cambio subero-fellodermico (secondario). Quando un fusto inizia a formare la struttura II il tessuto tegumentale è ancora l’epidermide. Successivamente, un certo numero di cellule del parenchima corticale riprendono l’attività mitotica, andando a costituire un anello di cambio subero-fellodermico o fellogeno. L’azione dipleurica del fellogeno porterà alla formazione di sughero verso l’esterno (tegumento II) e felloderma verso l’interno. L’aumento del diametro del fusto, dovuto all’accrescimento II, provoca la lacerazione dell’epidermide. Il cambio subero-fellodermico (meristema secondario) origina un nuovo tessuto di rivestimento, il periderma (sughero-fellogeno-felloderma). Il periderma sostituisce l’epidermide nella struttura secondaria. LA RADICE Funzioni: - Ancoraggio e sostegno - Assorbimento di acqua e Sali e loro conduzione verso le zone vitali della pianta - Accumulo e riserva nel parenchima di riserva Cuffia radicale Protegge il meristema primario all’apide della radice. Formata da molti strati di cellule parenchimatiche. Durante la crescita nel terreno quelle più esterne si schiacciano e si sfaldano liberando materiale mucillaginoso di natura polisaccaridica sintetizzato dall’apparato del Golgi e secreto nella parete. Nuove cellule della cuffia vengono formate dal meristema sottostante (meristema della cuffia) per sostituire le cellule morte. La cuffia radicale interviene anche nel controllo della risposta alla forza di gravità. La percezione della gravità dipende dallo spostamento di pesanti amiloplasti che funzionano da statoliti ossia da sensori della gravità. Sono situati nelle cellule della parte centrale della cuffia (columella). La zona di allungamento è caratterizzata da cellule in via di differenziamento. Segue la zona pilifera o di assorbimento, rivestita esternamente dal rizoderma = tessuto primario che riveste le giovani radici nella zona pilifera e dalle cui cellule si sviluppano i peli radicali. Dopo la caduta del rizoderma il tessuto primario di rivestimento della radice nella zona non assorbente è l’esoderma. La vita dei peli radicali è breve (pochi giorni) e dopo la loro caduta le cellule della corteccia sottostanti ispessiscono la loro parete cellulare impregnandola parzialmente di suberina formando un tessuto di protezione primario, l’esoderma. Le cellule esodermiche rimangono vitali. La suberificazione dell’esoderma non è mai completa à alcune cellule dette cellule di passaggio non suberificano la loro parete facilitando gli scambi gassosi. Dall’apice radicale verso la porzione distale: - Zona di accrescimento per divisione (meristema della radice) à forte attività mitotica responsabile della crescita numerica delle cellule radicali. Le divisioni sono parallele alla superficie radicale, perciò, si formano file longitudinali di cellule - Zona di accrescimento per distensione e differenziazione à determina l’accrescimento in lunghezza della radice. Le cellule si allungano e cominciano a differenziarsi. I primi peli radicali in questa zona nella parte più lontana dall’apice sono un esempio della differenziazione cellulare in corso - Zona pilifera (struttura primaria) à parte di radice con peli radicali. La zona di struttura primaria non coperta dai peli radicali e dove il rizoderma è sostituito dall’esoderma è detta zona suberosa Sezione trasversale a livello della zona di struttura primaria: dall’esterno verso l’interno si individuano il rizoderma o esoderma, la corteccia e il cilindro centrale. Tutte le cellule della radice non hanno attività fotosintetica. Si nutrono con quanto fornito dai tessuti fotosintetici epigee. Corteccia Regione più sviluppata della radice formata da tessuto parenchimatico con funzione di riserva. Le cellule sono naturalmente prive di cloroplasti ma contengono molti amiloplasti. Gli spazi intercellulari aumentano procedendo verso il cilindro centrale e sono numerosi nelle radici di terreni asfittici. Lo strato più interno delle cellule corticali confinante con il cilindro centrale è fatto di cellule addossate le une alle altre a formare un tessuto di rivestimento detto endoderma. L’endoderma circonda il cilindro centrale o stele. Le cellule dell’endoderma hanno un ispessimento nastriforme della parete cellulare, impregnato di suberina. L’impregnazione rende questo ispessimento impermeabile all’acqua. Questo ispessimento nastriforme della parete cellulare prende il nome di banda del Caspary. Le cellule endodermiche sono caratterizzate da un ispessimento interno idrofobo di suberina delle zone mediane delle quattro pareti perpendicolari alla superficie della radice, tanto da costruire una fascia detta banda del Caspary. Per spiegare la funzione di tale banda è necessario prendere in esame le due vie seguite dall’acqua e dai soluti in essa disciolti per giungere fino all’endoderma. A livello dell’endoderma la soluzione che ha percorso la via apoplastica non può proseguire per capillarità tra una cellula e l’altra dell’endoderma per la presenza della banda del Caspary che è idrofoba. Per giungere al cilindro centrale essa è obbligata ad entrare all’interno delle cellule endodermiche attraverso le loro pareti e membrane plasmatiche. Sono le membrane delle cellule endodermiche a fare una selezione. Superato l’endoderma la soluzione procede poi per via simplastica o apoplastica fino al tessuto conduttore. Via apoplastica L’acqua e i soluti giungono fino all’endoderma entrando all’interno della radice solo per capillarità, impregnando le pareti cellulari e procedendo lungo le pareti idrofile delle cellule corticali fino all’endoderma. Non c’è nessuna selezione dei soluti. Via simplastica L’acqua e i soluti vengono assorbiti dalle cellule del rizoderma e selezionati dalla loro membrana cellulare. La soluzione prosegue poi di cellula in cellula fino all’endoderma e poi al cilindro centrale. La stele tipica delle radici delle angiosperme è l’actinostele. È caratterizzata dall’alternanza di arche xilematiche ed arche floematiche che sono, entrambe, immerse nel tessuto parenchimatico. Nelle gimnosperme e nelle angiosperme dicotiledoni il numero delle arche è ridotto (massimo 6-7) e in base a ciò le radici possono essere biarche, triarche ecc… Le varie arche xilematiche differenziandosi in senso centripeto raggiungono il centro del cilindro e si uniscono a formare una stella. Nelle monocotiledoni il numero delle arche è elevato (tra 15 e 30) e la differenziazione centripeta delle arche legnose termina precocemente cosicché la parte centrale del cilindro è occupata da parenchima midollare. L’endoderma non controlla solo il passaggio dei soluti dalla corteccia al cilindro centrale, ma controlla anche il flusso inverso dal cilindro alla corteccia nelle zone non assorbenti delle radici. In queste zone non c’è più la banda di Caspary, ma la parete delle cellule dell’endoderma è uniformemente ispessita. Lo strato sottostante l’endoderma costituisce il periciclo che può essere uni- o pluristratificato. Il periciclo svolge un ruolo importante nella radice in quanto contribuisce alla formazione delle radici laterali nella struttura primaria. Inoltre, del cambio cribro-vascolare, del primo fellogeno o cambio subero-fellodermico. Le cellule del periciclo sono ferme in G2, pronte ad entrare in mitosi. Formazione delle radici laterali Prendono origine a livello della zona suberosa (al di sopra dei peli radicali) della radice madre. Responsabili della loro formazione sono gruppi di cellule del periciclo disposte in corrispondenza delle varie arche xilematiche che iniziano a fare mitosi. Con le loro divisioni esse formano un nuovo apice radicale. A volte l’endoderma dividendosi riveste come un cappuccio la giovane radice che si fa strada nel tessuto corticale grazie ad un’azione meccanica e alla produzione di enzimi litici (pectinasi) da parte delle cellule del cappuccio endodermico o della radichetta. Una volta giunta all’esterno della superficie radicale anche l’endoderma viene perforato e cade mentre la nuova radichetta avrà un meristema apicale ed uno della cuffia. Le radici laterali aiutano ad esplorare meglio e più in profondità il terreno. La radice in struttura secondaria Nelle gimnosperme e nelle angiosperme dicotiledoni l’accrescimento diametrale della radice avviene ad opera di un meristema secondario, il cambio cribro-vascolare che forma nuovo legno verso l’interno e nuovo libro verso l’esterno. Inizialmente il cambio si forma da cellule parenchimatiche fra lo xilema primario e il floema primario e poi anche da cellule del periciclo prospicienti i poli protoxilematici assumendo un andamento sinusoidale. FOTOSINTESI È quel processo attraverso il quale composti inorganici come acqua e anidride carbonica sono convertiti in composti organici sfruttando l’energia solare. 6 CO2 + 6 H2O + Esolare = C6H12O6 + 6 O2 (glucosio) Avviene nelle cellule del parenchima clorofilliano, ricche di cloroplasti. Il glucosio rappresenta la molecola fondamentale per il metabolismo ossidativo che porta alla produzione di ATP. Per la costruzione della componente fibrillare della parete cellulare à microfibrille di cellulosa. Cloroplasto Il cloroplasto cattura, converte e immagazzina l’energia solare in molecole di carboidrati. Reazioni alla luce: - L’energia solare viene captata dalla clorofilla - Viene poi utilizzata per la conversione dell’acqua in ossigeno e la produzione di equivalenti riducenti (NADPH) e ATP Reazioni al buio: - Gli enzimi del ciclo di Calvin usano ATP e NADPH per trasformare l’anidride carbonica in carboidrati Fasi della fotosintesi La fotosintesi si suddivide in due fasi: Fase luminosa à avviene la trasformazione dell’energia luminosa in energia chimica con produzione di ATP e NADPH (sui tilacoidi). Fase oscura à avviene la fissazione dell’anidride carbonica e la produzione di glucosio attraverso il ciclo di Calvin (nello stroma). Reazioni alla luce Più di 3000 anni fa il fisico inglese Isaac Newton riuscì a scomporre la luce visibile in uno spettro di colori facendola passare attraverso un prisma ottico. Con questo si dimostrò che la luce bianca è in realtà la sintesi di vari colori, dal viola al rosso. La separazione dei colori è possibile perché la luce di ciascun colore, passando attraverso il prisma, viene deviata formando un particolare angolo. Nel XIX secolo venne stabilito che la luce visibile corrisponde in realtà ad una sezione molto piccola di un ampio spettro continuo di radiazioni, lo spettro elettromagnetico. Maggiore è la lunghezza d’onda, minore è l’energia e viceversa. I raggi più corti della luce viola hanno quasi il doppio dell’energia dei raggi più lunghi della luce rossa. Per l’occhio umano, ma non è così per tutti gli animali, lo spettro visibile varia da 380 nanometri (luce viola) a 750 nanometri (luce rossa). Pigmenti fotosintetici Hanno il ruolo di captare l’energia luminosa e trasformarla in energia chimica utilizzabile dalla cellula. Centro di reazione = clorofilla a; che è il principale pigmento fotosintetico di colore verde-blu. È costituita da un anello tetrapirrolico che lega un atomo di Mg e una coda di fitolo, che è una catena idrocarburica che ancora il pigmento ai tilacoidi esponendo l’anello tetrapirrolico alla luce. Pigmenti accessori Insieme alla clorofilla a (centro di reazione) intervengono altri pigmenti nel processo di cattura della luce: - Clorofilla b à presente nelle piante emerse e nelle alghe verdi. Si differenzia dalla clorofilla a in quanto il gruppo metilico è stato sostituito da un gruppo aldeidico. Questa sostituzione determina un assorbimento diverso ed un colore verde-giallo - Carotenoidi à sono composti liposolubili localizzati nelle membrane tilacoidali del cloroplasto di colore giallo- arancione. I caroteni contengono solo H e C; le xantofille contengono anche O. Hanno funzione di pigmenti antenna e di proteggere la clorofilla a dalla foto ossidazione causata da elevata illuminazione - Ficobiline à sono presenti solo nelle alghe rosse che vivono a grandi profondità e nei cianobatteri Ruolo dei pigmenti accessori: pigmento fondamentale della fotosintesi ossigenica è la clorofilla a, che assorbe la luce di determinate lunghezze d’onda (spettro di assorbimento). I pigmenti accessori assorbono luce a lunghezza d’onda non coperte dalla clorofilla a. Aumentano lo spettro della luce utilizzabile per la fotosintesi e proteggono la clorofilla a dalla fotolisi dovuta a forti illuminazioni. I pigmenti si organizzano all’interno delle membrane tilacoidali in modo da rendere il più possibile efficiente la relazione tra i pigmenti accessori e la clorofilla a, vanno a costituire sistemi funzionali detti fotosistemi. I fotosistemi sono gli attori della fase luminosa della fotosintesi. Inseriti nel doppio strato lipidico dei tilacoidi abbiamo due tipi di fotosistema che lavorano in modo coordinato: - Fotosistema I à primo comparso dal punto di vista evolutivo. Contiene molti carotenoidi ed ha un massimo di assorbimento della luce a 700 nm per cui viene denominato P700 - Fotosistema II à ricco di xantofille ed evolutivamente più recente. Ha un massimo di assorbimento della luce a 680 nm per cui viene denominato P680 I pigmenti accessori sono in grado di catturare l’energia luminosa e trasferirla sulla molecola di clorofilla a. Le molecole di clorofilla, presenti nel centro di reazione perdono un elettrone, passando così ad uno stato ossidato. La clorofilla a cede l’elettrone ad una molecola accettore di elettroni che si riduce. Gli elettroni derivati dalla clorofilla a vengono trasferiti ad una serie di trasportatori di elettroni che costituiscono una catena di trasporto durante la quale è liberata energia sotto forma di ATP e di potere riducente (NADPH). I due fotosistemi lavorano in serie. Gli elettroni persi dalla clorofilla a del fotosistema II vengono accettati da una serie di accettori prima di raggiungere il fotosistema I. il fotosistema I perde elettroni (clorofilla a si ossida) che vengono accettati da una serie di accettori. Il buco elettronico nella clorofilla a del fotosistema I è colmato da elettroni che derivano dall’ossidazione della clorofilla a del fotosistema II. Problema: alla fine di questo ciclo la clorofilla a del fotosistema II è ossidata! La clorofilla a del fotosistema II deve essere ridotta affinchè il sistema possa andare avanti. Il buco elettronico nel fotosistema II viene colmato grazie alla fotolisi dell’acqua. Fotolisi dell’acqua La clorofilla a dei due fotosistemi è rimasta priva degli elettroni che sono stati trasferiti alla catena di trasporto. Si forma un buco elettronico che deve essere colmato. Nel fotosistema I il buco elettronico è coperto dall’elettrone che deriva dalla catena di trasportatori del fotosistema II. Nel fotosistema II, gli elettroni necessari derivano dalla lisi della molecola di acqua attraverso una complessa reazione detta reazione di Hill. Il centro di reazione non sottrae l’elettrone direttamente all’acqua, ma ad una tirosina che appartiene ad una proteina associata al fotosistema. Il radicale tirosinico che così si forma riprende l’elettrone da un complesso formato da 4 atomi di Mn. Il Mn può essere ossidato 4 volte, è in grado di donare 4 elettroni. Nello stato di completa ossidazione è in grado di strappare gli elettroni a due molecole di acqua causando così la formazione di una molecola di ossigeno. Fase oscura Utilizza i prodotti della fase luminosa per sintetizzare glucosio: potere riducente – NADPH; energia – ATP. Mentre C e O derivano dall’anidride carbonica. Questo è reso possibile da una serie di reazioni che avvengono nello stroma del cloroplasto e sono definite come ciclo di Calvin. Dalle 6 molecole di gliceraldeide 3-fosfato: - 5 continuano il ciclo per rigenerare le molecole di ribulosio 1,5-difosfato utilizzato per fissare l’anidride carbonica - 1 esce dal ciclo ed è utilizzata per la sintesi di zuccheri e altri composti primari Ogni 6 molecole di anidride carbonica fissate si ha la formazione di 2 molecole di gliceraldeide 3-fosfato che si uniscono a dare fruttosio difosfato da cui poi si origina glucosio difosfato. Il glucosio difosfato appena sintetizzato può seguire diversi destini: viene unito al fruttosio a dare saccarosio; è trasformato in amido primario oppure è utilizzato per la sintesi di altre molecole (es. cellulosa). La rubisco è l’enzima che catalizza