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Brancati riassunto dell'intero libro, Dispense di Letteratura Contemporanea

intero riassunto di brancati, molto chematico

Tipologia: Dispense

2020/2021

Caricato il 08/03/2022

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C1l2a3 🇮🇹

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Scarica Brancati riassunto dell'intero libro e più Dispense in PDF di Letteratura Contemporanea solo su Docsity! BRNCANTI TUTTI I RACCONTI Ormai consolidata la necessità di leggere nel suo insieme il corpus di tutti i racconti di Vitaliano Brancati. Si è rivelato, infatti, estremamente utile alla comprensione dei nodi conoscitivi e dei nuclei ideativi fondanti della sua opera seguirne l'evoluzione ar-tistica dall'apprendistato giovanile agli approdi della maturità. Nella ricca e varia officina narrativa dei primi anni Trenta, per esempio, è sorprendente scoprire come lo scrittore, che, intanto, in opere coeve più ambiziose cercava di accreditare la sua adesione ai miti del Fascismo, nella misura del racconto trovasse invece lo spazio congeniale per compiere un tirocinio che si rivelerà oltremodo redditizio pfer il suo futuro di artista. E appunto da questo "laboratorio" è stato possibile recuperare ancora alcuni racconti che vengono aggiunti alla presente pubblicazione. Prima dell'edizione di Tutti i racconti, del 1994, da me curata, e ora riproposta con la novità di quattro prose pubblicate tra il 1931 e il 1936, i racconti brancatiani venivano identificati con la raccolta canonica del Vecchio con gli stivali, nell'edizione del 1958, che aggiungeva a quella del 1947, approntata dallo scrittore stesso, tre racconti tratti dalla silloge In cerca di un sì, del 1939, e tutti i racconti pubblicati con il Don Giovanni in SiciLia, del 1942. A questo testo si è poi aggiunto nel 1982 il volume Sogno di un valzer e altri racconti che ha portato alla luce, oltre al romanzo eponimo e a due abbozzi di romanzo come la suite di Rodolfo e le Avventure di Tobaico, un nutrito gruppo di prose edite su quotidiani e riviste dal 1929 al 1952 e mai prima raccolte in volume, Tale spoglio è stato poi integrato, nell'edizione del 94, da quindici prose sparse che hanno arricchito le acquisizioni testuali dell'82. Il consistente numero di scritti sparsi già cos ordinato viene ora ulteriormente incrementato da tre racconti dei primi anni Trenta, che trovano la loro collocazione naturale nella sezione iniziale del Laboratorio giovanile, e da un racconto del '36, che va a inserirsi in quella finale, confermando l'ampiezza e la varietà della tastiera espressiva del giovane Brancati. Si è ritenuto dunque valido il criterio di ricollocare i racconti pubblicati in volume nel loro gruppo originario, in quella che è stata la loro sede iniziale, in modo da far cogliere meglio al lettore la dinamica compositiva e lo sviluppo tematico-stilistico della narrativa brancatiana, e di raggruppare in due distinte sezioni, la prima e l'ultima, quelli sparsi. Bisogna, intanto, osservare che questa produzione narrativa meno nota corre lungo tutto l'arco dell'attività creativa di Brancati, dagli esordi a due anni prima della morte, costituendo un laboratorio permanente, a volte un vero e proprio luogo di sperimentazione, dove lo scrittore elabora nuclei tematici, appronta tipi, mette in prova personaggi e individua nodi esistenziali. Ciò si rivela con caratteri sorprendenti soprattutto nelle prose del biennio '32-'34 che si conferma ancor più un periodo importante della biografia intellettuale dello scrittore siciliano, se si tiene presente che in esso si ascrivono anche opere come il Viaggiatore dello sleeping n. 7 era forse Dio? e Singolare avventura di viaggio. E certamente alle pubblicazioni degli ultimi vent'anni, da Sogno di un valzer ai due volumi dei Classici Bompiani, va riconosciuto il merito di aver spostato proficuamente l'attenzione sugli scritti dei primi anni Trenta, su cui ha pesato negativamente per molto tempo la contemporanea presenza di alcune opere, dichiatatamente fasciste, e il conseguente rifiuto dello stesso autore di tutto quanto aveva scritto prima del 1934. Un'attenta ispezione della produzione di quegli anni può regalare, invece, la scoperta di un piccolissimo racconto, del 1930 appunto, Trampolini si int-batte in una donna sulla soglia del Giardino Bellini, dove per bocca del protagonista il giovane scrittore enuncia un'originale teo ria del malinteso", che consente di gettare una luce nuova sulla sua narrativa e di mettere a fuoco non solo lo spessore esistenziale di un tema come il gallismo, inteso spesso riduttivamente, ma anche la questione della comicità e del realismo brancatiani. Sul malinteso, sul procurato fraintendimento dei dati della realtà cioè, si organizzeranno, come sappiamo, gran parte delle storie brancatiane: Malintesi? e non sono tutte le nostre gioie basate su dei malintesi e su degli errori? La bellezza di questo paesaggio, che digrada verso il lido, è fondata sopra un errore ottico, che mi fa vedere le cose lontane più piccole, mentre, in verità, esse non lo sono. La donna, questo divino argomento, è un malinteso. Noi non abbiamo mai potuto giudicarla serenamente. Nessuno, neppure il misogino più