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Canto VIII Purgatorio Parafrasi e Figure Retoriche, Appunti di Italiano

Canto VIII Purgatorio Parafrasi e Figure Retoriche e possibile analisi dei versi

Tipologia: Appunti

2019/2020
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Caricato il 08/12/2020

giulia-ensabella
giulia-ensabella 🇮🇹

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Scarica Canto VIII Purgatorio Parafrasi e Figure Retoriche e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! PARAFRASI E ANALISI VERSI PARAFRASI Versi 1 – 3 Era già l’ora che volge il disio ai navicanti e ‘ntenerisce il core lo dì c’ han detto ai dolci amici addio; Ormai si era fatta quell’ora che fa sì che, a coloro che navigano, in quel giorno che hanno detto addio ai cari amici (ossia “nel giorno della partenza”), il desiderio si volga indietro (ossia “si rivolga verso ciò che essi hanno lasciato dietro di sé”) e il cuore si intenerisca (l’idea alla base di questa perifrasi è che la prima sera dopo la partenza è il momento in cui la nostalgia si fa sentire più forte nei viaggiatori); Versi 4 – 6 e che lo novo peregrin, d’amore punge, se ode squilla di lontano che paia il giorno pianger che si more; e che fa soffrire (punge) d’amore il pellegrino novello (novo: “messosi in viaggio di recente”), quando ode di lontano un suono di campana (squilla), che sembra piangere il giorno che muore; La lunga perifrasi indica che è l’ora del tramonto, presentata come momento di struggente nostalgia per tutti coloro che si sono lasciati alle spalle luoghi cari e affetti. Il tema, va messo ovviamente in relazione da un lato con la condizione e lo stato d’animo di Dante, che è esule in prima persona quando scrive questi versi, dall’altro con la condizione generale delle anime del Purgatorio, che sospirano la “patria eterna” del Paradiso, ma ne sono tuttavia escluse. Versi 7 – 9 quand’io incominciai a render vano l’udire e a mirare una de l’alme surta, che l’ascoltar chiedea con mano. quando io cominciai a distrarmi da quanto ascoltavo ( a render vano l’udire: a smettere di ascoltare, a distrarmi dall’ascolto delle parole di Sordello) e ad osservare una delle anime, che si era alzata in piedi, e che con un gesto della mano chiedeva di essere ascoltata. Versi 10-12 Ella giunse e levò ambo le palme, ficcando li occhi verso l’orïente, come dicesse a Dio: ’D’altro non calme’. Essa congiunse e sollevò entrambe le mani, fissando lo sguardo verso oriente, come se dicesse a Dio: “Non mi importa d’altro”; (non cale me = non calme) Versi 13-15 ’Te lucis ante’ sì devotamente le uscìo di bocca e con sì dolci note, che fece me a me uscir di mente; Dalla bocca le uscì: “Te lucis ante”, in maniera così devota, e con suoni così dolci, che mi fece dimenticare di me stesso; >>> Te lucis ante… è l’incipit dell’inno che si recita all’ora della Compìeta, per chiedere a Dio protezione contro le tentazioni notturne. Te Lucis Ante Terminum Con questa preghiera ci si rivolge al Creatore di tutte le cose perché allontani gli incubi notturni. Te lucis ante terminum Rerum Creator poscimus, Ut pro tua clementia, Sis praesul et custodia. Procul recedant somnia, Et noctium phantasmata; Hostemque nostrum comprime, Ne polluantur corpora. Praesta, Pater piissime, Patrique compar Unice, Cum Spiritu Paraclito Regnans per omne saeculum. Amen. Versi 16-18 e l’altre poi dolcemente e devote seguitar lei per tutto l’inno intero, avendo li occhi a le superne rote. E le altre anime poi, con dolcezza e devozione, la accompagnarono per l’intera durata dell’inno, tenendo gli occhi rivolti alle sfere celesti (a le superne rote). Versi 19-21 Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero, ché ’l velo è ora ben tanto sottile, certo che ’l trapassar dentro è leggero. A questo punto, o lettore, aguzza bene gli occhi verso la verità, poiché il velo (il velo che nasconde la verità) questa volta è a tal punto sottile, che è facile (leggero) attraversarlo. >>> Il velo a cui Dante si riferisce è il senso letterale dell’episodio che sta per raccontare, il vero è