il legame dell’anidride carbonica con ribulosio difosfato. Quando nel mesofillo la concentrazione di anidride carbonica non è abbastanza alta, l’ossigeno compete con l’anidride carbonica per il sito attivo della rubisco. Adattamenti ai climi aridi richiedono cambiamenti nel processo di fotosintesi 1. Piante a C4 2. Piante CAM Piante a C4 Presentano due tipi di cellule intorno ai fasci: cellule del mesofillo, dove avviene la fase luminosa della fotosintesi e l’anidride carbonica viene fissata dalla PEP-carbossilasi per formare prima ossalacetato e poi malato, e cellule della guaina del fascio, dove l’anidride carbonica è rilasciata dal malato e ripresa dal ciclo di Calvin per la produzione di zuccheri. Hanno una fotosintesi più efficiente perché la PEP carbossilasi ha una affinità per l’anidride carbonica maggiore della rubisco e potendo così utilizzare tutta l’anidride carbonica disponibile; ha una efficienza fotosintetica a temperature maggiori e supera i problemi della fotorespirazione. Tipi di gamia: - Isogamia - Anisogamia - Eterogamia - Oogamia Vantaggi della riproduzione sessuale: garantisce sempre la variabilità genetica della progenie e mantiene un’ampia variabilità all’interno della specie aumentando la probabilità di sopravvivenza degli individui al variare delle condizioni ambientali. Svantaggi: prevede l’incontro di due gameti e quindi l’incontro tra individui diversi. Questo comporta lo sviluppo di strutture che formino i gameti e che ne permettano l’incontro con notevole dispendio di energia. I vegetali spesso alternano i due tipi di riproduzione: con la riproduzione vegetativa la specie mantiene una serie di caratteri selezionati nel tempo e che si è rivelata vincente in quelle condizioni ambientali; mentre con la riproduzione sessuale la specie propone una nuova combinazione di caratteri che le consente di affrontare eventuali cambiamenti ambientali. Le alghe dal punto di vista riproduttivo sperimentano tutti i tipi di cicli possibili, che comprendono sia processi di sporulazione che di sporogonia. Le piante terrestri alternano sporogonia e riproduzione sessuale all’interno del ciclo vitale caratteristico di tutte le piante terrestri: il ciclo aplo-diplonte. CICLI METAGENETICI NELLE PIANTE Gamia e meiosi sono due punti cruciali nel ciclo vitale di una pianta perché determinano una alternanza di fase nucleare à si alterna una fase nucleare aploide con una fase nucleare diploide e viceversa. Le due fasi possono essere più o meno lunghe a seconda del tipo di ciclo. Tramite la gamia si passa da cellule (gameti) con numero n di cromosomi a cellule con numero 2n (zigote); attraverso il processo di meiosi si passa da cellule diploidi 2n a cellule apolidi (n, gameti o meiospore). L’alternanza di queste due fasi, unitamente con l’ampiezza delle stesse, determina il ciclo vitale di una pianta. Le alghe sperimentano tutti i tipi di cicli vitali: aplonte, diplonte e aplo-diplonte. Le piante terrestri adottano sempre il ciclo aplo-diplonte con alternanza di generazioni eteromorfiche. Durante l’evoluzione il ciclo aplo-diplonte si modifica, in modo da ottimizzare il processo riproduttivo. Ciclo aplonte L’individuo spende la sua vita nella fase di aploidia. L’unico momento diploide del ciclo è lo zigote. Lo zigote è uno stato transitorio, in quanto va incontro al processo di meiosi, ripristinando cellule aploidi. Un individuo unicellulare, in condizioni ottimali, fa riproduzione asessuale: le cellule moltiplicano tramite mitosi. In condizione di stress ambientale la popolazione fa riproduzione sessuale per aumentare la variabilità genetica e la probabilità di sopravvivenza della popolazione. Le singole cellule, di segno opposto, si comportano come gameti, si fondono insieme (gamia-isogamia) à si origina uno zigote (2n) che fa meiosi, rigenerando cellule aploidi. Alcune cellule specializzate dell’individui fanno mitosi al loro interno formando delle strutture, denominate gametocisti, che contengono i gameti (n). I gameti di segno opposto vengono liberati, fanno gamia (isogamia). Un individuo pluricellulare aploide, in condizioni ottimali, fa riproduzione asessuale: frammentazione o produzione di mitospore. Come e dove vengono prodotte le mitospore? Alcune cellule dell’individuo pluricellulare aploide fanno mitosi al loro interno, producendo un certo numero di mitospore. Tali mitospore saranno contenute all’interno della parete della cellula madre che ha fatto mitosi. Le mitospore saranno quindi contenute all’interno di sporocisti. In condizioni di stress ambientali gli individui fanno riproduzione sessuale per aumentare la variabilità genetica e la probabilità di sopravvivenza della popolazione. Si origina uno zigote (2n) che fa meiosi, rigenerando cellule aploidi, tramite mitosi, rigenerano ognuna un individuo pluricellulare aploide. Nelle alghe le spore sono separate dall’ambiente esterno solo dalla parete cellulare della cellula madre. Poiché le alghe sono piante acquatiche, le spore non devono temere il pericolo di disseccamento. La parete che delimita la sporocisti si apre, liberando le spore che vengono trasportate dalla corrente. Ciclo diplonte L’individuo spende la sua vita nella fase di diploidia (2n). L’unico momento aploide del ciclo è rappresentato dai gameti (n), prodotti tramite un processo di meiosi. La condizione aploide è transitoria in quanto la funzione dei gameti è quella di fondersi nel processo di gamia per produrre uno zigote (2n) che tramite mitosi, rigenererà l’individuo diploide. Nel ciclo diplonte il processo di meiosi non produce spore, ma gameti. Particolari cellule dell’individuo pluricellulare diploide (2n) fanno meiosi al loro interno, producendo ognuna quattro gameti (n), i quali poi aumenteranno il loro numero tramite mitosi. I gameti saranno quindi contenuti all’interno di gametocisti, delimitati solo dalla parete della cellula madre che ha fatto meiosi. Nelle alghe i gameti sono separati dall’ambiente esterno solo dalla parete cellulare della cellula madre della gametocisti. Poiché le alghe sono piante acquatiche, i gameti non devono temere il pericolo di disseccamento. Ciclo aplo-diplonte Generazioni isomorfiche La generazione pluricellulare diploide (sporofito) produce per meiosi spore aploidi (meiospore, n). Le meiospore vengono liberate nell’ambiente, prendono contatto con il substrato e, tramite mitosi producono un individuo pluricellulare aploide (gametofito). Il gametofito (n) differenzia strutture all’interno delle quali si formano gameti maschili o gameti femminili. La gamia dà origine ad uno zigote (2n) che per mitosi, rigenera un individuo pluricellulare diploide. Generazioni eteromorfiche Cellule specializzate dello sporofito (2n) fanno meiosi, formando le sporocisti. Le sporocisti, delimitate soltanto da una parete cellulare, liberano le meiospore (n). Le meiospore (n), tramite mitosi, danno luogo al secondo individuo del ciclo, il gametofito (n), in questo caso morfologicamente diverso rispetto allo sporofito. Il gametofito differenzia gametocisti maschili e femminili all’interno delle quali si formeranno i gameti, i quali con diverse forme di gamia formeranno lo zigote 2n. Nelle alghe i gameti si formano in gametocisti e le spore in sporocisti; nelle piante emerse i gameti si formano nei gametangi e le spore negli sporangi. SISTEMATICA = studia gli organismi e la loro storia evolutiva con lo scopo di metterne in risalto diversità e somiglianze così da rendere possibile il loro collocamento in uno schema generale. Si avvale di due discipline: - Tassonomia à si occupa di studiare i caratteri (tassonomici) significativi per descrivere gli individui, in modo da identificare le uguaglianze e le diversità tra gli organismi - Classificazione à si attua tenendo in considerazione gli studi tassonomici per ricondurre gli organismi viventi ad un numero limitato di tipi gerarchicamente ordinati Il taxon più ampio di riferimento nel regno vegetale sarà la divisione o stipite. Sistemi di classificazione artificiale: le piante venivano riunite nelle stesse categorie in base alla presenza di pochi determinati caratteri comuni. Es: forma delle foglie, Habitus, ecc… Tali sistemi si basavano sul concetto della fissità della specie. Linneo considerò anche i caratteri degli organi riproduttori. Sistemi di classificazione naturale: si basano sul considerare una pluralità di caratteri, non uno o pochi, sia dell’apparato vegetativo che riproduttivo. In seguito alle teorie evoluzionistiche di Darwin si fece strada il concetto che le specie si evolvono col passare del tempo e possono nascere specie nuove. Le differenze tra gli organismi vengono viste come prodotti della loro storia evolutiva (filogenesi). I sistemi di classificazione non considerano solo informazioni sui caratteri ma anche le relazioni evolutive tra gli organismi. I rapporti tra gli organismi sono rappresentati come alberi filogenetici. Concetto di specie Dal punto di vista biologico, si definisce specie l’insieme di organismi con caratteristiche simili in grado di accoppiarsi e dare prole fertile. Fra gli individui di una stessa specie si osserva, una certa variabilità; infatti, all’interno di ciascuna specie gli individui possiedono la potenzialità per una continua evoluzione, in relazione alle modificazioni ambientali. La modificazione di un gruppo di individui di una popolazione, per selezione naturale, può procedere fino al punto in cui le diversità saranno tali da non permettere più l’incrocio con gli altri individui della popolazione à si è formata una nuova specie. Il processo che porta alla formazione di una nuova specie prende il nome di speciazione. Si forma una nuova specie quando i componenti di una popolazione hanno subito cambiamenti genetici (divergenza) tali per cui non possono più accoppiarsi tra loro o comunque dare prole feconda. I meccanismi di speciazione che favoriscono la divergenza possono essere riconducibili a isolamento geografico e alla poliploidia. Isolamento geografico Due popolazioni di una stessa specie rimangono separate da una barriera fisica per lungo tempo. Questa barriera può essere dovuta a eventi geologici di grande portata, come la deriva dei continenti, o di portata minore, come la presenza di una catena montuosa, di un fiume o di una colata lavica. Se l’isolamento persiste per lungo tempo, ogni popolazione sviluppa mutazioni differenti e quindi una differente evoluzione e, anche se ricongiunte, non saranno più in grado di accoppiarsi tra loro. Poliploidia Si osserva piuttosto frequentemente nelle piante, quando una cellula uovo fecondata (zigote-2n) duplica i cromosomi, ma non si divide in due cellule figlie. Gli individui poliploidi (tetraploidi in questo caso) sono sterili; infatti, la progenie derivata dalla fecondazione di un gamete diploide (2n) e un gamete normale aploide con un numero n di cromosomi avrà un numero dispari di cromosomi. Questi non riusciranno ad appaiarsi e non potranno portare a compimento la meiosi e di conseguenza produrre gameti. Gli individui poliploidi possono tuttavia riprodursi in modo asessuato e dare così origine piuttosto velocemente a una nuova specie. ALGHE Sono piante a tallo. Le alghe sono organismi eucariotici fotoautotrofi variamente colorati, acquatici, largamente diffusi sia nei mari che nelle acque dolci. Esse si sono evolute in ambienti acquatici senza che il loro habitat si estendesse alle terre emerse; tuttavia, esse possono essere presenti in luoghi molto umidi dove si rinvengono in forme microscopiche o molto ridotte. In queste circostanze si sono affermati organismi il cui corpo è costituito da: - Cellule singole - Aggregati coloniali di cellule non collegate tra di loro - Colonie di cellule coordinate tra di loro - Organismi pluricellulari: cospicui insiemi cellulari di forma definita e con un grado notevole di coordinazione. Questi organismi si sono evoluti in un ambiente caratterizzato dalla diffusa presenza di acqua, hanno un corpo poco specializzato. Il corpo è privo di tessuti e di strutture necessarie al trasporto ed alla conservazione dell’acqua presenti Rodophyta à amido delle floridee, accumulato in granuli nel citoplasma Phaeophyta à mannitolo e laminarina, accumulati nei vacuoli Bacillariophyta à crisolaminarina, accumulata nei vacuoli Chlorophyta/Charophyta à amido, accumulato nel cloroplasto Notevoli diversità esistono nella ultrastruttura dei plastidi. Nelle Rhodophyta i tilacoidi restano isolati, disposti più o meno parallelamente tra di loro e avvolti da un tilacoide più grande che circonda tutto il plastidio. Lungo le membrane tilacoidali si trovano allineati i ficobilisomi. Nelle Phaeophyta i cromatofori hanno i tilacoidi fra di loro uniti per tutta la loro lunghezza in bande di altezza limitata formate di norma da 2 o 3 tilacoidi. Nelle Chlorophyta più primitive si trovano ancora bande di tilacoidi, mentre in quelle più specializzate vi sono ormai tipica grana, in modo analogo a quanto si osserva nella generalità delle piante terrestri. Cloroplasti Nelle alghe la morfologia dei cloroplasti è estremamente varia. Oltre alla tipica forma ovoidale, caratteristica delle piante terrestri, nelle alghe si conoscono cloroplasti stellati, nastriformi, reticolati o a coppa. Molto frequentemente il numero di cloroplasti per cellula è piuttosto basso e in taluni generi si arriva addirittura ad un solo cloroplasto per cellula. Gli appartenenti al genere Zygnema hanno due cloroplasti a stella in ogni cellula. Nelle alghe possono essere singoli e molto grandi, di forma bizzarra. Pirenoide In molte alghe associato al cloroplasto si trova un corpo più o meno voluminoso, denominato pirenoide, che risulta spesso visibile al microscopio ottico. Il pirenoide può avere una struttura omogenea minutamente granulosa, come nelle alghe brune, oppure essere percorso da sottili lamelle in evidente continuità con i tilacoidi (alghe verdi). Sempre nelle alghe verdi il pirenoide può essere suddiviso in bande o spicchi denominati pirenosomi che si collocano tra le bande tilacoidali. Esso consiste in aggregati di proteine coinvolte nel processo di organicazione dell’anidride carbonica durante la fase oscura della fotosintesi. Per l’enorme varietà morfologica dei diversi gruppi di alghe la parete cellulare presenta una differente composizione. È generalmente formata da una porzione fibrillare (costituita da cellulosa) e da una porzione amorfa che cambia nelle diverse divisioni. La sua consistenza può essere aumentata dalla presenza di deposizioni di CaCO3 o di silice. Vedremo la composizione della parete quando studieremo i singoli taxa. Il tipo di ciclo non rappresenta un carattere tassonomico per distinguere tra i veri stipiti. Gli organismi di ogni stipite possono adottare modalità diverse. Rhodophyta Le Rhodophyta sono alghe di colore violetto, rosso-porpora, rosso-bruno, raramente anche verde-blu o verde-oliva. Unicellulari o strutturalmente più complesse: filamenti che formano un tallo laminare o tridimensionale. Sono alghe marine e non e si trovano preferenzialmente in acque tropicali. Sono uniche tra tutte le alghe a non avere cellule flagellate in qualsiasi stadio del loro ciclo vitale. Le sostanze di riserva presentano amido florideo, che è accumulato nel citoplasma all’esterno del cloroplasto. Il cloroplasto contiene ficobiline in ficobilisomi e presenta clorofilla a + clorofilla d (non sempre). La parete presenta una componente cellulosica immersa in una componente amorfa consistente in mucillagini (agar o carragenina). Alcune alghe rosse possono depositare in parete carbonati di calcio (alghe coralline). La carragenina è una gelatina di largo uso alimentare (come chiarificante del miele o della birra). Si ottiene dalla bollitura di due alghe rosse della costa rocciosa dell’oceano Atlantico settentrionale (Chondrus crispus e Gigartina mamitiosa) note coi nomi di muschio d’Irlanda o carragheen. Come sostanze di riserva viene accumulato soprattutto amido delle floridee (più simile al glicogeno che all’amido, è una sorta di amilopectina ma con un numero maggiore di ramificazioni) in forma di granuli, insolubili e spesso stratificati, che con lo iodio si colorano di rosso. Questi granuli non vengono immagazzinati nei plastidi, come per l’amido delle piante terrestri. I cloroplasti sono circondati da due membrane. I tilacoidi non