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CAPITOLO 10 geografia Fisica, Schemi e mappe concettuali di Geografia

Capitolo 10 geografia umana (fisica)

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2023/2024

Caricato il 24/05/2024

aliice18
aliice18 🇮🇹

4.4

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Scarica CAPITOLO 10 geografia Fisica e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Geografia solo su Docsity! CAPITOLO 10: La Tettonica delle placche: un modello globale 1. La dinamica interna della terra: lo studio del vulcanismo ha mostrato il continuo trasferimento di materiale caldissimo dall'interno della terra in superficie e, con la formazione di nuove rocce e la liberazione di fluidi che vanno ad alimentare l'idrosfera e l'atmosfera. La sismicità sottolinea invece la posizioni di fasce di crosta irrequiete. Si i vulcani, sia i terremoti mostrano di essere il risultato di qualche meccanismo globale, capace di far muovere l'intera parte più esterna del nostro pianeta. Numerosi sono stati i tentativi di trovare spiegazioni e collegamenti tra i vari fenomeni. Negli anni sessanta del XX secolo i rapidi progressi nelle tecniche consentono di raccogliere informazioni sul nostro pianeta, sia con analisi di laboratorio, si operando sul terreno, avendo fornito numerosi nuovi dati al sostegno di idee e ipotesi che da tempo si agitavano Tra gli studiosi delle scienze della terra. Alcune splendide intuizioni fecero parlare di una riscoperta della terra. Quella riscoperta si concretizzò in una teoria globale, nuota come tettonica delle placche: la formazione delle rocce, il sollevarsi di catene montuose, il vibrare sismico dell'intero pianeta, incessante a fluire in superficie di magmi incandescenti, il modificarsi di forma dei continenti e degli oceani trovano nella nuova teoria un'interpretazione unificante, un modello che descrive il nostro pianeta come un insieme di sistemi tra loro interdipendenti, legati da processi chimici, fisici e biologici attivi da miliardi di anni. 2. Alla ricerca di un modello: la crosta terrestre è il prodotto di una lunga evoluzione. La distribuzione geografica dei vulcani e degli eventi sismici caratterizza settori ben definiti. L'esame dei fenomeni sismici ci ha consentito di spingere le osservazioni fino al centro della terra di mettere in luce una struttura globale fatta di gusci concentrici di materiali diversi. La grande massa di dati e osservazioni ha portato all'elaborazioni di un modello globale dell'attività del pianeta, noto come tettonica delle placche. 2.1 la struttura interna della terra: soprattutto attraverso lo studio dei terremoti, si è giunti a riconoscere che il nostro pianeta presenta una struttura a involucri concentrici di diversa natura e spessore. Si riconoscono: • Una sottile crosta, relativamente leggera, che ricopre lo strato sottostante; • Uno spesso mantello roccioso, scomposto di silicati di ferro e magnesio e più denso della crosta, che avvolge a sua volta il guscio più interno; • Un grosso nucleo, distinto in nucleo interno e nucleo esterno, metallico, molto denso. 2.2 la crosta: La crosta è la parte più esterna del pianeta, Un involucro rigido e sottile, il cui spessore varia da una media di 35 km sotto i continenti a una media di 6 km sotto i fondi oceanici. La sua composizione è molto eterogenea. La sua densità varia da 2.7g/cm3 per le rocce basiche che costituiscono I vasti fondi oceanici, al di sotto della modesta copertura di sedimenti Marini. La base della crosta è indicata da una brusca discontinuità sismica, la superficie di Mohorovicic o Moho. 2.3 Il mantello: il mantello rappresenta l'82% in volume della terra e si estende dalla Moho fino a circa 2.900 chilometri di profondità, dove è presente la discontinuità sismica di Gutenberg. La pressione aumenta, con la profondità, da nove a circa 1400 kbar e la densità dei materiali sale