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Breve storia del pensiero economico - Roncaglia, Appunti di Storia Del Pensiero Economico

Riassunto abbastanza dettagliato del libro Breve storia del pensiero economico - Roncaglia.

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 20/06/2018

AlexG1992
AlexG1992 🇮🇹

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Scarica Breve storia del pensiero economico - Roncaglia e più Appunti in PDF di Storia Del Pensiero Economico solo su Docsity! 1 BREVE STORIA DEL PENSIERO ECONOMICO – A. RONCAGLIA CAPITOLO 1 INTRODUZIONE: A COSA SERVE LA STORIA DELL’ECONOMIA POLITICA? 1 Perché la storia del pensiero economico è considerata inutile: la concezione cumulativa  La storia del pensiero economico (SPE) è essenziale per chiunque sia interessato a capire come funziona l’economia.  Questa tesi si contrappone oggi a quella secondo la quale la SPE non è necessaria per il progresso della ricerca. La tesi anti-SPE si fonda su una concezione cumulativa secondo la quale l’analisi economica è caratterizzata da una progressiva ascesa verso livelli sempre più alti di comprensione della realtà economica. La concezione cumulativa è connessa al received view (1920, versione semplificata del positivismo): gli scienziati lavorano applicando i metodi dell’analisi logica al materiale fornito dall’esperienza empirica, dove è possibile stabilire come risultati di tale lavoro criteri oggettivi di accettazione o rifiuto.  Enunciati analitici, relativi al ragionamento teorico astratto, se sono tautologici (implicazioni logiche degli assunti di partenza) vengono accettati, se sono auto-contraddittori (hanno incoerenze logiche) vengono respinti.  Enunciati sintetici, relativi al mondo empirico, sono confermati o contraddetti dall’evidenza empirica.  Enunciati metafisici, tutti gli altri enunciati per i quali non è possibile individuare analoghi criteri di accettazione o rifiuto (sono esterni al campo della scienza). Questa concezione, anche se è stata sottoposta a critiche severe resta la base per la concezione cumulativa della scienza economica, cioè dell’idea che ogni successiva generazione di economisti contribuisce con nuove proposizioni, analitiche e sintetiche, al fondo comune della scienza economica, che è definita univocamente come l’insieme delle proposizioni accettate come vere relative alle questioni economiche. Viner, tra i sostenitori di una concezione cumulativa, propone una difesa della SPE, richiamando l’importanza della scholarship, che contribuisce all’educazione dei ricercatori, in quanto “impegno al perseguimento della conoscenza e della comprensione”. L’educazione alla ricerca diventa un prerequisito per sfruttare al meglio la conoscenza degli strumenti analitici (similitudine con Schumpeter), così viene attribuito alla SPE un ruolo importante nell’educazione del ricercatore. 2 La concezione competitiva Negli ultimi decenni numerosi economisti hanno richiamato Kuhn (“le rivoluzioni scientifiche”) e Lakatos (“i programmi di ricerca scientifica”) per sostenere l’impossibilità di una scelta tra impostazioni teoriche diverse basate sui criteri obiettivi indicati dal positivismo logico. Alcune critiche riguardano: 1. La separazione netta tra enunciati analitici e sintetici. Gli enunciati analitici, intesti come proposizioni logiche sono privi di riferimento al mondo concreto e quindi non adatti all’interpretazione dei fenomeni reali. Gli enunciati sintetici, sono condizionati dall’accettazione di una lunga serie di ipotesi teoriche che non possono essere valutate separatamente. Pertanto, non vi sono criteri obiettivi univoci per valutare gli enunciati analitici o sintetici. 2. (Viene da Popper) Per quante conferme vengano avanzate a favore di un enunciato empirico nulla può escludere che in un momento successivo ci si imbatta in un caso contrario (es. “tutti i cigni sono bianchi”). Lo scienziato non può pretendere di verificare una teoria, cioè di dimostrarla vera una volta per sempre, può solo accettarla provvisoriamente. L’influenza di alcuni storici e filosofi della scienza, Kuhn, Lakatos, Feyerabend, contribuisce, negli ultimi decenni del XX sec., all’abbandono della metodologia positivista nel campo della ricerca economica.  Per Kuhn, lo sviluppo della scienza è suddiviso in stadi. In ciascun periodo di “scienza normale”, un paradigma viene accolto come base per la ricerca scientifica. A questo processo di crescita della 2 “scienza normale” tuttavia si accompagna l’accumulazione di anomalie ed il crescente malessere che ne deriva favorisce una “rivoluzione scientifica”, cioè la proposta di un nuovo paradigma; significando così un nuovo stadio di scienza normale. I diversi paradigmi sono incalcolabili fra loro, ciascuno di essi costituisce una diversa chiave interpretativa della realtà.  Lakatos, propone un modello normativo, attraverso la sua metodologia dei programmi di ricerca scientifici, che consiste in un insieme di regole per la critica e la costruzione,organizzate attorno a un nucleo duro (hard core) di ipotesi relative a uno specifico insieme di problemi e utilizzate come fondamenta per la costruzione di un sistema teorico. Il nucleo viene abbandonato solo quando il programma di ricerca scientifica che si basa su di esso viene riconosciuto come “regressivo”.  Feyerabend con la sua “teoria anarchica della conoscenza”, sottolinea la necessità della massima apertura verso le più diverse procedure di ricerca, se qualificate. La critica all’idea che esistano criteri assoluti di verità coesiste con l’idea della possibilità di discussioni razionali tra punti di vista diversi. Occorre abbandonare la pretesa di utilizzare i criteri di giudizio basati sulla propria concezione del mondo, per cercare di comprendere il punto di vista rivale. La posizione di Feyerabend è stata riproposta in campo economico da McCloskey: il messaggio principale di questa metodologia è la necessita di tolleranza verso l’esistenza di concezioni teoriche diverse. Nel caso di Kuhn (come in quelli di Lakatos, Feyerabend), gli economisti sono stati indotti a riconoscere l’esistenza di concezioni alternative. Quanti accettano una concezione competitiva dello sviluppo del pensiero economico e partecipano al dibattito tra concezioni diverse sono indotti a indagare sulla storia di tali dibattiti, per individuare i punti di forza e di debolezza che spiegano il prevalere o il declinare delle diverse impostazioni. Quanti sostengono impostazioni alternative a quella dominante possono trovare utile la SPE:  In primo luogo, l’analisi degli scritti degli economisti del passato spesso aiuta a chiarire le caratteristiche fondamentali dell’impostazione proposta e le differenze tra essa e quella dominante.  In secondo luogo, la SPE aiuta a valutare le teorie basate su impostazioni diverse, portando alla luce la concezione del mondo, i concetti e le ipotesi su cui si fondando.  In terzo luogo, richiamare le illustri radici culturali serve per controbilanciare l’inerzia che costituisce un forte vantaggio per l’impostazione dominante. La concezione competitiva implica il rifiuto di una visione monodimensionale del progresso delle scienze. 3 Gli stadi della teoria: concetti e modelli Schumpeter suddivide la ricerca economica in tre stadi: 1. “Visione”, in cui si individua il problema da affrontare e si prospettano alcune ipotesi di lavoro con cui iniziare l’analisi. 2. Fase della concettualizzazione, traduzione della “visione in parole o concetti, in uno schema o un quadro più o meno organico”. 3. Il terzo stadio riguarda la costruzione di modelli scientifici. Per rappresentare la realtà economica, la SPE gioca un ruolo decisivo; dal momento che è impossibile fornire una definizione esaustiva di un concetto, il modo migliore di analizzarlo consiste nello studiarne l’evoluzione nel tempo. Inoltre, utilizzare la SPE per l’analisi di un concetto permette di indagare due questioni basilari: 1. Se sia possibile adattare il contenuto dei concetti ai continui cambiamenti nella realtà oggetto di studio; 2. Come operi il meccanismo di interazione tra lo studio della concettualizzazione e lo stadio della costruzione dei modelli. I sistemi di concetti che costituiscono le fondamenta di qualsiasi teoria cambiano continuamente, il che rende impossibile concepire la valutazione delle teoriche economiche si una scala monodimensionale. 5 4 La Scolastica Nel corso del XII e XIII sec. si afferma la “Scolastica”, caratterizzata dal riferimento sistematico al alcuni filosofi dell’antichità. L’obiettivo primario è individuare regole di condotta morale, non comprendere il funzionamento del sistema economico. Il metodo è basato sul principio di autorità, cioè sulla deduzione delle regole di condotta da principi primi che hanno la natura di articoli di fede. 5 Usura e giusto prezzo I temi dominanti tra il XII e il XVI sec. sono prezzo e usura, affrontati nell’ottica dell’etica. Nella tradizione cristiana troviamo un’opposizione netta al prestito a interesse. Tommaso d’Aquino adotta una posizione più moderata: la condanna dell’interesse in linea di principio è seguita da una dettagliata casistica in cui i casi si prestito a interesse da condannare sono distinti dai casi giustificati. La transizione verso la legalizzazione dell’interesse è lenta, ancora alla fine del XVI sec. si registrano decisi interventi contro. La reazione alla regolamentazione dei prestiti a interesse arriva solo con l’affermazione del liberalismo (le leggi sull’usura vengono abolite solo nel 1854). Lo scambio volontario è considerato vantaggioso per entrambe le parti, d’Aquino identifica il giusto prezzo con il prezzo prevalente nei mercati in assenza di frode e di pratiche monopolistiche. Nel XII-XIII sec. le autorità politiche intervengono attivamente fissando prezzi obbligatori, o limiti massimi per i prezzi, di molte fra le principali merci. Tommaso d’Aquino e altri ribadiscono che il valore dei beni non rispecchia la gerarchia “naturale”, ma la capacità dei beni di soddisfare i bisogni, più precisamente, occorre riferirsi a tre fonti del valore: 1. Virtuositas, cioè capacità di soddisfare i bisogni umani, 2. Complacibilitas, rispondenza alle preferenze degli utilizzatori, 3. Raritas, scarsità. 6 Bullionisti e mercantilisti Nell’epoca della formazione e dell’affermazione degli Stati nazionali, un nuovo tipo di riflessioni sui fenomeni economici si aggiunge al potere economico del principe, come complemento e necessario presupposto del suo potere militare. Il concetto di ricchezza nazionale assume così un ruolo centrale nel ragionamento economico. Bisogna distinguere due tipi di interpretazione per le concezioni economiche in questo periodo: 1. Da un lato, i bullionisti, concezione della ricchezza identificata semplicemente con l’oro e i metalli preziosi in genere. 2. Dall’altro, si avrà una rivalutazione di questi autori, giustificando l’attenzione per i fenomeni monetari con il fatto che lo stock di moneta metallica può essere considerato un indice della ricchezza nazionale. Thomas Mun sostiene che l’esportazione di moneta permette di aumentare la ricchezza del paese. Questa tesi segni il passaggio dal bullionismo al mercantilismo, caratterizzato da una teoria della bilancia del commercio, che guarda al saldo complessivo del commercio estero di un paese anziché ai saldi bilaterali e al ruolo centrale dello Stato nell’economia. Il mercantilismo è in realtà un’etichetta piuttosto generica, designa autori appartenenti a un periodo che va dal XVI al XVIII sec. Un’altra interpretazione di alcuni autori mercantilisti è quella centrata sulla spiegazione dell’origine del profitto come profit upon alienation, o profitto derivante dalla vendita: un profitto che nasce dal commercio. Secondo questa tesi, il profitto deriva dal comprare a buon prezzo e vendere a prezzo elevato; si tratta di una tesi consona alla fase del capitalismo mercantile. I guadagni che ottiene uno dei partecipanti allo scambio corrispondono alle perdite dell’altro (quando stesso paese: i guadagni degli uni compensano le perdite degli altri). Pertanto, il commercio può procurare guadagni di ricchezza per la nazione solo quando si considerano gli scambi con l’estero. 6 7 La nascita del pensiero economico in Italia: Antonio Serra La prosperità economica di un paese, spiega Serra, dipende da caratteristiche originarie specifiche di ciascun paese (“accidenti propri”) e da circostanze più o meno favorevoli che possono essere ricreate ovunque (“accidenti communi”).  Tra gli “accidenti propri”, Serra ricorda: la dotazione di ricchezze naturali, in particolare la fertilità della terra, e la localizzazione.  Gli “accidenti communi” invece sono quattro: produzione manifatturiera, qualità morali e capacità professionali della popolazione, estensione del commercio e assetto politico-istituzionale (il più importante). Non è corretto attribuire a Serra l’identificazione della ricchezza con la moneta e con i metalli preziosi. È anche difficile fare di Serra il fondatore della scienza economica, è tuttavia un autore che coglie il rapporto di interdipendenza tra fenomeni finanziari e reali. 