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Incompatibilità e Ineleggibilità per Parlamentari e Governo in Italia, Sintesi del corso di Etica

Diritto PenaleGiurisprudenzadiritto amministrativoDiritto Costituzionale

Sulla giurisprudenza che regola l'accordo corrotto tra un parlamentare e un terzo, l'immunità parlamentare e la riforma del 1989 che ha restituito la giurisdizione in materia di reati ministeriali all'ordinaria giurisdizione penale. Inoltre, viene esplorata la legislazione sulla incompatibilità e ineleggibilità di cariche amministrative e politiche per i parlamentari e i titolari di cariche di governo in Italia.

Cosa imparerai

  • Quali cariche politiche e amministrative sono incompatibili con il mandato parlamentare?
  • Che tipo di accordo corrotto è vietato per i parlamentari secondo la giurisprudenza?
  • Che tipo di reati ministeriali sono disciplinati dalla riforma del 1989?
  • Quali sono le ineleggibilità e incompatibilità per i titolari di cariche di governo?
  • Che tipo di cariche possono essere sospese provvisoriamente per i membri del governo?

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 15/12/2022

alessio-serrone-1
alessio-serrone-1 🇮🇹

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Scarica Incompatibilità e Ineleggibilità per Parlamentari e Governo in Italia e più Sintesi del corso in PDF di Etica solo su Docsity! CAPITOLO 2: I DOVERI DEI POLITICI NAZIONALI 1.1. La responsabilità politica. — La responsabilità politica dovrebbe giocare, nella protezione dei doveri di comportamento dei parlamentari, un ruolo preponderante, anche in ragione dell'esistenza di una rilevante limitazione immunitaria delle responsabilità di natura giuridica che possono essere ad essi richieste. Nella realtà, tale responsabilità è debole, per una serie di ragioni convergenti. Il divieto di mandato imperativo ha l'effetto di allentare il rapporto tra eletto ed elettore, lasciando a quest' ultimo solo un potere di controllo-sanzione che opera dopo che il mandato è cessato, nella forma della non rielezione; la possibilità degli elettori di esercitare questo potere di controllo-sanzione postumo è ridimensionata per il fatto che la scelta delle candidature è largamente monopolizzata dai partiti politici e che gli elettori hanno un potere di selezione tra i candidati limitato (e non immune da rischi di corruzione), che si annulla quando il sistema elettorale è di tipo maggioritario o a liste bloccate. La responsabilità politica dei parlamentari si gioca quindi prevalentemente nel rapporto non con gli elettori, ma con i partiti politici, nei termini di soggezione alla c.d. disciplina di partito, la quale però è tanto più esigibile quanto maggiore è la capacità effettiva dei partiti di garantire la rielezione e di decretare la "morte politica". I partiti politici, attraverso i gruppi parlamentari, dovrebbero esercitare una vigilanza sui parlamentari diretta da un lato ad ottenere il rispetto delle direttive di partito, e dall'altro a bloccare i rapporti personali con interessi particolari diversi da quelli che il partito abbia ritenuto di promuovere. La fedeltà di partito non è peraltro uniforme, variando a seconda dei tempi e della compattezza ideologica, programmatica e morale di ciascun partito. Man mano che i partiti perdono compattezza i2deologica, per divenire apparati specializzati nella raccolta di voti (c.d. partiti "prenditutto"2) o, peggio, agenzie al servizio di interessi organizzati, in un contesto di declino dei livelli di partecipazione dei cittadini (c.d. cartell party3) la disciplina di partito si allenta. La responsabilità dei parlamentari nei confronti dei partiti si è andata diluendo fortemente nel corso dell'ultimo quarto di secolo. Ne è una riprova eloquente il fenomeno dei "cambi di casacca". In questo scenario di crisi, la responsabilità politica dei parlamentari resta un oggetto chimerico: si tratta di una responsabilità volontaria, "liquida" nel senso che il parlamentare, se vuole risponde ai propri elettori o al partito, se non vuole, no. L'unica cosa certa è che, al termine di ogni legislatura, il mandato rappresentativo finisce. 