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Capisaldi del sistema hegeliano, Dispense di Filosofia

Dispense di approfondimento di hegeliano, fatte molto bene

Tipologia: Dispense

2015/2016

Caricato il 28/11/2016

giorgia64
giorgia64 🇮🇹

4.5

(52)

60 documenti

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Scarica Capisaldi del sistema hegeliano e più Dispense in PDF di Filosofia solo su Docsity! ISTITUTO SALESIANO “PIO XI” GINNASIO LICEO CLASSICO “SACRO CUORE” CAPISALDI DEL SISTEMA HEGELIANO INTRODUZIONE Fichte ritiene che tra la soggettività ideale e la realtà umana esista una distanza insuperabile, una differenza, una non identità, che non può mai essere tolta; proprio perché c’è rapporto tra realtà e idealità, l’io reale e l’Io ideale si distinguono come due poli diversi: nel singolo agisce una forza ideale, un principio attivo, “L’Io pone se stesso”, che dà vita alla coscienza umana come capacità di rapportarsi al mondo degli oggetti. L’Io infinito sa che non c’è soggetto senza oggetto e agisce liberamente di conseguenza: esige e imprime il movimento dialettico tra l’ “io” e il “non-io”: porre se stesso è necessariamente opporre a sé il non-io (la coscienza, dirà Husserl, è sempre coscienza-di-qualcosa). Questa forza ideale, che esprime la nostra universale e concreta soggettività, individua nel confronto dialettico con la natura e in generale con gli oggetti (compresi come “non-io”) molteplici io/soggetti concreti, “divisibili”, finiti, cioè impegnati, affaccendati, nei confronti dei rispettivi non-io/oggetti concreti. L’agire etico, il dovere che agita le coscienze individuali, è teso a superare la frattura insanabile tra essere e dover essere del soggetto; l’agire etico consiste nel portentoso tentativo, per dovere, di umanizzare il non-io (perciò è un Idealismo etico): esso consiste in una idealizzazione del reale da parte dell’io finito che si muove verso l’irraggiungibile libertà – una situazione in assenza di ostacoli, cioè di confronto dialettico. Già Kant aveva spiegato la realtà come mondo dei fenomeni, degli oggetti, costituito dalle forme a priori messe in opera dalle facoltà del soggetto e quindi conoscibile. Secondo Fichte, che dà un primato alla ragion pratica, la realtà non è semplicemente il fenomeno conoscibile, ma acquista un senso pratico-dialettico, come ciò che si oppone alle intenzioni del soggetto: la natura, gli enti artificiali, gli altri io, non sono considerate come realtà in sé, ma neanche soltanto come realtà per noi, fenomeni, bensì come antitesi pratiche opposte all’io, in confronto dialettico rispetto al soggetto che le relazione a sé, le vive, le idealizza, ovvero dà loro, nella fase della sintesi, un senso, orientandole secondo umane finalità. Per Fichte, il non-io è antitesi dialettica dell’io – opposizione che nega l’io – e la sintesi è un mondo via via più umano, quindi una maggiore espressione della soggettività umana, in un cammino incompiuto verso l’assoluta libertà, ovvero verso l’assoluto dominio del mondo, cioè verso la sparizione del mondo e della differenza tra io e non-io, laddove c’è solo io, libertà, soggetto, senza limite e ostacolo. Protagonista della dialettica fichtiana è la soggettività umana; sin dall’inizio è la sua autoposizione ad essere dialettica. La dialettica fichtiana riguarda l’Io-che-pone-se-stesso, come pricipio attivo che costituisce e anima i soggetti concreti e li agita eticamente a realizzare un dover-essere che non è, a raggiungere una meta ideale attraverso successive negatività e opposizioni oggettive. Fichte non intende la sintesi come momento conclusivo, o, perlomeno, la ripresa sintetica dell’antitesi non è lo scopo finale del movimento autocostitutivo, che invece mira linearmente, con una sintesi sempre aperta, ad un soggetto ideale privo di qualsiasi resistenza oggettiva, non ostacolato. L’idealismo