7 CAPITOLO 3 – WILLIAM PETTY E LA NASCITA DELL’ECONOMIA POLITICA 2 Il metodo W. Petty è il fondatore dell’aritmetica politica: l’estensione al campo delle scienze sociali delle nuove idee delle scienze della natura. Con essa, intende introdurre il metodo quantitativo nell’analisi dei fenomeni sociali, per permettere una trattazione più rigorosa (“per permetterne una trattazione matematica”). Questa innovazione metodologica rispecchia quanto stava accadendo nel campo delle scienze naturali. Bacone (che Petty cita e ammira), al metodo sillogistico-deduttivo della tradizione aristotelica e alla tradizione rinascimentale degli empiristi puri, contrappone il metodo induttivo: fusione di empirismo e razionalismo. Tale metodo è seguito da Petty, che descrive in termini quantitativi i fenomeni sociali, ma soprattutto ragiona sui dati rilevanti, spesso ricostruendoli attraverso catene deduttive di tipo aritmetico- quantitativo che gli permettono di sfruttare in mille modi le poche informazioni disponibili. Inoltre Petty sottolinea la sua scelta di basare la propria analisi su dati oggettivi: “ho deciso di esprimermi in termini di numero, peso e misura; di usare solo argomenti fondati sulla sensazione, e di considerare unicamente quelle cause che hanno fondamenta visibili nella Natura”. Abbiamo qui un netta contrapposizione al metodo logico-deduttivo proprio della Scolastica. Per Petty, però, non si tratta soltanto di rilevare e descrivere la realtà “in termini di numero, peso e misura”, ma di esprimersi in quei termini nel tentativo di interpretare la realtà, individuandone le caratterisitche principali; e di indagare le cause oggettive e non soggettive. L’aritmetica politica è lo strumento adeguato non solo per descrivere, ma anche per rappresentare la realtà proprio perché, secondo la concezione materialistico-meccanica sostenuta da Galileo e Hobbes, la realtà stessa ha una struttura quantitativa. Altro elemento essenziale è la netta separazione tra scienza e morale: il problema morale riguarda non la scienza in sé, ma i fini che l’uomo si propone di conseguire tramite l’utilizzo dei suoi risultati. 3 Stato nazionale e sistema economico Ciò che differenzia la trattazione di Petty da quelle dei suoi contemporanei è l’oggetto dell’analisi: il “corpo politico”, cioè lo Stato nella duplice accezione di sistema politico e di sistema economico; né Petty né i suoi contemporanei sentono l’esigenza di distinguere i due ordini di fenomeni. Petty (in modo analogo a Machiavelli) procede con la sua concezione del “corpo politico”: la rete di rapporti e di scambi che costituiscono la vita di un sistema produttivo sono sottomessi a un’unica autorità politica. Né Machiavelli né Petty colgono le interrelazioni tra città e compagna e si limitano a trovare nella sovrastruttura politica l’elemento unificante. Machiavelli e Petty rispecchiano l’ancora limitato sviluppo dell’organizzazione produttiva della loro epoca. Il concetto di sistema economico da Petty appare espressione di una particolare fase storica, quella della transizione dal feudalesimo al capitalismo industriale.  Per quanto riguarda la moneta, la posizione di Petty differisce da quella dominante dell’epoca, evidenziata nella sostituzione del paragone tradizionale fra denaro e sangue con un altro parallelismo tra anatomia politica e anatomia umana: “il denaro non è che il grasso del corpo politico, e una sua sovrabbondanza riduce l’agilità di tale corpo, allo stesso modo che una sua scarsità lo fa ammalare”. Per Petty “il sangue e i succhi nutritivi del corpo politico” sono costituiti dal “prodotto dell’agricoltura e della manifattura”: un paragone, questo, che preannuncia la concezione classica del sistema economico basato sulla divisione del lavoro come funzionante attraverso un processo circolare di produzione, scambio, reintegrazione delle scorte di mezzi di produzione e beni di consumo, nuovo processo produttivo. Un ulteriore definizione di denaro data da Petty è: il denaro è la misura comune delle merci.  Legate alle idee sulla moneta solo quelle sul commercio estero. Petty considera desiderabile un attivo della bilancia dei pagamenti come strumento per far affluire metalli preziosi nel paese, ma subordina tale obiettivo a quello di un alto livello di occupazione e produzione interna. 10 CAPITOLO 4 – DAL CORPO POLITICO ALLE TAVOLE ECONOMICHE 1 I dibattiti dell’epoca Nel Sei-Settecento le riflessioni sui fenomeni economici sono parte di riflessioni generali sulla società e sull’uomo. Le analisi di Petty, costituiscono per lui sia un impegno civile e intellettuale, sia un tramite per esercitare una influenza politica, sia uno strumento per la difesa dei suoi interessi. J. Locke si occupa di problemi economici come parte delle sue ricerche filosofiche (Bernard de Mandeville è medico e filosofo; Richard Cantillon è un banchiere internazionale; Quesnay è medico di corte). Quanti si muovono nell’ambito dei circoli intellettuali dell’epoca si interessano un poco di tutto. Un filone di riflessione è quello che insiste in una commistione tra analisi e morale; possiamo collocare in quest’ambito gli esponenti del giusnaturalismo, (esponente più importante è Pufendorf), ancora impegnati in discussioni sul “giusto prezzo”. Nello stesso filone giusnaturalistico rientrano i numerosi scritti su temi monetari che si ricollegano ai dibattiti scolastici sull’usura. Abbiamo poi una lunga serie di trattati On trade, che generalmente affrontano questioni monetarie in collegamento con i problemi del commercio internazionale. Vi è anche chi assume una posizione liberista; l’argomento principale a sostegno delle tesi liberiste è il richiamo alle “leggi naturali” alle quali è meglio non frapporre ostacoli. Infine, nel periodo tra il 1690 e i primi decenni del Settecento vari autori propongono riflessioni interessanti circa lo sviluppo economico. 2 John Locke Tra li scrittori che si occupano di temi monetari vi è John Locke; uno dei pochi autori dell’epoca a utilizzare il concetto di velocità di circolazione della moneta. Locke fa parte di un vivace dibattito sul rapporto tra bassi tassi d’interesse e prosperità. Criticando Child, Locke sostiene che è la prosperità a favorire un livello moderato dei tassi d’interesse e che qualsiasi tentativo di ridurli per legge è destinato al fallimento. Nei Two treatises of governament, Locke propone la concezione della proprietà privata come diritto naturale dell’uomo. Questa tesi si contrappone alle idee di Hobbes e altri basate sul “contratto sociale”. Locke riconosce che la terra e tutte le creature inferiori sono state date in comune a tutti gli uomini. Tuttavia, “ognuno ha la priorità della propria persona”, se ognuno è proprietario della propria persona e del proprio lavoro, ciascuno è anche proprietario dei beni materiali che ha prodotto. Locke attribuisce ai concetti di lavoro e capitale un significato più ampio di quello usuale. Il lavoro include ogni tipo di attività produttiva e costituisce pertanto la fonte di ogni ricchezza. Analogamente, il suo concetto di proprietà include non solo la proprietà privata ma anche i diritti fondamentali dell’individuo. Conviene quindi guardare alle sue tesi come a una reazione alle tesi contrattualiste, in particolare a quelle di Hobbes con le sue conclusioni favorevoli all’assolutismo politico. 3 Le motivazioni e gli esiti dell’agire umano Per un lungo periodo di tempo l’analisi del comportamento dell’uomo e del funzionamento della società viene affrontato partendo da due domande chiave: 1. Quali impulsi guidano le azioni umane? 2. Riguarda le conseguenze per la società di motivazioni non direttamente finalizzate al benessere collettivo. 1)La prima domanda accompagna la svolta dall’analisi di “ciò che dovrebbe essere” all’analisi di “ciò che è”; un’altra spinta in questa direzione viene dalla riforma protestante, che riconosce la legittimità delle azioni dirette all’arricchimento individuale, ma evita di contrapporre interessi individuali e collettivi. Le motivazioni dell’agire umano sono sintetizzate in due termini (ciascuno dei quali racchiude vari elementi):  Passioni; elementi istintivi o consuetudinari; 11  Interessi; elementi che implicano scelte ragionate, ma non riconducibili unicamente alla massimizzazione della ricchezza o del reddito per gli interessi. 2)Veniamo così alla seconda domanda, relativa agli esiti del comportamento individuale mosso da interessi personali. La risposta è abbastanza ottimistica: quando nell’interrelazione tra le diverse motivazioni si realizza una spinta costruttiva, gli esiti sociali di comportamenti individuali non direttamente finalizzati al conseguimento del bene pubblico possono essere positivi. La tesi di una funzione civilizzatrice dei commerci domina, nel Settecento, sulle tesi pessimistiche di un’influenza distruttrice dei commerci sulla coesione sociale. Nel Settecento, dunque, prevale un’interpretazione più o meno ottimista del cammino della società basata sulla divisione del lavoro e sul mercato, una visione connaturata allo spirito dei tempi (illuminismo, trionfo della Ragione, relazione di causa ed effetto: l’interesse personale viene incanalato verso esiti di progresso collettivo). 4 Bernard de Mandeville Mandeville riprende nel suo lavoro le tematiche del pensiero libertino del Sei-Settecento sull’esistenza di un contrasto inconciliabile tra criterio rigorista e criterio utilitarista nelle scelte di comportamento umano. La sua polemica è diretta contro la tesi di un’armonia universale in cui Buono e Bello coincidono. Per Mandeville, l’uomo è comunemente mosso da passioni e interessi che sono rivolti verso se stesso e non verso il bene della società. Tuttavia, l’esito finale di una società in cui prevalgono comportamenti egoistici può essere il bene collettivo: i “vizi privati” si possono trasformare in “pubbliche virtù”. L’esito dei comportamenti egoistici può essere, ma non è necessariamente, il bene collettivo. Tutto dipende dalla capacità dei governanti di giocare sulla compresenza di diverse motivazioni alla radice dell’agire umano per indirizzarle nella giusta direzione. Mendeville sostiene che occorre riconoscere la realtà del vizio, perché solo così si potranno ottenere risultati positivi. Mandeville contrappone una società tradizionale, in cui il comportamento di ciascuno è sotto gli occhi di tutti, a una società mercantile, basata sulla divisione del lavoro e quindi, tanto più ricca quanto più ampia. Il primo tipo di società è quello idealizzato dai moralisti; visione erroneamente ottimistica. È la grande società mercantile, in cui il comportamento degli uomini è guidato da motivazioni individualistiche, che favorisce lo sviluppo della ricchezza e con esso lo stesso arricchimento della personalità umana. Ciò richiede che accanto alle leggi, vi siano l’educazione e l’abitudine stessa alla vita associata, tramite le quali le diverse passioni possono essere incanalate verso l’utile collettivo. Il gioco della passioni ben bilanciate costituisce una specie di “mano invisibile” che garantisce il progresso della società. La “mano invisibile” è una costruzione consapevole in cui si misurano le capacità di chi ha il compito di governare la società. 5 Richard Cantillon Il Saggio sulla natura del commercio in generale è diviso in tre parti: organizzazione interna del sistema economico; un breve trattato sulla moneta e la circolazione monetaria interna; commercio estero e cambi. Cantillon, riprende da Petty vari elementi, come l’idea del “corpo politico” in grado di ottenere un sovrappiù di prodotto rispetto al fabbisogno dei mezzi di produzione e sussistenza. Tuttavia, per Cantillon, le varie parti del corpo politico sono connesse grazie al processo di circolazione delle merci, che collega esplicitamente al processo di produzione. Per quanto riguarda la base concettuale, Cantillon collega la divisione in settori (agricoltura, artigianato) a quella in classi sociali (contadini, artigiani) e all’organizzazione della società sul territorio (campagna, villaggi). Per quanto riguarda la teoria del valore, Cantillon si richiama a Petty: “il prezzo e il valore intrinseco di una cosa in generale è la misura della terra e del lavoro che entrano nella sua produzione”; ma per stabilire il par (rapporto di conversione) tra terra e lavoro abbandona la soluzione proposta da Petty e riduce il lavoro al suo costo di produzione in termini di terra. Cantillon sembra muoversi verso una teoria pura del valore- 12 terra, in cui la terra resterebbe l’unico fattore originario, non riproducibile, del valore: il suo contributo costituisce così il retroterra del pensiero dei fisiocrati. Cantillon attribuisce il ruolo di motore del sistema ai consumi di lusso delle classi più elevate (quest’idea costituisce uno dei principali elementi d’influenza di Cantillon sulla scuola fisiocratica). La teoria delle “tre rendite”: 1. La prima rendita è la parte del prodotto che il fittavolo utilizza per far fronte ai costi di produzione, incluso il mantenimento dei lavoratori; 2. La seconda rendita costituisce il reddito dei fittavoli; 3. La terza rendita è quella che va al proprietario terriero per l’utilizzo della sua terra. I profitti dell’imprenditore agricolo (all’epoca, il tipo dominante di capitalismo) appaiono a fianco della rendita vera e propria, e non vengono ancora messi in rapporto alle anticipazioni di capitale in modo da generare l’idea di un tasso di rendimento uniforme (saggio del profitto). Le idee sulla moneta di Cantillon sono analoghe a quelle di Petty:  La moneta è necessaria alla circolazione delle merci, ma i metalli preziosi non coincidono con la ricchezza;  La quantità di moneta necessaria al buon funzionamento del sistema economico dipende dal valore degli scambi e dalla velocità di circolazione della moneta stessa.  