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CANTO 3 DELL'INFERNO, DANTE ALIGHIERI( DIVINA COMMEDIA) ,ANALISI E CONTENUTO, Appunti di Italiano

Un'analisi del Canto III dell'Inferno di Dante, descrivendo il tempo e il luogo in cui si svolge il canto, le prime parole lette dal poeta, la creazione dell'inferno, gli ignavi e la legge del contrappasso, il fiume Acheronte e Caronte. Vengono inoltre menzionati i personaggi mitologici introdotti da Dante nell'oltretomba cristiano. La descrizione è dettagliata e approfondita, fornendo una comprensione completa del canto.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 26/02/2022

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Scarica CANTO 3 DELL'INFERNO, DANTE ALIGHIERI( DIVINA COMMEDIA) ,ANALISI E CONTENUTO e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! CANTO III INFERNO( ANALISI+ CONTENUTO) • Tempo? Venerdì santo, 8 aprile 1300, sera. • Dove? Antinferno, posto tra la porta dell’Inferno e il fiume Acheronte. v. 1-21—> vi è l'apertura del canto con l'iscrizione posta sulla soglia della porta infernale. Si tratta di parole minacciose che appaiono dette dalla porta stessa e che rivelano la tragica essenza del luogo. Tale scritta costituisce il vero e proprio inizio dell’Inferno. (I terzina)—> Le prime parole che Dante legge sono costruite sull’anafora: • “Per me si va ne la città dolente”= costituisce l'indicazione spaziale dell'Inferno in generale: la città del dolore dell'Inferno in opposizione alla “città di Dio” della tradizione cristiana. • “Per me si va ne l’etterno dolore”= costituisce l'indicazione temporale di un dolore senza fine. • “Per me si va tra la perduta gente”= costituisce la caratterizzazione morale di perdizione eterna, ossia le anime di coloro che soffrono pene eterne senza più speranza di salvezza. (II terzina)—> La creazione dell'inferno è dovuta: - alla potenza di Dio (divino potere: del Padre) - alla sua sapienza che regola l'armonia dell’Universo (somma sapienza: del Figlio) - al suo amore (dello Spirito Santo). (III terzina)—> vi è l’uso del poliptodo: - etterne = prima della creazione dell’Inferno, prodotto dalla caduta di Lucifero, esistevano solo cose perpetue, cioè eterne dopo la creazione, in quanto solo Dio è eterno, e incorruttibili (angeli, cieli, materia prima). - etterno = usato in senso avverbiale, eternamente. - l’iscrizione: “Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate” esplicita che chi attraversa questa porta non ha più speranze di salvezza. Segna un confine netto nel linguaggio rispetto all'atmosfera lirica dei primi due canti. - “segrete cose”= cioè separate, dal latino secretus (participio passato del verbo scernere), dunque, le cose dell'inferno sono separate dal mondo dei vivi e a loro inaccessibili. v. 22-69—> oltrepassata la porta, il poeta è assalito da lamenti disperati che risuonano nel buio di una spaventosa eternità, si tratta dei primi peccatori che Dante incontra nell’Antinferno, ossia le anime degli ignavi che sulla terra non seppero operare il Bene per viltà. Essi non possono essere accolti: - in Paradiso perché ne macchierebbero la bellezza; - nell'Inferno vero e proprio perché i dannati potrebbero vantare una qualche superiorità nei loro confronti dal momento che hanno almeno osato compiere atti malvagi. Gli ignavi sono disdegnati da Dio e dai diavoli, suscitano anche il disprezzo di Dante, il quale gli attribuisce gli aggettivi “vili” e “pusillanimi”. Tale disprezzo da parte del poeta si traduce in una pena che evidenzia tutta la miseria di un'esistenza ignobile. Poiché in vita non ebbero alcun ideale da seguire, ora corrono dietro un’insegna; fastidiosi insetti rigano il loro volto di sangue, il quale mischiandosi con le lacrime diventa ai loro piedi pasto per vermi repellenti. Qui viene applicata per la prima volta la legge del “contrappasso”, cioè l’applicazione di una pena conforme alla colpa. Questa può avvenire: - per opposizione = ignavi non ebbero nessun ideale, dunque ora sono costretti a correre dietro a una bandiera priva di senso. - per analogia (o somiglianza) = poiché