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Caos e governo del Mondo, Sintesi del corso di Storia Delle Relazioni Internazionali

Riassunto del Libro Caos e governo del mondo

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019
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dariastorri
dariastorri 🇮🇹

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Scarica Caos e governo del Mondo e più Sintesi del corso in PDF di Storia Delle Relazioni Internazionali solo su Docsity! INTRODUZIONE Nel sistema sociale del mondo moderno, è in atto un cambiamento di enormi proporzioni. Hobsbawn definisce gli anni ’70 e ’80 del ‘900 la fase conclusiva del “secolo breve”, un periodo di crisi universale o mondiale. Per lui il crollo dei regimi comunisti ha prodotto incertezza politica, instabilità, caos e guerra civile su un’area enorme del pianeta. Ancora peggio, questo crollo ha distrutto il sistema che aveva stabilizzato le relazioni internazionali negli ultimi 40 anni, e svelato la precarietà degli assetti politici interni dei singoli stati. Wallerstein dice che il 1989 segna la fine di un’era di spettacolare progresso tecnologico, e che gli sconvolgimenti del 1989 non sono altro che un proseguo dei disordini dei due decenni precedenti. A differenza di Hobsbawn, Wallerstein interpreta questo disordine come una forma di caos sistemico, provocato dal fatto che le contraddizioni del sistema capitalistico mondiale sono arrivate ad un punto in cui nessuno dei meccanismi per ristabilire il normale funzionamento può essere ancora efficace. Francis Fukuyama dichiara che con il collasso del comunismo la democrazia liberale rimane la sola aspirazione politica coerente per regioni e culture diverse all’interno del pianeta. Oggi non ci si riesce ad immaginare un futuro che non sia democratico e capitalista. Quattro controversie sul futuro dell’economia politica mondiale La prima controversi riguarda i cambiamenti negli equilibri di potere tra gli stati e in particolare se è probabile o no che emerga un nuovo stato egemonico. La seconda riguarda gli equilibri di potere tra stati e imprese, e in particolare se la globalizzazione abbia irrimediabilmente minato alle fondamenta il potere degli stati. La terza riguarda la forza dei gruppi subordinati, e in particolare se ci troviamo in piena “caduta libera” nelle condizioni di lavoro e vita. La quarta si riferisce ai cambiamenti negli equilibri di potere tra civiltà occidentali e non occidentali, e in particolare se ci stiamo avvicinando alla fine di 5 secoli di predominio occidentale nel sistema mondiale moderno. 1. La geografia del potere mondiale È in corso un ampio dibattito sull’eventualità che stia emergendo un nuovo stato egemonico mondiale e quale stato possa esserlo. Alcuni candidano gli USA, altri un’Europa unita, altri il Giappone mentre alcuni sostengono che tutti gli stati abbiano perso il potere di fronte alle organizzazioni economiche e politiche sovranazionali. La valutazione che oggi si dà del potere mondiale degli stati uniti varia notevolmente. Non esiste alcun accordo su chi, se non gli stati uniti, abbia l’autorità, l’influenza, il denaro necessario a sostenere quel tipo di pressione in grado di produrre risultati positivi. Sebbene fosse stato pronosticato l’inizio di una nuova sfida economica con l’integrazione del mercato comune europeo nel 1993, La situazione era negativa. L’Europa era costretta a dover affrontare enormi problemi economici strutturali, la disoccupazione giovanile, i costi sempre crescenti necessari a sostenere una popolazione sempre più vecchia, la tempistica dell’Unione monetaria. È poco chiara anche la valutazione del potere giapponese a livello mondiale. L’influenza giapponese nella politica mondiale sembra aver raggiunto il culmine poco prima del collasso dell’URSS, sulla scia della drastica rivalutazione dello Yen nei confronti del dollaro statunitense messo a punto dal gruppo dei sette G7 all’incontro del Plaza del 1985. Le banche giapponesi arrivarono a dominare le classifiche internazionali sui volumi di investimenti e gli investitori istituzionali giapponesi dettavo il passo nel mercato dei titoli del tesoro statunitensi. Questo presenza giapponese, insieme all’acquisto di proprietà americana di grande valore simbolico fece sorgere negli Usa paura per l’eventualità che le decisioni riguardanti il futuro sarebbero state prese a Tokyo e non a New York o Washington. Tuttavia i giapponesi avevano esercitato poco controllo sulle loro acquisizioni americane e avevano subito una perdita di molti miliardi di dollari nella maggior parte dei loro investimenti. Alla fine del 1990 i prezzi della borsa di Tokyo e la crisi del Golfo resero manifesta la sua debolezza politica. Il Giappone sembrava una potenza economica di prima classe ma un’entità politica di terza categoria. Alcuni studiosi sostengono che il potere di tutti gli stati stia declinando sotto l’impatto della sempre più intensa integrazione economica ed è perciò difficile identificare uno stato forte nel periodo successivo alla guerra fredda. 2. Il potere degli stati contro il potere del capitale Lo stato nazione come unità economica ha fatto il suo tempo, a causa della comparsa di un sistema di imprese transnazionali che non nutrono alcun sentimento di fedeltà nazionale né si sentono a casa propria in alcuno Stato. Coloro che sostengono la tesi della globalizzazione ritengono implicitamente che nessuno Stato o gruppo di Stati abbia davvero vinto la guerra fredda, individuando piuttosto i vincitori come i detentori di capitali mobili senza vincoli di fedeltà verso alcuno stato. La tesi della globalizzazione è stata criticata anche nelle sue versioni meno estreme. Alcuni critici fanno notare che gli Stati hanno partecipato attivamente al processo di integrazione e di deregolamentazione dei mercati finanziari, prima segmentati su scala nazionale e regolati da una disciplina pubblica. Poiché il supporto e l’incoraggiamento dello Stato hanno avuto un ruolo indispensabile nel processo di globalizzazione, si pensa che gli Stati abbiano il potere di invertire il processo, se solo decidessero di farlo. La globalizzazione può aver acquistato uno slancio tale da rendere la sua reversibilità impossibile o indesiderabile a causa dei costi che implicherebbe. Non c’è accordo su quanto la globalizzazione limiti l’azione dello Stato, alcuni ritengono che abbia portato un rafforzamento del potere degli USA poiché si è riscontrata una crescente diffusione della cultura popolare americana, e un’importanza maggiore delle agenzie della governance mondiale (FMI, BM, NATO...). Si sta sviluppando anche una nuova dottrina giuridica nelle transazioni commerciali internazionali, dominata dagli studi legali statunitensi e dalle concezioni anglo americane del diritto commerciale. Mentre Wallerstein sostiene che la relazione tra Stato e capitale sia rimasta la stessa attraverso tutta la storia del capitalismo altri ritengono che le trasformazioni che vanno sotto il nome di globalizzazione abbiano la loro origine nel secolo XIX. Importanti furono le innovazioni per la comunicazione, telegrafi, satelliti e computer, strumenti diversi rispetto alle navi a vela del passato. Ci si chiede se l’attuale tendenza verso una economia di mercato mondiale non regolato sia davvero inarrestabile. Confrontando l’epoca attuale con quella di un secolo fa, il finanziere George Soros valuta più stabile di quella attuale quella del gold standard e di una potenza imperiale, la Gran Bretagna, pronta a spedire eserciti in ogni angolo del globo per mantenere la stabilità del sistema. Oggi invece gli Stati Uniti sono riluttanti ad impegnarsi nel ruolo di poliziotti del mondo. Non c’è la volontà politica e i meccanismi necessari alla conservazione della società. 3. I gruppi subordinati La crescente mobilità geografica del capitale a provocato una caduta dei salari e delle condizioni di lavoro, nella misura in cui lavoratori di tutto il globo vengono messi in concorrenza tra loro nell’ambito di un unico mercato del lavoro. La minaccia della fuga di capitali è reale e possibile ovunque, perciò il risultato è un generale declino nella capacità dei lavoratori di proteggere e sostenere i propri interessi. Negli ultimi anni c’è stata una generale inversione di tendenza rispetto al trend secolare di ampliamento dei diritti che iniziò all’inizio del secolo XIX. Per Tilly gli stati hanno acquistato maggiore capacità di intervento e di perseguire efficaci politiche sociali, mentre nel presente con il declino dello stato anche i diritti dei lavoratori stanno declinando. Tilly sostiene che l’attuale indebolimento degli Stati minacci non solo diritti dei lavoratori, ma tutti diritti democratici nel loro complesso. Le nuove strutture transnazionali non sono dotate di una spiccata sensibilità democratica. La sfida di ridare i meccanismi democratici nel nuovo mondo può essere raccolta solo organizzando movimenti democratici transnazionali. La tesi di Tilly è stata contestata da diversi punti di vista. Alcuni hanno sostenuto che l’attuale organizzazione dell’economia internazionale sia un risultato scaturito dalle negoziazioni e conflitti politici, piuttosto che una forza indipendente. Altri hanno discusso il legame causale tra l’indebolimento degli stati e indebolimento dei gruppi subordinati, mettendo in dubbio una qualsiasi novità qualitativa riferita al periodo storico in cui viviamo. Per esempio lo storico Zolberg ritiene che il cambiamento avvenuto dopo gli anni 70 da un regime internazionale Labor friendly a un regime Labor unfriendly, sia dovuto all’indebolimento strutturale della stessa classe operaia con l’avvento della società post industriale. C’è un generale accordo sul fatto che la forza lavoro si sia indebolita. La questione se la globalizzazione stia o no togliendo forza ai gruppi subordinati diventa ancor più controversa appena allarghiamo il nostro orizzonte aldilà dei ricchi paesi occidentali. La creazione di un unico mercato del lavoro mondiale sto portando crescenti pressioni per riconoscimento dei diritti dei lavoratori nell’ambito dei negoziati internazionali; Wallerstein sostiene che l’allargamento dei diritti dei cittadini e dei lavoratori a partire dal secolo XIX sia stato edificato sull’esclusione della maggioranza della popolazione mondiale da quegli stessi diritti e benefici. per descrivere il fatto che uno Stato dominante guida il sistema in una direzione voluta, e che sia opinione comune che facendo ciò persegue un interesse generale. La leadership, perciò, provoca un’inflazione del potere dello Stato dominante, la caratteristica principale dell’egemonia mondiali. Si distingue tra funzioni distributive e funzioni collettive del potere. Le funzioni distributive del potere si riferiscono a una relazione a somma zero in cui un attore può acquistare potere solo se altri attori ne perdono. Le funzioni collettive del potere, al contrario, si riferiscono a una relazione a somma positiva, in cui la cooperazione tra diversi attori incrementa il loro potere nei confronti di terzi o della natura. I gruppi dominanti dello Stato hanno sviluppato la capacità di guidare il sistema nella direzione di nuove forme di cooperazione e divisione del lavoro interstatale, che mettano in grado le unità del sistema di liberarsi dalla tendenza dei singoli Stati di perseguire il proprio interesse nazionale riguardo i problemi che hanno bisogno di soluzioni di sistema. Inoltre le soluzioni a livello di sistema degli aspiranti stati egemonici devono riguardare problemi di sistema che sono diventati così acuti da creare nei confronti dei gruppi dominanti ancora esistenti oppure di quelli emergenti una diffusa domanda di governance sistemica. Il modello di transizione egemonica descrive un ciclo egemonico in cui il cambiamento sistemico è endogeno. Le espansioni sistemiche sono inserite in una particolare struttura egemonica che tendono a erodere. Sono il risultato dell’interazione tra i due differenti tipi di leadership che, presi insieme, definiscono le situazioni egemoniche. La riorganizzazione sistemica promuove l’espansione adottando il sistema di una divisione del lavoro e di una specializzazione delle funzioni più ampie. L’emulazione fornisce ai singoli Stati la spinta motivazionale necessaria a mobilitare risorse ed energie nell’espansione. In una prima fase l’emulazione ha luogo in un contesto che è principalmente cooperativo e quindi agisce come motore dell’espansione. Col tempo questo incremento nel volume nella densità dinamica del sistema tende a intensificare la competizione tra le unità del sistema stesso e lo stato egemonico subisce una deflazione di potere, perciò si ha una crisi egemonica. Le crisi egemoniche sono caratterizzate da tre processi distinti ma correlati: l’intensificazione della competizione tra Stati e della competizione tra imprese, l’aumento dei conflitti sociali, l’emergere di nuove configurazioni del potere. In tutte e tre le crisi egemoniche i tre processi si sono mossi di pari passo con un modello che noi consideriamo come la più evidente manifestazione della natura capitalistica del sistema mondiale moderno. Crisi egemoniche ed espansioni finanziarie Le espansioni finanziarie su scala sistemica sono il risultato di due tendenze complementari: una sovra accumulazione di capitale e un’intensa competizione interstatale per il capitale mobile. Questo periodico riproporsi di espansioni finanziarie nel sistema capitalistico mondiale, fin dalle sue origini nelle città stato italiane, fu notato per la prima volta da Fernand Braudel. Le sue espansioni finanziarie sono sempre avvenute in congiunzione con un’intensificazione della competizione interstatale per il capitale mobile. Da una parte le organizzazioni capitalistiche e i singoli individui rispondono a un’accumulazione di capitale superiore a quanto può essere reinvestito con profitto nei canali tradizionali mantenendo in forma liquida una crescente proporzione delle proprie disponibilità finanziarie. Questa tendenza crea una massa sovrabbondante che può essere immobilizzata, direttamente o tramite intermediari, in speculazioni e attività creditizie. Dall’altra parte le organizzazioni territoriali reagiscono ai più stretti vincoli di budget che derivano dal rallentamento dell’espansione del commercio e della produzione intensificando la reciproca competizione per il capitale che si accumula nei mercati finanziari. Questa tendenza determina redistribuzione di reddito e ricchezza a livello dell’intero sistema. Tutte le espansioni finanziarie a livello di sistema passate e presenti sono il risultato dello sviluppo di queste due tendenze complementari. Infatti, in ogni espansione finanziaria, nessuna esclusa, il capitalismo mondiale è stato radicalmente riorganizzato sotto una nuova leadership. Le espansioni finanziarie hanno un impatto contraddittorio su questa evoluzione. Da una parte la tengono sotto controllo aumentando temporaneamente il potere dello Stato egemonico in declino. Sono i momenti in cui il paese guida di una grande fase di espansione del commercio della produzione che sta giungendo al termine coglie il frutto della propria leadership, sotto forma di un accesso privilegiato alla liquidità che si concentra nei mercati finanziari mondiali. Dall’altra parte le espansioni finanziarie irrobustiscono queste stesse forze, ampliando e approfondendo la dimensione della competizione tra Stati e tra imprese, e riallocando il capitale