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Canti orfici, Appunti di Lingua Italiana

Dino Campana

Tipologia: Appunti

2015/2016

Caricato il 05/09/2016

Sandra.Mastrorilli
Sandra.Mastrorilli 🇮🇹

5

(1)

3 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Canti orfici e più Appunti in PDF di Lingua Italiana solo su Docsity! Canti orfici di Dino Campana Letteratura italiana Einaudi Edizione di riferimento: Tipografia E. Ravagli, Marradi 1914 Letteratura italiana Einaudi A Guglielmo IIl imperatore dei germani l’autore dedica Letteratura italiana Einaudi I Dino Campana - Canti orfici LA NOTTE Letteratura italiana Einaudi 2 Dino Campana - Canti orfici L LA NOTTE Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita, rsa su la pianura sterminata nell'Agosto torrido, con il lon- tano refrigerio di colline verdi e molli sullo sfondo. Ar- chi enormemente vuoti di ponti sul fiume impaludato in magre stagnazioni plumbee: sagome nere di zingari mo- bili e silenziose sulla riva: tra il barbaglio lontano di un canneto lontane forme ignude di adolescenti e il profilo e la barba giudaica di un vecchio: e a un tratto dal mez: 20 dell'acqua morta le zingare e un canto, da la palude afona una nenia primordiale monotona e irritante: e del tempo fu sospeso il corso. Inconsciamente io levai gli occhi alla torre barbara che dominava il viale lunghissimo dei platani. Sopra il silenzio fatto intenso essa riviveva il suo mito lontano e selvaggio: mentre per visioni lontane, per sensazioni oscure e violente un altro mito, anch'esso mistico e sel- vaggio mi ricorreva a tratti alla mente. Laggiù avevano tratto le lunghe vesti mollemente verso lo splendore va- g0 della porta le passeggiatrici, le antiche: la campagna intorpidiva allora nella rete dei canali: fanciulle dalle ac- conciature agili, dai profili di medaglia, sparivano a trat- ti sui carrettini dietro gli svolti verdi. Un tocco di cam- pana argentino e dolce di lontananza: la Sera: nella chiesetta solitaria, all'ombra delle modeste navate, io stringevo Lei, dalle carni rosee e dagli accesi occhi fuggi- tivi: anni ed anni ed anni fondevano nella dolcezza trionfale del ricordo. Letteratura italiana Einaudi Dino Campana - Canti orfici languenti. La magia della sera, languida amica del crimi- nale, era galeotta delle nostre anime oscure e i suoi fasti- gi sembravano promettere un regno misterioso. E la sa- cerdotessa dei piaceri sterili, l'ancella ingenua ed avida e il poeta si guardavano, anime infeconde inconsciamente cercanti il problema della loro vita. Ma la sera scendeva messaggio d’oro dei brividi freschi della notte. Venne la notte e fu compita la conquista dell’ancella. Il suo corpo ambrato la sua bocca vorace i suoi ispidi neri capelli a tratti la rivelazione dei suoi occhi atterriti di voluttà intricarono una fantastica vicenda. Mentre più dolce, già presso a spegnersi ancora regnava nella lontananza il ricordo di Lei, la matrona suadente, la re- gina ancora ne la sua linea classica tra le sue grandi so- relle del ricordo: poi che Michelangiolo aveva ripiegato sulle sue ginocchia stanche di cammino colei che piega, che piega e non posa, regina barbara sotto il peso di tut- to il sogno umano, e lo sbattere delle pose arcane e vio- lente delle barbare travolte regine antiche aveva udito Dante spegnersi nel grido di Francesca là sulle rive dei fiumi che stanchi di guerra mettono foce, nel mentre sulle loro rive si ricrea la pena eterna dell'amore. E l'an cella, l’ingenua Maddalena dai capelli ispidi e dagli oc- chi brillanti chiedeva in sussulti dal suo corpo sterile e dorato, crudo e selvaggio, dolcemente chiuso nell’umiltà del suo mistero. La lunga notte piena degli inganni delle varie immagini. Si affacciavano ai cancelli d’argento delle prime av- venture le antiche immagini, addolcite da una vita d'amore, a proteggermi ancora col loro sorriso di una Letteratura italiana Einaudi Dino Campana - Canti orfici misteriosa incantevole tenerezza. Si aprivano le chiuse aule dove la luce affonda uguale dentro gli specchi all'infinito, apparendo le immagini avventurose delle cortigiane nella luce degli specchi impallidite nella loro attitudine di sfingi: e ancora tutto quello che era arido e dolce, sfiorite le rose della giovinezza, tornava a rivivere sul panorama scheletrico del mondo. Nell’odore pirico di sera di fiera, nell'aria gli ultimi clangori, vedevo le antichissime fanciulle della prima il- lusione profilarsi a mezzo i ponti gettati da la città al sobborgo ne le sere dell'estate torrida: volte di tre quar- ti, udendo dal sobborgo il clangore che si accentua an- nunciando le lingue di fuoco delle lampade inquiete a trivellare l'atmosfera carica di luci orgiastiche: ora ad- dolcite: nel già morto cielo dolci e rosate, alleggerite di un velo: così come Santa Marta, spezzati a terra gli stru- menti, cessato già sui sempre verdi paesaggi il canto che il cuore di Santa Cecilia accorda col cielo latino, dolce e rosata presso il crepuscolo antico ne la linea eroica de la grande figura femminile romana sosta. Ricordi di zinga- re, ricordi d’amori lontani, ricordi di suoni e di luci: stanchezze d'amore, stanchezze improvvise sul letto di una taverna lontana, altra culla avventurosa d'incertezza e di rimpianto: così quello che ancora era arido e dolce, sfiorite le rose de la giovinezza, sorgeva sul panorama scheletrico del mondo. Ne la sera dei fuochi de la festa d'estate, ne la luce de- liziosa e bianca, quando i nostri orecchi riposavano ap- pena nel silenzio e i nostri occhi erano stanchi de le gi- randole di fuoco, de le stelle multicolori che avevano Letteratura italiana Einaudi Dino Campana - Canti orfici lasciato un odore pirico, una vaga gravezza rossa nell'aria, e il camminare accanto ci aveva illanguiditi esal- tandoci di una nostra troppo diversa bellezza, lei fine e bruna, pura negli occhi e nel viso, perduto il barbaglio della collana dal collo ignudo, camminava ora a tratti inesperta stringendo il ventaglio. Fu attratta verso la ba- racca: la sua vestaglia bianca a fini strappi azzurri ondeg- giò nella luce diffusa, ed io segui il suo pallore segnato sulla sua fronte dalla frangia notturna dei suoi capelli. Entrammo. Dei visi bruni di autocrati, rasserenati dalla fanciullezza e dalla festa, si volsero verso di noi, profon- damente limpidi nella luce. E guardammo le vedute. Tutto era di ur'irrealtà spettrale. C'erano dei panorami scheletrici di città. Dei morti bizzarri guardavano il cielo in pose legnose. Una odalisca di gomma respirava som- messamente e volgeva attorno gli occhi d'idolo. E l'odore acuto della segatura che felpava i passi e il sussurrio delle signorine del paese attonite di quel mistero. «È così Pari- gi? Ecco Londra. La battaglia di Mukden.» Noi guarda- vamo intorno: doveva essere tardi. Tutte quelle cose viste per gli occhi magnetici delle lenti in quella luce di sogno! Immobile presso a me io la sentivo divenire lontana e straniera mentre il suo fascino si approfondiva sotto la frangia notturna dei suoi capelli. Si mosse. Ed io sentii con una punta d'amarezza tosto consolata che mai più le sarei stato vicino. La seguii dunque come si segue un so- gno che si ama vano: così eravamo divenuti a un tratto lontani e stranieri dopo lo strepito della festa, davanti al panorama scheletrico del mondo. Ero sotto l'ombra dei portici stillata di goccie e goccie di luce sanguigna ne la nebbia di una notte di dicembre. A un tratto una porta si era aperta in uno sfarzo di luce. In fondo avanti posava nello sfarzo di un'ottomana rossa Letteratura italiana Einaudi Dino Campana - Canti orfici sullo sfondo bianco delicato mistero. Laghi, lassù tra gli scogli chiare gore vegliate dal sorriso del sogno, le chiare gore i laghi estatici dell'oblio che tu Leonardo fingevi. Il torrente mi raccontava