accanito, l'ha contemplata con serenità scientifica. Lo sguardo, il tatto, l'olfatto, l'udito, che sono i mezzi dell'esperienza o i tentacoli del pensiero, sono stati sempre alterati dalla sensualità, nell'attimo in cui ella passava dinnanzi all'uomo [...] Occorre che i nostri sensi siano imprecisi e deboli, perché si intensifichi la nostra vita interiore. Noi abbiamo dei sogni che cercano di concretarsi in fatti. Quando la realtà è troppo precisa, essi sono costretti a perire. È bene, dunque, che noi siamo un po' sordi e un po' ciechi, per vedere e per sentire quello che vorremmo. Tutti gli inganni sono a nostro favore [...] Io veggo già un'epoca di felicità, in cui gli uomini avranno spezzato tutti gli immemorabile... Dello stesso anno è poi un raccontino meno significativo e meno ricco, dal punto di vista tematico, di Partenza, ma interessante per misurare la trasformazione che subisce un tema patetico quando viene assunto in nuove griglie formali, La storia narrata dalla protagonista di Ricordi, infatti, fa immediatamente pensare, per antifrasi, allo sbocco comico che un simile tema avrà nel Don Giovanni in Sicilia. Al rimpianto per un amore mancato, a causa della guerra, subentrerà nel romanzo del '41, l'indimenticabile parodia delle sorelle di Giovanni Percolla: Poi, invece di tornare lui, cominciarono a partire dei soldati; c'era la guerra; ogni mattina, si ripeteva una sfilata, con musiche e bandiere, verso la stazione. Io assistevo dalla finestra; ma nessuno, da quelle file, alzava il braccio per salutarmi... E d'altra parte, di quell'ufficiale che mi aveva seguito, io non sapevo altro che questo: ch'era giovane. Ma tutti erano giovani, laggiù nella strada. E partivano, e partivano continuamente. E nessuno tornava (.…. ] Adesso ho trentasette anni; di tutti gli uomini che esistono, nessuno mi ha voluto come sua compagna; e la mia vita, dal punto di vista della felicità terrena, è completamente rovinata. "Quando io ero in età da marito, scoppiò la grande guerra. Ci furono seicentomila morti e trecentomila invalidi. Alle ragazze di quel tempo, venne a mancare un milione di probabilità per sposarsi. Ehi, un milione è un milione! Non credo di ragionare da folle se penso che uno di quei morti avrebbe potuto essere mio marito!» Pure la lunga e fiduciosa attesa della felicità (che è, come ha insegnato Leopardi, passata o futura ma mai presente) da par te di Federico, protagonista della prosa Felicità, l'improvviso avvertimento di essa e la lucida consapevolezza della sua irripetibilità prefigurano e rappresentano in breve le articolazioni di un tema molto caro a Brancati. Contemporaneamente, si precisa, altresì, una inequivocabile ricerca morale in racconti come Due dialoghi, Il vecchio conte, Una formica. La decisa richiesta di una disciplina e di un ordine della scrittura, che non esita a formularsi nel paradosso "sii mediocre ma preciso, oppure la convinzione che la vita senza moralità non è vita annunciano, invero, per tempo, la duratura vocazione moralistica dello scrittore siciliano. Per non tacere della più graffiante vena satirica che si manifesta in Ballo di carnevale o in Fine di pran- 20; quella stessa che più tardi alimenterà le inconfondibili Lettere al direttore, parte dei Piaceri e molte pagine del Brancati polemista. Infine in due racconti del '32 la presenza di una serie di riflessioni sul rapporto tra arte e vita attesta il dilatarsi della ricerca brancatiana. Il primo, Giorni del vecchio genio, rivolge, infatti, l'attenzione al problema della separatezza dell'artista condannato alla condizione di voyeur, a restare, cioè, escluso dalla vita vera e dal circuito degli affetti reali; l'altro, Nella mia ombra, la sposta, con un delicato introdursi nelle pieghe dolorose di una sofferta umanità, sul problema, apparentemente diverso, della interazione tra vita e arte, del limite incerto che separa la finzione dalla realtà. Sicché il rimpianto provato dal vecchio genio per essersi lasciato "sfuggire un'occasione per amare ed essere amato "riconduce al disagio provato dal giovane protagonista che nell'ombra della sua stanza dubita della verità del dramma narrato: «Forse, io ho soltanto creduto di udire; e laggiù non è accaduto nulla; e tutto è accaduto in me» La nuova tensione conoscitiva di In cerca di un sì. È perciò significativo che l'autore attinga proprio all'officina creativa di questi anni per dare inizio alla sua prima raccolta. In cerca di un sì, con la coppia di racconti autobiografici Stagione calma e Il nonno, da lui stesso datati, in calce, rispettivamente 1933 e 1934. Non è casuale, d'altra parte, che egli preferisca in dicare la data reale di composizione rispetto a quella di pubbli azione in rivista, per segnalare un distacco irreversibile e un mutamento radicale. I due racconti si possono leggere, infatti, come momenti complementari di un unico discorso narrativo che nell'esperienza autobiografica ricerca una nuova autenticità e trova l'occasione per elaborare nuove coordinate conoscitive. La stampa in corsivo di Stagione calma contribuisce, d'altra parte, a fare già di questo racconto l'insegna di un percorso inedito che si espliciterà meglio nelle brevi ma decisive aftermazioni programmatiche della prosa dedicata al