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Caos e Governo del Mondo, Arrighi, Silver, Sintesi del corso di Relazioni Internazionali

riassunto del libro per l'esame di relazioni internazionali con il Professor Colombo, UNIMI

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017
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eleonora.ballerini94 🇮🇹

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Scarica Caos e Governo del Mondo, Arrighi, Silver e più Sintesi del corso in PDF di Relazioni Internazionali solo su Docsity! CAOS E GOVERNO NEL MONDO Giovanni Arrighi, Beverly J. Silver Introduzione Nel sistema sociale del mondo moderno è in atto un cambiamento di enormi proporzioni. Eric J. Hobsbawn definisce gli anni settanta e ottanta del Novecento come un periodo di crisi universale o mondiale. Secondo la sua analisi, il crollo dei regimi comunisti ha prodotto incertezza politica, instabilità, caos e guerra civile su un’area enorme del pianeta e, allo stesso tempo, ha anche distrutto il sistema che aveva stabilizzato le relazioni internazionali negli ultimi quarant’anni e messo a nudo la precarietà degli assetti politici interni dei singoli stati, che si basavano su quella stabilita internazionale. Immanuel Wallerstein ha dichiarato che il 1989 segna la fine di un’era politico-culturale, in cui gli slogan della Rivoluzione francese rivelavano un0ineludibile verità storica, che si sarebbe realizzata adesso o nell’immediato futuro. In questo senso, la crisi attuale segna anche la fine del sistema mondiale modero così come venne alla luce nel corso del “lungo” sedicesimo secolo. Il proposito di questo libro è quello di dissipare un po’ della “nebbia globale” che ci circonda, investigando le dinamiche del cambiamento sistemico in due precedenti periodi di trasformazione del mondo moderno. Se, come si sostiene, quella attuale è un’epoca di declino e di crisi dell’egemonia mondiale statunitense, allora essa condivide importanti analogie con i due precedenti periodi di transizione dell’egemonia mondiale- da quella olandese e quella britannica del XVIII secolo e da quella britannica a quella statunitense nell’ultimo scorcio del XIX secolo e l’inizio del XX. Queste due transizioni ci aiuteranno a far luce sulle dinamiche delle attuali trasformazioni confrontando le loro somiglianze e differenze. Quattro controversie fra loro collegate inquadrano questa ricerca. La prima riguarda i cambiamenti negli equilibri di potere tra gli stati, e in particolare se è probabile o no che emerga un nuovo stato egemonico. La seconda riguarda gli equilibri di potere tra stati e imprese, e in particolare se la “globalizzazione” abbia minato alle fondamenta il potere degli stati. La terza riguarda la forza dei gruppi subordinati, e in particolare se ci troviamo in piena “caduta libera” nelle condizioni di lavoro e di vita. La quarta si riferisce ai cambiamenti negli equilibri di potere tra civiltà occidentali e non occidentali, e in particolare se ci stiamo avvicinando alla fine di cinque secoli di predominio occidentale nel sistema mondiale moderno. Prima controversia: la geografia del potere mondiale E’ in corso un ampio e incerto dibattito: sta emergendo un nuovo stato egemonico mondiale? Quale stato potrebbe giocare tale ruolo? I candidati proposti da diversi studiosi includono gli Stati Uniti, un’Europa unita e il Giappone, mentre altri affermano che tutti gli stati hanno perso potere di fronte alle organizzazioni economiche e politiche sovranazionali. La valutazione del potere mondiale degli Stati uniti varia notevolmente. Un commentatore trionfalista sostiene che non esista che un’unica potenza di prima grandezza, mentre un funzionario del dipartimenti du stati degli Stati Uniti obietta dicendo che “non abbiamo l’autorità, l’influenza, e il denaro necessario a sostenere quel tipo di pressione in grado di produrre risultati positivi in un lasso di tempo ragionevole”. Lester Thurow (economista politico) pronosticò che l’integrazione del mercato europeo, il 1° gennaio 1993, avrebbe segnato l’inizio di una nuova sfida economica e che l’Europa Unita avrebbe anche dettato le regole del commercio mondiale. Passato il gennaio 1993, il giornalista martin Jacques scrisse sul “Sunday Times” un articolo, nel quel descriveva l’Europa come un “continente in declino che deve adattarsi a una posizione meno preminente”. Infatti, quattro anni dopo, questo processo di integrazione economica europea sembrava generare le più tristi visioni: portò problemi strutturali quali la disoccupazione giovanile al 20% e i costi sempre crescenti necessari a sostenere una popolazione sempre più vecchia. Poco chiara è anche la valutazione del potere giapponese. Infatti, la sua influenza nella politica mondiale sembra aver raggiunto l’apice poco prima del collasso dell’URSS, sulla scia della drastica rivalutazione dello yen nei confronti del dollaro statunitense messa a punto dal G7 del 1985. Tale rivalutazione portò a un’ascesa apparentemente irresistibile del denaro giapponese nei mercati finanziari e immobiliari di tutto il mondo. Le banche giapponesi arrivarono a dominare le classifiche internazionali sui volumi di investimenti, e gli investitori istituzionali giapponesi dettavano il passo nel mercato dei titoli del tesoro statunitense. Sorgevano così “fosche preoccupazioni” negli Stati Uniti, destinate a rivelarsi poco veritiere nel breve volgere di sette anni. Infatti, i giapponesi avevano esercitato poco controllo sulle loro acquisizioni e avevano subito una perdita di molti miliardi di dollari nella maggior parte dei loro investimenti (prezzi borsa di Tokyo crollarono, -55% del valore). Caos e governo del mondo - 27 Seconda controversia: il potere degli stati contro il potere del capitale A riaprire il dibattito sulla relazione tra stati e capitalismo è stata la dichiarazione di Charles Kindleberger: “lo stato-nazione ha fatto il suo tempo a causa della comparsa di un sistema di imprese transnazionali che non nutrono alcun sentimento di fedeltà nazionale, né si sentono a casa propria in alcuno stato”. Circa vent’anni dopo tale affermazione, si iniziò a parlare di “globalizzazione”, ovvero la tesi di una generale sottrazione di potere agli stati da parte di forze economiche sovranazionali. L’aumento di operazioni all’estero da parte delle società multinazionali ha dato inizio a un processo di espansione e integrazione finanziaria su scala globale che ha acquistato uno slancio autonomo. Per tornare alla nostra prima controversia, coloro che sostengono la tesi della globalizzazione ritengono implicitamente che nessuno stato o gruppo di stati abbia davvero vinto la guerra fredda, individuando piuttosto i vincitori nei detentori di capitali mobili senza vincoli di fedeltà verso alcuno stato. Molti criticano l’idea che questo incremento costituisca uno sviluppo qualitativamente nuovo o irreversibile nei rapporti tra stato e capitale. Alcuni critici hanno invece fatto notare come, poiché gli stati hanno attivamente partecipato al processo di integrazione e deregolamentazione dei mercati finanziari, essi abbiano il potere di invertire il processo, se solo decidessero di farlo. Senza dubbio, anche se trae origine dall’azione dello stato, la globalizzazione può aver acquistato tale slancio da renderne la reversibilità da parte degli stati impossibile, o indesiderabile a causa dei costi che implicherebbe. In ogni caso, non c’è accordo sulla misura in cui il processo di globalizzazione limiti realmente l’azione dello stato. Alcuni studiosi interpretano questo processo come l’espressione di un ulteriore rafforzamento degli Stati Uniti. Le prove che si portano a sostegno di questa tesi sono l’egemonia globale della cultura popolare statunitense e la crescente importanza di agenzie della governance mondiale, quali il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la NATO, il G7, il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e la WTO. La tesi per cui la globalizzazione sottrarrebbe potere agli stati è stata messa in discussione anche dai critici che si concentrano sugli aspetti di lungo termine del fenomeno. Wallerstein 8sociologo ed economista statunitense) sostiene che la relazione fondamentale tra stato e capitale sia rimasta la stessa attraverso tutta la storia del capitalismo, con le imprese transnazionali, che strutturalmente mantengono oggi la stessa posizione nei confronti degli stati, di quanto facessero la imprese globali che le precedettero. Più comune è la tesi di Hirst (sociologo e teorico politico) e Thompson (professore di politica economica), secondo cui le trasformazioni che vanno sotto il nome di “globalizzazione” abbiano la loro origine nel XIX secolo dicendo che “di fatto, la differenza tra un’economia internazionale in cui l’informazione commerciale viaggiava su navi a vela e una in cui è trasmessa dall’elettricità non è così decisiva come si potrebbe pensare. I commentatori ogni tanto dimenticano che l’economia mondiale aperta di oggi non è una novità”. Robert Zevin conclude che “ogni descrizione disponibile dei mercati finanziari nel tardo XIX secolo e nel primo XX secolo suggerisce che essi erano più integrati di quanto lo fossero mai stati prima, o di quanto lo sarebbero stati dopo di allora”. Queste analogie tra l’attuale periodo di globalizzazione e il periodo a cavallo tra XIX e XX secolo hanno portato qualcuno a chiedersi se l’attuale tendenza verso un’economia di mercato mondiale non regolata sia davvero inarrestabile. Questa domanda è stata sollevata dal finanziere di origine ungherese George Soros. Confrontando l’epoca attuale di trionfante laissez-faire con quella simun secolo fa, Soros valuta la precedente più stabile di quella attuale, a causa del gold-standard e di una potenza imperiale (la Gran Bretagna) pronta a spedire cannoniere in ogni angolo del globo pur di mantenere la stabilità del sistema. Oggi, al contrario, gli Stati Uniti sono riluttanti a impegnarsi nel ruolo di poliziotti del mondo, e “le più importanti valute fluttuano e si scontrano l’una contro l’altra come placche continentali”, rendendo il collasso dell’attuale regime molto più probabile. “La nostra società aperta globale manca delle istituzioni e dei meccanismi necessari alla propria conservazione, ma non c’è la volontà politica per farli nascere… Per come stanno le cose, non ci vuole , molta immaginazione per capire che la società aperta globale, oggi così diffusa, si dimostrerà probabilmente un fenomeno passeggero”. Terza controversia: gli stati, il capitale e il potere dei gruppi subordinati all’interno della società Un tema centrale della letteratura sulla globalizzazione è che la crescente volatilità e mobilità geografica del capitale abbiano provocato una “caduta libera” dei salari e delle condizioni di lavoro; ciò rende la minaccia della “fuga di capitali” ovunque realistica e seducente. Charles Tilly (sociologo, politologo e storico statunitense) enfatizza il ruolo intermedio giocato dall’impatto della globalizzazione sulle capacita di intervento e regolazione dello stato. Egli definisce la globalizzazione come “un allargamento del raggio d’azione geografico di Caos e governo del mondo - 27 capacità di guidare la società in una direzione che non solo serva gli interessi del gruppo dominante stesso, ma che sia percepita anche dai gruppi subordinati come finalizzata a un più generale interesse. Tuttavia, quando apriamo di leadership internazionale, tale termina viene usato per descrivere due fenomeni tra loro piuttosto differenti. Da una parte, per descrivere il fatto che, in virtù dei propri successi, uno stato dominante diventa per altri stati il modello da emulare, e perciò li induce a seguire il proprio percorso di sviluppo. nella misura in cui l’emulazione ha davvero successo, essa tenderà a controbilanciare e di conseguenza a provocare una deflazione del potere dello stato egemone, creando dei concorrenti e riducendo la superiorità/la specialness dello stato egemonico. Dall’altra parte, il termina leadership è usato per descrivere il fatto che uno stato dominante guidi il sistema in una direzione voluta, e che sia opinione comune che facendo ciò persegua un interesse generale. La leadership o in questo senso provoca una inflazione del potere dello stato dominante, ed è ciò che considereremo la caratteristica principale delle egemonie mondiali. In generale, la pretesa di rappresentare u interesse sistemico generale cosi definito può diventare credibile, e perciò provocare una inflazione del potere di un aspirante stato egemonico, se si verificano due