oscuramente la storia. Io fisso tra le lance immobili degli abeti credendo a tratti vagare una nuova melodia selvaggia e pure triste forse fissavo le nubi che sembravano attardarsi curiose un istante su quel paesaggio profondo e spiarlo e svanire dietro le lan- cie immobili degli abeti. E povero, ignudo, felice di es- sere povero ignudo, di riflettere un istante il paesaggio quale un ricordo incantevole ed orrido in fondo al mio cuore salivo: e giunsi giunsi là fino dove le nevi delle AL- pi mi sbarravano il cammino. Una fanciulla nel torrente lavava, lavava e cantava nelle nevi delle bianche Alpi. Si volse, mi accolse, nella notte mi amò. E ancora sullo sfondo le Alpi il bianco delicato mistero, nel mio ricor- do ‘accese la purità della lampada stellare, brillò la luce della sera d'amore. Ma quale incubo gravava ancora su tutta la mia giovi- nezza? O i baci i baci vani della fanciulla che lavava, la- vava e cantava nella neve delle bianche Alpi! (le lagrime salirono ai miei occhi al ricordo). Riudivo il torrente an- cora lontano: crosciava bagnando antiche città desolate, lunghe vie silenziose, deserte come dopo un saccheggio. Un calore dorato nell'ombra della stanza presente, una chioma profusa, un corpo rantolante procubo nella not- te mistica dell’antico animale umano. Dormiva l'ancella dimentica nei suoi sogni oscuri: come un'icona bizanti- na, come un mito arabesco imbiancava in fondo il pallo- re incerto della tenda. Letteratura italiana Einaudi II Dino Campana - Canti orfici E allora figurazioni di un'antichissima libera vita, di enormi miti solari, di stragi di orgie si crearono avanti al mio spirito. Rividi un'antica immagine, una forma sche- letrica vivente per la forza misteriosa di un mito barba- ro, gli occhi gorghi cangianti vividi di linfe oscure, nella tortura del sogno scoprire il corpo vulcanizzato, due chiazze due fori di palle di moschetto sulle sue mam- melle estinte. Credetti di udire fremere le chitarre là nella capanna d’assi e di zingo sui terreni vaghi della città, mentre una candela schiariva il terreno nudo. In faccia a me una matrona selvaggia mi fissava senza bat- ter ciglio. La luce era scarsa sul terreno nudo nel freme- re delle chitarre. A lato sul tesoro fiorente di una fan- ciulla in sogno la vecchia stava ora aggrappata come un ragno mentre pareva sussurrare all'orecchio parole che non udivo, dolci come il vento senza parole della Pam- pa che sommerge. La matrona selvaggia mi aveva preso: il mio sangue tiepido era certo bevuto dalla terra: ora la luce era più scarsa sul terreno nudo nell’alito metalizza- to delle chitarre. A un tratto la fanciulla liberata esalò la sua giovinezza, languida nella sua grazia selvaggia, gli occhi dolci e acuti come un gorgo. Sulle spalle della bella selvaggia si illanguidì la grazia all'ombra dei capel- li fluidi e la chioma augusta dell'albero della vita si tramò nella sosta sul terreno nudo invitando le chitarre il lontano sonno. Dalla Pampa si udì chiaramente un balzare uno scalpitare di cavalli selvaggi, il vento si udì chiaramente levarsi, lo scalpitare parve perdersi sordo nell'infinito. Nel quadro della porta aperta le stelle bril- larono rosse e calde nella lontananza: l'ombra delle sel- vaggie nell'ombra. Letteratura italiana Einaudi 12 Dino Campana - Canti orfici IL IL VIAGGIO E IL RITORNO Salivano voci e voci e canti di fanciulli e di lussuria per i ritorti vichi dentro dell'ombra ardente, al colle al colle. A l’ombra dei lampioni verdi le bianche colossali prostitute sognavano sogni vaghi nella luce bizzarra al vento. Il mare nel vento mesceva il suo sale che il vento mesceva e levava nell’odor lussurioso dei vichi, e la bian- ca notte mediterranea scherzava colle enormi forme del- le femmine tra i tentativi bizzarri della fiamma di sveller- si dal cavo dei lampioni. Esse guardavano la fiamma e cantavano canzoni di cuori in catene. Tutti i preludii erano taciuti oramai. La notte, la gioia più quieta della notte era calata. Le porte moresche si caricavano e si at- torcevano di mostruosi portenti neri nel mentre sullo sfondo il cupo azzurro si insenava di stelle. Solitaria tro- neggiava ora la notte accesa in tutto il suo brulicame di stelle e di fiamme. Avanti come una mostruosa ferita profondava una via. Ai lati dell'angolo delle porte, bian- che cariatidi di un cielo artificiale sognavano il viso pog- giato alla palma. Ella aveva la pura linea imperiale del profilo e del collo vestita di splendore opalino. Con ra- pido gesto di giovinezza imperiale traeva la veste leggera sulle sue spalle alle mosse e la sua finestra scintillava in attesa finchè dolcemente gli scuri si chiudessero su di una duplice ombra. Ed il mio cuore era affamato di so- gno, per lei, per l'evanescente come l'amore evanescen- te, la donatrice d'amore dei porti, la cariatide dei cieli di ventura. Sui suoi divini ginocchi, sulla sua forma pallida come un sogno uscito dagli innumerevoli sogni dell'om- bra, tra le innumerevoli luci fallaci, l'antica amica, l'eter- na Chimera teneva fra le mani rosse il mio antico cuore. Letteratura italiana Einaudi 13 Dino Campana - Canti orfici NOTTURNI Letteratura italiana Einaudi 16 Dino Campana - Canti orfici LA CHIMERA Non so se tra roccie il tuo pallido Viso m'apparve, o sorriso Di lontananze ignote Fosti, la china eburnea Fronte fulgente o giovine 5 Suora de la Gioconda: O delle primavere Spente, per i tuoi mitici pallori O Regina o Regina adolescente: Ma per il tuo ignoto poema 10 Di voluttà e di dolore Musica fanciulla esangue, Segnato di linea di sangue Nel cerchio delle labbra sinuose, Regina de la melodia: 15 Ma per il vergine capo Reclino, io poeta notturno Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo, Io per il tuo dolce mistero Io per il tuo divenir taciturno. 20 Non so se la fiamma pallida Fu dei capelli il vivente Segno del suo pallore, Non so se fu un dolce vapore, Dolce sul mio dolore, 25 Sorriso di un volto notturno: Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti E l'immobilità dei firmamenti E i gonfi rivi che vanno piangenti E l’ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti 30 E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera. —_——_ letteratura italiana Einaudi 17 Dino Campana - Canti orfici GIARDINO AUTUNNALE (Firenze) AI giardino spettrale al lauro muto De le verdi ghirlande Alla terra autunnale Un ultimo saluto! A l’aride pendici 5 Aspre arrossate nell'estremo sole Confusa di rumori Rauchi grida la lontana vita: Grida al morente sole Che insanguina le aiole. 10 S'intende una fanfara Che straziante sale: il fiume spare Ne le arene dorate: nel silenzio Stanno le bianche statue a capo i ponti Volte: e le cose già non sono piè. 15 E dal fondo silenzio come un coro Tenero e grandioso Sorge ed anela in alto al mio balcone: E in aroma d'alloro, In aroma d'alloro acre languente, 20 Tra le statue immortali nel tramonto Ella m'appar, presente. Letteratura italiana Einaudi 18 Dino Campana - Canti orfici IL CANTO DELLA TENEBRA La luce del crepuscolo si attenua: Inquieti spiriti sia dolce la tenebra AI cuore che non ama più! Sorgenti sorgenti abbiam da ascoltare, Sorgenti, sorgenti che sanno 5 Sorgenti che sanno che spiriti stanno Che spiriti stanno a ascoltare...... Ascolta: la luce del crepuscolo attenua Ed agli inquieti spiriti è dolce la tenebra: Ascolta: ti ha vinto la Sorte: 10 Ma per i cuori leggeri un'altra vita è alle porte: Non c'è di dolcezza che possa uguagliare la Morte Più Più Più Intendi chi ancora ti culla: Intendi la dolce fanciulla 15 Che dice all'orecchio: Più Più Ed ecco si leva e scompare Il vento: ecco torna dal mare Ed ecco sentiamo ansimare Il cuore che ci amò di più! 20 Guardiamo: di già il paesaggio Degli alberi e l’acque è notturno Il fiume va via taciturno... Pùm! mamma quell'omo lassù! Letteratura