verso strutture emergenti che promettono maggior sicurezza o più alti ritorni economici. Il crollo egemonico è il punto di svolta decisivo delle transizioni egemoniche. È il momento in cui nell’organizzazione sistemica insorge un caos sistemico, ma è anche il momento in cui si creano nuove egemonie. Può svilupparsi una nuova egemonia solo se la crescente disorganizzazione è accompagnata dall’emergere di un nuovo blocco di attori governativi e imprenditoriali dotato di maggiori capacità organizzative, a livello di sistema, di quanto non lo fosse il precedente blocco egemonico. L’incremento del volume e della densità dinamica del sistema ad un certo punto supera le capacità organizzative del particolare blocco egemonico che aveva creato le condizioni dell’espansione sistemica. Ogni ciclo differisce dal precedente in due aspetti fondamentali: la maggior concentrazione di capacità organizzative esercitato dal nuovo Stato egemonico rispetto al suo predecessore, e il maggior volume e la più alta densità dinamica del sistema che è stato riorganizzato. Si tratta di uno schema ricorrente e anche in evoluzione. CAPITOLO 1 GEOPOLITICA E ALTA FINANZA Il sistema moderno di stati sovrani è stato istituito sotto la guida delle Province Unite, che non erano esattamente uno stato nazionale. Si trattava di un’organizzazione a sovranità limitata, ancora in lotta per un riconoscimento giuridico della propria condizione di stato, più simile alle città stato italiane che ai nascenti stati dell’Europa. Dopo la pace di Vestfalia sorsero gli stati nazionali XIX secolo si trasforma in un sistema di dominio globale con a capo la Gran Bretagna, una sorta di organizzazione imperiale che stringeva nelle proprie mani territori di tutti il mondo l’industrializzazione rivoluziona le forme della guerra e della costruzione dello stato, creando le condizioni per la nascita di stati di dimensioni continentali come USA, URSS, facendo sì che lo stato europeo venisse considerato “troppo piccolo”. In entrambe le transizioni del passato, gli attori governativi erano più potenti dei loro predecessori, non solo da un punto di vista militare, ma anche finanziario. Avevano un controllo maggiore sugli strumenti efficaci per l’esercizio della violenza su scala globale, e sui mezzi di pagamento universalmente accettati. Molte delle difficoltà che si incontrano oggi nel stabilire la configurazione del potere nell’economia politica dopo la disintegrazione della guerra fredda, sono dovute al fatto che per la storia l’attuale crisi egemonica si trova ancora ad uno stato iniziale. In buona parte le difficoltà sono legate alla fissione del potere militare e finanziario. Il controllo sugli strumenti efficaci per l’esercizio della violenza su scala globale si è concentrato ancora di più, mentre i metodi di pagamenti universali sono sempre più nelle mani di imprese operanti su scala transnazionale o di istituzione governative di nessun peso politico militare. DALL’EGEMONIA OLANDESE A QUELLA BRITANNICA L’egemonia olandese e l‘equilibrio di potere in Europa L’egemonia olandese è stata un fondamentale apripista per la creazione del sistema moderno di stati sovrani; in primo luogo la pista è stata aperta dimostrando i limiti del potere coercitivo della Spagna imperiale. Reintroducendo la picca, esercitazioni sistematiche e unità d’azione di piccole dimensioni, gli olandesi poterono schierare un esercito disciplinato ed efficace, capace di sconfiggere quello spagnolo anche se più numeroso. In verità l’esercito spagnolo fu solo temporaneamente e localmente neutralizzato, le innovazioni e le tecniche olandesi non devono essere eccessivamente esagerate. La grandezza e ricchezza dell’impero spagnolo si basava principalmente sul controllo monopolistico delle risorse extraeuropee (argento sud America). Gli olandesi riuscirono proprio nel loro intento perché fin da subito combatterono la propria lotta sui mari; attaccarono i traffici marittimi della Spagna, e simultaneamente rafforzarono il proprio controllo monopolistico su provviste necessarie per la guerra, grano del Baltico e legname. Le introduzioni di soluzioni high tech, misero gli olandesi nella posizione di avere cantieri navali superiori a qualsiasi altra potenza e di produrre in tempi minori. La supremazia sul mare degli olandesi non era importante solo perché minava la potenza spagnola, ma anche perché imponeva e riproduceva un controllo monopolistico anche nel Baltico. Il controllo sul Baltico era una fonte di sovrabbondante liquidità, causa principale del vantaggio competitivo nella lotta di potere europea. La rimuneratività del commercio olandese era dovuta soprattutto a due circostanze: 1. Più intensa era la lotta per mare, più ampia era la richiesta di grano e materiali per la costruzione navale che provenivano dal Baltico, perciò maggiori i profitti per gli olandesi 2. Propensione degli olandesi a conservare in forma liquida i grandi profitti del commercio baltico, e a usare la liquidità per stroncare la competizione nel Baltico e trasformare Amsterdam nel centro commerciale e finanziario dell’economia – mondo europea. Il successo di Amsterdam replicava in modo più ampio quello delle città – stato italiane come Genova, Venezia. Molti sostengono che sia difficile ritenere le Province Unite uno stato (Braudel), l’interesse di questa esperienza risiede proprio nel fatto che essa si colloca tra due fasi successive dell’egemonia economica: da una parte la città, dall’altra gli stati moderni e le economie nazionali con il primato inziale di Londra. Infatti nel XVII secolo il semplice peso economico era sufficiente perché una struttura politica che era più di una città stato, ma meno di uno stato nazionale, occupasse una posizione di comando. Tuttavia per il tardo XVIII secolo solo gli stati nazionali a vocazione imperiale erano in corsa per l’egemonia mondiale La sola questione aperta su chi avrebbe prevalso tra Francia (vocazione continentale) e Inghilterra (vocazione marittima) viene chiusa con la sconfitta di Napoleone. Con la pace di Vienna 1815 vengono del tutto cancellate dal mappamondo l’Olanda e le città italiane del passato. La metamorfosi del sistema egemone olandese viene diviso in 4 fasi 1. TARDO XVII SECOLO: le Province Unite perdono l’ultimo potere e diventano un partner militare minore della Gran Bretagna, che stava emergendo come potenza atlantica egemone. 2. Progressiva diminuzione dei conflitti interstatali in Europa alla fine della Guerra di Secessione spagnola (1701-1713) 3. Nuova escalation della lotta di potere interstatale in Europa ed espansione dei commerci oltremare Le Province Unite rappresentarono la posta in gioco principale tra Inghilterra e Francia. Schierate a fianco degli inglesi, ottennero il ruolo di finanziatori della Gran Bretagna, soprattutto nella Guerra dei Sette anni per finanziare le spese contro la Francia. La vittoria degli inglesi a Plassey nel 1757 diede il via al massiccio trasferimento di ricchezze dall’India, capitali che furono necessari per ricomprare il debito con l’Olanda. L’Inghilterra era ora libera da debiti, ma questo fece sì che il denaro olandese perdesse di importanza nella finanza, il settore più remunerativo. Gli olandesi iniziarono a sottoscrivere prestiti con clienti meno affidabili, come i francesi. Inoltre gli inglesi avevano sempre meno interesse a mantenere la posizione di intermediario dell’Olanda, cercando di trasformare Londra nell’unico centro. Interregno L’egemonia inglese si affermò solo dopo un ultimo scontro tra Francia e Inghilterra, la quarta fase della transizione. Nel 1776 la rivoluzione americana, seguita a proteste contro il controllo inglese sulle merci e alle tasse, fu un pretesto per la Francia per intervenire. Alleatasi con la Spagna ferma la Guerra di corsa inglese, ciò fece pendere l’ago della bilancia verso i coloni. Il risultato che venne alla Francia fu l’acquisizione di alcuni territori, Indie Occidentali (luogo strategico) anche se perse Santa Lucia. Ma la Guerra lasciò la Francia in una condizione di dissesto finanziario, tra le cause scatenanti della rivoluzione nel 1789. La battaglia di Trafalgar 1805 pose fine alle sfide della Francia, i blocchi continentali venivano danneggiati dallo sganciamento dal mercato extraeuropeo. L’economia britannica invece trovò oltremare le sue fortune. La transizione verso l’egemonia britannica fu completata. DALL’EGEMONIA BRITANNICA A QUELLA STATUNITENSE Le fondamenta imperiali e industriali dell’egemonia britannica La pace di Vienna portò un fenomeno inedito in Europa, un periodo di pace dal 1815 al 1914 chiamato Pax Britannica. Tuttavia la Gran Bretagna combatté per tutto il secolo battaglie in Asia. Polanyi sostiene che la costruzione della pace si basava sull’equilibrio di potere, unendo le unità più deboli per bilanciare quelle più forti. La differenza principale tra le due egemonie era il sistema: anarchico con assenza di un governo centrale in Olanda mentre un informale governo britannico del mondo europeo per l’Inghilterra. Questa doveva assicurarsi che il controllo dell’equilibrio rimanesse nelle sue mani, stabilendo che solo tramite consultazione delle grandi potenze si potesse modificare la situazione (Santa Alleanza). La Gran Bretagna poteva dare l’impressione che tutto fosse volto a un interesse generale. Restituì alcuni territori alla Francia e all’Olanda, fornendo la mappatura dei mari e del mondo. La situazione fu consolidata dall’introduzione della liberalizzazione del proprio commercio con le Corn Laws nel 1848 e i Navigation Acts nel 1849. Attraverso questa politica, la Gran Bretagna diminuì il costo della vita al suo interno, e allo stesso tempo fornì ad altri paesi i mezzi di pagamento per comprare i suoi manufatti. Inoltre condusse gran parte del mondo all’interno della sua orbita commerciale incoraggiando la cooperazione interstatale e garantendo anche bassi costi di difesa. Amsterdam e Londra giocavano il ruolo di centro di intermediazione commerciale e finanziaria. Mentre il sistema mercantile olandese fu eroso al suo inizio, il sistema mercantile britannico sopravvisse a una lunga serie di guerre. Il controllo dell’equilibrio del potere europeo e la centralità nel commercio mondiale furono due elementi reciprocamente rinforzanti a sostegno. Ingabbiava un sempre crescente numero di Stati in una divisione del lavoro, inoltre riduceva le possibilità di un conflitto come dopo Vestfalia. Il funzionamento di questo circolo virtuoso è legato a una terza differenza tra l’egemonia britannica e olandese. L’intermediazione olandese era principalmente un’intermediazione commerciale mentre l’intermediazione britannica era anche industriale, l’officina del mondo. Finché l’Olanda rimase il centro di intermediazione del commercio europeo, fu difficile per l’Inghilterra usare le proprie capacità industriali per una crescita nazionale. Le Guerre Napoleoniche costituirono un punto di svolta fondamentale: La domanda statale creò una precoce industria siderurgica, le ferrovie e le navi a vapore unificarono il pianeta in un’unica economia interagente come mai prima d’ora. Con questo sistema di trasporti e comunicazioni il commercio mondiale si espanse a un tasso senza precedenti. Questa espansione avrebbe accresciuto la competizione e le rivalità ma, nei decenni centrali del secolo, i vantaggi derivati dal legarsi al commercio di intermediazione britannico disporre del suo equipaggiamento e delle sue risorse erano troppo grandi per rinunciarci. A differenza del sistema commerciale olandese, puramente mercantile, il commercio mondiale inglese divenne un sistema integrato di trasporto meccanizzato e di produzione. Nei luoghi isolati subentra un traffico nazionale, che crea una interdipendenza delle nazioni. Era la principale organizzatrice e benefattrice di questo sistema di interdipendenze universale, con la duplice funzione di punto di smistamento centrale e di coordinamento. La Gran Bretagna rimase un predatore territorialista, ma allo stesso tempo cercò di espandersi a differenza dell’Olanda. Il saccheggio di Plassey aiutò la Gran Bretagna a ricomprarsi il debito nazionale, permettendo di affrontare le guerre napoleoniche, facilitando la crescita di sei volte della spesa pubblica inglese negli anni dal 1792 al 1815. Questo sorteggio diede inizio al processo di conquista di un impero territoriale in India, che sarebbe diventato il principale pilastro del potere mondiale inglese. Le grandi risorse demografiche dell’India rafforzarono il potere britannico da un punto di vista commerciale e militare. I lavoratori indiani vennero trasformati da competitori delle industrie tessili europee a maggiori produttori di cibo e materie prime a buon mercato per l’Europa. La manodopera indiana fu inquadrata in un esercito coloniale all’europea, utilizzato lungo tutto il 1800 nel subcontinente indiano, in Africa e in Asia orientale. Le finanze dell’impero indiano erano sfruttate a vantaggio di Londra: la moneta indiana venne svalutata, vennero imposte tasse interne. La Banca d’Inghilterra controllava le riserve indiane di valuta estera, trasformando l’India nel centro della supremazia mondiale, finanziaria e commerciale della Gran Bretagna. Ciò permise alla Gran Bretagna di appianare il proprio deficit. L’India con le riserve del suo sistema monetario costituiva uno strumento per implementare le riserve di Londra e mantenere Londra come centro del sistema monetario internazionale. L’egemonia britannica era strutturata in modo del tutto differente da quello olandese: entrambi si fondavano sul sistema di commercio mondiale che gravitava attorno al territorio metropolitano dello Stato egemonico. Tuttavia l’egemonia olandese mancava delle basi industriali e imperiali che fecero dell’Inghilterra una struttura più estesa e complessa. La pace dei 100 anni fu il prodotto di questa differenza. La transizione dall’egemonia olandese quella britannica fu un lungo processo che impiegò circa 150 anni, mentre quella dall’egemonia britannica a quella statunitense ci mise la metà del tempo. Possiamo individuare tre fasi del passaggio dalla Gran Bretagna agli stati uniti. 1. La prima fase corrisponde alla crisi sotto l’impatto della grande depressione degli anni dal 1873 al 1896. Emersero complessi militari e industriali troppo potenti perché la Gran Bretagna potesse tenerli sotto controllo. 2. La seconda fase corrisponde alla prima guerra mondiale che sgretolò le strutture dell’ordine mondiale. Il collasso del vecchio ordine si tradusse nella nascita di una nuova. 3. La terza fase corrisponde all’emergere degli stati uniti. La grande depressione degli anni 30, la seconda guerra mondiale e il consolidamento dell’unione sovietica crearono le basi per l’invenzione della guerra fredda. A partire dal 1950 la transizione fu completata. 