sono riuniti in gruppi o pile, ma sono distanziati a distanze regolari come nei cianobatteri. Una lamella tilacoidale circonda i tilacoidi. Il colore delle alghe rosse è determinato dalla presenza delle ficobiline, in particolare dalla ficoeritrina, che si trova nei ficobilisomi. I ficobilisomi sono disposti in modo regolare su entrambe le facce dei tilacoidi singoli. Le alghe rosse vivono nelle acque dolci e salate e sono attaccate alle rocce o su altre alghe. Rhodophyta = divisione o stipite. Ci sono due ordini: - Bangiales à si tratta di alghe con struttura molto semplice unicellulare, filamentosa o fogliosa. Nella maggior parte dei casi mancano sinapsi tra le cellule. Accrescimento intercalare. I cromatofori sono grandi a forma di stella e possiedono un pirenoide. - Nemalionales à si tratta di alghe con struttura del tallo complessa derivata dall’unione di molti filamenti ramificati con crescita apicale. Le cellule dei filamenti sono in comunicazione tra di loro. Non vi sono rappresentanti unicellulari. Si conoscono circa 4000 specie (suddivise in circa 500 generi diversi) appartenenti alle alghe rosse. Queste alghe vivono prevalentemente nella zona litorale dei mari, in particolare di quelli più caldi, a prescindere da poche eccezioni (Batrachospermum o Lemanea) che sono d’acqua dolce. Le alghe rosse colonizzano spesso le regioni marine più profonde (fino a 180 m di profondità) dove possono vivere sfruttando in modo ottimale la luce a breve lunghezza d’onda grazie ai loro pigmenti accessori, presenti nei centri di reazione (ficobiline). Le alghe rosse sono organismi bentonici sempre saldamenti attaccati, per lo più alla roccia, tramite filamenti o dischi di adesione. Alcune sono epifite su alghe di dimensioni maggiori e, in alcuni casi, crescono in modo strettamente specifico solo su un genere di pianta ospite. La famiglia delle Corallinaceae comprende alghe sulle cui pareti si incrostano cristalli di calcite. Ciclo trimetagenetico à ciclo vitale di Nemalion – a tre generazioni. Molti gameti maschili privi di flagello vengono liberati in acqua e trasportati dalla corrente. I gameti maschili prendono contatto con il tricogino e tramite movimenti ameboidi raggiungono il gamete femminile. La gamia è oogama, lo zigote 2n si forma all’interno della gametocisti femminile. Il carposporofito 2n rimane in continuità con il gametofito. Phaeophyta Le alghe brune comprendono tra 1500 e 2000 specie suddivise in circa 250 generi. Sono prevalentemente marine, anche se esistono dieci specie di acqua dolce. Il loro habitus comprende piccolissimi filamenti ramificati, talli filamentosi eterotrichi. Talli tissutali pluristratificati che diventano grandi parecchi metri. Mancano forme unicellulari. La parete cellulare delle alghe brune è costituita da uno strato fibrillare cellulosico immerso in una matrice amorfa costituita da Sali dell’acido alginico (alginati). Per le loro proprietà colloidali gli alginati sono sfruttati economicamente nelle industrie alimentari come addensanti e stabilizzanti nell’industria alimentare; nelle industrie farmaceutiche in alcuni preparati o per incapsulare i farmaci e nelle industrie tessili, manifatturiere di coloranti, colle o carta. Altri caratteri: clorofilla a e c + carotenoidi, soprattutto xantofille; mannitolo e laminarina come sostanza di riserva che si accumulano nel vacuolo. Ultrastruttura del plastidio: tilacoidi che decorrono da un polo all’altro del plastidio in gruppi di due o tre. Acido alginico (C6H8O6)n à l’acido alginico è un polimero lineare con blocchi omopolimerici di b-D-mannuronato (M) legati tramite legami covalenti 1-4 con a-L-guluronato (G). I monomeri possono essere blocchi omopolimerici di residui G consecutivi (blocchi G), blocchi di residui M consecutivi (blocchi M) o blocchi costituiti da residui M e G alternati (blocchi MG). Mannitolo = esempio di alcol dello zucchero usato come dolcificante Laminarina = polisaccaride formato da unità monomeriche di glucosio legate con legame b(1à3) a formare dei trimeri legati a loro volta con legami b(1à6). È pertanto un polisaccaride lineare il rapporto tra b(1à3) e b(1à6) è di 3:1. Phaeophyta = divisione o stipite. Ci sono tre ordini: - Ectocarpales à a questo ordine appartiene la maggior parte delle alghe brune. Ampiamente distribuito è il genere Ectocarpus i cui talli filamentosi a portamento cespuglioso si ancorano al substrato e costituiscono un importante elemento della flora delle coste dei nostri mari. Le Ectocarpales hanno un ciclo aplo-diplonte, in cui uno sporofito (2n) si alterna ad un gametofito (n). Le due generazioni sono identiche dal punto di vista morfologico. Le specie del genere Ectocarpus producono, sullo sporofito (2n), sporocisti di due tipi: uniloculari e contenenti meiospore e pluriloculari che producono numerose mitospore vegetative che, alla germinazione, producono altri sporofiti identici all’organismo progenitore à i gametofiti (n) sono costituiti da un tallo filiforme ramificato identico a quello degli sporofiti. Essi portano gametocisti che liberano gameti tutti identici (isogameti). Le meiospore, invece, germinando, cioè facendo mitosi, producono altrettanti gametofiti pluricellulari (n). Ciclo aplo-diplonte con alternanza di generazioni isomorfiche. Lo sporofito 2n differenzia sporocisti pluriloculari, in cui, per mitosi, si originano mitospore 2n. Le mitospore 2n vengono rilasciate, nuotando grazie ai flagelli diffondono la specie. Le mitospore, una volta perduti i flagelli, germinano, cioè fanno mitosi, producendo nuovi sporofiti diploidi identici al progenitore. La isogamia avviene in acqua dove si forma uno zigote (2n) che tramite mitosi rigenera uno sporofito diploide. Il gametofito differenzia gametocisti maschili e femminili che liberano i gameti morfologicamente identici in acqua. Parallelamente, lo sporofito può differenziare sporocisti uniloculari, all’interno dei quali avviene la meiosi. In questo modo si formano meiospore aploidi che vengono disperse e che, germinando, formano per mitosi un gametofito pluricellulare (n). - Laminariales à gli sporofiti di Macrocystis pyrifera nei mari più freddi dell’emisfero australe raggiungono una lunghezza superiore ai 50 m. Alla base di ogni lamina si trova una vescicola di galleggiamento, cisti aerea, che la aiuta a galleggiare nell’acqua. In Nereocystis (coste del Pacifico dalla California all’Alaska) una lunga porzione di tallo cordiforme, detto cauloide, (fino a 25 m) porta una grossa vescicola di galleggiamento su cui si inserisce un ciuffo di fillodi. Le specie antartiche del genere Lessonia hanno un habitus simile a quello delle palme, sviluppano un asse principale lungo fino a 5 m provvisto di filloidi pendenti. Le specie di Laminaria distribuite sulle coste dell’Atlantico settentrionale diventano lunghe fino a 5 m e formano vere e proprie praterie al di sotto del limite della bassa marea. Su un asse provvisto di rizoide a forma di artiglio viene portata una lamina sottile ad una foglia costituita da molti strati di cellule. Ogni anno questa lamina si rinnova per la presenza di un meristema intercalare alla base del filloide che produce una nuova fronda verso la fine dell’inverno. La lamina vecchia viene così spinta in avanti e gradualmente muore. La sezione trasversale del cauloide delle Laminariales mostra una forte differenziazione dell’esterno verso l’interno. Esternamente è visibile un meristoderma (cellule tegumentali). La medulla serve per l’immagazzinamento e la conduzione degli assimilati. La missione dei gametofiti è quella di differenziare gametocisti. All’interno delle gametocisti (n) vengono prodotti gameti maschili o femminili (n). Nelle Laminariales la gamia è oogama. Ciclo aplodiplonte con alternanza di generazioni eteromorfe con netta prevalenza dello sporofito diploide. - Fucales à in seguito all’estrema riduzione del gametofito possono venire considerate praticamente come veri diplonti. Lo sporofito diplonte costituisce l’unico corpo vegetativo presente sotto forma di vero tallo (occasionalmente supera 1 m di lunghezza). La maggior parte delle specie possiede vescicole di galleggiamento che hanno la funzione di migliorare il portamento eretto dell’alga in acqua. Bryopsidophyceae Dasycladophyceae Trentepohliophyceae Pleurastrophyceae Klebsormidiophyceae Zygnematophyceae Charophyceae Chlorophyceae La classe comprende forme flagellate o aflagellate unicellulari, coloniali o filamentose (tricali o sifonali). La citodieresi avviene tramite il ficoplasto. Le specie appartenenti a questa classe vivono prevalentemente in acque dolci, ma vi sono rappresentanti marini e terrestri. Volvocales Le Volvocales sono organismi planctonici d’acqua dolce ad ampia distribuzione e possono presentarsi in quantità talmente grandi da far apparire l’acqua completamente verse. Questo ordine comprende organismi unicellulari flagellati che possono essere riuniti in colonie. Nell’ambito di questo ordine è possibile seguire il passaggio da organismi unicellulari (Chlamudomonadaceae) a coloniali (Volvocaceae) con diverso grado di differenziazione. - Chlamydomonas à il ciclo è aplonte. Chlamydomonas è un genere di alghe unicellulari (n), con 2 flagelli ed una grande cloroplasto a coppa. (riproduzione sessuata) All’interno delle cellule madri (n) per mitosi, vengono prodotti gameti (isogameti). Il riconoscimento tra gameti di segno opposto avviene grazie a segnali di riconoscimento sulla superficie delle membrane flagellari. Si forma inizialmente uno zigote con quattro flagelli. Lo zigote può entrare in quiescenza, sviluppando una parete spessa, oppure fare meiosi per restaurare l’aploidia. (riproduzione asessuata) Questi organismi si riproducono asessualmente, per mitosi, formando un certo numero di cellule figlie all’interno della parete della cellula madre. La rottura della parete della cellula madre determina il rilascio delle cellule figlie (processo di sporulazione) che, nuotando, provvedono alla diffusione nell’ambiente di individui geneticamente identici alle rispettive cellule madri. Riproduzione vegetativa: alcune cellule della colonia parentale (n) non flagellate, dette gonidi, iniziano a fare mitosi producendo colonie figlie, inizialmente contenute all’interno della sfera parentale. La rottura della colonia parentale permette la liberazione delle colonie figlie, geneticamente identiche alla madre. Anche le alghe appartenenti al genere Volvox sono organismi aplonti. Ogni cellula aploide, per mitosi, darà origine ad una nuova colonia oppure una moltitudine di spermatozoidi biflagellati. I gameti maschili, flagellati, vengono rilasciati nell’ambiente e raggiungono i gameti femminili che restano all’interno della gametocisti femminile. Lo zigote (2n) può trasformarsi in spora duratura oppure fare meiosi per formare di nuovo cellule aploidi. Ulvophyceae Le specie appartenenti a questa classe sono unicellulari, coloniali oppure filamentose con numerosi nuclei per cellula (sifonocladali) e, ad eccezione delle cellule germinali, sono tutte senza flagelli. La citodieresi presuppone che i microtubuli all’anafase non depolimerizzino (fuso persistente) ma non si forma un vero fragmoplasto, in quanto la divisione avviene ancora grazie allo strozzamento della membrana plasmatica della cellula madre. La maggior parte delle specie sono marine o vivono in acque salmastre. Consiste di filamenti uniseriati ramificati. È presente una fase sporofitica diploide inserita in un’alternanza di generazione eterofasica ed isomorfica. Ulva lactuca, che vive lungo le coste del mare, forma un grande tallo foglioso verde bistratificato. Ciclo aplo-diplonte con alternanza di generazioni isomorfiche. La gamia avviene in acqua, dando luogo ad uno zigote (2n) che per mitosi origina di nuovo sporofiti diploidi. Differenziazioni di sporocisti che, per meiosi, producono spore aploidi. Le meiospore vengono liberate (sporogonia). Germinano, cioè fanno mitosi, producendo gametofiti identici allo sporofito. Charophyta Comprendono anche forme unicellulari, tuttavia le Charophyta più rappresentative sono gli organismi appartenenti ai generi Chara e Nitella. Fanno citodieresi grazie al fragmoplasto. Gli organismi Chara e Nitella sono anche detti alghe a candelabro, con un grado di organizzazione molto elevato, formano spesso prati sommersi in stagni e ruscelli. Sono note circa 300 specie di acqua dolce e salmastra che radicano nel fango o nella sabbia. Le specie di acqua dolce crescono in acque con pH relativamente elevato (oltre 7). In maggior dettaglio le alghe a candelabro sono caratterizzate dalla suddivisione regolare del tallo, grande fino a pochi decimetri, in nodi ed internodi. Ai nodi si inseriscono verticilli di rami laterali. Le giovani cellule subito dopo la divisione sono uninucleate. Poi però il nucleo si divide endomitoticamente all’interno delle lunghe cellule internodali che divengono così plurinucleate. In ogni cellula i cloroplasti sono presenti in gran numero, addossati alla parete nella parte più esterna del protoplasto. Le nuove pareti trasversali delle cellule si formano ad opera di un fragmoplasto. Le Charophyta sono senza eccezione aplonti oogame. Gli spermatogoni (rossi o arancioni a maturità per la presenza di carotenoidi) e gli oogoni si formano all’ascella dei rami laterali. L’oogonio contiene una singola ovocellula ricca in amido e olio – inizialmente sporge dal nodo libera per essere poi avvolta da filamenti involucrali avvolti a spirale che terminano in una struttura chiamata corona. I gameti femminili immobili all’interno di oogonii; i gameti maschili biflagellati, si formano all’interno di spermatogoni circondati da cellule sterili. Lo spermatogonio è una struttura più complessa. Quindi non ci sono più gametocisti, ma gametangi. Il gamete femminile è protetto da filamenti che si avvolgono intorno ad esso terminando, nella porzione apicale, in una struttura detta corona. Il contenitore dei gameti maschili è delimitato da uno strato di cellule sterili. Ciclo aplonte: gli spermatozoidi vengono liberati dal gametangio maschile e raggiungono l’ovocellula che rimane all’interno dell’oogonio. Durante la fecondazione lo zigote si circonda di una parete robusta ed incolore (formazione di una spora duratura). Alla germinazione dello zigote avviene la meiosi. Delle 4 cellule aploidi, 3 degenerano cosicché ha origine solo una plantula per mitosi della meiospora. La particolare struttura del tallo, ma soprattutto quella degli spermatogoni e degli oogoni con il loro singolare involucro protettivo, unico tra le alghe, assegnano alle Charophyta una posizione del tutto particolare senza affinità strette con le restanti alghe verdi. Hanno delle somiglianze con le piante terrestri: - Presentano lo stesso corredo di pigmenti fotosintetici (clorofilla a + b; carotenoidi) - Accumulano amido come sostanza di riserva all’interno del cloroplasto - Presentano parete costituita da cellulosa e pectine - Presentano la stessa ultrastruttura dei cloroplasti con grana e intergrana - La divisione cellulare si ha con la formazione di un fragmoplasto mentre nella maggior parte delle altre alghe si ha formazione di un ficoplasto - Struttura basale del flagello delle cellule spermatiche è simile a quello degli anterozoidi di Briofite e Pteridofite Classe Zygnematophyceae (Conjugatae) Le alghe coniugate non formano alcuno studio flagellato. La riproduzione sessuata avviene per coniugazione, durante la quale i protoplasti nudi e fra loro uguali di due cellule si fondono per formare uno zigote. Lo zigote germina tramite meiosi dopo un lungo periodo di quiescenza à l’alternanza di fase nucleare e zigotica à il ciclo è aplonte. La famiglia delle Zygnematophyceae è rappresentata da organismi filamentosi non ramificati. Le sue numerose specie compaiono frequentemente in primavera in acque calme sotto forma di filamenti liberi galleggianti in superficie come una densa matassa giallo-verde. Costituiscono un gruppo ben caratterizzato per la riproduzione e per la struttura cellulare, separatosi probabilmente molto presto dalle altre alghe verdi per la totale perdita di stadi flagellati. Hanno ciclo aplonte: due filamenti morfologicamente uguali si dispongono parallelamente e lungo la linea di contatto si formano dei tubi di coniugazione. Attraverso i tubi di coniugazione il citoplasma delle