nonno. Il ricordo di una "'stagione calma", e perciò felice, della passata fanciullezza, si combina, dunque - nel riannodare i fili di una più partecipe memoria autobiografica, scaturita dalla rievocazione della figura del nonno -, con l'impegno esplicito a tornare alla semplicità e alla verità della fanciullezza: Quell'anno, non s'era vista un'ala nel cielo, e la mia prima età era morta. Mi rimaneva ancora un'altra età: il tempo per essere onesti, per essere veritieri, e soprattutto semplici, io l'avevo ancora! Che non si tratti di un nostalgico voltarsi indietro, ma della necessità di operare una svolta densa di conseguenze, trovando dei punti di forza in un passato come "valore", è confermato peraltro dall'autoesame che fa il protagonista-autore a un certo punto delle sue riflessioni: ....a lei, alla fanciullezza, io avrei dovuto sempre voltarmi se avessi voluto essere spontaneo e veritiero. Ma ero stato sempre spontaneo e veritiero? E non avevo invece mostrato le ossa, come un cavallo magro che tiri il suo carro da un fossato, nel tristissimo sforzo di essere diverso da quello che sono? Il senso pieno di tale interrogarsi si chiarisce poi in tutta la sua portata innovativa se viene integrato con la lettura delle pagine dedicate più tardi dallo scrittore, nei Fascisti invecchiano, all'errore dei vent'anni. Esse fanno comprendere meglio a quale "'tristissimo sforzo" alludesse lo scrittore mentre era ancora tutto dentro a una profonda trasformazione: ... sui vent'anni io mi vergognavo sinceramente di ogni qualità alta e nobile e aspiravo ad abbassarmi e invilirmi con lo stesso candore, avidità, veemenza con cui si sogna il contrario. Forse a causa della mia gracilità (e un poco delle letture...) io guardavo con stupita ammirazione, come a statue di Fidia, a quelli fra i coetanei ch'erano i più robusti e i più idioti, e avrei dato due terzi di cervello per un bicipite ben rilevato. La preoccupazione di porre, dunque, un discrimine, una linea netta di demarcazione cronologica nella propria biografia avrà influito non poco nella scelta del '39. Ma, oltre a queste motivazioni, pure la voglia di presentarsi come autore di racconti di ampio respiro e di architettura complessa dovette contribuire a lasciare in ombra prose che avevano invero annunciato per tempo il Brancati più autentico. Cosicché dopo le due brevi prose introduttive che fungono da biglietto da visita e da carta di credito, il racconto eponimo esibisce una più consolidata abilità compositiva. Qui 'espediente del sogno consente di passare dal puro rilievo sociale e di costume, che si svela solo nelle pagine conclusive, all'indagine morale e alla riflessione esistenziale. La ricerca di un sì, che permetta al protagonista di tornare in vita, scaturisce da una consimile e più concreta richiesta che gli dia semplicemente la possibilità di lavorare. Tuttavia, se il mancato assenso del commendatore, nella cui anticamera Riccardo si arrende al sonno, priva questi di un'occupazione, quello degli amici da cui, nel sogno, si reca pieno di fiducia lo priva, nientemeno, del permesso di continuare a vivere. L'osservazione di un fatto preciso della realtà si rivela, pertanto, un'occasione per un approfondimento morale, per un lucido esame esistenziale. L'atmosfera surreale del racconto punta, come si vede, dritto all'apologo. E, invero, l'intera silloge rinviene nell'apologo il suo elemento qualificante. Si tratta, infatti, di storie comuni, di vicende anonime che però uno scatto inventivo, una trovata narrativa rendono esemplari: il sogno di Riccardo, l'ordine non revocato agli abitanti del villaggio, in Il sogno di Lucia, la scoperta della segreta vocazione poetica dell'impassibile e infaticabile "ispettore" morto sul luogo del lavoro, nel racconto eponimo. L'esigenza per così dire, didascalica, comunque, si coniuga spesso con l'ironia e la comicità. Nel racconto Il posto, per esempio, la critica della pratica clientelare, del qualunquismo morale, del vuoto culturale passa attraverso la divertita storia di Ninì Padeni, il giovane di buona famiglia e di buone amicizie che in virtù di esse riesce a procurarsi il tanto sospirato"posto;, in uno degli Enti dell'Italia fascista. Una serie di elementi in realtà determina un'atmosfera comica: il semianalfabetismo del protagonista, sebbene laureato in legge, la ricerca del posto non per bisogno ma per coronare il sogno d'amore con la cameriera Luisa, il ricorso succede quando, battendo a una finestra del Sud, allunga i suoi raggi nella stanza: prima trova una donna seduta quieta quieta con le mani aperte sulle ginocchia, poi trova un cavallo di cartone, la sedia di un bambino, un tavolo, un letto, due poltrone; e se distende ancora di più il suo filo di luce, trova un secondo letto, una scrivania, una libreria, un vecchio che dorme col mento sul petto, le labbra aperte e la pipa fra gli ultimi denti; può ancora trovare una cartina geografica, un grosso orologio a pendolo, fotografie di parenti e di amici, un lavabo, un fucile, una chitarra [..]