hegeliano è assoluto, in due sensi: 1) “ciò che è reale è razionale e ciò che è razionale è reale”, tutto è soggetto, il reale non è concepito come non-io, è esso stesso soggetto, è già ideale (vedi infra, il primo caposaldo); 2) secondo Hegel però “L’Intero viene da ultimo”, la totalità soggettiva/ideale si manifesta compiutamente, assolutamente, del tutto, nel suo grado conclusivo, con l’apparire storico dell’intelligente soggetto umano (da cui Fichte partiva) nella fase spirituale del ritorno a sé. Per Hegel la dialettica non è un movimento lineare, bensì circolare, cioè si ripete in ogni grado della “realtà” e ripercorre la strada dall’astratta realtà dell’Idea, come progetto ideale concentrato su di sé (in sé), al concreto reale naturale e spirituale, ‘nel’1 quale l’idea si manifesta in infinite forme diverse e particolari, che però ripetono sempre la necessità di essere in funzione di una totalità particolare e della Totalità delle totalità, ovvero dell’Intero. Platone poneva a fondamento della realtà e della sua comprensibilità/intelligibilità un mondo ideale, trascendente ed immobile, e non sapeva spiegare come le idee plasmassero il mondo reale: mancava la concezione dell’idea come soggetto in grado di muoversi e di automanifestarsi liberamente. L’idea platonica 1 A volte il linguaggio sembra dividere ciò che è identico: l’ideale non è trascendente rispetto alla realtà e nemmeno immanente, ma identico ad essa, è la realtà. 2 è caratterizzata infatti dalla fermezza e stabilità del suo essere in sé, dalla staticità della sua integralità olistica. Hegel insegna invece che l’idea è soggetto, cioè realtà razionale in movimento spontaneo autoepifanico (autorivelativo), identica ad esso e alle proprie manifestazioni. Aristotele risolveva il problema della trascendenza delle idee platoniche affermando l’immanenza delle forme: la sostanza – senso principale dell’essere – è sinolo di materia/potenza e forma/atto, dunque un’unione tra elementi diversi; inoltre Aristotele dichiara che la forma è più essere della materia, quindi la realtà sostanziale, in movimento di formazione dalla potenza all’atto, è caratterizzata dalla differenza insita nella sua struttura: l’immanenza delle forme ideali nel reale materiale non configura una identità di reale e razionale, perché segnata dalla separazione/differenza della forma razionale rispetto alla materia del reale: la forma, l’atto, manca alla materia; la potenza ne sente la mancanza ed è attratta da essa. Il movimento dalla potenza all’atto risulta viziato dunque di linearità e incompiutezza. L’attrazione non è il movimento dialettico a cui pensa Hegel. Il co-tutto del sinolo è rifiutato da Hegel perché il rapporto materia-forma, potenza-atto, già separa ciò che per l’idealista assoluto è identico. E il divino stesso, la forma perfetta, è ontologicamente differente dall’essere degli enti. Dal momento che la forma è detta immanente nella materia, Aristotele stabilisce una separazione tra forma e materia. Per l’idealista assoluto, invece, il materiale sensibile è intimamente ideale, ovvero immediatamente razionale e comprensibile: vuole-se-stesso, vuole un Sé, e sa esprimere-Sé, sa trovare se stesso, potremmo dire, come un vero, attivo, spontaneo soggetto. PRIMO CAPOSALDO I. La realtà, in quanto tale, è Spirito infinito. Asserto basilare per intendere Hegel sia: la realtà e il vero non sono sostanza (sostanza: l’essere del dogmatismo filosofico tradizionale, ad esempio il creato studiato dalla Scolastica o to on, l’ente, studiato dalla filosofia greca: entrambi qualcosa di già-dato, cioè di prefissato rigidamente, rispettivamente secondo il progetto divino che lo fa essere o secondo la propria essenza formale), la realtà e il vero sono Soggetto = Pensiero, Spirito = Attività, Processo, Automovimento. L’Io fichtiano, però, in quanto attività