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Capitolo 11 Marazzini, Sintesi del corso di Storia della lingua italiana

Riassunto del capitolo 11 del Marazzini

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

Caricato il 06/07/2016

Beatrice_07
Beatrice_07 🇮🇹

4.5

(44)

37 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Capitolo 11 Marazzini e più Sintesi del corso in PDF di Storia della lingua italiana solo su Docsity! Capitolo 11: Il Settecento ITALIANO E FRANCESE NEL QUADRO EUROPEO PRESTIGIO E RUOLO DELLE LINGUE D’EUROPA Le lingue di cultura che potevano ambire a un primato internazionale erano tre: francese, italiano e spagnolo, anche se quest’ultimo era in una fase calante, in concomitanza con la crescita di prestigio del francese. Nel ‘700 non ha nessun rilievo il portoghese, che era stato strumento di comunicazione nel Cinquecento per mercanti e viaggiatori in terre esotiche; le lingue slave non erano conosciute né apprezzate. Il tedesco e l’inglese avevano una posizione marginale e la cultura inglese si diffuse attraverso le traduzioni francesi. Leibniz aveva lamentato il ritardo del tedesco dal punto di vista del vocabolario intellettuale e della capacità di veicolare il pensiero filosofico e scientifico e inoltre la lingua aveva uno status culturale insufficiente; solo con il Romanticismo all’inizio del XIX secolo, ottenne un riconoscimento. Nel Settecento prevaleva un cosmopolitismo che privilegiava il francese. L’italiano era lingua di corte a Vienna e Metastasio nel suo lungo soggiorno viennese non sentì la necessità di imparare il tedesco, così come Da Ponte, il librettista di Mozart. Anche a Parigi l’italiano era abbastanza conosciuto, come lingua da salotto e per le dame. Secondo i dati presentati da Dardi, almeno 150.000 intellettuali italiani nel 1788 conoscevano il francese, che aveva assunto una posizione che lo rendeva erede dell’antico latino. Goldoni scrisse nella lingua d’oltralpe non solo due commedie, ma anche le sue memorie. Non fu l’unico intellettuale italiano a impiegare il francese, anzi era una scelta obbligata per chi si trasferiva all’estero ( le memorie di Casanova o i saggi di Denina). Il francese veniva usato da scrittori dell’Italia settentrionale per appunti privati, per annotazioni, lettere, diari. Questo fatto è assai interessante, poiché non trova alcuna giustificazione in uno stato di necessità: era una semplice scelta di gusto e costume. E’ giusto ricordare l’Encyclopédie di Diderot e D’Alambert, che ebbe due ristampe in Italia: - A Lucca: 1758-1771 - A Livorno: 1770-1776 entrambe queste ristampe furono in francese e non in traduzione italiana. La lingua originale non fu affatto un ostacolo alla diffusione di queste opere, rivolte ovviamente ad un pubblico d’èlite. La penetrazione del francese avveniva attraverso molti canali: danza, moda, teatro, prediche. IL FRANCESE LINGUA MODELLO La diffusione della lingua, della moda e della cultura di Francia aveva avuto conseguenze sul piano linguistico. Nel 1784 l’Accademia di Berlino premiò un saggio di Rivarol, che riprese il tema per cui il francese poteva rappresentare il latino dei tempi moderni. Rivarol pretendeva di attribuire il successo internazionale del francese non solo a cause storiche contingenti, ma ad una virtù strutturale della lingua, chiara, logica e razionale, contrapposta ad esempio all’italiano, lingua caratterizzata da inversioni sintattiche. La lingua francese fu esportata nei paesi conquistati dall’Impero e messa in atto attraverso una politica di ‘francesizzazione’; mentre il francese era la lingua della chiarezza, l’italiano era la lingua della passione emotiva, della poesia e della musicalità e quindi scarsamente razionale. L’ordine degli elementi veniva identificato nella sequenza soggetto-verbo-complemento, mentre l’italiano era caratterizzato da una grande libertà nella posizione degli elementi del periodo: questo veniva interpretato da alcuni come un ‘difetto strutturale’, dovuto all’eccessiva imitazione dello stile latineggiante di Boccaccio. I difetti di razionalità propri dell’italiano non erano in realtà dovuti a motivi ‘naturali’, ma a cause storiche, dipendenti da mode letterarie che avevano favorito la conservazione