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Canzoniere Petrarca /tutte le poesie/, Dispense di Lingue e letterature classiche

Canzoniere~Petrarca Tutte le poesie con alcune spiegazioni

Tipologia: Dispense

2020/2021
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Scarica Canzoniere Petrarca /tutte le poesie/ e più Dispense in PDF di Lingue e letterature classiche solo su Docsity! Antologia di poesie tratte dal Canzoniere di Francesco Petrarca 1. Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono di quei sospiri ond'io nudriva 'l core in sul mio primo giovenile errore quand'era in parte altr'uom da quel ch'i' sono, del vario stile in ch'io piango et ragiono fra le vane speranze e 'l van dolore, ove sia chi per prova intenda amore, spero trovar pietà , nonché perdono. Ma ben veggio or si come al popol tutto favola fui gran tempo, onde sovente di me medesmo meco mi vergogno; et del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto, e 'l pentersi, e 'l conoscer chiaramente che quanto piace al mondo è breve sogno. 3. Era il giorno ch'al sol si scoloraro per la pietà del suo factore i rai, quando i' fui preso, et non me ne guardai, che i be' vostr'occhi, donna, mi legaro. Tempo non mi parea da far riparo contra colpi d'Amor: però m'andai secur, senza sospetto; onde i miei guai nel commune dolor s'incominciaro. Trovommi Amor del tutto disarmato et aperta la via per gli occhi al core, che di lagrime son fatti uscio et varco: però,al mio parer, non li fu honore ferir me de saetta in quello stato, a voi armata non mostrar pur l'arco. 5 Quando io movo i sospiri a chiamar voi, e 'l nome che nel cor mi scrisse Amore, LAUdando s'incomincia udir di fore il suon de' primi dolci accenti suoi. Vostro stato REal, che 'ncontro poi, Analisi del sonetto collocazione nel Canzoniere È la prima poesia del canzoniere. Funge da introduzione a tutta l’opera Struttura metrico- ritmica Sonetto in rima ABBAABBACDECDE presentazione del contenuto Il poeta riflette sulla sua esperienza passata alla luce della sua vita attuale. Chiede comprensione ai lettori per quello che leggeranno e partecipazione al suo dolore e pietà della vergogna che ora, mentre sta facendo un bilancio della sua vita, prova per se stesso. parafrasi di massima A voi (lettori...) che ascoltate, in queste poesie, il suo dei sospiri con cui ho nutrito il mio cuore quando ero giovane, quando ero un uomo diverso da quel che sono ora, a voi, che per esperienza sapete cos’è l’amore, chiedo perdono e pietà anche del modo e dello stile in cui ne parlo, piangendo e ragionandovi, tra speranze inutili e inutile dolore. Ora mi accorgo di come sia stato oggetto di chiacchiere da parte della gente, e di questo mi vergogno ancor di più di me stesso. E tale vergogna è frutto della mia pazzia, assieme al pentimento e alla consapevolezza che ciò che piace agli uomini dura poco. Analisi retorica Potente enjabement nei due versi iniziali, della poesia costruita su in unico periodo nei primi 8 versi. Peraltro la poesia comincia con un anacoluto. V.11 “me medesmo meco mi...” poliptoto e allitterazione V. 12-14 et... e...e... polisindeto raddoppia a l'alta impresa il mio valore; ma: TAci, grida il fin, che farle honore e d'altri homeri soma che da' tuoi. Cosi LAUdare et REverire insegna la voce stessa, pur ch'altri vi chiami, o d'ogni reverenza et d'onor degna: se non che forse Apollo si disdegna ch'a parlar de' suoi sempre verdi rami lingua mortal presumptuosa vegna. . 12 Se la mia vita da l'aspro tormento si puo tanto schermire, et dagli affanni, ch'i' veggia per vertu de gli ultimi anni, donna, de' be' vostr'occhi il lume spento, e i cape' d'oro fin farsi d'argento, et lassar le ghirlande e i verdi panni, e 'l viso scolorir che ne' miei danni a llamentar mi fa pauroso et lento: pur mi dara tanta baldanza Amore ch'i' vi discovriro de' mei martiri qua' sono stati gli anni, e i giorni et l'ore; et se 'l tempo e contrario ai be' desiri, non fia ch'almen non giunga al mio dolore alcun soccorso di tardi sospiri. 