2.1. Le responsabilità politiche. — I doveri dei titolari delle cariche di Governo, nella forma di governo parlamentare accolta dall'ordinamento repubblicano, trovano il loro fulcro nell'obbligo del Governo di rendere conto al Parlamento, il quale può in ogni tempo obbligarlo a dimettersi, seguendo le procedure prescritte dalla Costituzione e dai regolamenti parlamentari. Mentre i parlamentari rispondono agli elettori, nei limiti che si sono detti, solo nel momento in cui costoro scelgono di punirli negando la rielezione, il governo è sorvegliato da un custode più agguerrito — il Parlamento — che non solo dispone di una estesa serie di strumenti di indirizzo, ispettivi e di controllo, ma può anche licenziarlo in ogni momento. Il timore di una sanzione politica, che può aggiungersi alle responsabilità d'ordine giuridico o integrarle, dovrebbe rafforzare il senso di disciplina ed onore dei ministri. Nondimeno, la riprovazione parlamentare ben difficilmente può tradursi nell'approvazione di mozioni di sfiducia del Governo o del singolo ministro (queste ultime sono sistematicamente respinte e sortiscono solitamente l'effetto contrario di compattare la maggioranza nella difesa del ministro). Le discussioni parlamentari che vertono sulle condotte individuali dei membri del Governo sono però sempre, per il Governo, una fonte di imbarazzo o un fattore di logoramento. Non è infrequente, nella prassi più recente, che le denunce parlamentari, insieme alle tensioni mediatiche ed alle indagini della magistratura, abbiano l'effetto di indurre il Presidente del consiglio a sollecitare le dimissioni "volontarie" dei ministri, vice-ministri e sottosegretari coinvolti ed a promuovere operazioni di "rimpasto". La responsabilità politica, nel caso dei sottosegretari, non si gioca formalmente nell'ambito del rapporto di fiducia corrente tra Governo e Camere, ma nella relazione che intercorre tra il sottosegretario ed il Presidente del consiglio, al quale è attribuito (art. 10 della 1. n. 400/1988) il potere di proporne la nomina (e si deve ritenere, anche il contrarius actus, e cioè la revoca) al Capo dello Stato. 1.2. Le responsabilità giuridiche e le immunità dei parlamentari. —L'art. 68 co. 1 Cost., per la quale essi non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati.4gle prerogativa costituisce una deroga al principio generale di,.responsabilità affermato dall'art. 28 Cost. La prerogativa, che si fonda sulla necessità di preservare l'indipendenza delle Camere e dei loro membri da interferenze esterne, escludendo ogni tipo di responsabilità: non solo quella penale, ma anche quella civile, amministrativa e contabile. Pur nella sua ampiezza, la prerogativa incontra tuttavia importanti limiti. Il primo limite della prerogativa di cui all'art. 68 co. 1 sta nel fatto che essa riguarda esclusivamente le funzioni parlamentari (e non i comportamenti extrafunzionali), le quali possono essere tuttavia intese in modo tanto estensivo (fino ad includere tutta l'attività politica dispiegata dal parlamentare) quanto restrittivo (identificandole nelle sole attività parlamentari tipizzabili in base alla Costituzione ed alle fonti del diritto parlamentare). giustificare, argomentando, la condotta addebitata al Ministro, e non quello di operare, ai fini del rilascio dell'autorizzazione, un riesame della determinazione del Tribunale dei ministri. Il potere parlamentare di autorizzazione può, inoltre, essere esercitato solo relativamente ai procedimenti, riguardanti reati ministeriali che il Tribunale dei ministri ha trasmesso, e non può riguardare invece quei procedimenti che sono stati avviati nei confronti dei ministri per reati che la magistratura non ritiene di qualificare come ministeriali. Le Camere, se temono che la magistratura stia procedendo abusivamente per un reato che esse reputano invece essere di natura ministeriale, non hanno il potere di paralizzare il procedimento, ma possono solo sollevare il conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale per rivendicare il proprio diritto di rilasciare o negare l'autorizzazione a procedere. Nel quadro dell'immunità va inoltre ricompreso il divieto fatto alla magistratura di adottare provvedimenti in materia di libertà personale, intercettazioni telefoniche, sequestro o violazione di corrispondenza, perquisizioni personali e domiciliari, nell'ambito