Il tasso d’interesse dipende dal rapporto tra domanda e offerta di fondi a prestito, quindi non è direttamente collegato all’offerta di moneta. Il valore della moneta dipende dal suo costo di produzione. La valutazione della moneta data dal mercato può differire dal suo valore; sono importanti fra l’altro gli elementi che influiscono sulla velocità di circolazione della moneta:  Le istituzioni finanziarie e le consuetudini, l’esistenza di accordi di compensazione, il credito commerciale. Inoltre, i fenomeni monetari esercitano un’influenza differenziata sui diversi beni. 6 Francois Quesnay e i fisiocrati I fisiocrati sono un gruppo molto compatto e combattivo di economisti francesi raccolti attorno a F. Quesnay. Sono la prima scuola di pensiero a dotarsi di propri organi di stampa per sostenere precise tesi di politica economica; il periodo del loro dominio è breve, un quarto di secolo o poco più, ma la loro influenza è notevolissima. I fisiocrati concentrano l’attenzione sullo sviluppo dell’agricoltura, che considerano l’unico settore in grado di produrre un sovrappiù. Inoltre, condividono con il filone cartesiano dell’illuminismo francese l’idea di un “ordine naturale”, la cui logicità o ottimalità dovrebbe essere evidente a ogni persona dotata dei lumi della ragione,e che il principe illuminato dovrebbe realizzare. In quest’ordine naturale rientra anche la proprietà privata. V. Riqueti e altri fisiocrati ritengono che la capacità dell’agricoltura di generare un sovrappiù sia un dono di Madre Natura, legato alla fertilità della terra. Questa tesi può giustificare l’approvazione del sovrappiù da parte dei nobili, che sono di diritto padroni delle terre e signori dei servi della gleba che vivono su di esse. Anche Quesnay ritiene che solo l’agricoltura dia un sovrappiù, ma si affida a un’altra giustificazione, legata alla situazione della Francia dell’epoca:  dati i prezzi dei prodotti agricoli e dei manufatti sui mercati mondiali, utilizzando le tecnologie migliori gli agricoltori francesi possono ottenere un prodotto di valore superiore ai costi di produzione, mentre le manifatture si limitano a recuperare i costi. Quesnay sottolinea dunque le potenzialità di una rivoluzione agricola, già avviata ma che procede troppo lentamente: una tesi che si contrappone alla tradizione mercantilista e al colbertismo, cioè alla politica di sostengo ai commerci e alle manifatture adottata tramite la liberalizzazione delle importazioni di materie 15 Hume espone il meccanismo di aggiustamento che, nel sistema aureo, porta in equilibrio la bilancia commerciale dei diversi paesi. Tale meccanismo si basa sulla teoria quantitativa della moneta:  all’interno di ciascun paese i prezzi aumentano (diminuiscono) quando aumenta (diminuisce) la quantità di moneta in circolazione. Così, se un paese ha un attivo di bilancia dei pagamenti, e di conseguenza sperimenta un afflusso di oro, l’offerta di moneta al suo interno sale e aumentano i prezzi interni. Ciò rende meno convenienti le sue merci e riduce le sue esportazioni. Esattamente l’opposto accade ai paesi con un passivo di bilancia dei pagamenti. I protagonisti dell’illuminismo scozzese sono importanti soprattutto per la loro concezione dell’uomo e della società; sono moderatamente ottimisti sul buon funzionamento di una società basata sul perseguimento dell’interesse personale e danno una valutazione moderatamente positiva della natura umana, pur nel riconoscimento delle sue molteplici imperfezioni. 16 CAPITOLO 5 – ADAM SMITH (1723-1790; Illuminismo scozzese) 2 Il metodo Smith propone una metodologia flessibile, a suo parere, il nostro atteggiamento verso le teorie scientifiche è spiegato da tre “sentimenti”:  “meraviglia”, è suscitata da “ciò che è nuovo e singolare”;  “sorpresa”, è suscitata da “ciò che è inatteso”;  “l’ammirazione”, è suscitata da “ciò che è grande o bello”. Il compito della filosofia è di “introdurre ordine in questo caos; nello svolgere questo compito, vengono costruiti “sistemi filosofici”. L’intellettuale che riflette sul mondo e tenta di interpretare il funzionamento ha un ruolo attivo, di creazione e non di scoperta delle teorie. Con questa tesi, Smith si contrappone all’idea galileiana secondo la quale il compito dello scienziato consiste nello svelare le leggi di natura. I “sistemi filosofici” aiutano a orientarci nel caos degli eventi reali. Tuttavia, non è possibile verificare le teorie dimostrandone la corrispondenza con le leggi intrinseche della natura, che sono una creazione del nostro pensiero. Smith propone il metodo della retorica per scegliere le proposizioni da accettare e quelle da rifiutare e allo spettatore imparziale è affidato il compito di arbitro: del vero e del falso. 3 La morale della simpatia Smith si inserisce nel dibattito sulle diverse motivazioni dell’agire umano indicando la complementarietà tra perseguimento degli interessi personali e rispetto di regole morali per il buon funzionamento della convivenza sociale. Nella Teoria dei sentimenti morali Smith propone il “principio morale della simpatia”; la sympathy, cioè la capacità di condividere i sentimenti degli altri, ci spinge a giudicare le nostre azioni sulla base dei loro effetti sugli altri oltre che su noi stessi. Questo tipo di morale è un prerequisito per la sopravvivenza stessa delle società umane. In altri termini, le tesi liberiste di Smith sono basate su un duplice assunto: 1. che comunemente ciascuno conosce meglio degli altri i propri interessi. Il primo assunto spiega il rifiuto di una gestione centralizzata della società, quindi la preferibilità dell’economia di mercato rispetto all’economia di comando. 2. che fra gli interessi di ciascuno rientra il desiderio di essere benvoluto dagli altri e, quindi, il rispetto del benessere altrui. Il secondo assunto costituisce una precondizione perché il perseguimento dell’interesse privato da parte di una moltitudine di soggetti in concorrenza fra di loro porti al benessere della società. Inoltre, secondo Smith, gli individui valutano le proprie azioni ponendosi dal punto di vista di uno spettatore imparziale, fornito di tutti gli elementi a loro conoscenza; le istituzioni giuridiche trovano sostengo in questo principio morale; una società fondata sulla generale accettazione del principio morale della simpatia, e dotata di istituzioni amministrative e giudiziarie necessarie per affrontare i casi di violazione della morale comune. La distinzione tra interesse privato e interesse pubblico diventa contrapposizione solo se l’interesse privato viene interpretato in senso restrittivo, come egoismo (selfishness) anziché come interesse personale (self- interest), cioè attenzione ai propri interessi moderata dalla “simpatia” per gli interessi altrui. In questo modo Smith propone la strada di una maggiore fiducia nella capacità di autogoverno degli individui (si differenzia da assolutismo e contrattualismo). Il libero perseguimento dell’interesse personale trova comunque due limiti: 1. uno esterno all’individuo (l’amministrazione della giustizia, le funzioni dello Stato); 2. e uno interno, la “simpatia” per i suoi simili; Smith ha una visione positiva ma non idealizzata dell’uomo. 17 4 La ricchezza delle nazioni Un’indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni è divisa in cinque libri: divisione del lavoro, teoria del valore e distribuzione del reddito; moneta e accumulazione; un breve excursus di storia delle istituzioni e dell’economia dalla caduta dell’impero romano in poi; un’illustrazione critica delle dottrine mercantiliste e dei fisiocrati; spese e entrate pubbliche e più in generale il ruolo dello Stato nell’economia. Innanzitutto, la ricchezza delle nazioni viene identificata con quello che oggi chiamiamo reddito pro capite, cioè in sostanza con il tenore di vita dei cittadini di un paese. In realtà la concezione di Smith è più ampia: per una società civilizzata contano sia la ricchezza materiale, sia la libertà e dignità individuale, sia regole condivise. Un’economia fiorente è importante sia di per sé, sia come prerequisito per lo sviluppo delle lettere e delle arti. Il tenore di vita della popolazione dipende da due fattori: 1. la quota di cittadini impiegati in un lavoro produttivo; 2. e la produttività del loro lavoro. Qui entra in gioco la divisione del lavoro. Infatti, secondo Smith, la produttività dipende soprattutto dallo stadio raggiunto dalla divisione del lavoro, che a sua volta dipende dall’ampiezza dei mercati. Smith illustra la prima tesi – l’effetto positivo della divisione del lavoro sulla produttività – con l’esempio della fabbrica degli spilli. Tre circostanze legano la produttività alla divisione del lavoro: 1. il miglioramento delle capacità del lavoratore, quando svolge un compito specifico; 2. il risparmio del tempo che comunemente si perde nel passare da un tipo di lavoro all’altro; 3. il progresso tecnico indotto dalla possibilità di concentrare l’attenzione su un compito lavorativo specifico. Legame fra crescita dei mercati e sviluppo della divisione del lavoro. Quando un’impresa si espande per realizzare al suo interno una migliore divisione del lavoro, dovrà collocare sul mercato un prodotto cresciuto sia per l’aumento del numero di lavoratori impiegati sia per l’aumento della loro produttività. L’ampiezza del mercato di sbocco costituisce il principale vincolo allo sviluppo della divisione del lavoro. Di qui il liberismo di Smith: tutto ciò che ostacola i commerci costituisce anche un ostacolo alla divisione del lavoro, quindi all’aumento della produttività e alla crescita della ricchezza della nazione. La divisione del lavoro è di tre tipi: 1. microeconomia, tra i diversi lavoratori all’interno di una stessa impresa; 2. sociale, tra mestieri e professioni diverse; 3. macroeconomia, tra imprese e settori che producono diverse merci o gruppi di merci. È quindi necessario considerare sia la stratificazione sociale sia le relazioni tra i diversi settori produttivi. Sulla scia di Cantillon e Quesnay, Smith considera una società divisa in tre classi (con le tre forme di reddito corrispondenti: salari, profitti e rendite): 1. lavoratori, 2. capitalisti; 3. proprietari terrieri. Date le differenze di potere contrattuale tra i capitalisti e i lavoratori, questi ultimi ricevono un salario appena sufficiente a mantenere se stessi e le proprie famiglie. I redditi dei capitalisti e dei proprietari terrieri, cioè profitti e rendite, sono pari al sovrappiù ottenuto nel sistema economico. Il sovrappiù è pari alla parte del prodotto che eccede quanto serve a ricostruire le scorte iniziali di mezzi di produzione e di mezzi di sussistenza per i lavoratori impiegati nel processo produttivo. Periodo dopo periodo, le imprese utilizzano le scorte iniziali di mezzi di produzione nel corso del processo produttivo; al termine di esso ottengono un prodotto che serve innanzitutto a ricostruire quelle scorte iniziali per permettere di ripeter il ciclo; quel che avanza, il sovrappiù, può essere utilizzato per accrescere le scorte di mezzi di produzione e di sussistenza, aumentando il numero di lavoratori impiegati nella produzione e quindi il prodotto. L’accumulazione, cioè l’impegno produttivo del sovrappiù, consiste anche nell’utilizzo di parte del sovrappiù come mezzi di sussistenza per i lavoratori produttivi addizionali. 20 tendono a favorire il superamento della situazione di squilibrio. L’azione concreta di queste regole generali dipende dalle circostanze, di modo che non è possibile formulare precise funzioni di reazione dei prezzi di mercato agli squilibri tra domanda e offerta, e di queste ultime due variabili ai prezzi (all’epoca di Smith, i termini “domanda” e “offerta” non indicano relazioni fondamentali, stabili e ben identificate, tra prezzo e quantità di una merce, ma un insieme di elementi causali e contingenti). 7 L’origine della divisione del lavoro: Smith e Pownall L’origine della divisione del lavoro è vista diversamente da Smith, che la attribuisce alla propensione degli uomini alla vita collettiva, e da Pownall, che la identifica nelle differenze innate di capacità.  