1 L’industrializzazione della guerra e la rinascita dell’alta finanza La costruzione di navi a vapore e ferrovia fecero sì che si aprirono interi continenti al commercio di grano. Il risultato fu la grande depressione del 1873 al 1896. Il calo dei prezzi delle merci fece diminuire il rendimento del capitale, solo alla fine del secolo i prezzi cominciarono a risalire e con essi i profitti. Nel frattempo due cose erano cambiate: le basi industriali e imperiali dell’egemonia britannica erano state indebolite, la Gran Bretagna non era più l’officina del mondo, e i costi per difendere il suo impero oltremare erano cresciuti di fronte alla concorrenza dell’imperialismo di altri stati europei. La grande depressione aveva diminuito la fiducia dei governi europei nella capacità dell’economia di autoregolarsi: alle nuove espansioni vennero associati misure protezionistiche. La diffusione dell’industrialismo e l’aumento della produzione provocò una lotta per garantirsi le materie prime, e di conseguenza la spinta a esportare. Fino alla prima guerra mondiale la diffusione dell’industrialismo e del mercantilismo portarono maggior beneficio alla Gran Bretagna: la sua industria perdeva terreno ma la sua finanza no perché i suoi servizi nelle spedizioni marittime erano essenziali, oltre al sistema mondiale dei pagamenti. La sterlina era la base del commercio tra il 1870 e il 1913. L’industrializzazione di altri paesi aumentava l’importanza di avere un unico luogo di compensazione, ovvero dove si trovava la maggior concentrazione di capitali. La posizione britannica era simile a quella dell’Olanda della fase conclusiva della sua egemonia, il surplus trovò uno sbocco nell’attività di prestito e nella speculazione. In entrambe le situazioni di espansione finanziaria si annunciava la maturità dei processi di accumulazione del capitale, era il segnale dell’autunno dell’egemonia. Nel caso della Gran Bretagna fu una disintegrazione del sistema commerciale al suo inizio. L’industrializzazione della Germania emerge come l’evento più importante del cinquantennio che precede la prima guerra mondiale, più importante degli USA perché era coinvolta nell’intreccio del sistema di potenze europee; quando la marina francese si forni di navi corazzate, le navi da legno divennero obsolete, alla marina britannica non rimase che stare al gioco. Ogni progresso francese provocò contromisure inglesi e stanziamenti di denaro per la flotta. Quando le navi russe distrussero la flotta turca, Inghilterra e Francia si unirono per evitare una disintegrazione dell’impero ottomano. La guerra di Crimea 1854 1856 portò a una profonda riorganizzazione dell’industria europea degli armamenti, con l’introduzione di tecniche di produzione di massa degli arsenali. Venne introdotto il sistema di produzione americano, con macchine automatiche che lavoravano pezzi in serie. La competizione interstatale per l’approvvigionamento di armi leggere fu liberata dai vincoli della produzione artigianale. Un altro aspetto fu l’inserimento nella corsa agli armamenti di imprese private di grosse dimensioni. Per il 1890 la promozione di artiglieria pesante per lo Stato era stata affidata alle imprese private; vennero utilizzati nuovi metodi e nuovi materiali, leader di questa riorganizzazione furono due imprese britanniche. La grande rivolta in India e i progressi della Francia nella costruzione di navi corazzate aumentarono la domanda britannica di armi, aprendosi successivamente a una clientela più diversificata, Giappone, Cina, Cile, Argentina. La guerra dimostrò che le tecnologie delle navi a vapore avevano aumentato il potere delle potenze navali più che terrestri. Poiché le potenze terrestri avevano meno libertà d’azione si incominciò a creare una rete ferroviaria nazionale. La Gran Bretagna come unica officina del mondo, era la sola che poteva trarre vantaggio dalla diffusione dell’industrializzazione in altri paesi, ottenendo in cambio cibo e materie prime. Nel frattempo però sorsero nuove potenze militari industriali. La rapida industrializzazione della Germania unificata dopo il 1870 creò le condizioni per la crescita in Europa di una potenza che poteva sfidare la supremazia britannica. Fu questo mutamento nell’equilibrio di potere a portare alla creazione della Triplice Intesa e della Triplice Alleanza. 2 La disintegrazione dell’ordine mondiale britannico Quando scoppiò lo Guerra la transizione dall’egemonia britannica a quella statunitense entrò nella sua seconda fase. La Guerra accrebbe le dimensioni dell’impero britannico oltremare, ma i costi finanziari di questo processo accelerarono la sua eclissi da parte degli USA. La crescita della spesa statale era stata un elemento essenziale per la crescita finanziaria di Londra, ma quando la Guerra scoppiò i suoi costi minarono le fondamenta della supremazia inglese. Nonostante l’uso del dollaro americano stesse aumentando, l’indebolimento delle organizzazioni finanziarie gestite da Londra non era legato alla sostituzione della moneta (anni 40 metà degli scambi erano ancora in sterline). Le due guerre mondiali avevano portato a una concentrazione quasi totale della liquidità nelle mani degli Stati Uniti. Quando questi pagarono il debito con l’Inghilterra, quando la rifornirono di materie prime, cibo e macchinari, le riserve americane cessarono di integrare le casse inglesi. Questo aveva indebolito la posizione finanziaria di Londra, contemporaneamente i capitali americani erano lasciati liberi di circolare e finanziare prestiti all’estero. Il 21 settembre 1931 la Gran Bretagna abbandona il Gold Standard, seguita da altri 21 paesi. Braudel sosteneva che ogni città che è al centro dell’economia mondo è la prima a scatenare terremoti del sistema, ma anche la prima a guarirne. Il principio di sovranità nazionale istituito a Vestfalia venne meno. Si basava sul riconoscimento reciproco degli Stati europei e sulla loro rispettiva autonomia giuridica e integrità territoriale, più un equilibrio tra gli Stati per evitare che si creasse una potenza dominante. Questo principi fu violato ma anche affermato su scala più vasta, negli Stati dei coloni, in Asia e Africa. Tuttavia durante l’era dell’industrializzazione e della crescente concentrazione del potere in poche mani, quella dottrina non aveva più significato perché non descriveva più le relazioni di potere tra i membri del sistema interstatale globale. L’inclusione di alcuni diritti nella carta delle Nazioni Unite fece sì che per la prima dopo Vestfalia l’idea di un’autorità e di un’organizzazione sovrastatale che limitava giuridicamente la sovranità di tutti gli Stati fosse possibile. Queste restrizioni non furono niente in confronto a quelle imposte da Usa e Unione Sovietica alle loro rispettive sfere di influenza. Gli Stati Uniti avevano creato un’estesa rete di basi senza precedenti, posizionato truppe in territori indipendenti. Le reti militari e finanziarie permisero agli Usa di dominare un sistema globalizzato. Semi sovranità e quasi statalità sono il risultato dei trend di lungo periodo e si materializzarono prima delle crisi degli anni 70 e 80. La Guerra del golfo del 1991 dimostrò che gli Usa non erano in grado di finanziare una guerra in pochi giorni, in quanto furono aiutati da altre nazioni. Gli Usa risultano il paese con maggiori debiti. La biforcazione del potere militare e finanziario è la vera anomalia della trasformazione odierna. La crisi finanziaria nelle egemonie passate colpiva per prima il centro in ascesa, per questo negli anni 90 si pensava che sarebbe stato il Giappone la nuova potenza egemone, in quanto Tokyo subì una crisi enorme. Ma la crisi ha implicato maggiori investimenti in Asia, dove il Giappone aveva tratto maggior profitto. Questo portò al rafforzamento di altri centri finanziari come Hong Kong, Singapore e Taiwan. I paesi che controllano la parte di liquidità maggiori non sono nemmeno stati nazionali e gli Usa rimangono i principali debitori. La dispersione delle capacità finanziarie tra più centri in competizione ha allargato il divario tra l’accumulazione del capitale e la gestione organizzata dell’espansione. La crisi finanziaria del 1997 dell’Asia orientale dimostra questo divario. CAPITOLO 2 LA TRASFORMAZIONE DELL’IMPRESA Relativamente alla trasformazione del sistema imprenditoriale dominante è riscontrabile un modello ricorrente in ciascuna transizione. Il successo delle principali imprese dello stato egemonico nel monopolizzare attività con altro valore spinge nuovi competitori a fare lo stesso. Il risultato è che monopolizzare diventa costoso è impossibile. La competizione porta al sorgere di nuovi percorsi di sviluppo che nel frattempo portano alla formazione di nuovi sistemi di impresa. I tre tipi di strutture che hanno cercato di monopolizzare l’economia sono: 1. Le società per azioni privilegiate olandesi 2. Le industrie manifatturiere inglesi 3. Le multinazionali statunitensi Ciascun tipo di impresa ha portato avanti questo tentativo in modo diverso ed è entrato in relazione con il potere dello stato in modo diverso. Le società per azioni privilegiate erano organizzazioni per metà governative e per metà private, autorizzate dai governi europei ad agire per loro conto nel mondo non europeo. Furono messe fuori gioco quando gli stati europei divennero più forti. Le società per azioni furono sostituite da agenzie governative e d’affari più specializzate. Tra queste ci furono le industrie manifatturiere del XIX secolo e le estese reti d’affari che, per loro difesa, erano ancora più dipendenti dallo stato a cui erano legate. Le industrie manifatturiere inglesi e le loro agenzie commerciali fecero meno delle società per azioni privilegiate per rafforzare il potere dello stato da cui dipendevano. Infine le multinazionali statunitensi sono ancora più dipendenti dal potere dello stato egemonico, per creare le condizioni per la loro espansione. Tuttavia la dimensione e il raggio di azione delle loro operazioni transnazionali resero la loro espansione più pericolosa di quanto fosse stata quella delle imprese olandesi e inglesi. La migrazione dei prodotti verso mercati finanziari extraterritoriali divenne il fattore principale per l’indebolimento e il crollo del sistema monetario. L’emergere di un agente governativo sempre più forte si lega all’emergere di compagnie d’affari sempre più dipendenti dallo stato egemonico ma sempre più pericolose per il suo potere. Il capitalismo delle grandi imprese di stile olandese Il capitalismo olandese si basò sulla nascita di società per azioni privilegiate, prima tra tutte la VOC fondata nel 1602. Le società e le industrie manifatturiere si differenziano in primis per un motivo: per le società i governi concedevano privilegi commerciali esclusivi in aree geografiche determinate, oltre al diritto di svolgere azioni belliche e di amministrazione ordinaria. Alla VOC era concesso un monopolio su tutto il commercio a est del Capo di Buona Speranza e a ovest dello stretto di Magellano. Potevano armare una flotta, organizzare un esercito, fare la Guerra e annetter territori. All’inizio del 1600 anche gli inglesi avevano società per azioni privilegiate, come la Compagnia delle Indie Orientali, creata due anni prima di quella olandese. Molti altri stati del Baltico o del mare del Nord. Gli olandesi crearono la WIC per limitare il risorgere della Spagna, dopo la sua bancarotta la ricostituirono nel 1674 come impresa dedita al commercio di schiavi. Fu la WIC a introdurre il commercio triangolare Atlantico, legando l’una all’altra le comunità europee, le comunità africane e le piantagioni in sud America. Le compagnie francesi non riuscirono mai ad eguagliare i risultati inglesi e olandesi ma accentarono nelle loro mani una quota sempre maggior dell’offerta di schiavi. Senza la VOC Amsterdam non sarebbe mai potuta diventare la sede della prima borsa permanente, mentre senza la WIC non ci sarebbe stato l’elemento dinamico dell’espansione industriale inglese. L’espansione di ogni sistema di imprese tende a creare condizioni che non gli permettono più di agire e alla fine viene rimpiazzato. Lo sviluppo della transizione da egemonia olandese a britannica può essere diviso in 4 fasi: 1. Fallimento della WIC nell’Atlantico di replicare la VOC nell’oceano Indiano. Questo fallimento rivelò il limite rispetto agli inglesi; 2. Crescente diversificazione delle attività delle società per azioni privilegiate 3. Crescente competizione aveva portato alla rovina delle compagnie, l’unica vincitrice fu la Compagnia delle Indie Orientali 4. Alla compagnia delle Indie Orientali furono sottratti i monopoli dalla Gran Bretagna, dell’India e della Cina. Dopo la grande rivolta nel 1857 furono sottratte alla compagnia anche le funzioni amministrative e il subcontinente indiano fu incluso nell’impero inglese. Punti di forza e di debolezza del capitalismo delle grandi imprese di stile olandese La VOC usava la violenza per stabilire i propri monopoli. La mossa chiave fu l’acquisizione di uno stretto controllo delle spezie. Le spezie avevano un ottimo mercato non solo in Europa ma anche in Oriente: se la compagnia olandese doveva essere uno dei tanti intermediari sarebbero aumentati i prezzi in Indonesia. Per evitare ciò, la compagnia doveva stabilire un vero monopolio, là dove avevano fallito i portoghesi. Usando la violenza gli olandesi occuparono Malacca, Ceylon, Malabar. La violenza olandese innalzò i margini di profitto del commercio delle spezie e simultaneamente lo accentrò nelle mani della VOC. Braudel e Weber sostenevano che espandersi in Oriente, in regioni civilizzate e con economia sviluppata era diverso da espandersi nell’Atlantico nelle Americhe, dove un’economia basata sul denaro era alle sue origini. Per questo in Occidente l’espansione fu un fallimento. Dopo qualche successo iniziale la WIC entrò in crisi e non si riprese mai più, non riprese mai i suoi successi iniziali. Presa più ad attaccare le rendite di Spagna e Portogallo, la WIC si occupò di entrambe le cose allo stesso tempo. L’aumento dei costi della colonizzazione e delle campagne militari di terra erano superiori ai profitti commerciali e ciò indebolì irrimediabilmente la posizione della WIC. Nel 1674 fu rimodellata come la VOC, il perseguimento del profitto divenne l’obiettivo principale, attraverso il commercio degli schiavi africani nell’Atlantico. Mentre nell’oceano indiano la VOC batté la concorrenza portoghese e allontano la competizione inglese, la WIC nell’Atlantico cedette ai portoghesi nell’espansione territoriale e nel commercio agli inglesi. La sconfitta degli olandesi nella battaglia per il monopolio avvenne per 3 motivi: 1. Ristretto numero di colonie di insediamento 2. Decrescente peso politico e diplomatico delle Province Unite (non mantennero l’asiento, diritto esclusivo di fornire schiavi alle colonie spagnole) 3. Affidarsi alla WIC quando era un sistema ormai obsoleto La logica strettamente capitalista dell’Olanda fece sì che non si svilupparono colonie di insediamento. Cercarono di strappare il Brasile ai portoghesi ma quando i costi superarono i profitti abbandonarono il tentativo. Il commercio olandese era ostaggio degli Stati territoriali europei. Inoltre il crescente potere di Francia e Inghilterra accrebbe le iniziative politiche contro gli olandesi. Il commercio Atlantico degli schiavi non era redditizio per le società per azioni privilegiate. Infatti era necessario costruire delle roccaforti sulla costa africana per difenderla dai concorrenti. Francia e Inghilterra diedero concessioni per il procacciamento di schiavi in breve tempo. Gli impiegati delle compagnie invece non si curavano dell’interesse della compagnia, inoltre la competizione di diversi governi tra le società per azioni privilegiate distrusse i margini di profitto. Il libero commercio vinse per questioni pratiche: i commercianti privati non dovevano commerciare in ogni caso, potevano astenersi. Gli individui potevano essere sostituiti mentre il sistema perdurava. La Compagnia delle Indie Orientali cominciò una serie di viaggi, finanziata da azionisti e da diversi investitori, ufficialmente nel 1660. I primi