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Capitolo 10 Marazzini, Sintesi del corso di Storia della lingua italiana

Capitolo 10 del Marazzini riassunto

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016
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Caricato il 06/07/2016

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Beatrice_07 🇮🇹

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Scarica Capitolo 10 Marazzini e più Sintesi del corso in PDF di Storia della lingua italiana solo su Docsity! Capitolo 10: Il Seicento IL VOCABOLARIO DELL’ACCADEMIA DELLA CRUSCA L’Accademia della Crusca ebbe un’importanza eccezionale. La Crusca fu un’associazione privata, senza sostegno pubblico, in un’Italia divisa in stati diversi, ciascuno con la propria tradizione e quindi un Paese poco adatto a sottomettersi a un’unica autorità normativa; eppure l’Accademia portò a termine il disegno di restituire il primato della lingua a Firenze. L’attività della Crusca non fu certo esente da critiche, ma nessuno potè permettersi di ignorarla. Il suo contributo più grande si ebbe quando si indirizzò alla lessicografia, dal 1591; in quest’anno gli accademici discussero sul modo di fare il Vocabolario, attraverso un procedimento razionale di schedatura. Salviati aveva accennato tempo prima all’idea di un vocabolario in lingua toscana. Da Salviati proveniva l’impostazione (di fatto antibembiana) per cui gli autori minori erano giudicati degni, per meriti di lingua, di stare a fianco dei grandi della letteratura. A suo parere, i problemi ‘del contenuto’ e ‘della forma’ dovevano essere letti in due piani differenti: i meriti linguistici potevano accoppiarsi ad una grande modestia nella sostanza. Al momento della realizzazione del Vocabolario, Salviati era già morto; dopo di lui non ci fu in Accademia L’opera principale di Bartoli è “Istoria della compagnia di Gesù”, pubblicata dal 1650 al 1673, in cui descrisse anche i quadri geografici esotici in cui si erano svolte e si svolgevano le attività missionarie dei suoi confratelli gesuiti. Bartoli che non viaggiava mai, usò per il suo lavoro gli scritti di coloro che erano stati effettivamente in missione. LE EDIZIONI DEL 1623 E DEL 1691 DEL VOCABOLARIO: SVILUPPO DELLA CRUSCA E DELLA CULTURA LINGUISTICA TOSCANA La fortuna del Vocabolario della Crusca (prima edizione 1612) è confermata dalle due edizioni che uscirono in seguito: 1. la seconda edizione uscì nel 1623, analoga alla prima, tranne per alcuni aggiunte e correzioni 2. la terza edizione, stampata a Firenze e non più a Venezia, è del 1691 e si presenta diversa già dall’esterno: tre tomi al posto di uno, con il formato in folio e un aumento del materiale, sia per la quantità dei lemmi, che per gli esempi e la definizione delle voci. La terza Crusca insomma, fece un salto quantitativo notevole, consolidando il primato dell’Accademia di Firenze nel campo della lessicografia. Anche dal punto di vista qualitativo i cambiamenti erano sensibili; i lavori per la riedizione durarono per 30 anni e furono importanti i contributi di Dati, Segni, Redi, Magalotti, Salvini. Il binomio Redi-Magalotti era costituito da due letterati scienziati molto rinomati e ciò spiega la cura con cui la Nuova Crusca diede conto del linguaggio scientifico, includendo Galileo fra gli autori. Nella terza edizione si fece riscorso all’indicazione V.A., ossia Voce Antica, per segnalare le voci introdotte nel vocabolario, non per proporle all’uso dei moderni, ma a scopo storico-documentario: era uno strumento per facilitare la lettura degli scrittori antichi. Sul versante della modernità venne dato uno spazio maggiore a voci non documentate nell’epoca d’oro della lingua italiana, ossia il ‘300 e che risultavano dall’uso degli autori moderni. Inoltre furono inserite una serie di voci attestate da scrittori di scienza del ‘600, queste e altre voci furono scelte sull’autorità di scrittori contemporanei e dando la preferenza ai toscani. (esempio: microscopio, occhiale, edizione). Tra gli “Autori moderni” citati in difetto, vi sono diverse presenze non toscane, sia appartenenti al passato che ai contemporanei, come Iacopo Sannazzaro, Baldassar Castiglione, Chiabrera, Pallavicino. Annibal Caro era già stato inserito nella seconda Crusca, così come il Guarini, autore de “Il pastor fido”. Ma l’autore più