13. Quando fra l'altre donne ad ora ad ora Amor vien nel bel viso di costei, quanto ciascuna e men bella di lei tanto cresce 'l desio che m'innamora. I' benedico il loco e 'l tempo et l'ora che si alto miraron gli occhi mei, et dico: Anima, assai ringratiar dei che fosti a tanto honor degnata allora. Da lei ti ven l'amoroso pensero, che mentre 'l segui al sommo ben t'invia, pocho prezando quel ch'ogni huom desia; da lei vien l'animosa leggiadria ch'al ciel ti scorge per destro sentero, si ch'i' vo gia de la speranza altero. 16. Movesi ‘l vecchierel canuto et biancho del dolce loco ov'a sua eta fornita et da la famigliuola sbigottita che vede il caro padre venir manco; indi trahendo poi l'antiquo fianco per l'extreme giornate di sua vita, quanto piu po, col buon voler s'aita, rotto dagli anni, et dal cammino stanco; et viene a Roma, seguendo 'l desio, per mirar la sembianza di colui ch'ancor lassu nel ciel vedere spera: cosi, lasso, talor vo cerchand'io, donna, quanto e possibile, in altrui la disiata vostra forma vera. 17. Piovommi amare lagrime dal viso con un vento angoscioso di sospiri, quando in voi adiven che gli occhi giri per cui sola dal mondo i' son diviso. Vero e che 'l dolce mansueto riso pur acqueta gli ardenti miei desiri, et mi sottragge al foco de' martiri, mentr'io son a mirarvi intento et fiso. Ma gli spiriti miei s'aghiaccian poi ch'i' veggio al departir gli atti soavi torcer da me le mie fatali stelle. Largata alfin co l'amorose chiavi l'anima esce del cor per seguir voi; et con molto pensiero indi si svelle. 118 rimansi dietro il sestodecimo anno de' miei sospiri, et io trapasso inanzi verso l'extremo; et parmi che pur dianzi fosse 'l principio di cotanto affanno. L'amar m'e dolce, et util il mio danno, e 'l viver grave; et prego ch'egli avanzi l'empia Fortuna, et temo no chiuda anzi Morte i begli occhi che parlar mi fanno. Or qui son, lasso, et voglio esser altrove; et vorrei piu volere, et piu non voglio; et per piu non poter fo quant'io posso; e d'antichi desir' lagrime nove provan com'io son pur quel ch'i' mi soglio, ne per mille rivolte anchor son mosso. 122 dicesette anni a gia rivolto il cielo poi che 'mprima arsi, et gia mai non mi spensi; ma quando aven ch'al mio stato ripensi, sento nel mezzo de le fiamme un gielo. Vero e 'l proverbio, ch'altri cangia il pelo anzi che 'l vezzo, et per lentar i sensi gli umani affecti non son meno intensi: cio ne fa l'ombra ria del grave velo. Oime lasso, e quando fia quel giorno che, mirando il fuggir degli anni miei, esca del foco, et di si lunghe pene? Vedro mai il di che pur quant'io vorrei quel'aria dolce del bel viso adorno piaccia a quest'occhi, et quanto si convene? 126 Chiare, fresche et dolci acque, ove le belle membra pose colei che sola a me par donna; gentil ramo ove piacque (con sospir' mi rimembra) a lei di fare al bel fiancho colonna; herba et fior' che la gonna leggiadra ricoverse co l'angelico seno; aere sacro, sereno, ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse: date udienza insieme a le dolenti mie parole extreme. Analisi del sonetto collocazione nel Canzoniere Forse tra le ultime poesie scritte per la prima parte Struttura metrico ritmica ABBAABBACDEDCE presentazione del contenuto Laura è invecchiata, lo si desume dalla sua descrizione fisica. Ma nonostante questo l’amore, attraverso il ricordo di lei, non cessa far soffrire Il poeta. parafrasi I suoi capelli erano sparsi in mille nodi all’aria e gli occhi risplendevano di una luce, che ora non hanno più. Il colore del viso ispirava reverenza ( non so se fosse vero o falso!). Non c’è da stupirsi se mi innamorai subito. Il suo incedere era quello di un angelo, la sua voce non era di questo mondo.E se adesso non fosse più tale, la ferita (d’ Amore) non si risana anche se l’arco (di Cupido) non tira più frecce Analisi retorica V.1 L’aura è senhal per Laura V.2 dolci nodi è sinestesia mille e ‘ iperbole. Ce ne saranno altre Vv 3-4 oltre misura ardea è iperbato, sottolineato dall’enjabement. Vv 9-10 cosa mortale, angelica forma è chiasmo come spirto celeste vivo sole del V. 12 stanco S'egli e pur mio destino e 'l cielo in cio s'adopra, ch'Amor quest'occhi lagrimando chiuda, qualche gratia il meschino corpo fra voi ricopra, et torni l'alma al proprio albergo ignuda. La morte fia men cruda se questa spene porto a quel dubbioso passo: che lo spirito lasso non poria mai in piu riposato porto ne in piu tranquilla fossa fuggir la carne travagliata et l'ossa. Tempo verra anchor forse ch'a l'usato soggiorno torni la fera bella et mansueta, et la 'v'ella mi scorse nel benedetto giorno, volga la vista disiosa et lieta, cercandomi; et, o pieta!, gia terra in fra le pietre vedendo, Amor l'inspiri in guisa che sospiri si dolcemente che merce m'impetre, et faccia forza al cielo, asciugandosi gli occhi col bel velo. Da' be' rami scendea (dolce ne la memoria) una pioggia di fior' sovra 'l suo grembo; et ella si sedea humile in tanta gloria, coverta gia de l'amoroso nembo. Qual fior cadea sul lembo, qual su le treccie bionde, ch'oro forbito et perle eran quel di a vederle; qual si posava in terra, et qual su l'onde; qual con un vago errore girando parea dir: " Qui regna Amore. " Quante volte diss'io allor pien di spavento: Costei per fermo nacque in paradiso. Cosi carco d'oblio il divin portamento e 'l volto e le parole e 'l dolce riso m'aveano, et si diviso da l'imagine vera, ch'i' dicea sospirando: Qui come venn'io, o quando?; credendo d'esser in ciel, non la dov'era. Da indi in qua mi piace questa herba si, ch'altrove non o pace. Se tu avessi ornamenti quant'ai voglia, poresti arditamente uscir del boscho, et gir in fra la gente. 129 Di pensier in pensier, di monte in monte mi guida Amor, ch'ogni segnato calle provo contrario a la tranquilla vita. Se 'n solitaria piaggia, o rivo, o fonte, se 'nfra duo poggi siede ombrosa valle, ivi s'acqueta l'alma sbigottita; et come Amor l'envita, or ride, or piange, or teme, or s'assecura; e 'l volto che lei segue ov'ella il mena si turba et rasserena, et in un esser picciol tempo dura; onde a la vista huom di tal vita experto diria: Questo arde, et di suo stato e incerto. Per alti monti et per selve aspre trovo qualche riposo: ogni habitato loco e nemico mortal degli occhi miei. A ciascun passo nasce un penser novo de la mia donna, che sovente in gioco gira 'l tormento ch'i' porto per lei; et a pena vorrei cangiar questo mio viver dolce amaro, ch'i' dico: Forse anchor ti serva Amore ad un tempo migliore; forse, a te stesso vile, altrui se' caro. Et in questa trapasso sospirando: Or porrebbe esser vero? or come? or quando? Ove porge ombra un pino alto od un colle talor m'arresto, et pur nel primo sasso disegno co la mente il suo bel viso. Poi ch'a me torno, trovo il petto molle de la pietate; et alor dico: Ahi, lasso, dove se' giunto! et onde se' diviso! Ma mentre tener fiso posso al primo pensier la mente vaga, et mirar lei, et obliar me stesso, sento Amor si da presso, che del suo proprio error l'alma s'appaga: in tante parti et si bella la veggio, che se l'error durasse, altro non cheggio. I' l'o piu volte (or chi fia che mi 'l creda?) ne l'acqua chiara et sopra l'erba verde veduto viva, et nel tronchon d'un faggio e 'n bianca nube, si fatta che Leda avria ben detto che sua figlia perde, come stella che 'l sol copre col raggio; et quanto in piu selvaggio loco mi trovo e 'n piu deserto lido, tanto piu bella il mio pensier l'adombra. Poi quando il vero sgombra quel dolce error, pur li medesmo assido me freddo, pietra morta in pietra viva, in guisa d'uom che pensi et pianga et scriva. Ove d'altra montagna ombra non tocchi, verso 'l maggiore e 'l piu expedito giogo tirar mi suol un desiderio