risultati furono l’avvio di nuove industrie e conquiste territoriali, eppure più tardi rischiò quasi di fallire quando i suoi investitori iniziarono a dubitare della sua capacità di fare affari. Inoltre nel 1698 venne fondata una compagnia rivale che cominciò ad imporsi come la compagnia principale in Asia. Vi fu uno spostamento dalle spezie ai tessuti e dall’arcipelago malese al subcontinente indiano. Il commercio di tessuti in pezza fu uno degli elementi trainanti del commercio della VOC. Ciò che rendeva veramente proficuo il commercio era il monopolio sulle spezie e l’apparato produttivo e di controllo in cui la VOC teneva tutto sotto controllo. Al contrario, per la compagnia inglese, il commercio di tessuto era solo un ripiego poiché si dovette adattare alla già presente VOC. L’estensione e la struttura decentralizzata dell’industria tessile fu un limite, per questo gli olandesi la lasciarono ad altri. Per centralizzare il processo gli inglesi crearono un sistema a contratto (dadni): impiegati delle sedi davano in anticipo denaro ai commercianti che assumevano agenti rurali per consegnare il denaro in ambito di tessuti. Il tessuto veniva selezionato e valutato e trattenute le commissioni. La compagnia inglese continuò ad avere problemi a mettere fuori gioco altre compagnie perciò fu costretta ad abbassare i prezzi e da ciò la continua precarietà della compagnia. La posizione di comando dell’Olanda si formò proprio perché venivano scelte solo le attività più redditizie. Tuttavia tale strategia lasciò alle imprese rivali ampio spazio per intervenire, sostituendosi agli olandesi pian piano. Inoltre il tutto fu aggravato dalla tendenza del capitale olandese a migrare attraverso la borsa di Amsterdam. Intorno agli anni 1730/40 il sorgere di altre compagnie mise quella olandese di fronte a una maggiore competizione, oltre ai continui attacchi nel Baltico. Tutto ciò portò la supremazia commerciale olandese al termine nel 1740. L’ascesa della Compagnia inglese delle Indie Orientali Nel XVIII le acquisizioni della Compagnia delle Indie Orientali erano ancora poche, quando l’impero Moghul in India iniziò a sgretolarsi le operazioni della compagnia iniziarono ad essere minacciate. Ma questa fu anche un’opportunità per rimpiazzare la corte Moghul. Il successo della compagnia nel battere i Moghul fu legato all’Unione di tecniche europee e manodopera locale. La concorrenza francese fu il maggior ostacolo alla supremazia inglese nella regione, una volta eliminata dopo la guerra dei Sette anni, la compagnia si insediò stabilmente nel Bengala e comincio a giocare un ruolo dominante nel sistema interstatale indiano. Un modo più complesso fu la fusione delle operazioni di un’impresa con quelle dei suoi fornitori e dei suoi clienti, assicurandosi produzione a monte e sbocchi verso il consumatore a valle. Le imprese multi unitarie che risultarono da questa fusione riuscire a ridurre costi di transazione, i rischi e le incertezze nello spostare input e output dei processi di produzione e scambio. Quando questi consistenti e continui flussi di denaro furono riutilizzati per creare delle gerarchie manageriali di medio e alto livello specializzate nel monitorare i processi lavorativi, le imprese verticali guadagnarono vantaggi rispetto a quelle non specializzate o a singole unità. La tendenza verso l’integrazione verticale e orizzontale, legata alla crescente competizione, si sviluppò in modo diverso in Gran Bretagna, Stati Uniti, Germania. Il mondo tedesco si mosse in entrambe le direzioni, creando un sistema coeso. Il paradigma tedesco era strettamente connesso alle attività governative del nuovo Reich tedesco. Quando la recessione colpì la Germania il cancelliere Bismark intervenne per evitare che le devastazioni di una competizione libera da qualsiasi vincolo distruggessero l’edificio imperiale che aveva appena creato. Per creare l’unità economica interna e un apparato militare industriale, il governo tedesco cercò l’assistenza di imprese in prima linea nell’industrializzazione di guerra allora in corso e di sei grandi banche. Le banche si volsero rapidamente verso il controllo, l’integrazione e la riorganizzazione dell’industria tedesca con la cooperazione di un piccolo numero di potenti gruppi industriali. La centralizzazione aumentò ancora, soprattutto attraverso l’integrazione orizzontale: se molte piccole e medie imprese sopravvissero, lo fecero come membri subordinati di un’economia a comando privato, controllata da un gruppo di finanzieri e industriali che agivano attraverso apparati manageriali. In Gran Bretagna c’era resistenza a separare gestione e proprietà, e ad allungare le strutture gerarchiche. Le imprese familiari rimasero dominanti, alla fine del XIX secolo ci furono molte grandi fusioni in vari settori industriali. Ma le grandi imprese che ne risultarono rimasero sotto il controllo degli originali proprietari, con conseguenze disastrose per la riuscita e l’efficacia delle integrazioni. L’intero sistema imprenditoriale britannico fu intrappolato in un modello di sviluppo che non poteva abbandonare se non a costi che superavano i benefici. Questo era il modello di un sistema economico fortemente volto verso l’esterno, che acquistava le sue materie prime da tutto il mondo e dipendeva in maniera critica dagli sbocchi esteri per uno sfruttamento redditizio della propria produzione industriale. La capacità dell’impresa di adottare il tipo di ristrutturazione che stava alla base della rapida espansione industriale tedesca e statunitense era molto limitata, altamente decentralizzata e specializzata, ereditata dalla sua precedente espansione industriale. Il vantaggio competitivo dell’industria britannica venne a consistere sempre più bella produzione di prodotti di nicchia. Il procacciamento di fornitura e sbocchi fu lasciato in modo saldo nelle mani dell’agenzia che promuovevano la formazione e finanziavano lo sviluppo di reti locali. Filare, tessere, finire il prodotto e piazzarlo divennero ambiti specializzati e separati di diverse imprese. Il sistema imprenditoriale britannico era più che mai un insieme di ditte di media grandezza altamente specializzate, tenute insieme da una complessa rete di transazioni commerciali. Il principale svantaggio di questa struttura erano i costi di transazione. Più le imprese britanniche si specializzavano localmente nella lavorazione di materie prime mondiali, più divennero dipendenti dagli agenti di commissione e dai grandi imprenditori. Il sistema imprenditoriale britannico generò al suo interno la tendenza verso l’integrazione verticale dei sotto processi di produzione e scambio che sarebbe diventata la caratteristica dell’organizzazione imprenditoriale del XX secolo. Negli stati uniti si sviluppò la tendenza verso l’integrazione verticale; inizialmente andarono verso l’integrazione orizzontale. Tuttavia queste associazioni di manifatturieri su scala nazionale negli stati uniti erano per la maggior parte falliti. Il cuore della centralizzazione del capitale divenne l’integrazione verticale. Il fatto che potessero essere trasformate in prodotti finiti dalle compagnie integrate verticalmente molto più velocemente permise loro di abbassare i costi e di incrementare la produzione per ogni singolo lavoratore e macchina. Si crearono gerarchie manageriali di medio alto livello specializzate nella funzione di controllo, gestione dei mercati e dei processi lavorativi, che permisero di ampliare i vantaggi. Il risultato fu una crescita molto rapida e una diffusione della struttura organizzativa. La crescita non fu limitata al solo mercato interno statunitense. Le compagnie statunitensi divennero compagnie multinazionali non appena ebbero completato la loro integrazione continentale. Il declino del sistema imprenditoriale britannico L’origine del ramificarsi del capitalismo familiare ottocentesco in tre direzioni distinte dopo la Grande Depressione, può essere individuata nelle diverse risposte date da Gran Bretagna, USA e Germania alle crescenti sfide competitive. GRAN BRETAGNA: La funzione di entrepôt esercitata dall’economia britannica fu il fattore che più influenzò la sua risposta. L’impresa britannica si specializzò ulteriormente nell’intermediazione finanziaria globale. GERMANIA: l’impresa tedesca, incapace di competere con quella inglese sia nella finanza che nel commercio, o nella produzione agricola con gli Stati Uniti, si mosse nella formazione di un’economia nazionale. Era un’economia altamente centralizzata, che diventò il modello di Marx del capitalismo monopolistico di stato. STATI UNITI: sfruttando le dimensioni del territorio e la natura autosufficiente dell’economia interna, si allontanò dal sistema britannico e tedesco, sviluppando industrie con integrazione verticale e gerarchie manageriali. Alcuni settori dell’impresa britannica percepirono i progressi statunitensi e tedeschi come una sfida al loro dominio economico all’interno e all’esterno. Scattò un generale allarme per l’invasione americana, legato a paure eccessive. Quando le insidie erano reali, erano limitate a industrie specifiche e le imprese britanniche le affrontarono facilmente in due modi: rilevando le nuove tecnologie attraverso l’acquisto di macchinari, come nel caso delle armi leggere e calzature, specializzandosi maggiormente nelle attività ad alto valore aggiunto, oppure appropriandosi del valore aggiunto di altri paesi all’estero attraverso investimenti all’estero. Gli elementi che riuscirono a mantenere la distanza tra l’impresa britannica e quella tedesca furono l’incapacità tedesca nella produzione industriale e la sua incapacità ad agganciarla nel valore aggiunto. La Germania doveva aumentare la produzione industriale quasi più velocemente della Gran Bretagna, per ottenere un guadagno relativamente modesto in valore aggiunto. Il capitalismo tedesco delle grandi imprese che spodestò il capitalismo familiare britannico dalla sua posizione dominante non fu quello tedesco, ma piuttosto quello degli USA. A differenza della Germania, gli USA avevano raggiunto e sorpassato la Gran Bretagna, non solo nella produzione industriale ma anche nel reddito totale e pro capite. La sovrabbondante liquidità nelle mani britanniche fu un potente strumento nella battaglia competitiva che scaturì dalla diffusione dell’industrializzazione del sistema capitalistico. Ciò che alla fine distrusse la centralità e la vitalità del capitalismo familiare britannico non fu la competizione di mercato ma lo scontro militare. La prima guerra mondiale e le sue conseguenze giocarono un ruolo decisivo nel velocizzare il crollo del sistema britannico di impresa familiare e nell’ascesa di quello americano. La distruzione del vecchio regime non basta a farne emergere uno nuovo: la Guerra distrusse la vitalità e la centralità britannica ma ci volle un’altra depressione e un’altra guerra prima che emergesse un nuovo sistema. Finché l’impresa integrata verticalmente rimase l’eccezione piuttosto che la regola nell’economia interna americana, e finché questa economia coprì solo una frazione del potere d’acquisto, l’espansione di tali imprese fu sostenuto dall’integrazione tra loro di più imprese a singole unità. La Guerra determinò una grande redistribuzione di potere d’acquisto dal resto del mondo agli Usa, fino a che rimaneva molto meno che potesse essere convogliato verso l’economia statunitense. Le grandi imprese dei settori chiave esercitavano una maggior influenza sul flusso dei beni e sui loro prezzi, attraverso i rapporti con le più piccole imprese mono funzionali. Alla fine della prima guerra mondiale l’emergente sistema americano del capitalismo delle grandi impresa poteva contare solo su se stesso, non poteva più espandersi sulla base del capitalismo industriale familiare. L’affermazione mondiale del capitalismo delle grandi imprese di stile statunitense Per adattarsi alla nuova situazione le imprese statunitensi dovettero andare in contro a una profonda riorganizzazione, caratterizzata dalla diversificazione e dalla creazione di una struttura multi divisionale, ossia una struttura integrata in diverse operazioni autonome o integrate, e in un ufficio centrale responsabile del controllo o della pianificazione del lavoro. Oltre a diversificare il prodotto e agire su diversi mercati, il capitalismo statunitense andò nella direzione di produrre clienti. Il consumismo, emerse negli anni ’20 come strumento aggressivo per la sopravvivenza dei grandi gruppi capitalistici; si dovettero inventare nuove mode per mantenere in azione fabbriche, una volta saturato il mercato originario. La pubblicità divenne la principale arma nella guerra delle imprese contro il puritanesimo del consumo. Tuttavia, se anche la pubblicità riuscì nel suo intento, fu limitata dall’accumulazione del capitale dovuta a un contesto di mercato mondiale in via di disgregazione. Mentre la produzione aumentò esponenzialmente, i salari crescevano lentamente e ne derivò una sovrapproduzione disastrosa. La Grande depressione non fermò il consumo, ma indusse le industrie americane a subappalti a fornitori esteri, rendendosi più flessibile. Ciò che tirò fuori l’industria statunitense dalla Grande depressione furono le ingenti spese statali, durante e dopo la guerra. Già prima della guerra, il NEW DEAL aveva inaugurato l’intervento del governo statunitense per creare condizioni di domanda favorevoli all’espansione della produzione di massa. Questo non riuscì ad evitare un’ulteriore crisi nel 1937, anche se probabilmente ne limitò molto gli effetti. Dopo la guerra venne istituito il cosiddetto welfare-warfare state, ovvero ingenti spese militari da parte del governo per mantenere alto il livello di occupazione e la domanda, rendendo profittevoli le innovazioni industriali degli anni ‘20/’30. Da questa base interna di aiuto del governo per incentivare lo sviluppo delle condizioni della domanda, cioè di produzione e distribuzione di massa, prese il via una nuova ondata di espansione multinazionale. Le grandi imprese americane divennero multinazionali, dopo aver completato la loro integrazione continentale. La struttura multi divisionale catturò non solo la domanda interna governativa per attrezzature scientifiche avanzate e militari, ma anche le risorse e i mercati esteri. Le grandi imprese aggiunsero qualche divisione a livello internazionale per supervisionare e coordinare le attività oltreoceano e per consigliare i manager negli investimenti; oppure affidarono alle divisioni già esistenti la produzione per l’estero, controllata dalle sedi centrali. Le dimensioni e il raggio d’azione delle aziende aumentò, rendendole più potenti sul mercato e nei confronti del governo. Il governo diede sostegno alle imprese, fornendo incentivi fiscali e sistemi assicurativi, protezione politica e militare. Nel 1948 Dulles sostenne che l’Europa non poteva essere divisa in tanti piccoli stati, doveva essere organizzata in un mercato unito per giustificare i costi di produzione di massa. Era necessario che fosse introdotta anche la Germana re industrializzata. Il governo statunitense non risparmiò denaro per creare uno spazio politico e economico grande a sufficienza da permettere al capitale statunitense di godersi una seconda espansione oltreoceano. Attraverso la NATO, fornì ulteriori incentivi per l’integrazione economica europea e per investimenti all’estero, fornendo il supporto essenziale per la formazione della CEE nel 1957. L’unificazione dell’Europa Occidentale