condizioni. Primo, deve esserci un’effettiva offerta di capacità di governance mondiale. Secondo, le soluzioni a livello di sistema degli aspiranti stati egemonici devono riguardare problemi di sistema che sono diventati così acuti da creare una diffusa domanda di governance. Quando queste condizioni di domanda e offerta vengono soddisfatte contemporaneamente, l’aspirante stato egemonico può giocare un ruolo di “supplenza di governo” nel promuovere, organizzare e gestire un’espansione del potere collettivo dei gruppi dominanti del sistema. Crisi egemoniche ed espansioni finanziarie: Le espansioni finanziarie su scala sistemica sono il risultato di due tendenze complementari: una sovra-accumulazione di capotale e un’intensa competizione interstatale per il capitale mobile. La prima tendenza crea ciò che possiamo chiamare le condizioni dal lato dell’offerta delle espansioni finanziarie, mentre la seconda crea le condizioni dal lato della domanda. Questo periodico riproporsi di espansioni finanziarie nel sistema capitalistico mondiale, fu notato per la prima volta da Fernand Braudel, che sottolineò le loro condizioni dal lato dell’offerta. Tutte le volte che i profitti del commercio e della produzione hanno prodotto un’accumulazione di capitali superiore alle normali occasioni di investimento, il capitalismo finanziario ha saputo conquistare la pizza e dominare l’insieme del mondi degli affari. Storicamente, le espansioni finanziarie di Braudel sono sempre avvenute in congiunzione con un’intensificazione della competizione intestatale per il capitale monile. Tale fatto è il risultato di una duplice tendenza generate da espansioni del commercio e della produzione assai rapide, estese e redditizie. Da una parte, le organizzazione capitalistiche e i singoli individui rispondono a un’accumulazione di capitale superiore a quanto ne possa essere reinvestito con profitto nei canali tradizionali mantenendo in forma liquida una crescente proporzione delle proprie disponibilità finanziarie. Dall’altra parte, le organizzazioni territoriali reagiscono ai più stretti vincoli di budget intensificando la reciproca competizione per il capitale che si accumula nei mercati finanziari. Questa tendenza determina imponenti redistribuzione di reddito e ricchezza, a livello dell’intero sistema. La ricorrente tendenza del capitale a riacquistare flessibilità abbandonando la merce a favore della forma liquida è l’espressione di una fondamentale instabilità e adattabilità. Le espansioni finanziarie, in seta sede, ci interessano esclusivamente come moneti di trasformazione strutturale del sistema di stati sovrani nazionali del mondo moderno. Queste trasformazioni hanno portato al caos sistemico, ovvero una situazione di severa e apparentemente irrimediabile disorganizzazione sistemica. Il disordine tende ad autoeliminarsi, minacciando di provocare, o provocando, un crollo completo dell’organizzazione del sistema. Le espansioni finanziarie o tengono sotto controllo questa evoluzione aumentando temporaneamente il potere dello stato egemonico, o ampliano i conflitti sociali e la dimensione della competizione tra stati e imprese, rialloccando il capotale verso strutture emergenti che promettono maggiore sicurezza. Il crollo egemonico è il punto di svolta decisivo delle tradizioni egemoniche: egemonia in declino crolla, insorge il caos sistemico e si creano nuove egemonie. CAPITOLO 1: GEOPOLITICA E ALTA FINANZA Nelle transizioni del passato, gli attori governativi che si imposero come pilastro della nuova e più ampia organizzazione erano più potenti dei loro predecessori, non solo dal punto di vista militare, ma anche da quello finanziario. Esercitavano cioè un controllo maggiore sugli strumenti per l’esercizio della violenza efficaci su scala globale, e sui messi di pagamento Caos e governo del mondo - 27 universalmente accettati. L’attuale crisi egemonica si trova ancora a uno stadio di sviluppo iniziale. La transizione attuale è stata caratterizzata non da una fusione in ordine maggiore, ma dalla fissione del potere militare e finanziario. Dall’egemonia olandese a quella britannica L’egemonia olandese e l’equilibrio di potere in Europa L’Olanda ha giocato un ruolo di primo piano nella lunga lotta che si è conclusa con la formale fondazione del sistema europeo di stati sovrani con i trattati di Vestfalia nel 1648. I trattati hanno sostituito il concetto di un’autorità sovrastatale imperiale-papale con l’idea per cui gli stati europei foravano un singolo sistema politico basato sul diritto internazionale e sull’equilibrio del potere: “un diritto e un potere che agiscono tra gli stati, piuttosto che sopra di essi”. Come sostiene Peter Taylor, l’egemonia olandese è stata “un indispensabile apripista” per la creazione del sistema moderno di stati sovrani. Nella sfera militare, la pista è stata aperta in primo luogo dimostrando i limiti del potere coercitivo della Spagna imperiale. Maurizio di Nassau si ispirò a precedenti romani per rivoluzionare le tecniche di difesa e di assedio: reintrodusse la picca, le esercitazioni sistematiche e le unità di azione di piccole dimensioni, e organizzò un’accademia militare per l’addestramento degli ufficiali. La principale ragione per cui l’Olanda non fu vinta dalla Spagna, risiede però nel fatto che gli olandesi fin dall’inizio condussero la propria lotta sui mari, attaccando implacabilmente i traffici marittimi spagnoli e rafforzando il proprio controllo monopolistico su provviste di importata critica per lo sforzo bellico in mare e in terra. La supremazia sul mare degli olandesi era importante anche perché imponeva e riproduceva il controllo monopolistico delle Province Unite sulle risorse del Baltico. Per gli olandesi il controllo sul commercio del Baltico era fonte di una sovrabbondante liquidità, che a sua volta era la causa più importante del loro vantaggio competitivo nella lotta di potere europea. La remunerabilità del commercio olandese era dovuta soprattutto a due circostanze: una era l’intensità della stessa lotta di potere europea (lotta più intensa portava a una domanda di forniture di grano maggiore) e l’altra era la propensione degli olandesi a conservare in forma liquida i guadagni del commercio baltico, usando questa liquidità per trasformare Amsterdam nel centro commerciale e finanziario dell’economia-mondo europea. Come ha detto Braudel, “la fortuna dell’Olanda si è costruita a partire insieme dal Baltico e dalla Spagna. Vedere solo uno dei due elementi, dimenticando l’altro, significa non comprendere un processo nel quale il grano da un lato, e dall’altro il metallo bianco proveniente dall’America, svolgono ruoli inscindibili”. Braudel sostiene che con Amsterdam si chiudesse l’era delle città a struttura e vocazione imperiale e che l’esperienza olandese fosse lo spartiacque tra due distinte epoche dello sviluppo storico del capitalismo. Nel XVII secolo, il “semplice peso economico” era sufficiente perché una struttura politica che era più di una città-stato, m meno di uno stato nazione, occupasse u apposizione di comando nell’economia- mondo europea. Ma per il tardo XVIII secolo, solo gli stati nazionali a vocazione imperiale erano ormai in corsa per l’egemonia mondiale. Distinguiamo ora quattro fasi della metamorfosi delle condizioni sistemiche dell’egemonia mondiale: nella prima fase (tardo XVII) le Province Unite diventarono un partner militare minore della Gran Bretagna emergente. La seconda fase corrisponde ala progressiva diminuzione dei conflitti interstatali in Europa all’indomani della guerra di successione spagnola. La crescente competizione tra gli stati europei, i meno di trent’anni, sfociò in una terza fase. La supremazia finanziaria olandese, tuttavia, visse un periodo di grande splendore. Tale splendore finì entro il 1780 con il definitivo sostituirsi di Londra ad Amsterdam come principale centro dell’alta finanza europea. Affinché la supremazia inglese si stabilisse effettivamente, era necessario che venisse sconfitto il tentativo francese di costruire un impero continentale. Il soddisfacimento di tali condizioni, durante e dopo le guerre napoleoniche, costituì la quarta e conclusiva fase della transizione, dall’egemonia olandese a quella britannica. Dal dominio dei mari olandese a quello britannico La pace di Vestfalia segnò l’apogeo dell’egemonia olandese. Il cambiamento fu annunciato dalle tre guerre anglo-olandesi, che avevano come obiettivo quello di distruggere il commercio e il naviglio olandesi. Nella prima guerra gli olandesi vennero sconfitti e furono costretti a riconoscere i Navigation Acts. La seconda si sviluppò dalla lotta per il controllo del commercio di schiavi in Africa occidentale. La terza guerra scaturì dall’alleanza di Francia e Inghilterra contro l’Olanda con l’esplicito obiettivo di limitare i traffici olandesi, istituendo tariffe sulla Schelda e sulla Mosa (fiumi delle Province Unite). La sovranità e l’integrità territoriale olandesi furono salve solo perché il nemico francese fu allontanato allagando tutto il territorio, mentre la campagna navale inglese fallì principalmente perché il parlamento inglese tagliò i fondi per la Caos e governo del mondo - 27 guerra. La lezione olandese era bastano semplice “ il commercio produceva ricchezza; la ricchezza, se il governo riusciva ad impadronirsene, poteva essere trasformata in flotte ed eserciti; flotte ed eserciti, se bene equipaggiati e comandati, aumentavano la potenza dello stato”. L’internalizzazione, da parte degli altri stati, delle fonti della ricchezza e del potere olandesi attraverso l’emulazione o la conquista, divennero quindi il principale obiettivo della lotta di potere europea. L’importanza della terza guerra anglo-olandese sta nel fatto che la strategia inglese di emulazione si trovò a convergere con la strategia francese di conquista diretta della Repubblica olandese come scorciatoia per l’acquisizione di un siffatto impero. La convergenza delle strategie inglese e francese rivelò la vulnerabilità di base dell’Olanda e del suo sistema mercantile di fronte alla politica degli stati territoriali confinanti. Nonostante i successi nella costruzione dello stato, i francesi non furono comunque in grado di spezzare i vincoli posti al loro potere all’interno del sistema intestatale dall’azione congiunta di inglesi e olandesi (alleatisi dopo la terza guerra). Il nuovo tentativo francese di conquistarsi una supremazia continentale rafforzò l’alleanza tra inglesi e olandesi, che si consolidò con l’ascesa di Guglielmo d’Orange al trono d’Inghilterra. La guerra dei nove anni dimostrò il successo della strategia inglese del “mare aperto”. Il controllo dei mari era adesso nelle mani degli alleati, con al timone l’Inghilterra. Il mercantilismo e la fine della supremazia commerciale olandese Con la firma del trattato di Utrecht nel 1713, la transizione dall’egemonia olandese a quella britannica entrò nella sua seconda fase. Nel 1716 il processo di pace venne rafforzato dal ratto anglo-francese della “mutue garanzie”, che fu poi ampliato nella Triplice Alleanza. Il risultato di questa de-escalation dei conflitti interstatali in Europa fu che le Province <unite sperimentarono il più lungo periodo di pace di tutta la loro storia. In guerra o in pace, la piccola scala territoriale e la struttura di potere decentralizzata dello stato olandese si stavano trasformando in insuperabili handicap nella lotta di potere europea. L’avversione per l’espansione territoriale e un governo centrale strutturalmente debole erano differenti manifestazioni della medesima implicita strategia di potere che costituiva sia il fondamento principale, sia il limite estremo, delle fortune olandesi. Nella logica di potere capitalistica olandese, la parsimonia nell’acquisizione di territori e popolazioni assolveva alla duplice funzione di minimizzare sia i costi per la difesa, sia le rivendicazioni sociali nei confronti della ricchezza accumulata. Inoltre, forniva alle Province Unite il vantaggio ideologico di presentarsi come portatrici di un interesse di pace generale. Una logica di potere capitalistica non era necessariamente associata a una struttura dello stato decentralizzata e a un governo centrale “debole”. “Il denaro, dice Braudel nella sua analisi della struttura interna dello stato olandese, è il mezzo per ricondurre tutti all’ordine; ma si tratta di un mezzo che è prudente dissimulare.” Il debito era anche il mezzo con cui il “gatto olandese” capitalista poteva volgere a proprio vantaggio le lotte che vedevano i “predatori” territorialità europei combattersi l’un