auto-ponentesi che sempre di nuovo oppone a sé il non-io e sempre di nuovo cerca di superarlo, ha il difetto, secondo Hegel, di non giungere mai a compimento: tra l’essere e il dover essere, tra il reale e il razionale, tra il finito e l’infinito (pura meta ideale) resta una distanza, una separazione, insuperabile. Dal momento che il limite viene sempre di nuovo spostato e che il suo superamento è sempre incerto e mai definitivo, l’Infinito a cui dà vita Fichte è soltanto potenziale, lineare, progressivo, ovvero secondo Hegel è un cattivo e falso infinito. Secondo l’idealismo hegeliano, “Ciò che è reale, è razionale, e ciò che è razionale, è reale”: la scissione tra Infinito e finito è tolta comprendendo lo Spirito, il Soggetto, l’Infinito, non come possibile progressione lineare della realtà umana verso l’ideale, bensì come reale movimento circolare di autogenerazione che, generando la propria determinazione/negazione (il finito) e superandola pienamente, ritorna a sé. Il reale, dunque, inteso nella sua identità con l’ideale, è compreso non come processo etico-pratico, ma come un processo ontologico che si autocrea mentre percorre i suoi momenti. Hegel sottolinea che il movimento dello Spirito è “il movimento del riflettersi in se stesso”: questo è il senso della circolarità. In questa “riflessione circolare” Hegel distingue tre momenti: 1) l’essere in sé; 2) l’essere fuori di sé ovvero l’esser altro; 3) il ritorno a sé ovvero l’essere in sé e per sé. Il processo triadico si verifica per il reale visto come Intero, per l’Assoluto come “circolo dei circoli” che si ritma nei tre momenti sopra specificati e, a riguardo dell’Intiero/Assoluto, denominati: “Idea”, “Natura”, “Spirito”. Il processo dialettico triadico si avvera però anche in ogni momento del reale, in ogni particolare totalità: l’esempio hegeliano recita: “l’embrione è in sé l’uomo, non lo è tuttavia per sé; per sé lo è soltanto come ragione dispiegata” e soltanto questa è la sua effettiva realtà (lo stesso vale per il seme-pianta). Come, dall’embrione all’uomo, è sempre la medesima realtà che si dispiega attuandosi e giungendo a sé medesima, così avviene per l’Assoluto: l’Idea (ossia il Logos, la Razionalità pura, la Soggettività illimitata, la Soggettività in senso idealistico) ha in sé il principio del proprio svolgimento, ha in sé la forza e la legge del proprio farsi, e, in sua funzione, prima si obiettiva e si fa natura “alienandosi”, e poi, superando questa alienazione, perviene a sé medesima. Perciò Hegel può dire: lo Spirito è l’Idea che si realizza e si contempla mediante il proprio sviluppo. Da qui, la tripartizione della filosofia in “Logica”, “Filosofia della Natura”, “Filosofia dello Spirito”. Lo Spirito, dunque, è infinito non in maniera esigenziale, ma in maniera sempre di nuovo attuantesi e realizzantesi, nelle diverse realtà che ne sono manifestazione, come continua posizione e risoluzione del finito: l’Infinito è il positivo che si realizza mediante la negazione della negazione propria di ogni finito reale; 3 la negazione della negazione, che risolve e toglie la rigida permanenza del finito e la invera nel dileguare, è la vera legge dialettica dello Spirito (così il fiore, negazione del bocciolo, e il frutto, negazione del fiore, sono momenti necessari che realizzano, inverano, la positività della vita della pianta, finché Tutto ricomincia). Il toglimento sempre realizzantesi del finito, il divenire, è lo Spirito-Soggetto-Infinito. Lo Spirito hegeliano, dunque, è un’uguaglianza, un’identità, che continuamente si ricostituisce. Il finito, di per sé, ha un’esistenza puramente ideale: è la manifestazione dileguante della vicenda infinita dello Spirito; l’individuale, come tale, non è reale, esiste soltanto e trova realtà e senso solo nel Tutto, come parte del tutto.
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