essi sono punti da vespe e mosconi, si vuole sottolineare che il sangue e le lacrime che non vollero versare per nessuna causa, ora vengono versati come pasto per i vermi. Gli ignavi non hanno lasciato nessun ricordo di se, non sono degni della misericordia di Dio e nemmeno della sua giustizia, infatti sono relegati ai margini dell’Inferno, a tal punto che Virgilio pronuncia la frase: “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”. Tra questi peccatori Dante include anche i cosiddetti angeli “neutrali”, i quali non seguirono Lucifero nella sua ribellione, ma nemmeno furono fedeli a Dio, di cui il poeta segue testi popolari medievali rielaborati personalmente, per rafforzare il concetto secondo cui vi deve essere la responsabilità e la necessità di assumere sempre una posizione. Inoltre, nella schiera degli ignavi Dante riconobbe qualcuno, ma non lo menziona, lo designa con la perifrasi “colui che fece per viltade il gran rifiuto”. Molti commentatori identificarono tale figura con: • l’eremita Pier da Morrone, che nel luglio del 1294 divenne Papa con il nome di Celestino V, il quale abdicò pochi mesi dopo lasciando la strada del papato a Bonifacio VIII, che Dante vede come la causa principale della rovina della Chiesa e di Firenze, oltre che di se stesso. La rinuncia di Papa Celestino suscitò molta impressione in tutta la cristianità, in quanto aveva sperato in lui perché la Chiesa avviasse una riforma spirituale e il suo rifiuto dunque fu visto da molti come un atto di viltà. • Esaù, che rifiutò la primogenitura per un piatto di lenticchie in favore del fratello Giacobbe (come si legge nella Bibbia). • Romolo Augustolo, che segnò la fine dell'impero romano d’Occidente. • Ponzio Pilato, che per viltà non condanno né salvo Cristo, ma se ne “lavo le mani”. —>“erano ignudi e stimolati molto da mosconi e da vespe ch’eran ivi”= la legge del contrappasso è anche applicata alla pigrizia che caratterizza la vita degli ignavi, che corrisponde nell'inferno lo stimolo ripugnante dei vermi. v. 70-99—> dopo gli ignavi, Dante e Virgilio giungono sulle sponde del fiume Acheronte, dove si affollano le anime dei dannati in attesa di essere traghettati sull'altra riva, e quindi verso il loro destino di condanna eterna. Caronte, il vecchio che appare dinanzi a Dante, dall’aspetto di vecchio laido con le guance coperte di barba e con occhi di fuoco, è il traghettatore infernale. Egli è ripreso dall'Eneide ed è il primo tra i personaggi mitologici che Dante introduce nell'oltretomba cristiano, come in seguito: - Minosse, cioè il giudice infernale del secondo cerchio; - Cerbero, posto a guardia del terzo cerchio. Si tratta di figure mitiche che Dante trasforma in diavoli. Infatti, le anime e il traghettatore erano già presenti nel testo virgiliano, e Dante però le reinterpreta in chiave medievale. • In Virgilio, Caronte è presentato nel suo aspetto fisico, con le caratteristiche di un ritratto; • In Dante, il modello virgiliano è trasformato in diavolo: prevalgono l'atteggiamento e la funzione del personaggio, infatti Caronte incalzando le anime con lo sguardo fiammeggiante le riunisce tutte insieme; batte col remo chiunque mostra di indugiare (rappresentazione più mossa e drammatica). Caronte si rifiuta di traghettare Dante poiché vivo e destinato alla salvezza. Di tale realtà si accenna mediante le parole di Caronte, le quali alludono alle anime, che destinate alla salvezza, percorrono la foce del Tevere per raggiungere la spiaggia del Purgatorio, salgono poi su un leggero legno guidato da un angelo. Il demone però è placato da Virgilio con le parole che evidenziano la sacralità del viaggio: “si è stabilito così la dove si può tutto ciò che si vuole e non domandare altro”. Dunque, è evidente come si riprende il VI canto dell’Eneide, in cui vi è la discesa di Enea agli inferi. Ciò testimonia difatti, che ogni nuovo linguaggio poetico nasce e trova la sua vera identità misurandosi su quello precedente: la Commedia si riconosce in Virgilio. v. 100-136—> descrizione dannati:
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