era anche legata a una questione di sicurezza dal pericolo rappresentato dall’Unione Sovietica. Il governo statunitense non tollerava la discriminazione contro il trapianto di imprese americane in Europa. Così il capitale americano sfruttava le occasioni nuove del mercato europeo, facendo si che il capitalismo si trovasse a operare in un sistema di impresa totalmente nuovo. L’impresa multi divisionale e multinazionale divenne il modello da emulare in tutto il mondo. La doppia crisi del capitalismo delle grandi imprese di stile statunitense L’intensificazione di rivalità tra superpotenze e l’emergere di nuove sedi di potere andavano di pari passo con un aumento della concorrenza tra imprese e l’emergere di nuovi sistemi di impresa. La combinazione di queste due tendenze evidenziò i limiti del precedente sistema interstatale, creando le condizioni per la loro riorganizzazione nel quadro di una nuova egemonia. L’espansione del sistema statunitense delle multinazionali ha fatto precipitare in una crisi non solo gli Stati Uniti, ma anche le imprese stesse. La grande impresa con una struttura verticale e la separazione tra staff e linea non è più l’ultimo stadio dello sviluppo industriale, ma lo è la creazione di reti di attività economiche, reti di industrie e gruppi coordinati di lavoratori. La principale caratteristica del modello emergente è la sua informalità, in contrato con la formalità del modello precedente basato sulla regolazione del lavoro e del governo da parte delle grandi imprese. A. Marshall definì le economie esterne come le singole unità di produzione: oggi si ritiene che grazie a queste, le piccole imprese fossero in grado di sopravvivere senza sfruttare le economie interne. La Silicon Valley fu concettualizzata proprio come un piccolo distretto marshalliano: le imprese produttrici di piccoli macchinari e elettronica furono indicate come la vera fonte del vantaggio competitivo giapponese e di contro, lo svantaggio inglese fu spiegato come la mancanza di una rete simile di piccole imprese. Nel 1989 sull’Economist si scrive che le grandi imprese sono in crisi, mentre quelle piccole crescono. Sappiamo che ad ogni trasformazione del sistema di impresa dominante corrisponde una trasformazione del sistema. Il capitalismo delle grandi imprese multinazionali sorse e divenne dominante in circostanze storiche differenti rispetto a quelle che videro dominare il sistema delle società per azioni privilegiate. Queste erano organizzazioni per metà governative e per metà imprenditoriali, specializzate nello sfruttamento del monopolio. Le multinazionali invece sono organizzazioni puramente imprenditoriali che inseguono il profitto specializzandosi funzionalmente tramite le giurisdizioni dei diversi paesi. Le società per azioni dipendevano da privilegi commerciali esclusivi concessi dal governo, le multinazionali si sono riprodotte Gli schiavi delle piantagioni non erano l’unica forza lavoro sottomessa. C’erano anche marinai e scaricatori, uomini che componevano una classe marittima interraziale e internazionale composta di bianchi poveri, servitori a contratto e schiavi. Bande di reclutamento percorrevano i quartieri delle città per reclutare uomini per avventure in alto mare, da cui spesso non tornavano. • La creazione di consistenti ceti medi durante il boom economico dell’atlantico si fondò sullo sfruttamento di milioni di schiavi africani e lavoratori soggiogati. La ricchezza generata dal lavoro degli schiavi nelle terre conquistate, fornì le risorse necessarie ad abbattere qualsiasi rivolta. La prima ondata di ribellione e rivoluzione La Rivoluzione Americana fu il primo evento significativo che segnalò un cambiamento nel circolo virtuoso di espansione e coesione sociale. In sostanza le élites coloniali iniziarono a sentirsi abbastanza forti da imporre una rinegoziazione della relazione coloniale. Una crisi finanziaria e una depressione commerciale fecero sì che la ricchezza si polarizzò, indebolendo l’appoggio alle classi medie per il mantenimento dello status quo politico. La Guerra dei Sette anni fu il punto di svolta decisivo e l’inizio della transizione egemonica. Gli effetti della guerra furono sia politici che economici: aumentò l’occupazione e ci crearono delle fortune attraverso il rifornimento delle truppe britanniche in nord America. Emersero nuovi commerci per la pirateria, occupandosi di rifornimento ai nemici di merci di contrabbando. Quando la Gran Bretagna incoraggiò le colonie frammentate a unirsi in un unico sforzo militare contro la Francia, si creò una coesione senza precedenti tra le colonie, aumentando anche la loro fiducia nella capacità di autodifesa. Gli effetti della guerra furono avvertiti soprattutto al suo termine, quando il boom del commercio legato alla guerra subì un arresto: la marina inglese venne ritirata e con esso i capitali e gli affari che aveva portato. Il flusso di crediti da Londra diminuì, mentre accrebbe il controllo doganale dei contrabbandieri americani. Quando Londra cercò di trasportare parte dei suoi costi in America con lo Stamp Act 1765 e il Tea Act 1773, molti mercanti locali si sentirono tartassati e iniziarono le proteste antibritanniche. Inoltre i coloni andarono incontro a difficoltà legate alla resistenza degli indiani alla loro spinta verso Occidente; gli sforzi britannici per economizzare sull’espansione verso ovest dei coloni fecero la politica un’altra fonte di tensioni tra metropoli e coloni. La depressione economica portò alla nascita di una classe sociale di persone disperatamente povere e, insieme alla crescente insicurezza delle classi medie, ciò si riversò nel sorgere di una classe di persone favolosamente ricche. L’impatto politico della polarizzazione fu esplosivo: i ricchi mercanti sapevano che non potevano imporsi alle pretese britanniche senza mobilitare le classi inferiori. Alla fine la rivoluzione ebbe successo, tutte le parti sociali evitarono di fare appelli abolizionisti alla popolazione schiava in cambio del loro aiuto attivo (ciò che avvenne nei Caraibi e in Sudamerica). Rivoluzione in Europa Verso la fine del 1700 il centro delle rivolte si spostò dall’altra sponda dell’Atlantico. Gli europei stavano sperimentando trasformazioni e dislocazioni simili a quelle del Nord America; al tempo stesso la globalizzazione aveva fatto sì che ciò che accadde in America avesse un impatto eclatante in Europa, e viceversa. La nuova repubblica americana era percepita come un modello di democrazia e libertà in Europa. Il primo effetto sortito in Europa fu quello di far capire agli europei che vivevano in una rara epoca di cambiamenti politici. La sconfitta politica e militare della Gran Bretagna ispirò oppositori del regime nella ricerca di forme politiche alternative, mentre le classi dirigenti erano consapevoli che erano necessarie delle riforme per evitare che il contagio della democrazia rivoluzionaria si diffondesse. Per esempio la Repubblica Olandese iniziò ad essere percepita dai suoi abitanti sempre più come oppressiva, oligarchica. I patrioti olandesi rivendicarono la necessità di tornare alla vecchia repubblica, ai tempi d’oro, vedendo nella rivoluzione americana una replica della loro epopea repubblicana. Anche per la Francia la rivoluzione partì da quella americana: le rivolte furono irreversibili, con disastrose conseguenze finanziarie e importanti conseguenze ideologiche. In Europa il linguaggio rivoluzionario divenne popolare in un momento di estrema polarizzazione della ricchezza, associata a una depressione commerciale e speculazione finanziaria. Le classi medie e inferiori i sentirono sempre più schiacciate dalle classi superiori sociali e cominciarono a coltivare propositi rivoluzionari. In Olanda, la fine di Amsterdam, coincise con diffusi processi di deindustrializzazione e con una contrazione dei redditi dei lavoratori; il benessere dei lavoratori stava declinando definitivamente. Molte persone appartenenti alla classe media stavano avvertendo gli effetti del declino industriale e commerciale; in questo ambiente l’ostilità politica era diretta a capitalisti e redditieri, i quali preferivano investire il loro denaro all’estero più che aiutare l’industria e la flotta mercantile interna. Inoltre il risentimento contro l’élite finanziaria e di governo andarono di pari passo. La combinazione della polarizzazione sociale e l’alienazione politica della classe media caratterizzarono tutti i poteri egemonici in declino durante la fase declino e dell’esaurirsi del loro ruolo finanziario. La finanza non può sostenere un’ampia classe media, perché solo una piccola élite di ciascuna popolazione nazionale può condividere i profitti della borsa. FRANCIA nella campagna francese i processi di polarizzazione e finanziarizzazione presero la forma di un’offensiva dei proprietari terrieri. La speculazione sui cereali portò a carestie e paura della fame, il risultato furono rivolte contadine che condussero alla rivoluzione dirette contro i modernizzatori, piuttosto che contro i nobili tradizionali o lo stato. L’agitazione politica era sempre più diretta verso i capitalisti mercanti e finanzieri, oltre che contro la nobiltà. La rivolta, perciò, aveva una connotazione espressamente anticapitalista, intensificatasi dopo la fuga di capitali tra il 1789 e 1791, con un conseguente collasso dell’economia interna. Mentre l’Inghilterra poteva trarre redditi provenienti dal subcontinente indiano per estinguere il suo debito nazionale, la Francia fu costretta a spremere risorse dall’interno e dalle sue colonie. Inoltre l’immunità dal pagamento delle tasse del clero e della nobiltà costituirono un ostacolo alla risoluzione della crisi fiscale della monarchia, in quanto era una grossa perdita di entrate. La monarchia cercò di ridurre i privilegi, ma venne ostacolata dalla nobiltà che tuttavia si trovò a combattersi per salvare la propria pelle. Il ritorno della rivoluzione nelle Americhe e il suo diffondersi Santo Domingo e le altre colonie erano territori estremamente redditizi per la Francia e per la popolazione libera delle colonie. All’interno delle colonie si crearono forti divisioni intra elitarie, si ampliò la distinzione tra petits blancs e grands blancs, e queste tensioni portarono alla rivola di Santo Domingo. La struttura di Santo Domingo era complessa: i grands blancs erano mercanti, proprietari di piantagioni, anche se c’erano persone di colore che possedevano piantagioni e schiavi. I petits blancs tendevano a vedere di cattivo occhio i successi delle persone di colore e lottavano per fare della razza il criterio per avere potere politico. All’inizio la Rivoluzione avvicinò molto la colonia e la madrepatria, in quanto i coloni erano pronti a sostenere il terzo stato nella sua lotta e il terzo stato era ben disposto a sostenere la lotta dei coloni per la rappresentanza politica in Francia. Tuttavia i proprietari delle piantagioni e i mercanti approfittarono dell’indebolimento della presa della madrepatria, per ottenere l’esclusiva; in Francia la rabbia per la perdita dei traffici commerciali si unì alla frustrazione della crescita dei prodotti nelle città. Le richieste della Francia di riportare il contrabbando sotto controllo fecero si che aumentarono le richieste di autonomia locali. Il punto di svolta fu la questione del diritto di voto: era ristretto ai contribuenti e a chi aveva proprietà, perciò concesso anche a uomini di colore e negato a bianchi poveri. Nel 1791 l’assemblea fece passare una legge per l’estensione del voto alle persone di colore libere e nate da genitori liberi; questo scaturì una rivolta da parte dei bianchi. Temendo di perdere la propria colonia, l’assemblea ritirò il suo sostegno per attuare le leggi, ma a questo punto la popolazione di colore insorse. La mossa fatale su armare alcuni schiavi; infatti ci si rese conto che nessuna forza poteva trionfare senza il sostegno degli schiavi. Nel 1793 venne emanato un decreto per la liberazione di tutti gli schiavi, in tutte le colonie francesi, al punto che vennero mandate spedizioni per organizzare una guerra rivoluzionaria di liberazione. La forza della ribellione degli schiavi era dovuta a un aumento della popolazione africana nelle Americhe. Nelle regioni caraibiche gli schiavi costituivano la maggioranza della popolazione ma avevano anche aspirazioni proto contadine e in parte si erano organizzati in una forza lavoro disciplinata nelle piantagioni. Gli ex schiavi furono in grado di resistere a una serie di invasioni restauratrici, appoggiate da Gran Bretagna e Usa che consideravano il governo dei neri essenziale per preservare le società schiavistiche. Un esercito congiunto di neri e mulatti riuscì a resistere, diventando esempio di come potessero essere sconfitte le potenze europee. L’esempio di Haiti ispirò ribellioni in tutte le Americhe e una seconda ondata di mobilitazione in Europa. Nell’America spagnola, Simon Bolivar portò avanti una politica di emancipazione degli schiavi, scontrandosi con molti repubblicani favorevoli alla schiavitù. Negli USA invece le rivoluzioni in Francia e Haiti portarono una nuova ventata di sentimento abolizionista che condusse all’emancipazione a New York e in New Jersey. Restaurazione e consolidamento egemonico La Gran Bretagna uscì dalle guerre napoleoniche come lo stato più potente del mondo, militarmente e economicamente. Il congresso di Vienna stabilì un programma di restaurazione monarchica e coloniale, perciò anche dei regimi schiavistici. L’aiuto britannico alla repressione oltreoceano andò di pari passo con una politica di repressione sul fronte interno. La Gran Bretagna non fu immune dai processi rivoluzionari; la perdita delle colonie in Nord America era stata per un breve periodo compensata da acquisizioni in Asia. La vittoria di Haiti portò nuove riforme, come la messa al bando nel 1807 del commercio degli schiavi. A differenza della Francia, l’Unità intra elitaria rimase forte poiché il successo imperiale portò prosperità e fedeltà delle classi medie a un sistema politico non riformato. L’apparato coercitivo rimase solido e affidabile, nonostante l’insoddisfazione della popolazione. Lo status quo bellico non poté essere del tutto restaurato nelle relazioni all’interno dello stato e tra i vari stati: qualcosa era cambiato a seguito delle lotte dell’epoca rivoluzionaria. Le lotte nelle colonie mutarono la percezione stessa della libertà umana e della democrazia, dopo il 1815 le rivendicazioni dei diritti dell’uomo erano ormai assunte. Nel 1831 la mobilitazione politica in Gran Bretagna aveva di nuovo raggiunto il punto di una crisi prerivoluzionaria, in quanto i salari e le condizioni di vita dei lavoratori si erano deteriorate. Si verificarono enormi manifestazioni delle classi lavoratrici nelle miniere e nei distretti manifatturieri, nelle campagne ma anche da parte delle organizzazioni politiche che chiedevano una riforma parlamentare. Gli eventi nelle Americhe ispiravano una rinnovata attività politica riformista e radicale in Europa, che a sua volta alimentava le lotte nelle Americhe. Tra le iniziative dello stato vi furono la British Reform Bill 1832 che concedeva il voto a 1/10 della popolazione maschile, una legge di emancipazione degli schiavi e una nuova Poor Law che eliminava qualsiasi sussidio per i poveri. Tenere i poveri fuori dal potere politico cominciò a essere considerata una condizione fondamentale per il funzionamento del laissez-faire e della protezione della proprietà privata. A