l’altro. L’altra faccia della parsimonia olandese era un deficit strutturale di manodopera, cui l’Olanda poteva ovviare solo sfruttando la forza-lavoro di altri paesi. Il sistema commerciale olandese, che dopo Vestfalia aveva bisogno di pace, prima di Vestfalia era stato costruito tramite la guerra. La sovrabbondante disponibilità di manodopera e di imprenditorialità commerciale della Gran Bretagna divenne un potente strumento nella lotta per il monopolio sl commercio atlantico. L’Olanda non era in grado di competere con la Gran Bretagna nella colonizzazione del Nordamerica, non essendoci abbastanza olandesi per un’impresa di tale portata. Il successo britannico nell’eliminare la concorrenza olandese nell’espansione commerciale oltremare e nell’espansione industriale interna ridusse la quota del commercio di transito di Amsterdam. L’alta finanza, ultimo rifugio dell’egemonia olandese Con lo scoppio della guerra di successione austriaca, la transizione dall’egemonia olandese quella britannica entrò nella sua terza fase. Schiacciato tra i successi del mercantilismo marittimo britannico e la diffusione del mercantilismo territoriale, il sistema commerciale mondiale imperniato sull’Olanda infine collassò. Eppure, ciò che fu così disastroso per il commercio olandese non lo fu per nulla per il capitale. Al contrario, si crearono le condizioni per un’espansione finanziaria che temporaneamente inflazionò la ricchezza e il potere olandesi. Far credito alla propria clientela era sempre stato parte integrante del commercio olandese. Mentre la centralità di Amsterdam nel commercio europeo declinava, la liquidità in Olanda rimaneva abbondante, con una tendenza a trasformare la parte finanziaria della borsa merci in un servizio di attività bancarie e di investimenti esteri. Amsterdam era più che mai la “cassa” Caos e governo del mondo - 27 supremazia britannica sugli oceani di tutto il mondo. Quando il credito della GB fu vicino a esaurirsi, gli USA gettarono nella guerra il proprio peso economico e militare, spostato gli equilibri a vantaggio dei propri debitori. In tal modo la GB non divenne altro che un partecipante qualsiasi ai meccanismi di potere europei, mentre gli USA divennero i protagonisti. L’oceano Atlantico garantiva agli USA quell’isolamento che la Manica non poteva più garantire alla GB. Inoltre, man mano che nuovi chilometri di ferrovie si allungavano nel paese, venivano superate quelle barriere interne dovute alle grandi distanze, e si confermò l’accesso degli USA ai due oceani più vasti della terra. Questa isola gigante era anche un complesso militare e industriale molto più potente di qualsiasi altro creato in Europa. La dottrina Monroe veniva ormai usata dagli USA come strumento della propria supremazia regionale, a cui anche la stessa GB doveva sottomettersi. La prima guerra mondiale non fece altro che trasformare questa supremazia regionale nello strumento di un dominio globale, principalmente grazie alla redistribuzione di risorse finanziarie dalla potenza ormai declino a quella emergente. La costruzione dell’ordine mondiale della guerra fredda Mentre il capitalismo mondiale si arroccava nei suoi confini nazionali o imperali, il passaggio verso l’egemonia statunitense entrò nella sua terza e ultima fase. Entro la fine della seconda guerra mondiale, i lineamenti del nuovo ordine mondiale aveva preso forma: a Bretton Woods erano state poste le basi di un nuovo sistema monetario, a Hiroshima e Nagasaki l’uso di un nuovo tipo di armi aveva rivelato le fondamenta militari su cui il nuovo rodine era basato; a San Francisco, infine, lo statuto delle nazioni Unite aveva incluso nuove norme e regole per la legittimazione della formazione degli stati e della condotta bellica. Parafrasando Braudel, la guerra semplificò, in maniera brutale, la carta geografica del potere mondiale. La configurazione tanto semplificata del potere mondiale era in parte il risultato di una strategia statunitense che ricordava la strategia adottata dalla GB nel confronto finale con la Francia centocinquanta anni prima. Come ha sottolineato McCormick, i leader statunitensi scelsero di combattere nella seconda guerra mondiale “non solo per sconfiggere i loro nemici, ma per gettare, per il dopoguerra, le basi geopolitiche di un ordine mondiale che avrebbero costruito e comandato”. Queste analogie mostrano che nelle fasi conclusive di una transizione, è la nazione che sta diventando egemone condurre i giochi di potere in atto nel sistema interstatale. Ciò nonostante il nuovo ordine emerso alla fine della seconda guerra mondiale era il risultato sia delle differenze sia delle somiglianze tra le capacità sistemiche delle due egemonie. L’economia interna degli USA era di dimensione più vaste di quella britannica e crebbe tra gli interstizi del sistema commerciale mondiale guidata dalla GB, diventando un sistema integrato di produzione e scambi su scala continentale. Per questo il rapporto degli USA con il sistema economico mondiale fu di maggior autosufficienza e minore complementarità rispetto al rapporto che era stato instaurato dalla GB. La seconda differenza tra le due egemonie riguarda la configurazione territoriale statunitense. Il superamento delle barriere spaziali e geografiche, trasformò la dimensione continentale degli Usa, la loro compattezza, l’insularità e l’accesso diretto ai due oceani più importanti della terra in vantaggi strategici decisivi nella lotta tra i diversi stati per il potere. Terza grande differenza è la loro diversa relazione con l’industrializzazione bellica. Gli USA furono da sere all’avanguardia e poteva godere di una posizione privilegiata, poiché il loro isolamento li proteggeva dal rapido aumento dei costi protezionistici causati dalla corsa stessa. A dire il vero, inizialmente, la crisi ebbe effetti più devastanti sull’economia interna statunitense che su quella britannica. Nondimeno, la ricostruzione sociale ed economica avvenuta durante il New Deal di Roosevelt per rispondere con immediatezza a questi effetti rafforzò ulteriormente la posizione degli USA. L’egemonia americana fu costruita dall’alto verso il basso come un atto consapevole di formazione di un governo mondiale mirato a prevenire gli effetti destabilizzanti. Secondo Schurmann “sicurezza e paura erano le espressioni simboliche della più importate visione del mondo che governava gli Stati Uniti alla fine della seconda guerra mondiale; il caos produceva paura che poteva essere combattuta solo con la sicurezza”. Anche gli accordi di Bretton Woods giocarono un ruolo molto importate nella formazione dell’egemonia statunitense per via della sostituzione della regolamentazione pubblica a quella privata nel campo dell’alta finanza. Il risultato di quest’opera di rinvigorimento e riorganizzazione fu una rinnovata espansione del commercio e della produzione, la cosiddetta età dell’oro del capitalismo degli anni cinquanta e sessanta del Novecento. Anche questa fase si concluse con una crisi del potere egemonico, che ancora oggi non si è conclusa. La biforcazione del potere militare e finanziario Caos e governo del mondo - 27 L’espansione sistemica a guida statunitense degli anni cinquanta e sessanta ha innescato la stessa combinazione di tendenza tipica delle crisi egemoniche precedenti: possiamo spettarci che la crisi dell’egemonia americana si sviluppi nello stesso modo? Dal punto di vista della geopolitica e dell’alta finanza, la ragione principale per aspettarsi una differenza deriva dalla modificazione dei meccanismi che regolano l’equilibrio del potere. Nelle transizioni egemoniche passate, l’escalation dei conflitti intestatali per il potere, che portava al crollo finale delle strutture egemoniche e all’emergere di nuove, si associava al reattivo di un’aspirante potenza egemonica continentale di unificare politicamente l’Europa. La crisi della sovranità nazionale non è una novità dei nostri tempi. E’ piuttosto un aspetto della distruzione graduale dell’equilibrio di potere che originariamente garantiva uguale sovranità ai membri del sistema di stati nato dalla pace di Vestfalia. La dispersione delle capacità finanziarie tra più centri in competizione ha allargato il divario tra la rapida accumulazione di capitale nelle regione e la capacità degli stati che ospitano questi centri finanziari. L’allargarsi di questo divario si è reso evidente nella devastante crisi finanziaria che nel 1997 ha coinvolto l’intera Asia orientale. Malgrado i disastri che ha provocato, questa crisi non è il segnale di una diminuzione del potere finanziario della regione nei confronti degli USA. Nell’attuale turbolenza dell’economia globale, permane la biforcazione tra potere militare e finanziario. CAPITOLO 2: LA TRASFORMAZIONE DELL’IMPRESA Vediamo ora come ciascuna riorganizzazione del sistema interstatale abbia comportato anche u fondamentale cambiamento nelle relazioni tra stato e capitale. E’ individuabile un modello ricorrente in ciascuna transizione. Lo stesso successo delle principali imprese dello stato egemonico nel “monopolizzare” attività con un alto valore aggiunto spingere nuovi competitori a percorrere lo stesso sentieri di sviluppo. Il risultato è che la “monopolizzazione” diventa costosa o impossibile. Le società per azioni privilegiate olandesi del Seicento, le industrie manifatturiere inglesi del XIX secolo e le multinazionali statunitensi del XX secolo sono state tutte ugualmente impegnate in tentativi globali di “monopolizzazione” sostenuti dal potere dello stato. L’ascesa del capitalismo delle grandi imprese di stile olandese Il capitalismo delle grandi imprese di stile olandese La magnificenza del capitalismo olandese si dispiegò prima di tutto nel Baltico, lo spazio naturale per il commercio di Amsterdam, e poi nel mondo attraverso le attività di società per azioni privilegiate. Nonostante tutte le loro somiglianze, tali società e le grandi imprese del XX secolo si differenziano per un aspetto fondamentale. Le società per azioni erano organizzazioni d’affari cui i governi concedevano privilegi commerciali esclusivi in aree geografiche determinate, e il diritto di svolgere le operazioni belliche e di amministrazione ordinaria necessarie per esercitare questi privilegi. Alla VOC, per esempio, era ufficialmente concesso dl governo olandese un monopolio su tutto il commercio a est del Capo di Buona Speranza e a ovest dello stretto di Magellano. Era anche concesso il diritto di armare una flotta, organizzare un esercito, costruire piazze fortificate, fare la guerra, concludere la pace, annettere territori e amministrare insediamenti coloniali. Nel giro di un decennio o due, molti altri stati del Baltico e del mare del Nord seguirono le tracce degli inglesi e degli olandesi, creando proprie società oltremare, soprattutto per dedicarsi al commercio con i ricchi mercati dell’Oriente. Nel 1621, gli olandesi lanciarono la West-Indische Compagnie, che sull’orlo della bancarotta fu riorganizzata come impresa dedita al commercio di schiavi con redditizie attività collaterali di contrabbando con ‘America spagnola e di produzione dello zucchero nel Suriname. Fu la WIC a introdurre il commercio atlantico triangolare. Il fatto che anche le società per azioni privilegiate di maggior successo andarono poi fallite, suggerisce che l’espansione stessa di qualsiasi sistema di imprese tende a creare condizioni che non gli permettono più di funzionare ed è infine rimpiazzato da un sistema diverso. In questo capitolo documenteremo lo sviluppo di questa tendenza nella transizione dall’egemonia olandese a quella britannica, distinguendo quattro fasi. La prima fase (XVII secolo) fu caratterizzata dal fallimento dei tentativi olandesi di replicare nell’Atlantico i risultati ottenuti dalla VOC nell’Oceano Indiano. Questo fallimento rivelò un limite c cruciale della supremazia commerciale olandese, ma lasci quella supremazia intasa nel commercio baltico e dell’Oceano Indiano. La supremazia in queste aree di competizione cominciò a erodersi nella seconda fase della transizione, che si estende fino ai primi anni del XVIII secolo e che fu caratterizzata da una crescente diversificazione delle attività delle società per azioni privilegiate. L’escalation, introno al 1740, della battaglia competitiva tra le società per azioni privilegiate e i loro rispettivi stati segnò l’inizio della terza Caos e governo del mondo - 27 fase della transizione. Se ci fu una vincitrice tra le società, questa fu la Compagnia Inglese delle Indie Orientali, che a quel tempo raggiunse la sua massima espansione. Nella quarta fase, propria dei