. Di solito quando la sera, al tocco della luna, alla superficie nera di un vetro di balcone, affiorano capi di materassi, trespoli, punte di tavolini, mezzi quadri, un naso da una parte e una nuca dall'altra, e in fondo brilla il piede nudo di un bambino, io ricordo tutta intera la mia vita, i molti anni che ho passato stretto fra canterani, tavolini, casse, armadi, letti. Fra armadi, canterani, immagini sacre, mobili ammassati di ogni tipo conducono la loro vita i personaggi di una Sicilia che, raffigurata in "'spazi brevi", in aspetti minimi, ben presto si dilata in una dimensione surreale. Gli oggetti, connotati affettivamente, con la loro presenza colmano il vuoto dell'esistenza, i '"prosaici oggetti" che l'amore per una ragazza, per esempio, può far subito brillare "misteriosamente al pari delle stelle" (come accadrà pure nella Casa felice), riverberano l'energia affettiva ricevuta e sanciscono l'equilibrio di un mondo minore fatto di piccole esistenze, popolato da uomini senza qualità. In mezzo a una ressa di cose, di voci e rumori, dopo averli fuggiti, ripara e s'acqueta, abbandonandosi al "piacere del sogno", il più esile e disarmato personaggio della famiglia Occhipinti, il giovane avvocato Giorgio, detto lo"spinzo"protagonista del racconto Rumori. Egli porta impressi i segni somatici di un'incapacità alla vita che un "tedio sconfinato e un "cuore nero come la pece", a fatica domati, svelano eloquentemente. Né si deve ritenere che il tedio leopardiano di Giorgio sia contraddetto più tardi dall'ottimismo ingenuo, dalla vocazione ostinata alla felicità di Luigi Panarini, protagonista del racconto La casa felice, Entrambi condividono, infatti, la difficoltà a ricono scere la realtà, a aderire pienamente al ritmo e alle leggi della vita. Entrambi chiedono a essa pochissimo e pongono la meta dei loro desideri nella sfera dell'illusione. Come per l'uno la felicità, ravvisata in tutto ciò che lo circonda, è soprattutto una disposizione a percepire, o meglio a trasformare, positivamente il reale, per l'altro il disagio di fronte all'inutile tramestio del vivere è una condizione superabile nella pacificante ricomposizione del sogno, nel cui supremo e ineguagliabile piacere si smorzano i "rumori" presenti e possono essere rimpianti quelli odiati del passato:Ma ogni nuovo rumore e voce trovava Giorgio sempre più calmo. E spesso, la sera, quando il raggio delle stelle riusciva a infilarsi, tra comignoli, tetti, mensole, inferriate, nei vetri del balcone, e il tappeto per terra si inargentava, egli, seduto al buio come il padre, ricordava i giorni trascorsi. E lo addolorava che alle voci e ai rumori di oggi non si unissero quelli più fragorosi del passato. Insieme a Giorgio Occhipinti, ai dongiovanni catanesi, molti altri personaggi dei racconti degli anni Quaranta trasferiscono e appagano, sul piano dell'immaginazione, le loro aspirazioni più segrete e autentiche. Per tutti parla la malinconica storia dei tre protagonisti di Una serata indimenticabile, racconto nel quale, come in un riflettersi di specchi, vita vera e vita immaginaria si rinviano reciprocamente. Sognare "nel luogo stesso che i sogni avevano visitato" è per questi timidi Charlot il momento in cui culminano e si frantumano le speranze caparbie e inarrendevoli di tre esistenze vuote e fallimentari. La parabola negativa dell'intellettuale novecentesco si spinge qui fino alla soglia paralizzante dell'inconsistente e velleitaria condizione di questi sedicenti poeti, romanzieri e commediografi. La serata a casa Maletto costituisce un irreversibile momento di frattura. Luisa, oggetto di tante delicate fantasie, misura rassicurante attraverso cui vedere il mondo, a distanza breve, a uno sguardo ravvicinato, rivela la propria inesorabile caducità. Ai grati rituali dell'immaginazione, al fragile equilibrio di un'umanità inerme e spaesata subentra così 'inevitabile domi- nio della delusione, la comicità cede il passo alla malinconia e apre le porte al dramma: Si trattava di andar via. I tre letterati si guardarono in viso, bianchi di paura e di sconforto. In tal modo, dunque, terminava la serata? Dopo dieci anni di passeggiate sotto i balconi, finalmente erano ammessi, per una volta, nella casa in cui appena appena solevano entrare i loro sguardi, finalmente vedevano Luisa da vicino; ma prima che una sola parola di uno solo di loro arrivasse a lei, una malattia, scoperta improvvisamente, la rapiva ai loro occhi. La malattia di Luisa non è solo un episodio casuale, legato all'economia del racconto citato, ma è la spia di una profonda aritmia dell'esistenza. La meta del desiderio non può e non deve essere raggiunta, pena la scoperta dolorosa della verità, condizione indispensabile della felicità è l'illusione. Su queste modalità dell'essere è fondato essenzialmente il microcosmo brancatiano e ne è regolato anche quando per un momento sembrano mutare le condizioni del reale. Valga come esempio la Storia di Mila che, in una prospettiva ribaltata, conferma l'impossibilità di instaurare un rapporto con la realtà, l'impossibilità di riconoscerla anche quando, cioè, essa ha tutti gli elementi per essere positiva e favorevole. Perciò l'avvocato Occhipinti e il figlio Giorgio realizzano la loro professionalità nel dibattere cause fittizie e i dongiovanni esprimono la loro natura più profonda quando fantasticano sulla donna, Panarini si ostina a vedere il bello e il buono, anche dopo avere assistito allo sfacelo e agli