seguito della riforma parlamentare del 1832, la Gran Bretagna assunse nuovamente il ruolo di leader simbolico delle correnti riformiste della classe media del continente e iniziò a presentarsi come modello del modo in cui le riforme dovevano essere ottenute. La Gran Bretagna accorse a sostegno dell’indipendenza degli Stati latinoamericani e intervenne anche nelle rivolte europee. Il mito organizzativo inglese fu caratterizzato da un compromesso pacifico e riforme limitate. Il continente avrebbe emulato il modello britannico negli eventi che seguirono il 1848, anche se furono tutto tranne che pacifici. Di fronte alla rivoluzione sociale, le classi borghesi europee misero da parte le loro richieste e abbracciarono la reazione. Si formarono alleanze simbiotiche tra vecchia ricchezza terriera e nuove élites industriali. I movimenti dei lavoratori furono isolati, i poveri e tutti quanti non possedevano proprietà furono esclusi dal potere politico. L’egemonia britannica giunse a porsi come simbolo di un accresciuto ruolo politico delle classi possidenti, ma non nobili di Europa. Il suffragio universale maschile rimase la principale richiesta dei radicali, anche se la maggior parte delle riforme furono accordi tra la classe media e la vecchia élite per evitare concessioni democratiche alle emergenti classi di lavoratori. Le ex colonie, tranne Haiti, furono riconosciute come stati, ampliando il sistema di Vestfalia. La schiavitù continuò a Cuba, in Brasile, negli USA, mentre i diritti dei non occidentali furono schiacciati quando l’impero inglese costruì il suo secondo impero in Asia. Dal circolo virtuoso a quello vizioso Il 1848 può essere inteso come l’ultima tappa delle lotte che portarono alla salda affermazione dell’egemonia britannica. La netta sconfitta dei movimenti proletari nel 1848, insieme alle riforme con interessi capitalisti, creò condizioni sociali favorevoli per l’espansione del commercio e della produzione, segnando il trionfo della borghesia. L’espansione inglese fu simile a quella olandese, in quanto avvenne in un periodo di pace sociale e stabilità politica. La ricchezza generata durante le espansioni del commercio e della produzione a livello del sistema consentì lo stabilirsi di una pace intra elitaria. Nel 1700 coloni e proprietari di piantagioni accettarono il loro ruolo subordinato all’interno del blocco egemonico. Nella seconda metà del 1800 le borghesie nazionali accettarono l’egemonia della Gran Bretagna e si agganciarono al suo apparato industriale, fornendo materiali e diventando consumatori. Tutto ciò gettò le basi per la pace e la prosperità. aprirono ad uno spazio geografico maggiore, inizialmente nello spazio Atlantico poi fino a diventare una questione globale. Le relazioni tra classi sociali vennero scosse in Asia, Africa e Sud America: a volte tra classi locali, altre tra classi straniere, sostenute dal governo oligarchico locale o dal potere imperiale straniero; il risultato fu comunque una crisi di sussistenza per i contadini e una crisi di legittimità per i patti sociali su cui si basava la stabilità politica. Le più grandi fratture si verificarono nel settore agricolo. Là dove il contadino era riuscito in passato a costruirsi un insieme di risorse stabili che gli assicuravano il minimo vitale, la mobilitazione di tali oggetti come qualcosa che si poteva vendere e acquistare scosse le loro basi. La commercializzazione della terra minò l’accesso ai terreni da pascolo, alle foreste e alle terre comuni; l’occupazione da parte di forze straniere e dei coloni spinse i contadini verso terre non opportune per coltivare. La resistenza contadina fu un elemento cruciale nelle principali rivoluzioni del XIX secolo dal Messico alla Russia, Vietnam, Cina, Algeria. MESSICO L’allargamento delle ferrovie negli anni Settanta e Ottanta in Messico aprì nuove opportunità per trasformare le haciendas in imprese capitaliste orientate verso il mercato mondiale. I villaggi cominciarono a scomparire, ingoiati dalle piantagioni, i contadini autosufficienti sarebbero stati trasformati presto in lavoratori agricoli salariati. Tutto ciò portò a una destabilizzazione delle basi del consenso, creando una spaccatura nell’élite per la successione politica. RUSSIA con l’ampliamento delle ferrovie i territori russi si aprirono verso l’esterno, rendendola una delle principali fornitrici di grano. I contadini, tuttavia, incontrarono delle difficoltà quando il prezzo del frumento sul mercato mondiale si dimezzò in seguito alla Grande Depressione. Si svilupparono delle rivolte contadine; la rivolta del 1905 fu una rivolta ibrida tra contadini e operai, creando come risultato una ripercussione enorme. La notizia di queste ribellioni arrivò fino all’Asia, anche perché la Russia condivideva molte frontiere comuni. La sua estensione fisica e la multi nazionalità dell’impero fecero sì che il suo crollo si ripercuotesse su un numero ben superiore di paesi nei due continenti; una rivoluzione russa guadagnava di importanza sia per gli organizzatori del lavoro occidentali che per quelli orientali. Una profonda paura delle rivoluzioni invase le élite governative, l’intero ordine esistente nei suoi vari aspetti politici, sociali, economici, fu messo in discussione dalle masse della popolazione da una parte all’altra dell’Europa. L’impasse tra le due guerre e l’allargarsi del circolo vizioso Alla fine della prima guerra mondiale gli Stati Uniti avevano sorpassato tutti gli altri Stati in campo finanziario, industriale e militare. Alla fine della guerra sembrava che gli Stati uniti potessero condurre il mondo fuori dallo stato di caos e dal circolo vizioso di conflitto interno e internazionale. Wilson Woodrow introdusse i 14 punti e la sua indicazione per l’autodeterminazione e per un secolo dell’uomo comune. Il programma di Wilson annunciava gli elementi riformisti e di consenso nella gestione dell’ordine sostenuto dagli stati uniti che sarebbe emerso dopo la seconda guerra. Tuttavia, le forze sociali necessarie per sostenere tale programma non esistevano negli USA negli anni 20. Il congresso rifiuto di aderire alla società delle nazioni e ripudiò il programma di Wilson. Negli anni 20 furono i sostenitori di un programma restauratore i veri vincitori di quel decennio. I restauratori sostenevano che un ritorno al gold standard e al libero scambio internazionale era necessario per ristabilire il circolo virtuoso di pace interna e internazionale della metà dell’ottocento. Tuttavia i meccanismi dell’ottocento non c’erano più, il nuovo centro di ricchezza e potere non era più in grado di rimpiazzare quello britannico che assorbiva una grande fetta delle esportazioni non industriali del mondo. Inoltre i grandi paesi industriali chiusero le loro frontiere alla grande immigrazione post bellica, eliminando una delle più efficienti valvole di sfogo del sistema britannico. Nonostante le ripetute sconfitte dei movimenti proletari e socialisti, il potere delle classi lavoratrici di resistere alle politiche liberiste era molto più grande negli anni 20 di quanto non fosse stato degli anni 40 e 50 dell’Ottocento. In questo ambiente ostile, la commissione internazionale dell’oro a Ginevra cominciò a imporre politiche di aggiustamento strutturale su vari paesi al fine di promuovere la convertibilità delle loro monete nazionali. I governi furono costretti a scegliere tra una moneta nazionale forte e un miglioramento dei servizi sociali, tra la fiducia dei mercati finanziari e un appoggio delle masse, tra il rispetto dei dettati di Ginevra e il rispetto dei risultati elettorali. Negli anni 20 la restaurazione della base aurea divenne il simbolo della restaurazione mondiale; ma nel giro di uno o due anni il crollo della borsa di Wall Street rese chiaro che gli sforzi della restaurazione erano falliti. Lo sforzo di restaurare lo standard aureo ebbe effetti sociali e politici importanti: liberi mercati non erano stati costituiti anche se i liberi governi erano stati sacrificati. Le forze democratiche furono indebolite dalla ostinazione dei liberisti i quali avevano sostenuto le politiche autoritarie dei governi per tutti gli anni 20. C’era poco spazio per un’efficace protesta da parte delle vittime del sistema strutturale aggiustato poiché si credeva che l’egemonia britannica stesse producendo grandi benefici e che fosse capace di amministrare una quantità di repressione necessaria. La gran parte dei costi ricadde sugli asiatici, le cui ribellioni di metà secolo erano sistematicamente represse dal forte braccio dell’imperialismo britannico. Con il decadere dell’alta finanza e della credibilità politica l’internazionalismo fu abbandonato a favore di progetti egemonici strettamente nazionale. Il new deal, il piano sovietico quinquennale, il fascismo e il nazismo furono modi diversi di saltare dal mercato mondiale in via di disintegrazione sulla scialuppa di salvataggio dell’economia nazionale. Vennero abbandonati i principi liberisti, promossa una rapida espansione industriale per superare le crisi sociale e politiche causate dal fallimento del mercato. Tuttavia la rapida industrializzazione aumentò la spinta alla ricerca di nuovi mercati e nuove fonti per le materie prime, comportando nuove rivalità imperialiste. Anche gli Usa erano un impero continentale e si stavano espandendo facilmente in America Latina rimpiazzando la Gran Bretagna. Analogamente le potenze dell’asse si sentirono soffocate per il fatto che avevano solo piccole basi geografiche e perciò cominciarono a sfidare attivamente le altre potenze per la distribuzione dello spazio economico e politico. Con la crescita delle rivalità imperialiste, la spinta all’industrializzazione aumentò; si ripropose il circolo vizioso dell’era edoardiana ma in forma molto più ampia. Le potenze che avevano partecipato alla guerra avevano una capacità distruttiva infinitamente più grande del passato, inoltre una parte molto più grande del globo fu toccata dal conflitto sociale. Vi fu un’ondata di colonizzazione più ampia di quella verificatasi durante la transizione all’egemonia britannica. Distinguiamo 2 ondate: 1. Portò autodeterminazione nazionale e forme statuali ai coloni di estrazione europea; rafforzò la supremazia occidentale nel mondo moderno; i leader esclusero le richieste dei poveri 2. Portò autodeterminazione nazionale e forme statuali ai coloni di estrazione non occidentale; indebolì la supremazia occidentale; i leader mobilitarono le masse agitando lo spettro della rivoluzione sociale Un primo gruppo di rivolte avvenne attorno al 1905 a causa della caduta di vecchi sistemi di governo e all’incapacità di questi di resistere alla penetrazione economica dell’occidente. I principali protagonisti furono élites occidentalizzate. La vittoria militare del Giappone sulla Russia fu un evento elettrizzante per le élite coloniali in Asia. Negli anni tra le due guerre, in parte come reazione al fallimento dei movimenti nazionalisti guidati dalle élite e in parte come risposta alla Rivoluzione Russa del 1917, i leader nazionalisti allargarono le basi della resistenza contro il potere coloniale straniero attraverso l’acquisizione di un seguito di massa tra i contadini e gli operai e la costruzione di un legame leader – popolo. In India, negli anni ’20 Gandhi promosse la prima campagna nazionale di disobbedienza civile. In Cina un evento simile fu promosso quando Sun Yat Sen riorganizzò il Kuomintang dopo un’ondata di militanza dei lavoratori in Cina che lo portarono a ripensare al ruolo delle classi popolari nel movimento nazionalista. In Africa, invece, i principali movimenti nazionalisti si erano trasformati in partiti di massa combinando obiettivi nazionali e sociali, per cui serviva il sostegno dell’intera popolazione. Così i movimenti nazionali si fusero in modo stretto con le rivoluzioni sociali in Asia e Africa, fu chiaro che il successo del movimento indipendentista aveva bisogno del sostegno delle masse e dell’agitazione di esse. Tuttavia non ci si poteva garantire il sostegno delle masse senza assicurare che il cambiamento sociale sarebbe stato tra i primi posti nell’agenda politica. Il potere della mobilitazione di massa era acutizzato dal fatto che le varie colonie e semi colonie erano collegate tra loro dal rifornimento delle potenze imperiali. La seconda guerra mondiale condusse a una rapida urbanizzazione e a una grande crescita di queste enclave di export e fornì ai lavoratori locali potere di contrattazione maggiore. Negli anni 30/40 quando i movimenti dei lavoratori si unirono a quelli nazionalisti, iniziarono una serie di scioperi nei paesi periferici; l’efficacia di questi scioperi si vide nel fatto che la Gran Bretagna introdusse i sindacati e i meccanismi di conciliazione e arbitrato in tutto il suo impero. Questi accordi trilaterali fatti durante la seconda guerra mondiale furono molto più rispettati, introdussero concessioni più ampie e si espansero maggiormente da un punto di vista geografico. Con la vittoria comunista in Cina nel 1949 ci si rese conto che il problema di reprimere o scendere a patti con la sfida rivoluzionaria proveniente dal mondo non occidentale divenne centrale nelle politiche globali del nuovo potere egemonico; fino al 1949 l’attenzione fu centrata sull’Europa mentre da lì in poi divenne globale. Il New Deal alla base dell’ordine mondiale della guerra fredda Il dominio militare e finanziario degli Usa non era l’unica condizione necessaria per stabilire una nuova egemonia mondiale che ponesse fine al caos sistemico; doveva essere affrontata la sfida posta dalla crescente inquietudine sociale. Il ruolo inziale dopo il 1915 della Gran Bretagna fu quello di realizzare la restaurazione delle istituzioni politiche ed economiche del 1700, ossia della monarchia, del colonialismo e della schiavitù. Tuttavia nuove ondate di inquietudine nel 1800 resero noto che la strategia non aveva funzionato a risolvere i problemi. I tre meccanismi della riforma, repressione e diminuire del potere di contrattazione dei gruppi subalterni furono alla base dello stabilirsi dell’egemonia statunitense. La riforma fu un elemento essenziale, legato alle diverse condizioni in cui si trovarono USA e Gran Bretagna all’inizio delle loro egemonie. La riforma degli Stati Uniti fu molto influenzata dal New Deal: si credeva che solo un governo forte, benigno e tecnico potesse assicurare al popolo ordine, sicurezza e giustizia. Solo un governo interventista poteva salvaguardare stabilità economica e politica, proprio perché si riteneva che il laissez – faire avesse contribuito al caos sociale e politico degli anni di guerra e tra le due guerre. La carta della Nazioni Unite rappresentava una sorta di New Deal internazionale, introducendo il ruolo dell’organizzazione mondiale per risolvere controversie nel mondo, a cui dovevano essere concessi i mezzi per intervenire. Gli Stati Uniti sostennero la creazione di organizzazioni neutrali per affrontare problemi politici e sociali, tra cui i più evidenti quello tra lavoro e capitale e quello delle rivolte anti imperialiste nelle colonie. 