primi anni del XIX secolo, la Compagnia delle Indie orientali fu sottoposta a un attacco dall’interno della stessa GB, e a essa furono progressivamente sottratti i suoi monopoli principali, le funzioni amministrative e il subcontinente indiano. Mentre la vecchia struttura di accumulazione incentrata sulle società per azioni privilegiate stava tramontando, la transizione verso l’egemonia britannica fu cosi completata con l’affermazione di una nuova struttura, incentrata sulle imprese familiari possedute da un solo individuo, inserita in una fitta rete di scambi commerciali e operante sotto la protezione dell’imperi territoriale più esteso e potente che il mondo avesse mai visto. Punti di forza e di debolezza del capitalismo delle grandi imprese di stile olandese La VOC usava la violenza per stabilire posizioni monopolistiche nei mercati regionali e mondiali in modo da realizzare profitti commerciali alti e permanenti. la mossa chiave fu l’acquisizione di un stretto controllo sull’offerta di spezie dell’oceano indiano. Per imporre e mantenere il monopolio, la VOC dovette usare contro i produttori e i competitori la stessa violenza che usarono i portoghesi per esigere i tributi dalla regione. La VOC annettè una dopo l’altra le isole delle spezie e schiavizzò le loro genti. ma i grandi risultati della strategia erano dovuti tanto alle peculiarità dell’ambiente in cui essa operò quanto alla strategia stessa. Secondo Braudel e Weber espandersi commercialmente in regioni di antica civilizzazione con un’economia ben sviluppata e ricca basata sul denaro è cosa ben diversa dal farlo in territori scarsamente popolati, quali erano le Americhe. La validità di tale tesi è confermata dal fatto che l’invasione olandese della relazione tra “profitto” e “potere”, che produsse meraviglie nell’oceano indiano, non funzionò affatto nell’Atlantico. Al momento della sua riorganizzazione, la WIC fu rimodellate sull’immagine della VOC. Il perseguimento del profitto divenne la stella polare della sua azione e fu data priorità all’acquisizione del controllo sui beni strategici del commercio atlantico, avvero gli schiavi neri. Tuttavia, la WIC non fu mai in grado di godere di tutti i benefici della sua organizzazione innovativa del commercio triangolare atlantico. Come Kenneth Davies ha notato, la sconfitta degli olandesi nella battaglia per il monopolio del commercio degli schivi può essere ricondotta a una combinazione di tre circostanze: il ristretto numero di colonie di insediamento stabilite dagli olandesi, il decrescente peso diplomatico- militare delle Province Unite e il continuare ad affidarsi a una società per azioni privilegiata (la WIC). Le colonie di insediamento non furono mai un affare redditizio, e la logica strettamente capitalistica del potere olandese limitò fortemente la tendenza a fondare colonie di questo genere. Alla radice dei problemi delle compagnie vi era la difficoltà di imporre il proprio monopolio. Il procacciamento degli schiavi presupponeva la costruzione e il mantenimenti di costose fortificazioni sulla costa africana occidentale, che rimanevano comunque mezzi inefficaci per difendere la costa dai concorrenti. Le contraddizioni della supremazia commerciale olandese Nella prima metà del XVIII secolo la supremazia commerciale olandese cominciò a essere minata anche dove sembrava inattaccabile, e la transizione all’egemonia britannica nella sfera del commercio mondiale entrò nella sua seconda fase. La compagnia delle indie comincia, in modo abbastanza erratico, una serie di viaggi, ciascuno dei quali finanziato da una differente emissione finanziaria. La fusione di questa società con la English company trading to the east indies nella United Company of Merchants of England Trading to the East Side segnò una svolta radicale. Nel giro di un decennio, la nuova compagnia cominciò a imporsi come la principale compagnia europea in Asia. Tale svolta era parte di un più ampio spostamento del fulcro del sistema dalle compagnie europee operanti in Asia dalle spezie ai tessuti in pezza, e dall’arcipelago malese al subcontinente indiano. La compagnia inglese era al tempo stesso la principale fautrice e la maggiore beneficiaria di questo spostamento. Il commercio in tessuti in pezza costituiva una scelta di ripiego, cui essa dovette adattarsi a causa della preminenza della VOC nelle più redditizie opportunità offerte dal commercio delle spezie. Per centralizzare il più possibile l’offerta indiana di tessuti, la compagnia inglese usò il dadni, o sistema a contratto. Una delle fondamentali contraddizioni della supremazia commerciale olandese consiste nel fatto che essa fu costruita su una scelta fortemente selettiva di attività. Venivano selezionate, infatti, solo quelle attività che assicurassero alti ritorni pecuniari e che avessero simultaneamente conservato la flessibilità del capitale olandese nell’afferrare opportunità vantaggiose alla borsa di Amsterdam e sui mercati. Tale strategia lasciò alle imprese rivali ampio spazio per invadere il commercio olandese e per sostituirei via via a esso in affari meno redditizi. Mentre questo avveniva, la contraddizione fu aggravata dalla tendenza del capitale Caos e governo del mondo - 27 comunità imprenditoriale britannica si mosse in entrambe le direzioni più lentamente e in maniera assai meno efficace. La comunità imprenditoriale statunitense, invece, fu meno fortunata nei suoi primi tentativi, ma alla lunga fu capace di primeggiare nell’integrazione verticale. Nel cementare l’unità dell’economia interna e nel creare un apparato militare- industriale nazionale, il governo tedesco cercò attivamente l’assistenza di imprese in prima linea nell’industrializzazione di guerra allora in corso e di sei grandi banche. Alla fine del secolo il capitalismo di stampo familiare in Germania era diventato una componente subordinata di una struttura industriale altamente centralizzata. Molte e piccole medie imprese sopravvissero come membri subordinati di un’economia a comando privato, controllata da un gruppo ben compatto di finanzieri e industriali. In GB “c’era resistenza a separare gestione e proprietà, a ad allungare le strutture gerarchiche”. Nella maggior parte dei settori industriali le imprese familiari rimasero dominanti. Le grandi imprese che risultarono dalle fusioni rimasero sotto il controllo degli originali proprietari, con conseguenze disastrose per la riuscita e l’efficacia delle integrazioni. L’intero sistema imprenditoriale britannico fu intrappolato in un particolare modello di sviluppo, che non poteva abbandonare se non a costi che superarono di gran lunga i benefici. Questo era il modello di un sistema economico fortemente volto verso l’esterno, che acquistava materie prime da tutto il mondo e dipendeva in maniera critica dagli sbocchi esteri per uno sfruttamento redditizio della propria produzione industriale. Nel momento in cui i mercati di esportazione divennero più dispersi e le forniture da cui dipendeva la competitività dell'industria britannica cominciarono a essere reperite in modo più economico attraverso acquisti in contanti di grandi quantità di prodotto, i manifatturieri britannici persero la loro capacità di competere nel commercio d’oltreoceano. La rapida diffusione dell'industria meccanizzata dalla filatura alla tessitura fu associata con una certa integrazione verticale di questi due sottoprocessi. Filare, tessere, finire il prodotto e piazzarlo sul mercato divennero ambiti separati e specializzati. Il risultato fu che il sistema imprenditoriale britannico era più che mai un insieme di ditte di media grandezza altamente specializzate, tenute insieme da una complessa rete di transazioni commerciali. Il principale svantaggio furono gli alti costi di transazione. Mentre la competizione straniera si intensificava, esse non potevano che specializzarsi ulteriormente all'interno della rete commerciale globale che le sosteneva e le imprigionava allo stesso tempo. Il passaggio dall'impresa familiare alla grande impresa negli ultimi decenni dell'800 e nel primo novecento fu associato a un analogo spostamento spaziale dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti. Fu negli Stati Uniti che la tendenza verso l'integrazione verticale si sviluppò più pienamente e con maggior successo. Inizialmente gli Stati Uniti andarono nella stessa direzione della Germania. Tuttavia, negli anni 80 e 90 del 800, le strutture in mutamento dell'impresa tedesca e statunitense cominciarono a divergere in maniera radicale. In entrambi i paesi la centralizzazione del capitale crebbe. Negli Stati Uniti il cuore della centralizzazione del capitale divenne l’integrazione verticale. Tutte le fasi, dal procacciamento delle materie prime alla vendita del prodotto finito, furono unite all'interno di una singola compagnia. Ciò permise loro di abbassare i costi e incrementare la produzione per ogni singolo lavoratore e per ogni macchina in modo più veloce ed esteso di quanto non riuscissero a fare imprese a unità singola o a più unità. Le compagnie statunitensi divennero multinazionali non appena ebbero completato la loro integrazione continentale. Il declino del sistema imprenditoriale britannico Con l’intensificarsi della concorrenza nella produzione agroindustriale, l’impresa britannica si specializzò ulteriormente nell'intermediazione finanziaria globale, sostenuta dal ruolo più attivo giocato dal governo britannico nella politica mondiale. L’impresa tedesca-incapace di competere con quella britannica-si mosse invece nella direzione della formazione dell'economia nazionale. La comunità imprenditoriale statunitense, sfruttando la dimensione continentale e la naturale autosufficienza dell'economia interna, si mosse in una direzione distinta tanto da quella britannica quanto da quella tedesca: creò in molte industrie, attraverso l'integrazione verticale, gerarchie manageriali molto articolate. La misura in cui l'impresa britannica riuscì a mantenere a distanza la sfida tedesca nei processi di accumulazione del capitale senza sottoporsi a una profonda ristrutturazione sul modello americano e tedesco può essere valutata dalla discrepanza tra la capacità tedesca di agganciare la Gran Bretagna nella produzione industriale da un lato, e la sua capacità ad agganciarla nel valore aggiunto dall’altro. Nel mezzo secolo precedente la prima guerra mondiale, gli Stati Uniti avevano raggiunto e sorpassato la Gran Bretagna, non solo nella produzione industriale, ma anche nelle reddito totale e pro capite. La sovrabbondante liquidità che passava tra le mani britanniche fu un potente strumento nella battaglia competitiva che scaturì la diffusione Caos e governo del mondo - 27 dell’industrializzazione del sistema capitalistico mondiale. Ciò che alla fine distrusse la centralità e la vitalità del capitalismo familiare britannico fu lo scontro militare. La prima guerra mondiale e le sue conseguenze giocarono quindi un ruolo decisivo nell'accelerare il crollo del sistema britannico d'impresa familiare e nella corrispondente ascesa del sistema della grande impresa statunitense. Ci volle ancora un'altra grande depressione e un'altra guerra mondiale prima che l'emergente sistema statunitense acquisisse le capacità necessarie per diventare dominante su scala mondiale. Alla fine della prima guerra mondiale l’emergente sistema statunitense del capitalismo delle grandi imprese era giunto al punto in cui doveva contare solo su se stesso. L’affermazione mondiale del capitalismo delle grandi imprese di stile statunitense Per adattarsi alla nuova situazione, le imprese statunitensi andarono incontro a una profonda riorganizzazione caratterizzata dalla diversificazione e dalla conseguente adozione di una struttura organizzativa multidivisionale. Il capitalismo statunitense andò anche nella direzione del produrre clienti. Il consumismo emergeva così nel corso degli anni 20 come strumento aggressivo di sopravvivenza dei grandi gruppi capitalistici. La pubblicità divenne la principale arma nella guerra delle imprese contro il “puritanesimo del consumo". Sostenuti da un potere di acquisto insufficiente, i nuovi bisogni creati dalla pubblicità non si tradussero in un incremento di domanda effettiva sufficiente a sostenere un'espansione redditizia della produzione di massa. Quando gli sbocchi esteri per gli affari statunitensi furono travolti dal crollo del 1929 E dalla guerra tariffaria scatenata dallo Smoot-Hawley Tariff Bill la produzione di massa andò incontro alla più grave crisi della sua storia. Ciò che tirò fuori la grande impresa statunitense dal baratro