significativo, inserito nella Terza Crusca è Torquato Tasso; vistosa è l’assenza di Marino, in quanto l’ambiente fiorentino era ostile agli eccessi del Barocco. Nella terza Crusca, inoltre, furono dedicate delle pagine alla spiegazione dei criteri generali seguiti per realizzare l’opera. IL LINGUAGGIO DELLA SCIENZA GALILEO E IL LINGUAGGIO DELLA SCIENZA La prosa del ‘600 deve molto allo sviluppo del linguaggio scientifico, prima di tutto per merito di Galileo. Galileo aveva cominciato a scrivere in italiano molto giovane, con “La bilancetta”, definendo una precisa preferenza per la lingua moderna, ma il suo insegnamento universitario a Padova fu in latino. La scelta fra le due lingue era dettata dalla fiducia a priori nel volgare, in quanto Galileo aveva affermato di usarlo per raggiungere coloro che avessero più interesse per la milizia che per la lingua latina: intento divulgativo. A Galileo non mancò mai la fierezza della propria lingua toscana, in quanto figlio di quella regione. Scelse il toscano, anche se all’inizio gli capitò di usare comunque il latino, come nei Sidereus nuncius. Il latino via via assunse la funzione di termine di confronto negativo, a cui rivolgersi polemicamente: ciò è evidente nel “Saggiatore” del 1623, dove sono riportate le tesi dell’avversario scritte in latino e confutate in italiano, dando vita così a un continuo dialogo tra le due lingue. Una volta compiuta la scelta del volgare, Galeileo dovette far sì che la lingua italiana si adattasse perfettamente ai compiti nuovi che le venivano assegnati. Pur scegliendo il volgare, non si collocò mai al livello basso-popolare; favorito dall’origine toscana, e temperato dal suo soggiorno lontano dalla patria (periodo padovano), seppe raggiungere un tono elegante e medio, con una chiarezza terminologica e sintattica e non rinunciò a mostrare alcuni difetti della lingua toscana viva e parlata, così come non rinunciò al sarcasmo e al paradosso. Non ci può essere discorso scientifico, senza il rigore logico e dimostrativo e la chiarezza linguistico – terminologica; anche quando non si trattava di testi scientifici, ricorreva sempre il richiamo a un oggetto particolare. Galileo quando nominava e definiva un concetto o una cosa nuova, preferiva attenersi ai precedenti comuni ed evitare di introdurre una terminologia inusitata o troppo colta. Preferì parole semplici e italiane, pur senza respingere gli eventuali tecnicismi greci e latini già esistenti e affermati. Quando toccò a lui stesso la responsabilità di scegliere, si comportò diversamente: si pensi allo strumento che egli nominò inizialmente come cannone o occhiale, e che poi prese il nome di ‘cannocchiale’. Presto l’oggetto assunse la denominazione di telescopio; ma il nome greco non fu coniato da Galileo. La scelta di assoluta semplicità di Galileo è ben illustrata dall’adozione di un’espressione come ‘macchie solari’, per indicare quelle chiazze che il cannocchiale gli aveva permesso di individuare sul sole. Migliorini ha mostrato come nel lessico di Galileo ritornino con frequenza alcune parole-chiave che rispecchiano concetti fondamentali del suo pensiero, come ‘esperienze chiare’, ‘osservazione esquisita’. La sua sintassi si snoda evitando le inversioni tipiche dello stile letterario boccacciano, di moda ai suoi tempi. Si trova frequentemente il calcolo nei suoi scritti, anche il Dialoghi sopra i due massimi sistemi. Galilei possiede anche un’eccezionale capacità descrittiva, che gli permettere di passare disinvoltamente dalle minuzie del mondo degli insetti alle regole generali della fisica e dell’astronomia. LA SCIENZA PIACEVOLE: REDI E MAGALOTTI Redi, scienziato, è tra i fondatori della biologia moderna e le sue prose consistevano in descrizioni i esperimenti, ricavate da appunti presi in laboratorio e svolte come relazione, che prende in genere la forma epistolare. Egli divideva la propria attività tra il settore scientifico e quello umanistico. Frequente era da C’è una polemica contro il dogmatismo grammaticale e contro l’autorità pedantesca e che si traduce in una concezione della lingua intesa come qualcosa di libero, destinato a mutare nel corso del tempo. Secondo Tesauro, la lingua è un sistema aperto e mutevole e lo scrittore è libero di sottrarsi alle convenzioni grammaticali; viene così legittimata la violazione della norma, purché