da 3.3 a 5.6g/cm3. Le rocce del mantello presentano nel complesso notevole rigidità, resistono a compressioni e torsioni con deformazioni relativamente modeste, fino a rompersi bruscamente. I dati sismici hanno, messo in evidenza che, in una fascia tra 70 e 250 km di profondità, si trova l'astenosfera, interpretata come una zona in cui il materiale del mantello è parzialmente fuso. Si tratta di una zona più plastica. L'insieme della crosta e del mantello fino a l'astenosfera viene definito litosfera, per sottolinearne il comportamento complessivo più rigido nei confronti della sottostante astenosfera. Per risalire alla natura delle rocce del mantello sono state messe a confronto le velocità di propagazione entro il mantello di onde meccaniche con le analoghe velocità determinate in laboratorio per tutta una serie di materiali. I materiali il cui comportamento più si avvicina a quello del mantello superiore sono le peridotiti. Le lavi di certi vulcani che Si originano al di sotto della crosta, nelle parti più alte del mantello, sono di natura basaltica, e contengono frammenti solidi di rocce strappati dalle pareti più profonde del condotto Vulcanico durante la loro risalita: tali frammenti sono di natura peridotitica. Più in profondità, il resto del mantello sembra composto, dagli stessi elementi, siligio, ossigeno, Ferro, magnesio, anche se organizzati in reticoli cristallini diversi, via via più adatti, con l'aumento della profondità, a resistere alle temperature e pressione crescenti. 2.4 il nucleo: la discontinuità sismica di Gutenberg segna il passaggio al nucleo della Terra che comprende il 16% del volume della terra. La pressione aumenta con la profondità, da 1400 fino a 3600 kbar; la densità aumenta bruscamente in corrispondenza della discontinuità di Gutenberg, passando a 9.7g/cm3, e continua ad aumentare fino a raggiungere i 13g/cm3 al centro della terra. I dati sismici indicano che il materiale della parte più esterna del nucleo alle caratteristiche di un fluido, poi si passa ad un nucleo solido, che rimane tale fino al centro della terra. Sulla natura del nucleo sono state fatte varie ipotesi: geofisici E geochimici sono concordi sulla natura di lega Metallica del nucleo, formato di ferro puro, con qualche elemento meno denso, come il silicio e lo zolfo. 3. Un segno dell’energia interna della Terra: il flusso di calore: L’interno della Terra è molto caldo e il pianeta perde continuamente calore da tutta la sua superficie. 3.1 Il flusso di calore: Il flusso termico terrestre è molto basso: in media 0,06W per m2. Il flusso termico è il più importante tra i fenomeni terrestri, poiché la quantità di energia che viene liberata per tale via in un anno è 50 volte maggiore dell’energia liberata da tutti i terremoti e da tutte le eruzioni vulcaniche nello stesso periodo di tempo: questi fenomeni sono legati al flusso di calore. La Terra ci appare come un gigantesco motore termico. Un tempo si riteneva che il calore terrestre fosse unicamente il residuo dello stadio primordiale della Terra ma tale ipotesi è risultata ben presto inadeguata. Si è dovuti arrivare alla scoperta della radioattività per individuare la soluzione del problema. Tra i materiali che costituiscono la Terra sono presenti vari isotopi radioattivi (nuclei di atomi di un elemento che contengono lo stesso numero di protoni ma diverso numero di neutroni). Si tratta di isotopi instabili, che con il tempo si modificano spontaneamente con emissioni di particelle nucleari e si trasformano in isotopi di elementi diversi. L’energia cinetica delle particelle emesse dagli isotopi radioattivi si trasforma nel calore che fluisce continuamente dalla superficie della Terra. Esistono sulla superficie terrestre zone con flusso termico molto più elevato della media, come le dorsali oceaniche; tali situazioni sono dovute all’esistenza di correnti convettive nel mantello, cioè a