orrori della guerra, e Mila non saprà mai quanti siciliani abbiano tremato per lei. Nella sproporzione e nel contrasto tra vita vera e vita immaginaria si realizza e riassume il breve, e però vitale, ciclo di un'umanità popolata da diversi, da falliti che ignorano il proprio fallimento, da sconfitti che non si arrendono, e, in altri termini, da mediocri, che nell'intimo si sentono artisti, poeti, e rivendicano il diritto di esistere in un mondo frustrante, deludente e privo di significato. Attraverso l'occhio e la sensibilità di tali poeti mancati - si ricordi, fra l'altro, che il loro poeta prediletto, loro poeta per eccellenza, è D'Annunzio - come attraverso una lente capovolta, il grande viene abbassato, viene portato a una dimensione quotidiana e il piccolo ingrandito fino a divenire metafora di un disagio e di un malessere che travalica le loro storie e i loro destini individuali. A una simile visibilità alterata si collega poi, appropriatamente, la scelta stilistica, che effettua sul piano dell'espressione l'accostamento di grandezze diverse, la combinazione di insignificanza, mediocrità e segreta, intima vocazione alla bellezza e alla felicità, Perciò se il registro ironico qualifica essenzialmente la pagina brancatiana, il suo primo segno distintivo è il ricorso all'iperbole e al paradosso, che consente il passaggio dal piano della disadorna, banale quotidianità a quello della fantasia e dell'invenzione. Vale senza dubbio, per la scrittura di Brancati, quanto afferma, con grande forza polemica, il Vivian della Decadenza della menzogna di Oscar Wilde: "L'arte stessa è in realtà una forma di esagerazione; e la scelta, che è lo spirito stesso dell'arte, non è niente di più di una maniera intensificata di super-enfasi". Questa "forma di esagerazione"che in Brancati si realizza anche in una sorta di calcolata attenuazione, alimenta, sostiene e dà lo scatto fantastico alla frusta, anonima, prosaica provincia siciliana. In virtù di essa i ripetuti "mah!" dello zio Ciccio (Pipe e bastoni), nell'apparente bonaria perplessità svelano le numerose incongruenze del vivere; la decisione ostinata del giovane Triglino di dare un "'bacio" al Sovrintendente (Il bacio) mette in subbuglio le autorità di Milletari e provoca il trasferimento del commissario Colleroni; l'intensa amicizia fra Francesco Zappulla e Corrado Nicolosi (Nemici) si trasforma improvvisamente in un'inimicizia e un odio accesissimi. Come pure a una accentuazione espressiva puntano la similitudine, preferita alla metafora per esibire rapporti fra cose lontane o antitetiche, e la geminazione triplicazione dell'aggettivo, del sostantivo e del verbo, che in alcuni casi si gradua in una vera e propria climax: Leggeva, rileggeva, leggeva ancora, non capiva, gongolava,capiva, gli si appannavano gli occhi, vedeva cose invece di pa pole, rivedeva parole ma grandi come attraverso una lente, poi piccole e in movimento come schiere di formiche, svolazzanti come farfalle in aria, le rinunciare, naturalmente, ai procedimenti linguistici e alle tecniche espressive fin qui felicemente sperimentate, anzi portando all'estremo quella ricerca di immagini ardite e insolite, di gesti e parole dalla qualità e dallo spessore inediti che lo scrittore aveva concretamente esplicitato nei Piaceri della disperazione: Finalmente, verso sera, cerco di farmi più ragionevole, e dare al mio sentimento un maggior numero di parole [...] Spiegare a me stesso che, dopo vent'anni di noia, avrei il diritto di sce- gliere un momento qualunque, anche nel mezzo di una conversazione in casa d'altri, per gettare un grido inconsulto, ma di tal forza che spegnesse i lampioni e le stelle. Non sarò affatto ridicolo, se mi recherò nella chiesa più lontana, posta al di là di un impraticabile cammino, per ottenere da un piccolo santo di villaggio che il mio sbadiglio acquisti la forza e la rabbia di un morso di leone, in modo che, con un solo sbadiglio, io possa staccare netta la testa di colui che mi sbraita noiose e prepotenti bugie… Lo stadio finale di una graduata raffigurazione di stati interiori è contrassegnato, in questa pagina, dalla ricerca del' che diano corpo al sentimento " un grido inconsulto" e "uno sbadiglio' mirano ad acquistare una forza imprevista, a rivelare tensioni esistenziali e morali. Per cui definire i propri tempi noi i e annoiarsi, biascicare in sonno vari cornuti e bestie all'indirizzo dei gerarchi fascisti, sbadigliare si caricano immediatamente di insospettate valenze semantiche. L'antifascismo brancatiano non si potrebbe comprendere in tutta la sua forza corrosiva senza tenere presenti queste sue scelte linguistiche che sono più propriamente forma di opzioni ideologiche. Di noia soffre, infatti, Domenico Vannantò, il protagonista memorabile del racconto La noia nel '937. Lo scrittore, combinando sin dal titolo, in una relazione oppositiva, una data della storia recente con uno stato interiore negativo, opera, con il suo abituale procedere per paradossi, un deciso ribaltamento di valori, Lo sguardo morale, come si può facilmente notare, nel trasformare ad arte la noia in valore antitetico ai miti del regime fascista, sottrae l'esame della realtà a qualsiasi forma di falsiticazione e ne denuncia gli inganni. E