cellule di uno dei tubi passa nelle cellule dell’altro. Si ha singamia con formazione di zigoti (2n) che per meiosi producono, ognuno, 4 meiospore aploidi. Ogni meiospora aploide, per mitosi, produce un nuovo filamento. Ogni cellula può divenire gametocisti. Il protoplasto nudo maschile (aplanogamete) passa dalla cellula coniugata e si forma uno zigote = forma durevole (2n). Lo zigote germina per meiosi e origina 4 cellule n, tre delle quali degenerano. La sopravvissuta da origine poi ad un nuovo filamento. EMERSIONE La colonizzazione delle terre emerse da parte delle piante ha prodotto dei cambiamenti profondi nell’organizzazione morfologica e nelle strategie riproduttive. Questi cambiamenti si sono verificati in modo graduale portando alla formazione delle Bryophyta (ancora a tallo) e degli stipiti comunemente raccolti all’interno delle pteridofite (a cormo) e delle spermatofite. Vantaggi: - Assoluta mancanza di competizione - Possibilità di incrementare notevolmente la resa fotosintetica grazie a due fattori: 1. Maggiore efficienza degli scambi gassosi, quindi un rapido rifornimento di anidride carbonica 2. Le lunghezze d’onda dello spettro visibile sono interamente disponibili perché nell’atmosfera queste non sono filtrate come nell’acqua Problemi da risolvere: - Problemi di economia dell’acqua - Distribuzione dei nutrienti - Problemi meccanici à sostegno delle strutture fotosintetizzanti e ancoraggio della pianta al terreno - Problemi legati ai processi riproduttivi à protezione dal disseccamento di spore e gameti e trasporto di essi Il trasporto di gameti necessita la presenza di acqua sia in ambiente acquatico che in ambiente sub-aereo. Il trasporto di spore in ambiente sub-aereo avviene grazie al vento. Per poter essere trasportate dal vento esse devono essere adeguatamente leggere e prodotte in grande quantità per assicurare che almeno qualcuna di esse possa portare a termina il proprio compito. Modificazione del ciclo vitale à tutte le piante terrestri sono aplodiplonti. Anteridio = gametangio maschile con tipica forma a sacco, peduncolato. Nello strato protettivo sterile sono presenti cellule sterili (n). Nel tessuto spermatogeno ci sono le cellule che si differenzieranno in gameti maschili flagellati (n). Archegonio = gametangio femminile appeso sotto i raggi apicali del ramo archegonioforo. Hanno una caratteristica forma a fiasco con una parte basale ingrossata che ospita una unica cellula uovo/oosfera. Il collo è molto pronunciato in tutte le Bryophyta. Contrariamente all’anteridio, l’archegonio è una struttura aperta. Il canale del collo, tappezzato al suo interno dalle cellule del canale del collo permetterà ai gameti maschili liberati dall’anteridio, di raggiungere l’oosfera localizzata nel ventre. Ciclo aplo-diplonte con alternanza di generazioni eteromorfe: generazione gametofitica dominante. Il gametofito di una epatica tallosa consiste in strutture laminari. I gametangi sono portati da particolari rami eretti detti rami anteridiofori e rami archegoniofori. I rami anteridiofori terminano con un’ombrella piatta. Nella parte superiore di questa espansione sono immersi gli anteridi che liberano nell’ambiente molti anterozoidi flagellati. Nei rami archegoniofori gli archegoni si ritrovano sulla faccia inferiore. Ogni archegonio conterrà un solo gamete femminile (cellule uovo/oosfera). Un sistema molto complicato per fare gamia, il requisito essenziale è la presenza di acqua. Si forma un embrione (2n). La gamia è oogama. Gli anterozoidi nuotano all’interno del collo dell’archegonio fino a raggiungere l’oosfera, nel ventre. La fecondazione avviene in condizioni di tempo piovoso quando le gocce di pioggia fanno schizzare l’acqua contenente gli anterozoidi maschili dal ramo anteridioforo fin sulla superficie del ramo archegonioforo. Una volta sulla superficie del ramo archegonioforo gli anterozoidi nuotano grazie alla presenza dei flagelli, per raggiungere gli archegoni che sono appesi nella pagina inferiore. In maggiore dettaglio: lo sporofito si sviluppa appeso sotto il ramo archegonioforo parzialmente avvolto dall’archegonio. Vive da parassita a spese del gametofito. In generale gli sporofiti delle Bryophyta si compongono di tre parti: - Piede à con il quale lo sporofito prende contatto con il gametofito - Seta à peduncolo più o meno lungo che sorregge la capsula - Capsula à (sporangio) Grazie al piede lo sporofito (2n) prende contatto con il gametofito (n). Attraverso il piede ed in particolare la placenta (cellule transfer) permettono il passaggio dei prodotti della fotosintesi dal gametofito allo sporofito. La seta è molto corta nelle Hepaticae. La capsula rappresenta lo sporangio costituita da uno o più strati di cellule sterili che racchiudono le cellule madri delle spore o tessuto archesporiale o archesporio. La seta molto corta rappresenta un carattere tassonomico dello sporofito per il riconoscimento delle Hepaticae. La maturazione dello sporangio e la produzione di meiospore è un processo molto rapide nelle Hepaticae. In questo modo le cellule della seta non hanno il tempo di svilupparsi per dare luogo ad una struttura allungata. Pertanto, tutto lo sporofito sporge solo in parte dall’archegonio, all’interno del quale è avvenuta la gamia. Le cellule dell’archesporio (2n) fanno meiosi, producendo ognuna quattro meiospore aploidi. All’interno della capsula, insieme alle meiospore, sono presenti delle cellule sterili dette elateri. Gli elateri sono cellule allungate con ispessimenti della parete cellulare disposti a spirale, elementi sterili all’interno del tessuto sporigeno. Quando la capsula si apre, per fessurazione longitudinale dell’involucro sterile, gli elateri si disidratano e grazie agli ispessimenti di parete cambiano forma repentinamente, compiendo movimenti a scatto. I movimenti ad elastico degli elateri favoriscono l’espulsione delle spore dallo sporangio e la loro dispersione. La modalità di apertura della capsula e la presenza degli elateri rappresentano due caratteri tassonomici importanti dello sporofito per il riconoscimento delle Hepaticae. La meiosi permette di produrre molte spore aploidi geneticamente diverse, una condizione estremamente vantaggiosa per la diffusione e la colonizzazione di ambienti ostili. Le Hepaticae, come tutte le Bryophyta fanno sporogonia. Una volta rilasciate all’esterno le meiospore (n) germinano. Fanno mitosi, ed ogni meiospora genera un gametofito adulto. Le Hepaticae non presentano una fase giovanile nello sviluppo del gametofito. Caratteri tassonomici dello sporofito delle Hepaticae: - Elateri - Apertura della capsula per fessurazione longitudinale dello strato di cellule sterili - Seta molto corta Molte epatiche si riproducono vegetativamente mediante frammentazione del tallo o produzione di gemme (propaguli) che vengono portate all’interno di coppe propagulifere. Queste gemme, una volta rilasciate, germineranno generando un individuo geneticamente identico al progenitore. La riproduzione vegetativa si accompagna sempre a quella sessuale attraverso il rilascio di propaguli. Hepaticae fogliose Caratteri tassonomici del gametofito: - Comprende fusticini che portano delle foglioline - Due file di foglioline opposte - Una fila di foglioline impari, detta anfigastro Simmetria bilaterale del gametofito, come le Hepaticae tallose. In generale i gametofiti delle epatiche fogliose sono molto piccoli, con foglioline che raramente superano 1 mm. A differenza dei Musci, le Hepaticae non presentano differenziazioni cellulari atte alla conduzione di acqua e prodotti metabolici. Gli sporofiti nelle epatiche fogliose sembrano molto simili a quelli dei Musci, ma presentano alcune differenze anatomiche e di sviluppo. Rispetto alla classe Musci, una differenza fondamentale è che lo sporangio matura prima che la seta cominci ad allungarsi, mentre nei muschi avviene il contrario. Inoltre, lo sporangio delle epatiche non si apre per mezzo di un opercolo, ma mediante quattro fessure longitudinali. Un’altra caratteristica unica è la presenza di elateri, cellule con ispessimenti di parete spiralati che facilitano la dispersione delle spore contraendosi in funzione dell’umidità. Musci Sottoclassi: Bryidae; Sphagnidae e Andreidae. Caratteri tassonomici del gametofito: lo sviluppo del gametofito prevede sempre la formazione di una forma giovanile detta protonema, dal quale poi si forma il gametoforo o gametofito adulto. Il gametoforo ha una simmetria raggiata. Vi sono due differenti stadi di sviluppo del gametofito: protonema e gametoforo. Il protonema è il primo stadio di sviluppo dei Musci. Esso si origina dalla germinazione (mitosi) della meiospora (n) e può essere filamentoso, laminare o nastriforme a seconda della sottoclasse. Bryidae In questa sottoclasse il gametofito raggiunge la massima variabilità e il più elevato grado di differenziazione nell’ambito dei muschi (sono note circa 15000 specie). Nelle Bryidae il protonema è filamentoso. Le cellule apicali del filamento si allungano con un meccanismo di crescita apicale e poi fanno mitosi determinando l’allungamento del protonema. Il protonema dà luogo ad una struttura ramificata. Alcune cellule del protonema, per mitosi danno origine a gemme dalle quali si svilupperanno i gametofori adulti. Da una singola spora aploide si sviluppa, per mitosi un giovane gametofito detto protonema. Il protonema è pluricellulare e formato da un sistema ramificato di filamenti che prendono contatto con il substrato grazie a dei rizoidi. Sui filamenti dei protonemi si formano molte gemme che daranno origine a molti gametofori. Quindi da un’unica meiospora si formano molti gametofori. Un gametofito adulto come quello mostrato nella foto è dato dall’insieme di tanti elementi detti gametofori. Dove è possibile osservare una parte assile = fusticino sul quale si inseriscono le foglioline. Le foglioline sono inserite a spirale sul fusticino, determinando così la simmetria raggiata. I gametofori sono ancorati al substrato da rizoidi basali. I rizoidi sono multicellulari, ma uniseriati. Ciò significa che sono formati da cellule allineate a formare un filamento. Nei muschi i rizoidi presentano pareti di congiunzione oblique tra le cellule e non sono fotosintetizzanti. A differenza delle radici delle piante superiori i rizoidi non assorbono acqua e nutrienti dal substrato ma fungono da elementi di ancoraggio. I fusticini delle Bryidae sono multicellulari e possono presentare alcune importanti differenziazioni cellulari. Tipicamente, presentano cellule interne con parete sottile (impropriamente dette parenchimatiche) e cellule periferiche con pareti ispessite (stereidi) che fungono da sostegno. Talvolta è presente un cordone centrale di cellule allungate che funge da rudimentale sistema di conduzione attraverso il quale vengono trasportati acqua e metaboliti. All’interno dei fusticini di alcune specie di briofite appartenenti alla famiglia delle Polytrichaceae vi sono cellule atte alla conduzione dell’acqua (idroidi) e dei prodotti metabolici della fotosintesi (leptoidi). Da alcuni specialisti questi sistemi di conduzione e trasporto vengono considerati i progenitori di quelli presenti nelle tracheofite. Tuttavia, pur trattandosi di cellule specializzate, non possiamo parlare di veri tessuti. Ad esempio, gli idroidi, pur trasportando acqua e Sali non hanno le pareti impregnate di lignina. Le Bryidae hanno evoluto la via metabolica per la produzione di lignina ma, come vedremo, la usano per altri scopi. Le foglioline sono organi che possono presentare un certo grado di specializzazione nelle diverse specie di muschi. In generale la maggior parte delle foglie sono fotosintetizzanti e sono composte da un singolo strato di cellule. Molti muschi presentano anche una nervatura. Come nel fusticino, le cellule della nervatura possono presentare alcune differenziazioni. Tra le cellule specializzate che compongono la nervatura vi sono stereidi, idroidi e leptoidi. Le foglioline possono presentare molte particolarità morfologiche che sono specifiche per famiglia, genere o specie e sono molto utili quando si cerca di determinare una specie. I margini possono essere interi oppure dentati se ci sono dei prolungamenti acuti o acuminati delle cellule del margine fogliare. Alcune hanno un pelo apicale che è un’estensione della nervatura oltre l’apice della foglia che genera una struttura simile ad un pelo. Estremità della fogliolina: margini ricurvi à margini fogliari ripiegati verso il basso e verso il centro della foglia oppure margini incurvati con i margini ripiegati verso l’alto e verso il centro della foglia. Appendici sulla superficie delle foglioline: - Papille à rigonfiamenti dovuti all’ispessimento di alcuni punti della parete cellulare di alcune cellule - Ali à parti basali esterne delle foglie in corrispondenza dei quali alcune cellule sono molto spesso più larghe o più lunghe delle altre cellule della foglia o assumono colorazioni differenti Il termine gametofito si riferisce a tutti gli elementi che fanno parte della generazione aploide. Possiamo avere gametofiti in cui le foglioline sono ben visibili; il gametofito può avere l’aspetto di un cuscinetto compatto e i gametofori possono essere a stretto contatto gli uni con gli altri. I Musci e quindi anche la sottoclasse Bryidae hanno un ciclo aplo-diplonte in cui la generazione dominante è quella gametofitica. Il ruolo del gametofito è quello di differenziare gametangi maschili (anteridi) e femminili (archegoni). Gli anteridi e gli archegoni si formano all’apice dei singoli gametofori, protetti da foglioline che di solito assumono un colore rossastro. Negli organismi più specializzati all’apice di un gametoforo si differenziano anteridi che sono circondati da filamenti pluricellulari uniseriati = parafisi. L’archegonio ha una caratteristica forma a fiasco con una porzione basale, il ventre, e una parte allungata, il collo. All’apice di altri gametofori possono formarsi archegoni. In organismi meno specializzati gli anteridi e gli archegoni sono portati all’apice di uno stesso fusticino. Le parafisi, costituite da cellule ricche di acqua, contribuiscono a mantenere un alto grado di umidità all’interno delle foglioline involucrali, per difendere anteridi ed archegoni dal pericolo di disseccamento. All’interno degli anteridi si formano per mitosi e poi si differenziano gameti maschili biflagellati (anterozoidi). Una volta che lo strato di cellule sterili che circonda l’anteridio si rompe, i gameti maschili vengono liberati nell’ambiente. La natura flagellata del gamete maschile necessita di un sottile film di liquido per consentire il movimento verso la cellula uovo. Questo è uno dei motivi per cui i muschi sembrano essere prevalenti nelle zone più umide. Anche per quanto riguarda la gamia le Bryidae sono ancora molto legate all’acqua. Gli anterozoidi devono nuotare per raggiungere gli archegoni, circondati da parafisi e protetti da foglioline involucrali. I gameti maschili entrano nel canale del collo e nuotano fino a raggiungere il ventre, dove è localizzato il gamete femminile: oosfera/cellula uovo. Le cellule del canale del collo si lisano, andando a costituire, all’interno del canale, un film liquido nel quale gli anterozoidi possono facilmente nuotare. La gamia è oogama e lo zigote (2n) si forma pertanto all’interno dell’archegonio. Lo zigote germina all’interno del gametangio femminile, 4. Meccanismo di apertura della capsula grazie ad un aumento di pressione nel loculo dello sporangio che provoca il distacco dell’opercolo (carattere specifico della sottoclasse Sphagnidae) 5. Assenza di elateri (in comune con tutte le Bryidae) Mentre i fusti delle singole piante, ammassati in fitte ed estesissime popolazioni crescono e vegetano ogni anno alla superficie, nella parte più vecchia, profonda alcune volte anche qualche metro, si trasformano, carbonizzandosi lentamente, in torba. Queste formazioni in certe regioni dell’estrema zona temperata e di alta montagna occupano vastissime estensioni (torbiere); tanto che l’estendersi degli sfagneti può arrivare a modificare l’aspetto della regione, coprendo intere paludi o anche lagune. Gli sfagni, così, contribuiscono ad accumulare, nelle torbiere e nel corso dei secoli, grandi quantità di materiale ricco di carbonio. Gli sfagni hanno anche altre