dei soli procedimenti riguardanti i reati ministeriali, senza l'autorizzazione della Camera (1. cost. n. 1/1989, art. 10, co. 1). In questa delicatissima materia la legge impone che il Parlamento si pronunci in modo tempestivo (la Camera è convocata di diritto e deve deliberare sulla proposta della Giunta per le autorizzazioni entro 15 giorni). Un ulteriore profilo dell'immunità ministeriale è dato dal divieto (1. cost. n. 1/1989, art. 10, co. 4) che nei confronti di Presidente del Consiglio e dei ministri possa essere disposta, in relazione a reati tanto ministeriali quanto comuni, l'applicazione provvisoria di pene accessorie che comportino la sospensione dall'ufficio. 1.3.Gli strumenti preventivi- L'art. 65 Cost. riserva-alla legge la determinazione dei casi di ineleggibilità ed incompatibilità con l'ufficio di deputato o di senatore. Il successivo art. 66 Cost., confermando una tradizione formatasi nel corso dell'esperienza statutaria, riserva a ciascuna Camera la prerogativa di giudicare dei titoli di ammissione dei propri componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità ed incompatibilità. La regolarità delle operazioni elettorali (c.d. giudizio di convalida) ed il possesso dei requisiti sulle cause di ineleggibilità ed incompatibilità originarie o sopraggiunte (c.d. giudizio di decadenza) sono materie sottratte alla giurisdizione (civile o amministrativa) e riservate alla stessa Camera. La prerogativa in questione trova storicamente la sua giustificazione nell'intento di proteggere la sovranità del Parlamento impedendo che un altro potere, quello giudiziario, possa interferire nella sua composizione. 1.3.2. Ineleggibili ed incompatibili. — Le ineleggibilità e le incompatibilità parlamentari sono disciplinate da una legislazione stratificata e frammentaria, bisognevole di un riordino frequentemente auspicato ma sempre rinviato. Il Rapporto di valutazione del GRECO del 2016 è l'ultimo a lamentare. L'ineleggibilità sarebbe precipuamente volta a salvaguardare la libertà degli elettori e la concorrenzialità dell'elezione, mentre l'incompatibilità proteggerebbe la libertà del mandato da possibili conflitti di interesse o di fedeltà. Sicché, va chiarito, le ineleggibilità e le incompatibilità non riflettono in nessun caso l'intento di ostacolare né il passaggio da cariche politiche a cariche parlamentari (il cursus honorurrz è del resto fenomeno del tutto fisiologico), né il passaggio da cariche amministrative o da impegni di natura imprenditoriale a cariche parlamentari ma mirano piuttosto a scoraggiare la sovrapposizione tra ruoli e responsabilità solo in quanto essa possa alimentare situazioni •di conflitto. 1.3.2.1. In relazione ad altre cariche politiche. — Le ineleggibilità e le incompatibilità parlamentari riferite alla titolarità in capo al medesimo soggetto di cariche politiche ulteriori corrispondono a tre esigenze fondamentali, e cioè frenare il personalismo politico, limitando la concentrazione di più cariche politiche in capo ad una stessa persona; non mescolare mandati politici che rispecchiano ruoli ed interessi che, benché sempre di natura pubblica, devono essere comunque tenuti ben distinti; assicurare una adeguata dedicazione all'ufficio parlamentare, che il cumulo delle cariche potrebbe pregiudicare. Un parlamentare non può essere anche Capo dello Stato (le sole cariche che il Capo dello Stato cumula sono infatti individuate nell'art. 87 Cost.), giudice costituzionale (art. 135 co. 6 Cost.), membro della seconda camera (art. 65 co. 2 Cost.), membro di una giunta o di un consiglio regionale (art. 122 co. 2 Cost.), membro del Consiglio superiore della magistratura (art. 104 co. 7). Alcune compatibilità sono da considerarsi anche esse inderogabili: così, nella forma di governo parlamentare, si considera del tutto naturale che i titolari di cariche di governo possano essere anche membri del Parlamento (l'art 64 co. 4 Cost. non a caso prevede che i membri del governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto, e se richiesti, obbligo di assistere alle sedute). Gli spazi di scelta del legislatore finiscono per risultare piuttosto contenuti. Il principale terreno è quello delle cariche politiche degli enti locali. Le scelte del legislatore sono orientate in senso liberale, e stabiliscono regimi di incompatibilità ed ineleggibilità solo con le cariche di sindaco, senza prendere in considerazione quelle di consigliere e di assessore. I sindaci dei comuni con più di 20.000 abitanti sono ineleggibili ai sensi del TU. del 1957, e decadono dalla carica al momento della presentazione della candidatura alle elezioni di Camera e Senato ai sensi del- l'art. 63 del TUEL. La soglia dell'incompatibilità è stata abbassata (15.000) dalla legge "Del Rio" n. 56/2014. 