italiana Einaudi 21 Dino Campana - Canti orfici LA SERA DI FIERA Il cuore stasera mi disse: non sai? La rosabruna incantevole Dorata da una chioma bionda: E dagli occhi lucenti e bruni colei che di grazia Imperiale Incantava la rosea Freschezza dei mattini: E tu seguivi nell'aria La fresca incarnazione di un mattutino sogno: E soleva vagare quando il sogno E il profumo velavano le stelle (Che tu amavi guardar dietro i cancelli Le stelle le pallide notturne): Che soleva passare silenziosa E bianca come un volo di colombe Certo è morta: non sai? Era la notte Di fiera della perfida Babele Salente in fasci verso un cielo affastellato un paradiso di fiamma Inlubrici fischi grotteschi E tintinnare d’angeliche campanelle E gridi e voci di prostitute E pantomime d’Ofelia Stillate dall’umile pianto delle lampade elettriche Una canzonetta volgaruccia era morta E mi aveva lasciato il cuore nel dolore E me ne andavo errando senz'amore Lasciando il cuore mio di porta in porta: Con Lei che non è nata eppure è morta E mi halasciato il cuore senz'amore: Eppure il cuore porta nel dolore: Lasciando il cuore mio di porta in porta. Letteratura italiana Einaudi 22 Dino Campana - Canti orfici LA PETITE PROMENADE DU POÈTE Me ne vado per le strade Strette oscure e misteriose: Vedo dietro le vetrate Afffacciarsi Gemme e Rose. Dalle scale misteriose 5 C'è chi scende brancolando: Dietro i vetri rilucenti Stan le ciane commentando. La stradina è solitaria: 10 Non c'è un cane: qualche stella Nella notte sopra i tetti: E la notte mi par bella. E cammino poveretto Nella notte fantasiosa, 15 Pur mi sento nella bocca La saliva disgustosa. Via dal tanfo Via dal tanfo e per le strade E cammina e via cammina, Già le case son più rade. 20 Trovo l'erba: mi ci stendo A conciarmi come un cane: Da lontano un ubriaco Canta amore alle persiane. ———_ Letteratura italiana Einaudi 23 Dino Campana - Canti orfici in tagliava in un semicerchio dentato contro il violetto crepuscolare, arco solitario e magnifico teso in forza di catastrofe sotto gli ammucchiamenti inquieti di rocce all’agguato dell'infinito, io non ero non ero rapito di scoprire nel cielo luci ancora luci. E, mentre il tempo fuggiva invano per me, un canto, le lunghe onde di un triplice coro salienti a lanci la roccia, trattenute ai confi- ni dorati della notte dall’eco che nel seno petroso le rifondeva allungate, perdute. Il canto fu breve: una pausa, un commento improvvi- so e misterioso e la montagna riprese il suo sogno cata- strofico. Il canto breve: le tre fanciulle avevano espresso disperatamente nella cadenza millenaria la loro pena breve ed oscura e si erano taciute nella notte! Tutte le fi- nestre nella valle erano accese. Ero solo. Le nebbie sono scomparse: esco. Mi rallegra il buon odore casalingo di spigo e di lavanda dei paesetti tosca- ni. La chiesa ha un portico a colonnette quadrate di sas- so intero, nudo ed elegante, semplice e austero, vera mente toscano. Tra i cipressi scorgo altri portici. Su una costa una croce apre le braccia ai vastissimi fianchi della Falterona, spoglia di macchie,che scopre la sua costrut- tura sassosa. Con una fiamma pallida e fulva bruciano le erbe del camposanto. Sulla Falterona, (Giogo) La Falterona verde nero e argento: la tristezza solen- ne della Falterona che si gonfia come un enorme caval- lone pietrificato, che lascia dietro a sè una cavalleria di screpola ture screpolature e screpolature nella roccia fi- no ai ribollimenti arenosi di colline laggiù sul piano di Toscana: Castagno, casette di macigno disperse a mezza costa, finestre che ho visto accese: così a le creature del paesaggio cubistico, in luce appena dorata di occhi in- Letteratura italiana Einaudi 26 Dino Campana - Canti orfici terni tra i fini capelli vegetali il rettangolo della testa in linea occultamente fine dai fini tratti traspare il sorriso di Cerere bionda: limpidi sotto la linea del sopra ciglio nero i chiari occhi grigi: la dolcezza della linea delle lab- bra, la serenità del sopra ciglio memoria della poesia to- scana che fu. (Tu già avevi compreso 0 Leonardo, o divino primitivo!) Campigna, foresta della Falterona (Le case quadrangolari in pietra viva costruite dai Lo- rena restano vuote e il viale dei tigli dà un tono romanti- co alla solitudine dove i potenti della terra si sono fab- bricate le loro dimore. La sera scende dalla cresta alpina e si accoglie nel seno verde degli abeti). Dal viale dei tigli io guardavo accendersi una stella solitaria sullo sprone alpino e la selva antichissima ad- densare l'ombra e i profondi fruscìi del silenzio. Dalla cresta acuta del cielo, sopra il mistero assopito della sel- va io scorsi andando pel viale dei tigli la vecchia amica luna che sorgeva in nuova veste rossa di fumi di rame: e risalutai l'amica senza stupore come se le profondità sel- vaggie dello sprone l’attendessero levarsi dal paesaggio ignoto. lo per il viale dei tigli andavo intanto difeso dagli incanti mentre tu sorgevi e sparivi dolce amica luna, s0- litario e fumigante vapore sui barbari recessi. E non guardai più la tua strana faccia ma volli andare ancora a lungo pel viale se udissi la tua rossa aurora nel sospiro della vita notturna delle selve. Stia, 20 Settembre Nell’albergo un vecchio milanese cavaliere parla dei suoi amori lontani a una signora dai capelli bianchi e dal —_——_ letteratura italiana Einaudi 27 Dino Campana - Canti orfici viso di bambina. Lei calma gli spiega le stranezze del cuore: lui ancora stupisce e si affanna: qua nell'antico paese chiuso dai boschi. Ho lasciato Castagno: ho salito la Falterona lentamente seguendo il corso del torrente rubesto: ho riposato nella limpidezza angelica dell'alta montagna addolcita di toni cupi per la pioggia recente, ingemmata nel cielo coi contorni nitidi e luminosi che mi facevano sognare davanti alle colline dei quadri antichi. Ho sostato nelle case di Campigna. Son sceso per inter- minabili valli selvose e deserte con improwvisi sfondi di un paesaggio promesso, un castello isolato e lontano: e al fine Stia, bianca elegante tra il verde, melodiosa di castel- li sereni: il primo saluto della vita felice del paese nuovo: la poesia toscana ancor viva nella piazza sonante di voci tranquille, vegliata dal castello antico: le signore ai balco- ni poggiate il puro profilo languidamente nella sera: l'ora di grazia della giornata, di riposo e di oblio. AI di fuori si è fatta la quiete: il colloquio fraterno del cavaliere continua: Comme deux ennemis rompus Que leur haine ne soutient plus Et qui laissent tomber leurs armes! 21 Settembre (presso la Verna) Io vidi dalle solitudini mistiche staccarsi una tortora e volare distesa verso le valli immensamente aperte. Il paesaggio cristiano segnato di croci inclinate dal vento ne fu vivificato misteriosamente. Volava senza fine sull’ali distese, leggera come una barca sul mare. Addio colomba, addio! Le altissime colonne di roccia della Verna si levavano a picco grige nel crepuscolo, tutt’in- torno rinchiuse dalla foresta cupa. Incantevolmente cristiana fu l’ospitalità dei contadini là presso. Sudato mi offersero acqua. «In un'ora arrive ——_lXlXlLrnletteratura italiana Einaudi 28 Dino Campana - Canti orfici fili ieratici dal breve paesaggio claustrale da cui sorgono decollati, figure di una santità fatta spirito, linee rigide enigmatiche di grandi anime ignote. Un frate decrepito nella tarda ora si trascina nella penombra dell’altare, si- lenzioso nel saio villoso, e prega le preghiere d'ottanta anni d'amore. Fuori il tramonto s’intorbida. Strie mi- nacciose di ferro si gravano sui monti prospicenti lonta- ne. Il sogno è al termine e l’anima improvvisamente sola cerca un appoggio una fede nella triste ora. Lontano si vedono lentamente sommergersi le vedette mistiche e guerriere dei castelli del Casentino. Intorno