spostamenti di materiale più caldo che risale da zone profonde verso l’alto, dove parte del calore si libera e fa aumentare il flusso termico locale, mentre altro materiale, raffreddatosi in vicinanza della superficie, ridiscende verso il basso. In determinate condizioni anche i solidi possono “scorrere”, comportandosi come fluidi. All’interno del mantello, masse di rocce profonde, divenute più calde del materiale circostante a causa del decadimento degli isotopi radioattivi, tendono a risalire verso la crosta, sia pure con movimenti lentissimi, mentre masse di rocce vicine alla crosta, divenute più fredde, scendono verso il basso, dove tornano a riscaldarsi e possono risalire nuovamente verso la crosta. L’origine di questi rimescolamenti di materiali va cercata in una disomogeneità termica del mantello, a sua volta dovuta a una distribuzione originaria non omogenea degli grandi catene montuose. Le vaste aree continentali ci appaiono oggi come un mosaico di aree cratoniche e di fasce orogeniche. Le aree cratoniche (o cratoni) sono le parti più antiche. I cratoni sono formati dai resti di catene montuose molto antiche, spianate dall’erosione, e sono stabili. Le fasce orogeniche (orogeni) sono quelle in cui l’orogenesi si è verificata in tempo meno antichi: la crosta in cui si è manifestato non ha ancora raggiunto la stabilità delle aree cratoniche. Cratoni e orogeni sono strutture diverse, ma strettamente collegate. Rappresentano il prodotto del continuo “riciclaggio” della crosta continentale. 5.2 L’isostasia: La densità media della crosta continentale di circa 2,7 g/cm3, quella della crosta oceanica di circa 3 g/cm3. In entrambi i casi si tratta di valori inferiori alla densità media del mantello che vale circa 3,3 g/cm3. La tendenza della crosta raggiungere una posizione di equilibrio attraverso il fenomeno del galleggiamento e chiamata isostasia, che indica una condizione di uguale equilibrio nei confronti della forza di gravità, dei settori della crosta terrestre posti a quote diverse. Vengono chiamati aggiustamenti isostatici i movimenti verticali con cui la crosta reagisce ad ogni modifica di tale equilibrio. Quando un settore di crosta si deforma e come risultato Si solleva una catena montuosa si osserva che i materiali della crosta risultano scesi a parecchi km di profondità rispetto alla crosta continentale non sollevata. Dopo l'orogenesi, quel settore di crosta è aumentato di spessore ed è diventato più pesante: come conseguenza, e sprofondato nel sottostante mantello, finché la spinta di galleggiamento non è ricompensa il maggior peso. In superficie, a quel settore di crosta ispessito corrisponde una catena montuosa, che, può restare sollevata, rispetto alla quota media della crosta continentale, perché è sostenuta dal grosso inspessimento di materiale crostale leggero, che costituisce le radici dell'orogeno. A mano a mano che l'erosione demolisce la nuova catena montuosa, le radici si riducono di volume, continuando a tenere sollevati rilievi sempre meno imponenti. La Moho sta a indicare la posizione di equilibrio raggiunta dai due tipi di crosta nel loro galleggiamento nel mantello. Quando si esercita una forza su un solido per tempi lunghissimi, per cui un materiale che, sollecitato bruscamente da una forza, si comporta in modo rigido, se viene sollecitato da una forza anche minore, ma applicata a lungo con continuità, risponde deformandosi come se fosse una sostanza estremamente viscosa. Nel caso del mantello, la sollecitazione dovuta a un terremoto e molto brusca e i suoi materiali reagiscono in modo rigido; ma lo sforzo esercitato dalla crosta ispessita si prolunga per milioni di anni e il mantello reagisce come un materiale molto viscoso e può scorrere, sia pure con estrema lentezza. 