1.3.2.2. In relazione a cariche amministrative. — Le ineleggibilità e le incompatibilità parlamentari riferite alla titolarità di cariche pubbliche diverse da quelle "politiche. La Costituzione infatti non solo non vieta che alle cariche parlamentari possano accedere i dipendenti pubblici, né stabilisce limiti al loro numero. Dati tali assunti, le ineleggibilità ed incompatibilità col mandato parlamentare possono giustificarsi unicamente nella titolarità di quelle cariche amministrative o giurisdizionali che, per le loro caratteristiche peculiari, possano prestarsi ad abusi: Il titolare della carica potrebbe manipolare le elezioni, e, una volta eletto, potrebbe introdurre distorsioni nell'attività parlamentare come in quella amministrativa o giurisdizionale. Le ineleggibilità previste dal T.U. delle leggi recanti norme per l'elezione della Camera dei deputati (d.P.R. n. 361/1957), nel solco della legislazione di età liberale, riguardano un limitato ed eterogeneo numero di cariche: capo, vice capo della polizia ed ispettori generali di p.s.; funzionari di pubblica sicurezza; capi di gabinetto dei ministri; prefetti e viceprefetti; ufficiali generali, ammiragli e ufficiali superiori delle Forze Armate; magistrati (nelle circoscrizioni sottoposte alla giurisdizione degli uffici ai quali sono stati assegnati), ai quali l'art. 5 co. 1 della legge n. 276/1997 ha aggiunto i giudici onorari aggregati; diplomatici, consoli, viceconsoli, ufficiali addetti ad ambasciate, legazioni consolati. Le ineleggibilità sono dunque previste a carico di soggetti investiti, nella tradizione, di compiti primari di conservazione dello Stato, depositari di poteri autoritativi per eccellenza (difesa, ordine interno, giustizia, diplomazia), che è opportuno tenere distanti dall'agone politico. Resta che le ineleggibilità sono comunque superabili, attraverso dimissioni o collocamento in aspettativa. Le incompatibilità parlamentari sono disciplinate da una legislazione generale (d.lgs. n. 39/2013 in materia di inconferibilità ed incompatibilità di cariche amministrative) e da una lunga serie di leggi particolari. Solo col d.lgs. n. 39/2013, a sessanta anni di distanza dalla legge Sturzo, il legislatore è tornato sul tema delle incompatibilità parlamentari prevedendo un generale regime di incompatibilità tra tutte le cariche amministrative di ogni livello di governo — statale, regionale, locale — e il mandato parlamentare. Il decreto si muove io una prospettiva sotto più profili differente da quella della legge Sturzo: l'incompatibilità corrisponde infatti principalmente all'in-mento di salvaguardare il principio di distinzione tra amministrazione e politica, e non a quello di tenere separati i distinti ruoli di controllante e controllato attribuiti rispettivamente alle Camere ed al Governo. Alle incompatibilità generali, appena ricordate, si accompagnano , molte incompatibilità speciali, che sono disordinatamente presenti . nella legislazione: sono dunque incompatibili col compito di organizzare i pubblici uffici in modo che siano garantiti i buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione, e dall'art. 54, secondo comma, Cost., che impone ai cittadini cui sono affidate farm-ioni pubbliche "il dovere di adempierle con disciplina ed onore"», sicché, seguita la sentenza «ben può quindi il legislatore, nel disciplinare i requisiti per l'accesso e il mantenimento delle cariche che comportano l'esercizio di quelle funzioni, ricercare un bilanciamento tra gli interessi in gioco, ossia tra il diritto all'elettorato passivo, da un lato, e il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione, dall'altro. Nella legislazione si può, in fine, cogliere una sporadica tendenza a prevedere incandidabilità