intenso; indi i miei danni a misurar con gli occhi comincio, e 'ntanto lagrimando sfogo di dolorosa nebbia il cor condenso, alor ch'i' miro et penso, quanta aria dal bel viso mi diparte che sempre m'e si presso et si lontano. Poscia fra me pian piano: Che sai tu, lasso! forse in quella parte or di tua lontananza si sospira. Et in questo penser l'alma respira. Canzone, oltra quell'alpe la dove il ciel e piu sereno et lieto mi rivedrai sovr'un ruscel corrente, ove l'aura si sente d'un fresco et odorifero laureto. Ivi e 'l mio cor, et quella che 'l m'invola; qui veder poi l'imagine mia sola. 133 Amor m'a posto come segno a strale, come al sol neve, come cera al foco, et come nebbia al vento; et son gia roco, donna, merce chiamando, et voi non cale. Da gli occhi vostri uscio 'l colpo mortale, contra cui non mi val tempo ne loco; da voi sola procede, et parvi un gioco, il sole e 'l foco e 'l vento ond'io son tale. I pensier' son saette, e 'l viso un sole, e 'l desir foco; e 'nseme con quest'arme mi punge Amor, m'abbaglia et mi distrugge; et l'angelico canto et le parole, col dolce spirto ond'io non posso aitarme, son l'aura inanzi a cui mia vita fugge 216 Tutto 'l di piango; et poi la notte, quando prendon riposo i miseri mortali, trovomi in pianto, et raddoppiansi i mali: cosi spendo 'l mio tempo lagrimando. In tristo humor vo li occhi comsumando, e 'l cor in doglia; et son fra li animali l'ultimo, si che li amorosi strali mi tengon ad ogni or di pace in bando. Lasso, che pur da l'un a l'altro sole, et da l'una ombra a l'altra, o gia 'l piu corso di questa morte, che si chiama vita. Piu l'altrui fallo che 'l mi' mal mi dole: che Pieta viva, e 'l mio fido soccorso, vedem' arder nel foco, et non m'aita. . 219 Il cantar novo e 'l pianger delli augelli in sul di fanno retenir le valli, e 'l mormorar de' liquidi cristalli giu per lucidi, freschi rivi et snelli. Quella ch'a neve il volto, oro i capelli, nel cui amor non fur mai inganni ne falli, destami al suon delli amorosi balli, pettinando al suo vecchio i bianchi velli. Cosi mi sveglio a salutar l'aurora, e 'l sol ch'e seco, et piu l'altro ond'io fui ne' primi anni abagliato, et son anchora. I' gli o veduti alcun giorno ambedui levarsi inseme, e 'n un punto e 'n un' hora quel far le stelle, et questi sparir lui. 218 Tra quantunque leggiadre donne et belle giunga costei ch'al mondo non a pare, col suo bel viso suol dell'altre fare quel che fa 'l di de le minori stelle. Amor par ch'a l'orecchie mi favelle, dicendo: Quanto questa in terra appare, fia 'l viver bello; et poi 'l vedrem turbare, perir vertuti, e 'l mio regno con elle. Come Natura al ciel la luna e 'l sole, a l'aere i venti, a la terra herbe et fronde, a l'uomo et l'intellecto et le parole, et al mar ritollesse i pesci et l'onde: tanto et piu fien le cose oscure et sole, se Morte li occhi suoi chiude et asconde. 234 O cameretta che gia fosti un porto a le gravi tempeste mie diurne, fonte se' or di lagrime nocturne, che 'l di celate per vergogna porto. O letticciuol che requie eri et conforto in tanti affanni, di che dogliose urne ti bagna Amor, con quelle mani eburne, solo ver 'me crudeli a si gran torto! Ne pur il mio secreto e 'l mio riposo fuggo, ma piu me stesso e 'l mio pensero, che, seguendol, talor levommi a volo; e 'l vulgo a me nemico et odioso (ch 'l penso mai?) per mio refugio chero: tal paura o di ritrovarmi solo. 243 Fresco, ombroso, fiorito et verde colle, ov'or pensando et or cantando siede, et fa qui de' celesti spirti fede, quella ch'a tutto 'l mondo fama tolle: il mio cor che per lei lasciar mi volle (et fe' gran senno, et piu se mai non riede) va or contando ove da quel bel piede segnata e l'erba, et da quest'occhi e molle. Seco si stringe, et dice a ciascun passo: Deh fusse or qui quel miser pur un poco, ch'e gia di pianger et di viver lasso! Ella sel ride, et non e pari il gioco: tu paradiso, i' senza cor