di "sbadigliarella" soffre il più anonimo, il più insignificante dei personaggi brancatiani, Aldo Piscitello. Il dissidio tra 10 e realtà, tra individuo e società, acquista attraverso la sua vicena un'esplicita connotazione temporale. Il pessimismo esistenziale si accresce di una cocente delusione storica. Sulla storia esile, sull'insospettabile e silenziosa ribellione di un uomo comune (iscritto al partito fascista per forza di cose ma nell'intimo antifascista), sulla rappresentazione, in altri termini, di un antifascismo non combattivo, non eroico, ma silenzioso e segreto Brancati riformula e arricchisce il proprio codice narrativo. Il racconto si realizza, con una cifra originale e inconfondibile, in termini paradossali: quanto più anonimo è il personaggio tanto più paradigmatica e corrosiva vuole essere di rimando la sua ribellione all'oppressione del regime. Se anche un uomo "mite, che non aveva grandi ideali né ambizioni né bisogno di spazio e libertà per i suoi progetti" sente maturare dentro un sentimento irrefrenabile di rivolta a lui prima sconosciuto, sente invadere il suo silenzio da parole confuse ma risentite, vuol dire che si è giunti a un punto di disumanità, di imbarbarimento superiore a ogni possibilità di sopportazione. Una vicenda anonima, dunque, che solo per opera della scrittura diviene esemplare. La presenza costante dell'autore, che si fa biografo di una vita insignificante, è determinante. Egli si introduce abilmente nella pagina attraverso l'artificio retorico delle ripetute interrogative, il gioco delle ipotesi e la conclusiva esibizione dei pochi dati certi a disposizione che sono, ovviamente, il più delle volte, dati a bella posta irrilevanti: Che cosa abbia fatto in questo tempo Aldo Piscitello, io non lo so: mi mancano molte notizie e mi mordo le mani. Posso dire solo questo: che il suo odio si fece sempre più ardito e perfetto, le sue parole più impacciate e insignificanti, e i suoi sbadigli più lunghi. Credo che anch'egli fosse in piazza Venezia, quando Mussolini domandò agli squadristi se amassero la vita comoda, e quelli, appunto perché l'amavano teneramente, e non volevano essere incomodati dai questurini, risposero con un urlo: «No! Non l'amiamo, la vita comoda! Vogliamo la guerra! Ci piace star male!» (...] Ma qui di nuovo lo perdo di vista, e lo ritrovo nella mia città, dentro lo sgabuzzino di una farmacia, mentre un signore in camice bianco pizzica la chitarra e canta: In te rapito, al suon della tua voce lungamente sognai. [..] E dopo? Dopo, cosa disse e fece? Sinceramente non lo s... So questo però che, nonostante Aldo Piscitello avesse una gran paura degli allarmi, e corresse primo nel rifugio, con un bambi.no in braccio e la moglie dietro che gli portava le bretelle, tuttavia diventava rosso come un tacchino quando gli dicevano che le bombe inglesi s'erano prese l'umido nelle cantine di Malta e non scoppiavano. [...] Ma ecco ormai la storia di Piscitello volge al termine. Che cosa narreremo di lui? Che dormi quasi una settimana, con pochi intervalli di luce?. La vigile presenza dello scrittore colma le carenze del personaggio che si rivelano e riassumono soprattutto in una sofferta semiafasia. Il momento più importante di questo scambio vitale è quello in cui fra le stentate parole di Piscitello si fa spazio un diverso eloquio: Egli si levò a sedere accanto a lei e, ficcandole gli occhi negli occhi: «Sì,» disse «hai detto la verità: non mi piace che l'Italia vinca!» «E perché?» Ahi! Come al solito, Aldo Piscitello non lo sapeva. Ma sapeva che un perché c'era e scintillava di notte sul mondo come un cielo stellato, e splendeva di giorno come il sole. Afferrò allora il mento della moglie e, facendole una moina infernale, accosto accosto, sino a fregarle il naso sul naso, coi denti stretti e le labbra spalancate, sillabò: «Perché non mi piace!» [...] Il colloquio con la moglie, lo riprese bruscamente cinque sere dopo, con le seguenti parole: «lo uscivo pazzo per l'Italia! Quando sentivo la Marcia Reale, mi veniva sempre da piangere... Ma questa» aggiunse con un tono insolito «non è l'Italia, questa è un pugno di mascalzoni che vuole versare il nostro sangue per opprimerci ancora di piùl Se quest'Italia vince, gl'Italiani perdono la... la... il... » Qui inciampò e, voltandosi cautamente di fianco, come uno scolaro, cercò di gettare lo sguardo nel foglietto che teneva dentro la palma e nel quale aveva copiato alcune parole sentite al caffè. Gli inermi personaggi di una provincia distratta e lontana sono costretti, così, a confrontarsi con i mostruosi eventi della storia. Quel mondo disadorno e comune, che attraverso l'iperbole si era consegnato in una dimensione comica, a tratti surreale, ora si tinge di una nota amara e, nei momenti più drammatici, approda a esiti espressionistici. Sono i momenti in cui i piccoli, pacifici, uomini di Brancati gravati inesorabilmente dal dolore e dalla violenza di un tempo disumano si deformano e raccontano col corpo, più che con le parole, il proprio orrore e la propria angoscia. Sarà allora il viso "privo di sangue, di curiosità e perfino di sguardo", abitato da insetti che ne aumentano "per contrasto il candore", a rappresentare il triste epilogo che l'inanimato e