6. L’espansione dei fondi oceanici: 6.1 La deriva dei continenti: Secondo A. Wegener, circa 200 milioni di anni fa veri lembi di crosta continentale, oggi separati tra loro da ampi oceani, si trovavano uniti in un unico grande continente, cui diede il nome di Pangèa (“tutto terra”), circondato da un unico grande oceano, chiamato Pantàlassa (“tutto mare”); la Panhìgèa si sarebbe smembrata in più parti (destinate a diventare le Americhe, l’Africa, l’Eurasia, l’India, l’Australia, l’Antartide), che si sarebbero sempre più allontanate tra loro secondo un meccanismo noto come deriva dei continenti. La teoria della deriva dei continenti partiva da promesse valide e i dati oggi disponibili non possono far altro che confermare la diaspora dei frammenti di Pangea. Tutta la teoria di Wegener venne contrastata, mentre la mobilità della crosta veniva ammessa solo per movimenti isostatici. Per affermarsi l'idea di una terra mobile aveva bisogno di nuovi dati. Negli anni 60 del XX sec., l'Impiego di mezzi adeguati e di tecniche d'avanguardia permise di scoprire che il “pavimento” degli oceani non è stabile, ma in continua evoluzione: la crosta oceanica si rinnova e si consuma incessantemente. 6.2 Le dorsali oceaniche: Sul fondo degli oceani si snoda in un sistema di dorsali sommerse, lungo complessivamente oltre 60.000 km: sono state spesso paragonate a catene montuose sommerse, ma in realtà sono qualcosa di totalmente diverso. Le dorsali oceaniche corrispondono a una lunghissima fascia di crosta oceanica, ampia da 1000 a 4000 km, inarcata verso l'alto. È una specie di gigantesca cicatrice in rilievo che dal mar Glaciale Artico serpeggia attraverso l'Atlantico, l'indiano e il Pacifico meridionale e orientale, con alcune diramazioni, come quella che dall'Oceano Indiano sale verso nord e prosegue lungo il Mar Rosso. La cresta del sistema di dorsali e ovunque segnata da un solco longitudinale Largo qualche decina di km e profondo 1500/3000 m, chiamato Rift Valley: in qualche punto arriva ad emergere dalla superficie del mare, come alle isole Azzorre E in Islanda. Tale depressione è limitata su due lati da scalinate di ripide pareti tra loro parallele che corrispondono a un sistema di faglie attraverso l'intera crosta. Un diverso sistema di faglie disarticola le dorsali in numerosi segmenti, ciascuno dei quali risulta spostato rispetto a quelli contigui. Tali lacerazioni sono state chiamate faglie trasformi. Il tratto di faglia compreso tra due segmenti the Rift Valley, il fondo oceanico si muove in due direzioni opposte, provocando violenti terremoti per il forte attrito. Un tipico esempio è la faglia di San Andreas. Lungo le faglie che delimitano la Rift Valley risale magma che fuoriesce Da innumerevoli punti sul fondo del mare e solidifica come roccia basaltica. Numerosi terremoti, con ipocentro tra la superficie e una decina di chilometri, si verificano lungo tutta la Rift Valley e lungo le faglie trasformi. Sul fondo delle Rift Valley sono state scoperte numerose sorgenti idrotermali. L'acqua fredda del mare penetra nelle fratture lungo le dorsali, scende per parecchi chilometri e si riscalda a contatto con i basalti. Divenuta meno densa, l'acqua risale fino a sorgere con violenza dal fondo Marino, con un getto caldissimo, fino a 380°C, ricco di minerali e gas portati via in soluzione dai basalti. Tali sorgenti sono chiamate fumaioli neri per il colore del getto; a contatto con l'acqua fredda del mare, dalla soluzione calda precipitano chimicamente i minerali, che formano ciminiere alte alcuni metri. Inaspettata è stata la scoperta intorno ai fumaioli di Oasi di vita popolate da specie sconosciute di vermi, molluschi bivalvi, granchi e altri organismi punto alla base della loro catena alimentare vi sono dei solfobatteri. Alla profondità di 3000 metri, dove la luce non penetra, si sono sviluppati ecosistemi che si basano su una forma di chemiosintesi. Sotto la crosta oceanica, in corrispondenza delle dorsali, Esiste un flusso ascendente continuo di materiale molto caldo. Il