il senso allegorico che sta al di là del senso letterale. Così, quello che segue, al livello letterale è solo la vicenda della discesa dei due angeli che intervengono a proteggere le anime da un serpente. La verità risiede nel senso profondo dell’allegoria: l’episodio è il ribaltamento esatto della scena biblica della tentazione di Adamo ed Eva, e significa che in Purgatorio non esiste più tentazione, né peccato, e il bene trionfa sul serpente. Versi 22-24 Io vidi quello essercito gentile tacito poscia riguardare in sùe, quasi aspettando, palido e umìle; Io vidi poi quel nobile esercito (il gruppo delle anime), guardare in silenzio verso l’alto, come se aspettasse, pallido e umile; Versi 25-27 e vidi uscir de l’alto e scender giùe due angeli con due spade affocate, tronche e private de le punte sue. E vidi comparire dall’alto, e scendere giù, due angeli con due spade infuocate, troncate e prive della loro punta. L’uno a Virgilio e l’altro a un si volse che sedea lì, gridando: “Sù, Currado! vieni a veder che Dio per grazia volse”. Il primo (cioè Sordello) si volse verso Virgilio, e l’altro (cioè Nino) si volse verso uno che sedeva lì, gridando “Su, Corrado! Vieni a vedere cosa ha voluto Dio per sua misericordia! (vale a dire: “tanto è misericordioso”)”. >>> Corrado è il guelfo Corrado Malaspina, signore di Lunigiana, vicino a Nino per patria, per età e per fazione di appartenenza. Versi 67 – 69 Poi, vòlto a me: “Per quel singular grado che tu dei a colui che sì nasconde lo suo primo perché, che non lì è guado, Poi, rivolto verso di me, disse: “In nome di quella particolare gratitudine che tu devi a Colui che tiene così nascosta la ragione prima del suo operato (cioè “a Dio”), al punto che non c’è via per arrivare a comprenderla (il guado è il punto in cui il fiume permette di passare da una sponda all’altra)”, Versi 70 – 72 quando sarai di là da le larghe onde, dì a Giovanna mia che per me chiami là dove a li ’nnocenti si risponde. “quando sarai al di là delle alte onde (vale a dire: “quando sarai tornato nel mondo terreno, al di là dell’Oceano”), di’ alla mia Giovanna di indirizzare suppliche in mio favore verso il Paradiso (là), da dove si risponde sempre ai giusti (li ‘nnocenti)”. Versi 73 – 75 Non credo che la sua madre più m’ami, poscia che trasmutò le bianche bende, le quai convien che, misera!, ancor brami. “Non credo che sua madre mi ami più, da quando ha tolto le bende bianche, che poveretta, è destino che debba rimpiangere”. >>> Giovanna è la figlia del giudice Nino; “sua madre” è invece Beatrice d’Este, la moglie di Nino. Il dettaglio delle bende bianche è un riferimento alle seconde nozze, che Beatrice, dopo la morte di Nino, contrae con Galeazzo Visconti: infatti nel Medioevo, le nuove nozze comportavano per le donne la sostituzione delle bende bianche – simbolo di stato vedovile – con le bende nere – simbolo della condizione di donna sposata – . La profezia del rimpianto che attende Beatrice, fa riferimento alle tristi vicende che colpiscono Galeazzo, e di conseguenza anche lei, dal 1302, quando i Visconti vengono cacciati da Milano, e i due coniugi si trovano ad affrontare l’esilio e la miseria. Versi 76 – 78 Per lei assai di lieve si comprende quanto in femmina foco d’amor dura, se l’occhio o ’l tatto spesso non l’accende. “Dal suo agire (per lei: dal suo caso) si può facilmente comprendere quanto duri nelle donne la fiamma dell’amore, se non è alimentata di continuo dalla vista o dal tatto”. Versi 79 – 81 Non le farà sì bella sepultura la vipera che Melanesi accampa, com’avria fatto il gallo di Gallura”. “Non renderà altrettanto bella la sua lapide lo stemma con la vipera dei Visconti di Milano (letteralmente “la vipera sotto la quale piazzano il campo i Milanesi”), come invece avrebbe fatto lo stemma col gallo dei Visconti di Gallura”. >>> Lo stemma della famiglia Visconti di Milano, della quale Beatrice era entrata a far parte sposando Galeazzo è appunto una vipera. Il gallo di Gallura è invece il simbolo dei Visconti di Gallura, che Beatrice avrebbe avuto sulla sua tomba se fosse rimasta