silenzioso Aldo Piscitello non saprebbe mai raccontare. Sarà il corpo grommoso e sozzo di Giuseppe Gandolfo, invaso dalle cimici, a dire tutto il raccapriccio e la repulsione per la violenza degli uomini, nel racconto La doccia: Spense la lampada e chiuse gli occhi. Il timore di non riuscire a dormire fra quelle sensazioni viscide, risultò infondato: al contrario, gli parve che una notte più alta, ed eterna, gli camminasse sulla fronte col passo di quegl'insetti; ciascun vellicamento all'esterno del corpo gli strappava via dall'interno un sogno o un pensiero, rendendogli più duro, e pesante, e sotterraneo, il sonno. Nel tardo mattino, accese di nuovo la luce, e vide la folla infinita delle proprie gocce di sangue correre nera verso i margini del letto, rintanarsi, al di là delle lenzuola, nella rete di ferro [...]. Stava quasi per ribellarsi, per chiedere acqua, sapone, luce, amore, felicità, dignità... ma non fu che un momento: di nuovo il sorriso amaro gli apparve sulla bocca, di nuovo l'occhio gli si velò, di nuovo l'animo spaurito cercò bramosamente il conforto che gli mandava, attraverso i pori di tutta la pelle, la sozzura. Sarà ancora lo sguardo stravolto dalla paura di Giovanni Damigella, il protagonista di uno dei racconti più implacabili di Brancati, Passo del silenzio, a denunciare le indicibili offese arrecate dalla guerra. I suoi occhi, che guardano dalle orbite bianche cacciando le pupille fin " quasi dentro la fronte", traducono visivamente il dramma di una coscienza scrive tra il '46 e il '49 alcuni racconti particolarmente graffianti come Un giudice solenne, Questa vita secondo natura, Un'uomo evoluto" alla messa di mezzanotte. Tra l'inizio e la fine Quanto più lo scrittore vede tradito il proprio ideale di democrazia, vede disatteso l'esercizio equilibrato e vigile della giustizia, tanto più egli insiste a svelare i retroscena dell'intolleranza e della severità eccessiva. L'apologo del giudice troppo solenne che si erge a supremo arbitro («Il giudice è al di sopra di tutto e tutti» egli si trova a dire) nell'Italia post-fascista, celando di essere stato in passato esplicitamente schierato con il regime, vuole le mettere in guardia contro i pericoli che insidiano la nascente repubblica. Allo stesso modo lo scrittore vuole smascherare l'anticonformismo di maniera, come, per esempio, quello dell'avvocato Trombetti, protagonista del racconto Un "uomo evoluto" alla messa di mezzanotte, la cui critica dell'ipocrisia e dell'arretratezza religiose viene presto smentita dalla casuale rivelazione di un suo nascosto feticismo. La progressiva e irreversibile divaricazione tra lo scrittore e la società del suo tempo è attestata ancora da racconti come Lo straniero scontento e Questa vita secondo natura, dove il disamore per l'età presente rinvia alla scoraggiata constatazione di una sempre più diffusa grossolanità intellettuale e di una dilagante povertà morale. La sezione che nel presente volume raccoglie gli scritti sparsi, pubblicati dal 1936 al 1952, già riuniti in Sogno di un valzer (tranne Scirocco, L'isola, Letizia e La signorina Carla), viene così a costituire l'interessante campionario di un work in progress, un laboratorio di sperimentazioni, che, trovando nella destinazione giornalistica uno sbocco immediato, a volte anticipa, a volte doppia quasi in parallelo temi e invenzioni presenti anche nei romanzi e in alcuni racconti più famosi. E il caso, per esempio, di Calunnia richiesta che nella valenza ambigua del personaggio di Luigi non solo dà notizie sul tipo del dongiovanni (e Notizie su un dongiovanni era il titolo originario del racconto pubblicato una prima volta nel '39) raffigurato da Brancati, ma prefigura il destino fallimentare del Bell'Antonio. L'insistita presenza in alcuni racconti di topoi tipicamente brancatiani arricchisce e conferma, inoltre, quella ricognizione di un'umanità popolata di inetti e di inarrendevoli cultori del malinteso che si realizza in modo particolarmente originale negli Anni perduti, nel Don Giovanni in Sicilia, nel racconto RumoMi. Il motivo delle questioni e delle cause fittizie, dibattute nel libero e disinteressato spazio del caffè vicino al tribunale (Auvocati sottili, 1940), introduce, infatti, la più complessa situazione esistenziale e la finissima atmosfera comica di Rumori. Come pure con le medesime modalità inventive del Don Giovanni viene rappresentato l'innamoramento del taciturno Alberto, protagonista gonista di Poche e molte parole. Qui, come in questo romanzo, il trascorrere monotono e incolore di una vita senza avvenimenti da ricordare viene interrotto dagli effetti del sentimento amoroso che produce in primo luogo rivolgimenti comportamentali: il taciturno Alberto stupisce con un'improvvisa loquacità i familiari increduli alla stessa maniera in cui Giovanni Percolla con una serie di segnali inequivocabili disorienta e sorprende le devote e smarrite sorelle: Così, da ventisette anni, viveva nel più assoluto silenzio, quando s'innamorò. Il segnale di quello strano avvenimento fu dato da una canzonetta, precisamente "Non partir!" che non abbandonò più le labbra di Alberto. La madre ascoltava stupefatta questo insolito e continuo suono che veniva dalle labbra del figlio. [...] Cominciò