1. L’accordo capitale lavoro impose da parte dell’impresa e del governo l’accettazione dell’esistenza del sindacato, mentre i sindacati accettavano il diritto del management di introdurre cambiamenti continui nell’organizzazione della produzione ai fini della produttività. Nei decenni post bellici gli USA cercarono attivamente di generalizzare il contratto sociale basato sul consumo di massa promuovendo una politica keynesiana, la pianificazione economica, l’integrazione economica regionale e i movimenti sindacalisti non comunisti. Il KEYNESISMO era una via di mezzo tra il laissez – faire e la pianificazione centralizzata, anche se non poteva avere successo senza il cambiamento delle strutture economiche internazionali. Le istituzioni economiche sponsorizzate dagli USA erano i laborfriendly, ovvero si basavano sul dovere e diritto di proteggere i lavoratori, le imprese e le loro monete dalle forze di mercato senza vincolo. Con gli accordi di Bretton Woods si decise che gli stati potevano usare la politica monetaria per ridurre le pressioni inflazionistiche e la tendenza alla disoccupazione. Allo stesso tempo gli incontri del GATT misero in piedi un sistema di negoziati per promuovere la graduale liberalizzazione del commercio nel tempo. Coloro i quali si rifiutavano di aderire ai parametri del nuovo sistema egemone andavano in contro a una forte repressione, mentre i sindacati che si adeguavano ottenevano grandi benefici. L’ondata di investimenti statunitensi in Europa negli anni 50 e 60, combinati alla risposta europea alla sfida americana, promossero la diffusione di tecniche di produzione fordiste in Europa Occidentale; ne risultò un indebolimento dei movimenti operai. Il processo di repressione, cooptazione e ristrutturazione vinse la sfida all’anticapitalismo; l’incorporazione dei lavoratori è analoga a quella degli artigiani sotto l’egemonia britannica. L’egemonia statunitense si è fondata sullo sforzo di ottenere il consenso di uno strato sociale più basso, raggiungendo il cuore delle classi operaie con promesse di consumo di massa. 2. L’egemonia americana dovette affrontare presto le richieste di indipendenza del mondo non occidentale. Le vittorie in Cina e India eliminarono l’idea di poter limitare le riforme ai paesi centrali del sistema asiatico. Il presidente Truman individuò nell’attuazione del Fair Deal la risposta: far in modo che i benefici dei progressi tecnologici e scientifici dell’occidente siano messi al servizio delle aree sottosviluppate, creando un programma di sviluppo equo. La promessa egemonica fu proprio che tutti i paesi del mondo potessero raggiungere il sogno americano; ciascun paese doveva passare attraverso alcuni stadi prima di arrivare al consumo di massa. La decolonizzazione e lo sviluppo divennero i due pilastri principali del messaggio egemonico al terzo mondo. Cina, passando direttamente attraverso le Filippine. Il commercio principale fu quello dell’argento: l’argento transitava da Manila verso la Cina, consolidando il progressivo passaggio della Cina al silver standard e a sostenere l’espansione economica della tarda epoca Ming. L’intrusione europea guidata dalle forze spagnole nel XVI secolo colpì il funzionamento ma non le strutture dell’economia asiatica. L’ondata olandese del XVII secolo avviò la disarticolazione delle strutture. Gli olandesi infatti facevano uso di una tecnologia militare più avanzata, aderendo a una logica espansionista che dava la priorità al profitto e al commercio. Di conseguenza guadagnarono il controllo quasi esclusivo sulla fornitura delle spezie ma anche sui territori strategici dell’arcipelago indonesiano. La comparsa in Asia meridionale degli olandesi e dei concorrenti francesi inglesi introdussero nuove comunità di mercanti. I mercanti europei rimasero legati alla comunità e all’organizzazione locale, che li guidarono nelle vie del commercio indigeno. La compagnia commerciale creata dalla VOC era solo un’appendice del sistema mondo imperniato sulla Cina. Ciò nonostante, si aprirono delle linee di frattura nell’economia mondo dell’Asia meridionale e orientale. Questi crocevia commerciali si crearono in seguito all’espansione dell’economia mondo dell’Asia orientale e meridionale nel XIII e XIV secolo e in seguito all’ascesa di Malacca e di altri porti commerciali nel XV secolo. Questi porti trassero vantaggio dal fatto che non erano incorporati in formazioni politiche troppo potenti, erano città quasi autonome: ma la loro forza fu anche la loro debolezza. La disarticolazione della super economia mondo asiatica L’intrusione europea guidata dall’ondata britannica del XVIII secolo trasferì l’epicentro della sua crescita nel cuore dell’economia mondo dell’Asia meridionale. La crescita rimase interstiziale, infatti ebbe scarso controllo sul gigantesco apparato produttivo del subcontinente indiano e, almeno fino alla battaglia di Plassey, anche sull’impero Moghul. La storia di questa duplice conquista dell’India, allo stesso tempo politica ed economica, può essere interpretata anche dal punto di vista dello scontro tra civiltà che provocò la conquista britannica. L’intrusione fu principalmente commerciale. Il dominio britannico nel subcontinente indiano si costituì attraverso una serie di guerre che rappresentarono la manifestazione della coercizione britannica. Da un punto di vista europeo la Gran Bretagna poteva dirsi poco entusiasta di queste guerre, in quanto aveva lavorato attivamente per stabilire la pace, riducendo il suo esercito all’osso. Questo ridimensionamento avvenne nel contesto di quello che Polanyi definì “il trionfo di un pacifismo pragmatico” in Europa; solamente nel subcontinente indiano combatté 10 guerre. Se consideriamo l’Asia e l’Africa nel loro complesso ci furono ben 72 campagne militari britanniche distinte tra il 1837 e il 1900. La Gran Bretagna poté intraprendere tutte queste guerre e ridurre la spesa militare e il personale in patria proprio perché deteneva il controllo dell’esercito all’europea più grande in Asia, costituito prevalentemente da indiani. L’India era letteralmente una caserma militare inglese nei mari orientali, dalla quale si potevano attingere soldati senza doverli pagare. Questo esercito non era solo strumentale al controllo dell’India ma anche per promuovere gli interessi britannici in tutto il mondo; questo esercito, infatti, venne inviato in Cina, Africa contro i boeri, Persia. Le compagnie europee entrarono in contatto con una struttura politica frammentata in Asia, dove la Compagnia delle Indie Orientali divenne alla fine dominante. In Cina, al contrario, gli europei dovettero rapportarsi non solo con una struttura politica consolidata, ma con una struttura politica la cui grandezza, ricchezza e potenza non aveva uguali in Europa ed era ammirata dalla maggior parte degli europei. Il contrasto più impressionante rispetto agli stati europei fu sicuramente l’estensione geografica della Cina e il numero dei suoi abitanti, oltre al fatto che era governata da un credo morale piuttosto che dalla violenza. I visitatori e i residenti europei in Cina riscontrarono un contrasto tra i conflitti sociali e le incessanti guerre in Europa e la pace dell’impero Qing, tanto da ammirare e vedere come punto di riferimento questa potenza. Tuttavia, considerando la stagnazione del sapere scientifico cinese rispetto a quello europeo rivalutarono la loro ammirazione, anche se fu proprio la stabilità del governo cinese a fare sì che rimanessero indietro nell’arte della guerra e nelle conoscenze scientifiche ad essa legate. Ciò che offuscò e distrusse l’immagine della Cina fu la supremazia dell’Europa nell’arte della guerra e nel commercio. La civilizzazione come abilità nell’arte criminale La nuova visione della Cina come antitesi allo stato egemonico europeo portò a uno scontro di civiltà che culminò nelle guerre dell’oppio del 1839-1842 e 1856-1858. Furono combattute soprattutto per stabilire se dovesse prevalere la concezione del diritto britannico o cinese, dell’amministrazione e dell’etica. In America si era diffusa l’opinione che fosse corretto muovere guerra contro a Cina in quanto voleva commerciare mantenendo ruoli di sudditanza e non in termini di reciprocità. Tuttavia il commercio e la diplomazia non erano di certo gli unici terreni di conflitto: il problema era se l‘economia asiatica avesse dovuto continuare ad avere come suo centro la Cina o se avesse dovuto subordinarsi al centro britannico. L’oppio fu il solo prodotto commerciale con cui la Gran Bretagna riuscì a fare breccia nel mercato cinese e con cui poteva spodestare la Cina da centro del commercio in Asia. La vendita dell’oppio non era solo una questione strettamente commerciale: le vendite di oppio indiano rifornivano di liquidità l’India, la quale con tributi riforniva facilmente la Gran Bretagna; a sua volta l’Inghilterra consumando the cinese contribuiva ad aumentare le richieste di oppio indiano. L’espansione del commercio tra India e Cina era essenziale per trasferire denaro dal Bengala all’Inghilterra senza perderne per la svalutazione del cambio. Prima dei bandi imperiali il commercio dell’oppio era regolato dal SISTEMA CANTON, un sistema che autorizzava gli stranieri a commerciare con la Cina solo attraverso la mediazione delle Co-hong, corporazioni di mercanti di Hong. Il rapido incremento di consumo di oppio indusse i bandi imperiali a proibire ulteriori importazioni; tuttavia ciò fece sì che iniziò il contrabbando dell’oppio da parte di mercanti privati incoraggiata dalla Compagnia delle Indie Orientali. Nel 1813 fu abrogato il monopolio in India per il commercio di Oppio, inducendo gli inglesi a raddoppiare i loro sforzi per incoraggiare il contrabbando. Il governo cinese non poteva semplicemente arrendersi alle richieste della Gran Bretagna poiché le ripercussioni del commercio dell’oppio erano tanto dannose per la Cina quanto vantaggiose per gli inglesi. L’effetto del commercio dell’oppio fu disastroso: tossicodipendenti, funzionari corrotti e un massiccio drenaggio dell’argento cinese verso l’India. Nel 1838 venne emanato un editto imperiale per eliminare e distruggere questo commercio, chiedendo di promuovere altre forme di commercio in alternativa al traffico illegale. Fallendo nel tentativo di persuadere l’impero britannico, il viceré Lin procedette confiscando e distruggendo l’oppio contrabbandato. Il parlamento inglese giudicò la distruzione dei carichi d’oppio un atto grave, un insulto alla giutizia. Evidentemente vigevano due concezioni di diritto differenti: mentre per la Cina le leggi potevano essere stabilite e applicate solo in patria, il diritto britannico affermava di poter stabilire e applicare leggi anche in Cina. L’abilità superiore nell’arte criminale della Gran Bretagna gli diede la forza di superare la Cina che, non avendo difese contro le navi a vapore inglesi, fu costretta ad aprire i suoi porti al traffico di oppio, non per scelta morale ma per sopravvivere e non essere distrutta. L’incorporazione subordinata degli imperi asiatici Il trattato di Nanchino del 1842 fu decisivo nelle relazioni Oriente Occidente: comportò la cessione di Hong Kong ai britannici, il pagamento di un’indennità, la presenza della flotta a Nanchino per fare rispettare il trattato. Il trattato che in precedenza venne stipulato nel 1838 tra Gran Bretagna e Impero Ottomano fu molto più tollerante, proibendo i monopoli commerciali, istituendo equità tra i mercanti, permettendo agli stranieri di risiedere nei territori ottomani. Questo perché era un luogo strategico per diminuire le mire espansionistiche di Francia e Russia; la Cina invece era per l’Inghilterra solo un acquirente di oppio importante per facilitare le operazioni fiscali tra India e Gran Bretagna. Mentre l’Impero Ottomano era diventato troppo debole per soddisfare gli interessi britannici, quello cinese era diventato troppo forte. La dinastia cinese si indebolì ulteriormente e, non potendo resistere alle richieste occidentali, fu inclusa in ulteriori trattati con USA, Francia, pretendendo gli stessi privilegi inglesi. Dopo la guerra di Crimea per difendere l’integrità dell’impero Ottomano, gli Inglesi scatenarono una seconda guerra dell’oppio, occupando Pechino nel 1860. La dinastia Qing stava affrontando moti insurrezionali e la sua capacità di difesa era ancora minore: il Trattato di Tianjin e quello di Pechino allargarono il sistema di porti convenzionati aggiungendone nove, introdussero una nuova indennità, ridussero le tariffe doganali al 5% ad valorem, riconobbero agli stranieri l’immunità dal diritto cinese e la possibilità di muoversi liberamente all’interno della Cina. Poiché la Gran Bretagna aveva introdotto un trattato iniquo, quando la dinastia Qing si trovò in difficoltà gli inglesi intervennero contro la rivolta dei Taiping. Occidentalismo come minaccia dell’Occidente Il cambiamento della politica britannica nei confronti dei governi centrali dell’Impero Ottomano e della Cina si verificò quando i governi furono minacciati da ribellioni interne che puntavano in qualche modo all’occidentalizzazione. La rivolta dei Taiping (1850-1864) fu una rivolta che aveva più le caratteristiche della rivoluzione sociale: i Taiping volevano scalzare gli elementi tradizionali della società cinese, come la burocrazia, gli intellettuali, i proprietari terrieri e l’etica confuciana. Questo movimento ebbe origine nella regione de Guangzhou, guidata da Hong Xiu-quan, raggiunse Nanchino, che divenne la capitale, fino a conquistare diversi territori centrali e meridionali. La loro organizzazione richiamava una forma proto comunista, legata a credenze cristiane combinate con quelle cinesi, un amalgama unico di pratiche occidentali e orientali. La logica britannica fu quella di annientare queste ribellioni, appoggiando la restaurazione dei Qing per non perdere i privilegi acquistati; preferirono relazionarsi con le strutture frammentarie dell’ancien regime piuttosto che con le forze nazionaliste e occidentaliste che stavano nascendo. L’obiettivo non fu quello di creare una condizione favorevole per rapporti commerciali reciproci, ma quello di imporre alla Cina e al mondo non occidentale una condizione di vassallaggio politico in contrapposizione con le idee occidentali di uguaglianza internazionali. Le basi di civilizzazione della rivolta antioccidentale in Asia Una contraddizione tra i metodi occidentali applicati al modo non occidentale e le idee di diritto e libertà occidentali si riscontrò anche nelle relazioni tra classi e gruppi dominanti. In India, i paladini delle riforme democratiche in patria divennero sostenitori di leggi coercitive; le istituzioni democratiche della Gran Bretagna non furono mai applicate in India, dove governarono strutture coercitive come la polizia, l’esercito, con caratteristiche speciali. Analogamente l’esercito era un valido aiuto per la repressione delle frequenti sommosse e per la coercizione dei proprietari terrieri, la distinzione liberale tra potere militare e civile era inesistente. Il ruolo della polizia non era solo relegato al mantenimento dell’ordine e della giustizia al fine di garantire il rispetto della legge, ma poteva anche correggere o aggirare processi giudiziari, velocizzando le pene: questo perché non c’era distinzione tra funzione politica e controllo del crimine. Le campagne contro la delinquenza portarono alla criminalizzazione di tribù e comunità, come i Tribes Act del 1871 che trasformarono un milione e mezzo di persone in delinquenti. Il governo dell’India era totalmente a favore di Londra e della difesa dei suoi interessi. Il governo coercitivo però si fondava anche su una base di consenso, creata attraverso un corpo conoscitivo del passato e del retaggio indiano, finalizzato a dimostrare l’adeguatezza dell’India alle istituzioni inglesi e della Gran Bretagna a governare l’India. Il fatto