La tesi di Smith è dunque che la divisione del lavoro ha origine nella tendenza degli uomini a entrare in rapporti di scambio reciproci, cioè nella socievolezza umana. A questa caratteristica Smith fa risalire anche l’origine del linguaggio; inoltre, essa distingue l’uomo dagli animali.  Secondo Pownall, invece, la divisione del lavoro ha origine nel desiderio di sfruttare le differenze innate di capacità lavorative dei diversi individui. La posizione di Pownall implica due assunti che appaiono estranei alla visione di Smith: 1. Il primo è che ciascun individuo sappia quali sono le sue capacità, cosa desidera e cosa possono offrire gli altri; tali conoscenze dovrebbero essere innate, per costituire l’origine della divisione del lavoro e degli scambi. 2. Il secondo è che vi siano differenze originarie di capacità tra i vari individui che, oltre a costituire la causa originaria della divisione del lavoro, sono anche un presupposto “naturale” della stratificazione economia della società. 8 Liberismo e liberalismo: la fortuna di Smith Rispetto agli autori precedenti, la caratteristica distintiva di Smith è di essere un “accademico”:  cioè di dedicare grande cura all’esatta definizione e all’accurata presentazione delle sue idee, mediando tra posizioni e tesi diverse e cogliendo gli elementi positivi di ciascuna di esse. Questa sottigliezza, il rifiuto di tesi nette e prive di qualificazioni e sfumature, risulta evidente in alcune controversie interpretative. Il primo esempio riguarda il liberismo smithiano. Smith ha un atteggiamento progressista sui grandi temi politici della sua epoca (il conflitto sull’indipendenza delle colonie americane nella Francia pre e post- rivoluzionaria). Un altro problema interpretativo ha origine dall’atteggiamento apparentemente contraddittorio di Smith verso la divisione del lavoro. Il principale punto di contrasto tra la filosofia smithiana e quella di Marx. Entrambi sono pienamente consapevoli delle implicazioni negative della divisione del lavoro, e dell’obbligo al lavoro (o “lavoro costrittivo”) che la accompagna.  Marx, tuttavia, ritiene che la necessità del lavoro costrittivo sia superabile in una società comunista; la possibilità di raggiungere una piena liberazione dal lavoro costrittivo giustifica i costi di lacrime e sangue della rivoluzione proletaria e della successiva dittatura proletariato, fasi necessarie per l’obiettivo finale.  Smith, invece, considera irraggiungibile il superamento della divisione del lavoro. Gli incrementi di produttività e il crescente benessere economico resi possibili dalla divisione del lavoro sono la precondizione per un progresso delle società umane, concepito come un processo continuo. 21 CAPITOLO 6 – GLI ECONOMISTI ALL’EPOCA DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE 1 La perfettibilità delle società umane, tra utopie e riforme La rivoluzione francese del 1789, ripropone in termini drammatici due problemi agli scienziati sociali:  è possibile che un cambiamento delle istituzioni porti a una società migliore?  se il cambiamento ha un costo di violenza e sangue, i vantaggi valgono i costi? La tradizione dell’illuminismo, nel corso del Settecento, aveva riposto positivamente alla prima domanda: cambiamenti istituzionali guidati dalla ragione possono favorire il progresso sociale. La seconda domanda, invece, era stata comunemente evitata. Vi sono però anche risposte diverse alla prima domanda: i conservatori criticano come inutili i tentativi di stimolare il progresso sociale, per i rivoluzionari è necessario un cambiamento radicale delle strutture politiche. Nello spirito del razionalismo illuminista, poi, gli intellettuali sono indotti a ritenere che l’intelligenza umana sia in grado di disegnare assetti istituzionali migliori di quelli ereditati dalla storia. La tradizione dell’illuminismo sociologico scozzese è anch’essa favorevole ai cambiamenti istituzionali. La fiducia nella ragione è però temperata da due elementi:  l’idea liberale, secondo la quale ciascuno è il migliore giudice dei propri interessi;  la visione non idilliaca della natura umana, aperta a un certo scetticismo anche sulle capacità e le motivazioni dei governanti. Ciò implica diffidenza, se non ostilità, di fronte a progetti di cambiamenti rivoluzionari ispirati da modelli teorici di società ideali. Questa posizione è sostanzialmente condivisa anche dagli illuministi napoletani. Nella Francia prerivoluzionaria abbiamo un interessante confronto fra tesi riformiste e tesi conservatrici. Quando la rivoluzione francese si radicalizza, si radicalizza anche l’opposizione al cambiamento. Stretti tra l’estremismo del Terrore rivoluzionario e la reazione conservatrice, i filoni riformisti perdono terreno, per riemergere solo mezzo secolo più tardi, trovandosi nuovamente schiacciati. 2 Malthus e il principio della popolazione T. Robert Malthus (1766-1834, Saggio sul principio di popolazione). La tesi di Malthus è sintetizzata nella formula:  la produzione agricola tende a crescere in proporzione aritmetica, mentre la popolazione tende a crescere in proporzione geometrica, più precisamente a raddoppiare ogni venticinque anni. In realtà, il principio della popolazione di Malthus, consiste nell’idea che la crescita della popolazione è vincolata dalla disponibilità di mezzi di sussistenza. Non appena questi superino lo stretto necessario, la popolazione tende a crescere più rapidamente della produzione agricola, causando un aumento di prezzo dei generi alimentari e un peggioramento del tenore di vita dei lavoratori. Ciò determina una riduzione del tasso di mortalità e una riduzione del tasso di natalità causati dalla diffusione della povertà e della miseria. Malthus indica altre vie per mantenere l’equilibrio tra popolazione e mezzi di sussistenza:  una “virtuosa”, la castità nel celibato e continenza nel matrimonio;  e l’altra “viziosa”, la contraccezione. Vari economisti dell’epoca, fra i quali Ricardo, richiamano il principio della popolazione a sostegno della cosiddetta legge bronzea (o ferrea) del salario, secondo la quale il salario tende a oscillare attorno al livello di sussistenza. (il ragionamento):  Se il salario supera il livello di sussistenza, la popolazione cresce e la produzione agricola non riesce a tenere il passo. I prezzi dei generi alimentari crescono a il salario reale scende, fino al minimo di sussistenza. Viceversa, se partiamo da un salario inferiore al livello di sussistenza, la popolazione diminuisce (perché aumenta il tasso di mortalità e diminuisce quello di natalità, ma anche perché cresce l’emigrazione), quindi cala la domanda di beni salario, il loro prezzo scende e il salario reale aumenta. 22 Il Saggio di Malthus, mira soprattutto a sostenere l’inutilità di qualsiasi tentativo di migliorare la situazione della massa dei lavoratori. Se pure questi tentativi avessero successo nel breve periodo, l’aumento del tenore di vita sarebbe immediatamente seguito da un ritmo più rapido di crescita della popolazione, che riporterebbe i salari al livello di sussistenza. Le speranze di miglioramento possono venire solo dal “freno preventivo” alla crescita della popolazione. Perciò le misure dirette a rimuovere la miseria sono inutili, anzi controproducenti. 3 La legge di Say J. B. Say (1767-1832) enuncia la cosiddetta “legge di Say”. Nella formulazione più semplice, essa afferma che “l’offerta crea la propria domanda”, ma ha poi avuto varie interpretazioni (economisti della scuola classica). Originariamente nel Traité d’économie politique, Say la propone come critica ad alcuni aspetti della dottrina fisiocratica. Nella versione originaria, la legge di Say è diretta a riaffermare due tesi già presenti in Smith:  la possibilità che il progresso tecnico si traduca in uno sviluppo di lungo periodo della produzione, con un miglioramento del tenore di vita della popolazione accompagnato da una parallela crescita della domanda;  l’idea che la crescita è favorita dal risparmio. Identità di Say: la moneta non viene domandata di per sé, ma solo come strumento per acquistare beni, con la conseguenza che l’offerta aggregata risulta necessariamente uguale alla domanda aggregata e che non solo possibili crisi generali da sovrapproduzione. Eguaglianza di Say: secondo la quale sono possibili squilibri di breve periodo tra la domanda e l’offerta totale di beni, che vengono però rapidamente superati grazie ad affidabili forze riequilibratrici. 4 La teoria del sottoconusmo: Malthus e Sismondi Nei primi due decenni dell’Ottocento, diversi autori scendono in campo per sostenere la possibilità di crisi generali da sovrapproduzione. Malthus riprende da Smith l’idea del lavoro comandato come misura del valore, che contrappone alla teoria ricardiana del lavoro contenuto; sottolinea il ruolo della domanda per la determinazione sia del prezzo delle merci, sia del livello globale di produzione e del reddito. Tuttavia, Malthus sostiene che l’aumento di capacità produttiva generata dagli investimenti può eccedere la crescita della domanda. Entra qui in campo la teoria malthusiana del valore, basata su domanda e offerta:  nelle condizioni indicate, l’aumento di produzione potrà trovare uno sbocco, ma a prezzi decrescenti, quindi con una diminuzione dei profitti e del saggio di profitto. Di qui una situazione di crisi generalizzata. C. L. S. de Sismondi (1773-1842), può essere considerato un progressista. La sua teoria del sottoconsumo è legata alla tesi della necessità di difendere il potere d’acquisto dei lavoratori:  il salario è visto come fonte di domanda, mentre la crescita del reddito richiede un’espansione della domanda che non è assicurata automaticamente dall’aumento stesso della produzione. Gli economisti considerati i maggiori esponenti delle teorie del sottoconsumo hanno intuizioni interessanti, pur quando non colgono l’identificazione tra risparmi e investimenti. Tuttavia le loro intuizioni non vengono sostenute da un apparato teorico adeguato. 5 Il dibattito sulle leggi sui poveri Uno dei campi in cui il principio malthusiano della popolazione ha un ruolo centrale, a partire dai primi decenni dell’Ottocento, è il dibattito sulle leggi sui poveri (Poor Laws) che coinvolge anche il ruolo del governo nell’economia e i rischi della interferenze pubbliche sulla responsabilità individuale. Il problema della povertà si presenta in forme diverse. Semplificando: 25 Secondo l’interpretazione di Sraffa, possiamo distinguere due tappe nello sviluppo del pensiero di Ricardo:  La prima tappa avrebbe inizio nel 1814 con un appunto sui “profitti del capitale” per concludersi con il Saggio del 1815;  La seconda tappa, avviata dalle critiche di Malthus al “modello grano” di Ricardo, culmina nei Principi del 1817. Nella prima tappa della sua ricerca, Ricardo consegue l’obiettivo di calcolare il rapporto tra profitti e capitale anticipato, interpretandoli nel settore agricolo come quantità diverse di una stessa merce, “il grano”. In una lettera del 1814, Malthus obietta a Ricardo che non può aggirare il problema del valore e determinare il saggio del profitto come rapporto tra quantità fisiche di una stessa merce, dal momento che in ogni settore si utilizzano mezzi di produzione eterogenei tra loro rispetto al prodotto. Ricardo propone nei Principi una nuova soluzione, utilizzando la teoria del valore-lavoro contenuto (embodied) per spiegare i prezzi relativi. In base a questa teoria, il rapporto di scambio tra due beni corrisponde al rapporto tra le quantità di lavoro direttamente e indirettamente necessarie alla produzione di ciascuno di essi. Ricardo estende l’applicazione della teoria del valore-lavoro di Smith alle economie capitalistiche, supponendo che per ciascun bene l’ammontare di profitti e rendite che si aggiungono ai salari per arrivare al prezzo sia grosso modo proporzionale all’ammontare di lavoro richiesto per la produzione. Si tratta di un‘ipotesi irrealistica, ma l’obiettivo di fondo è quello di costruire una teoria della distribuzione e dell’accumulazione. Grazie alla teoria del valore-lavoro, Ricardo può misurare sia il prodotto sia i mezzi di produzione e di sussistenza in termini omogenei, come quantità di lavoro contenuto in essi. Il valore del prodotto annuo di un sistema economico è pari alla quantità di lavoro complessivamente prestata nello stesso periodo di tempo. Il saggio del profitto risulta così pari al rapporto tra profitti e capitale anticipato, espressi in tempo di lavoro. 