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Canto VIII Purgatorio appunti, Appunti di Italiano

Documento contenente tutto ciò che si deve sapere sull'ottavo canto del Purgatorio di Dante. È scritto in modo semplice e chiaro. Trovate anche il commento su parti con significati simbolici. Ottimo per un'interrogazione o una verifica a breve.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 19/10/2022

shuqin-chen
shuqin-chen 🇮🇹

4.8

(5)

7 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Canto VIII Purgatorio appunti e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! La preghiera della sera (1-18) Per richiamare l’aspetto dell’alternarsi di giorno e notte tipico del purgatorio, il canto si apre una lunga perifrasi per descrivere la notte, la sola ora in cui i viaggiatori provano una forte nostalgia di casa e ripensano agli addii detti ai propri cari e agli amici. La descrizione viene rafforzata da evidenti allitterazioni che marcano il suono di “d” e “c”. Segue poi la similitudine del suono della campana che è come un pianto della fine del giorno e a sentirlo, qualsiasi persona in viaggio da poco sente una stretta al cuore. Dante non ascolta più con attenzione le spiegazioni di Sordello da Goito e osserva in particolare una delle anime della valletta dei principi negligenti che si alza e leva entrambe le mani al cielo, guardando a oriente come se fosse pienamente appagata: essa inizia a recitare l'inno Te lucis ante con grande devozione, imitata dalle altre anime che alzano tutte gli occhi al cielo (“le superne rote” sono le sfere celesti del Paradiso). L'arrivo dei due angeli (19-42) Dante autore interviene direttamente ed esorta il lettore a concentrare la mente sulla verità, perché il “velo” dell'allegoria (tra ciò che è umano e ciò che è divino) è così sottile che è facile superarlo. Il poeta vede le anime (“esercito gentile” perché sono anime umili destinate alla salvezza) restare in attesa e guardare in alto, poi vede scendere due angeli armati di spade infuocate e senza punta, che indossano vesti verdissimi (“come foglie appena nate”) e hanno ali con penne dello stesso colore. Alcuni commentatori hanno visto nei due angeli i colori tradizionali delle tre virtù teologali: il verde delle vesti che rimanda alla speranza, il biondo dei capelli che rimanda alla fede e il rosso delle infuocate che rimanda alla carità. Uno si pone sopra Dante, Virgilio e Sordello, l'altro si colloca al lato opposto della valletta in posizione affrontata, in modo che le anime possano raccogliersi al centro. Il poeta distingue la loro testa bionda, ma il suo sguardo non vede il loro volto poiché è al di là della comprensione umana, proprio come se la potenza visiva fosse sopraffatta da qualcosa di troppo superiore (la luce degli angeli provoca l'accecamento). Sordello spiega che entrambi gli angeli vengono dal Paradiso (dal “grembo di Maria”) a proteggere la valle da un serpente che arriverà tra poco. Si tratta di una profezia e il serpente è una rappresentazione allegorica. Dante, non sapendo da quale parte giungerà il malefico animale, si spaventa e si stringe a Virgilio (“le fidate spalle”). Incontro con Nino Visconti (43-84) Sordello invita i due poeti a scendere nella valletta tra le anime dei principi, per parlare con loro, cosa che sarà molto gradita alle anime. Dunque, scendono di appena tre passi e Dante nota uno spirito che lo osserva attentamente, come se volesse riconoscerlo. È quasi buio, ma non così tanto da impedire a Dante di riconoscere in quel penitente il nobile giudice Nino Visconti, che gli va incontro mentre anche il poeta si avvicina. Dante è felice di vederlo tra le anime salve, perché credeva che si trovasse nell’Inferno. I due si salutano con affetto, poi il Visconti chiede a Dante quando sia giunto sulla spiaggia del Purgatorio con la barca dell’angelo nocchiero: il poeta risponde di essere giunto lì attraverso l'Inferno e di essere ancora vivo (“sono in prima vita”), poiché compie questo viaggio per ottenere la salvezza. All'affermazione di Dante sia Sordello sia Nino si traggono indietro meravigliati, e mentre il Mantovano (Sordello) si rivolge a Virgilio, Nino chiama Corrado Malaspina che era seduto accanto a lui per mostrargli ciò che la grazia divina ha concesso. A questo punto il Visconti si rivolge a Dante e lo prega di dire sulla Terra alla figlia Giovanna di pregare per la sua anima così da accorciare la sua permanenza nel Purgatorio. “In nome di quella particolare gratitudine che tu devi a Dio, che ci nasconde la ragione prima del suo operare e non ci permette di conoscerla” è una lunga perifrasi per indicare il privilegio di Dante concesso da Dio di poter compiere il viaggio nei regni ultraterreni e tornare poi sulla Terra. Beatrice d'Este (madre di Giovanna), la vedova di Nino, non lo ama più, dal momento che ha lasciato le bianche bende del lutto per risposarsi. In relazione a ciò, Dante fa un’affermazione generale: Beatrice d’Este è l'esempio di come l'amore delle donne finisca presto se i sensi non lo tengono vicino; ovvero, l’amore è alimentato dalla vista e dal tatto e poiché Nino è morto, la donna subito ha riacceso l'amore verso qualcun altro. Beatrice si è risposata con un esponente del Ducato di Milano, ma quando lei sarà morta, lo stemma dei Visconti di Milano (“la vipera” sarebbe il biscione, simbolo nobiliare dei Visconti) non ornerà il suo sepolcro così come avrebbe fatto il gallo, simbolo della Gallura (luogo dove Nino fece il giudice). Nino sottintende che in realtà Galeazzo Visconti non le vuole bene e mentre dice queste parole, mostra un certo sdegno che gli arde con misura nel cuore. Le tre stelle. Gli angeli mettono in fuga il serpente (85-108) Dante alza lo sguardo al cielo nel punto dove le stelle ruotano più lentamente (il polo) e Virgilio gli chiede cosa stia osservando. Dante risponde che sta guardando tre stelle (in riferimento alle tre virtù teologali), tanto risplendenti da illuminare tutto l’emisfero australe. Virgilio spiega che le quattro stelle viste da Dante al mattino sono ora dietro il monte del Purgatorio, mentre queste tre sono sorte al loro posto. Mentre i due poeti discutono delle stelle, Sordello invita Dante a guardare quel punto da cui sta per arrivare il loro nemico: dal lato in cui la valletta non è riparata dal monte arriva un serpente, forse lo stesso che aveva dato il frutto proibito ad Eva. Il malefico animale striscia tra le erbe e i fiori, leccandosi il dorso con la lingua. Dante non vede il serpente ma si accorge che i due angeli (“astor celestiali”) calano in basso e muovono l'aria con le ali verdi, e così il serpente fugge via con la stessa velocità con cui gli angeli tornano in alto, là da dove erano giunti. I due angeli di cui parlava Sordello all’inizio del canto erano scesi per cacciare il serpente (rappresentazione allegorica della tentazione). Colloquio con Corrado Malaspina (109-139) Durante l'azione degli angeli, l'anima che si era accostata vicino a Nino Visconti non ha cessato di guardare in volto Dante. Alla fine si rivolge al poeta e, dopo avergli augurato di giungere al Paradiso e alla fine del suo viaggio ultraterreno (ciò significa anche alla conclusione dell’opera), gli chiede se ha qualche notizia della Val di Magra o dei luoghi vicini, dove lui in vita è stato potente. Il suo nome in vita fu Corrado Malaspina (il Giovane) e non il capostipite antico Malaspina, da cui discese direttamente. Ora lui si sta scontando il proprio peccato, cioè l'eccessivo attaccamento ai beni materiali della famiglia.
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