ad oltranza di un gusto arcaicizzante. Alla fine del secolo, Denina, confutò la tesi di Rivarol, sostenendo che non esiste una superiorità assoluta di una lingua sulle altre e che tutte le lingue ci sembrano naturali quando siamo abituati ad esse. Inoltre spiegava che l’ordine libero delle parole si spiegava con la presenza di una diversa organizzazione, come l’esistenza di elementi morfologici che segnalano la funzione delle parole, indipendentemente dalla loro posizione. Tutta l’Europa prendeva atto della forza del francese e dei suoi caratteri tipologici, che risultavano essere ‘’la sincronia, l’unità nei registri prosastico e poetico, l’assetto ordinato e razionale.’’ La diffusione del francese e la sua egemonia permisero di guardare in maniera più critica alla tradizionale cultura italiana: la Francia aveva una lingua adatta alla conversazione e alla divulgazione, rispetto all’italiano. Alcuni intellettuali erano profondamente ostili all’egemonia del francese, i quali ne combattevano caparbiamente la diffusione, come il piemontese Galeani Napione di Cocconato. L’INFLUENZA DELLA LINGUA FRANCESE Entrarono nella lingua italiana un gran numero di francesismi, rintracciabili nei settori come la moda, la politica, la diplomazia, la burocrazia, le belle arti, il commercio, la filosofia ecc..il termine moda è stesso un gallicismo. In questo secolo, poi, si può notare il rapporto stretto tra lingua e cultura. In campo scientifico una rivoluzione nacque dalla diffusione della terminologia chimica, la quale arriva dalla Francia nella seconda metà del secolo XVIII Due principi di Lavoisier: 1. meglio un nome nuovo chiaro e trasparente, che un nome tradizionale opaco e fuorviante 2. creando nuovi termini è opportuno servirsi delle lingue morte e in particolare del greco. Nella terminologia chimica scientifica, i suffissi assumono un valore classificatorio: - -ique (italiano –ico) gli acidi ossigenati; - -eux (italiamo: -oso) gli acidi deboli. Alcuni grecismi arrivano all’italiano attraverso la lingua francese, come ‘’ellenista’’, ‘’energico’’, erotico’’. IL PENSIERO DI CESAROTTI NEL DIBATTITO LINGUISTICO SETTECENTESCO Fin dall’inizio del ‘700 si era avuta una riproposta delle posizioni relative al primato di Firenze e della lingua toscana; un esempio sono le Annotazioni di Anton Maria Salvini alla “Perfetta poesia italiana” di Muratori. Salvini polemizzava contro il concetto di “lingua comune” e ribadiva i due vantaggi dei fiorentini, possessori della lingua per diritto e per studio. derivazioni. Quindi ha torto chi afferma che i forestierismi guastano la lingua, in quanto le strutture grammaticali non sono investite dal cambiamento. La IV parte del saggio, a conclusione, è dedicata all’esaminazione della situazione italiana e propone delle soluzioni positive alle polemiche della ‘questione della lingua’. Proprio nelle ultime pagine si affronta il tema del rinnovamento della lessicografia legata all’attualità della politica. Poiché la lingua è della nazione, Cesarotti proponeva di istituire un Consiglio nazionale della lingua, al posto della Crusca e la sede avrebbe dovuto essere ancora Firenze; la nuova istituzione si sarebbe occupata di studi etimologici e filologico - linguistici, ma soprattutto con attenzione al lessico tecnico delle arti, dei mestieri e delle scienze. La schedatura avrebbe superato la selettività letteraria e avrebbe permesso di arrivare alle parole di uso regionale e poi si sarebbe arrivati ad una scelta: il patrimonio lessicale ottenuto sarebbe stato confrontato con quello presente nei vocabolari di altre nazioni. Compito finale del Consiglio era la compilazione di un vocabolario, realizzato in due forme: 1. un’edizione ampia, scientifica rivolta agli specialisti e con carattere etimologico, storico, filologico e comparativo 2. un’edizione di uso comune, pratica e divulgativa. Il saggio si chiude con un appello alle attività intellettuali, chiamando Firenze a farsi guida culturale d’Italia, con il consenso delle altre regioni, ma fu inascoltato. LE RIFORME SCOLASTICHE E GLI IDEALI DI DIVULGAZIONE GLI IDEALI DI DIVULGAZIONE DEL SAPERE Vi è un nesso tra gli ideali di divulgazione culturale, di svecchiamento e rinnovamento del pensiero e