per Alberto una vita singolare. Si alzava alle otto e andava a rifugiarsi nello stanzino buio in cui era impiantato il telefono. Il buon Giovanni rincasò, come al solito, alle due del pomeriggio. Ma invece di andare a chiudersi nella propria camera, con una maglia sotto l'ascella, andò nello stanzino da toeletta e chiese dell'acqua calda. Subito gliene fu portata una brocca. Ma Giovanni gridò, da dietro la porta a vetri smerigliati: «Con questa non mi lavo il naso!». Le tre sorelle si guardarono a vicenda. [...] Alle cinque del pomeriggio, ora di cui Giovanni ignorava l'aspetto e la luce in qualunque stagione e mese, perché l'aveva sempre dormita, si udì dalla sua camera un suono prima inarticolato, come "Tara..lla, tara...lla; uhuu, nanana"; poi più chiaro, infine quasi melodioso. Le tre donne si avvicinarono in punta di piedi alla porta del fratello; anche la serva le raggiunse con la scopa in mano. Origliarono. «Canta» disse Barbara, agitando le mani convulsamente, «Canta!» E subito si ritrassero spaventate, al rumore del suo passo che si avvicinava. Per non dire di racconti come il Sonno di Petronio e Un architetto sfortunato che orbitano nello stesso ambito ideativo dei due romanzi citati. La storia dell'architetto Emanuele Villani ripro pone addirittura nella prima parte quasi integralmente, salvo minime varianti, l'episodio che ha per protagonista Rodolfo De Mei negli Anni perduti. La parabola del protagonista del Sonno di Petronio è, poi, simile a quella di molti personaggi brancatiani che si realizzano nella dimensione del sogno e sono mortificati dalla prosaica realtà. Luigi Cardillo, detto Petronio,"maestro e poeta della città", fabbricante di sogni con la sua vetrina sempre scintillante di novità, assomma in sé le funzioni di Buscaino e di don Procopio ma come costoro vive, a patto di allontanare la nuda realtà. Il suo insonne impegno di fantasioso arbitro del gusto cittadino è, pertanto, destinato a trasformarsi, sotto il dominio del prosaico amore di una corista, in una "brutale stanchezza" e in un sonno "amaro" "come la morte di un eroe". Ad apertura di quest'ultima sezione c'è infine, ora, il racconto Scirocco, pubblicato nell'«Italiano» di Longanesi, le cui pagine andarono poi, salvo piccole modifiche, dovute alla diversa destinazione, quasi integralmente a far parte del romanzo Gli anni perduti. Ed è un'ulteriore conferma di quanto fosse stretto per Brancati il rapporto tra l'esercizio della prosa breve e l'elaborazione di più complesse architetture narrative. A questo esempio di interscambio tra racconto e romanzo fa seguito l'apologo L'isola, pubblicato sul «Selvaggio», il 15 maggio 1936 (è peraltro una coincidenza emblematica che questo gruppo di racconti si apra sotto l'egida di due riviste dirette da due intellettuali fascisti anticonformisti, a siglare la svolta etico-conoscitiva dello scrittore siciliano). Qui Brancati immagina, ambientato in un futuro lontanissimo, un insolito fenomeno tellurico che, invece di catastrofiche distruzioni, provoca un grottesco vomito in tutta la popolazione. Abbiamo visto, a proposito dei racconti della guerra, come Brancati, di fronte a fatti sconvolgenti e disumanizzanti, si serva di elementi fisiologici per denunciare il grado insostenibile di imbarbarimento raggiunto. Nell'Isola egli ricorre a questo fisiologismo, mi pare, per riassumere con un'immagine forte e insieme ironica il senso negativo delle recenti vicende storiche. Con tutto ciò, sia pure in un contesto approssimativo, egli manifesta un'apertura verso un futuro diverso, sì da ipotizzare la possibilità di "una novella storia". Lo scrittore si avviava così a dare il frutto maturo di una ricerca iniziata, come abbiamo già visto, alcuni anni prima: il disagio esistenziale, la tensione morale e il rilievo sociale trovavano, da questo momento, un irripetibile equilibrio al riparo di un'insonne disciplina della ragione. Questa fase di grande fiducia nell'esercizio razionale durerà (e lo si è ampiamente notato nelle pagine precedenti) finché l'immane catastrofe della guerra non produrrà una frattura irreparabile. La sfida razionalistica di Brancati, pertanto, sarà vanificata prima da una realtà divenuta caotica e incomprensibile e poi dalle nuove e sottili falsificazioni dell'Italia della ricostruzione postbellica. Ancora una volta, quasi a conclusione della parabola brancatiana, il rinvio al corpo, l'insistita osservazione dei suoi più crudi meccanismi fisiologici, vorrà additare tutta l'incongruenza e la gratuità della violenza umana. Nelle Confidenze di un matto, attraverso la coerenza argomentativa del.. follia (gli uomini vengono visti, dal protagonista, rivoltati, cioè con le interiora all'esterno del corpo, e, come tali, considerati e giudicati), viene ribadita, con tecnica estraniante, la precarietà e la vanità di qualsivoglia sforzo pratico e intellettuale: Ma come, loro?, gli uomini?, questi esseri superiori, capaci, come me, di racchiudere, nel giro fulmineo di un pensiero, il concetto dell'universo o il sospetto di Dio [...]. E anche lui, il filosofo, mentre gettava uno sguardo sereno e altero sulle cose che gli stavano intorno, e il poeta, mentre le vagheggiava come
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