della grande depressione fu la massiccia spesa governativa durante e dopo la seconda guerra mondiale. Dopo la guerra, il massiccio deficit di spesa in armamenti fu istituzionalizzato in quello che o'Connor ha caratterizzato come lo Stato sociale militare statunitense. La forma multidivisionale dell'organizzazione ora divenne uno strumento-chiave per soddisfare la domanda del governo federale di attrezzature scientifiche avanzate e militari. Sotto l’egida dello stato sociale-militare, la guerra della grande impresa statunitense contro il puritanesimo nei consumi attraverso la pubblicità e l'obsolescenza programmata dei prodotti, Alla fine riuscì a creare ed espandere mercati di massa per la sua produzione di massa e per le sue strutture burocratiche. Da questa base interna di forte aiuto da parte del governo per lo stabilirsi a riprodursi delle condizioni della domanda prese il via una nuova ondata di espansione multinazionale. Il governo statunitense svolse un ruolo di sostegno all'espansione transnazionale delle grandi imprese statunitensi tanto importante quanto quello svolto nel creare le condizioni del loro consolidamento interno. Fornì alle imprese che operavano all'estero incentivi fiscali e schemi assicurativi, nonché protezione politica e militare. Contribuì inoltre in maniera decisiva a rendere l'Europa occidentale lo sbocco principale degli investimenti diretti esteri statunitensi. Attraverso il sapiente uso di incentivi economici (tra cui spicca il piano Marshall), il governo statunitense promosse la cooperazione europea e la rimozione delle barriere economiche interne all’Europa. Come sottolinea Gilpin, la motivazione fondamentale per sostenere l'unificazione economica dell'Europa occidentale era politica: la sicurezza dell'Occidente dal pericolo rappresentato dall'unione sovietica. Il capitalismo mondiale si trovò a operare nel quadro di un sistema di impresa completamente nuovo e l’impresa multidivisionale divenne il modello che si tentava di limitare in tutto il mondo. La doppia crisi del capitalismo delle grandi imprese di stile statunitense L'intensificazione delle rivalità tra superpotenze e l’emergere interstiziale di nuove sedi di potere andavano di pari passo con un'intensificazione della concorrenza tra imprese e con l'emergere di nuovi sistemi di impresa. La grande impresa, nota Harrison, cominciò a essere dipinta come una sorta di dinosauro, sempre meno capace di competere in un mondo post industriale caratterizzato da fluttuante domanda da parte dei consumatori, crescente competizione internazionale e necessità di forme più flessibili di lavoro e di interazione tra imprese. La nostra analisi ha mostrato che la trasformazione del sistema d'impresa dominante è inseparabile dalla costante evoluzione del sistema, da transizione a transizione. L'ascesa della grande impresa statunitense del XX secolo, a sua volta, era affondata tanto sulla realizzazione del pieno potenziale del capitalismo familiare britannico dell'ottocento quanto sui suoi limiti e sulle sue contraddizioni. Fu questo sistema che promosse la rapida diffusione della meccanizzazione da un ramo dell'industria a un altro, dall'industria ai trasporti alle comunicazioni, e da paese a paese. Il capitalismo delle grandi imprese multinazionali sorse e divenne dominante nel mondo in circostanze storiche radicalmente diverse da quelle che Caos e governo del mondo - 27 avevano visto il sorgere del capitalismo delle società per azioni privilegiate. Per quanto riguarda la dinamica della concorrenza tra imprese, il cambiamento più vistoso è l'aumento fenomenale nel numero di unità nel sistema. In ragione della loro specializzazione funzionale e della loro transterritorialità in un mercato mondiale enormemente allargato il numero delle multinazionali in attività sotto l'egemonia statunitense È stato di gran lunga più elevato, sempre nell'ordine delle centinaia piuttosto che delle decine di unità. Inoltre, l'intensificazione della loro reciproca competizione negli anni 70 e 80 ha coinciso con una crescita esponenziale del numero. In parte collegato c'è un cambiamento fondamentale nella relazione tra governo e impresa. La multinazionale americana ha giocato un ruolo importante nel mantenimento e nell'espansione del potere degli Stati Uniti. A ben vedere, tuttavia, le imprese multinazionali risultarono essere strumenti di potere mondiale molto meno malleabili delle società per azioni privilegiate. L’inclusione dell'Europa occidentale all'interno delle reti di potere statunitensi fu operata dallo stesso governo degli Stati Uniti. Dopo che l’azione governativa ebbe preparato il terreno per il trasferimento delle imprese statunitensi, queste ultime invasero l'Europa in massa, contribuendo al consolidamento dell'egemonia statunitense. Presto, tuttavia, il trasferimento sviluppò una sua propria dinamica, che si rivoltò contro il potere mondiale statunitense. Il consolidamento dell'egemonia degli Stati Uniti e la concomitante nuovo andata di nazionalizzazione delle imprese statunitensi creò condizioni favorevoli per la transnazionalizzazione delle imprese dell'Europa occidentale e dell'estremo oriente. Poiché il numero delle multinazionali crebbe grazie a questi nuovi arrivi, venne in essere un sistema globale di produzione, scambio e accumulazione che non era soggetto ad alcuna autorità statale e che aveva il potere di sottomettere alle sue leggi anche gli stati più potenti, inclusi gli Stati Uniti. Questa è probabilmente la differenza più importante tra il presente superamento del capitalismo nord americano e il superamento, due secoli fa, del capitalismo olandese. L'eredità del sistema delle multinazionali stabilito sotto l'egemonia statunitense è un indebolimento significativo delle capacità regolatrici persino degli stati più potenti, non sono a livello dell'economia globale ma anche a livello delle singole economie nazionali. Tale indebolimento delle capacità regolatrici degli Stati è il risultato più peculiare dell’egemonia statunitense e allo stesso tempo un fattore di primaria importanza che contribuisce all'attuale tendenza verso l’informalizzazione dell'organizzazione dell'impresa. A differenza del periodo tra le due guerre, l'auto espansione della grande impresa statunitense negli ultimi 25 anni è stata molto più dipendente da risorse e mercati stranieri, e molto più esposta alla concorrenza estera. Le imprese statunitensi sono state costrette a ridimensionare le loro gerarchie manageriali e la forza lavoro subordinata, e a entrare in svariati tipi di alleanze e accordi informali con altre imprese. La tendenza verso la burocratizzazione dell'impresa attraverso l'integrazione verticale e la diversificazione del prodotto cominciò così essere sorpassata un secolo dopo dalla tendenza verso una costruzione informale di reti e la rivitalizzazione subordinata della piccola impresa. Harrison interpreta questo taglio della punta dell'iceberg del potere imprenditoriale come l'espressione di quello che chiama il principe emergente di concentrazione senza centralizzazione. Le Grandi imprese si sono esse stesse affidate alla creazione di reti come a un modo altamente efficiente di decentralizzare la produzione al di fuori della propria sfera organizzativa, senza ridurre e anzi spesso aumentando il loro controllo sui mercati e sulle risorse tecnologiche e finanziarie. La strategia della grande impresa che trasforma i vantaggi della piccola impresa in uno strumento del consolidamento e dell'espansione del suo proprio potere, è venuta alla luce dappertutto. Ma in nessun posto è stata perseguita più coerentemente e con maggior successo che nell'estremo oriente. Senza l'aiuto di livelli di subappaltatori formalmente indipendenti la grande impresa giapponese entrerebbe in crisi. Tale diffusione diede un contributo fondamentale all'espansione economica dell'intera regione est-asiatica e rafforzò la competitività della grande impresa giapponese nell'economia globale. E’ troppo presto per dire che tipo di sistema dominante d'impresa emergerà da questa tendenza altamente diversificata a una concentrazione senza centralizzazione. Ci possiamo tuttavia aspettare con una certa sicurezza che tale sistema dominante sarà caratterizzato da una maggiore informalità e coordinazione di mercato di quella del sistema delle imprese integrate verticalmente e dirette burocraticamente che divenne dominante sotto l'egemonia statunitense. La proliferazione nel numero e nella varietà delle imprese transnazionali nella presente transizione ci permette di prevedere che il sistema emergente sarà caratterizzato più da una sintesi di grandi imprese e imprese familiari piuttosto che dalla prevalenza della forma familiare. L’indebolimento delle capacità regolatrici anche degli stati più potenti nell'attuale transizione rende difficilmente contestabile anche la previsione che l’emergente sistema d'impresa non potrà fare affidamento sul braccio armato lo stato imperiale. Nella misura in cui l'Asia orientale è in effetti meglio piazzata per realizzare il pieno potenziale delle attuali Caos e governo del mondo - 27 complessa. All'inizio la rivoluzione rese più vicine la colonia e la madrepatria; ma I proprietari di piantagioni coloniali e i mercanti locali approfittarono dell'indebolimento della presa che la madrepatria aveva su di loro per evadere l’exclusif. Gli sforzi francesi di riportare il contrabbando sotto controllo stimolare le richieste sempre più forti di autonomia da parte dei proprietari di piantagioni e dei mercanti locali. La frattura aperta sarebbe venuta dalla questione del diritto di voto. La mossa fatale nello scontro tra fazioni a Santo Domingo fu armare alcuni schiavi - mossa sistematicamente evitata nella rivolta del nord America. Lo scontro tra fazioni di elite portò con se una rivolta generale degli schiavi nell'agosto del 1791. Quando le ribellioni degli schiavi si diffusero, divenne chiaro che gli schiavi stessi erano l’ago della bilancia del potere: nessuna forza poteva trionfare senza il loro sostegno. La forza della ribellione degli schiavi era in parte dovuta alla rapida crescita della popolazione africana delle Americhe. Due ulteriori e indipendenti fattori furono alla base del potere della rivolta degli schiavi: la rivoluzione nei Caraibi si avvantaggiò delle aspirazioni protocontadine degli schiavi, e una forza lavoro organizzata e disciplinata si era sviluppata nelle piantagioni. Gli ex schiavi furono in grado di resistere ho una serie di invasioni restauratrici. Il 1 gennaio 1804 fu proclamata la repubblica indipendente di Haiti. Haiti fornì supporto materiale e ispirazione alle lotte di liberazione nell'America spagnola. La svolta radicale ed emancipazionista effettuata da Bolivar fu direttamente legata all'aiuto ricevuto da Haiti. La politica radicalizzò la lotta di indipendenza e la portò allo scontro con molti repubblicani favorevoli alla schiavitù. Negli Stati Uniti le rivoluzioni ispirarono una seconda ventata di sentimento abolizionista che condusse all'approvazione delle leggi d'emancipazione a New York e nel New Jersey, e all'abolizione del commercio degli schiavi nel 1807. Ma condussero anche leader nazionali come Jefferson ad adottare misure tese a sradicare qualsiasi potenziale ribellione da parte degli schiavi. Restaurazione e consolidamento egemonico La Gran Bretagna uscì alle guerre napoleoniche come lo stato più potente del mondo. Nel dopoguerra usò il suo potere mondiale per realizzare una serie di obiettivi di conservazione e di restaurazione. L’aiuto britannico alla repressione ristoratrice oltreoceano andò di pari passo con una politica di repressione e resistenza alle riforme sul fronte interno. La perdita delle sue colonie nordamericane era stata compensata da significative acquisizioni in Asia. Ma la rivoluzione americana e i primi anni della rivoluzione francese ispirare una prima ondata di mobilitazione a sostegno di riforma politica nella stessa Gran Bretagna. Lo status quo prebellico non poté essere del tutto restaurato nelle relazioni all'interno dello Stato o tra i vari Stati. Qualcosa era cambiato seguito delle lotte dell’epoca rivoluzionaria. Nel 1831 la mobilitazione politica in Gran Bretagna aveva di nuovo raggiunto il punto di una crisi prerivoluzionaria, in quanti i salari e le condizioni di vita dei lavoratori si erano deteriorate. La Mobilitazione di massa in Gran Bretagna alimentò e fu alimentata da simultanee rivolte nel continente e da rivolte degli schiavi nelle Indie occidentali. Nell'agosto del 1833, il Parlamento riformato approvò una legge di