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canto sedicesimo della liberata, Appunti di Letteratura Italiana

parafrasi sedicesimo canto della gerusalemme liberata

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 11/04/2019

silvia-scuderi-2
silvia-scuderi-2 🇮🇹

4.2

(5)

7 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica canto sedicesimo della liberata e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Il ricco edificio è tondo e all'interno di esso, ben protetto e posto quasi perfettamente al centro, c'è un giardino più bello di qualunque altro sia mai fiorito. I fabbri diabolici costruirono intorno ad esso un confuso e non distinguibile ordine di logge, ed esso giace impenetrabile tra le vie contorte di quell'ingannevole labirinto. I due guerrieri passarono per l'ingresso più ampio, dato che quel palazzo ne aveva cento. Qui le porte di argento scolpito stridevano sui cardini di oro luccicante. Essi fissarono lo sguardo sulle figure, poiché l'opera artistica supera la preziosità del materiale: le figure sembrano vive, manca soltanto la parola; e se credi ai tuoi occhi, non manca in realtà neppure questo. Qui si vede tra le ancelle di Onfale, regina della Meonia, Ercole che racconta favole mentre fila la lana. Se ha espugnato l'inferno e ha sorretto la volta celeste, ora gira il fuso; Amore lo guarda e ride di lui. Si vede Iole con la sua mano destra innocua che tocca le sue armi micidiali; e indossa la pelle di leone, che sembra troppo ruvida per un corpo tenero come il suo. Di fronte c'è un mare e vedresti le sue distese azzurre spumeggianti con flutti bianchi. Nel mezzo c'è una duplice schiera di navi e armi, e dalle armi escono lampi. Le onde fiammeggiano d'oro, e sembra che tutto Leucate avvampi di un incendio bellico. Da una parte Augusto conduce i Romani, dall'altra Antonio conduce l'Oriente: Egizi, Arabi, Indiani. Si direbbe che le isole Cicladi nuotino svelte tra le onde e i monti cozzino contro altri monti; l'impeto è tale, che questi e quelli vanno a scontrarsi con le navi gigantesche. Già sono state scagliate frecce incendiarie e già i mari funesti sono cosparsi di nuova strage. Ed ecco la regina barbara [Cleopatra] che fugge, quando la battaglia non è ancora decisa. Fugge anche Antonio e può lasciare la speranza di comandare il mondo, come egli aspira. In realtà lui non fugge, il feroce condottiero non ha paura, ma segue Cleopatra che fugge e lo trascina con sé. Vedresti lui, simile a un uomo fremente d'amore e allo stesso tempo di vergogna e d'ira, che osserva ora la crudele battaglia che è in forse, ora le vele che si allontanano. Sembra poi che Antonio, accolto dai recessi del Nilo, attenda in grembo alla regina la morte, e sembra che nel piacere del suo bel volto leggiadro lui si consoli del suo duro destino. Il metallo delle porte regali [del palazzo di Armida] era effigiato e scolpito con figure simili. I due guerrieri, dopo aver distolto lo sguardo da quel bello spettacolo, entrarono nel palazzo labirintico. Come il fiume Meandro gioca fra rive oblique e contorte e con un corso incerto ora scende a valle, ora risale a monte, e alternativamente fa salire le acque al monte e poi le fa scendere al mare, e mentre procede incrocia se stesso che torna indietro, così sono queste vie [del labirinto] e ancor più inestricabili e intrecciate, ma il libro (dono del mago di Ascalona) le descrive in sé e parla di esse in modo da risolverle, e spiega come superarle. Dopo che i due lasciarono le vie contorte, il bel giardino si aprì alla loro vista con un piacevole spettacolo: offrì a un solo sguardo laghi, fiumicelli, fiori e piante variopinte, erbe diverse, collinette assolate, valli ombrose, selve e grotte; e, cosa che aumenta la bellezza e la preziosità di quelle opere, non è assolutamente visibile l'arte [diabolica] che produce tutto questo. Diresti che il sito e gli ornamenti siano del tutto naturali, poiché ciò che è frutto di artificio è mescolato a ciò che è naturale. Sembra arte della natura, che imita scherzando per gioco la sua imitatrice [l'arte stessa]. Il vento che fa fiorire gli alberi non è altro se non effetto della maga: il frutto dura