è un grande silenzio un grande vuoto nella luce falsa dai freddi ba- gliori che ancora guizza sotto le strette della penombra. È corre la memoria ancora alle signore gentili dalle bian- che braccia ai balconi laggiù: come in un sogno: come in un sogno cavalleresco! Esco: il piazzale è deserto. Seggo sul muricciolo. Fi- gure vagano, facelle vagano e si spengono: i frati si con- gedano dai pellegrini. Un alito continuo e leggero soffia dalla selva in alto, ma non si ode nè il frusciare della massa oscura nè il suo fluire per gli antri. Una campana dalla chiesetta francescana tintinna nella tristezza del chiostro: e pare il giorno dall’ombra, il giorno piagner che si muore. Letteratura italiana Einaudi 3I Dino Campana - Canti orfici I RITORNO saLGo (nello spazio, fuori del tempo) L'acqua il vento La sanità delle prime cose - Il lavoro umano sull’elemento Liquido - la natura che conduce Strati di rocce su strati — il vento Che scherza nella valle - ed ombra del vento La nuvola - il lontano ammonimento Del fiume nella valle - E la rovina del contrafforte — la frana La vittoria dell'elemento = il vento Che scherza nella valle. Su la lunghissima valle che sale in scale La casetta di sasso sul faticoso verde: La bianca immagine dell'elemento. La tellurica melodia della Falterona. Le onde telluri- che. L'ultimo asterisco della melodia della Falterona s'inselva nelle nuvole. Su la costa lontana traluce la linea vittoriosa dei giovani abeti, l'avanguardia dei giganti giovinetti serrati in battaglia, felici nel sole lungo la lun- ga costa torrenziale. In fondo, nel frusciar delle nere sel ve sempre più avanti accampanti lo scoglio enorme che si ripiega grottesco su sè stesso, pachiderma a quattro zampe sotto la massa oscura: la Verna. E varco e varco. Campigno: paese barbarico, fuggente, paese nottur- no, mistico incubo del caos. Il tuo abitante porge la not- te dell’antico animale umano nei suoi gesti. Nelle tue mosse montagne l'elemento grottesco profila: un ga- glioffo, una grossa puttana fuggono sotto le nubi in cor- sa. E le tue rive bianche come le nubi, triangolari, curve Letteratura italiana Einaudi 32 Dino Campana - Canti orfici come gonfie vele: paese barbarico, fuggente, paese not- turno, mistico incubo del Caos. Riposo ora per l’ultima volta nella solitudine della fo- resta. Dante la sua poesia di movimento, mi torna tutta in memoria. O pellegrino, o pellegrini che pensosi anda- te! Catrina, bizzarra figlia della montagna barbarica, della conca rocciosa dei venti, come è dolce il tuo pian- to: come è dolce quando tu assistevi alla scena di dolore della madre, della madre che aveva morto l’ultimo figlio. Una delle pie donne a lei dintorno, inginocchiata cerca- va di consolarla: ma lei non voleva essere consolata, ma lei gettata a terra voleva piangere tutto il suo pianto. Fi- gura del Ghirlandaio, ultima figlia della poesia toscana che fu, tu scesa allora dal tuo cavallo tu allora guardavi: tu che nella profluvie ondosa dei tuoi capelli salivi, salivi con la tua compagnia, come nelle favole d’antica poesia: e già dimentica dell’amor del poeta. Monte Filetto 25 Settembre Un usignolo canta tra i rami del noce. Il poggio è troppo bello sul cielo troppo azzurro. Il fiume canta be- ne la sua cantilena. E’ un'ora che guardo lo spazio laggiù e la strada a mezza costa del poggio che vi conduce. Quassù abitano i falchi. La pioggia leggera d'estate bat- teva come un ricco accordo sulle foglie del noce. Ma le foglie dell’acacia albero caro alla notte si piegavano sen- za rumore come un'ombra verde. L’azzurro si apre tra questi due alberi. Il noce è davanti alla finestra della mia stanza. Di notte sembra raccogliere tutta l'ombra e cur- vare le cupe foglie canore come una messe di canti sul tronco rotondo lattiginoso quasi umano: l'acacia sa pro- filarsi come un chimerico fumo. Le stelle danzavano sul —_——_ letteratura italiana Einaudi 33 Dino Campana - Canti orfici lontani miracolosi destini: risveglia la mia speranza sull’infinito della pianura o del mare sentendo aleggiare un soffio di grazia: nobiltà carnale e dorata, profondità dorata degli occhi: guerriera, amante, mistica, benigna di nobiltà umana antica Romagna. L'acqua del mulino corre piana e invisibile nella gora. Rivedo un fanciullo, lo stesso fanciullo, laggiù steso sull'erba. Sembra dormire. Ripenso alla mia fanciullez- za: quanto tempo è trascorso da quando i bagliori ma- gnetici delle stelle mi dissero per la prima volta dell’infi- nità delle morti!...... Il tempo è scorso, si è addensato, è scorso: così come l’acqua scorre, immobile per quel fan- ciullo: lasciando dietro a sè il silenzio, la gora profonda e uguale: conservando il silenzio come ogni giorno l'om- bra...... Quel fanciullo 0 quella immagine proiettata dalla mia nostalgia? Così immobile laggiù: come il mio cadavere. Marradi (Antica volta. Specchio velato) Il mattino arride sulle cime dei monti. In alto sulle cu- spidi di un triangolo desolato si illumina il castello, più al to e più lontano. Venere passa in barroccio accoccolata per la strada conventuale. Il fiume si snoda per la valle: rotto e muggente a tratti canta e riposa in larghi specchi d'azzurro: e più veloce trascorre le mura nere (una cupola rossa ride lontana con il suo leone) e i campanili si affolla- no e nel nereggiare inquieto dei tetti al sole una lunga ve randa che ha messo un commento variopinto di archi! Letteratura italiana Einaudi 36 Dino Campana - Canti orfici Presso Marradi (ottobre) Son capitato in mezzo a bona gente. La finestra della mia stanza che affronta i venti: e la...... e il figlio, povero uccellino dai tratti dolci e dall'anima indecisa, povero uccellino che trascina una gamba rotta, e il vento che batte alla finestra dall’orizzonte annuvolato i monti lon- tani ed alti, il rombo monotono del vento. Lontano è ca- duta la neve...... La padrona zitta mi rifà il letto aiutata dalla fanticella. Monotona dolcezza della vita patriarca- le. Fine del pellegrinaggio. IMMAGINI DEL VIAGGIO E DELLA MONTAGNA ... poi che nella sorda lotta notturna La più potente anima seconda ebbe frante le nostre catene Noi ci svegliammo piangendo ed era l'azzurro mattino: Come ombre d'eroi veleggiavano: De l'alba non ombre nei puri silenzi De l'alba Nei puri pensieri Non ombre De l'alba non ombre: Piangendo: giurando noi fede all’azzurro Pare la donna che siede pallida giovine ancora Sopra dell’erta ultima presso la casa antica: Avanti a lei incerte si snodano le valli Verso le solitudini alte de gli orizzonti: La gentile canuta il cuculo sente a cantare. E il semplice cuore provato negli anni A le melodie della terra Letteratura italiana Einaudi 37 Dino Campana - Canti orfici Ascolta quieto: le note Giungon, continue ambigue come in un velo di seta. Da selve oscure il torrente Sorte ed in torpidi gorghi la chiostra di rocce Lambe ed involge aereo cilestrino.... E il cuculo cola più lento due note velate Nel silenzio azzurrino L'aria ride: la tromba a valle i monti Squilla: la massa degli scorridori Si scioglie: ha vivi lanci: i nostri cuori Balzano: e grida ed oltrevarca i ponti. E dalle altezze agli infiniti albori Vigili, calan trepidi pei monti, Tremuli e vaghi nelle vive fonti, Gli echi dei nostri due sommessi cuori... Hanno varcato in lunga teoria: Nell'aria non so qual bacchico canto Salgono: e dietro a loro il monte introna: E si distingue il loro verde canto. Andar, de l'acque ai gorghi, per la china Valle, nel sordo mormorar sfiorato: Seguire un'ala stanca per la china Valle che batte e volge: desolato Andar per valli, in fin che in azzurrina Serenità, dall’aspre rocce dato Un Borgo in grigio e vario torreggiare All’alterno pensier pare e dispare, Sovra l’arido sogno, serenato! O se come il torrente che rovina E si riposa nell'azzurro eguale, Se tale a le tue mura la