emancipazione degli schiavi che compensava generosamente i proprietari riconoscendo loro quasi l'intero valore degli schiavi. La Gran Bretagna assunse nuovamente ruolo di leader simbolico delle correnti riformiste della classe media nel continente e iniziò a presentarsi come modello del modo in cui le riforme dovevano essere ottenute. La Gran Bretagna corsa a sostegno dell'indipendenza degli Stati latinoamericani e denunciò apertamente gli sforzi della Santa alleanza reprimere le rivolte europee. Un compromesso pacifico e riforme limitate costituirono il mito organizzativo dell'egemonia britannica, una sorta di descrizione della sua propria storia e di prescrizione per gli altri. Il continente infatti avrebbe emulato il modello britannico sebbene il modo di raggiungere lo scopo fosse lungi dall'essere pacifico. Messe di fronte alla scelta tra ordine e libertà le classi medie scelsero l’ordine. Negli anni successivi al 1848, si strinsero alleanze simbiotiche tra vecchia ricchezza terriera e nuove elites industriali. I movimenti dei lavoratori furono isolati e schiacciati; i poveri e quanti non possedevano una proprietà furono fermamente esclusi dal potere politico. Le borghesie seppero raggiungere i loro scopi più vitali dal momento che i principi capitalisti erano fatti avanzare attraverso riforme dall’alto. L’egemonia britannica giunse a porsi come simbolo di un accresciuto ruolo politico delle classi possidenti, ma non nobili d’Europa. Il potere sociale della classe media possidente sarebbe stato lentamente riconosciuto nell'Occidente. La schiavitù continuò a prosperare in Brasile, a Cuba E nel sud degli Stati Uniti. I diritti delle popolazioni non occidentali all'autodeterminazione furono schiacciati quando la GB procedette a costruire il Secondo impero in Asia, quale principale cardine nella sua egemonia nel mondo occidentale. L’ascesa del movimento dei lavoratori e dei movimenti di liberazione nazionale Caos e governo del mondo - 27 Dal circolo vizioso a quello virtuoso e viceversa La netta sconfitta dei movimenti proletari del 1848 creò condizioni sociali favorevoli per l'espansione del commercio e della produzione, ciò che Hobsbawm chiamò il trionfo della borghesia. L’espansione guidata dalla Gran Bretagna cadeva in un periodo di relativa stabilità politica. All'origine vi era un “circolo virtuoso”. La ricchezza generata durante l'espansione del commercio e della produzione a livello del sistema consentì lo stabilirsi di una pace intraelitaria, che a sua volta gettò le basi di una continua espansione materiale. La Gran Bretagna era al centro di un sistema capitalistico mondiale in rapida espansione che le rese grandi fortune e poteri, ma i cui benefici si estesero fino ad abbracciare un’élite globale su scala più vasta. Durante l'espansione del commercio e della produzione mondiale, I benefici dell'espansione si estesero fino agli strati superiori delle classi lavoratrici, compresi gli artigiani e gli agricoltori. La pace fu accompagnata da conquiste territoriali e oppressioni razziali. L’imperialismo britannico del libero scambio contribuì al calo della pressione fiscale, abbassò i costi militari della Gran Bretagna incoraggiando un commercio pacifico tra Stati nell'Occidente. La trasformazione dell'impero britannico in India spostò una buona parte dei costi finanziari e umani sulle popolazioni dell'Asia. Il risultato fu un sollievo fiscale a livello europeo. Comune a entrambe le egemonie era la costruzione di una coesione tra classi attraverso l’acutizzazione della divisione razziale su scala mondiale. Così il punto più alto dell'egemonia britannica corrispose sia a un momento di tregua nella politicizzazione e mobilitazione della classe lavoratrice sia alla repressione di sollevazioni popolari in Cina e in India. Il boom nel commercio e nella produzione mondiale nel medio periodo condussero a un'intensificazione della competizione Intercapitalista, a uno spostamento della speculazione finanziaria e a una crescente polarizzazione socioeconomica. Un effetto collaterale delle espansioni materiali fu l'indebolimento delle basi sociali dell'ordine egemonico mondiale e la creazione delle condizioni di un nuovo periodo di ribellione generalizzata e rivoluzione. La crescita esplosiva del commercio e della produzione mondiale nell'età del trionfo della borghesia portò con sé due fondamentali trasformazioni delle relazioni sociali in tutto il mondo. Da una parte, essa aveva provocato una forte intensificazione dalla competizione intercapitalista. Dall'altra, essa trasformò equilibrio su scala mondiale delle forze di classe, creando, allargando e rafforzando le forze sociali che avrebbero sfidato l'ordine mondiale esistente. Il crescente conflitto sociale interagì con un crescente conflitto tra Stati che avrebbe condotto alla distruzione del vecchio ordine mondiale e contribuito a gettare le basi sociali del nuovo ordine. Il risultato delle trasformazioni del sistema capitalistico mondiale che ebbero luogo durante l'egemonia Britannica fu che gli attori del conflitto sociale sarebbero stati diversi. Inoltre, la velocità, le dimensioni e il raggio del conflitto sociale, così come il suo impatto sulle lotte di potere tra le nazioni, sarebbero stati molto più grandi. La Grande depressione e l’ascesa dei movimenti dei lavoratori e dei partiti di massa La grande depressione colpì più i capitalisti che i lavoratori. Essa fu la culla in cui nacque il management scientifico. La finanziarizzazione, insieme all'integrazione orizzontale e verticale, riuscirono a trasformare la pressione deflazionistica sui capitalisti in una pressione inflazionistica sui lavoratori: I prezzi cominciarono a crescere più velocemente dei salari. I sindacati e i partiti dei lavoratori proliferarono in tutta Europa e in America. Questa mobilitazione non fu facilmente repressa. Gli attacchi agli standard dell'artigianato ridussero il consenso dell'aristocrazia operaia e indussero i lavoratori specializzati a unirsi ai lavoratori non specializzati. In Gran Bretagna l’insoddisfazione dell'elite artigianale da una parte, e le dimensioni e il potere crescenti dei lavoratori non specializzati dall'altra, divennero evidenti con il nuovo sindacalismo della fine degli anni 80 dell’ottocento. Gli scioperi in questo periodo erano spesso iniziativa di artigiani che si opponevano alla dequalificazione. Tuttavia, questi spesso si diffondevano velocemente e coinvolgevano l’intera forza lavoratrice delle grandi industrie. Il più sorprendente esempio di crescita di un partito di lavoratori si ebbe in Germania. Se tenere lontani I poveri dal potere politico fu una precondizione fondamentale dal funzionamento del sistema capitalistico mondiale sotto l'egemonia Britannica, allora l'ascesa dei partiti dei lavoratori e l'agitazione generale per il suffragio universale maschile si presentarono come una sfida profonda. Una risposta comune una repressione. Mentre i diritti di suffragio venivano ampliati, si ricorse come salvaguardia a varie misure tattiche come brogli elettorali e limitazioni dei poteri costituzionali dei corpi eletti direttamente. Occorreva una fondamentale modifica delle strategie della classe dominante. Lo stato guardiano sarebbe stato sacrificato nel tentativo di spegnere la protesta dei lavoratori dal basso. Furono introdotti schemi di assicurazione sociale. L'intensa competizione che caratterizzò la grande depressione Caos e governo del mondo - 27 portò richieste di protezione provenienti da tutti i segmenti dello spettro sociale. Anche negli Stati Uniti, ripetute crisi di sovrapproduzione dell'agricoltura stimolarono una forte richiesta degli agricoltori di azioni governative finalizzate a espandere i loro mercati e a fornire loro trasporti ferroviari a buon mercato. Le borghesie nazionali dell'Europa continentale si unirono all'elites agrarie nella richiesta di un'azione governativa orientata all'ottenimento di sfere esclusive di influenza, mercati protetti e fonti privilegiate di fornitura. Alla fine della depressione tutti paesi occidentali indipendentemente dalla loro storia e dalla loro mentalità si mossero nella direzione di applicare politiche finalizzate a proteggere i cittadini contro i danni causati da un mercato mondiale autoregolantesi. Ma la protezione richiedeva potere militare. Alla fine della grande depressione si era stabilito un circolo vizioso tra conflitti interni conflitto internazionale. Le rivalità tra le grandi potenze e la rivoluzione: la prima ondata A partire dagli anni 80 dell'ottocento l'escalation della corsa agli armamenti tra i poteri europei e della loro concorrenza reciproca per il capitale mobile inflazionò i profitti e inaugurò la belle époque della borghesia europea. Ma l’era edoardiana fu caratterizzata da una crescente polarizzazione economica e sociale. I membri della borghesia britannica avevano difficoltà a rendere credibili aspirazioni alla leadership che sarebbero sembrate legittime qualche tempo prima. La crescente polarizzazione tra ricchi e poveri era anche legata all'intensificazione delle rivalità tra le grandi potenze. Le tensioni relative alla distribuzione dei costi della guerra acuirono il conflitto sociale. Nella transizione dall'egemonia britannica a quella statunitense l’inflazione prodotta dai deficit di spesa dei governi fu la principale fonte di finanziamento degli armamenti. Inflazione contribuì a schiacciare salari reali ma ebbe nello stato un target meno visibile. Le classi lavoratrici continuarono a crescere rapidamente nel mondo capitalistico durante la belle epoque ed erano sempre più localizzate in concentrazioni strategiche. Inoltre si avvantaggiarono di queste dimensioni e della loro collocazione strategica per proclamare scioperi di massa nei settori che erano la linfa del sistema. Una caratteristica essenziale degli inizi del 20º secolo foratura estremamente instabile che tutti questi patti nazionali egemonici. La brutalità della guerra avrebbe screditato agli occhi di molti l’idea per cui s'era trovata una formula adatta per proteggere i cittadini. Durante la guerra furono le grandi industrie degli armamenti che si dimostrarono più vulnerabili alla militanza proletaria. L’industrializzazione della guerra si tradusse in massicci investimenti pubblici e privati nella produzione di armi. Ma l'industrializzazione della guerra significò anche uno scontro con gli artigiani, in quanto si facevano sforzi per meccanizzare la produzione di armi. Così fino al dopoguerra si può chiaramente osservare un circolo vizioso di crescente conflitto sociale e interstatale. Nella transizione dall'egemonia britannica a quella statunitense, la relazione tra conflitto interno e interstatale è molto più intrecciata. L'agitazione di classe È chiaramente in aumento alla vigilia della guerra mondiale. Se prima del XIX secolo i governanti sembravano combattere le guerre con poca attenzione per l'opinione pubblica, alla fine del secolo la politica interna e quella internazionale erano strettamente connesse. La restaurazione, che si verificò nel primo ottocento, si realizzò in parte attraverso la rinuncia agli eserciti dei cittadini e al ritorno a eserciti vecchio stile, composti da professionisti mercenari. Al tempo dello scoppio della prima guerra mondiale, gli Stati, fatto passi in avanti decisivo nel promuovere il nazionalismo e il patriottismo. I soldati furono di nuovo mobilitati come cittadini che combattevano per una giusta causa. Quando la ruota si mosse dal fervore nazionalista A quello rivoluzionario, gli eserciti usati per difendere l'ordine costituito furono usati per sfidarlo. Le rivalità tra potenze e il conflitto sociale divennero molto più intrecciati e il caos sistemico si diffuse molto più velocemente che nella prima transizione. La seconda transizione era inoltre diventata un affare globale. Su scala mondiale le più grandi fratture si verificano nel settore agricolo. La commercializzazione della terra minacciò l’accesso ai terreni da pascolo, alle foreste e ad altre terre comuni. Il cambiamento nella distribuzione della terra fu seguito da un cambiamento nel paradigma di governo e da una destabilizzazione delle sue basi di consenso. All'inizio del secolo una nuova oligarchia di proprietari di piantagioni aveva ormai messo al potere governatori che non si sforzarono minimamente di mascherare la loro completa subalternità ai proprietari. La polarizzazione comportò una spaccatura delle elite ti governo riguarda la successione politica. Alcuni di questi processi sono visibili anche nella rivoluzione russa del 1905 che rappresentò