o decadenze dalle cariche parlamentari che non si collegano a sentenze penali, istituite dagli artt. 2 co. 3 e 6 co. 1 del d.lgs. ,n. 149/2011 sul federalismo fiscale, previsti a carico dei presidenti delle giunte regionali che siano stati rimossi per dissesto sanitario ed a carico dei sindaci e degli amministratori condannati, anche in via non definitiva, per un danno erariale che abbia concorso alla produzione del dissesto dell'ente. 2.3. Inconferibilità ed incompatibilità delle cariche di governo. — Le scarne norme che la Costituzione dedica al Governo nulla dispongono circa la possibilità di limitare l'accesso a tali cariche, o di cumularle con altre cariche. Solo recentemente il legislatore ha ritenuto di dovere intervenire in materia di requisiti (negativi) di accesso alle cariche e di compatibilità. L'art. 6 del d.lgs. 235/2012, esclude in via perpetua dalla possibilità di accedere alle cariche di governo coloro che si trovano nella condizione di incandidabilità all'elezione di deputato o di senatore (coloro, cioè, che sono stati condannati in modo definitivo a pena detentiva superiore a due anni per delitti di mafia, terrorismo, stupefacenti, reati contro la pubblica amministrazione e finanziamento illecito dei partiti politici)22. L'assenza di questo nuovo requisito negativo non viene accertata in via preventiva dal Capo dello Stato (il quale, ovviamente, se è a conoscenza di impedimenti, si determina in modo conseguente), ma deve essere dichiarata dall'interessato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri solo successivamente alla nomina (e al giuramento) e prima della "assunzione delle funzioni" (art. 6, co. 3). La suddetta dichiarazione costituisce dunque un onere necessario per poter esercitare la carica; la mancanza del requisito negativo (o la mancata dichiarazione) dovrebbero logicamente comportare (la legge non affronta direttamente la questione) l'obbligo di dimissioni e, in extremis, la declaratoria della decadenza da parte del Capo dello Stato. L'in" conferibilità che sopraggiunge in un momento successivo alla nomina comporta la decadenza di diritto dalla carica (art. 6), che deve essere dichiarata dal Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio (o del Ministro degli interni, se la decadenza riguarda addirittura il Presidente del Consiglio). L'inconferibilità introdotta nel 2012 assume un rilievo tutt'altro che trascurabile, se si considera che essa viene, di fatto, ad escludere dalla possibilità di accedere alle cariche di governo non solo, come è naturale, coloro che sono condannati in modo definitivo, ma anche tutti coloro hanno ricevuto una condanna provvisoria. Quanto al problema delle incompatibilità, questo ha trovato una risposta esaustiva nella 1. n. 215/2004. Il regime dell'incompatibilità delle cariche di governo riguarda infatti ogni carica o ufficio pubblico, le cariche, gli uffici e le funzioni presso gli enti pubblici, anche economici; ogni impiego o lavoro, pubblico e privato; ogni carica, ufficio, funzione, attività gestionale di società lucrative o in attività di rilievo imprenditoriale, quale che ne sia la rilevanza economica e l'ambito di attività; l'esercizio di ogni attività professionale o di lavoro autonomo, in ambiti di attività connessi alla carica di governo rivestita. La prima carenza sta nel fatto che le incompatibilità volte a prevenire conflitti di interesse economico, sussistono solo in relazione alla diretta titolarità di cariche societarie o allo svolgimento diretto di attività imprenditoriale, e non anche in situazioni diverse, ma sostanzialmente simili, come quella del titolare di una carica di governo che sia azionista di maggioranza o di controllo di imprese costituite in forma societaria. L'incompatibilità colpisce l'amministratore della società, ma non l'azionista di controllo, ed è quindi molto facilmente eludibile attraverso l'impiego di "teste di legno". La seconda deficienza sta nel fatto che il regime di incompatibilità, sebbene sia opportunamente soggetto al controllo indipendente esterno affidato all'AGCM, cui il titolare della carica entro breve termine dalla sua assunzione è obbligato a dichiarare le sue cariche e le sue attività economiche, non è corredato di sanzioni decadenziali o di altro genere: l'accertamento della situazione di incompatibilità da parte dell'AGCM comporta (art. 3) solo la segnalazione della circostanza ai Presidenti delle Camere. 