che l’India fosse costituita da numerose culture e religioni veniva usata come scusante per non imporre le riforme liberali e democratiche occidentali. Inoltre il governo inglese si era presentato come un successore delle tradizioni politiche passate, adottando sfarzi e riti della corte Moghul. La durata e la forza del potere centrale dipendeva da come venivano gestite le tensioni tra civiltà indigene; pertanto in un ambito importante come quello del gettito finanziario, il controllo era nelle mani di organizzazioni private presenti nei mercati e nelle regioni agricole. Per percepirlo chi governava doveva coinvolgere la autorità locali e fissare il proprio potere tra gli schieramenti. Il potere di redigere leggi era limitato dai precetti religiosi e dai costumi; economia e cultura univano leggi e ordinamenti attraverso una fitta rete di scambi che collegavano i mercati tra loro. Le lingue e i codici etici stabilivano le basi morali del sistema; per il contadino, come per i gruppi subalterni e le altre classi della società indiana, lo sfruttamento in quanto tale non era ingiusto. Era inevitabile che qualcuno governasse e qualcuno pregasse, che qualcuno possedesse la terra e che altri lavorassero, l’importante era che tutti avessero accesso alle risorse disponibili per sopravvivere. Il dominio britannico non riuscì a fare suo questo sistema, disgregò gli stili di vita consolidati, perseguendo obiettivi contrari ai principi morali della civiltà indiana. L’introduzione del sistema produttivo dello super sfruttamento e la continua espulsione della manodopera indiana portò gli indiani verso la miseria e la povertà, distruggendo ogni organizzazione sociale passata. Il nuovo dominatore apparve come un cane affetto da rabbia, impazzito: le insurrezioni dell’India britannica erano spesso comandate da élite locali e raggiunsero il loro apice con la Grande Rivolta del 1857. La rivolta del 1857 indusse i britannici a rintrodurre le istituzioni politiche e sociali indigene, restituendo parte del potere e dell’autonomia ai notabili terrieri e ai governanti di piccoli stati nativi. Ci si accorse che il dominio britannico si scontrò per lo più con gli interessi delle classi inferiori che di quelle dominanti: la Gran Bretagna trasformò le classi dirigenti in alleati per estendere il controllo alle classi subalterne ma ciò ebbe scarso effetto. Proprio perché c’era scarsa fedeltà e mancanza di legittimità del dominio inglese, i movimenti nazionalisti riuscirono a mobilitare un massiccio sostegno popolare contro l’occidente. I sudditi continuarono a premere il regime coloniale affinché concedesse la loro amministrazione con i loro ideali. Le idee di Gandhi contro l’industrialismo furono abbandonate da Nehru, che vide l’industrializzazione moderna necessaria per raggiungere i paesi Occidentali. con la conquista della Manciuria. Per quanto riguarda la relazione tra il movimento e la politica internazionale, l’influenza maggiore era quella esercitata della Rivoluzione Russa del 1917. Il marxismo – leninismo sovietico ritenne più importante riportare in auge il KMT di Sun più che sostenere negli anni 1920 il PCC di Mao. L’ideologia del KMT si basava sul nazionalismo, diritti del popolo e benessere del popolo; tuttavia riuscì solo a tenere in pugno i signori della guerra, finché l’URSS non creò un fronte unito con il PCC. Alla morte di Sun passò a capo del KMT Chang Kai Shek, che ruppe l’alleanza con il PCC: nel 1927 cacciò i comunisti cinesi dal governo, decimò i sindacati guidati dal Partito comunista. Tuttavia, prima di eliminare definitivamente il KMT, il PCC dovette diventare espressione delle forze rivoluzionarie. Ovviamente non poteva essere condotta una rivoluzione come quella russa, i centri del potere erano troppo disgregati; il partito d’avanguardia doveva essere maestro e allievo e governare per gli interessi del popolo (precetto della tradizione confuciana). Le regioni costiere erano un luogo troppo pericoloso da cui minacciare la dominazione straniera e il KMT, occorreva gettare le proprie radici nelle aree più povere e remote del paese. Il partito armato formò le classi contadine fino a trasformarle in una forza rivoluzionaria; teneva strette circa 100 milioni di persone ed era pronoto alla guerra civile col KMT. Quando il PCC sconfisse sia il KMT che il Giappone, agli occidentali si presentò una sfida differente. Con l’intensificarsi della competizione, che derivò dai notevoli progressi con cui la Cina assimilò l’ideologia rivoluzionaria occidentale, era lo stesso Giappone a fallire. Ciò lasciò la nuova potenza asiatica a confrontarsi con la potenza egemone occidentale nella lotta per l’Asia orientale. E dopo le egemonie occidentali? Huntington afferma che la Guerra fredda non fu altro che un’altra guerra civile occidentale, tra comunismo sovietico e americanismo. La vittoria degli USA ha determinato una centralizzazione quasi assoluta del potenziale bellico globale nelle sue mani e dei suoi alleati, accrescendo il potere dell’occidente capitalistico. Alcuni elementi suggeriscono che questo potere stia diminuendo: la sconfitta in Vietnam degli Usa e in Afghanistan della Russia. Le sconfitte furono anche sociopolitiche, in quanto non c’era legittimità negli obiettivi delle due superpotenze in guerra nella comunità mondiale, non solo tra i cittadini. Il fatto che le due superpotenze si alternarono nel trarre vantaggio dimostrò che il loro potere congiunto e la loro influenza diminuirono ad ogni scontro. Un altro elemento fu l’inasprimento dei vincoli economici sulla libertà di azione delle due potenze; in realtà fu principalmente sul terreno finanziario che gli Usa vinsero. L’ascesa dell’Asia Orientale come centro dinamico di accumulazione mondiale sono legate alle difficoltà degli Stati Uniti a rafforzare l’ordine mondiale in Asia. L’occupazione del Giappone e la divisione della Corea in due parti, crearono un regime statunitense verticale, simile al sistema degli stati tributari, anche se l’orientamento americano fu molto più militarizzato del precedente cinese. Incoraggiò una specializzazione funzionale tra gli stati, creò un apparato militare industriale le cui dimensioni e caratteristiche tecnologiche erano superiori al passato. Mentre gli Usa si specializzarono nel fornire la difesa, gli stati sudditi si concentrarono sul commercio. Questa divisione è stata fondamentale nel delineare le relazioni tra Giappone e Usa dalla guerra fredda fino ad oggi. L’espansione economica giapponese generò un processo a valanga di investimenti alla ricerca di manodopera, sostituendosi gradualmente agli Usa come principale forza trainante dell’espansione asiatica. La sconfitta in Vietnam invece, aveva costretto gli Usa a rimettere nei normali rapporti commerciali e diplomatici la Cina, integrandola nell’espansione. Allo stesso tempo il Giappone trasformò la sua relazione di sudditanza in una relazione di mutua sudditanza: gli Usa avevano bisogno della finanza e dell’industria giapponese, mentre il Giappone aveva bisogno della difesa militare. La rincorporazione della Cina riportò in gioco uno stato con dimensioni, risorse, manodopera che sorpassava tutti gli altri stati, Usa compresi. Anche se la manodopera è stato l’elemento che ha attirato maggiori capitali, il mediatore che ha facilitato l’unione del capitale estero e la manodopera cinese è stata la diaspora capitalista oltremare. Circa l’80% del capitale proviene da cinesi rifugiati oltremare, che ora investono e finanziano Pechino per la sua modernizzazione. In questo modo il Partito Comunista è riuscito a rafforzare l’economia nazionale e a promuovere l’unificazione nazionale. Sotto il regime statunitense degli anni della guerra fredda, il tradizionale ruolo della diaspora come intermediario commerciale tra la Cina e le regioni marittime circostanti era impedito sia dall’embargo, sia dalle restrizioni della Cina al commercio interno e con l’estero. Quando queste restrizioni vennero ridotte, la diaspora cinese si presentò come il punto di forza in grado di riunificare l’economia della regione asiatica orientale. L’attuale ascesa dell’Asia orientale come il più dinamico centro di accumulazione su scala mondiale può essere considerata come un segno che il lungo processo di ingerenza e dominio occidentale in Asia ha quasi chiuso il suo giro. Le contraddizioni della presente egemonia statunitense sono la dipendenza del potere e della ricchezza da un percorso di sviluppo caratterizzato da una costosa spesa difensiva e da elevati costi produttivi, da insostenibili e dispendiosi modelli di consumo di massa. Non solo le guerre in Vietnam e in Corea rivelarono i limiti del potere effettivo del sistema del welfare – warfare statunitense. La struttura asiatica e la tensione a bassi costi difensivi ha creato un vantaggio decisivo nella competizione con gli americani. La rinascita è stata caratterizzata anche da una differenziazione nella struttura: agli Usa è stato lasciato il controllo degli armamenti, al Giappone e alla diaspora cinese il controllo della maggior parte del denaro e alla Repubblica popolare cinese il controllo della grande maggioranza della manodopera. Questa divisione impedisce a qualsiasi stato nella regione di diventare egemonico. Inoltre il processo di espansione economica e integrazione è aperto a tutto il mondo, in parte per la natura dei commerci interstiziale, in parte per reti informali, in parte alla dipendenza dell’Asia da altre regioni per la tecnologia e le materie prime. I forti legami che la collegano con il resto del mondo sono un buon auspicio per un’espansione futura, sempre che l’Asia Orientale non sia logorata da conflitti interni, da una cattiva amministrazione o dalla resistenza degli Stati Uniti a perdere potere. CONCLUSIONI La globalizzazione del sistema mondiale moderno è avvenuta in seguito a una serie di fratture nei modelli stabiliti di governo, di accumulazione e di coesione sociale, nel corso dei quali si ha avuto la decadenza di un ordine egemonico, mentre un nuovo ordine emergeva negli interstizi fino a diventare egemone. La tesi di Arrighi e degli altri autori è che, a partire dal 1970, stiamo vivendo in uno di questi periodi, come testimoniano le difficoltà nel concordare una direzione e un significato delle trasformazioni in corso nell’economia politica. Analizzando i modelli passati si possono riscontrare delle ricorrenze che aiutano a meglio comprendere la natura e le probabili conseguenze delle trasformazioni. Introduciamo 5 enunciati. La combinazione spazio – temporale delle circostanze in cui si è verificata una crisi sono mutate di transizione in transizione, però la crisi è sempre stata caratterizzata da forti espansioni finanziarie. Questa espansione si basa su una massiccia redistribuzione dei redditi dovuta alla competizione tra stati per il capitale mobile. La potenza egemone in declino era in grado di volgere a proprio favore questo aspetto, acquisendo potere: per l’Olanda fu un processo lungo, mentre per la Gran Bretagna fu molto più rapido e significativo. In ogni caso dopo 30/40 anni si sono concluse con un crollo totale dell’ordine egemonico. Diversamente dalle espansioni passate, quella attuale non si è ancora conclusa con il crollo dell’ordine egemonico, ma si può ritenere che segua la scia di quelle passate. In primo luogo l’espansione finanziaria si basa su fondamenta sempre più precarie, si sta verificando l’ascesa di politici populisti, la massiccia redistribuzione del reddito e delle ricchezze sta raggiungendo il suo limite. E poiché la redistribuzione della ricchezza non può essere più sostenuta economicamente, socialmente e politicamente; l’espansione finanziaria è destinata a finire. La facilità con cui gli Usa hanno mobilitato risorse contro l’URSS ha fatto pensare a un ritorno della forza americana ma, anche sostenendo che stia vivendo un nuovo periodo di prosperità, il potere attuale sarebbe molto diverso da quello passato. Il potere a partire dagli anni ’80 si basa sulla capacità di battere gli altri stati sul piano finanziario. Tuttavia le dimensioni della reflazione del potere statunitense sono discutibili: l’espansione degli Usa e la contrazione del Giappone non hanno impedito lo spostamento dell’economia verso l’Asia. Le crisi finanziarie in Asia degli anni 90 non sono una prova della loro debolezza ma, come nelle egemonie passate, le crisi si sono avvertite prima nei centri finanziari in ascesa. Il processo di concentrazione in un numero sempre più ristretto di mani delle risorse sistemiche fa sì che la maggior parte degli stati perda la sovranità effettiva che precedentemente era stata garantita da una redistribuzione delle risorse sistemiche più equilibrata. Nel corso dell’egemonia americana questo processo di accentramento si è ampliato dopo la sconfitta dell’URSS, trasformando però gli Stati Uniti nella più grande nazione debitrice. Mentre nel passato le principali rivalità erano intra europee, ora che si è creata un’integrazione economica europea e un’alleanza militare con gli Usa, il rischio di sfociare in una guerra aperta come nel passato è molto basso. Finita la minaccia sovietica, era difficile per la NATO trovare una nuova missione da vendere ai suoi elettori come degna delle loro tasse pagate. I moventi della NATO non erano stati di difesa, ma economici: oltre alla produzione di armi, si potevano imbrigliare paesi come Romania, Bulgaria che chiedevano un ingresso nella NATO per poter accedere all’Unione Europea. In breve l’attuale crisi, a differenza di quelle passate, ha concentrato nelle mani della potenza in declino il potere militare: la potenza egemone in declino si trova nell’anomala situazione di poter fronteggiare una guerra, ma di non avere i mezzi finanziari per risolvere problemi a livello del sistema. L’altro elemento è lo sviluppo di città – stato come salvadanai del capitalismo mondiale. Si può pensare che la crisi attuale non culmini in una guerra fra gli elementi più potenti e che non abbia una predisposizione a evitare un caos sistemico di nuovo tipo. Lo sviluppo di società multinazionali è stata promossa dal governo degli Usa e dagli alleati europei, ma a ritmi sempre più crescenti ciò ha indebolito il potere degli stati da cui dipendono le società per la loro protezione e sopravvivenza. Le eccezioni principali sono le città – stato e gli stati semi sovrani dell’Asia orientale, che sono diventati ricchi sotto lo scudo protettivo del regime militare unilaterale degli USA nella regione. Sono più organizzazioni di affari che governi, intrattengono relazioni informali con i territori circostanti; sono due le reti commerciali che agiscono in reciproca competizione e cooperazione: le imprese a gestione familiare dei cinesi oltremare, le multinazionali giapponesi. L’integrazione economica meno istituzionalizzata ha accresciuto le disparità di ricchezza. I tentativi degli USA di creare una rete più istituzionalizzata hanno avuto un esito esiguo, le industrie tecnologiche americane hanno avuto miglioramento nell’economia ma difficilmente saranno l’elemento che tiene la porta aperta in Asia, è più probabile che fungano al contrario per aprire Washington all’Asia. La differenza sostanziale è che gli stati che attualmente accrescono il loro potere non sono leader nell’organizzazione interna e nella conduzione di guerre. La leadership è invisibile, agisce dietro le quinte come nel passato le città – stato.
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