in eterno come sono eterni i fiori, e mentre un frutto spunta l'altro è già maturo. Nello stesso tronco e tra le stesse foglie ci sono il fico appena nato e quello maturo; il frutto nuovo e quello vecchio pendono dallo stesso ramo, uno con la buccia verde e l'altro dorata; dove il giardino è più assolato la vite contorta serpeggia rigogliosa e germoglia ben alta: qui fiorisce l'uva acerba, ma anche quella dorata e rosseggiante come il piropo e già gonfia di succo. Uccelli scherzosi tra le fronde verdi modulano provando delle note lascive; il vento mormora e fa stormire le foglie e le acque che percuote in modo variabile. Quando gli uccelli tacciono, il vento risponde con voce alta, mentre quando gli uccelli cantano soffia più lieve; o per caso o per arte, il vento musicale accompagna e alterna la sua voce al canto degli uccelli. Tra gli altri vola un uccello [un pappagallo] che ha le piume cosparse di vari colori e il becco rossastro e muove la lingua in modo variabile e articola la voce in modo tale da imitare il nostro linguaggio. Questo uccello allora continuò con tanta arte il parlare che fu una cosa è solita durante il giorno uscire dal giardino e rivedere i suoi affari, le sue carte magiche. Egli resta lì, poiché non gli è concesso porre il piede o passare un momento altrove, e quando non è con lei passeggia tra le fiere e le piante, amante solitario. Quando invece l'ombra con i silenzi complici richiama ai loro amori furtivi gli amanti accorti, essi trascorrono le felici ore notturne sotto lo stesso tetto, in quel giardino. Ma dopo che Armida, rivolta a occupazioni più severe, lasciò il giardino e le sue delizie, i due [Carlo e Ubaldo] che erano nascosti tra i cespugli, si mostrarono a Rinaldo armati di tutto punto. Come un feroce destriero, che sia sottratto da vincitore al faticoso onore delle armi [dai campi di battaglia] e vaghi libero in un vile riposo tra le mandrie e nei pascoli, dedito ad accoppiarsi [come cavallo da monta], se lo desta un suono di tromba militare o il lampo delle armi, corre subito là nitrendo e brama lo scontro, e, portando un cavaliere in groppa, vuole urtare a sua volta dopo essere stato urtato nella battaglia; così divenne il giovane [Rinaldo] quando all'improvviso il lampeggiare delle armi colpì i suoi occhi. Quel guerriero così valido, quel suo spirito così feroce e ardente si scosse tutto a quel fulgore, anche se languiva tra le dolci comodità, e benché fosse inebriato e assopito tra i piaceri. Intanto Ubaldo si avvicina e ha rivolto verso di lui il lucido scudo di diamante. Egli rivolge lo sguardo allo scudo, per cui si specchia in esso [e vede] com'è diventato e quanto è agghindato in modo delicato; i suoi capelli e la veste spirano profumi e lascivia e vede che al fianco ha la spada, solo la spada, resa effeminata dal troppo lusso: essa è decorata in modo tale che sembra un inutile ornamento, non un fiero strumento militare. Come un uomo oppresso da un cupo e pesante sonno ritorna in sé dopo un lungo vaneggiamento, così divenne lui nel guardare se stesso, ma ormai non tollera di guardarsi; lo sguardo cade giù e, timoroso e umile, mentre guarda a terra, la vergogna lo induce a fissare lì. Si chiuderebbe in fondo al mare e dentro il fuoco, nonché al centro della terra, per nascondersi. Ubaldo allora cominciò a dire: «Tutta l'Asia [la Palestina] e l'Europa vanno in guerra: chiunque desidera la gloria e adora Cristo ora combatte in armi nella terra di Siria. Tu solo, o figlio di Bertoldo, sei tenuto fuori del mondo, in ozio, da un breve angolo di terra; tu solo, egregio campione di una fanciulla, non sei smosso per nulla dallo sconvolgimento universale [della Crociata]. Quale sonno o quale letargo hanno assopito così il tuo valore? O quale viltà la alletta? Su, su; il campo di battaglia e Goffredo ti chiamano, la fortuna e la vittoria ti aspettano. Vieni, o guerriero del destino, e sia conclusa l'impresa bene iniziata; e la malvagia setta [l'Islam], a cui già hai dato dei colpi, cada a terra estinta sotto la tua spada ineluttabile». Ubaldo tacque e il giovane nobile restò per poco tempo confuso, immobile e silenzioso. Ma quando la vergogna lasciò