1.4.1. Gli obblighi di trasparenza. —La legge n. 441/1982, tuttora vigente, con le modifiche e le integrazioni successive16, impone ai parlamentari di depositare all'ufficio di Presidenza, entro tre mesi dall'elezione, tre distinte dichiarazioni. La prima contiene i dati personali relativi al patrimonio immobiliare, alle partecipyioni azionarie, alle quote societarie, all'esercizio di funzioni di amministratore e sindaco di società; la seconda si esaurisce nella produzione della copia della dichiarazione dei redditi; la terza riguarda le spese elettorali sostenute nella campagna elettorale. Le prime due dichiarazioni devono essere aggiornate di anno in anno e vanno ripetute al termine del mandato parlamentar. Per l'omissione di tali dichiarazioni non sono previste sanzioni, mentre, come si è già rilevato in precedenza, la mancata dichiarazione delle spese elettorali è sanzionata, almeno formalmente, in modo assai severo con la decadenza dalla carica. In realtà, il grado di trasparenza richiesto dalla legge n. 441/1982 è del tutto inadeguato: gli obblighi di dichiarazione e pubblicazione non si estendono ai familiari (che però possono dare il loro consenso perché ciò avvenga); soprattutto, le cariche da rendere pubbliche sono solo quelle di amministratore e sindaco di società, e cioè una minima parte degli impegni che possono comportare conflitti di interesse ed incompatibilità. Non vi è dubbio che gli obblighi di trasparenza dei parlamentari (come degli altri politici) al riguardo di interessi economici ed incarichi dovrebbero essere rivisti. 1.4.2. Il Codice di condotta dei Deputati. —Approvazione da parte della Giunta per il regolamento della Camera, avvenuta il 12 aprile 2016, di un Codice di condotta dei deputati17. Tale Codice, che, per scelta espressa non rientra tra le fonti del diritto parlamentare. Le previsioni del codice sono elementari ed appaiono per vari aspetti timide o di facciata. I limiti di questa esperienza non sono sfuggiti al GRECO che, nel suo già ricordato rapporto di valutazione del 2016 ne ha raccomandato un serio approfondimento. Il Codice stabilisce (punto I), i principi generali di comportamento nei seguenti termini: «nell'esercizio delle loro funzioni, i deputati agiscono con disciplina ed onore, rappresentando la Nazione e osservando i principi di integrità, trasparenza, diligenza, onestà, responsabilità e tutela del buon nome della Camera dei deputati». Quanto ai conflitti di interesse, il Codice si limita a stabilire che «in caso di conflitti di interesse, ossia quanto uno specifico interesse potrebbe influenzare indebitamente l'esercizio delle funzioni, ciascun deputato adotta senza indugio tutti i provvedimenti necessari per rimuoverlo, aggiungendo che nei casi dubbi il parlamentare può chiedere lumi ad un Comitato parlamentare consultivo.(punto I, secondo capoverso). Come si vede, il codice evita di enunciare l'esistenza di un obbligo di astensione, anche se lascia intendere che l'astensione possa rappresentare il solo comportamento da assumersi. Quanto ai doveri di trasparenza, di fatto il Codice si limita a riprodurre pedissequamente gli obblighi di dichiarazione e di trasparenza già prescritti per legge. Il compito di assicurare il rispetto del Codice è affidato al Presidente della Camera, che si avvale di un organo interno apposito (Comitato consultivo sulla condotta dei parlamentari): ne fanno parte quattro membri estratti dal Consiglio di Presidenza e sei membri scelti in modo autonomo dal Presidente della Camera (e cioè non su designazione dei gruppi parlamentari) secondo un criterio di "esperienza", ed in modo da assicurare una rappresentanza pantani di maggioranza ed opposizione. Considerata però la genericità dei doveri che il Codice chiede siano rispettati dai deputati, la sostanziale assenza di novità sui temi più scottanti — il conflitto di interessi e la trasparenza — si può dubitare che il Comitato possa conquistare un ruolo significativo nella vita parlamentare. Non deve pertanto sorprendere il fatto che il Codice non
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