la diffusione nel Settecento di un sentimento democratico. Le condizioni del popolo divennero un forma di interesse per gli illuministi e si cominciò a pensare che la conoscenza della lingua italiana doveva entrare nel bagaglio di ogni uomo per poter assumere un ruolo nella società produttiva. Il recente volume dedicato alla storia linguistica del ‘700 scritto da Matarrese, si apre con un capitolo dedicato a Scuola ed educazione linguistica: l’organizzazione razionale di una scuola è uno degli obiettivi che caratterizzano positivamente l’Illuminismo riformatore. L’insegnamento della lingua implicò delle strategie e degli obiettivi di politica culturale. È in questo secolo che l’italiano entra in forma ufficiale, poiché sono le organizzazioni statali a darsi da fare, sotto lo stimolo di intellettuali intelligenti, per far si che l’insegnamento non fosse svolto solo in riferimento alla lingua latina. Nasce così una sensibilità nuova per i temi della divulgazione e della diffusione della cultura nei ceti medie moderne sono anche le ribellioni antipedantesche e antiaccademiche. In prima fila non sono solo i letterati, ma un’ampia categoria di intellettuali, studiosi che si dedicavano a diverse branche del sapere. Questi specialisti indicarono la strada per le necessarie riforme sulla via del progresso, anche se la situazione italiana rimase assai difficile, per la mancanza di uno stato unitario nazionale che doveva applicare un disegno di riforma omogeneo per un territorio così ampio. La situazione delle riforme scolastiche italiane è dunque in realtà disuguale, diversa da stato a stato. RIFORME SCOLASTICHE NEL PIEMONTE Per natura il Piemonte era esposta all’influenza della lingua francese. Nel 1729 Vittorio Amedeo II di Savoia emanò dei provvedimenti per la riforma dell’università; un intellettuale di grido come Scipione Maffei suggerì l’introduzione dell’insegnamento delle lettere toscane ma non fu messo in atto. I Regolamenti scolastici Piemontesi del 1729 introducevano, d’altro canto, l’insegnamento della grammatica latina mediante manuali scritti in italiano. Sempre in Piemonte nel 1733-34 divenne obbligatorio per la prima volta, nella scuola superiore d’èlite, lo studio dell’italiano, stabilito solo una volta alla settimana, il sabato. Nel 1734 venne definitivamente a Torino una cattedra universitaria di italiano e greco, cattedra che divenne punto di avvio di una politica di sviluppo della scuola d’italiano. Nel 1772 furono emanate nuove costituzioni della scuola, in cui la posizione dell’italiano si fece più solida, in quanto venne istituita una classe iniziale, propedeutica a quelle già esistenti e dedicata a fornire i rudimenti della lingua italiana. Naturalmente lo sviluppo dell’insegnamento dell’italiano è stato graduale e sempre in un contesto finalizzato allo studio del latino. MODENA, NAPOLI, PARMA Modena, in seguito a nuove costituzioni degli studi emanate nel 1772, si prescriveva per i primi anni di corso l’uso di libri esclusivamente italiani e non latini. Si ebbero riforme scolastiche dopo la cacciata dei Gesuiti anche a Napoli e a Parma. A Parma nel 1768, si prevedeva per le classi infime, destinate a coloro che non avrebbero proseguito gli studi, l’insegnamento del solo italiano. A Napoli fu avanzato un progetto di Genovesi del 1767, che proponeva a livello di istruzione primaria per i meno abbienti, l’istituzione di insegnamenti di leggere, scrivere ed abaco pratico; il regno di Napoli si Anche nel ‘700, si reperiscono scritture popolari, di semicolti, in cui si ha modo di osservare un uso difettoso della lingua scritta. Questo tipo di situazione comunicativa dava luogo a interferenze del codice dialettale con quello dell’italiano. Un italiano di tipo regionale e popolare si rintraccia negli annunci commerciali sulle gazzette, come negli articoli di cronaca giornalistica, con un italiano assai modesto e con tratti popolari. LINGUAGGIO TEATRALE E DEL MELODRAMMA L’OPERA IN MUSICA Il successo dell’opera italiana è nel ‘700 molto grande anche all’estero. Il successo della lingua italiana nell’opera per musica contribuì a fissare lo stereotipo dell’italiano come lingua della dolcezza, della cantabilità, della poesia, dell’istinto, della piacevolezza, in contrapposizione al francese, lingua della razionalità e della chiarezza. Il giudizio sul linguaggio del melodramma portava anche all’estero una valutazione favorevole delle opere italiane; una delle più fortunate fu la Serva padrone di Pergolesi, rappresentata a Napoli nel 1733, il cui linguaggio è per noi moderni ‘’perfettamente comprensibile.’’ Il successo di quest’opera all’estero fu grande e lo stile musicale italiano trovò paladini in Voltaire, Rousseau e Diderot. Il linguaggio dell’opera influenzò anche l’italiano imparato da alcuni stranieri: celebre è il caso di Voltaire, che scrive lettere in cui entra lessico melodrammatico e aulico. Nei paesi di lingua tedesca, l’italiano ebbe un nuovo successo con il trionfo dell’opera italiana a Vienna, con Metastasio; anche Mozart conosceva l’italiano e lo adoperò in forme curiose e vivaci e il compositore utilizzò libretti scritti dall’italiano Da Ponte. IL LINGUAGGIO DI GOLDONI Benchè si ritrovino nell’opera di Goldoni alcuni accenni al problema della lingua, non si può certo dire che egli ne fosse assillato. La rappresentazione scenica, eppure, richiedeva uno sforzo notevole di approssimazione; non esistendo in Italia una vera lingua comune di conversazione, un autore teatrale che volesse simulare il parlato, senza imparare la lingua toscana viva, era costretto o a ricorrere al dialetto o a impiegare una lingua mista, in cui entrassero elementi diversi, come francesismi e modi colloquiali di vario tipo. Goldoni optò per l’una e l’altra soluzione: scrisse opere in dialetto veneziano, in italiano e anche in francese. Il suo francese era stata una lingua formalmente imperfetta, ma assai vivace e adatta alla scena. L’uso del dialetto, che in scena non è un problema, richiede qualche temperamento in occasione della trasposizione scritta, a stampa: F 0 A 7 sparisce il tradizione bolognese del dottore avvocato F 0 A 7 il dialetto veneziano resta, ma corredato da una serie di chiose per far intendere anche ai non veneti particolarità che andrebbero perdute F 0 A 7 sono spiegati in nota gli elementi di un ipotetico italiano settentrionale, in cui le careghe stanno al posto delle sedie e barba sta per zio F 0 A 7 vengono commentati i proverbi, le parole del dialetto meno trasparenti. Dialetto e lingua non sono da considerare in opposizione, ma si alternano e si confondono in una stessa battuta. L’italiano teatrale di Goldoni è estraneo alle preoccupazioni di purezza. Egli rivendicava il valore pratico delle sue scelte, al di fuori di ogni teoria. Lingua non elegante, ma viva, innovativa, specialmente sul piano sintattico. In Goldoni domina una sintassi di tipo paratattico, in cui affiorano caratteri propri del parlato e del registro informale, rimasti ai margini della norma grammaticale. LINGUAGGIO POETICO L’ARCADIA Risale al 1690 la fondazione a Roma dell’Arcadia, movimento che con le sue diffuse colonie organizzate in ogni centro italiano, anche nelle località di provincia, fu un esercizio poetico di grandissime dimensioni. Questa stagione poetica così florida ebbe come strumento una lingua tradizionale, ispirata al modello del Petrarca e intesa a liberarsi degli eccessi formali del Barocco. ADESIONE AL PASSATO NEL LINGUAGGIO POETICO: LA DIFFICOLTA’ DEL RINNOVAMENTO Vi è nel linguaggio della poesia del ‘700 una sostanziale adesione al passato, visibile nell’impiego della toponomastica e onomastica classica, della mitologia, con largo uso di latinismi e arcaismi. Quando veniva introdotta una parola esotica, che non aveva tradizione poetica, se ne addolciva il suono mediante l’aggiunta di epiteti. Effetti di una tendenza alla nobilitazione sono, per esempio, la proclisi nell’imperativo (es: t’arresta, m’ascolta) o l’enclisi (es: vadasi, parmi). Altri procedimenti vistosi nella poesia, a cominciare da quella di Metastasio, furono i troncamenti, specialmente quelli del verbo all’infinito ( arrossir, parlar), praticamente una soluzione obbligata, in cui si rinuncia solo in casi particolari. In Metastasio il cantabile fu spinto nella forma dell’arietta, in cui trovano posto anche massime e proverbi, alcuni dei quali passati nel patrimonio mnemonico comune.
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