materiale risale dai livelli profondi entro il mantello, dove Fortis squilibri termici attiverebbero Ampi movimenti convettivi. In vicinanza della superficie parte del materiale caldo passerebbe allo stato fuso e risalirebbe attraverso le fratture che delimitano la Rift Valley, fino a traboccare sul fondo del mare e a dare origine ai grandi accumuli di lava a cuscini. La quantità di lava che fuoriesce lungo le dorsali e importante, ma pur sempre una piccola frazione dell'enorme massa di materiale caldo, ma solido, e risalita dal mantello. In prossimità della superficie tale massa si espande, dividendosi in due rami che si allontanano in direzione opposte continuando a perdere calore. Come conseguenza di questi movimenti profondi, in superficie i due fianchi delle dorsali si allontanano Luna dall'altro a partire dalla Rift Valley. Con il raffreddamento, tale magma forma nuovi ammassi di rocce effusive e intrusive, per uno spessore di qualche chilometro e su tutte le estensioni della Rift Valley. Non appena consolidate, anche le nuove rocce vengono coinvolte nel meccanismo in atto: essendosi formate lungo il fondo dell'intera Rift Valley, una parte di esse risulterà saldata a un fianco della dorsale, l'altra parte all'altro fianco. I fondi oceanici si accrescono e si espandono a partire dalla Rift Valley con un movimento continuo. L'accrescimento e il movimento non riguardano la sola crosta, ma l'intera litosfera e coinvolgono anche la parte più alta del sottostante mantello. Sotto le dorsali La litosfera si assottiglia e l'astenosfera risale in prossimità della superficie, con le rocce già prossime al punto di fusione. 6.3 Le fosse abissali: Le fosse abissali sono depressioni del fondo lunghe migliaia di km e relativamente strette, molte delle quali scendono a più di 10000m di profondità. Un tipico allineamento di tali strutture è presente lungo il bordo occidentale del Pacifico, dove le fosse si susseguono dallo Stretto di Bering fino alla Nuova Zelanda. Rispetto alla sua quota media, il fondo oceanico scende, in corrispondenza di una fossa, di oltre 5km. L’attività vulcanica è sistematicamente presente, ma è localizzata a una certa distanza dalla fossa, dove si individua un arco vulcanico. Se la fossa fiancheggia il margine di un continente, lungo quest’ultimo si innalza una catena di vulcani. Se la fossa è in pieno oceano, parallelamente ad essa di osserva un arco di isole vulcaniche (Isole Marianne). Il vulcanismo lungo le fosse è esplosivo, alimentato da magmi molto ricchi di gas e vapori. Tutte le più violente esplosioni vulcaniche si verificano in prossimità di una fossa oceanica. Il magma che alimenta un tale tipo di vulcanismo è andesitico. I sistemi arco-fossa, sono accompagnati da forte sismicità. La superficie o piano di Benioff, scende in profondità con un angolo, rispetto alla superficie terrestre, compreso in genere tra 30 e 70°. Questo allineamento di terremoti ha fatto pensare alla presenza di grandi faglie che scendono in profondità. 6.4 Espansione e subduzione: Il collegamento tra dorsali e fosse è al centro dell’ipotesi dell’espansione dei fondi oceanici. In tale ipotesi, le dorsali oceaniche, in rilievo rispetto alle piane abissali, sono sostenute dalla risalita di materiale caldo in movimento nel mantello. L’inarcamento della litosfera ne provoca la fratturazione e l’assottigliamento, per cui la rift valley corrisponde a una gigantesca crepa estesa su tutto l’involucro litosferico. Attraverso la rifl valley, parte del materiale del mantello risale e alimenta il vulcanismo della dorsale, i cui prodotti contribuiscono alla formazione di nuova crosta oceanica, mentre sotto la crosta si accresce nuovo mantello. A sua volta la litosfera oceanica si allontana da un lato e dall’altro della rift valley, si raffredda e diviene più densa e si abbassa di quota rispetto alla dorsale: si forma così il pavimento delle