proclina Anima al nulla nel suo andar fatale, Letteratura italiana Einaudi 38 Dino Campana - Canti orfici Limpido fresco ed elettrico era il lume Della sera e là le alte case parevan deserte Laggiù sul mar del pirata De la città abbandonata Tra il mare giallo ele dune. ..... FANTASIA SU UN QUADRO D'ARDENGO SOFFICI Faccia, zig zag anatomico che oscura La passione torva di una vecchia luna Che guarda sospesa al soffitto In una taverna café chantant D'America: la rossa velocità Di luci funambola che tanga Spagnola cinerina Isterica in tango di luci si disfà: Che guarda nel café chantant D'America: Sul piano martellato tre Fiammelle rosse si sono accese da sè. FIRENZE Uffizii) Entro dei ponti tuoi multicolori L'Arno presago quietamente arena E in riflessi tranquilli frange appena Archi severi tra sfiorir di fiori. Azzurro l'arco dell'intercolonno Trema rigato tra i palazzi eccelsi: Letteratura italiana Einaudi 41 Dino Campana - Canti orfici Candide righe nell'azzurro: persi Voli: su bianca gioventù in colonne. BATTE BOTTE Ne la nave Chesi scuote, Con le navi che percuote Di un'aurora Sulla prora Splende un occhio Incandescente: (Il mio passo Solitario Beve l'ombra Per il Quais) Ne la luce Uniforme Da le navi Alla città Solo il passo Che a la notte Solitario Si percuote Per la notte Dalle navi Solitario Ripercuote: Così vasta Così ambigua Per la notte Così pura! L'acqua (il mare Che n'esala?) Alle rotte Letteratura italiana Einaudi 42 Dino Campana - Canti orfici Ne la notte Batte: cieco Per le rotte Dentro l'occhio Disumano De la notte Di un destino Ne la notte Più lontano Per le rotte De la notte Il mio passo Batte botte. FIRENZE Fiorenza giglio di potenza virgulto primaverile. Le mattine di primavera sull'Arno. La grazia degli adole- scenti (che non è grazia al mondo che vinca tua grazia d'Aprile), vivo vergine continuo alito, fresco che vivifica i marmi e fa nascere Venere Botticelliana: I pollini del desiderio gravi da tutte le forme scultoree della bellezza, l'alto Cielo spirituale, le linee delle colline che vagano, insieme a la nostalgia acuta di dissolvimento alitata dalle bianche forme della bellezza: mentre pure nostra è la di- vinità del sentirsi oltre la musica, nel sogno abitato di immagini plastiche! L'Arno qui ancora ha tremiti freschi: poi lo occupa un silenzio dei più profondi: nel canale delle colline bas- se e monotone toccando le piccole città etrusche, uguale oramai sino alle foci, lasciando i bianchi trofei di Pisa, il duomo prezioso traversato dalla trave colossale, che Letteratura italiana Einaudi 43 Dino Campana - Canti orfici Il museo. Ribera e Baccarini. Nel corpo dell’antico palazzo rosso affocato nel meriggio sordo l'ombra cova sulla rozza parete delle nude stampe scheletriche. Du- rer, Ribera. Ribera: il passo di danza del satiro aguzzo su Sileno osceno briaco. L'eco dei secchi accordi chiara- mente rifluente nell'ombra che è sorda. Ragazzine alla marinara, le liscie gambe lattee che passano a scatti stri- sciando spinte da un vago prurito bianco. Un delicato busto di adolescente, luce gioconda dello spirito italiano sorride, una bianca purità virginea conservata nei delica- ti incavi del marmo. Grandi figure della tradizione clas- sica chiudono la loro forza tra le ciglia. DUALISMO (Lettera aperta a Manuelita Etchegarray) Voi adorabile creola dagli occhi neri e scintillanti co- me metallo in fusione, voi figlia generosa della prateria nutrita di aria vergine voi tornate ad apparirmi col ricor- do lontano: anima dell’oasi dove la mia vita ritrovò un istante il contatto colle forze del cosmo. Io vi rivedo Ma- nuelita, il piccolo viso armato dell'ala battagliera del vo- stro cappello, la piuma di struzzo avvolta e ondulante eroicamente, i vostri piccoli passi pieni di slancio conte- nuto sopra il terreno delle promesse eroiche! Tutta mi siete presente esile e nervosa. La cipria sparsa come neve sul vostro viso consunto da un fuoco interno, le vostre vesti di rosa che proclamavano la vostra verginità come un'aurora piena di promesse! E ancora il magnetismo di quando voi chinaste il capo, voi fiore meraviglioso di una razza eroica, mi attira non ostante il tempo ancora verso di voi! Eppure Manuelita sappiatelo se lo potete: io non pensavo, non pensavo a voi: io mai non ho pensato a voi. Letteratura italiana Einaudi 46 Dino Campana - Canti orfici Di notte nella piazza deserta, quando nuvole vaghe cor- revano verso strane costellazioni, alla triste luce elettrica io sentivo la mia infinita solitudine. La prateria si alzava come un mare argentato agli sfondi, e rigetti di quel ma- re, miseri, uomini feroci, uomini ignoti chiusi nel loro cu- po volere, storie sanguinose subito dimenticate che rivi- vevano improvvisamente nella notte, tessevano attorno a me la storia della città giovine e feroce, conquistatrice im- placabile, ardente di un'acre febbre di denaro e di gioie immediate. Io vi perdevo allora Manuelita, perdonate, tra la turba delle signorine elastiche dal viso molle incon- sciamente feroce, violentemente eccitante tra le due ban- de di capelli lisci nell’immobilità delle dee della razza. Il silenzio era scandito dal trotto monotono di una pattu- glia: e allora il mio anelito infrenabile andava lontano da voi, verso le calme oasi della sensibilità della vecchia Ew- ropa e mi si stringeva con violenza il cuore. Entravo, ri- cordo, allora nella biblioteca: io che non potevo Manueli- ta io che non sapevo pensare a voi. Le lampade elettriche oscillavano lentamente. Su da le pagine risuscitava un mondo defunto, sorgevano immagini antiche che oscilla vano lentamente coll’ombra del paralume e sovra il mio capo gravava un cielo misterioso, gravido di forme vaghe, rotto a tratti da gemiti di melodramma: larve che si scio- glievano mute per rinascere a vita inestinguibile nel silen- zio pieno delle profondità meravigliose del destino. Dei ricordi perduti, delle immagini si componevano già mor- te mentre era più profondo il silenzio. Rivedo ancora Pa- rigi, Place d’Italie, le baracche, i carrozzoni, i magri cava- lieri dell’irreale, dal viso essicato, dagli occhi perforanti di nostalgie feroci, tutta la grande piazza ardente di un concerto infernale stridente e irritante. Le bambine dei Bohemiens, i capelli sciolti, gli occhi arditi e profondi congelati in un languore ambiguo amaro attorno dello stagno liscio e deserto. E in fine Lei, dimentica, lontana, l'amore, il suo viso di zingara nell’onda dei suoni e delle Letteratura italiana Einaudi 47 Dino Campana - Canti orfici luci che si colora di un incanto irreale: e noi in silenzio at- torno allo stagno pieno di chiarori rossastri: e noi ancora stanchi del sogno vagabondare a caso per quartieri ignoti fino a stenderci stanchi sul letto di una taverna lontana tra il soffio caldo del vizio noi là nell'incertezza e nel rim- pianto colorando la nostra voluttà di riflessi irreali! E così lontane da voi passavano quelle ore di sogno, ore di profondità mistiche e sensuali che scioglievano in tenerezze i grumi più acri del dolore, ore di felicità com- pleta che aboliva il tempo e il mondo intero, lungo sorso alle sorgenti dell'Oblio! E vi rivedevo Manuelita poi: che vigilavate pallida e lontana: voi anima semplice chiusa nelle vostre semplici armi. So Manuelita: voi cercavate la grande rivale. So: la cercavate nei miei occhi stanchi che mai non vi apprese- ro nulla. Ma ora se lo potete sappiate: io dovevo restare fedele al mio destino: era un'anima inquieta quella di cui mi ricordavo sempre quando uscivo a sedermi sulle pan- chine della piazza deserta sotto le nubi in corsa. Essa era per cui solo il sogno mi era dolce. Essa era per cui io di- menticavo il vostro piccolo corpo convulso nella stretta del guanciale, il vostro piccolo corpo pericoloso tutto adorabile di snellezza e di forza. E pure vi giuro Manue- lita io vi amavo e vi amo e vi amerò sempre di più di qualunque altra donna........ dei due mondi. SOGNO DI PRIGIONE Nel viola della notte odo canzoni bronzee. La cella è bianca, il giaciglio è bianco. La cella è bianca, piena di un torrente di voci che muoiono nelle angeliche cune, delle voci angeliche bronzee è piena la cella bianca. Si- lenzio: il viola della notte: in rabeschi dalle sbarre bian- che il blu del sonno. Penso ad Anika: stelle deserte sui Letteratura italiana Einaudi 48 Dino Campana - Canti orfici tutto il grigio monotono e sporco della città. Tutto fon- de come la neve in questo pantano: e in fondo sento che è dolce questo dileguarsi di tutto quello che ci ha fatto soffrire. Tanto più dolce che presto la neve si stenderà ineluttabilmente in un lenzuolo bianco e allora potremo riposare in sogni bianchi ancora. C'è uno specchio avanti a me e l'orologio batte: la lu ce mi giunge dai portici a traverso le cortine della vetra- ta. Prendo la penna: Scrivo: cosa, non so: ho il sangue alle dita: Scrivo: «l'amante nella penombra si aggraffia al viso dell'amante per scamificare il suo sogno..... ecc. ». (Ancora per la via) Tristezza acuta. Mi ferma il mio antico compagno di scuola, già allora bravissimo ed ora di già in belle lettere guercio professor purulento: mi tenta, mi confessa con un sorriso sempre più lercio. Conclude: potresti provare a mandare qualcosa all’Amore Illustrato (Via). Ecco inevitabile sotto i porti- ci lo sciame aereoplanante delle signorine intellettuali, che ride e fa glu glu mostrando i denti, in caccia, sem- bra, di tutti i nemici della scienza e della cultura, che va a frangere ai piedi della cattedra. Già è l'ora! vado a in- fangarmi in mezzo alla via: l’ora che l'illustre somiero rampa con il suo carico di nera scienza catalogale ...... Sull’uscio di casa mi volgo e vedo il classico, baffuto, colossale emissario. Ah! i diritti della vecchiezza! Ah! quanti maramaldi! (Notte) Davanti al fuoco lo specchio. Nella fantasma goria profonda dello specchio i corpi ignudi avvicenda- no muti: e i corpi lassi e vinti nelle fiamme inestinte e Letteratura italiana Einaudi Dino Campana - Canti orfici mute, e come fuori del tempo i corpi bianchi stupiti inerti nella fornace opaca: bianca, dal mio spirito esau- sto silenziosa si sciolse, Eva si sciolse e mi risvegliò. Passeggio sotto l’incubo dei portici. Una goccia di lu- ce sanguigna, poi l'ombra, poi una goccia di luce sangui- gna, la dolcezza dei seppelliti. Scompaio in un vicolo ma dall’ombra sotto un lampione s'imbianca un'ombra che ha le labbra tinte. O Satana, tu che le troie notturne metti in fondo ai quadrivii, o tu che dall'ombra mostri l’infame cadavere di Ofelia, o Satana abbi pietà della mia lunga miseria! ——_lXlXlLrnletteratura italiana Einaudi 52 Dino Campana - Canti orfici VARIE E FRAMMENTI Letteratura italiana Einaudi 53 Dino Campana - Canti orfici PAMPA Quiere Usted Mate? uno spagnolo mi profferse a bas- sa voce, quasi a non turbare il profondo silenzio della Pampa. - Le tende si allungavano a pochi passi da dove noi seduti in circolo in silenzio guardavamo a tratti furti- vamente le strane costellazioni che doravano l'ignoto della prateria notturna. - Un mistero grandioso e vee- mente ci faceva fluire con refrigerio di fresca vena profonda il nostro sangue nelle vene: - che noi assapora- vamo con voluttà misteriosa - come nella coppa del s lenzio purissimo e stellato. Quiere Usted Mate? Ricevetti il vaso e succhiai la cal- da bevanda. Gettato sull'erba vergine, in faccia alle strane costella- zioni io mi andavo abbandonando tutto ai misteriosi giuochi dei loro arabeschi, cullato deliziosamente dai rumori attutiti del bivacco. I miei pensieri fluttuavano: si susseguivano i miei ricordi: che deliziosamente sem- bravano sommergersi per riapparire a tratti lucidamente trasumanati in distanza, come per un'eco profonda e mi- steriosa, dentro l’infinita maestà della natura. Lenta- mente gradatamente io assurgevo all'illusione universa- le: dalle profondità del mio essere e della terra io ribattevo per le vie del cielo il cammino avventuroso de- gli uomini verso la felicità a traverso i secoli. Le idee brillavano della più pura luce stellare. Drammi meravi- gliosi, i più meravigliosi dell'anima umana palpitavano e si rispondevano a traverso le costellazioni. Una stella fluente in corsa magnifica segnava in linea gloriosa la fi- ne di un corso di storia. Sgravata la bilancia del tempo sembrava risollevarsi lentamente oscillando: - per un meraviglioso attimo immutabilmente nel tempo e nello spazio alternandosi i destini eterni. .... Un disco livido spettrale spuntò all'orizzonte lontano profumato irraggiando riflessi gelidi d'acciaio sopra la Letteratura italiana Einaudi 56 Dino Campana - Canti orfici prateria. Il teschio che si levava lentamente era l'insegna formidabile di un esercito che lanciava torme di cavalie- ri colle lancie in resta, acutissime lucenti: gli indiani morti e vivi si lanciavano alla riconquista del loro domi- nio di libertà in lancio fulmineo. Le erbe piegavano in gemito leggero al vento del loro passaggio. La commo- zione del silenzio intenso era prodigiosa. Che cosa fuggiva sulla mia testa? Fuggivano le nuvo- le e le stelle, fuggivano: mentre che dalla Pampa nera scossa che sfuggiva a ratti nella selvaggia nera corsa del vento ora più forte ora più fievole ora come un lontano fragore ferreo: a tratti alla malinconia più profonda dell'errante un richiamo:... dalle criniere dell’erbe scos- se come alla malinconia più profonda dell'eterno erran- te per la Pampa riscossa come un richiamo che fuggiva lugubre. Ero sul treno in corsa: disteso sul vagone sulla mia te- sta fuggivano le stelle e i soffi del deserto in un fragore ferreo: incontro le ondulazioni come di dorsi di belve in agguato: selvaggia, nera, corsa dai venti la Pampa che mi correva incontro per prendermi nel suo mistero: che la corsa penetrava, penetrava con la velocità di un catacli- sma: dove un atomo lottava nel turbine assordante nel lugubre fracasso della corrente irresistibile. Dov'ero? Io ero in piedi: Io ero in piedi: sulla pampa nella corsa dei venti, in piedi sulla pampa che mi volava incontro: per prendermi nel suo mistero! Un nuovo sole mi avrebbe salutato al mattino! Io correvo tra le tribù indiane? Od era la morte? Od era la vita? E mai, mi par- ve che mai quel treno non avrebbe dovuto arrestarsi: nel mentre che il rumore lugubre delle ferramenta ne com- mentava incomprensibilmente il destino. Poi la stan- chezza nel gelo della notte, la calma. Lo stendersi sul piatto di ferro, il concentrarsi nelle strane costellazioni fuggenti tra lievi veli argentei: e tutta la mia vita tanto si- Letteratura italiana Einaudi 57 Dino Campana - Canti orfici mile a quella corsa cieca fantastica infrenabile che mi tornava alla mente in flutti amari e veementi. La luna illuminava ora tutta la Pampa deserta e ugua- le in un silenzio profondo. Solo a tratti nuvole scherzan- ti un po’ colla luna, ombre improvvise correnti per la prateria e ancora una chiarità immensa e strana nel gran silenzio. La luce delle stelle ora impassibili era più misteriosa sulla terra infinitamente deserta: una più vasta patria il destino ci aveva dato: un più dolce calor naturale era nel mistero della terra selvaggia e buona. Ora assopito io se- guivo degli echi di un'emozione meravigliosa, echi di brazioni sempre più lontane: fin che pure cogli echi l'emozione meravigliosa si spense. E allora fu che nel mio intorpidimento finale io sentii con delizia l'uomo nuovo nascere: l’uomo nascere riconciliato colla natura ineffabilmente dolce e terribile: deliziosamente e orgo- gliosamente succhi vitali nascere alle profondità dell’es- sere: fluire dalle profondità della terra: il cielo come la terra in