4 Valore assoluto e valore di scambio. La misura invariabile del valore Nei Principi Ricardo indica i limiti della teoria del valore-lavoro. I prezzi relativi determinati dal rapporto tra le quantità di lavoro direttamente e indirettamente necessarie a produrre i diversi beni violano la condizione di uniformità del saggio del profitto nei vari settori per tre motivi: 1. la diversa durata dei processi produttivi; 2. il variare del rapporto tra capitale fisso e capitale circolante; 3. la differenze durata del capitale fisso nei diversi settori. La teoria del valore-lavoro può quindi essere considerata una teoria approssimata dei prezzi relativi. Per Ricardo, comunque, il problema è vedere se si può trovare un “metro invariabile”, per i valori di scambio. Nella ricerca di questo, Ricardo si attiene a un riferimento tradizionale:  il tempo di lavoro necessario a ottenere una data quantità di prodotto. La misura in lavoro contenuto ha il vantaggio di fornire risposte precise di fronte a cambiamenti nella tecnologia; inoltre, contrappone una teoria dei valori di scambio fondata sulla difficoltà di produzione alla concezione di un meccanismo basato su domanda e offerta. Per Ricardo, l’interrelazione tra domanda e offerta riguarda solo l’aggiustamento dei prezzi di mercato ai prezzi naturali, non la determinazione dei prezzi naturali. Tuttavia, la misura prescelta da Ricardo si rivela inadeguata di fronte a cambiamenti nella distribuzione del reddito tra salari e profitti; la strada seguita da Ricardo appare destinata a fallire. Il problema del valore sarebbe risolto se la misura invariabile del valore avesse due caratteristiche: 1. essere invariabile sia rispetto a cambiamenti nella tecnologia, 2. sia rispetto a cambiamenti nella distribuzione del reddito. Il lavoro contenuto soddisfa solo il primo requisito. 26 La ricerca di una misura assoluta della difficoltà di produzione corrisponde al desiderio di isolare un aspetto “naturale” nel funzionamento di una società basata sulla divisione del lavoro. Tuttavia ogni tentativo di questo tipo è viziato da un difetto di fondo:  la divisione del lavoro è possibile solo in presenza di una rete di scambi che colleghi i vari settori dell’economia e i vari soggetti economici; i meccanismi di scambio esprimono quindi anche istituzioni, consuetudini, assetti sociali che garantiscono il funzionamento della rete di scambi e la distribuzione del reddito tra le classi sociali. Non esiste società senza istituzioni sociali. 5 Moneta È comune attribuire agli economisti classici, incluso Ricardo, la teoria quantitativa della moneta; secondo tale teoria, le variazioni della quantità di moneta in circolazione (considerate autonome dalle altre variabili economiche) determinano le variazioni del livello generale dei prezzi, senza influenzare né il livello dell’attività produttiva né la velocità di circolazione della moneta, che dipende da fattori istituzionali e consuetudinari quali la frequenza di pagamento di salari, rendite, imposte. Accanto ai diversi elementi che compongono la teoria quantitativa della moneta, Ricardo ne considera altri:  In primo luogo, ricorda che l’oro, o più in generale i metalli preziosi, sono merci prodotte, di cui è possibile aumentare la quantità disponibile.  In secondo luogo, vi è il problema della relazione tra oro e biglietti emessi dalle banche (che costituisce il nodo centrale della teoria monetaria di Ricardo). Per moneta Ricardo intende l’insieme delle attività finanziarie comunemente utilizzate come mezzo di pagamento (quali le banconote emesse dalle principali banche); ad esse Ricardo applica l’idea centrale della teoria quantitativa:  il loro valore varia in relazione inversa alla loro quantità. (In altri termini) il potere d’acquisto della moneta (banconote) rispetto alle merci in generale va scomposto in due relazioni distinte:  il rapporto di scambio della moneta con l’oro, ovvero il valore della moneta;  e il rapporto di scambio tra oro e altre merci. Per Ricardo la variabile cruciale per la politica monetaria è il valore della moneta, cioè il suo rapporto di scambio con l’oro: quando esso è stabile, la quantità di moneta, che resta incognita, è al suo livello naturale. 6 Commercio internazionale e teoria dei costi comparati Il commercio internazionale è fra i temi più discussi nel corso del ‘600. Nel complesso, la maggior parte degli autori sembra riferirsi ad una teoria dei vantaggi assoluti, secondo cui ciascun paese esporta quei beni che riesce a produrre a un costo più basso degli altri. Ricardo, compie un passo in avanti con la sua teoria dei costi comparati, secondo tale teoria:  ogni paese si specializza nella produzione di quei beni per i quali gode di un vantaggio relativo (anche se non assoluto) nel costo di produzione. Ciò significa che si può avere commercio internazionale tra due paesi anche se, in termini di difficoltà di produzione tutti i beni hanno un costo maggiore in un paese rispetto all’altro. Infatti il commercio internazionale è vantaggioso quando permette di ottenere una merce dall’estero a un costo (in termini di lavoro contenuto nelle merci esportate) minore di quello necessario per produrla all’interno. Tutti e due i paesi diventano più ricchi grazie al commercio estero. La teoria dei costi compararti è basata sulla presenza di differenti strutture tecnologiche nei diversi paesi, nulla è detto sull’origine di tali differenze. Critiche alla teoria dei costi comparati: La difesa del protezionismo nota come argomento dell’industria nascente (critica alla teoria) si basa sull’ipotesi di tecniche date nei due paesi e richiama le difficoltà di un 27 paese che affronta in ritardo il processo di industrializzazione (tesi sostenuta verso la metà dell’800 da economisti tedeschi e americani). Altre critiche più recenti sottolineano la possibilità che il commercio internazionale influisca sulle differenze tecnologiche tra i vari paesi, in presenza di economie crescenti di scala, accentuandole e rendendole permanenti. 7 Le macchine: cambiamento tecnologico e occupazione Nella versione adottata da Ricardo, la legge di Say:  afferma l’eguaglianza tra produzione e domanda per qualsiasi livello di reddito, quindi per qualsiasi livello di occupazione. Se questo è vero, il problema tecnico non crea problemi occupazionali: l’aumento di produttività si traduce in un aumento di produzione, assorbita da una maggiore domanda. Secondo la teoria della compensazione, inizialmente accolta anche da Ricardo, il progresso tecnico che si verifica in un settore riduce il numero di occupati in quel settore, ma in una seconda fase i posti di lavoro persi vengono compensati da nuovi posti di lavoro in altri settori, e il benessere generale cresce. La tesi opposta (il progresso tecnico crea disoccupazione) viene sostenuta da John Barton, ma l’autorità di Ricardo in quel periodo favorisce l’affermazione della teoria della compensazione. Tuttavia, Ricardo abbandona questa teoria per sostenere che l’introduzione delle macchine può generare disoccupazione. Il ragionamento può essere riassunto così:  Il capitalista introduce nuovi macchinari perché grazie ad essi può ottenere un aumento dei profitti. Il prodotto netto complessivo del sistema aumenta, tuttavia, la produzione delle nuove macchine richiede un certo numero di lavoratori, che vengono distolti dalla produzione di beni di sussistenza, che quindi diminuisce. Si riduce così il numero di lavoratori che il sistema può mantenere; quindi l’occupazione diminuisce. 30 6 William Nassau Senior e la reazione antiricardiana I conservatori dell’epoca considerano con diffidenza le idee di Ricardo, mentre una concezione alternativa (presente nel dibattito) sostiene sul piano politico che i proprietari terrieri svolgono un ruolo positivo nel processo economico e, sul piano analitico, una teoria del valore basata su scarsità e utilità. L’autore più noto di questa tradizione è William Nassau Senior che propone una teoria del valore soggettiva, basata su scarsità e utilità e accenna al principio dell’utilità marginale decrescente. La sua definizione di ricchezza include tutti i beni e servizi che sono utili e scarsi; obiettivo di ogni persona è “ottenere quanti più possibile articoli di ricchezza con il sacrificio quanto possibile piccolo”. Senior individua dietro il saggio del profitto un costo (utilità negativa) per il capitalista, l’astinenza. Questo, costituisce un elemento decisivo per il passaggio dalla concezione classica alla concezione marshalliana del “costo reale”. L’astinenza costituisce il contributo dei capitalisti al processo produttivo. Senior è anche noto per la sua partecipazione al dibattito sulle Poor Laws, nel tentativo di limitarne la portata. È inoltre, ferocemente criticato da Marx. Senior sostiene che tutto il profitto (necessario perché i capitalisti siano indotti a dare vita all’attività produttiva) deriva dall’”undicesima ora”; questi tesi è proposta non come una teoria del profitto, ma come una argomentazione empirica basata su esempi numerici. Posizioni analoghe in tema di teoria del valore e della distribuzione sono sostenute da Richard Whately e William Forster Lloyd. Lloyd distingue tra quelle che oggi chiamiamo utilità totale e utilità marginale, e collega la sua teoria soggettiva del valore a un principio di utilità (marginale) decrescente. 7 Charles Babbage Il lavoro più noto di Babbage è On the economy of machinery and manufactures, in cui combina l’analisi di diversi processi produttivi e del cambiamento tecnologico basato sull’introduzione delle macchine con riflessioni su cause e conseguenze della divisione del lavoro. Babbage considera la divisione del lavoro come elemento chiave per la riduzione dei costi salariali. Infatti, la scomposizione di operazioni semplici di un’attività lavorativa complessa permette di utilizzare lavoratori meno qualificati, quindi meno pagati, poiché ciascun lavoratore è dotato solo di una parte delle qualifiche necessarie a compiere un determinato ciclo produttivo. Lo sviluppo della divisione del lavoro favorisce l’invenzione di macchinari in grado di compiere operazioni elementari e quindi genera un processo di continua sostituzione di macchine agli uomini. Agli uomini vengono riservate le attività di organizzazione del processo produttivo e la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie. Divisione del lavoro e meccanizzazione interagiscono nel processo di sviluppo generando la ricchezza delle nazioni e un progressivo miglioramento del ruolo dei lavoratori nel processo produttivo. 8 L’utilitarismo di John Stuart Mill Mill è il maggiore esponente del “radicalismo filosofico”, è il capofila di una concezione progressista del liberalismo: fautore di una democrazia in cui le minoranze non sia sopraffate dalla maggioranza, sostenitore dell’emancipazione femminile. Utilitarismo, differenze rispetto a Bentham. Il calcolo felicifico di Bentham consiste nella valutazione dei piaceri e delle pene generati da un’azione. In tal modo il calcolo felicifico fornisce la soluzione del problema etico:  un risultato algebrico positivo implica che l’azione considerata è buona, un risultato negativo che l’azione è cattiva. Mill difende il consequenzialismo ma critica l’idea che i sentimenti umani possano essere ridotti a quantità diverse di una stessa grandezza monodimensionale, il piacere. Mill distingue nettamente tra:  l’utilitarismo come criterio morale e;  l’utilitarismo come interpretazione del comportamento individuale. 31 Le consuetudini sono in grado di spiegare gran parte delle azioni umane; inoltre, quando desideriamo esprimere una valutazione morale, il criterio utilitaristico va applicato a una miscela più complessa di sentimenti e ragione. Quest’idea, di un insieme complesso di sentimenti e ragione, è connessa al riconoscimento del fatto che vi sono differenze qualitative fra diversi tipi di piaceri, che non possono essere ridotte a differenze quantitative. Mill sottolinea l’incapacità di Bentham di cogliere quest’aspetto; respingendo così l’immagine di un calcolo felicifico onnicomprensivo e univoco, utilizzabile come criterio di giudizio morale. In conseguenza della natura dell’uomo, i conflitti sono inevitabili. L’utilitarismo modificato di Mill continua a sostenere un’etica consequenzialista; in Mill le note di cautela e le qualificazioni che circondano il calcolo felicifico differenziano nettamente la nozione classica di agente economico da quella di Jevons:  la nozione classica risulta più vicina a quella del buon pater familias latino che all’idea di un automa che massimizza la felicità concepita come una grandezza monodimensionale. La concezione di Mill si ricollega a quella di Smith e dell’illuminismo scozzese, per almeno due elementi: 1. l’idea dello spettatore imparziale proposta da Smith e ripresa da Mill, nella sua formulazione del principio della massima felicità; 2. la concezione degli uomini come animali sociali, condivisa da Mill e Smith, per comprendere come in una società civile i cittadini siano in grado di percepire l’esistenza di interessi comuni, superando così l’egoismo. Possiamo dunque concludere che al centro dell’attenzione degli economisti classici vi è un individuo complesso, guidato simultaneamente dall’interesse personale e da regole sociali, che si comporta razionalmente. Nel campo dell’analisi del consumo, le scelte individuali sono considerate il risultato delle abitudini e dei costumi, continuamente modificati dall’apparire sulla scena di nuovi beni. 9 L’economia politica di John Stuart Mill Nei primi scritti in campo economico (Essays on some unsettled questions of political economy) Mill definisce l’economia politica come “la scienza che tratta della produzione e della distribuzione della ricchezza, in quanto dipendenti dalle