utilità. Si usano, una volta disseccati, come materiale soffice da imballaggio che non si altera affatto. Per la capacità che hanno di trattenere l’acqua e di cederla lentamente, vengono, sia da soli, sia impastati con terriccio, largamente usati nella floricoltura specie per piante da serra epifite, come orchidee. Andreaeidae Questa sottoclasse comprende l’unica famiglia della Andreaeaceae formata da tre soli generi all’interno dei quali sono raggruppate circa 120 specie che formano pulvini fitti verde scuro sulle rocce. Come le Bryophyta viste fino ad ora la generazione dominante è il gametofito. Lo sporofito vive da parassita sul gametofito. Il protonema nastriforme e ramificato forma delle gemme che si sviluppano in gametofiti adulti costituiti da fusticini e foglioline. La simmetria è raggiata. Lo sporofito, come in Sphagnum, è sorretto da un peduncolo allungato. Lo sporangio possiede una columella. Lo sporangio si apre per fessurazione longitudinale degli strati di cellule sterili che lo delimitano. L’apice e la base dello sporangio restano tuttavia uniti tramite la columella. Caratteri tassonomici Musci/Hepaticae: Gametofito: 1. Simmetria raggiata (Musci)/simmetria bilaterale (Hepaticae) 2. Presenza di stomi regolabili (Musci) o di stomi sempre aperti (Hepaticae) 3. Presenza di un protonema (Musci) o meno (Hepaticae) nello sviluppo del gametofito 4. Cellule con molti piccoli cloroplasti senza pirenoide (Musci ed Hepaticae) Sporofito: 1. Lunghezza della seta 2. Presenza della columella 3. Modalità di apertura della capsula attraverso il sollevamento dell’opercolo (Musci, eccetto Andreidae) o per fessurazione longitudinale (Hepaticae) 4. Modalità di dispersione delle spore per la presenza (Hepaticae) o meno di elateri (Musci) 5. Cellule con molti piccoli cloroplasti senza pirenoide (Musci ed Hepaticae) Anthocerotae Comprende un gruppo di piante che sono state a lungo inserite nella classe delle Hepaticae. In seguito, l’analisi dei caratteri tassonomici del gametofito e dello sporofito, hanno convinto gli studiosi di botanica sistematica a collocare questi organismi in una classe a parte. Le Anthocerotae formano un gruppo minore da un punto di vista della biodiversità (circa 100 specie), ma sono da considerarsi come relitti risalenti agli inizi della storia evolutiva delle piante terrestri. Il gametofito manifesta caratteri arcaici mentre lo sporofito presenta dei caratteri con maggiore specializzazione rispetto alle altre classi di Bryophyta. Tutte le specie vengono raggruppate nell’unico ordine Anthocerotales (6 generi) che comprende piante che presentano un gametofito (n) costituito da un tallo semplice, di forma discoidale, lobato, grande alcuni centimetri e fissato al suolo tramite rizoidi. La porzione che sporge dal gametofito rappresenta la porzione visibile dello sporofito (2n). Giovani sporofiti in sviluppo, che si originano sulla superficie del gametofito. Il gametofito adulto è costituito da lamine appiattite, ancorate al substrato tramite rizoidi. Il gametofito adulto delle Anthocerotae si sviluppa direttamente per mitosi delle meiospore aploidi senza passare da una fase giovanile. Come le Hepaticae, anche le Anthocerotae non presentano un protonema. A differenza delle altre Bryophyta le cellule del gametofito di Anthoceros contengono un solo grande cloroplasto provvisto di pirenoide. Il pirenoide viene considerato un carattere arcaico, in quanto presente nelle alghe ma non più nelle piante terrestri, a parte le Anthocerotae. Gametofito e sporofito possiedono aperture stomatiche con due cellule di guardia reniformi. Contrariamente alle Hepaticae che hanno stomi non regolabili. Inoltre, gli spazi intercellulari sono riempiti di colonie di Nostoc. I cianobatteri del genere Nostoc oltre a fare fotosintesi ossigenica, sono anche azotofissatori, un grande vantaggio per le Anthocerotae. Come si può vedere dalla presenza di eterocisti. Come tutte le Bryophyta, le Anthocerotae hanno un ciclo aplo-diplonte con alternanza di generazioni eteromorfe. Lo sporofito resta attaccato al gametofito tramite il piede come nelle altre classi di Bryophyta. Tuttavia, lo sporofito in questo caso è troficamente indipendente dal gametofito. Lo sporofito è verde sempre, non solo nella fase giovanile e quindi fa sempre fotosintesi. Dalla meiospora (n) si sviluppa per mitosi un gametofito (n) adulto, costituito da una lamina pluricellulare, ancorata al substrato tramite rizoidi à analogia con le Hepaticae. Il gametofito differenzia i gametangi in anteridi ed archegoni. Entrambi sono infossati nel tallo del gametofito, che si solleva a formare delle piccole cupole. I gameti maschili flagellati vengono liberati all’esterno, raggiungono la cellula uovo all’interno dell’archegonio. È necessaria acqua nell’ambiente per far avvenire la gamia. La gamia è oogama e lo zigote si forma all’interno dell’archegonio. Lo zigote fa mitosi, formando un embrione e poi lo sporofito adulto. Lo sporofito è costituito da una capsula sessile a forma di corno, lunga da uno a parecchi centimetri, che si ancora al gametofito grazie ad un grosso piede. Non è presente alcun peduncolo o seta tra il piede e la capsula. I manicotti che avvolgono la base degli sporofiti sono parte del gametofito (n) e derivano dalla cupola in cui sono infossati gli archegoni. Lo sporofito, per definizione, è delimitato da cellule sterili. Hanno stomi regolabili. Lo sporofito comprende un piede, con il quale prende contatto con il substrato. Attraverso il piede, lo sporofito si ancora al gametofito. Il piede serve anche come struttura per il passaggio di sostanze tra il gametofito e l’embrione, finché lo sporofito non inizia a fare fotosintesi. Non è infrequente che lo sporofito prenda direttamente contatto con il substrato. Alla base della capsula è presente un meristema intercalare che conferirebbe allo sporofito la capacità di allungarsi in modo indefinito. Lungo l’asse longitudinale della capsula si trova una colonna di tessuto sterile formato da poche file di cellule, la columella. Questa è circondata dalle cellule madri delle spore (archesporio) che, facendo meiosi, producono meiospore aploidi. Nel tessuto sporigeno sono presenti cellule sterili che si differenziano a formare elateri. La presenza del meristema intercalare fa sì che mano a mano che la struttura si allunga si verifichi una maturazione scalare delle spore con un gradiente di maturazione dall’alto verso il basso della capsula. La presenza del meristema intercalare e la maturazione scalare delle spore è considerata un carattere specializzato. La capsula si apre per fessurazione in due valve longitudinali a partire dall’apice. In sezione longitudinale al microscopio ottico osserviamo lo sporofito immerso nel tallo del gametofito. Inizialmente c’è il meristema intercalare à sulla base della posizione iniziano a differenziarsi in cellule della columella, cellule madri delle spore e cellule sterili esterne à le cellule madri fanno meiosi, producendo ognuna 4 meiospore aploidi à le meiospore elaborano una parete spessa = fase di maturazione finale. Le meiospore mature sono vicine all’apice della capsula; le meiospore in maturazione sono più vicine al meristema intercalare. Nonostante la presenza del pirenoide che rappresenta un carattere di primitività, lo sviluppo di uno sporofito indipendente troficamente dal gametofito; la riduzione delle dimensioni del gametofito rispetto allo sporofito e la presenza di un meristema intercalare e la maturazione scalare delle spore, fanno ipotizzare che queste tappe siano state percorse da un ipotetico individuo che potrebbe rappresentare l’anello di congiunzione con le piante vascolari. Lo sporofito diventa indipendente, la columella centrale diventa la stele, l’archesporio diventa il parenchima del fusto e gli strati di cellule sterili formano i tessuti tegumentali. Gli sporangi sono confinati nella regione apicale dello sporofito. Differenze tra Anthocerotopsida e le altre Bryophyta: - Le cellule del gametofito contengono un solo cloroplasto con pirenoide - Lo sporofito è troficamente indipendente, possiede un meristema intercalare = crescita illimitata dello sporofito - Le spore presentano una maturazione scalare - Gli anteridi hanno una collocazione endogena - Gli archegoni sono infossati Evoluzione Le briofite sono piante molto antiche e sono le prime piante ad aver colonizzato le terre emerse. La filogenesi è relativamente controversa, ma la teoria fondamentale si può riassumere come segue PTERIDOFITE Le pteridofite comprendono tutte le piante la cui diffusione è affidata a meiospore (sporogonia) e che posseggono uno sporofito formato da veri tessuti (tracheofite). Si dividono in crittogame (non producono fiori o semi) e vascolari (presentano sistemi di conduzione e trasporto dell’acqua o dei nutrienti – veri nutrienti). Le pteridofite, a differenza delle briofite, sono caratterizzate da alternanza di generazioni in cui prevale lo sporofito. Un’altra fondamentale differenza riguarda la morfologia dello sporofito che può raggiungere notevoli dimensioni e livelli di complessità. Nelle pteridofite osserviamo la differenziazione di veri tessuti, che si organizzano gradualmente a formare i tre organi fondamentali delle tracheofite (radici, fusto e foglie). Le pteridofite sono enormemente più specializzate delle briofite per gli apparati vegetativi e per il loro ciclo vitale, ma sono molto simili alle briofite per le modalità di riproduzione sessuale: unione tra gameti prodotti da anteridi ed archegoni. La gamia è oogama, con i gameti maschili flagellati (spermatozoidi) che vengono liberati nell’ambiente e devono nuotare per raggiungere il gamete femminile nell’archegonio: fecondazione ancora dipendente dall’acqua. Nell’archegonio si genera un embrione che, come nelle briofite, non entra in quiescenza, ma è più specializzato in quanto in esso sono già riconoscibili le parti della futura pianta. Lo sporofito si sviluppa a partire dall’embrione che non entra in quiescenza. L’embrione si può considerare uno sporofito allo stadio giovanile che viene nutrito dal gametofito e continua così quella dipendenza trofica tra le due generazioni già presente nelle briofite. In questo caso la dipendenza trofica dal gametofito è limitata nel tempo in quanto ben presto dall’embrione si sviluppa la giovane piantina che diviene completamente autosufficiente. Lo sporofito adulto La formazione dei tre organi fondamentali come li abbiamo studiati nelle piante superiori è un processo graduale. Gli organismi della divisione Rhyniophyta (piante estinte) sono i più semplici esemplari di pteridofite di cui abbiamo traccia nei reperti fossili. Gli sporangi sono portati all’apice dei rami, senza protezione alcuna. Rami aerei fotosintetizzanti (quindi con strati di parenchima clorofilliano sotto l’epidermide) che si ramificano dicotomicamente. Sono caratterizzate da un rizoma (fusto sotterraneo) con radici avventizie. Al momento non ci sono foglie e non ci saranno neanche nella divisione delle Psilophyta (organismi viventi, non estinti). La formazione e sviluppo delle foglie è un momento cruciale nell’evoluzione di questi organismi in quanto le foglie non sono solo gli elementi deputati ad effettuare la fotosintesi, ma costituiscono quegli elementi che disperdono l’acqua; quindi, il loro sviluppo è parallelo allo sviluppo di metodi e strutture per limitare la perdita dell’acqua e stabilizzare il bilancio idrico, soprattutto con lo sviluppo di un apparato radicale adeguato. Il fusto di alcune specie estinte di Sphenophyta potevano raggiungere i 2 m di diametro fino a 40 m di altezza. Mentre attualmente sono piante erbacee con fusti alti solo alcune decine di cm. Il fusto La funzione principale del fusto è quella di portare le foglie, cioè gli organi deputati alla fotosintesi, ma insieme a questa funzione il fusto deve trasportare l’acqua alle foglie per fare la fotosintesi e i prodotti della fotosintesi al resto della pianta. Ecco, quindi, che nei fusti delle pteridofite si sviluppano xilema e floema che si organizzano in forme molto differenti durante l’evoluzione. Le pteridofite sperimentano tutte le steli possibili. Nelle angiosperme sappiamo che lo Le foglie Si può dire che quasi tutta la sistematica dei vari stipiti di pteridofite si basi sul tipo di foglie. Nelle Rhyniophyta e nelle Psilophyta non vengono differenziate foglie. Evoluzione della foglia: un apparato radicale efficiente per l’assorbimento di acqua consente la presenza di un efficiente apparato traspirante. Le prime foglie si chiamano microfille o licofoglie = sono foglie con singola nervatura che talvolta non arriva neanche all’apice della foglia. Successivamente, si formano foglie con molte nervature = macrofille à foglie con venature complesse. Teoria del filloforo = l’evoluzione da microfille a macrofille si sarebbe realizzata passando da forme simili a fusti ramificati frequentemente su più piani a fusti ramificati su un unico piano fino alla produzione di piccole espansioni laterali tra i rami, andando gradualmente a formare la lamina fogliare. Nelle Lycophyta si trovano già le prime autentiche foglie (licofoglie o microfille) che appaiono di norma caratterizzate dal possedere una sola nervatura che inizialmente non si estende nemmeno lungo tutta la lamina fogliare. Nelle Sphenophyta le microfille sono inizialmente verticillate e poi, nelle specie attuali di equiseti, concrescono lateralmente così da costituire ad ogni nodo una specie di guaina. Nelle Pterophyta le foglie hanno subito un’evoluzione notevole passando da forme simili a fusti ramificati frequentemente su più piani a fusti ramificati su un unico piano fino alla produzione di piccole espansioni laterali (teoria del filloforo). Questa forma si è evoluta fino a dare origine, nelle specie attuali, alle macrofille. Queste sono talvolta suddivise in pinne e pinnule. La struttura anatomica delle macrofille è molto simile a quella della angiosperme, con due strati di epidermide ed un mesofillo clorofilliano all’interno. La disposizione delle gemme può risultare caratteristica come nel caso delle felci la cui foglia assume, all’inizio del suo sviluppo e durante la sua distensione, la forma di un pastorale. Alla foglia può essere affidata soltanto la funzione vegetativa di organo fotosintetizzante (trofofillo) o soltanto la funzione di portare/proteggere gli sporangi (sporofillo) o entrambe le funzioni (trofosporofillo). Riproduzione – la riproduzione vegetativa Il protallo normalmente non si riproduce per via vegetativa, tuttavia sono noti rari casi di produzione di propaguli da parte del gametofito. La riproduzione vegetativa è invece abbastanza frequente da parte dello sporofito. Essa avviene facilmente per spezzettamento del rizoma. Un certo numero di felci è capace di produrre al margine delle loro foglie delle nuove gemme che, appena distaccate, sono in grado di accrescersi e di formare così una nuova pianta. Processo di sporogonia: questo tipo di riproduzione è affidato a meiospore prodotte in seguito a divisioni meiotiche da parte delle cellule madri delle meiospore che sono situate all’interno di sporangi delimitati da cellule sterili. Nelle specie più primitive gli sporangi sono portati all’apice di ramificazioni (Rhynia), ma nella maggior parte delle specie essi sono protetti e portati da foglie più o meno modificate (sporofilli o trofosporofilli). Nel caso di sporofilli questi, in alcune divisioni, possono essere inseriti sulla porzione terminale di un fusto così da formare un complesso spiciforme che viene denominato strobilo. Notevole è il valore sistematico degli sporangi: nelle Rhyniophyta gli sporangi erano isolati (Rhynia) apicali al fusto e alle sue ramificazioni. Nelle Psilophyta gli sporangi, pur rimanendo apicali a minuscole ramificazioni, sono inseriti anche lungo il fusto e non solo al suo apice. Nelle Lycophyta gli sporangi divengono ascellari. Uno strobilo è una porzione terminale di un ramo in cui sono inseriti degli sporofilli, a spirale o a verticillo. Gli sporofilli possono essere distribuiti lungo i fusti, oppure essere riuniti in strobili terminali ai rami. Nelle Sphenophyta gli sporangi vengono portati nella pagina inferiore di sporofilli a forma di scudo (sporofilli scutati) in prossimità del margine dello sporofillo. Gli sporofilli sono