alto, misterioso, puro, deserto dall’ombra, infi- nito. Mi ero alzato. Sotto le stelle impassibili, sulla terra in- finitamente deserta e misteriosa, dalla sua tenda l'uomo libero tendeva le braccia al cielo infinito non deturpato dall’ombra di Nessun Dio. ——_lXlXlLrnletteratura italiana Einaudi 58 Dino Campana - Canti orfici era fatto scuro. Nella camerata non c'era che il tanfo e il respiro sordo dei pazzi addormentati dietro le loro chi- mere. Col capo affondato sul guanciale seguivo in aria delle farfalline che scherzavano attorno alla lampada elettrica nella luce scialba e gelida. Una dolcezza acuta, una dolcezza di martirio, del suo martirio mi si torceva pei nervi. Febbrile, curva sull'orlo della stufa la testa bar- buta scriveva. La penna scorreva strideva spasmodica. Perché era uscito per salvare altri uomini? Un suo ritrat- to di delinquente, un insensato, severo nei suoi abiti ele- ganti, la testa portata alta con dignità animale: un altro, un sorriso, l’immagine di un sorriso ritratta a memoria, la testa della fanciulla d'Este. Poi teste di contadini russi te- ste barbute tutte, teste, teste, ancora teste. . . La penna scorreva strideva spasmodica: perchè era usci- to per salvare altri uomini? Curvo, sull'orlo della stufa la testa barbuta, il russo scriveva, scriveva scriveva... ... Non essendovi in Belgio l'estradizione legale per i de linquenti politici avevano compito l'ufficio i Frati della Carità Cristiana. —_——_ letteratura italiana Einaudi 6i Dino Campana - Canti orfici PASSEGGIATA IN TRAM IN AMERICA E RITORNO Aspro preludio di sinfonia sorda, tremante violino a corda elettrizzata, tram che corre in una linea nel cielo ferreo di fili curvi mentre la mole bianca della città tor- reggia come un sogno, moltiplicato miraggio di enormi palazzi regali e barbari, i diademi elettrici spenti. Corro col preludio che tremola si assorda riprende si afforza e libero sgorga davanti al molo alla piazza densa di navi e di carri. Gli alti cubi della città si sparpagliano tutti pel golfo in dadi infiniti di luce striati d’azzurro: nel mentre il mare tra le tanaglie del molo come un fiume che fugge tacito pieno di singhiozzi taciuti corre veloce verso l'eternità del mare che si balocca e complotta laggiù per rompere la linea dell'orizzonte. Ma mi parve che la città scomparisse mentre che il mare rabbrividiva nella sua fuga veloce. Sulla poppa balzante io già ero portato lontano nel turbinare delle acque. Il molo, gli uomini erano scomparsi fusi come in una nebbia. Cresceva l'odore mostruoso del mare. La lanterna spenta s'alzava. Il gorgoglio dell’acqua tutto annegava irremissibilmente. Il battito forte nei fianchi del bastimento confondeva il battito del mio cuore e ne svegliava un vago dolore intorno come se stesse per aprirsi un bubbone. Ascoltavo il gorgoglio dell’acqua. L'acqua a volte mi pareva musicale, poi tutto ricadeva in un rombo e la terra e la luce mi erano strappate in- consciamente. Come amavo, ricordo, il tonfo sordo del- la prora che si sprofonda nell’onda che la raccoglie e la culla un brevissimo istante e la rigetta in alto leggera nel mentre il battello è una casa scossa dal terremoto che pencola terribilmente e fa un secondo sforzo contro il mare tenace e riattacca a concertare con i suoi alberi una certa melodia beffarda nell'aria, una melodia che Letteratura italiana Einaudi Dino Campana - Canti orfici non si ode, si indovina solo alle scosse di danza bizzarra che la scuotono! C'erano due povere ragazze sulla poppa: «Leggera, siamo della leggera: te non la rivedi più la lanterna di Genova!» Eh! che importava in fondo! Ballasse il basti- mento, ballasse fino a Buenos-Aires: questo dava alle- gria: e il mare se la rideva con noi del suo riso così buffo e sornione! Non so se fosse la bestialità irritante del ma- re, il disgusto che quel grosso bestione col suo riso mi dava..., basta: i giorni passavano. Tra i sacchi di patate avevo scoperto un rifugio. Gli ultimi raggi rossi del tra- monto che illuminavano la costa deserta! costeggiavano da un giorno. Bellezza semplice di tristezza maschia. Oppure a volte quando l'acqua saliva ai finestrini io se- guivo il tramonto equatoriale sul mare. Volavano uccelli lontano dal nido ed io pure: ma senza gioia. Poi sdraiato in coperta restavo a guardare gli alberi dondolare nella notte tiepida in mezzo al rumore dell'acqua. Riodo il preludio scordato delle rozze corde sotto l’arco di violino del tram domenicale. I piccoli dadi bianchi sorridono sulla costa tutti in cerchio come una dentiera enorme tra il fetido odore di catrame e di car- bone misto al nauseante odor d’infinito. Fumano i vapo- ri agli scali desolati. Domenica. Per il porto pieno di car- casse delle lente file umane, formiche dell'enorme ossario. Nel mentre tra le tanaglie del molo rabbrividi- sce un fiume che fugge, tacito pieno di singhiozzi taciuti fugge veloce verso l'eternità del mare, che si balocca e complotta laggiù per rompere la linea dell'orizzonte. Letteratura italiana Einaudi 63 Dino Campana - Canti orfici SCIROCCO (Bologna) Era una melodia, era un alito? Qualche cosa era fuori dei vetri. Aprì la finestra: era lo Scirocco: e delle nuvole in corsa al fondo del cielo curvo (non c'era là il mare?) si ammucchiavano nella chiarità argentea dove l'aurora aveva lasciato un ricordo dorato. Tutto attorno la città mostrava le sue travature colossali nei palchi aperti dei suoi torrioni, umida ancora della pioggia recente che aveva imbrunito il suo mattone: dava l'immagine di un grande porto, deserto e velato, aperto nei suoi granai dopo la partenza avventurosa nel mattino: mentre che nello Scirocco sembravano ancora giungere in soffi caldi e lontani di laggiù i riflessi d’oro delle bandiere e delle navi che varcavano la curva dell'orizzonte. Si sentiva l'attesa. In un brusìo di voci tranquille le voci argentine dei fanciulli dominavano liberamente nell'aria. La città riposava del suo faticoso fervore. Era una vigilia di fest la Vigilia di Natale. Sentivo che tutto posava: ricordi speranze anch'io li abbandonavo all'orizzonte curvo lag- giù: e l'orizzonte mi sembrava volerli cullare coi riflessi frangiati delle sue nuvole mobili all'infinito. Ero libero, ero solo. Nella giocondità dello Scirocco mi beavo dei suoi soffii tenui. Vedevo la nebulosità invernale che fug- giva davanti a lui: le nuvole che si riflettevano laggiù sul lastrico chiazzato in riflessi argentei su la fugace chiarità perlacea dei visi femminili trionfanti negli occhi dolci e cupi: sotto lo scorcio dei portici seguivo le vaghe creatu- re rasenti dai pennacchi melodiosi, sentivo il passo me- lodioso, smorzato nella cadenza lieve ed uguale: poi guardavo le torri rosse dalle travi nere, dalle balaustrate aperte che vegliavano deserte sull’infinito. Era la Vigilia di Natale. Ero uscito: Un grande portico rosso dalle lucerne mo- resche: dei libri che avevo letti nella mia adolescenza Letteratura italiana Einaudi 66 Dino Campana - Canti orfici erano esposti a una vetrina tra le stampe. In fondo la lu- minosità marmorea di un grande palazzo moderno, i fu- sti d'acciaio curvi di globi bianchi ai quattro lati. La piazzetta di S. Giovanni era deserta: la porta della prigione senza le belle fanciulle del popolo che altre vol- te vi avevo viste. Attraverso a una piazza dorata da piccoli sepolcreti, nella scia bianca del suo pennacchio una figura giovine, gli occhi grigi, la bocca dalle linee rosee tenui, passò nel- la vastità luminosa del cielo. Sbiancava nel cielo fumoso la melodia dei suoi passi. Qualche cosa di nuovo, di in- fantile, di profondo era nell'aria commossa. Il mattone rosso ringiovanito dalla pioggia sembrava esalare dei fan- tasmi torbidi, condensati in ombre di dolore virgineo, che passavano nel suo torbido sogno: (contigui uguali gli archi perdendosi gradatamente