un caso ibrido tra una rivoluzione periferica di natura contadina e una rivoluzione di stampo operaio. Nei primi decenni del XIX secolo dislocazioni combinate causate dalla diffusione del capitalismo e dalle rivalità tra le grandi potenze crearono una grande ricettività agli esempi delle rivoluzioni russe. Tutte le potenze sconfitte andarono in contro a rivoluzione e crolli dello Stato. Anche i paesi che avevano vinto la guerra dovettero confrontarsi con una forte inquietudine sociale. Caos e governo del mondo - 27 sono entrati in concorrenza per il capitale mobile e I progetti di sviluppo sono stati abbandonati a favore di programmi di austerità e di aggiustamento strutturale. Il risultato è stato una polarizzazione intranazionale e internazionale. Ci sono varie ragioni per le quali ci dovremmo aspettare che la traiettoria delle attuali trasformazioni si scosti da quella del passato. La prima riguarda il cambiamento fondamentale che si è avuto nella relazione tra lotta di potere tra Stati e conflitto sociale all'interno delle varie transizioni. La crisi iniziale dell'egemonia si concretizzò con la sconfitta statunitense in una guerra civile del terzo mondo (Vietnam), e nella protesta contro la guerra che si innalzò in patria e nel mondo. Il declino del potere e del prestigio statunitense raggiunse il suo apice con la rivoluzione iraniana del 1979 e la crisi degli ostaggi del 1980. Fu in questo contesto di diffuse sfide sociopolitiche interne ed esterne che l'elite statunitense cambiò strategia. Mentre nelle crisi egemoniche passate intensificazione delle rivalità tra grandi potenze procedette e modellò a fondo l'intensificazione del conflitto sociale, nella crisi dell'egemonia statunitense l'intensificazione del conflitto sociale precedette e modello a fondo l'intensificazione delle rivalità tra grandi potenze. La crisi del fordismo e il sorgere di forme imprenditoriali più decentralizzate e informali durante la presente crisi dell'egemonia statunitense sono quindi buona parte del risultato del conflitto sociale. Questa riorganizzazione ha trasformato le classi operaie del mondo e ha implicazioni importanti per il futuro della coesione del conflitto sociale. La ristrutturazione egemonica globale dei decenni passati ha progressivamente eliminato il lavoratore maschio occupato nella produzione di massa con un aumento della quota femminile e internazionale. Nuove classi di lavoratrici e di immigrati sono cresciute in dimensioni e importanza nel cuore del sistema. Mentre lavoratori manuali possono essere in via di estinzione nei paesi centrali, altrove, Asia e Cina in particolare, la dimensione e l'importanza della classe lavoratrice sta crescendo. Così la diffusa tendenza attuale a non considerare la classe operaia come una forza sociale importante può essere prematura. Proprio come le ribellioni contadine del secolo passato furono parte di una più grande rivolta contro l'Occidente, così ci possiamo aspettare che il futuro conflitto di classe sarà parte di un generale cambiamento dell'equilibrio del potere tra mondo occidentale e mondo non occidentale. CAPITOLO 4: LE EGEMONIE OCCIDENTALI IN UNA PROSPETTIVA STORICA MONDIALE In questo capitolo riproponiamo l’analisi di queste trasformazioni in una prospettiva più ampia, quella dell’incontro-scontro della globalizzazione occidentale con le civiltà dell’Asia meridionale e orientale: due civiltà che - nel passato e nel presente hanno giocato un ruolo particolarmente importante nel determinare gli sviluppi del sistema mondiale moderno. L’ascesa del dominio occidentale in Asia La comparsa interstiziale del potere occidentale in Estremo Oriente Il potere occidentale in Asia ha avuto origine ed è durato nel tempo grazie all'azione disgregatrice, da parte degli Stati occidentali, della complessa organizzazione che univa le società asiatiche le une alle altre. Tale azione si è fondata sui progressi tecnologici e militari dell'Occidente E sulla vulnerabilità delle società asiatiche. L'essenza della relazione tra oriente e Occidente si basava su due aspetti principali: l'incomparabile grandezza e importanza del commercio intra-asiatico e l’economia-mondo europea in espansione verso la super economia- mondo. Quest'ultima era grandiosa e fragile, nonché intermittente. Questa formazione era fragile perché era facilmente attaccabile. A differenza dei precedenti , gli invasori europei non cercarono l'incorporazione nelle strutture della supereconomia-mondo asiatica. Essi cercarono di incorporare nella propria economia, centrata sull'Europa, le componenti disgiunte di queste strutture attraverso l'impiego di tecnologie militari sempre più distruttive. La sperequazione strutturale del commercio europeo con l'oriente incoraggiò i governi e i commerci europei a cercare di recuperare con qualsiasi mezzo il potere d'acquisto, che inesorabilmente defluiva dell'Occidente all’oriente.Come osservò Davenant, chiunque controllasse il commercio asiatico sarebbe stato in una posizione tale da dettar legge in tutto il mondo commerciale. La centralità del commercio asiatico era stata la forza trainante della conquista spagnola delle Americhe e dell'apertura della via marittima per l’Indie. L’intolleranza religiosa ostacolo seriamente l'espansione portoghese nell'oceano indiano. Alla fine la loro spedizione marittima non fu altro che uno dei tanti fili della trama del commercio interportuale malese-indonesiano. Gli spagnoli si concentrarono sullo sviluppo di una rotta commerciale che dall'America passasse direttamente alla Cina attraverso le Filippine. Il commercio dell'argento ebbe dunque un impatto più diretto sull'economia imperniata sulla Cina. L’intrusione europea guidata dall'ondata spagnola del XVI secolo colpì il funzionamento ma non le strutture della supereconomia-mondo asiatica. L'ondata olandese del XVII secolo avviò la disarticolazione di Caos e governo del mondo - 27 tali strutture. Gli olandesi facendo uso di una tecnologia militare più avanzata per appoggiarsi sulle strutture del commercio asiatico, aderirono più rigorosamente dei portoghesi analogiche espansionistiche che dava la priorità al commercio al profitto. Riuscire ad acquisire un controllo quasi esclusivo Sulla fornitura di una merce e sui territori strategicamente importanti dell'arcipelago indonesiano. La forza di questi crocevia fu anche la loro debolezza, poiché l'apertura e la frammentazione politica mi resero vulnerabile alla frantumazione del loro commercio e alla conquista da parte di una potenza navale superiore. La disarticolazione della “supereconomia-mondo” asiatica Nel XVII secolo il potere olandese crebbe in modo interstiziale nel crocevia delle economie mondo. L’intrusione europea guidata dall'ondata britannica del XVIII secolo trasferì invece l'epicentro di questa crescita interstiziale proprio nel cuore dell'economia mondo dell'Asia meridionale. Verso la fine del secolo la compagnia delle Indie sia attivò per succedere alla corte Moghul come centro di redistribuzione dell’economia-mondo. L'ingerenza europea divenne di impronta imperialista e lo scontro di civiltà si spostò così al centro della scena nelle relazioni tra oriente e Occidente. Il dominio dell'impero britannico nel subcontinente indiano si costituì attraverso una serie quasi ininterrotta di guerre. Mentre la Gran Bretagna cercava di far rispettare una pace in Europa, il pacifismo pragmatico fu un appetito vorace per l'azione militare e per la conquista di mondi non occidentali. La Gran Bretagna deteneva il controllo del più grande esercito all'europea in Asia, Costituito prevalentemente da indiani. Tale esercito non solo era strumentale alla conquista e al controllo dell'India ma era anche utilizzato per promuovere gli interessi britannici nel mondo. La conquista britannica del subcontinente indiano segnò una fase interamente nuova della crescita del potere occidentale in Asia. In India le compagnie europee entrare in contatto con una struttura politica frammentata. In Cina invece, europee dovettero rapportarsi con una struttura politica consolidata la cui grandezza, ricchezza e potenza non aveva eguali in Europa. Il contrasto più impressionante riguardava la vastità dell'impero cinese e il numero dei suoi abitanti. Ugualmente di grande effetto E al fatto che tali domini erano decisamente governati da un credo morale piuttosto che attraverso la violenza. Unica differenza era la stagnazione del sapere scientifico cinese rispetto ai progressi europei conseguiti nei due secoli precedenti. I progressi europei nelle scienze ebbero luogo nel contesto di guerre diffuse, di crolli di stati, di conflitti sociali e fecero ben poco per creare governi stabili e per permettere di vivere pacificamente. Al contrario, fu precisamente la stabilità del governo che portò la Cina a rimanere indietro all'Occidente nell'arte della guerra e nelle attività scientifiche a essa connesse. Ciò che offuscò e che alla fine distrusse l'immagine della Cina come modello fu la supremazia europea nell'arte della guerra e nel commercio. Il risultato fu la trasformazione della Cina da modello da imitare ad antitesi del modello britannico, uno Stato liberale orientato al commercio che stava diventando egemonico nel pensiero occidentale. La civilizzazione come abilità nell’”arte criminale” La nuova visione della Cina preparò il terreno al crescente scontro di civiltà che culminò nelle guerre dell’oppio. L'ex presidente degli Stati Uniti Adams sostenne che la guerra dell'oppio non riguardasse in realtà l'oppio, ma un generale interesse nei confronti dell'uguaglianza diplomatica e delle opportunità commerciali. Gli aspetti diplomatici e commerciali del braccio di ferro anglo-cinese si risolsero dopo più di mezzo secolo attraverso l'imposizione forzata alla Cina di trattati estremamente iniqui, in nome dell'uguaglianza diplomatica e della reciprocità commerciale. L'oppio era semplicemente il solo mezzo commerciale di cui la Gran Bretagna disponesse per estromettere forzatamente la Cina dai vertici dell'economia dell'Asia orientale. La necessità di ampliare il commercio tra India e Cina con qualsiasi mezzo, in modo da facilitare il trasferimento di reddito dall'India all'Inghilterra, fu fin dall'inizio lo stimolo maggiore all'espansione del commercio dell’oppio. L'abrogazione del monopolio in India nel 1813 indusse la compagnia a raddoppiare i propri sforzi nel tentativo di incoraggiare il contrabbando di oppio in Cina, un fatto che ebbe come risultato quello di triplicare le spedizioni. Mentre le varie tensioni aumentavano, la vulnerabilità dell'esercito cinese iniziò a essere interpretata come il segno di una più generale arretratezza della sua civiltà. Il governo cinese non poteva semplicemente arrendersi alle richieste di questa nuova razza di barbari, essendo le ripercussioni del commercio dell'oppio tanto dannose per la Cina quanto vantaggiose per la Gran Bretagna. Il commercio dell'oppio produsse effetti politici ed economici altamente distruttivi per lo stato cinese. I proventi del contrabbando entrarono nelle tasche dei funzionari cinesi, la cui corruzione indebolì seriamente l'adempimento della politica ufficiale in tutti i suoi settori. Avendo fallito il tentativo di persuadere il governo britannico a cooperare per la Caos e governo del mondo - 27 soppressione del traffico in nome del diritto internazionale e della morale comune, l'imperatore cinese procedette nel suo incarico, confiscando e distruggendo l'oppio contrabbandato e incarcerando alcuni contrabbandieri. L'abilità superiore nell'arte criminale dotò la Gran Bretagna della necessaria forza militare per far prevalere la propria visione del bene e del male su quella cinese. L’incorporazione subordinata degli imperi asiatici Il trattato di manchino del 1842 È generalmente considerato come un avvenimento decisivo nelle relazioni tra oriente e Occidente. Esso sancì la sconfitta della Cina E comportò la cessione di territori britannici, Il pagamento di un'indennità, l'amnistia per i sudditi cinesi incarcerati in seguito a operazioni illegali con i britannici e la presenza della flotta per far rispettare il trattato. Durante la seconda guerra dell'oppio dinastia cinese stava fronteggiando il più significativo risveglio di moti insurrezionali della sua storia. La sua capacità di resistenza alle aggressioni occidentali fu persino inferiore a quella mostrata durante la prima guerra. Avendo aperto la strada all'imposizione di un altro trattato iniquo alla Cina, la Gran Bretagna mutò politica per aiutare il governo a sopprimere la rivolta dei Taiping. “Occidentalismo” come