sia fatta consciamente, da parte di chi conosce l’esistenza. Egli contrappose la cacofonia alla cacozelia: 1. la cacofonia, cioè il cattivo suono, è un vizio di forma 2. la cacozelia è il difetto di quelli che errano per essere rispettosi nei confronti delle norme grammaticali Anche le parole straniere, definite barbarismi, possono diventare eleganti; anzi proprio perché inusitate nella nostra lingua, hanno un effetto migliore di quello che si riscontra nell’idioma da cui provengono, perché diventano ‘pellegrine’. La polemica di Tesauro contro gli arcaismi lessicali ritorna in “Dell’arte delle lettere missive”, un trattatello di stile epistolare: a suo giudizio la maturità della lingua italiana, cominciata nel secolo XVI andava crescendo e la lingua moderna risultava migliore di quella antica. Alcune pagine del “Cannocchiale aristotelico” discutono della metafora, la figura retorica più caratteristica della poesia barocca. Aristotele nella “Retorica” aveva accennato alla metafora come strumento di effettiva conoscenza della realtà, capace di cogliere l’analogia tra cose differenti. La trattatistica barocca poté considerare la metafora come fulcro dell’attività poetica, frutto di un ingegno, che è la facoltà creativa, distinta dalla capacità razionale dell’uomo. Infatti l’ingegno è la facoltà creativa, non razionalità, tant’è vero che la poesia, secondo Tesauro, consiste in qualcosa di simile alla follia: anche i matti sono eccezionali fabbricatori di metafore e di simboli, come i poeti; anche i matti (come i poeti) sono dunque di ‘’bellissimo ingegno’’. SVILUPPO LETTERARIO DELLA PREDICAZIONE RELIGIOSA NEL XVII LA PREDICAZIONE BAROCCA La predicazione barocca presentava una serie di costanti: F 0 A 7 forte uso di esclamazioni F 0 A 7 presenza di interrogazioni, di invocazioni, di elencazioni F 0 A 7 giochi di rima, allitterazioni, assonanze, anafore. Si tendeva verso la metafora e la ridondanza lessicale, spesso in forma di climax e di gioco verbale. Le “Dicerie sacre” di Marino si collegano alla predicazione religiosa: Marino, pur essendo un laico, imitò lo stile e il genere della predica. Già nella seconda metà del ‘500 le raccolte di prediche avevano affiancato le raccolte dei discorsi laici, le orazioni politico- giudiziarie o celebrative. Nel ‘600 le raccolte di prediche furono pubblicate sotto il titolo di “Panegirici”, “Quaresimali”. I titoli costruiti secondo l’artificio della sorpresa furono comuni nel ‘600, così come l’uso di formule sorprendenti nel contenuto della predica. PADRE PAOLO SEGNERI E LE MISSIONI RURALI A Ségneri fu riconosciuta l’autorità linguistica dai compilatori della III edizione del Vocabolario della Crusca; egli fu il più famoso predicatore del XVII secolo e prese le mosse da una riforma dello stile barocco. Nella forma linguistica e nella struttura del sermone, Sègneri sembrava legato alla tradizione precedente, anche se fu rivoluzionario rivolgersi alle masse rurali. Il suo vero pubblico fu quello popolare, certamente predicò anche nelle città, di fronte a personaggi di alto rango. Egli intendeva raggiungere un pubblico solitamente trascurato, costituito dalla gente di campagna, che abitava in località sperdute, isolate, mai visitate dai predicatori più famosi. La grande affluenza popolare alle sue prediche ci obbliga a considerare la sua predicazione anche dal punto di vista dell’efficacia per la diffusione dell’italiano, se non altro per l’influenza sulla conoscenza passiva della lingua: per molti suoi uditori questa doveva essere un’occasione unica ed eccezionale per sentir parlare un oratore di qualità elevata. Di fronte a questo pubblico incolto, Sègneri non abbassò il livello linguistico della propria oratoria. Il predicatore usò strategie gestuali, coreografie orchestrate. L’ANTIFIORENTINISMO DI PAOLO ARESI L’ “Arte di predicar bene” fu l’opera principale dell’autore, difensore della dignità del volgare. A suo giudizio il volgare era uno strumento degno di trattare problemi di retorica ecclesiastica. Aresi non ignorava l’esistenza della predica pronunciata in dialetto, ma esso non era accettabile per due motivi: 1. perché faceva venire meno l’obbligo della nobiltà del dettato 2. perché sarebbe stato impossibile per un predicatore itinerante far uso di parlate diverse.
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