leggi della natura umana”. Inoltre, i Saggi contengono la “teoria della domanda reciproca” utilizzata per determinare le ragioni di scambio tra importazioni ed esportazioni. Successivamente pubblica i Principles of political economy ; al suo interno Mill affronta il problema di interpretare le società umane, affiancando una disciplina essenzialmente induttiva (la sociologia di Comte) con una disciplina sostanzialmente deduttiva, l’economia politica, e con una scienza da costruire, l’etologia o scienza del carattere nazionale. Mill considera lo stato stazionario prefigurato dalla teoria ricardiana non come una minaccia, ma come una situazione che lascerebbe spazio al progresso morale e culturale della società. I Principi sono suddivisi in cinque libri: produzione, distribuzione, scambio, sviluppo economico e ruolo del governo. Interessante è la distinzione tra produzione e distribuzione:  la produzione è considerata oggetto di leggi naturali indipendenti dalle istituzioni;  le istituzioni sono rilevanti per la distribuzione, oggetto di leggi storicamente relative. La teoria della produzione rielabora la teoria smithiana della divisione del lavoro, suggerendo la tesi di una tendenza alla concentrazione industriale; solleva il problema dei monopoli naturali, per i quali propone come rimedio la nazionalizzazione. Mill è favorevole a una tassazione progressiva delle eredità e a vincoli contro l’abuso dei diritti di proprietà ( si parla di un capitolo sulla proprietà del III° libro). Il comunismo è considerato inferiore al socialismo; le cooperative e la partecipazione del lavoratori ai profitti, rappresentano la soluzione favorita di Mill. La teoria della distribuzione propriamente detta riprende da Senior l’identificazione dei profitti con l’astinenza: i profitti sono determinati dalla valutazione sociale del presente relativamente al futuro. Il principio malthusiano della popolazione ha un ruolo importante nella discussione dei salari: Mill insiste 32 sulla necessità di limitare la crescita della popolazione come prerequisito per il miglioramento delle condizioni delle classi lavoratrici. Accanto all’accettazione della teoria dell’astinenza di Senior, la teoria di Mill, in particolare con la trasformazione del concetto di prezzo di mercato in una variabile teorica, determinata da domanda e offerta, rappresenta una fase di transizione dalla concezione classica a quella masrhalliana. 35 Nel caso di riproduzione semplice, i livelli relativi di attività dei due settori sono in equilibrio quando la quantità di mezzi di produzione prodotta corrisponde alla quantità impiegata nel processo produttivo. Nel caso della riproduzione allargata, il sovrappiù dev’essere composto sia di mezzi di produzione sia di beni di consumo. Il tasso massimo di crescita del sistema è ottenuto quando la proporzione tra i due tipi di beni nel sovrappiù è uguale a quella riscontrabile tra le loro scorte iniziali, e non vi è alcuno “spreco” di beni di consumo, tutti destinati a consumi “necessari”, per il mantenimento di lavoratori produttivi. Attraverso l’utilizzo degli schemi di riproduzione allargata Marx mostra che sotto certe condizioni il sistema può crescere indefinitamente, senza che si verifichino problemi di assorbimento del prodotto. Questo risultato costituisce una critica delle teorie del sottoconsumo di Malthus, Sismondi o Rodbertus; ma non è un’adesione alla leggi di Say. Infatti, per Marx, possono verificarsi crisi di sproporzione quando le proporzioni di equilibrio tra i due settori non sono rispettate. Soprattutto, non esclude la possibilità di crisi generali da sovrapproduzione in un sistema basato su decisioni d’investimento decentrate e separate dalle decisioni di risparmio. Inoltre, Marx attribuisce un ruolo importante alle oscillazioni nei livelli di produzione, formulando una delle prime teorie del ciclo economico. La teoria marxiana del ciclo economico è basata sulle fluttuazioni dell’esercito industriale di riserva (termine indica, oltre ai lavoratori disoccupati, gli occupati nei settori tradizionali dell’economia che con l’adozione delle tecniche moderne risultano in eccesso e quindi disponibili per un’occupazione nelle fabbriche). Nella fase di ripresa, il reddito cresce e la disoccupazione cala e così pure l’esercito industriale di riserva. Di conseguenza cresce il potere contrattuale della classe operaia, e cresce la concorrenza tra gli imprenditori nella ricerca di lavoratori: il salario reale sale. L’aumento del costo del lavoro provoca un riduzione del profitto. Le imprese reagiscono all’aumento dei salari cercando di risparmiare sul lavoro utilizzato nel processo produttivo, accrescendo il ricorso alle macchine. In tale modo è stimolato il progresso tecnico, che è alla base dello sviluppo economico. Il processo di meccanizzazione permette alle imprese di ridurre il numero di lavoratori occupati; l’esercito industriale di riserva cresce e ciò frena l’aumento del salario. Grazie anche agli aumenti di produttività che derivano dalla meccanizzazione, il costo del lavoro per unità di prodotto diminuisce; ciò permette un aumento dei profitti. Le imprese tornano a espandersi e ad assumere nuovi lavoratori; l’esercito industriale di riserva torna a contrarsi; si ha così una fase di espansione, che costituisce l’avvio di un nuovo ciclo. 5 Le leggi di movimento del capitalismo Secondo Marx, il capitalismo non è lo stadio finale della storia della società umana:  è preceduto da altre forme di organizzazione sociale (lo schiavismo, il feudalesimo), e dovrà lasciare il posto a nuove forme (il socialismo prima, il comunismo poi). Studiare le leggi di movimento del capitalismo significa capire come il capitalismo è nato, come si modifica nel corso del tempo, e per quali motivi dovrà lasciare il posto a una nuova forma di organizzazione della società, il socialismo. Secondo Marx, le società capitalistiche manifestano una crescente polarizzazione economica e sociale:  da un lato si ha l’impoverimento progressivo di una quota crescente della popolazione, con la proletarizzazione, cioè la formazione di masse sempre più ampie di operai non qualificati;  dall’altro lato si ha la concentrazione in poche mani di un crescente potere economico e politico, con la concentrazione della produzione industriale in poche grandi imprese, mentre piccoli imprenditori e artigiani indipendenti vengono assorbiti nelle file dei lavoratori dipendenti. Da queste tendenze Marx deriva la tesi dell’inevitabilità del crollo del capitalismo, quando i proletari esproprieranno la classe dei capitalisti, dominante sul piano economico ma numericamente esigua. Si avrà così il passaggio a una società socialista. Marx illustra nel terzo libro del Capitale, la legge della caduta tendenziale del saggio del profitto. Il processo di meccanizzazione provoca un aumento progressivo della composizione organica del capitale,se la 36 composizione organica del capitale aumenta e il saggio di sfruttamento non aumento di pari passo, il saggio del profitto deve diminuire. Vi è un errore in questo ragionamento poiché la meccanizzazione non comporta necessariamente un aumento della composizione organica del capitale. 6 La trasformazione dei valori-lavoro in prezzi di produzione Marx adotta nel Capitale la teoria del valore-lavoro. Tuttavia è consapevole del fatto che tale teoria è incompatibile con l’ipotesi di saggio di profitto uniforme, che esprime sul piano analitico una caratteristica centrale del sistema economico capitalistico, la concorrenza. Marx tenta di risolvere il problema, nel terzo volume del capitale, tramite la trasformazione dei valori-lavoro in prezzi di produzione. L’idea di Marx è di mostrare che tale trasformazione non modifica nella sostanza i risultati raggiunti sulla base della teoria del valore-lavoro, in particolare per quanto riguarda la tesi dello sfruttamento. L’ipotesi di saggio del profitto uniforme contraddice l’ipotesi che le quantità di lavoro contenute misurino correttamente i valori di scambio dei prodotti e dei mezzi di produzione. Marx riconosce questa difficoltà e propone di trasformare le grandezze espresse in termini di valori-lavoro, che non rispettano l’ipotesi di uniformità del saggio di profitto, in grandezze espresse in termini di prezzi di produzione. per fare questo, aggiunge ai costi di produzione di ciascun settore i profitti settoriali, calcolati applicando al capitale anticipato il saggio medio di profitto del sistema. Tuttavia neppure questa soluzione può essere considerata soddisfacente. Infatti costi e capitale anticipato sono espressi in termini di lavoro contenuto, mentre i capitalisti calcolano il loro saggio di profitto facendo il rapporto tra profitti e capitale anticipato misurato in termini di prezzi, non di valori-lavoro. 7 Una valutazione critica Dibattito sulla costruzione teorico-politica di Marx: Per quanto riguarda le leggi di movimento del capitalismo, Marx aveva visto giusto sul processo di concentrazione industriale, stimolato dalle economie di produzione su larga scala. Tuttavia questo processo non ha condotto al bipolarismo tra una classe capitalistica sempre più ristretta e un proletariato sempre più ampio: vari fattori hanno portato alla formazione di un’ampia e crescente classe media, che ha acquistato un peso superiore a quello del proletariato rappresentato dai lavoratori non qualificati. Grazie al notevole peso del settore pubblico nell’economia, si è visto che il processo di concentrazione industriale non porta necessariamente a una concentrazione in poche mani della totalità o quasi della ricchezza e del potere economico. Questo fatto priva di uno dei suoi pilastri la tesi dell’inevitabile sbocco rivoluzionario dell’evoluzione del sistema capitalistico. Assieme ad esso, viene a cadere anche la tesi dell’immiserimento progressivo del proletariato. Quanto alla teoria del valore-lavoro, essa ci appare solo come un modo complicato di misurare le quantità dei mezzi di produzione per determinare i prezzi di produzione: come mostrerà Sraffa. Veniamo infine alla questione del capitalismo. Non solo vengono meno sul piano teorico gli elementi presentati da Marx a sostengo dell’inevitabilità del superamento del capitalismo (polarizzazione sociale, caduta tendenziale del saggio del profitto); soprattutto, sul piano della realtà storica il modo di produzione socialista è apparso perdente, rispetto alle economie di mercato, proprio per l’aspetto che Marx considerava decisivo, la liberazione delle forze produttive. Sembra dunque preferibile la prospettiva smithiana. 8 Il marxismo dopo Marx I successori immediati di Marx, Engels e Kautsky sono curatori di importanti opere del maestro pubblicate postume. Kautsky è anche uno dei primi “revisionisti”, che sottolineano l’importanza del mercato per il 37 progresso sociale e politico, mostrando di preferire una lunga fase di transizione del capitalismo al socialismo a un improvviso salto rivoluzionario. Sulla stessa linea procede Bernstein, che sviluppa una concezione evoluzionistica della costruzione del socialismo sottolineando, in contrasto con le tesi di Marx, l’importanza centrale di istituzioni democratiche per il progresso politico e sociale. Un atteggiamento simile manifestano i socialisti della Società Fabiana. Si sviluppano dal pensiero marxista una serie di corrente, che si assicurano l’etichetta di ortodossia marxista, grazie al loro successo politico: leninismo, stalinismo. Dopo lo stalinismo ha importanza la “scuola di Varsavia”. 40 Jevons dunque concepisce l’economia come studio della massima soddisfazione ottenibile dall’allocazione di un dato ammontare di risorse. La volontà di matematizzare l’economia costringe Jevons a ridefinire come grandezze misurabili le motivazioni dell’agire umano. In questo modo perdiamo la nozione smithiana di agente economico, per imboccare il sentiero di una “economia” costruita sul modello delle scienze fisiche. 5 Costo reale e costo opportunità Jevons sviluppa il concetto di grado finale di utilità ( o di disutilità) (che corrisponde all’utilità o disutilità marginale). Il valore di scambio di ciascun bene è pari:  da un lato alla sua utilità marginale,  dall’altro lato alla disutilità marginale del lavoro necessario per procurarselo. In questo modo, per ciascun bene contemporaneamente al valore di scambio di determina anche la quantità prodotta e/o consumata. Jevons afferma che il lavoro differisce tra un soggetto economico e l’altro, per qualità ed efficienza; inoltre, individui diversi possono avere valutazioni diverse della penosità di una stessa dose di lavoro. Per questi motivi, il lavoro non può essere la causa o l’origine del valore:  il “costo reale” che contribuisce a spiegare il valore della merce è inteso come disutilità anziché come tempo di lavoro. Anche con il concetto di capitale, Jevons tende a respingere collegamenti con il lavoro. Per Jevons la fonte del capitale è la durata dell’impiego e l’intenzione del proprietario, mentre il suo valore dipende da quanto è possibile ottenere attraverso il suo impiego. In questo modo il concetto di capitale è definito in modo da essere riferibile anche all’individuo isolato. Per Jevons, infatti, divisione del lavoro e scambi sono “complicazioni irrilevanti”. 