un sasso, o sacro, aventuroso et dolce loco. 246 L'aura che 'l verde lauro et l'aureo crine soavemente sospirando move, fa con sue viste leggiadrette et nove l'anime da' lor corpi pellegrine. Candida rosa nata in dure spine, quando fia chi sua pari al mondo trove, gloria di nostra etate? O vivo Giove, manda, prego, il mio in prima che 'l suo fine: si ch'io non veggia il gran publico danno, e 'l mondo remaner senza 'l suo sole, ne li occhi miei, che luce altra non anno; ne l'alma, che pensar d'altro non vole, ne l'orecchie, ch'udir altro non sanno, senza l'oneste sue dolci parole. 252 In dubbio di mio stato, or piango or canto, et temo et spero; et in sospiri e 'n rime sfogo il mio incarco: Amor tutte sue lime usa sopra 'l mio core, afflicto tanto. Or fia gia mai che quel bel viso santo renda a quest'occhi le lor luci prime (lasso, non so che di me stesso estime)? o li condanni a sempiterno pianto; et per prender il ciel, debito a lui, non curi che si sia di loro in terra, di ch'egli e il sole, et non veggiono altrui? In tal paura e 'n si perpetua guerra vivo ch'i' non so piu quel che gia fui, qual chi per via dubbiosa teme et erra. 256 Far potess'io vendetta di colei che guardando et parlando mi distrugge, et per piu doglia poi s'asconde et fugge, celando gli occhi a me si dolci et rei. Cosi li afflicti et stanchi spirti mei a poco a poco consumando sugge, e 'n sul cor quasi fiero leon rugge la notte allor quand'io posar devrei. L'alma, cui Morte del suo albergo caccia, da me si parte, et di tal nodo sciolta, vassene pur a lei che la minaccia. Meravigliomi ben s'alcuna volta, mentre le parla et piange et poi l'abbraccia, non rompe il sonno suo, s'ella l'ascolta. 265 Aspro core et selvaggio, et cruda voglia in dolce, humile, angelica figura, se l'impreso rigor gran tempo dura, avran di me poco honorata spoglia; che quando nasce et mor fior, herba et foglia, quando e 'l di chiaro, et quando e notte oscura, piango ad ognor: ben o di mia ventura, di madonna et d'Amore onde mi doglia. Vivo sol di speranza, rimembrando che poco humor gia per continua prova consumar vidi marmi et pietre salde. Non e si duro cor che, lagrimando, pregando, amando, talor non si smova, ne si freddo voler, che non si scalde. 267 oime l bel viso, oime il soave sguardo, oime il leggiadro portamento altero; oime il parlar ch'ogni aspro ingegno et fero facevi humile, ed ogni huom vil gagliardo! et oime il dolce riso, onde uscio 'l dardo di che morte, altro bene omai non spero: alma real, dignissima d'impero, se non fossi fra noi scesa si tardo! Per voi conven ch'io arda, e 'n voi respire, ch'i' pur fui vostro; et se di voi son privo, via men d'ogni sventura altra mi dole. Di speranza m'empieste et di desire, quand'io parti' dal sommo piacer vivo; ma 'l vento ne portava le parole. 272 La vita fugge, et non s'arresta una hora, et la morte vien dietro a gran giornate, et le cose presenti et le passate mi danno guerra, et le future anchora; e 'l rimembrare et l'aspettar m'accora, or quinci or quindi, si che 'n veritate, se non ch'i' o di me stesso pietate, i' sarei gia di questi penser' fora. Tornami avanti, s'alcun dolce mai ebbe 'l cor tristo; et poi da l'altra parte veggio al mio navigar turbati i venti; veggio fortuna in porto, et stanco omai il mio nocchier, et rotte arbore et sarte, e i lumi bei che mirar soglio, spenti. Analisi del sonetto collocazione nel Canzoniere tra le ultime poesie scritte, inserita pertanto nella seconda parte Struttura metrico ritmica ABBAABBACDECDE presentazione del contenuto Il poeta lamenta la brevità e la caducità dell’esistenza, la cui fine si avvicina sin troppo rapidamente, nulla lo può impedire e l’attesa è angosciante. Privo di ricordi positivi il poeta si paragona a una nave che,priva del faro (Laura), fatica ad arrivare intatta al porto , la fine della vita parafrasi La vita fugge via e non si ferma mai, la morte arriva in