fedele al giudice Nino, appartenente a questa seconda famiglia. Versi 82 – 84 Così dicea, segnato de la stampa, nel suo aspetto, di quel dritto zelo che misuratamente in core avvampa. Così diceva, segnato nel volto dall’impronta (la stampa) di quel giusto sdegno che arde nel cuore in modo misurato. Versi 85 – 87 Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo, pur là dove le stelle son più tarde, sì come rota più presso a lo stelo. I miei occhi avidi (di vedere) si volgevano continuamente al cielo, sempre là dove le stelle ruotano più lentamente (cioè verso il polo), come fa la ruota, che gira più lentamente nella parte più vicina al suo asse. Versi 88 – 90 E ’l duca mio: “Figliuol, che là sù guarde?”. E io a lui: “A quelle tre facelle di che ’l polo di qua tutto quanto arde”. E la mia guida mi disse: “Figliolo, che cosa guardi lassù?”. E io risposi: “Guardo quelle tre stelle dalle quali viene illuminato interamente il polo antartico (il polo di qua: Dante ora è nell’emisfero australe)”. Versi 91 – 93 Ond’elli a me: “Le quattro chiare stelle che vedevi staman, son di là basse, e queste son salite ov’eran quelle”. Per cui egli mi disse: “Le quattro stelle luminose che vedevi stamattina, sono calate al di là del monte, e queste sono sorte nel punto dove erano quelle”. >>> Le quattro stelle di cui parla Virgilio sono quelle che Dante ha visto al suo arrivo in Purgatorio. Quelle quattro stelle misteriose sono il simbolo delle quattro virtù cardinali – prudenza, giustizia, fortezza e temperanza – che nella dottrina cristiana sono le virtù apprezzate da Dio nell’uomo. In maniera corrispondente, queste tre stelle rappresentano le tre virtù teologali (fede, speranza e carità), proprie del cristiano e infuse da Dio per grazia. Versi 94 – 96 Com’ei parlava, e Sordello a sé il trasse dicendo: “Vedi là ’l nostro avversaro”; e drizzò il dito perché ’n là guardasse. Mentre parlava, Sordello lo trasse vicino a sé dicendo: “Guarda là il nostro avversario (il diavolo)”; e puntò il dito affinché egli guardasse in quella direzione. Versi 97 – 99 Da quella parte onde non ha riparo la picciola vallea, era una biscia, forse qual diede ad Eva il cibo amaro. Dalla parte in cui la piccola valle non aveva protezione c’era un serpente, forse identico a quello che dette ad Eva il frutto amaro (amaro, perché causa di sventure e di amarezza per gli uomini). Versi 100 – 102 Tra l’erba e ’ fior venìa la mala striscia, volgendo ad ora ad or la testa, e ’l dosso leccando come bestia che si liscia. La malvagia scia (il serpente) avanzava tra l’erba e i fiori, girando di quando in quando la testa, e leccandosi il dorso, come un animale che si liscia il pelo. Versi 103 – 105 Io non vidi, e però dicer non posso, come mosser li astor celestïali; ma vidi bene e l’uno e l’altro mosso. Io non vidi, e perciò non posso raccontare, in che modo si mossero i due sparvieri celesti (i due angeli vestiti di verde, presentati qualche terzina più in alto); ma vidi bene entrambi in movimento. Versi 106 – 108 Sentendo fender l’aere a le verdi ali, fuggì ’l serpente, e li angeli dier volta, suso a le poste rivolando iguali. Sentendo le verdi ali fendere l’aria, il serpente fuggì, e gli angeli si rigirarono, volando simultaneamente (iguali) verso l’alto, alla volta dei loro posti di guardia (a le poste). Versi 109 – 111 L’ombra che s’era al giudice raccolta quando chiamò, per tutto quello assalto punto non fu da me guardare sciolta. L’ombra che si era accostata al giudice (al giudice Nino Visconti) quando questi l’aveva chiamata (v. 65: “Su Corrado!”), per tutto la durata di quell’assalto non smise un istante di guardarmi. Versi 112 – 114 “Se la lucerna che ti mena in alto truovi nel tuo arbitrio tanta cera quant’è mestiere infino al sommo smalto”, “Possa (se ha valore ottativo) la luce divina, che ti conduce così in alto, trovare nel tuo libero arbitrio tanto alimento (cera), quanto è necessario per giungere al prato che si trova in cima a questo monte (il sommo smalto: è l’Eden)”, Versi 115 – 117
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