41 CAPITOLO 11 – LA SCUOLA AUSTRIACA E I SUOI DINTORNI 1 Carl Menger Menger (1840) è ben lontano dal progetto di costruire l’economia come scienza quantitativa, da sviluppare su basi matematiche. Intende piuttosto costruire una teoria che si sollevi al di sopra della semplice descrizione dei fenomeni economici, ma mantenendo un forte contatto con la realtà empirica. Inoltre, il suo soggettivismo nel campo della teoria del valore non deriva da una concezione utilitaristica. .Nella tradizione austro-tedesca prevale un soggettivismo basato sul confronto tra domanda e offerta, valore d’uso e scarsità. All’interno de I Principi Menger afferma che l’obiettivo della teoria economica è l’analisi delle relazioni causali tra beni e valori umani; definisce l’attività economica al centro della sua analisi come ricerca di conoscenza e di potere. Proprio in questo aspetto risiede uno dei principali elementi innovativi del testo di Menger. Il soggettivismo di Menger è radicale:  la sua analisi muove dalla valutazione che ciascun individuo fa della propria situazione. Il valore è dato dal giudizio degli uomini sull’importanza dei diversi bisogni. I vari bisogni vengono classificati in ordine d’importanza e si suppone che per ciascuno di essi l’intensità diminuisca man mano che esso viene soddisfatto. La determinazione del valore richiede poi che, accanto al valore d’uso dei beni, ne venga considerata la scarsità. Tale valutazione avviene direttamente nel caso dei beni di consumo e indirettamente nel caso dei beni di produzione. il consumatore è il motore primo dell’economia. La concezione soggettiva del valore proposta da Menger differisce dalla tendenza prevalente tra gli economisti tedeschi dell’epoca a ricercare fondamenta oggettive per la misurazione del valore d’uso. Menger concentra l’attenzione sulla rispondenza alle preferenze degli utilizzatori, mentre la tradizione tedesca guarda alla capacità dei beni di soddisfare i bisogni umani. 2 Il dibattito sul metodo Lo storicismo è collegato alla rinascita di uno spirito nazionalistico particolarmente vivace in Germania; e si contrappone all’universalismo, alla pretesa che sia possibile derivare da alcuni principi generali regole dotate di validità in ogni tempo e in ogni luogo. La vecchia scuola storica tedesca fiorisce nel decennio 1843-53; sostenitori dell’indagine statistica, considerano storicamente relative le “leggi economiche” deducibili dalle indagini empiriche. La nuova scuola storica, tuttavia, si oppone in modo deciso alle teorie astratte, negando la possibilità di separare l’economia, considerata una scienza essenzialmente empirica, da politica, leggi e istituzioni, consuetudini. Le ipotesi a priori e il ragionamento deduttivo vanno rifiutati, fin quando non sarà raggiunto un grado di conoscenza della realtà sufficiente a costituire una solida base per le generalizzazioni; si sostiene che nella situazione concreta dell’epoca la teoria astratta ha fondamenta insufficienti. Menger distingue tre componenti dell’economia: 1. storico-statistico; 2. teorico; 3. della politica economica. Egli sottolinea l’importanza di uno stretto rapporto tra teoria e realtà; per Menger l’essenza della realtà economica si manifesta direttamente nella riflessione dell’economista. La visione che Menger propone non è un equilibrio statico tra domanda e offerta, ma una visione essenzialmente dinamica, intrisa di storicismo. 3 Max Weber L’opera di Weber riguarda l’interpretazione del modo di produzione capitalistico e del suo processo di evoluzione. A differenza di Marx, Weber ritiene che nel processo storico il nesso causale principale non sia quello che va dalle condizioni materiali di riproduzione economica alla sfera delle istituzioni e della cultura, 42 ma quello che va in senso opposto. Weber individua nell’evoluzione del capitalismo un processo di razionalizzazione non solo dell’attività economica ma della società intera; su questa base si innesta la sua previsione di progressiva burocratizzazione dell’organizzazione statale e del processo produttivo, con la crescita dei ceti medi impiegatizi e tecnici. Per quanto riguarda le origini del capitalismo (diverso rispetto a Marx) Weber attribuisce un ruolo cruciale all’affermazione, con il protestantesimo, di una cultura favorevole all’impegno concreto nella società. Il metodo di Weber è basato sulla definizione di tipi ideali. 4 Eugen von Bohm-Bawerk Bawerk in La teoria positiva del capitale sviluppa una teoria dell’interesse, con cui tenta di introdurre il problema dell’accumulazione all’interno della teoria austriaca del valore. Il concetto chiave è quello di periodo medio di produzione. Bawerk considera il tasso d’interesse come prezzo per compensare l’attesa instia nel ricorso a metodi di produzione più indiretti (costruire macchine al posto di attrezzi rudimentali), che in quanto tali sono più produttivi. In altri termini, tra il momento in cui il lavoro viene prestato e il momento in cui si ottiene il prodotto finale trascorre più tempo, ma aumenta la produttività. Per misurare l’intensità di capitale dei processi produttivi Bawerk utilizza il periodo medio di produzione, cioè una media degli intervalli di tempo per i quali sono immobilizzate le ore di lavoro prestate per ottenere un certo prodotto, direttamente o indirettamente, cioè nella produzione dei mezzi di produzione. Secondo Bawerk, di fronte all’aumento del salario le imprese tendono a ridurre le quantità di lavoro utilizzate, e al diminuire del tasso d’interesse le imprese tendono ad allungare la durata dei processi produttivi. Dato il postulato della produttività marginale decrescente, di fronte a una riduzione del tasso d’interesse il periodo medio di produzione viene allungato fino al punto in cui la produttività marginale di tale allungamento è scesa al nuovo, più basso, livello d’interesse. (Questa teoria trascura il fenomeno dell’interesse composto, cioè il fatto che l’interesse cumulato su un’ora di lavoro prestata dieci anni fa è ben superiore a dieci volte l’interesse su un’ora di lavoro prestata un anno fa). 45 che passano da una mano all’altra hanno lo stesso valore dei flussi di beni e servizi che si muovono in senso opposto. Per trasformare questa identità in una relazione teorica, che lega il livello dei prezzi all’offerta di moneta, sono poi necessarie tre ipotesi: 1. Indipendenza della velocità di circolazione; 2. Indipendenza del volume degli scambi dall’ammontare di moneta in circolazione; 3. Dipendenza dell’ammontare di moneta in circolazione dalle decisioni dell’autorità monetaria. 46 CAPITOLO 13 – ALFRED MARSHALL 1 Vita e opere Marshall (1842-1924) non è uno dei protagonisti della rivoluzione marginalista (1871-74). Il suo contributo personale consiste nella ricerca di una sintesi tra la tradizione e i nuovi fermenti dell’impostazione soggettivista. 2 Il retroterra Marshall sente l’esigenza di distinguere le proprie idee da quelle del padre fondatore del marginalismo inglese, sottolineando l’unilateralità di una teoria puramente soggettiva del valore e contrapponendola alla altrettanto unilaterale teoria oggettiva dei classici basata sul costo di produzione, per poi presentare il proprio contributo come una sintesi che include quanto vi è di valido in ciascuna delle due impostazioni teoriche. Nel suo primo libro Marshall parte dall’analisi dell’equilibrio nel commercio estero per arrivare a una teoria dei prezzi interni. Il punto di partenza è costituito dal fatto che la teoria dei costi comparati proposta dallo stesso Ricardo per spiegare i flussi del commercio internazionale lascia indeterminati i rapporti di scambio tra le merci esportate e importate. Marshall sviluppa una linea di ricerca determinando il rapporti di scambio di equilibrio per due beni oggetto di scambio internazionale tra due paesi in base al confronto tra le curve di domanda di importazioni dei due paesi. Egli, quindi, ricorre al concetto di equilibrio tra domanda e offerta come base per determinare i valori di scambio. Lo stesso metodo, lo stesso concetto di equilibrio vengono poi estesi alla Teoria pura dei prezzi interni. Infine, il concetto di equilibrio viene scandito temporalmente, distinguendo equilibri di brevissimo, breve, lungo e lunghissimo periodo. Nel lavoro scritto a due mani (insieme alla moglie), Economis of industry è ben percepibile l’influenza dell’evoluzionismo di Darwin, particolarmente forte nell’ambiente di Cambridge. L’evoluzionismo di Marshall è caratterizzato sia da una concezione gradualistica, sia da una concezione complessa del progresso economico che pone l’accento sulla qualità della vita ben più che sul reddito pro capite. L’idea del tempo come un flusso irreversibile è ripetutamente sottolineata. Infine, dal concetto classico di prezzi “naturali” si passa a quello di valori “normali” (per i prezzi e per le quantità prodotte e scambiate). Abbiamo fin dalle prime pubblicazioni di Marshall, una doppia linea di ricerca:  da un lato, il tentativo di costruire un sistema teorico rigoroso, basato su un concetto statico di equilibrio tra domanda e offerta;  dall’altro, il tentativo di elaborare un sistema di concetti atto a rappresentare la realtà economica in modo aperto allo sviluppo storico e all’evoluzione. 3 I “Principi” Marshall offre un insieme di elementi destinati a far convergere l’interesse dei diversi filoni di cultura economica dell’epoca:  il richiamo alla tradizione classica, dalla teoria smithiana della divisione del lavoro alla teoria ricardiana della rendita;  l’accoglimento degli elementi cruciali della rivoluzione marginalista, come il concetto di utilità marginale, con l’attribuzione di un ruolo centrale alla domanda e alle preferenze dei soggetti economici;  l’inserimento della struttura analitica nel contesto di ampie discussioni sul significato dei concetti impiegati e sull’evoluzione storica della società;  i richiami all’evoluzionismo darwiniano. 47 L’importanza delle revisioni dei Principles testimonia le difficoltà incontrate da Marshall nella sua opera di sintesi dei diversi approcci, e di costruzione di una teoria del valore che affianchi l’elemento oggettivo (costo di produzione) e quello soggettivo (utilità), e che sia allo stesso tempo rigorosa, realistica e aperta all’evoluzione storica. Il metodo. La posizione metodologica di Marshall è semplice:  il riconoscimento della estrema complessità del mondo reale. La teoria non può non essere astratta, ma deve tenere i piedi per terra. Di qui la sua convinzione, alla base del metodo degli equilibri parziali, che occorra privilegiare le catene causali corte. Marshall relega a una appendice matematica la sua esposizione dell’equilibrio economico generale. Nel testo, invece, concentra l’attenzione sulle catene causali corte, in particolare sul metodo degli equilibri parziali, consiste nel considerare domanda e offerta di ciascun bene come indipendenti da quanto contemporaneamente avviene negli altri mercati, relativi agli altri beni. Concetti di equilibrio e concorrenza. La stessa consapevolezza delle complessità del mondo reale è percepibile nell’attenzione che Marshall dedica alla costruzione del sistema di concetti con cui rappresenta la realtà. Questo vale in particolare per i concetti chiave di equilibrio e concorrenza, ai quali, risulta difficile attribuire un significato univoco. Marshall infatti oscilla tra due termini:  da un lato le nozioni poi passate nei libri di testo, la cosiddetta vulgata marshalliana; in questo caso il concetto di equilibrio corrisponde alla nozione statica di eguaglianza tra domanda e offerta, e il concetto di concorrenza perfetta alla presenza di numerose imprese in ciascuna industria, tanto numerose da rendere le dimensioni di ciascuna impresa insignificanti rispetto alle dimensioni complessive dell’industria e le scelte di ciascuna singola impresa irrilevanti per l’industria nel suo complesso.  