il posto allo sdegno, allo sdegno guerriero proprio della ragione feroce, e quando al rossore di vergogna del volto si sostituì un nuovo fuoco, che avvampa e scalda di più [quello della rabbia], si strappò i vani ornamenti e quelle indegne decorazioni, simboli di una misera schiavitù;e si affrettò ad andarsene, e uscì dalla contorta confusione del labirinto. [Armida] corre e non si cura né ha ritegno del proprio onore. Ahimè! Dove sono adesso i suoi trionfi e i suoi vanti? Costei, prima, ha voltato e rivoltato solo coi suoi cenni il grande regno d'Amore, e il suo sdegno era pari al suo orgoglio, infatti le piacque di essere amata ma odiò gli amanti; amò solo se stessa e al di fuori di sé, negli altri, tollerò solo qualche atto di servitù amorosa suscitato dalla sua bellezza. Ora, trascurata e disprezzata, è abbandonata, e pure segue chi la fugge e la disprezza; e si appresta ad abbellire col pianto il dono della sua bellezza, rifiutato di per sé. Corre e per i suoi teneri piedi non sono un ostacolo il gelo e l'asprezza della montagna; e manda come suoi messaggeri le grida, e non raggiunge Rinaldo prima che lui sia arrivato alla spiaggia. Fuori di sé gridava: «O tu che porti con te una parte di me [l'anima], e una parte lasci qui [il corpo], devi prenderle entrambe oppure dare la morte ad ambedue insieme: ferma, ferma il passo, ascolta solo le mie ultime parole; non voglio darti dei baci, quelli li avrà un'altra più degna di me. Che cosa temi, malvagio, se resti? Avrai il coraggio di respingermi, visto che sei riuscito a scappare». Allora Ubaldo gli disse: «Rinaldo, non conviene che tu rifiuti di aspettare questa donna; ora viene armata della sua bellezza e delle sue preghiere, dolcemente mescolati al suo amaro pianto. Chi sarà più forte di te, se ti abitui a vincere vedendo e ascoltando le sirene? Così la ragione diventa pacifica dominatrice dei sensi e migliora se stessa». Allora il cavaliere si fermò e lei sopraggiunse affannata e in lacrime: esprime un sommo dolore, ma è altrettanto bella quanto è addolorata. Guarda Rinaldo e fissa in lui lo sguardo, e non dice nulla, o perché fa la sdegnosa, o perché riflette, o perché non osa. Lui non la guarda; e se anche la guarda, le rivolge gli occhi in modo vergognoso e fuggevole. Come un aggraziato cantore, prima di spiegare in modo chiaro e netto la voce al canto, prepara gli animi del pubblico all'armonia con note emesse in toni bassi, così Armida, che anche se è addolorata non dimentica tutte le arti e gli inganni, emette prima un breve preludio di sospiri per ben disporre l'anima che ascolterà le sue parole. Poi iniziò: «Non ti aspettare che io ti preghi, o crudele, come un amante fa con la persona amata. Noi fummo questo, una volta; ora, se neghi di essere tale per me, e anche il ricordo di ciò ti è fastidioso, almeno ascoltami come un nemico: talvolta i nemici ascoltano a vicende le loro preghiere. Del resto, quello che ti chiedo puoi concederlo e conservare intatto tutto il tuo sdegno. Se tu mi odi, e in questo provi una qualche gioia, non vengo a privartene: godi pure di ciò. Visto che ti sembra giusto, sia pure così. Anch'io ho odiato i cristiani, non lo nego, e odiai te stesso. Sono nata pagana, ho usato vari strumenti per far sì che la vostra potenza fosse abbattuta; ti tesi una trappola, ti catturai, e ti portai in luogo ignoto e strano, lontano dalla guerra. Aggiungi a questo ciò che tu ritieni maggior vergogna e maggior danno per te: ti ho ingannato, ti ho allettato nel nostro amore; una malvagia lusinga, certo, un vile inganno, lasciare che tu cogliessi la mia verginità, fare un altro tiranno della mia bellezza, quella che ho negato come premio a mille altri prima di te e che ho offerto in dono a un nuovo amante! Sia pure questa una delle mie frodi e il difetto di tante mie colpe faccia sì che tu te ne vada via di qui e non ti importi nulla di questa dimora che un tempo amavi. Vattene, varca il mare, combatti, soffri, distruggi la nostra fede pagana: io stessa ti spingo a farlo. Ma che dico nostra? Ah, non è più la mia fede! Io sono fedele solo a te, mio idolo crudele.
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