vaste piane abissali. A una certa distanza dalle dorsali la litosfera divenuta più fredda e pesante, comincia ad affondare, con un lento movimento, detto di subduzione. Nella sua discesa entro zone a temperature più elevate, la litosfera di riscalda e comincia a fondere, finché in profondità risulta ampiamente riassimilata. La fusione graduale della costa oceanica e dei sedimenti che la ricoprono produce grandi volumi do magma che, essendo meno denso del materiale del mantello circostante, risale verso la superficie e alimenta il vulcanismo degli archi vulcanici. La discesa della litosfera avviene con violenti attriti, che si manifestano come terremoti. La superficie di Benioff viene interpretata come una “radiografia” che permette di intravvedere la litosfera che sprofonda. La mancanza di ipocentri più profondi di circa 700km sarebbe un segno che gran parte della litosfera è stata riassimilata, oppure che, a causa della perdita di rigidità dei materiali per l’elevata temperatura, non si verificano più i meccanismi che originano i terremoti a minori profondità. L’ipotesi dell’espansione dei fondi oceanici apparve promettente fin dalla sua prima formulazione, nel 1960, ma rimaneva “un saggio di geopoesia” finchè non si fosse trovata una “prova indipendente” che ne confermasse l’attendibilità. 7. Le anomalie magnetiche sui fondi oceanici: Le navi oceanografiche Chi è percorrevano i mari all'inizio degli anni sessanta erano provviste di sensibili magnetometri, strumenti in grado di misurare in modo continuo due continenti viene ridotto in ampiezza fino ad estinguersi. I grandi accumuli di sedimenti vengono compressi nella gigantesca “morsa” e deformati in pieghe e falde. Anche alcuni lembi del pavimento basaltico dell’oceano vengono coinvolti nella collisione e si ritrovano lungo l’asse della catena montuosa come ammassi di rocce chiamare ofioliti. • Accrescimento crostale: si verifica quando frammenti di crosta di varia natura, in origine in aree anche molto lontane fra loro, si trovano “incastonati” in una placca oceanica in lento movimento verso una fossa di subduzione. Man mano che arrivano nella fossa, questi frammenti verrebbero strappati via dalla placca che sprofonda e spinti ad accavallarsi contro il margine del continente lungo cui si trova la fossa. • Costa oceanica sotto crosta oceanica: nel caso in cui le due placche coinvolte sono entrambi oceaniche, i magmi che si formano per la fusione parziale della placca in subduzione e del mantello sovrastante risalgono fino a traboccare sul fondo dell’oceano. Si forma una catena di vulcani sottomarini, che arrivano ad emergere. Il continuo afflusso di magmi e l’accumulo di sedimenti prodotti dall’erosione dei vulcani allarga gli edifici e si origina un arco insulare. 8.3 Il ciclo di Wilson: Fosse e dorsali non sono forme stabili: prima o poi le fosse vengono distrutte in un processo di collisione, mentre le dorsali diventano inattive. Ma gli stessi mutamenti nei moti del mantello possono far nascere una nuova dorsale e un nuovo oceano con un processo in tre stadi. • Quando grandi volumi di materiale caldo, in risalita nel mantello, arrivano al di sotto di un lembo di litosfera continentale stabile, questa si incarca e si frattura. Le lunghe spaccature provocano un allineamento di grandi fosse tettoniche delimitate da faglie. Dalle spaccature fuoriesce il magma che ricopre il fondo delle fosse. È lo stadio embrionale, che si osserva nel sistema della Great Rift Valley. • Se il processo di espansione continentale, i due margini continentali si allontanano e le lave in risalita formano una prima striscia di nuova crosta oceanica, mentre le acque dei mari vicini cominciano ad invadere la depressione che si apre. È lo stadio giovanile, in cui si trova il Mar Rosso. • La fase successiva porta allo stadio di maturità. L’oceano si è ampliato, mentre lungo i margini dei due continenti