minaccia all’Occidente L'occidentalizzazione non era mai stata un'obiettivo. All'inizio degli anni 60 del XIX secolo, in Cina le potenze occidentali sotto l'egemonia Britannica preferirono relazionarsi e schierarsi con le strutture disgregate dell’ancien regime asiatico piuttosto che con le forze nazionalistiche e occidentalismo nascenti. Le reazioni dell’Asia al dominio occidentale Le basi di civilizzazione della rivolta anti occidentale in Asia meridionale Una contraddizione tra i metodi occidentali applicati al mondo non occidentale e le idee di diritto e libertà occidentali si riscontra anche nelle relazioni all'interno dei singoli stati. Questi aspetti sociali furono evidenti soprattutto in India, il principale baluardo del potere imperiale britannico. Le istituzioni democratiche caratteristiche dell'egemonia britannica in Occidente non furono mai applicate all'India. L'India britannica fu governata principalmente da istituzioni coercitive e burocratiche. La distinzione liberale tra potere civile e potere militare era inesistente. I militari hanno spesso membri delle istituzioni governative e burocrati. La centralità delle istituzioni coercitive e dispotiche nel governo dell'India britannica rese evidente il fatto che i britannici non governarono l'India per il bene degli indiani. Il dominio coercitivo britannico si era presentato come una continuazione delle tradizioni politiche indigene. Il potere assoluto di redigere leggi in pratica limitato sia dei precetti religiosi sia dai costumi che avevano assunto valore di legge. La fondamentale distinzione tra potere e autorità era un aspetto centrale della tradizione politica dell'Asia meridionale. Economia e cultura univano ordinamenti e leggi civili. Le numerose lingue popolari e codici etici stabilivano le basi morali del sistema. I sistemi di dominio precoloniali erano estremamente oppressivi, ma lo sfruttamento e l'oppressione erano parte integrante di una civilizzazione che rendeva la loro logica flessibile persino accettabile. Proprio questo era il principio che il governo britannico dell'India non poté far suo. Il dominio britannico disgregò sistematicamente stili di vita consolidati e perseguì obiettivi contrari a tutti principi morali della civiltà indiana. Le rivolte popolari raggiunsero il proprio apogeo con la grande rivolta del 1857. Essa indusse la Gran Bretagna ad abbandonare l'introduzione di nuove istituzioni politiche e sociali e a ripristinare quelle indigene. Una volta che gruppi dominanti del vecchio regime asiatico furono tenuti a freno, la Gran Bretagna poté trasformare in utili alleati per estendere il proprio dominio alle classi subalterne. Tuttavia, tale dominio conquistò un consenso molto limitato o nullo tra le classi subalterne stesse. Le modernizzate elites indigene che capeggiava nei movimenti nazionalistici ebbero come obiettivo quello di un'autodeterminazione nazionale, ovvero l'installazione di uno Stato sovrano nazionale all'interno del moderno sistema interstatale imperniato sull'Europa. Leghe occidentali di diritto e libertà giocarono un ruolo secondario nella mobilitazione nazionale delle classi subalterne. Le credenze tradizionali di potere, protezione, onestà e dissenso, ereditate dalla civiltà indigena e violate dalla civiltà occidentale giocarono un ruolo molto più importante. Gandhi divenne mahatma perché congiunse la lotta nazionalista a una fondamentale critica e al netto rifiuto della civiltà moderna nel suo complesso. Dopo l'indipendenza l'industrializzazione moderna venne vista come necessaria all'India per il raggiungimento dei paesi occidentali. Caos e governo del mondo - 27 trasformazione della periferia dell'ex sistema tributario-Commerciale sinocentrico nella periferia del sistema tributario-Commerciale legato all'egemonia statunitense. Il sistema egemonico statunitense aveva una struttura e un orientamento molto più militarizzato del suo predecessore cinese. Esso incoraggiò una specializzazione funzionale tra gli Stati imperiali e quelli sudditi. Mentre gli Stati Uniti si specializzarono nel fornire protezione e nel perseguimento del potere politico a livello regionale e globale, gli stati sudditi si specializzarono nel commercio e nel perseguimento del profitto. La divisione del lavoro è stata particolarmente importante nel delineare la relazione tra gli Stati Uniti e il Giappone. L'espansione economica giapponese generò un processo a valanga di concatenate tornate di investimenti alla ricerca di manodopera nella regione circostante, che sostituì gradualmente il patronato statunitense come principale forza trainante dell'espansione economica asiatico- orientale. Nel frattempo il regime militare mistico statunitense in Asia orientale aveva iniziato a disfarsi poiché la guerra in Vietnam aveva distrutto ciò che la guerra di Corea aveva creato. La Cina fu riammessa nei normali rapporti commerciali diplomatici con il resto dell'Asia orientale, estendendo così la portata dell’integrazione e dell'espansione economica della regione. Tra Stati Uniti e Giappone si instaurò una relazione di mutua sudditanza: il Giappone dipendeva dagli Stati Uniti per la difesa militare, ma la riproduzione dell'apparato produttivo della difesa statunitense giunse a dipendere sempre più criticamente dalla finanza e dell'industria giapponese. La reinterpretazione della Cina nei mercati regionali e globali riportò in gioco uno Stato in cui dimensione demografica, abbondanza di manodopera e di risorse imprenditoriali e potenziale di incremento sorpassava facilmente tutti gli altri Stati che operavano nella regione. Il mediatore che ha facilitato il connubio del capitale estero con la manodopera cinese è la diaspora capitalista cinese d’oltremare. La vera ironia della situazione è che uno dei più cospicui retaggi delle violenze occidentali del XIX secolo sulla sovranità cinese adesso emerga come un potente strumento di emancipazione della Cina e dell'Asia orientale dal dominio occidentale. Negli anni della guerra fredda il tradizionale ruolo della diaspora come intermediario commerciale era impedito dall'embargo commerciale statunitense e dalle restrizioni di quest'ultima al commercio interno e con l'estero. L'espansione delle reti di potere statunitensi e delle reti commerciali giapponesi dire alla diaspora parecchie opportunità per esercitare nuove forme di intermediazione commerciale. Quando le restrizioni commerciali alla Cina si ridussero, la diaspora apparve come la più importante forza in grado di riunificare l'economia della regione asiatico-orientale. Quale che sia il risultato finale, l'attuale ascesa dell'Asia orientale come il più dinamico centro di accumulazione su scala mondiale può essere tuttavia considerata come un segno che il lungo processo di ingerenza e dominio occidentale in Asia ha fatto, o sta per fare, il giro completo. La rinascita dell'Asia orientale è il prodotto sia delle contraddizioni dell'egemonia mondiale statunitense sia del retaggio storico dell'Asia orientale. La contraddizione dell'egemonia mondiale statunitense riguarda principalmente la dipendenza del potere e della ricchezza statunitensi da un percorso di sviluppo caratterizzato da una costosa struttura difensiva ed elevati costi riproduttivi. In nessun luogo come in Asia queste contraddizioni furono più evidenti. E’ di uguale importanza il fatto che l'eredità geostorica dell'Asia orientale, basata su costi riproduttivi bassi e sulla struttura difensiva poco costosa, offrì agli enti governativi e commerciali della regione un decisivo vantaggio competitivo di fronte alla costosa struttura difensiva e agli elevati costi riproduttivi degli Stati Uniti. La rinascita è stata accompagnata dalla differenziazione strutturale del potere nella regione che ha lasciato gli Stati Uniti il controllo di gran parte degli armamenti, a Giappone e alla diaspora commerciale cinese il controllo di gran parte del denaro e alla Repubblica popolare cinese il controllo di gran parte della manodopera. Questa differenziazione strutturale rende improbabile per qualsiasi singolo Stato che operi nella regione acquisire le capacità necessarie per diventare egemonico sia a livello regionale sia a livello globale. Solo una pluralità di stati che agisce di concerto ha una qualche possibilità di sviluppare un nuovo ordine mondiale. Il processo di espansione economica e l'integrazione della regione asiatico-orientale sono un processo strutturalmente aperto resto del mondo. Tale apertura è un retaggio della natura interstiziale del processo nei confronti delle strutture di potere degli Stati Uniti ed è in parte dovuta all'importante ruolo giocato dalle reti commerciali informali nel promuovere l'integrazione della regione. È dovuta anche alla continua dipendenza dell'Asia orientale dalle altre regioni dell'economia globale per materie prime, tecnologie e prodotti culturali. L'adattamento all'emergente leadership economica dell'Asia orientale sulla base del retaggio geostorico proprio di ciascuna regione è la più promettente linea di azione per gli stati del mondo occidentale. CONCLUSIONI Caos e governo del mondo - 27 La migliore comprensione di ciò che abbiamo esposto in questo libro può essere sintetizzata in cinque enunciati, che noi avanziamo come ipotesi che potranno essere respinte se smentite dai fatti, o, se non respinte, potranno servire da strumenti per monitorare il mutamento sistemico in atto. Primo enunciato: L’espansione finanziaria globale degli ultimi vent’anni circa non è né un nuovo stadio del capitalismo mondiale né il prodromo di una “imminente egemonia dei mercati globali”. Piuttosto, è il segno più chiaro del fatto che ci troviamo nel bel mezzo di una crisi egemonica. In quanto tale, l’espansione può essere considerata un fenomeno temporaneo che si concluderà più o meno catastroficamente, a seconda di come la crisi sarà affrontata dalla potenza egemonica in declino. Secondo enunciato: La più importante novità geopolitica dell’attuale crisi egemonica è una biforcazione di risorse militari e finanziarie che non ha precedenti nelle passate transizioni economiche. La biforcazione riduce la probabilità che scoppi una guerra fra gli elementi più potenti del sistema. Non riduce però la possibilità di un deterioramento dell’attuale crisi egemonica in un periodo più o meno lungo di caos sistemico. Terzo enunciato: Diversamente dall’espansione finanziaria globale, la proliferazione- in numero e varietà- di imprese e comunità d’affari transnazionali è una caratteristica nuova e probabilmente irreversibile della presente crisi egemonica. Essa è stata un fatto importante nella disintegrazione dell’ordine egemonico statunitense e si può prevedere che continui a incidere profondamente sul mutamento sistemico in corso, attraverso una generale, benché per nulla universale, perdita di potere degli stati. Quarto enunciato: La perdita di potere dei movimenti sociali- in particolare del movimento operaio- che ha accompagnato l’espansione finanziaria globale degli anni ottanta e novanta è un fenomeno in larga misura congiunturale. Essa è il segno delle difficoltà che comporta io mantenimento delle promesse del New Deal globale patrocinato dagli Stati Uniti. Una nuova ondata di conflitti sociali è probabile e si può prevedere che rifletterà la maggiore proletarizzazione, la crescente femminilizzazione e i mutamenti della configurazione spaziale ed etnica della forza-lavoro mondiale. Quinti enunciato: Lo scontro tra civiltà occidentali e non occidentali è alle nostre spalle più che di fronte a noi. Ciò che abbiamo di fronte sono le difficoltà della trasformazione del mondo moderno in una comunità di civiltà, che rifletta il cambiamento in atto dell’equilibrio di potere fra civiltà occidentali e non occidentali, in particolare la riemergente civiltà imperniata sulla Cina. Quanto drastica e dolorosa sarà questa trasformazione . o, per meglio dire, se finirà per portare a una comunità piuttosto che alla reciproca distruzione delle civiltà mondiali - dipende in definitiva da due condizioni: in primo luogo, quanto intelligentemente i centri principali della civiltà occidentale saranno capaci di adattarsi a una posizione meno eminente; in secondo luogo, se i centri principali delle riemergente civiltà imperniata sulla Cina sapranno collettivamente mostrarsi all’altezza del compito di fornire soluzioni a livello di sistema ai problemi a livello di sistema lasciati in eredità dall’egemonia statunitense. Caos e governo del mondo - 27 Caos e governo del mondo - 27
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