dall’altro lato le nozioni esoteriche, più legate a una concezione evoluzionistica; in questo caso, il concetto di equilibrio assume connotati dinamici, Marshall deriva il concetto evoluzionistico di equilibrio dalla teoria della popolazione, che può tendere a uno stato stazionario della struttura per età della popolazione quando i flussi di nascite e di morti sono costanti nel tempo. Il concetto di concorrenza viene sfumato attribuendo a ciascuna impresa margini di manovra che fra l’altro comportano la possibilità di violare la cosiddetta legge del prezzo unico. Nozioni di impresa e industria. I concetti di impresa e industria costituiscono un ponte tra la complessità del mondo reale e le necessità di semplificazione della teoria astratta. Con essi, Marshall si differenzia dall’individualismo metodologico estremo dei primi teorici marginalisti per privilegiare invece un’ottica classica, in cui ogni merce corrisponde a una categoria merceologica che raccoglie oggetti non identici ma sufficientemente simili, e parallelamente ogni industria raccoglie le imprese che operano in un dato settore merceologico. Naturalmente sorgono vari problemi quando le categorie così definite vengono collegate alla realtà. Rendimenti di scala. All’interno di questo quadro concettuale la struttura analitica marshalliana si fonda sull’equilibrio (di breve e lungo periodo) tra domanda e offerta. La funzione di domanda per ogni merce si suppone sia derivata dalle preferenze individuali; Marshall tende a sorvolare sul rapporto tra mappe di utilità e funzioni di domanda:  è sufficiente assumere come date le funzioni di domanda per i diversi beni. L’attenzione è piuttosto concentrata sulle funzioni di offerta. Marshall propone per il lato dell’offerta la strada dell’analisi parziale:  quindi la costruzione di curve di offerta relative alle singole imprese e industrie. A tale scopo riprende e rielabora due elementi della tradizione classica: 50 Le equazioni fondamentali del Trattato pongono in relazione prezzi e livelli di domanda e offerta nei due settori, indicando le cause che possono far divergere i prezzi dai loro livelli di equilibrio. Keynes considera uno schema periodale che collega livelli di produzione e profitti realizzati, utilizzando concetti di reddito, profitti, risparmi diversi da quelli della contabilità nazionale moderna. Al centro dell’analisi è la distinzione tra investimenti e risparmi. In quanto effetto delle decisioni di due distinti gruppi di soggetti economici (imprenditori, famiglie), investimenti e risparmi possono differire; ciò determina squilibri tra domanda e offerta nei due settori, con movimenti dei prezzi che generano guadagni o perdite imprevisti, ai quali gli imprenditori reagiscono con cambiamenti nei livelli di produzione e di occupazione. I risparmi sono considerati legati alla ricchezza, quindi relativamente stabili di fronte a variazioni di breve periodo del reddito. La dinamica ciclica dipende perciò dalla variabile degli investimenti. Il Trattato illustra i canali di creazione di liquidità, le decisioni di detenere attività finanziarie, le relazioni monetarie internazionali. Keynes è favorevole a uno standard monetario internazionale, al posto dell’oro propone una valuta emessa da una banca centrale internazionale. In quest’ambito, caratterizzato da tassi di cambio fissi, le politiche monetarie nazionali perdono qualsiasi autonomia; per sostenere l’occupazione occorre quindi ricorrere alla leva fiscale, in particolare a lavori pubblici. 4 Dal “Trattato” alla “Teoria generale” Keynes, mentre rivede le bozze del Trattato giunge alla conclusione che per sostenere le sue idee di fondo sul governo dell’economia di mercato sarebbe più adeguata una diversa struttura teorica. Il punto chiave nella transizione è il passaggio da un’analisi del disequilibrio a un’analisi degli equilibri di sottoccupazione. Restano i nessi causali, ma si ammette la possibilità di una propensione marginale al consumo inferiore a uno. Gli investimenti risultano così il principale determinante del livello di equilibrio del reddito. Inoltre, occorre formulare una teoria del livello dei tassi d’interesse. Fra il Trattato e la Teoria generale, dunque, sussistono alcune differenze di impostazione analitica. Resta ferma però l’idea chiave:  in un’economia monetaria le decisioni imprenditoriali sui livelli di produzione non conducono automaticamente al pieno impiego delle risorse disponibili. Nel Trattato abbiamo un’analisi del disequilibrio, mentre l’idea dell’equilibrio di pungo periodo resta sullo sfondo. Nella Teoria generale la tesi centrale riguarda il possibile persistere di equilibri caratterizzati da disoccupazione. Di qui l’importanza di una politica economica attiva: soprattutto tramite la leva monetaria- finanziaria. Nel tempo, Keynes attribuisce importanza crescente alla spesa pubblica per il sostengo della domanda nel lungo periodo e non solo in funzione anticiclica. 5 La “Teoria generale” La Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta. Obiettivi di Keynes e la sua visione dell’economia. La difesa di un sistema politico liberale impone di riconoscere i limiti del sistema di laissez faire e la necessità di interventi attivi dello Stato. Gli agenti economici prendono le loro decisioni in condizioni di incertezza. Da qui deriva, sul piano del metodo, la preferenza per modelli aperti, mirati al problema oggetto d’esame, da costruire con cautela, soffermandosi sulle condizioni sotto cui valgono i singoli nessi causali. Dall’incertezza derivano vari aspetti della teoria keynesiana, come il ruolo dei mercati finanziari che garantiscono flessibilità nelle scelte intertemporali e permettono agli imprenditori di compiere scelte produttive e d’investimento che riguardano il futuro. La Teoria generale poggia su tre pilastri: 1. il concetto di domanda effettiva; 2. il meccanismo del moltiplicatore; 3. la teoria dell’interesse. 51 1)Il punto di domanda effettiva è il punto d’incontro di due curve, una funzione di offerta aggregata (Z) e una funzione di domanda aggregata (D), concettualmente diverse dalle tradizionali curve d’offerta e di domanda. Le due funzioni infatti collegano il numero di lavoratori occupati con le valutazioni degli imprenditori sui costi da un alto e sui ricavi dall’altro lato. Entrambe le curve esprimono il punto di vista di una stessa categoria di soggetti economici, gli imprenditori, non di due gruppi (consumatori e produttori). Sia i costi sia i ricavi attesi crescono al crescere del numero dei lavoratori occupati. Pertanto entrambe le funzioni sono crescenti. Il punto di domanda effettiva è quello in corrispondenza del quale D=Z. Esso indica il livello di equilibrio atteso dell’occupazione, quindi della produzione, date le aspettative di breve periodo degli imprenditori su costi e ricavi. 2)Le decisioni relative ai consumi e agli investimenti sono adottate da due distinte categorie di soggetti economici, le famiglie e le imprese, e seguono logiche diverse. I consumi dipendono dal reddito; gli investimenti, invece, dalle decisioni degli imprenditori, e sono indipendenti dal reddito corrente. Di conseguenza, sono le decisioni d’investimento a determinare il livello di equilibrio del reddito. Il livello di equilibrio del reddito dipende dia dal livello degli investimenti I, sia dalla propensione al risparmio s; più precisamente, dalla condizione di equilibrio I=S. Dalla definizione di propensione al risparmio si ricava il moltiplicatore, cioè quel coefficiente moltiplicativo che si applica al livello degli investimenti per ottenere il reddito di equilibrio, è pari all’inverso della propensione al risparmio. Quando ci si riferisce al moltiplicatore, ci si riferisce al ruolo attivo attribuito agli investimenti e a quello passivo attribuito a consumi e risparmi nella determinazione del reddito. 3)Anche per la teoria dell’investimento, Keynes adotta il punto di vista dell’imprenditore. Per decidere se investire, questi valuta la redditività attesa dell’investimento e la confronta con il tasso d’interesse, cioè con il rendimento delle attività finanziarie che costituiscono un impiego alternativo dei fondi a disposizione. Il terzo pilastro della Teoria generale è costituito dalla teoria dei mercati monetari e finanziari, con il tasso d’interesse concepito come premio per la rinuncia alla liquidità. Questa teoria ha due aspetti principali: 1) dietro i risparmiatori che decidono le attività finanziarie in cui investire, traspaiono i grandi operatori finanziari, veri protagonisti del processo decisionale. 2) Tale processo decisionale non riguarda i flussi, ma l’allocazione degli stock; la domanda di moneta a scopo speculativo domina quindi sulla domanda di moneta per transazione. Semplificando il problema, Keynes considera due tipi di attività:  Moneta, estremamente liquida in quanto comunemente accetta per qualsiasi tipo di transazione ma che non frutta un reddito, e;  Titoli, che fruttano a scadenze regolari una cedola prefissata. Il prezzo corrente dei titoli già presenti sul mercato sale quando il tasso d’interesse scende e viceversa. Nell’ambito dell’analisi keynesiana, la teoria della domanda di moneta a scopo speculativo rifiuta il meccanismo tradizionale di determinazione del tasso d’interesse basato sul confronto fra risparmi e investimenti. Il punto è, per Keynes, la separazione tra le due decisioni:  quella su quanto risparmiare e;  quella sull’attività finanziaria in cui investire; è quest’ultima scelta che concorre, assieme alla politica monetaria, a determinare il tasso d’interesse. 6 Le asimmetrie della politica economica in un’economia aperta e le istituzioni internazionali La Teoria generale analizza il casi di un sistema economico chiuso ed i risultati non possono essere automaticamente estesi a un’economia aperta. L’idea di fondo di Keynes è che la disoccupazione viene continuamente creata dal progresso tecnico che permette di ottenere la stessa quantità di prodotto con un numero decrescente di lavoratori. Il problema può diventare socialmente esplosivo in assenza di politiche adeguate di governo dell’economia. Inoltre, l’assunto di economia chiuso adottato nella Teoria generale mostra che le politiche beggear-thy-neighbour 52 (=avvantaggiarsi a spese del vicino: un gioco a somma zero, in cui i vantaggi dell’uno corrispondono ai danni dell’altro) redistribuiscono i costi della crisi mondiale ma non offrono alcun contributo a una sua soluzione. Secondo Keynes, il sistema economico internazionale dev’essere organizzato non solo in modo da facilitare lo sviluppo dei commerci, ma anche in modo da sostenere l’attività produttiva mondiale. A questo fine, occorre evitare ogni asimmetria nello stimolare comportamenti correttivi da parte dei paesi con avanzi commerciali e di quelli con disavanzi. Keynes ritiene che un sistema monetario internazionale equilibrato debba governare la liquidità internazionale in modo da alleggerire la pressione sui paesi in passivo e da stimolare i paesi in attivo ad adottare politiche espansive. CAPITOLO 15 – JOSEPH SCHUMPETER 1 Vita e opere Schumpeter (1883-1950) è noto soprattutto per la tesi che il processo di sviluppo economico è generato da una successione di innovazioni realizzate dagli imprenditori, con il potere d’acquisto fornito loro dalle banche. Schumpeter porta alla ribalta le figure dell’imprenditore e del banchiere, protagonisti del processo di sviluppo; si oppone alle politiche attive di stampo keynesiano e valuta la crisi come un male necessario per stimolare la vitalità stessa del capitalismo. Il metodo Schumpeter assume un “liberalismo metodologico”:  è “vantaggioso non fissare le ipotesi del metodo una volta per tutte e per tutti i nostri scopi, ma adattarle ad ognuno di essi e, una volta che tali ipotesi particolari appaiono rispondenti allo scopo, essere, per quanto possibile, liberali”. Schumpeter parte dall’affermazione che “ tutte le scienze non sono altro che forme di rappresentazione” della realtà, e critica l’idea “che sia possibile la formulazione di “leggi esatte”. Dal punto di vista metodologico, Schumpeter critica come sterile il dibattito sul metodo ancora in corso in quegli anni. “La scuola storica e quella astratta non stanno tra loro in contrasto e l’unica distinzione è l’interesse” per diversi aspetti di una stessa realtà complessa. Schumpeter ribadisce che la vita economica ha vari aspetti e va quindi analizzata da vari punti di vista. Una conseguenza del liberalismo metodologico è la cautela verso l’individualismo metodologico, inteso come il metodo d’analisi che parte dall’individuo e che è alla radice della teoria economica neoclassica. Schumpeter sottolinea la distinzione tra:  scienza individualista e;  individualismo politico (liberalismo); affermando che “non c’è una relazione molto stretta” tra i due e che “dalla teoria non si traggono argomenti né pro né contro l’individualismo politico”. 3 Dalla statica alla dinamica; il ciclo Ne L’essenza e i principi dell’economia teorica, Schumpeter segue la tradizione marginalista, per la quale il valore dei beni economici è espresso dalla domanda manifestata per essi relativamente alla loro scarsità. Tuttavia respinge l’utilitarismo di Jevons, basato sull’identificazione del valore con la misura (soggettiva) della capacità dei beni di appagare i bisogni. Il principio dell’utilità marginale decrescente, secondo Schumpeter, non è una legge per l’economia, ma un assunzione basilare per la generalizzazione di determinati fatti scientifici; tale assunzione è arbitraria in linea di principio. Schumpeter considera la teoria del prezzo “il nocciolo dell’economia pura”. A suo parere, il punto di arrivo della teoria dell’equilibrio economico risiede in quello che chiama “il metodo della variazione”. Infatti, “noi non possiamo mai spiegare uno stato di equilibrio concreto dell’economia”, ma solo quali siano le conseguenze sull’equilibrio del cambiamento di uno dei dati. La teoria dell’equilibrio economico è utile
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