l’accumulo dei detriti portati dai fiumi dà origine ai prismi sedimentari. Questi importanti depositi corrispondono alla piattaforma continentale e alla scarpata continentale, che bordano tutti i continenti. Sul fondo dell’oceano in espansione le bande di anomalie magnetiche registrano lo scorrere del tempo. Un oceano non può allargarsi all’infinito. Il fondo del vecchio oceano si consumerà per l’attivarsi di qualche nuova fossa di subduzione, finché i due continenti entreranno in collisione e si salderanno in un unico continente, mentre i prismi sedimentari formeranno una catena montuosa. Può anche accadere che un oceano, invece di richiudersi, continui ad espandersi per il contemporaneo chiudersi di altri oceani, finché tutti i lembi di crosta continentale finiranno per trovarsi saldati in un unico continente. La Pangèa non è sempre esistita; si è formata a seguito di una serie di collisioni tra continenti ancora più antichi, derivati a loro volta dallo smembramento di un altro supercontinente esistito circa 500 milioni di anni fa e chiamato Pannotia, a sua volta preceduto da altri supercontinenti. Il ciclo del supercontinente o ciclo di Wilson è la nuova unità di misura dell’evoluzione del nostro pianeta e ha una durata dell’ordine di circa 500 milioni di anni. 9. La verifica del modello: 9.1 Vulcani: ai margini delle placche o all’interno delle placche: - Il vulcanismo essenzialmente effusivo lungo l’asse delle dorsali oceaniche è dovuto alla risalita dalle profondità del mantello di materiale solido ma molto caldo che fa inarcare la litosfera. Il magma deriva dalla fusione parziale delle rocce del mantello ed è di natura basaltica e dà origine a lave fluide, che fuoriescono tranquillamente. - Il vulcanismo fortemente esplosivo è localizzato lungo gli archi insulari vulcanici o lungo il margine dei continenti che fronteggiano le fosse abissali. Tale vulcanismo è collegato al processo di subduzione, nel corso del quale la placca che sprofonda viene progressivamente fusa. La presenza di notevoli spessori di sedimenti marini fa sì che il magma prodotto dalla fusione sia ricco di silice e con abbondanti fluidi. Il vulcanismo dà origine a manifestazioni altamente esplosive. Le lave sono in gran parte da intermedie ad acide, ma non mancano lave basaltiche. La risalita di tali fluidi ad alta temperatura favorisce quel processo di intensa trasformazione e fusione della crosta continentale profonda che va sotto il nome di anatessi che porta alla formazione dei giganteschi batoliti. I centri vulcanici all’interno delle placche, sono localizzati sia in pieno oceano, sia sui continenti. In qualche caso si tratta di vulcanismo associato a grandi fratture della crosta che preludono all’apertura di un continente. Nella maggior parte dei casi siamo di fronte alla manifestazione in superficie di un punto caldo. 9.2 Terremoti: ai margini delle placche o all’interno dei continenti: La distribuzione dell’attività sismica coincide per oltre il 95% con i margini delle placche. • Lungo le dorsali, le forze che tendono a far allontanare uno dall’altro i due fianchi della rift valley provocano continuamente l’attivazione di numerose faglie, e questo si traduce in sismi di modesta entità, compresi entro i primi 10km di spessore della crosta. Il loro movimento laterale avviene a scatti, intervallati da periodi più o meno lunghi, durante i quali la faglia di ricarica. • La forte sismicità associata alle fosse oceaniche è legata alla subduzione di una placca sotto l’altra. Molti dei maggiori terremoti che si verificano in tale situazione sono compresi nei primi 50km di profondità e sono legati alle numerose faglie provocate nel margine della placca sovrastante dal fortissimo attrito con la placca in subduzione. A maggiori profondità i terremoti sarebbero conseguenza delle forti compressioni subite dalla placca di litosfera, fredda e relativamente fragile, che