fretta, passato e presente, ma anche il futuro creano angoscia, Così come il ricordo e le attese. Tanto che se non Avessi pietà di me stesso sarei già morto (mi sarei già tolto la vita?). Non riesco a riportare alla mente nessun ricordo positivo e oramai mi vedo come una nave colta dalla tempesta e allo sbando priva di ogni risorsa, senza alcuna guida per arrivare in porto. Analisi retorica V. 2-3 et -et anafora derivante dal polisindeto che caratterizza le prime due terzine. Potente negli stessi versi anche l’enjabement. V. 4 Mi danno guerra metafora per dire mi angosciano. V. 8 sarei....fora è perifrasi V. 12-14 ancora polisindeto. con tante note si pietose et scorte, et tutta notte par che m'accompagne, et mi rammente la mia dura sorte: ch'altri che me non o di ch'i' mi lagne, che 'n dee non credev'io regnasse Morte. O che lieve e inganar chi s'assecura! Que' duo bei lumi assai piu che 'l sol chiari chi penso mai veder far terra oscura? Or cognosco io che mia fera ventura vuol che vivendo et lagrimando impari come nulla qua giu diletta, et dura. 317 Tranquillo porto avea mostrato Amore a la mia lunga et torbida tempesta fra gli anni de la eta matura honesta che i vicii spoglia, et vertu veste et honore. Gia traluceva a' begli occhi il mio core, et l'alta fede non piu lor molesta. Ahi Morte ria, come a schiantar se' presta il frutto de molt'anni in si poche hore! Pur vivendo veniasi ove deposto in quelle caste orecchie avrei parlando de' miei dolci pensier' l'antiqua soma; et ella avrebbe a me forse resposto qualche santa parola sospirando, cangiati i volti, et l'una et l'altra coma. 328 L'ultimo, lasso, de' miei giorni allegri, che pochi o visto in questo viver breve, giunto era, et facto 'l cor tepida neve forse presago de di tristi et negri. Qual a gia i nervi e i polsi e i pensier' egri cui domestica febbre assalir deve, tal mi sentia, non sappiend'io che leve venisse 'l fin de' miei ben' non integri. Li occhi belli, or in ciel chiari et felici del lume onde salute et vita piove, lasciando i miei qui miseri et mendici, dicean lor con faville honeste et nove: " Rimanetevi in pace, o cari amici. Qui mai piu no, ma rivedrenne altrove. " 333 Ite, rime dolenti, al duro sasso che 'l mio caro thesoro in terra asconde, ivi chiamate chi dal ciel risponde, benche 'l mortal sia in loco oscuro et basso. Ditele ch'i' son gia di viver lasso, del navigar per queste horribili onde; ma ricogliendo le sue sparte fronde, dietro le vo pur cosi passo passo, sol di lei ragionando viva et morta, anzi pur viva, et or fatta immortale, a cio che 'l mondo la conosca et ame. Piacciale al mio passar esser accorta, ch'e presso omai; siami a l'incontro, et quale ella e nel cielo a se mi tiri et chiame. 348 Da' piu belli occhi, et dal piu chiaro viso che mai splendesse, et da piu bei capelli, che facean l'oro e 'l sol parer men belli, dal piu dolce parlare et dolce riso, da le man', da le braccia che conquiso senza moversi avrian quai piu rebelli fur d'Amor mai, da' piu bei piedi snelli, da la persona fatta in paradiso, prendean vita i miei spirti: or n'a diletto il Re celeste, i Suoi alati corrieri; et io son qui rimaso ignudo et cieco. Sol un conforto a le mie pene aspetto: ch'ella, che vede tutt'i miei penseri, m'impetre grazia, ch'i' possa esser seco. I nud so oabbandonato 365 I' vo piangendo i miei passati tempi i quai posi in amar cosa mortale, senza levarmi a volo, abbiend'io l'ale, per dar forse di me non bassi exempi. Tu che vedi i miei mali indegni et empi, Re del cielo invisibile immortale, soccorri a l'alma disviata et frale, e 'l suo defecto di tua gratia adempi: si che, s'io vissi in guerra et in tempesta, mora in pace et in porto; et se la stanza fu vana, almen sia la partita honesta. A quel poco di viver che m'avanza et al morir, degni esser Tua man presta: Tu sai ben che 'n altrui non o speranza.
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