nella campagna tra le colline fuori della porta): poi una grande linea che appar- ve passò: una grandiosa, vir i ginea' testa reclina d’ancel- la mossa di un passo giovine non domo alla cadenza, of- frendo il contorno della mascella rosea e forte e a tratti la luce obliqua dell'occhio nero al disopra dell’omero servi- le, del braccio, onusti di giovinezza: muta. (Le serve ingenue affaccendate colle sporte colme di vettovaglie vagavano pettinate artifiziosamente la loro fresca grazia fuori della porta. Tutta verde la campagna intorno. Le grandi masse luminose degli alberi gravava- no sui piccoli colli, la loro linea nel cielo aggiungeva un carattere di fantasia: la luce, un organetto che tentava la * La stampa del testo originale, a questo punto, è mal riuscita creando una lacuna che Campana colma inserendo la nota che è possibile vedere nell'ultima pagina del volume. Il testo qui avrebbe dovuto riportare: «una grandiosa, virginea testa recli- na d’ancella mossa». Letteratura italiana Einaudi 67 Dino Campana - Canti orfici modesta poesia del popolo sotto una ciminiera altissima sui terreni vaghi, tra le donne variopinte sulle porte: le contrade cupe della città tutte vive di tentacoli rossi: ve- rande di torri dalle travature enormi sotto il cielo curvo: gli ultimi soffii di riflessi caldi e lontani nella grande chiarità abbagliante e uguale quando per l'arco della porta mi inoltrai nel verde e il cannone tonò mezzogior- no: solo coi passeri intorno che si commossero in breve volteggio attorno al lago Leonardesco.) ——_lXlXlLrnletteratura italiana Einaudi 68 Dino Campana - Canti orfici PIAZZA SARZANO A l'antica piazza dei tornei salgono strade e strade e nell'aria pura si prevede sotto il cielo il mare. L'aria pura è appena segnata di nubi leggere. L'aria è rosa. Un anti- co crepuscolo ha tinto la piazza e le sue mura. E dura sotto il cielo che dura, estate rosea di più rosea estate. Intorno nell'aria del crepuscolo si intendono delle ri- sa, serenamente, e dalle mura sporge una torricella rosa tra l’edera che cela una campana: mentre, accanto, una fonte sotto una cupoletta getta acqua acqua ed acqua senza fretta, nella vetta con il busto di un savio impera- tore: acqua acqua, acqua getta senza fretta, con in vetta il busto cieco di un savio imperatore romano. Un vertice colorito dall'altra parte della piazza mette quadretta, da quattro cuspidi una torre quadrata mette quadretta svariate di smalto, un riso acuto nel cielo, ol- tre il tortueggiare, sopra dei vicoli il velo rosso del roso mattone: ed a quel riso odo risponde l'oblio. L'oblio co- sì caro alla statua del pagano imperatore sopra la cupo- letta dove l'acqua zampilla senza fretta sotto lo sguardo cieco del savio imperatore romano. Dal ponte sopra la città odo le ritmiche cadenze me diterranee. I colli mi appaiono spogli colle loro torri a traverso le sbarre verdi ma laggiù le farfalle innumerevo- li della luce riempiono il paesaggio di un'immobilità di gioia inesauribile. Le grandi case rosee tra i meandri ver- di continuano a illudere il crepuscolo. Sulla piazza ac- ciottolata rimbalza un ritmico strido: un fanciullo a sbal- zi che fugge melodiosamente. Un chiarore in fondo al deserto della piazza sale tortuoso dal mare dove vicoli verdi di muffa calano in tranelli d'ombra: in mezzo alla piazza, mozza la testa guarda senz'occhi sopra la cupo- Letteratura italiana Einaudi 71 Dino Campana - Canti orfici letta. Una donna bianca appare a una finestra aperta. E la notte mediterranea. Dall'altra parte della piazza la torre quadrangolare S'alza accesa sul corroso mattone sù a capo dei vicoli gonfi cupi tortuosi palpitanti di fiamme. La quadricu- spide vetta a quadretta ride svariata di smalto mentre nel fondo bianca e torbida a lato dei lampioni verdi la lussuria siede imperiale. Accanto il busto dagli occhi bianchi rosi e vuoti, e l'orologio verde come un bottone in alto aggancia il tempo all’eternità della piazza. La via si torce e sprofonda. Come nubi sui colli le case veleg- giano ancora tra lo svariare del verde e si scorge in fon- do il trofeo della V. M. tutto bianco che vibra d’ali nell'aria. Letteratura italiana Einaudi 72 Dino Campana - Canti orfici GENOVA Poi che la nube si fermò nei cieli Lontano sulla tacita infinita Marina chiusa nei lontani veli, E ritornava l’anima partita Che tutto a lei d’intorno era già arcana- mente illustrato del giardino il verde Sogno nell’apparenza sovrumana De le corrusche sue statue superbe: E udìi canto udìi voce di poeti Ne le fonti e le sfingi sui frontoni Benigne un primo oblîo parvero ai proni Umani ancor largire: dai segreti Dedali uscì: sorgeva un torreggiare Bianco nell'aria: innumeri dal mare Parvero i bianchi sogni dei mattini Lontano dileguando incatenare Come un ignoto turbine di suono. Tra le vele di spuma udivo il suono. Pieno era il sole di Maggio. Sotto la torre orientale, ne le terrazze verdi ne la lavagna cinerea Dilaga la piazza al mare che addensa le navi inesausto Ride l’arcato palazzo rosso dal portico grande: Come le cateratte del Niagara Canta, ride, svaria ferrea la sinfonia feconda urgente al mare: Genova canta il tuo canto! Letteratura italiana Einaudi 73 Dino Campana - Canti orfici Negli alberi quieti di frutti di luce, Nel paesaggio mitico Di navi nel seno dell'infinito Ne la sera Calida di felicità, lucente In un grande in un grande velario Di diamanti disteso sul crepuscolo, In mille e mille diamanti in un grande velario vivente Il battello si scarica Ininterrottamente cigolante, Instancabilmente introna E la bandiera è calata e il mare e il cielo è d'oro e sul molo Corrono i fanciulli e gridano Con gridi di felicità. Già a frotte s'avventurano I viaggiatori alla città tonante Che stende le sue piazze e le sue vie: La grande luce mediterranea S'è fusa in pietra di cenere: Pei vichi antichi e profondi Fragore di vita, gioia intensa e fugace: Velario d’oro di felicità È il cielo ove il sole ricchissimo Lasciò le sue spoglie preziose E la Città comprende E s'accende E la fiammatitilla ed assorbe I resti magnificenti del sole, E intesse un sudario d’oblio Divino per gli uomini stanchi. Perdute nel crepuscolo tonante Ombre di viaggiatori Vanno per la Superba Terribili e grotteschi come i ciechi. Letteratura italiana Einaudi 76 Dino Campana - Canti orfici Vasto, dentro un odor tenue vanito Di catrame, vegliato da le lune Elettriche, sul mare appena vivo Il vasto porto si addorme. S'alza la nube delle ciminiere Mentre il porto in un dolce scricchiolìo Dei cordami s'addorme: e che la forza Dorme, dorme che culla la tristezza Inconscia de le cose che saranno E il vasto porto oscilla dentro un ritmo Affaticato e si sente La nube che si forma dal vomito silente. O Siciliana proterva opulente matrona A le finestre ventose del vico marinaro Nel seno della città percossa di suoni di navi e di carri Classica mediterranea femina dei porti: Pei grigi rosei della città di ardesia Sonavano i clamori vespertini E poi più quieti i rumori dentro la notte serena: Vedevo alle finestre lucenti come le stelle Passare le ombre de le famiglie marine: e canti Udivo lenti ed ambigui ne le vene de la città mediterra- nea: Ciera la notte fonda. Mentre tu siciliana, dai cavi Vetri in un torto giuoco L'ombra cava e la luce vacillante O siciliana, ai capezzoli L'ombra rinchiusa tu eri La Piovra de le notti mediterranee. Cigolava cigolava cigolava di catene Letteratura italiana Einaudi 77 Dino Campana - Canti orfici La grù sul porto nel cavo de la notte serena: E dentro il cavo de la notte serena E nelle braccia di ferro I1 debole cuore batteva un più alto palpito: tu La finestra avevi spenta: Nuda mistica in alto cava Infinitamente occhiuta devastazione era la notte tirrena. Letteratura italiana Einaudi 78
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