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Canto VIII-XXVI, Inferno, Prove d'esame di Italiano

Parafrasi completa e corretta dei canti VIII e XXVI dell'Inferno di Dante

Tipologia: Prove d'esame

2017/2018

Caricato il 22/05/2018

Tata344
Tata344 🇮🇹

4.3

(145)

107 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Canto VIII-XXVI, Inferno e più Prove d'esame in PDF di Italiano solo su Docsity! Canto VIII Non sanza prima far grande aggirata, venimmo in parte dove il nocchier forte «Usciteci», gridò: «qui è l’intrata». Io vidi più di mille in su le porte da ciel piovuti, che stizzosamente dicean: «Chi è costui che sanza morte va per lo regno de la morta gente?». E ’l savio mio maestro fece segno di voler lor parlar segretamente. Allor chiusero un poco il gran disdegno, e disser: «Vien tu solo, e quei sen vada, che sì ardito intrò per questo regno. 90 Sol si ritorni per la folle strada: pruovi, se sa; ché tu qui rimarrai che li ha’ iscorta sì buia contrada». 93 Pensa, lettor, se io mi sconfortai nel suon de le parole maladette, ché non credetti ritornarci mai. 96 «O caro duca mio, che più di sette volte m’hai sicurtà renduta e tratto d’alto periglio che ’ncontra mi stette, 99 non mi lasciar», diss’io, «così disfatto; e se ’l passar più oltre ci è negato, ritroviam l’orme nostre insieme ratto». 102 E quel segnor che lì m’avea menato, mi disse: «Non temer; ché ’l nostro passo non ci può tòrre alcun: da tal n’è dato. 105 Ma qui m’attendi, e lo spirito lasso conforta e ciba di speranza buona, ch’i’ non ti lascerò nel mondo basso». 108 Non prima di aver percorso un largo giro, giungemmo in un punto dove l'orribile traghettatore gridò: «Scendete, l'ingresso è qui». Io vidi sulle porte più di mille diavoli piovuti dal cielo, che dicevano con stizza: «Chi è costui che, ancora vivo, osa andare nel regno dei morti?» E il mio saggio maestro fece segno di voler parlare con loro separatamente. Allora placarono un poco il loro sdegno, e dissero: «Vieni tu solo, mentre quell'altro se ne vada, visto che ha avuto il coraggio di entrare in questo luogo. Ritorni da solo lungo la strada che ha percorso follemente, se ne è capace: infatti tu resterai qui, visto che gli hai fatto da guida nel cammino oscuro». Pensa, lettore, se non mi sconfortai sentendo quelle parole maledette: credetti di non fare mai ritorno sulla Terra. Io dissi: «O cara mia guida, che tante volte mi ha dato sicurezza e mi hai salvato da un grave pericolo che mi minacciava, non mi lasciare in questa situazione; e se ci è negato di passare più oltre, affrettiamoci a tornare sui nostri passi». E quel maestro che mi aveva condotto fin lì mi disse: «Non aver paura, dal momento che nessuno può opporsi al nostro viaggio, voluto da Dio. Ora aspettami qui, e conforta il tuo spirito prostrato con buona speranza, poiché non ti lascerò certo nell'Inferno». Così sen va, e quivi m’abbandona lo dolce padre, e io rimagno in forse, che sì e no nel capo mi tenciona. 111 Udir non potti quello ch’a lor porse; ma ei non stette là con essi guari, che ciascun dentro a pruova si ricorse. 114 Chiuser le porte que’ nostri avversari nel petto al mio segnor, che fuor rimase, e rivolsesi a me con passi rari. 117 Li occhi a la terra e le ciglia avea rase d’ogne baldanza, e dicea ne’ sospiri: «Chi m’ha negate le dolenti case!». 120 E a me disse: «Tu, perch’io m’adiri, non sbigottir, ch’io vincerò la prova, qual ch’a la difension dentro s’aggiri. 123 Questa lor tracotanza non è nova; ché già l’usaro a men segreta porta, la qual sanza serrame ancor si trova. 126 Sovr’essa vedestù la scritta morta: e già di qua da lei discende l’erta, passando per li cerchi sanza scorta, tal che per lui ne fia la terra aperta». 130 Così il dolce padre se ne andò e mi lasciò lì, pieno di dubbi, incerto su cosa sarebbe successo. Non fui in grado di sentire quello che disse ai diavoli; ma non rimase a lungo a parlare, poiché ciascuno di loro tornò di corsa dentro le mura. Quei nostri nemici chiusero le porte in faccia al mio maestro, che rimase fuori e tornò verso di me a passo lento. Aveva lo sguardo a terra e gli occhi privi di ogni sicurezza, e sospirando diceva: «Chi mi ha negato l'accesso alla città dolente!» E a me disse: «Tu non perderti d'animo, anche se io sono adirato, poiché io vincerò la prova, qualunque sia la difesa che approntano dentro la città. Questa loro alterigia non è cosa nuova; la usarono per difendere una porta meno nascosta, la quale è tuttora senza battenti. Su di essa tu hai letto la scritta minacciosa: e già da essa sta scendendo lungo la china un messo celeste, che passa per i Cerchi senza scorta, che farà in modo di aprirci il passaggio». Ed elli a me: «La tua preghiera è degna di molta loda, e io però l’accetto; ma fa che la tua lingua si sostegna. Lascia parlare a me, ch’i’ ho concetto ciò che tu vuoi; ch’ei sarebbero schivi, perch’e’ fuor greci, forse del tuo detto». Poi che la fiamma fu venuta quivi dove parve al mio duca tempo e loco, in questa forma lui parlare audivi: «O voi che siete due dentro ad un foco, s’io meritai di voi mentre ch’io vissi, s’io meritai di voi assai o poco quando nel mondo li alti versi scrissi, non vi movete; ma l’un di voi dica dove, per lui, perduto a morir gissi». Lo maggior corno de la fiamma antica cominciò a crollarsi mormorando pur come quella cui vento affatica; indi la cima qua e là menando, come fosse la lingua che parlasse, gittò voce di fuori, e disse: «Quando mi diparti’ da Circe, che sottrasse me più d’un anno là presso a Gaeta, prima che sì Enea la nomasse, né dolcezza di figlio, né la pieta del vecchio padre, né ’l debito amore lo qual dovea Penelopé far lieta, vincer potero dentro a me l’ardore ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto, e de li vizi umani e del valore; ma misi me per l’alto mare aperto sol con un legno e con quella compagna picciola da la qual non fui diserto. L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna, fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi, e l’altre che quel mare intorno bagna. Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi quando venimmo a quella foce stretta E lui a me: «La tua preghiera è degna di grande lode, e perciò io la accetto; ma dovrai tenere a freno la tua lingua. Lascia parlare me, dal momento che so bene quello che vuoi; infatti essi, essendo stati greci, potrebbero essere restii a rivolgerti la parola». Dopo che la fiamma fu giunta nel punto in cui al mio maestro parve opportuno il tempo e il luogo, lo sentii parlare in questo modo: «O voi che siete in due dentro una sola fiamma, se ho acquisito meriti nei vostri confronti quand'ero vivo, se ho acquisito meriti grandi o piccoli presso di voi quando, sulla Terra, scrissi gli alti versi, non andate via; ma uno di voi (Ulisse) racconti dove è andato a morire in un viaggio senza ritorno». La punta più alta di quell'antica fiamma cominciò a scuotersi mormorando, come quella colpita dal vento; quindi, volgendo la cima da una parte e dall'altra, come una lingua che parlasse, gettò fuori la voce e disse: «Quando mi allontanai da Circe, che mi tenne più di un anno là vicino a Gaeta, prima che Enea desse questo nome al promontorio, né la tenerezza per mio figlio, né la devozione per il mio vecchio padre, né il legittimo amore che doveva fare felice Penelopepoterono vincere in me il desiderio che ebbi di diventare esperto del mondo, dei vizi e delle virtù degli uomini; ma mi misi in viaggio in alto mare solo con una nave e con quei pochi compagni dai quali non fui abbandonato. Vidi entrambe le sponde del Mediterraneo fino alla Spagna, al Marocco e alla Sardegna, e alle altre isole bagnate da quel mare. Io e i miei compagni eravamo vecchi e deboli quando giungemmo a quello stretto dov’Ercule segnò li suoi riguardi, acciò che l’uom più oltre non si metta: da la man destra mi lasciai Sibilia, da l’altra già m’avea lasciata Setta. "O frati", dissi "che per cento milia perigli siete giunti a l’occidente, a questa tanto picciola vigilia d’i nostri sensi ch’è del rimanente, non vogliate negar l’esperienza, di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". Li miei compagni fec’io sì aguti, con questa orazion picciola, al cammino, che a pena poscia li avrei ritenuti; e volta nostra poppa nel mattino, de’ remi facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino. Tutte le stelle già de l’altro polo vedea la notte e ’l nostro tanto basso, che non surgea fuor del marin suolo. Cinque volte racceso e tante casso lo lume era di sotto da la luna, poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo, quando n’apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto quanto veduta non avea alcuna. Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto, ché de la nova terra un turbo nacque, e percosse del legno il primo canto. Tre volte il fé girar con tutte l’acque; a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù, com’altrui piacque, infin che ’l mar fu sovra noi richiuso». (di Gibilterra) dove Ercole pose le colonne, limite oltre il quale l'uomo non deve procedere: a destra avevamo Siviglia, a sinistra Ceuta. Dissi: "O fratelli, che siete giunti all'estremo ovest attraverso centomila pericoli, non vogliate negare a questa piccola veglia che rimane ai vostri sensi (ai vostri ultimi anni) l'esperienza del mondo disabitato, seguendo la rotta verso occidente. Pensate alla vostra origine: non siete stati creati per vivere come bestie, ma per seguire la virtù e la conoscenza". Con questo breve discorso resi i miei compagni così smaniosi di mettersi in viaggio, che in seguito avrei stentato a trattenerli; e volta la poppa a est, facemmo dei remi le ali al nostro folle volo, sempre proseguendo verso sud-ovest (a sinistra). La notte ormai mostrava tutte le costellazioni del polo australe, mentre quello boreale era tanto basso che non emergeva dalla linea dell'orizzonte. La luce dell'emisfero lunare a noi visibile si era già spenta e riaccesa cinque volte (erano passati circa cinque mesi), dopo che avevamo intrapreso il viaggio, quando ci apparve una montagna (il Purgatorio) scura per la lontananza, e mi sembrò più alta di qualunque altra io avessi mai vista. Noi ci rallegrammo, ma l'allegria si tramutò presto in pianto: infatti da quella nuova terra nacque una tempesta che colpì la nave a prua. La fece girare su se stessa tre volte, in un vortice; la quarta volta fece levare in alto la poppa e fece inabissare la prua, come piacque ad altri (Dio), finché il mare si fu richiuso sopra di noi».
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