riuniti in strobili. Nelle Pterophyta gli sporangi sono riuniti in gruppi (sori) e disposti nella pagina inferiore delle foglie (macrofille). Si passa da forme con sporangi disposti lungo il margine delle macrofille o più ventralmente. Sempre nelle Pterophyta si nota il passaggio da forme con gli sporangi privi di protezione. A forme in cui gli sporangi sono portati vicino al margine fogliare si ripiega sugli sporangi proteggendoli. Questo tipo di protezione viene detta falso indusio. Nelle forme più specializzate si può differenziare una membrana costruita ex novo (indusio) a protezione dei sori. Passando a forme ancora più evolute la protezione delle spore è ulteriormente accresciuta in seguito al completo ripiegamento della foglia intorno agli sporangi, con formazione di strutture paragonabili ad un falso frutto primordiale – sporocarpo. Le meiospore vengono rilasciate dagli sporangi e trasportate dal vento. Dalla germinazione delle meiospore (n) si origina il gametofito. Il gametofito Nelle pteridofite meno specializzate il gametofito, o protallo, è ancora pluriennale, di solito parzialmente o totalmente interrato, per cui è privo di clorofilla, e si nutre per via micotrofica. I gametofiti possono essere laminari, con dimensioni di una decina di millimetri e sono autotrofi per la presenza di clorofilla. Il massimo dell’evoluzione coincide con la riduzione del protallo che è costituito da poche cellule che si formano addirittura all’interno della parete della meiospora dalla quale finiscono per sporgere solo in parte. Il gametofito si forma in seguito alla mitosi della meiospora aploide. Gradualmente, per mitosi, si forma un protallo molto semplice, spesso laminare, che si ancora al terreno grazie a dei rizoidi. Particolarmente ricorrente il gametofito di alcune Pterophyta = laminare cuoriforme. I gametofiti autonomi sono formati da un certo numero di rizoidi del tutto simili per forma e funzione a quelli delle briofite, da cellule vegetative e da gametangi (anteridi e archegoni) che ricordano molto quelli delle briofite. Riproduzione sessuale La riproduzione sessuale avviene tra spermatozoidi bicigliati (talvolta pluricigliati) che vengono liberati dagli anteridi in cui vengono prodotti ed oosfere che sono differenziate nella porzione basale ingrossata degli archegoni. Un unico gametofito può differenziare sia anteridi che archegoni, in zone diverse del tallo = gametofito omotallico. In caso di gametofiti omotallici anteridi ed archegoni si trovano sullo stesso gametofito e quindi gli spermatozoidi flagellati devono fare meno strada per raggiungere le oosfere. Ricordiamo anche che il successo della gamia dipende dalla presenza di acqua, necessaria per la migrazione dei gameti maschili à vantaggio. Questa situazione, tuttavia, fa aumentare enormemente la probabilità di autofecondazione con conseguente formazione di prole omozigote per tutti i caratteri à svantaggio. Per iniziare l’autofecondazione, specie di felci omotalliche hanno sviluppato una strategia per dar luogo a gametofiti maschili (solo con anteridi) e gametofiti femminili (solo con archegoni), pur producendo spore uguali tra di loro. Ma come fa la spora a scegliere il suo destino sessuale? Tutto dipende da un sistema di comunicazione mediato da segnali di tipo chimico chiamati ormoni anteridiogeni. Un ormone anteridiogeno denominato gibberellina svolge un compito ben più complesso della sola segnalazione chimica, promuovendo lo sviluppo dei gametangi maschili. Le spore di felci a maturazione precoce esprimono alcuni dei geni necessari per iniziare la sintesi della gibberellina, ma non per completarla: le spore di queste felci, durante la germinazione, danno luogo a gametofiti femminili (differenziano solo archegoni). Il precursore della gibberellina viene successivamente modificato e la sintesi delle gibberelline portata a compimento. I gametofiti precoci rilasciano quindi l’ormone nell’ambiente dove può essere assorbito dalle spore a maturazione più tardiva. Queste ultime sono in grado di esprimere gli enzimi necessari per decodificare questo precursore e producendo gametangi maschili. La gamia è oogama, quindi lo zigote si forma all’interno dell’archegonio e per mitosi dà origine all’embrione (2n). L’embrione viene nutrito dal gametofito durante il suo sviluppo, finché da origine alla plantula, il giovane sporofito (2n). Il giovane sporofito fa fotosintesi e ben presto interrompe il rapporto trofico con il gametofito, il quale muore. Il ciclo della felce dolce (Polypodium vulgare) Le meiospore vengono diffuse ovunque dal vento e se cadono in un ambiente adatto germinano producendo un protallo laminare e cuoriforme che si attacca al terreno con dei rizoidi. Il protallo produce anteridi ed archegoni (specie omotallica). In presenza di un sottile film di liquido avviene la fecondazione con la produzione di uno zigote e subito dopo di un embrione. Dopo la fecondazione il protallo muore e l’embrione da origine ad una plantula che si sviluppa in una pianta autonoma complessa. La piantina cresce formando un lungo rizoma sul quale sono inserite le foglie. A stagione avanzata sulla pagina inferiore delle foglie vengono prodotti gli sporangi raggruppati in sori che assumono una colorazione tipica. All’interno degli sporangi vengono prodotte le meiospore che si libereranno all’apertura dello sporangio. Rhyniophyta Rhynia, il genere che ha dato il nome allo stipite è stato rinvenuto con due specie differenti (fossili). I germogli aerei di questa pianta erano dotati di cuticola e di stomi. I tessuti conduttori formavano una primitiva protostele. Nel devoniano inferiore (395-345 milioni di anni fa) inizia la diffusione di un gruppo che diviene ben presto universalmente diffuso: le Zosterophyllophyta. Queste piante primitive, costituite anch’esse da getti nudi biforcati, possedevano sporangi laterali che erano generalmente riuniti in spighe. Psilophyta Le specie di Psilotum attualmente viventi possiedono un’actinostele nei fusti aerei e una protostele nei rizomi. Non possiedono foglie ma piccole scaglie senza nervatura. Gli sporangi vengono portati apicalmente ed inseriti lateralmente nei rami. Gli sporangi sono trilobati e si aprono per fessurazione. Lycophyta Due caratteri identificano la divisione: lo sporofito delle Lycophyta è ramificato dicotomicamente, possiede microfille spesso ad inserzione spiralata, e gli sporangi sono portati all’ascella delle foglie (sporofilli o trofosporofilli). Tra gli ordini delle Lycophyta, quello delle Lycopodiales è rappresentato da circa 400 specie sempreverdi (delle quali 9 viventi in Europa). La sezione trasversale del fusto può evidenziare la presenza di una protostele modificata come in Lycopodium Cemuum o una plectostele come in Lycopodium clavatum. In maggiore dettaglio il sistema di conduzione in queste piante può essere una plectostele molto articolata. Non vi è accrescimento secondario in spessore dell’asse del germoglio. Gli sporofilli/sporangi sono portati in strobili. Gli sporangi sono portati all’ascella delle foglie (sporofilli). Le microfille (trofofilli) si inseriscono sul fusto a disposizione spiralata, ma diventa di volta in volta monopodiale per sopravanzamento di un getto. Il germoglio inizialmente è dicotomico. Nel Lycopodium il fusto è strisciante ed è provvisto, sul lato inferiore, di radici ramificate dicotomicamente. Gli sporofilli sono riuniti in densi complessi spiciformi, detti strobili. Con la loro formazione la crescita del fusto si esaurisce cosicché lo strobilo rappresenta la terminazione del fusto. Gli sporangi sono portati all’ascella delle foglie e mostrano un contenuto finemente granuloso molto simile lungo tutto lo strobilo. Le Lycopodiales hanno sporangi tutti uguali, all’interno dei quali si formano meiospore equivalenti, dalla cui germinazione si ottengono gametofiti omotallici (con anteridi ed archegoni). Le Lycopodiales sono piante isosporee. Selaginellales Le Selaginellales possiedono fusti ramificati dicotomicamente, in parte striscianti ed in parte eretti. Manca accrescimento secondario. La struttura della stele va dalla protostele alla sifonostele. Il fusto è ricoperto da microfille squamiformi ad inserzione spiralata. Le foglie presentano solo raramente, accanto al parenchima lacunoso, anche un parenchima a palizzata. I complessi terminali di sporofilli sono semplici o ramificati ed ogni sporofillo porta un solo sporangio formato all’ancella della foglia. Come ogni Lycophyta, le Selaginellales portano gli sporangi all’ascella delle foglie (sporofilli/trofosporofilli). Al contrario delle Lycopodiales, che hanno sporangi tutti uguali, le Selaginellales hanno due tipi di sporangi che non vengono portati in strobili. Abbiamo quindi microsporangi, che differenziano molte microspore aploidi e macrosporangi che differenziano poche macrospore aploidi, ricche in sostanze di riserva. Di conseguenza, non parleremo più di sporofiti, ma di microsporofilli o di macrosporofilli a seconda che portino micro- o macrosporangi rispettivamente. Le Selaginellales sono piante eterosporee. C’è la ligula che è una struttura secernente acqua o mucillagini, per mantenere la microfilla umida. Il ciclo è aplo-diplonte: lo sporofito (2n) differenzia micro- e macrosporangi, all’interno dei quali avviene la meiosi. Vengono prodotte microspore (n) che vengono liberate nell’ambiente. Germinano, producendo un gametofito maschile. Il gametofito si sviluppa per via endosporica cioè le mitosi avvengono all’interno del perimetro della parete cellulare della spora. Solo gli anteridi fuoriescono dalla parete, in modo da liberare gli spermatozoidi flagellati. Il gametofito si sviluppa per via endosporica cioè le mitosi avvengono all’interno del perimetro della parete cellulare della spora. Solo gli archegoni fuoriescono dalla parete della spora. La gamia è oogama e dipende dall’acqua à si forma uno zigote poi un embrione, nutrito dal macrogametofito o gametofito femminile. Il rapporto trofico con il gametofito femminile si interrompe ben presto, appena il giovane sporofito inizia a fare fotosintesi. Nel macrosporangio, poche cellule madri fanno meiosi producendo macrospore (n), ricche di sostanze di riserva. Inizia a svilupparsi il tappeto. Le macrospore non nervature laterali poco vistose. Gli sporangi sono senza alcuna protezione e l’apertura degli sporangi è asincrona all’interno del soro. Maturazioni degli sporangi: in molte specie assistiamo ad una maturazione scalare degli sporangi lungo le macrofille. Gli sporangi sono prodotti in gran numero al margine o per lo più sulla pagina inferiore delle foglie e sono raggruppati in sori e protetti da un indusio. Il singolo sporangio è sostenuto da un peduncolo ed è delimitato da un unico strato di cellule sterili. Sulla superficie dello sporangio sono presenti un insieme di cellule con parete ispessita, che formano una struttura a corona denominata anulus. Le cellule dell’anulus hanno la parete cellulare ispessita ed impregnata di lignina in modo ineguale. La disidratazione delle cellule dell’anulus provoca il collasso verso il lato della cellula che non è impregnato di lignina. Il movimento (collassamento) delle cellule dell’anulus provoca la frattura della capsula dal lato opposto dello sporangio. Gli sporangi di molte felci hanno un particolare meccanismo di apertura: l’anulus, cioè un arco di cellule a pareti ispessite, disposte verticalmente così da provocare l’apertura dello sporangio per fessurazione trasversale in seguito ai movimenti igroscopici per la progressiva essiccazione delle cellule. Il singolo sporangio maturo è costituito da una capsula peduncolata che contiene un numero elevato di meiospore quasi sempre della stessa grandezza. Molto caratteristica è la presenza di un anulus variamente posizionato. L’anulus determina l’apertura e l’espulsione delle spore. I sori possono essere privi di protezione oppure possono essere protetti da falso indusio. Le Pterophyta Eusporangiatae e Leptosporangiatae sono quasi tutte isosporee. Dalle spore germinanti si sviluppa un protallo omotallico, a vita breve che diventa lungo al massimo alcuni centimetri e di regola porta i gametangi di entrambi i sessi (anteridi e archegoni) a meno che non intervengano le strategie ormonali, basate sulla produzione dell’ormone anteridiogeno. Hydropterides – le felci acquatiche Alle felci acquatiche appartengono solo pochi generi di piante erbacee che vivono nell’acqua o nelle paludi. Sono eterosporee. I megasporangi e i microsporangi hanno un involucro sottile, mancano di un anulus e sono inclusi all’interno di particolari involucri inseriti alla base delle foglie. Le felci acquatiche comprendono due ordini con circa cento specie: Salviniales e Marsileales. Salviniales Le specie appartenenti a questo ordine sono piante acquatiche liberamente natanti. Il genere Salvinia è rappresentato nella nostra flora dalla felce natante Salvinia natans, ormai divenuta rara, che porta tre foglie ad ogni nodo di un fusto poco ramificato. Un altro genere appartenente a questo ordine è Azolla, con distribuzione prevalentemente tropicale. Le due foglie verdi superiori sono galleggianti, di forma ovale, dotate di numerosi e grandi spazi intercellulari, mentre la foglia inferiore è suddivisa in numerose lacinie filiformi e pelose che pendono nell’acqua. Questa foglia acquatica sommersa non è verde e assume la funzione delle radici mancanti. Alla base delle foglie acquatiche si raggruppa una gran quantità di sporocarpi sferici che racchiudono gli sporangi. Ogni sporocarpo racchiude un soro di microsporangi in numero elevato o un soro di macrosporangi in numero minore. Marsileales A questo ordine appartengono generi con specie tipiche di suoli paludosi. Il genere Marsilea è rappresentato in Europa da Marsilea quadrifolia, il quadrifoglio acquatico. SPERMATOFITE Le spermatofite rappresentano il gruppo più numeroso di piante vascolari con circa 240.000 specie viventi. Esse costituiscono un gruppo avente come caratteristiche: - La presenza del seme - Sono tutte eterosporee - Macrosporangi non sono chiusi ma comunicano all’esterno grazie ad una fessura detta micropilo - Macrosporangi non si aprono mai - Microsporangi si aprono solo dopo che si sono formati i gametofiti maschili Le spermatofite sono tutte piante eterosporee e pertanto producono microsporangi (sacche/logge polliniche) che si aprono a maturità liberando microgametofiti, e microsporangi (ovuli) che non si aprono mai. Le meiospore germinano all’interno dei microsporangi, dando origine a gametofiti maschili = granuli pollinici. Le macrospore germinano ognuna all’interno di un macrosporangio (ovulo), dando luogo ad un gametofito femminile, che rimarrà sempre all’interno dell’ovulo. La fecondazione avverrà all’interno dell’ovulo e produrrà prima uno zigote (2n) e poi un embrione (2n), che entrerà in quiescenza, mentre l’ovulo stesso, con all’interno l’embrione, si trasformerà in seme. Il seme costituisce una novità di estrema importanza sia per la diffusione della specie (disseminazione) sia per il fatto che, entrando in quiescenza, consente alla nuova pianta (embrione) di sopportare senza danni anche lunghi periodi di condizioni sfavorevoli. Le spermatofite portano a compimento la tendenza ad aprire in ritardo il macrosporangio che abbiamo visto nei cicli delle Pteridofite eterosporee: il macrosporangio non si aprirà più e il microsporangio si aprirà solo dopo che le meiospore avranno dato origine ai granuli di polline, liberando quindi gametofiti maschili e non più microspore. Carattere fondamentale delle spermatofite è che esse non liberano mai le meiospore, infatti, esse germinano protette dallo sporofito che le ha prodotte. Viene adottata una nuova strategia riproduttiva: si può affermare che nelle spermatofite non esiste più una riproduzione per sporogonia in quanto le meiospore non vengono più utilizzate per la diffusione della specie; inoltre, l’involuzione dei gametofiti è così avanzata che essi non si manifestano esteriormente e spesso devono essere nutriti dallo sporofito. Il macrosporangio diviene una struttura più complessa costituita da cellule fertili che daranno origine alle macrospore circondate da più strati di tessuti sterili (tegumenti) con funzione di protezione e di nutrimento. Tale struttura garantirà la protezione e lo