penetra nell’astenosfera e nel mantello superiore mentre viene pian piano consumata. • Nelle catene montuose di orogenesi recente non si sono ancora esaurite le spinte che hanno deformato e fatto saldare tra loro i margini venuti a contatto. Grandi masse rocciose vengono coinvolte negli sforzi in atto nella crosta e finiscono per dare origine a terremoti. Il settore di crosta ispessito a seguito della collisione tende a riacquistare una posizione di equilibrio isostatico e si muove verso l’alto, provocando altre deformazioni. • Una piccola percentuale di terremoti cade lontano dai margini. Si pensa che degli sforzi si possano propagare all’interno di una placca litosferica, e crescere fino a superare la resistenza delle rocce stesse, provocando uno dei rari terremoti localizzati all’interno di una placca. 10. Moti convettivi e punti caldi: I sismologi utilizzano le registrazioni di onde sismiche effettuate da migliaia di sismografi in tutto il mondo per analizzare sistematicamente l'interno della terra lungo molte direzioni diverse, in modo da costruire un modello tridimensionale della struttura profonda del pianeta. I sismologi hanno scelto come assunzione ragionevole che le regioni nelle quali le onde accelerano sono composte da materiali densi e relativamente freddi, mentre le regioni in cui le onde rallentano indicano la presenza di materiale relativamente caldi in grado di risalire per galleggiamento. • Vicino alla superficie si può osservare la struttura della tettonica delle placche. La bassa velocità delle onde S è rappresentata con colori caldi, mentre la velocità elevata delle onde S nella litosfera fredda e nei fondali oceanici antichi e rappresentate in colori freddi. • Più in profondità la distribuzione e la forma delle zone calde e fredde non sembra collegabile con zone di attività in superficie. Si osservano ampie regioni di mantello calde sotto i grandi bacini oceanici, mentre appare freddo il mantello sotto i vasti creatori continentali. • A profondità ancora maggiori non si osserva alcuna corrispondenza tra zone a diverse temperature e distribuzione dei continenti. • In prossimità del limite tra mantello e nucleo compare una regione calda posta sotto il centro dell'Oceano Pacifico. I sismologi hanno ipotizzato che le zone fredde rappresentino un cimitero di lembi di litosfera oceanica subdotti al di sotto degli archi vulcanici del Pacifico e scesi fino a toccare il nucleo durante gli ultimi 100 milioni di anni circa. Si mette in evidenza che lembi di litosfera fredda sprofondano attraverso l'intero mantello, dimostrando che il sistema della tettonica delle placche comprende molti convettivi che si estendono fino al limite nucleo- mantello. All'interno del mantello è necessario prendere in esame i fenomeni che si verificano al passaggio tra nucleo e mantello. Il fortissimo calore presente nel nucleo interno si propaga verso l'esterno. Il nucleo esterno che è allo stato fuso, assorbe questo calore. Come conseguenza, il nucleo esterno è agitato da energici vuoti convettivi con velocità di parecchi chilometri all'anno, che con grande efficacia trasferiscono il calore alla base del mantello. Nel mantello inferiore si localizzano regioni con diverse condizioni termiche, per cui vi si verificano moti convettivi. Dalle regioni più calde presenti alla base del mantello si innalzano colonne di materiale caldo, i pennacchi, che arriverebbero fino in superficie, dove si manifesterebbero nei punti caldi, caratterizzati da alto flusso termico e intenso vulcanismo. Tali punti sono attività milioni di anni e sembrano fissi rispetto al continuo movimento delle placche. I pennacchi caldi pomperebbero calore direttamente dal nucleo alla superficie, attraverso l'intero mantello. La tomografia sismica ha profondamente modificato il precedente modello di movimento nel mantello.
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