sviluppo delle macrospore e poi del gametofito femminile che rimarrà all’interno dell’ovulo. Qui avverrà anche la fecondazione e lo sviluppo del nuovo sporofito (embrione). Per organismi immobili, diviene necessario lo sviluppo di una strategia che consenta ai gameti maschili di arrivare in prossimità di quello femminile: mediante il vento non avviene più il trasporto della microspora ma dell’intero gametofito maschile. Il gametofito maschile deve essere di dimensioni estremamente ridotte. L’ovulo L’ovulo è omologo al macrosporangio di una pteridofita eterosporea in cui sono avvenute però particolari modifiche strutturali atte innanzitutto ad aumentare la protezione contro il disseccamento delle macrospore, del gametofito femminile e della gamia che qui avverrà. La protezione contro il disseccamento si ottiene con la produzione di un involucro protettivo (tegumenti dell’ovulo) che avvolge il corpo centrale (nucella) corrispondente all’archesporio. Tegumenti esterni à nucella à cellula madre della spora Eventi che hanno condotto alla evoluzione dell’ovulo: - Trattenimento della macrospora nel macrosporangio - Riduzione del numero di cellule madri delle spore à ogni macrosporangio conterrà una sola cellula madre funzionale - Si ha una sola macrospora per macrosporangio à delle quattro cellule derivanti da meiosi solo una rimane funzionalmente attiva, le altre degenerano - All’interno del macrosporangio si origina la macrospora che dà origine ad un gametofito femminile ridotto - Si formano tegumenti che avvolgono il macrosporangio e tutto quello che contiene lasciando libera una porzione (micropilo) che consente l’accesso dei gameti maschili per la fecondazione - Nel macrosporangio, all’interno del gametofito femminile si sviluppa l’embrione (giovane sporofito) La macrospora ha maggiori dimensioni e darà origine ad un macrogametofito per via endosporica. Lo sviluppo del giovane embrione avviene all’interno del macrosporangio. Il macrosporangio si modifica aumentando le cellule vegetative che circondano la macrospora: la macrospora resta sempre in contatto con le cellule vegetative circostanti. Tali cellule si trasformano in un organo di riserva migliore della singola macrospora. L’origine dell’ovulo Modello di Andrews à secondo questo modello evolutivo l’ovulo si sarebbe differenziato progressivamente da uno sporangio che, all’inizio, era avvolto da una serie di filamenti verticillati. Se i filamenti concrescono tra loro riunendosi in modo sempre più ampio si forma il tipico ovulo delle gimnosperme, costituito dalla nucella avvolta completamente dai tegumenti e comunicante con l’esterno attraverso una minuscola apertura apicale detta micropilo. Modello di Benson à questo autore ipotizza un’origine telomica degli ovuli. Il punto di partenza del modello evolutivo è costituito dagli sporangi apicali di pteridofite simili a Rhynia. La formazione dell’ovulo sarebbe avvenuta attraverso le seguenti tappe: 1. Raccorciamento dei rami apicali fertili e sterili 2. Prevalente sviluppo di un solo sporangio 3. Sterilizzazione degli altri rami apicali circostanti 4. Appiattimento e concrescimento dei rami apicali sterili con formazione del tegumento dell’ovulo mentre la nucella deriverebbe dallo sporangio Polline Il granulo pollinico è il gametofito maschile. Ogni cellula madre delle spore per mitosi produce 4 meiospore aploidi all’interno del microsporangio = sacca pollinica. Le sacche polliniche sono circondate internamente dal tappeto, uno strato di cellule che contribuisce alla nutrizione e alla formazione della parete più esterna delle microspore. Nelle angiosperme i microsporangi prendono il nome di logge polliniche. Ogni antera presenta 4 logge polliniche rivestite internamente dal tappeto. Le cellule del tappeto secernono sostanze di riserva nel lume della loggia pollinica, in modo da nutrire le cellule madri delle spore, durante il processo di meiosi e nella successiva germinazione delle microspore. Alla fine della gametogenesi, le cellule del tappeto vengono lisate e riversano il loro contenuto sulla parete dei granuli di polline. La microspora non viene più rilasciata all’esterno ma germina nel microsporangio e origina il gametofito maschile. Diversamente dalle pteridofite eterosporee, mediante il vento o gli insetti, non saranno più trasportate le microspore ma i gametofiti maschili. La parete di protezione che circondava la meiospora diventerà la parete di protezione del gametofito maschile. La funzionalità del gametofito maschile sarà legata alla sua capacità di essere trasportato: piccole dimensioni e poche sostanze nutritive. La sua maturazione, nella maggior parte dei casi, termina in prossimità dell’ovulo dove poi libera i gameti flagellati o non flagellati. Nelle gimnosperme il processo di fecondazione presuppone il trasporto del polline in prossimità dell’ovulo. I granuli pollinici devono essere trasportati dalle sacche polliniche in prossimità degli ovuli (micropilo) o delle strutture che li contengono (stigma dei carpelli) dove possono germinare. Tale processo si chiama impollinazione. L’impollinazione può avvenire tra fiori di diversi individui di una specie e prenderà il nome di impollinazione incrociata o allogamia oppure nell’ambito dello stesso individuo prenderà il nome di autoimpollinazione (o autogamia se nello stesso fiore). Nelle specie monoiche si sono instaurati meccanismi che riducono od ostacolano l’autogamia: incompatibilità genetica e separazione spaziale o temporale (sviluppo successivo) degli elementi fiorali maschili e femminili. La forma originaria di impollinazione meno specializzata è senza dubbio l’anemofilia (anemogamia) che consiste nel trasporto del polline ad opera del vento. La difficoltà del trasporto diretto sugli ovuli viene superata mediante: - Una grande produzione di polline - La possibilità dei granuli pollinici di essere trasportati dal vento per la loro leggerezza e piccola dimensione o per la presenza di espansioni (sacche aerifere) che aumentano la superficie da offrire al vento - La secrezione di gocce di impollinazione sul micropilo dell’ovulo Il granulo pollinico (microgametofito) è costituito nelle conifere da 4 cellule. La cellula del tubetto pollinico (cellula vegetativa) costruisce un prolungamento cellulare che prende il nome di tubetto pollinico. I due gameti maschili hanno perso i flagelli, dal momento che vengono portati a destinazione dal tubetto pollinico e non vengono più rilasciati nell’ambiente. A partire dalle Coniferophyta, si ha l’eliminazione dei flagelli nei gameti maschili e quindi il completo svincolamento della riproduzione sessuale dall’acqua. Il tubetto pollinico verrà impiegato per la fecondazione con spermi immobili privi di flagello. Riproduzione nelle divisioni più antiche Nelle Cycadophyta e Ginkgophyta la struttura dell’ovulo prevede la presenza di una camera pollinica, sotto il micropilo. Per raggiungere gli archegoni i gameti maschili devono nuotare all’interno della camera pollinica, piena di liquido, che si trova sulla sommità dell’ovulo. Gli spermi sono ancora flagellati. In particolare, nelle Ginkgophyta il granulo pollinico al momento del rilascio da parte dei microsporangi, non ha completato il suo sviluppo: deve ancora compiere un certo numero di mitosi. Il granulo di polline emette un tubetto ramificato, che cresce all’interno della nucella e che ha funzione austoriale, cioè ha il compito di assorbire le sostanze di riserva dalle cellule della nucella, intanto che il gametofito maschile completa il suo sviluppo e produce due spermi pluri-flagellati. Questa fase può durare alcuni mesi. Il tubetto pollinico non penetra quindi nell’archegonio ma nella nucella dove assorbe nutrienti. Una volta che i gameti maschili sono formati e il gametofito femminile si è differenziato, i due spermi vengono liberati nella camera pollinica dove devono nuotare per raggiungere le oosfere presenti negli archegoni. L’impollinazione avviene in primavera, mentre la fecondazione in estate. L’ovulo presenta una camera pollinica apicale scavata nella nucella ed aprentesi all’esterno attraverso un micropilo. Il gametofito femminile presenta archegoni che si affacciano nella camera pollinica. Ciascun archegonio ha un’oosfera molto grande, una cellula del canale del ventre destinata poi a scomparire e, in generale, solo due cellule della parete del collo. La gamia è singola e solo una oosfera viene fecondata per ogni gametofito femminile. Il seme di gimnosperma comprende tre generazioni: - Tegumenti e residui della nucella à diploidi, vecchio sporofito - Tessuti aploidi dell’endosperma primario à gametofito, funzione di riserva - Embrione diploide à nuovo sporofito Il seme viene liberato circondato dai tegumenti dell’ovulo che possono lignificare oppure trasformarsi in una sorta di falso frutto come nel caso l’arillo del tasso. Strobilo maschile: nelle sacche polliniche ogni cellula madre fa meiosi, ogni microspora fa mitosi al suo interno e lo sviluppo endosporico del gametofito produce granulo di polline. Strobilo femminile: all’interno di ogni ovulo solo una cellula fa meiosi. Si formano 4 macrospore di cui solo una sopravvive. La macrospora superstite fa mitosi al suo interno = sviluppo endosporico. Sistematica delle gimnosperme Ginkgophyta Questa divisione è rappresentata attualmente da una sola specie vivente (Ginkgo biloba) che è la pianta a semi vivente, più antica. Allo stato spontaneo è verosimilmente presente in alcune foreste della Cina. Attualmente è largamente coltivata in tutto il mondo. Ginkgo biloba è un grande albero a chioma espansa, molto ramificato, deciduo, dioico, che può vivere per millenni. Visto da più vicino i macroblasti (rami normalmente allungati) portano dei brachiblasti = rami più corti recanti le foglie e gli apparati riproduttori. Le foglie sono caduche e a forma di ventaglio, leggermente incise e con numerose nervature che si dividono dicotomicamente. Brachiblasti portano anche strobili di microsporangi, formati da un asse allungato, flessibile e pendulo provvisto di sacche polliniche unite due a due. Ogni sacca pollinica contiene numerosi granuli pollinici. Gli strobili di macrosporangi sono appaiati all’apice di corte ramificazioni biforcate. Ogni ovulo presenta un tegumento tristratificato. Quello interno più sottile è percorso da fasci vascolari. Gocce di impollinazione sono visibili al micropilo degli ovuli. Tra impollinazione e fecondazione intercorre un periodo molto lungo. Viene emesso un tubetto pollinico con funzione austoriale. La fecondazione avviene ad opera di gameti flagellati che vengono rilasciati e nuotano nella camera pollinica. Dopo la fecondazione il tegumento dell’ovulo si ispessisce, diventa carnoso e, per noi, maleodorante. Cycadophyta Le Cycadophyta sono rappresentate da alcune specie relitte. Attualmente tali piante presentano naturali areali di diffusione nelle zone subtropicali e tropicali. L’habitus ricorda quello delle palme: un fusto possente privo di ramificazioni spesso corto che termina con un ciuffo di grandi foglie disposte a spirale, doppiamente o semplicemente pennate. Gli sporofilli delle Cycadales sono riuniti in strobili unisessuali distribuiti su individui differenti (piante dioiche). Gli strobili di microsporangi sono formati da microsporofilli numerosi e addensati che sulla pagina inferiore portano fino a più di 1000 sacche polliniche (sinangi). Gli strobili di macrosporangi presentano macrosporofilli formati da una parte apicale sterile di colore giallo chiaro e di aspetto fogliforme e da una parte basale costituita da un asse attraversato da una nervatura recante gli ovuli ai due lati. L’ovulo presenta una camera pollinica apicale scavata nella nucella ed aprentesi all’esterno attraverso un micropilo. Il gametofito femminile presenta archegoni che si affacciano nella camera pollinica. Ciascun archegonio ha un’oosfera molto grande, una cellula del canale del ventre destinata poi a scomparire e, in generale, solo due cellule della parete del collo. Prima dell’impollinazione l’ovulo secerne dal micropilo una goccia di impollinazione che cattura i granuli pollinici. Quando la goccia si asciuga i granuli sono risucchiati all’interno del micropilo mentre l’ovulo si chiude all’esterno. Il granulo pollinico compie la sua maturazione (fa alcune mitosi) emettendo il tubetto pollinico che raggiunge la nucella ed ha funzione austoriale. Il tubetto pollinico deriva dalla cellula vegetativa. Dalla cellula generativa si formano due cellule spermatiche pluriflagellate. Apparato riproduttore: - Gli ovuli non sono ancora racchiusi in un ovario - I gametofiti sono ancora poco ridotti (il maschile sempre con più di tre cellule, i femminili pluricellulari) - L’embrione è nutrito da un endosperma primario aploide - La riproduzione è lenta, tra impollinazione e fecondazione possono infatti trascorrere alcuni mesi e la maturazione del seme può richiedere fino a tre anni Gnetophyta Si identificano tre generi: 1. Ephedra 2. Gnetum 3. Welwitschia Nelle Gnetophyta gli strobili sono estremamente ridotti. 1. Ephedra Solitamente gli strobili si trovano sulla stessa pianta, possono essere sia separati che uniti in infiorescenze ermafrodite. Gli strobili maschili e femminili sono formati da un’asse nel quale si inseriscono delle brattee opposte. Il frutto è un falso frutto, formato dalle brattee, che può diventare carnoso e colorato di rosso. Ephedra include circa 50 specie. I coni sono ovoidali, formati da numerose brattee e provvisti di un asse staminale che porta 7-8 microsporangi riuniti in una colonna. I coni femminili sono riuniti generalmente in coppia su un peduncolo lungo fino a 2 cm ai nodi dei rametti superiori. Essi sono avvolti da brattee ovali, parzialmente saldate alla base, carnose e rosse a maturità. Il tubulo micropilare è sporgente, diritto o un po’ ricurvo. Le piante hanno più spesso "fiori" unisessuali organizzati in strobili o "infiorescenze". I fiori femminile hanno un (raramente accoppiato) ovulo eretto, una nucella con due o tre strati e un micropilo sporgente come un lungo tubo. Il gametofito femminile spesso manca di archigonia organizzata. La fecondazione avviene attraverso tubi pollinici con due spermatozoi maschili. Viene registrata la doppia fecondazione per alcuni membri del phylum come nelle angiosperme. Falsi frutti = le brattee, dopo la fecondazione diventano carnosi andando a formare una sorta di falso frutto drupaceo perforato all’apice, costituito da brattee rosse e carnose, contiene due semi ovoidi di 5-7 mm. Le piante del genere Ephedra sono usate tradizionalmente dai popoli indigeni per scopi medicinali: nella medicina tradizionale cinese, l’efedrina è stata usata per secoli nel trattamento di asma e bronchite. L’efedrina è contenuta in molti prodotti ad azione dimagrante. Una delle caratteristiche più interessanti di questa sostanza, simile ma più potente di quella esercitata dalla caffeina, riguarda la capacità di accelerare il metabolismo. Questo effetto, associato al potere inibente l’appetito, non è quantificabile e varia da soggetto a soggetto. L’assunzione di prodotti a base di efedrina a scopo dimagrante può comunque risultare impropria e potenzialmente pericolosa. L’efedrina continua ad essere usata negli stati ipotensivi, ad esempio quelli causati da dosi eccessive di farmaci che abbassano la pressione sanguigna. 2. Gnetum Gnetum è un genere di piante che include circa 30-35 specie di gimnosperme appartenenti alla divisione delle gnetofite. È l’unico genere della famiglia Gnetaceae e dell’ordine Gnetales. Comprende forme arboree, arbustive e liane sempreverdi delle aree tropicali. Contrariamente ad altre gimnosperme possiedono trachee. È stato proposto che alcune specie di questo genere siano state le prime piante ad essere impollinate dagli insetti, poiché sono stati rinvenuti esemplari di piante fossili associate con insetti impollinatori anch’essi estinti. 3. Welwitschia Welwitschia include sono una singola specie, Welwitschia mirabilis, che si trova nel deserto della Namibia. Questa specie è dioica. Presenta una radice a fittone molto profonda che si espande in orizzontale. Due foglie dall’aspetto unico, lunghe fino a cinque metri e adagiate sul terreno, pelose, con un meristema basale che compensa l’erosione della parte distale. In altre parole: le foglie sono nastri che crescono continuamente dalla base, mentre l’estremità finale progressivamente si inaridisce e muore. L’aspetto generale della pianta è quindi quello di una grande matassa di nastri verdi, larghi fino a quasi mezzo metro e lunghi cinque, attorcigliati e deposti sul suolo, con le parti finali che progressivamente muoiono, si sfilacciano, e diventano di colore marrone. Il tronco, piuttosto grande (in diametro) è cortissimo, e coperto dalle foglie. L’impollinazione sembra sia effettuata attraverso gli insetti attirati dal nettare prodotto sia dai fiori maschili che femminili. ANGIOSPERME Evoluzione del ciclo aplo-diplonte nelle piante terrestri – facciamo il punto: - Muschio à generazioni eteromorfiche - Bryidae à generazioni eteromorfiche, gametofito dominante, sporogonia - Felce isosporea à generazioni eteromorfiche, sporofito dominante, sporogonia Nell’evoluzione delle piante, la fase gametofitica tende drasticamente a ridursi a favore della fase sporofitica. Schema generale di uno sporangio Uno sporangio ha sempre la stessa struttura di base: strati di cellule sterili che racchiudono, in un primo momento, il tessuto archeosporiale (2n) e, dopo la meiosi, le meiospore (n). Nelle briofite e nelle pteridofite le piante diffondono le specie grazie al processo noto come sporogonia. Piante isosporee e piante eterosporee à sporangi uguali = spore uguali (n), fanno germinazione (mitosi) e creano gametofito ermafrodita (n) con gametangi maschili e femminili. Sporangi diversi liberano microspore (n) che producono liberate nell’ambiente. L’idratazione avviene in vivo quando il granulo pollinico (parzialmente disidratato) arriva in contatto con lo stigma e riacquista acqua dallo sporofito. L’idratazione è un processo finemente regolato ed è preceduto dall’adesione, dapprima per attrazione elettrostatica, poi con un vero e proprio legame (di natura per ora sconosciuta), che stabilisce una via di capillarità per il movimento dell’acqua verso il granulo. Da questo momento in poi esso non può più essere facilmente rimosso dallo stigma. Fase LAG: è il tempo che intercorre fra l’idratazione del granulo pollinico e l’emissione di un vero e proprio tubetto. Corrisponde al tempo necessario per raggiungere un pieno sviluppo mitocondriale e un costante controllo respiratorio. La durata di questo intervallo varia da pochi minuti a molte ore, con un enorme divario fra le gimnosperme ed angiosperme, ed è strettamente correlato con la velocità di crescita del tubetto. Per quanto riguarda le angiosperme, i pollini trinucleati hanno una fase LAG assi più breve di quelli binucleati. L’esina presenta dei punti di discontinuità, in cui la saldatura della stessa è meno accentuata. Il polline può avere uno o più punti di discontinuità, in forma di solchi o pori in seguito all’idratazione questi punti di discontinuità diventano visibili sulla superficie del polline. È da uno di questi punti (poro germinativo) che si formerà il tubetto pollinico. In seguito alla reidratazione, l’intina perde la sua rigidità grazie anche all’azione di enzimi idrolitici contenuti nella parete stessa. Al momento dell’emergenza, il poro germinativo si apre come lo sportello di un oblò, cioè protrude verso l’esterno staccandosi lungo il contorno ad eccezione di una piccola porzione che resta attaccata all’intina, funzionando come un cardine. Nel granulo pollinico reidratato i ribosomi si aggregano, il citoplasma si vacuolizza, i dittiosomi si addensano particolarmente numerosi in prossimità di un poro germinativo, producendo vescicole che si fondono in corrispondenza del poro germinativo andando a formare la bolla germinativa: le vescicole sono coinvolte nella formazione della parete pecto-cellulosica del tubetto pollinico. Come illustrato, i granuli di polline idratato e Ca2+ scorrono nel grano: questo afflusso fa scattare l’attivazione. L’attivazione è caratterizzata da una riorganizzazione citoplasmatica, con conseguente formazione di un gradiente citoplasmatico di Ca2+ sotto il sito del tubo pollinico: questo gradiente è critico per la crescita della punta polare. Il tubo pollinico si estende con la crescita del pistillo, a consegnare gli spermatozoi al sacco embrionale. Un gradiente di Ca2+ viene mantenuto al tip come prerequisito essenziale per la crescita. Ioni calcio giocano anche un ruolo importante nel regolare la direzione di crescita, agendo come fattori di attrazioni. Tubo pollinico: il tubetto pollinico si allunga grazie alla secrezione di vescicole prodotte dai dittiosomi in una ristretta zona apicale. Le vescicole riversano all’esterno nuovo materiale di parete (pectine) e portano sulla loro membrana i complessi cellulosa sintetasi, che vengono quindi incorporati sulla PM del tubetto. La pressione di turgore esercitata dai vacuoli determina la distensione. I tubetti pollinici elaborano una parete primaria pecto-cellulosica. La massiccia deposizione di callosio nelle regioni distali forma tappi di callosio che isolano le parti più vecchie del tubetto dalle regioni più vicine all’apice. Doppia fecondazione Il tubetto pollinico si rompe al tip. Una cellula spermatica si fonda con la cellula uovo à zigote. La seconda cellula spermatica si fonde con la cellula centrale binucleata à cellula triploide à tramite mitosi si crea l’endosperma secondario (3n). Lo sviluppo del seme In seguito alla fecondazione l’ovulo (con embrione ed endosperma secondario) si trasforma in seme mentre l’ovario (porzione basale dei carpelli) si trasformerà in frutto. Ci possono essere frutti carnosi oppure frutti secchi deiescenti che si aprono a maturità (es. legumi). LE ANGIOSPERME Formano un gruppo monofiletico (stipite: Magnoliophyta). Racchiudono le più evolute e più diffuse piante terrestri. Gli ovuli sono racchiusi da foglie trasformate (carpelli) a formare una nuova struttura = l’ovario. Attorno a questa struttura elementi sterili (foglie trasformate) costruiscono una struttura più o meno complessa = il fiore. Il fiore tipico è ermafrodita, ovvero porta contemporaneamente le strutture fertili femminili e maschili (ovvero macro e microsporangi). L’insieme delle parti fertili e sterili dei fiori ha una nomenclatura ben fissata e conosciuta. Cosa guardare? Caratteri del fiore: - Presenza, numero e posizione degli elementi fiorali - Saldatura, simmetria… - Infiorescenza - Frutto (importante in certe famiglie: Umbelliferae, Cruciferae, Cyperaceae…) Caratteri vegetativi: - Morfologia della foglia - Inserzione delle foglie - Ciclo vitale (annuale, perenne) - Corteccia, portamento, gemme (alberi) - Caratteri speciali di alcune famiglie (ligula, pappo…) - Pelosità Se la corolla è gamopetala si parla di tubo (parte indivisa) e lembo (parte divisa in lobi) della corolla. Il perianzio può mancare completamente (piante apetale: Grainaceae, Cyperaceae, molte famiglie arboree come Fagaceae, Salisaceae…). Degli stami si osserva essenzialmente il numero. Se sono > 10 si definiscono geneticamente “numerosi”. In alcune famiglie la loro forma, disposizione e saldatura sono fortemente diagnostiche. Del gineceo si osserva soprattutto la posizione (supero o infero). Importante è anche il numero di carpelli, particolarmente evidente nel frutto: ad esempio i denti delle capsule delle Caryophyllaceae. A seconda dei tipi di fiori e della loro disposizione, sono possibili tre tipi di sessualità: - Piante dioiche (strutture maschili e femminili su piante diverse) - Piante monoiche (strutture maschili e femminili sulla stessa piante) - Piante ermafrodite (strutture – fiori – ermafrodite) Frutto Il frutto deriva dall’ovario. Si articola in esocarpo, mesocarpo ed endocarpo. Le caratteristiche di queste parti ne determinano la classificazione. Frutti secchi indeiscenti à cariosside, achenio, samara (achenio) Frutti secchi deiscenti à capsula, legume, siliqua Frutti carnosi à drupa, bacca Falsi frutti à pomo, cinorrodio Frutto aggregato à un ovario pluricarpellare: un singolo fiore Infruttescenza à un’infiorescenza: più fiori I caratteri vegetativi La regola vuole che la determinazione si faccia sui caratteri riproduttivi. I caratteri vegetativi sono però di grande interesse, e talvolta necessari (anche perché spesso le piante non sono fiorite). Le specie arboree si possono in buona parte determinare sui caratteri vegetativi. Tra questi, quelli relativi alle foglie sono i più importanti. La nomenclatura qui presentata è quella di base; le diverse guide presentano sempre un glossario a cui conviene rifarsi quando le si utilizza. Foglie - Intera o composta? - Forma della foglia - Apice - Margine - Inserzione - Nervatura - Presenza di picciolo Gineceo: ovario supero, spesso allungato, frutto a siliqua Foglie: alterne Possibili confusioni: famiglia quasi inconfondibile. Attenzione a Chelidonium majus (Papaveracee) Generi importanti: Arabis, Cardamine, Brassica, Alyssium, Rorippa… Famiglia cosmopolita, ben differenziata nella regione mediterranea. Include molte specie ruderali, ma anche qualche specie forestale (certe Cardamine), rupestri (Petrocallis pyrenaica) ecc… Generi molto variabili e talvolta ibridogeni (Brassica) accanto ad altri che non creano problemi. Una delle pochissime famiglie prive di micorrize. Specie di interesse economico (Brassica). Leguminosae Habitus: arboree, arbustive o erbacee Calice: saldato, con cinque sepali, spesso foggiato a tubo Corolla: corolla papilionacea à a simmetria bilaterale, a petali liberi – uno superiore (vessillo), due laterali (ali) e uno inferiore fatto a barchetta (carena, in realtà formato da 2 petali saldati) Androceo: 10 stami, di cui 9 saldati e uno libero (raramente tutti saldati o tutti liberi) Gineceo: un ovario supero, dalla caratteristica forma a legume (frutto che ne deriverà, tipico della famiglia) Foglie: alterne, quasi sempre composte Possibili confusioni: superficialmente con altre famiglie con fiore a simmetria bilaterale Generi importanti: Cytisus, Spartium, Chamaecytisus (arbustive), Laburnum, Robinia (arboree), Trifolium, Medicago, Astragalus, Coronilla, Lathyrus, Vicia (erbacee) Famiglia molto importante ecologicamente ed economicamente. Diffusa nell’emisfero boreale, molto differenziata nelle regioni mediterranee. La fissazione dell’azoto rende le leguminose capaci di colonizzare ambienti difficili. Le specie arbustive a fiore giallo sono collettivamente indicate come ginestre. Sono elementi importanti di ricostruzione della vegetazione forestale. Grazie agli azotofissatori, colonizzano ambienti difficili. La ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius) è un importante elemento atlantico, tipico di terreni acidi. La ginestra odorosa (Spartium junceum) è un elemento submediterraneo. Umbelliferae Habitus: sempre erbaceo (anche se la taglia può superare i 2-3 m in alcune specie) Calice: ridotto a 5 dentelli, spesso assente Corolla: 5 petali liberi, spesso con apice bilobo o ripiegato. Infiorescenza ad ombrella, in genere composta Androceo: cinque stami Gineceo: ovario infero, con due stimmi divergenti ingrossati alla base Foglie: alterne, quasi sempre composte, anche se raramente sono intere e allungate Possibili confusioni: piante con infiorescenza ad ombrella superficialmente simili. L’odore di foglie e fusto è quasi sempre inconfondibile Generi importanti: Chaerophyllum, Laserpitium, Anthriscus, Daucus, Heracleum, Pimpinella… Famiglia diffusa soprattutto negli ambienti temperato-caldi. Grande diversificazione in ambiente mediterraneo. Qualche specie forestale e di ambiente alpino. Qualche specie o forma endemica (Atamantha vestina). Famiglia ricca di oli essenziali, con specie velenose. Labiatae Habitus: erbaceo, raramente arbustivo. Il fusto è tetragono Calice: gamosepalo, formato da 5 sepali saldati Corolla: gamopetala, bilabiata (a forma di fauce aperta) à il labbro superiore può mancare o al contrario essere vistoso e foggiato ad elmo Androceo: quattro stami, raramente due Gineceo: un ovario supero quadripartito (diviso in 4) Foglie: opposte, sempre intere Possibili confusioni: Scrophulariaceae à l’ovario quadripartito è l’osservazione più sicura, altri buoni indicatori – l’aroma, il numero di stami, l’inserzione delle foglie, il numero dei sepali Generi importanti: Lamium, Salvia, Ajuga, Stachys, Satureja, Galeopsis, Thymus, Origanum, Nepeta… Famiglia cosmopolita, ricca di specie negli ambienti temperato-caldi. Da noi numerose specie in ambienti ruderali, prati, boschi di latifoglie e ambienti caldi e asciutti anche a quote elevate. Più raramente specie di ambienti umidi (es. Lycopus europaeus, Scutallaria…). Le specie arbustive sono principalmente mediterranee. Famiglia ricca di specie aromatiche e alimentari à salvia, rosmarino, timo, basilico, menta, maggiorana, origano. Compositae (asteraceae) Infiorescenza a capolino che ricorda in tutto e per tutto un singolo fiore; i veri fiori possono essere di due tipi: ligulati e tubulosi. Habitus: erbaceo (arboreo ai tropici) Calice: trasformato in pappo, un ciuffo di peli che serve alla disseminazione. Talora il pappo manca Corolla: gamopetala, con un lembo allungato (fiori ligulati) o tutti i lembi uguali (fiori tubulosi) Androceo: gli stami sono fusi tra loro a manicotto, difficili da vedere Gineceo: un ovario infero Foglie: in genere alterne, raramente opposte Possibili confusioni: Dipsacaceae Generi importanti: Aster, Leontodon, Hieracium, Crepis, Senecio, Chrysanthemum, Doronicum, Centaurea, Artemisia, Achillea… La famiglia più importante delle dicotiledoni (8% delle dicotiledoni totali). Distribuzione cosmopolita. Presente in quasi tutti gli ambienti, da quelli ruderali a quelli naturali, in tutti i piani altitudinali. Più legata agli ambienti aperti, ma presenti anche in quelli forestali (Tanacetum corymbosum, Homogyne alpina, Aposeris foetida...). La disposizione più comune dei fiori è quella con fiori tubulosi al centro e ligulati alla periferia (la maggior parte delle Asteroidee) o tutti ligulati (Cicorioidee). Raramente si possono avere fiori tutti tubulosi con funzione vessillare (Centaurea). Spesso se i fiori sono tutti tubulosi la funzione vessillare è assunta dalle squame dell’involucro esterno (Leontopodium). Spesso in questo caso i capolini sono poco vistosi. Monocotiledoni - 24 famiglie e circa 1100 specie in Italia - Non ci sono specie arboree in Italia, eccettuata la palma nana - Anche le specie legnose arbustive sono molto poche (pungitopo, asparago…) - Considerate “più evolute” - L’evoluzione ha portato a due vertici estremamente specializzati: le Orchidaceae e le Graminaceae - La famiglia più importante in Italia è quella delle Graminaceae Le palme sono le uniche monocotiledoni che sviluppano fusti legnosi di dimensioni arboree. Mancando la crescita secondaria, il sostegno è affidato ai fasci vascolari primari, che rimangono funzionali per moltissimi anni. Questi sono coadiuvati dalle cicatrici fogliari e da radici avventizie. Una crescita in diametro si ottiene per divisione del tessuto parenchimatico (crescita diffusa). L’unica palma spontanea in Italia è Chamaerops humilis. Liliaceae Habitus: quasi sempre erbaceo con fusti sotterranei (bulbi, rizomi ecc.), raramente arbustivo Perigonio: quasi sempre a 6 tepali, raramente 4 liberi o saldati (Muscari…), corolla regolare Androceo: 6 stami Gineceo: un ovario supero Foglie: alterne, spesso tutte basali, raramente verticillate (giglio martagone, Paris) Possibili confusioni: con le Iridaceae (ovario infero, 3 stami) e le Amaryllidaceae (ovario infero) Generi importanti: Allium, Lilium, Ornithogalum, Asparagus, Polygonatum… Famiglia ora smembrata in numerose famiglie più piccole. Principalmente legata alle zone temperate e tropicali dell’emisfero boreale. Le liliacee sono principalmente specie bulbose o rizomatose. Nelle nostre regioni sono tipiche piante di sottobosco di boschi di latifoglie. Frequentano anche ambienti più aperti ma sono meno frequenti a quote elevate. Numerose specie di interesse alimentare (aglio, cipolla, asparago…). Le vecchie Liliacee sono ora ripartite in numerose famiglie che fanno capo addirittura a due ordini diversi (Liliales e Asparagales). Iridaceae Habitus: erbaceo con fusti sotterranei (bulbi, rizomi ecc) Perigonio: 6 tepali liberi, corolla regolare, talora irregolare Androceo: 3 stami Gineceo: un ovario infero
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